Luigi Speranza -- Grice e Ranzoli: “going through the dictionary” – “Non
il Little Oxford Dictionary, come volleva Austin, ma il Ranzoli! -- la scuola
di Roma -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I think I prefer
Stefanoni!” -- DIZIONARIO DI FILOSOFIA MANUALI HOEPLI, DIZIONARIO di FILOSOFIA,
LIBRAIO DELLA REAL CASA MILANO Pat. RS Tipografia L’Arlo della Stampa,
Successori Landi Firenze. Via Santa Caterina. Il dizionario di filosofia di R.
è stato accolto dal pubblico in modo estremamente lusinghiero. Di ciò
attribuisco una minima parte ai pregi dell’opera di R. Il resto, il più,
all'essere UNICA del genere IN ITALIA e al promettente risveglio filosofico.
Ma, appunto per questo, R. sente più vivo il dovere di ri-esaminarla con la più
scrupolosa attenzione, per eliminarne quei difetti e apportarvi quei
miglioramenti, che la rendessero meglio adatta al suo scopo. R. supprime tutti
gl’argomenti che non riguardano davvicino la filosofia o le sue parti. R. Mette
accanto ad ogni vocabolo il corrispondente gallico – o ‘francese’, tedesco, ed
inglese, talvolta anche LATINO e greco. R. pone in fine alla maggior parte delle
voci le opportune indicazioni bibliografiche. R. Aggiunge gran numero di
termini, sia nuovi sia previamente dimenticati, e da più ampio svolgimento a
quelli che lui pare richiederlo. Che in tal modo essa raggiunge il suo assetto
definitivo, sono ben lungi dal pensarlo. Un dizionario come questo di R.,
specie se lavoro di uno solo, ha il poco invidiabile privilegio di non essere
mai compiute. Mende, sproporzioni, ripetizioni, lacune sone inevitabili.
Bisogna accontentarsi di ridurle via via al minor numero possibile, Il
dizionaro di R. s’ispira ai varii criteri. Tenersi al di sopra e al di fuori
d’ogni pre-concetto di scuola, presentando obbiettivamente le questioni e le
idee che ai vocaboli sono legate e i vari atteggiamenti da esse assunti nella
storia della filosofia. Sapere riuscire chiaro ed accessibile ad ogni media
cultura, senza falsare per questo i problemi e ridurre al semplice ciò che di
natura e di origine è complesso. Enumerare i diversi significati attribuiti ad
ogni termine, senza pretendere di imporne uno per conto proprio. Tracciare, fin
dove è possibile, la storia della parola e indicare, quando è opportuno, quale
dei suoi significati è il più legittimo, o il più accettato, o il più
accettabile. Ricordare, tra le espressioni proprie soltanto di un sistema o di
un periodo filosofico, quelle che, pur conservando un valore storico e fisso,
ricorrono con qualche frequenza nei saggi filosofici. Fare un’abile scelta,
nelle terminologie delle scienze più affini, delle voci la cui conoscenza può
essere utile e necessaria per lo studio della filosofia. Accogliere, senza
pregiudizi puristici, tutti quei termini nuovi che hanno acquistato un certo
diritto di cittadinanza, da qualunque parte essi vengano e qualunque sia la
loro composizione, perchè è specialmente delle voci nuove – come l’
‘implicatura’ di H. P. Grice -che si viene a chieder notizia al dizionario ed è
alle voci nuove che la registrazione nel dizionario può riuscir utile per
fissarne în modo definitivo il significato, pertanto stravagante. Ispirarsi
infine ad un certo criterio che direi della convenienza, per il quale,
svincolandosi dalle strettoie d’una geometrica proporzionalità, si sappia a
volta a volta e secondo l’importanza delle questioni trascorrer rapido o essere
diffuso, limitarsi a una frase concira ο esaurire sufficientemente una
discussione. A. L’ “A” designa nella logica la proposizione universale
affermativa, secondo i versi mnemonici classici: Asserit A, negat E, verum GENERALITER
ambo Asserit I, negat O, sed PARTICULARITER
ambo, È anche adoperata nei trattati di logica per esprimere simbolicamente il
soggetto della proposizione. Hamilton se ne vale per indicare la proposizione
toto-parziale affermativa. Con la formola A=A si suol esprimere il principio di
identità, e con la formula A=non-A il principio di contraddizione. Con la prima
formula si afferma l’identico dell’identico; con la seconda si significa che un
giudizio che afferma quello stesso che nega è uguale a zero, cioe falso e
nullo. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik; Hamilton, Lectures on logic, App. (Quantificasione del predicato). ABBITUDINE (Habitus,
Consuetudo; Gowoknheit; Habitude, Habit. Un’abbitudine è una manifestazione d’una
legge generale, che la forza tende a dirigersi secondo la linea della minor
resistenza, e si può definire come l'attitudine a conservare e riprodurre più
facilmente le modificazioni anteriormente acquisite. Intesa in questo senso, l'ABITUDINE
comprende sia i fenomeni d’ adattamento fisico e biologico, sis la facoltà,
acquistata coscientemente con I’ esercizio, di sopportare o di fare cid che non
si poteva sopportare o fare da principio, o anche di far meglio ciò che si
faceva male © con difficoltà. Lo Stewart la definisce In facilità che la
coscienza acquista, mediante la pratica, in tutte sue esercitazioni, sia
animali che intellettuali ». Si formano così le abitudini peichiche, le
abitudini mentali e le abitudini moral; il vizio e la virtà, in ultima analisi,
non sono altro che abitudini morali; e il modo particolare che ogni individuo
ha di considerare le cose, dipende spesso dall’ordine di associazioni mentali
in lui prevalenti, Trattandosi di sensazioni cho accompagnano un atto,
l'abitudine, diminuendo l’attività necessaria alla loro produzione, le rende a
poco a poco inavvertite ; nello stesso tempo però diventano più precise e
distinte, se non più intense, quelle che costituiscono il fine dell’ atto. Si
suol distinguere, dal Maine de Biran in poi, le abitudini passive dalle
abitudini attire: le prime sono quelle delle sensazioni, caratterizzate da
diminuzione della coscienza, adattamento, sviluppo del bisoguo corrispondente;
le seconde sono le abitudini delle operazioni, caratterizzato dalla facilità,
dalla perfezione, dalla tendenza alla riproduzione involontaria. L’ Egger
distingue le abitudini particolari ο speciali, che non concernono che un atto
interamente doterminato, sempre il medesimo, e le abitudini generali, in cui 1)
atto è variato, ma sempre di un medesimo genere ; questa distinzione corrisponde
alla distinzione già fatta dall’ Hòffding ο dal Bergson tra le due specie di
memoria, la memoria libera e la memoria automatica: ad es. l'abitudine di
risolvere dei problemi, e l’abitudine di calcolare. Si suol distinguere anche
l’abitudine dall’ abilità, che è l'abitudine diretta alla produzione d'un lavoro
e implica la variazione e il perfezionamento, © dall’ attitudine, che è la
semplice possibilità di prestarsi a fare; non si dà abilità senza abitudine, nè
abitudine senza attitudine. L’ abitudine ha molta affinità coll’ istinto, che
si può considerare come un’ abitudine ereditaria protettiva per 1’ individuo o
per la speci tuttavia alcuni filosofi moderni, ad es. il Murphy, intendono per
abitudine la legge per la quale le azioni ed i caratteri degli esseri viventi
tendono o ripetersi non solo nell’individno ma anche ne’ suoi discendenti. Nel
linguaggio scolastico habitudo significa attitudine, relazione, riguardo,
capacità a qualche cosa; da qui le espressioni quo ad habitudinem quo ad
entitatem. Quando in una cosa si considera l’ essenza, la quiddità, questa
allora si considera quoad entitatem; quando invece si considera la potenza o
capacità di fare che è nella cosa, si considera quo ad habitudinem. Così fra
Dio e l’uomo non ο) ὃ proporzione di entità ma di abitudine, perchè la distanza
dall’ uno all’altro è infinite e non hanno fra loro proporzione di entità, ma
l'uomo può giungere a Dio mediante la conoscenza, e può aver relazione con lui,
e quindi si dice che ha con lui proportionem habitudinis. Cfr. Maine de Biran, Influence de
Phab. eur la faculté do penser; Stewart, Works, ed. Hamilton; Egger, La parole
intérieure; L. Dumont, De l’habitude, Revue phil.; Bourdon, L’habitude, Année
paychol. (v. memoria organica,
inclinazione, automatismo, csusalità). ABSOLUTE. Nel linguaggio scolastico ‘absolute’
equivale talvolta a simpliciter, e si adopera quando una cosa è denominata
assolutamente come tale, senza aggiunte o limitazioni. cesi anche che una cosa
è absolute tale, quando ha natura e secidenti che richiedono quella e non altra
denominazione, ad es. la neve è bianca. Dicesi invece che è respectire tale,
quando è tale non per natura sua e in sò, ma in confronto a un’altra, ad es. un
macigno dicesi respective piccolo se lo si confronta con una montagna, Cfr. CORNOLDI
(vedasi), Thesaurus philos. ABULIA ABouAla; Abulie, Willenslosigkeit ; I His: Aboulie.
L’abulia è il sindrome di molte malattie mentali, che consiste in un
indebolimento del volere e sembra dovuta al’ atrofia dei centri motori. L’
ammalate vorrebbe, ma sente di non poter eseguire la propria volontà ; senza
presentare alcuna impossibilità organica di movimento, ogli è incapace di
decidersi a compiere qualsiasi atto, come mangiare, vestirsi, camminare, ecc.
sebbene lo creda opportuno, desiderabile, persino necessario. Si parla di molte
forme d’abulia, non ancora ben definite, come 1’ abulia motrice, che è quella
di cui ora abbiamo parlato, l’abulia intellettuale, che si manifesta con l’
indebolimento dell’ attenzione, l’abulia sistematizzata, che riguarda solo uns
categoria di atti, eco. Recentemente lo Janet ha chiamato abulia delirante una
speciale ossessione, riguardante gli atti stessi del soggetto, la quale,
rispetto al suo contenuto, si distingue in cinque classi: ossessione del
sacrilegio, del delitto, della vergogna di sd stessi, della vergogna del proprio
corpo, della malattia. Dicesi infine abulia morale quella debolezza della
volontà morale, per cui 1’ individuo, pur conoscendo il bene e desiderando
seguirlo, non sa resistere agli appotiti e alle tendenze malsane; appartiene
alla categoria delle pazzie morali, e tingue dalla cecità morale in cui manca
affatto la coscienza morale, e dall’ anestesia morale in cui il sentimento
morale è torpido ο perciò incapace d’ influire sulla condotta. Quanto alla
interpretazione psicologica delle abulie in genere, secondo il Ribot esse sono
dovute a un indebolimento della sensibilità, legato alla depressione delle
funzioni vitali; se gli ammalati sono incapaci di volere ciò succede perchè
tutti i proponimenti che essi fanno non risvegliano in loro che impulsi deboli,
insufficienti per spingerli ad agire ». Secondo P. Janet |’ abulia sarebbe
dovuta piuttosto ad una debolezza intellettuale. Perchè la mente voglia un atto
e lo eseguisca decisa, deve avere l’ idea chiara e completa delle azioni
richieste dal compimento dell’ atto stesso; ora, tale capacità sarebbe
diminuita negli individui affetti da abulia, donde la difficoltà di compiere
certi atti, benchè l'intelligenza ne abbia una nozione generale. Cfr. Th. Ribot, Les
maladies de la volonté, 188%; P. Janet, Névroses ‘dica fires, 23 ed. 1904; Id.,
Étude sur un cas d’ahoulie, Aca-Acc Revue philos., 1891, pag. 258 e 384;
Rivière, Contribution à Pétude des abouties, Those de Paris, 1890-91 (v. acedia,
aprosechia, aprassia, agorafobia). Acatalessia.
Gr. ‘AxataXntia. Incomprensibilità del vero. È una delle tre parole che
contengono le risposte ai problemi che si propone lo scetticismo pirronisno.
Possiamo noi comprendere che cosa siano le cose? Noi, risponde Pirrone, non
possiamo comprenderlo nè per mezzo dei sensi, md per mezzo della ragione,
perchè i sensi ce le mostrano come appaiono a noi, non come sono, e la ragione
#’ acquieta in ciò che le par conveniente. Nel medesimo senso Bacone
contrappone ln catalessia o dubbio scettico, alla eucatalessia o dubbio
metodico: Nos vero non acatalepsiam, sed eucatalepsis meditamur ». Cfr. R.
Richter, Der Skeptisirmus în d. Philos., 1901, vol. I; V. Brochard, Les scepliques
grecs, 1887; Bacone, Nov. Org., I, 126 (v. epoca, atarransia). Accademia. Platone insegnò negli orti di
Academo, i quali rimasero poi la sede della sua scuola, detta perciò Essa durò
fino al VI seo. d. C., ὁ si divide in tre periodi : la vecchia Accallemia,
ingolfatasi, con Speusippo, Xenocrate, Crantore, nella metafisica
pitagoreggiante e in un astruso dommatismo; la media, enduta nello scotticismo
con Carneade e Arcesilao; la nuova, tornata al primitivo dommatismo con Filone
di Larissa e Antioco d’Ascalone. Cfr. L. Credaro, Lo sostticiemo degli
accademici, 1893. Accadere. T. Ereignen, Geschehen; I. Happen. Usato
sostantivamente 1’ accadere, contrapposto all’ essere, indi l’insieme dei
fenomeni, dei caugiamenti che si verificano nella realtà. Nella storia del
pensiero filosofico il problema dell’ essere e il problema dell’ accadere si
svolgono parallelamente; ma il primo ad imporsi fu quello dell’ accadere,
giacchè la meraviglia suscitata dal mutare incessanto delle cose fa il primo
stimolo all’ indagine filosofica. Cir. Aristotele, Metaph. ACCESSORIO Accessorio.
T. Nebonstohliok; I. Accessory; F. Acosswire. Nella logica si oppone a
essensiale, fondamentale, neceesario e designa ciò che, pur avendo uns
qualsisai relazione col soggetto di cui si tratta, non è nè essenziale alla
maniera attuale di considerare il soggetto stesso, nö necessario alla
intelligenza di ciò che se ne dice, cosicchè si può anche lasciar da parte
senza che per questo ne rimanga alterata l’idea ο diminuita la chiarezza del
discorso che deve spiegarlo. Per ciò nella discussione o nella esposizione di
nn argomento si deve far in modo che 1’ accessorio non nasconda o faccia
dimenticare 1’ essenziale. Accidente. T. Acoidenz; I. Accident; F. Accident. Vocabolo
usato nella filosofia aristotelica e scolastica. Si oppone a essenza e a
sostanza, © desìgna una qualità o modificazione che non appartiene all’ essenza
della cosa, che non è l’ espressione de’ suoi attributi fondamentali. Aristotele
lo definì come ciò che aderisce ad un soggetto, ma non sempre nd
necessriamento; Goolenio, traducendo la definizione di Porfirio, in uso poi
presso tutti gli acolastioi peripatetici dell’ eta di mezzo, determina 1)
accidente come quod adent οἱ abest prate# subieoti corruptionem ; in altre
parole, I’ accidente è ciò che arriva alla cosa (quod accidit) ciò che in essa
si riscontra (ouu$eBrxéç) senza essere necessariamente legato alla sun idea.
Così, si può concepire una roccia senza concepirla arrotondata: essere
arrotondata, uguzza, ecc. è, rispetto alla roccia, un accidente. Alcuni
filosofi distinguono due sorta di legami tra la sostanza ο l accidente : l'uno,
detto prioologico, è quello che interoedo tra l'idea di accidente e quella di
sostanza, 1’ altro, detto ontologico, è la connessione che intercede tra In
sostanza stessa ο l’accidente, cioè a parte sui. Nel linguaggio scoInatico si
sogliono anche distinguere : l’aocidens physicum, che ha entità distinta da
ogni sostanza, e può essere absolutum, cho si riduco alla quantità ο allo
qualità, e modale, che non può mai trovarsi fuori di un soggetto; l’a. sepa-Ἱ -Acc
rabile, che si può facilmente separare dal soggetto, come il calore dal ferro,
ο l’a. inseparabile, che non si può separare, o almeno difficilmente, come il
verde dalla foglia; l'a. artrineecum che denomina un soggetto solo estrinsecamente,
come l’azione, e l’a. infrinsecum, che è inerente alla cosa di cui si chiama
ncoidente, come il freddo della neve; Pa. logieum o predicabile, che è una
qualità inerente al soggetto in modo contingente e non necessario, 6 l’a.
metaphysicum ο pradicamentale, che è quello che deve inerire al soggetto per
esistere, ma nel concetto fa astrazione dal modo di inerenza, se cioè sia
necessario o contingente. Cfr. Aristotele, Metapk., IV, 30, 1025 n; Porfirio,
Isagoge, VI; Goclenio, Lexicon philos., 1613, p. 26, 83 (v. caso, essenza,
sostanza). ı Aocidente (sofuma di, conversione per). Dicesi soflama di
arcidente quello che trae la sus origine da una proposizione difettosa nel
nesso tra il predicato © îl soggetto, il primo dei quali non si congiunge a
tutto il secondo nella sus unità, ma soltanto ad una parte non costituente la
sus unità, cioè ad un accidente di esso soggetto. Es. l’arte oratoria ha spesso
servito a trarre in inganno i popoli ο i giudici; dunque |’ eloquenza è
riprovevole. Dicesi comversione per accidente quella operazione logica con la
quale un giudizio universale affermativo, il cui soggetto è meno «steso dél
predicato, si converte in un giudizio particolare affermativo. Es.: tutti gli
uomini sono mortali; conv. per e., alcani mortali sono uomini. Cfr. Port-Royal,
Logique, I, 7; Masci, Logica, 1899, p. 216 segg. Accomodamento. T.
Accomodation; I. Accomodation: F. Accomodation. O accomodazione; si chiama così
l'atto fisiologico mediante il quale i muscoletti ciliari dell'occhio dànno
alla faccia posteriore del cristallino la curvatura neeeesaria affinchè le
immagini degli oggetti, posti a maggiore ο minore distanza, si proiettino sulla
retina e siano così dormalmente percepite. Quando la convessità del eristallino
aumenta, l’ occhio à accomodato alla visione degli oggetti vicini, © viceversa
quando scema, Un tempo si credeva che l’accomodazione dell’ occhio avvenisso
per uno spostamento della retina in avanti e indietro, conforme alle diverse
distanzo degli oggetti; Cartesio fu il primo ad emettere il concetto che la
nostra capacità di vedere distintamente gli oggetti collocati a distanza
dipenda dalP attitudine insita nell’ occhio di poter modificare la lente
cristallina; la dimostrazione di questa veduta teorica si ebbe due secoli dopo
con Max Langenbeck, Cramer e Helmholtz. Si dice dottrina dell’ accomodamento quella di
molti teologi protestanti, i quali, basandosi sulla constatazione che il
cristianesimo dovette, giunto in contatto coi vari popoli, modificarsi in parte
secondo le loro tradizioni, costumi, oredenze, rigettano tutto ciò che nei documenti
evangelici non concordi con le loro vedute. Cfr. Helmholtz, Handbuch d.
phyeiol. Optik, 2° cd. 1886-96; Wundt, Grundzüge d. physiol, Psychol., 1898,
vol. II, p. 83: ‘Techernig, Optique physiol., 1898 (v. miopia, ipermetropia,
punto prossimo, ecc.). Acedia (animi remissio, mentis enervatio). Così designavasi,
nella teologia medievale, quella specio di depressione malinconica, di torpore
dello spirito, che impedisce l’azione volitiva e coglie specialmente chi
conduce vita solitaria e di meditazione. Tale disposizione d’ animo era
afinovorata tra i peccati cardinali, per opposizione alla speranza posta tra le
virtù cardinali. Nella psicologia moderna è considerata come una semplice
anomalia della volontà. Cfr. Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 438
(v. abulia). Acervus (mucchio). Si dico così un antico sofisma, che Aristotele
fa risalire a Zenone di Elea, e che consisteva in questa argomentazione: un
mucchio di frumento, cadendo, non può produrre nessun rumore, perchè in tal
caso si dovrebbe sentire il rumore d’ogni grano, e delle particelle d'ogni
grano, il che non accade; ma il mucchio non 9 AcH è che la somma dei singoli
grani, che cadono senza produr rumore; danque, il mucchio di grano cadendo non
produce in realtà alcun rumore, il quale è soltanto una parvenza sensibile.
Codesto sofisma hs poi assunto varie forme, delle quali la più comune è la
seguente: se a un mucchio di grano si leva un grano, resta ancora un mucchio;
se se ne levano due, ugualmente, fino a conchiudere che con un solo grano si ha
un mucchio di grano; se si osserva che un grano non basta a far un mucchio, si
risponde che neppur due, tre, quattro, fino a conchiudere che cento, mille,
ecc. grani. non fanno un mucchio di grano. Cfr. Aristotele, Physica, H. 5, 250
b, 20. Achille (sofsma di). Uno degli argomenti di Zenone di Elea contro la
realtà del movimento. Aristotele lo espone così: Un mobile più lento non può
essere raggiunto da uno più rapido; giacchè quello che segue deve arrivare al
punto che occnpava quello che è seguito ο dove questo non è più (quando il
secondo arriva); in tal modo il primo conserva sempre un vantaggio sul secondo
». Zenone assumeva come esempio il piè veloce Achille inseguente una tartaruga;
da ciò il nome dato all’ argomento. Esso fu poi formulato matematicamente nel
seguente modo: Siano i punti A ο B distanti tra loro d’ una lunghezza 1, ο mocontemporaneamente nella stessa
direzione con velocità disugaali, il oni rapporto sia 9. Supponiamo che il punto B, più vicino alla
meta, sia il meno veloce; dico che la distanza che li separa docrescerà sempre,
ma non diventerà mai 0. Infatti mentre
il punto A in un primo movimento percorre la lunghezza 1, il punto B, che è 9
volte meno veloce, percorrerà una lunghezza =; ; così puro mentre il punto A in
un secondo movimento percorre la lun1 ghezza il punto B ne percorre la ga
parte, cioè è Dopo un numero qualunque di movimenti, la distanza fra i due Aco 10 mobili non sarà mai = 0, ma sarà sempre
espresss dalla frazione En Questo argomento, insieme agli altri coi quali
Zenone nega la pluralità e il movimento, ba appassionato vivamente i filosofi,
da Aristotele a Horbat. Ultimamente il Bergson lo confutava, dimostrando come
esso abbia origine dalla confusione tra il movimento e lo spazio percorso dal
mobile, poichè 1’ intervallo che separa due punti è divisibile infiuitamente, ©
se il movimento fosse composto di parti come quelle dell’ intervallo stesso,
esso non sarebbe mai sorpassato: Ma la verità è che ciascuno dei passi
d’Achille è un atto semplice, indivisibile, ο che dopo un numero dato di
codesti atti, Achille avrà sorpassato la tartaruga ». Cfr. Aristotele, Phys., VI, 9;
Bergeon, Eesai sur les données imm. de la conscience, 1904, p. 85 segg. A contrario. Nella logica si designa così un
ragionamento nel quale, in luogo di conchiudere per analogia semplice (a pars),
si conchiude da contrario a contrario. Per es. se lo stesse cause, nelle stesse
condizioni producono gli stessi effetti, è naturale aspettarsi che cause contrarie
produrranno effetti contrari. Acosmismo. T. Akoemiemus; I. Aoosmism; F. Aoosmiame.
Termine applicato ds Hegel al sistema di Spinoza, in opposizione ad ateismo,
perchè il sistema spinoriano non nega l’ esistenza della divinità ma piuttosto
fa rientrare il mondo in essa. Il termine è rimasto nell’ uso per indicare il
panteismo, ©, in generale, quei sistemi filosofici, come ad es. quelli di
Malebranche, Berkeley, Fichte eco., che negano l’esistenza del mondo come
realtà indipendente. Secondo il Windelband anche la filosofia eleatica è un
acosmismo, in quanto essi nega la realtà delle cose, che l’esperienza offro in
coesistenza e successione, per non affermare che la realtà dell’ Essere uno ed
unitario; ; per i fisiopsicologi moderni ogni manifestazione più squisita del
sentimento d’ amore non è altro che la manifestazione complessa d’un fatto
semplicissimo ‘ 1’ attrazione di due elementi vitali, di due cellule, che
tendono 8 completarsi e ringiovanirsi vicendevolmente. Fra i contemporanei, lo
Spencer ha analizzato molto scutamente l’ amore sessunle, cercandone gli
elementi costitutivi; egli dimostra come l’amore sia il più irresistibilo dei
nostri sentimenti perchè è il più complesso, exsendo un aggregato immenso di
quasi tutte le eccitazioni di cui siamo capaci. Infatti, oltre alle sensazioni
© ni sentimenti strettamente cgoistici, entrano a costituirlo le impressioni
complesse prodotte dulla bellezza, lu stima di sè, il piacore del possesso, I’
amore dell’ approvazione, la simpatia, l’ammirazione, la venerazione,
l’affezione, il rispetto, il sentimento della libertà d’ azione. Già fin do
Orazio Flacco si sono distinti cinque gradi o fasi psicologiche dell’ amore
sessuale: rise, auditus, taotus, osculum, concubitue, I due primi gradi sono i
più degni dell’uomo, i più adeguati alla raffinatezza del suo senso estetico; i
tre ultimi, nei quali In voluttà raggiunge successivamente le forme più
intense, gli nomini hanno iu comune coi bruti. Nel primo grado l’uomo subisce
per vin degli occhi il fascino delle forme e delle movenze femminili; come
esprime il nostro poeta nei due noti versi: E vien dagli oochi una dolcezza al
core Che intender non la può chi non la prova. TI senso uditivo opera nella
seconda fase, e con tanto maggiore intensità quanto più l’uomo à civile e
artisticamente eölto: E par che dalle sue labbia οἱ mova Uno spirto gentile pien
d'amore Che va dicendo all'anima: sospira. La fisiologia considera queste fari
anecessive come prodotte dal progres Amo sivo diffondersi dell’ eccitamento
afrodisiaco nelle diverso sfere sensoriali; dai lobi posteriori del cervello
(centri visivo e nditivo), esso si avanza ai lobi anteriori (centri sensitivo-motori),
si sprofonda nei lobi inferiori (centri olfattivi) e si diffonde infine a tutto
l’asse encofulo-spinale durante la consumazione dell'atto riproduttivo. In senso teologico l'amore è il godimento che
il credente prova nell’ intuizione di Dio; già per Platone l’amore (ἔρος) è
l'entusiasmo puro, libero da ogni sensibilità, verso la conoseenza delle Idoe,
e particolarmente per la più alta di tutte, il Bene divino; per Plotino I’
amore per la divinità è la felicità massima dell’uomo. S. Agostino definisce lo
stato dei beati come la più sublime delle virtù, 1’ amore (charita»);. nella beatitudine
eterna, in cui non ο) ὃ da superare la resistenza del mondo e della volontà
peccatrice, e in cui l’amore non ha più bisogno di acquietarsi, quest’amore è
una contemplazione ebra di Dio, Per 8. Tominaso la mèta suprema d'ogni sforzo
umano è la visio divine essentie, da cui segue eo ipso l’amore di Dio; concetto
che trovò il sno poeta in Dante, che lo portò a somma espressione di bellezza.
Per il Cusano invece I’ anima, se vuol conoscer Dio, deve cessare di essere sè
stessa, deve rinunciare a sè stessa; tale à lo stato del conoscere soprarazionale,
dell’ immedesimarsi dell’uomo in Dio, stato di eni il Cusano dice: esso è
l’amore eterno (charitas), che vien conosciuto per mezzo dell’ amore (amor) ed
amato per mezzo della conoscenza. Per Spinoza l’amor dei intellectualis è il
risultato della conoscenza delle coso sub specie wiernitatis; poichè da codesta
specie di conoscenza nasce una gioia accompagnata dall’ idea di Dio come causa,
cioè l'Amore di Dio, non nella misura nella quale ci imaginiamo Dio come
presente, ma nella misura nella quale comprendiamo che Dio è eterno: è ciò che
io chiamo: Amore intellettuale di Dio ». Codesto amore è eterno, poichè tale è
la natura della conoscenza da cui nasce, 9 quantunque non abbia avuto
cominciamento ha tutte le perfezioni dell’amore; esso è infino una parte dell’
amore infinito con cui Dio ama sè stesso: Dio ama sè stesso d’un amore
intellettuale infinito. L’ amore intellettuale dell’ anima riguardo a Dio è
l’amore di Dio stesso, amore di cui ama sè stesso, non in quanto è infinito, ma
in quanto può essere spiegato dalla essenza dell’ anima umana considerata dal
punto di vista dell’ eternità: ossia 1’ amore intellettuale dell’anima riguardo
a Dio è una parte dell’ amore infinito di cui Dio ama sò stesso ». Per
Malebranche ogni conoscenza umana è una partecipazione alla ragione infinita,
tutte le ideo delle cose finite non sono che determinazioni dell’ idea di Dio,
tutti i desideri rivolti all’ individuale non sono che partecipazioni all’
amore, inerente necessariamente nello spirito finito, di Dio come principio del
suo essere e della sua vita. Amore ο
odio sono la personificazione delle due forze cosmiche con cui Empedocle
spiegava la formazione e In dissoluzione del mondo: l’amore è la causa per oni
i quattro elementi originari, terra, aria, acqua ο fuoco, si mescolnno insieme
ο dànno luogo alle cose particolari, l’odio la causa per cui gli elementi si
separano ο le cose spariscono. Cfr. Platone, Simp., 178 segg.; Rep. V, 479
sogg.; S. Agostino, De trin., VIII, 10; Spinoza, Ethica, 1. V, teor. 31 e
segg.; Leibnitz, Nour. Eee, 1. II, cap. 20, $ 4; Luciani, Fisiologia dell’uomo,
1913, vol. IV, p. 81 segg.; Sfumeni, Arch. di fisiologia, Firenze, 1904, vol. I; Höffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 311 segg.; Volkmann, Lehrbuch d. Peychol., 1894, II, p. 430.
Amorfo. T. morph; I. Amorphous; F.
Amorphe. Ciò che non ha forma sistematica, ordinata. I biologi dicono amorfa
una sostanza organico ma non organizzata in cellule; i sociologi, per analogia,
chiamano amorfe lo società costituite da un insieme di individui senza
organizzazione nè differenziazione, o gli etologi amori quegli individui che
mancano di nn temperamento determinato (sensitivo, 39 AMU-ANA volitivo o apatico) per mancanza di
nnità nelle tendenze, negli istinti, nei desideri. Amusin. T. Amusio; I.
Amusia; F. .imusie. Forma assai rara di amnesia parziale, che si verifica nei
musicisti, e consiste o nella impossibilità di leggere la musica (a. vieira)
pur rimanendo ln capacità di leggere i caratteri tipografici ; o nella
impossibilità di cantare, ο di sonare il proprio stromento (a. motrice); o
nella impossibilità di comprendere con l'orecchio le nrie musienli (a.
uditira). Cfr. T. Brissaud, Malattie dell'encefalo, trad. it. 1906, p. 98 e
segg. Anagogia. Nella religione greca designava la festa per la partenza e il
ritorno di una divinità, Nel linguaggio teologico indica quei processi che
hanno per scopo di δυvreccitare il sentimento dei fedeli, intensificandone le
mistiche aspirazioni; tali sarebbero i metodi per raggiungere lo stato di
estasi religiosa. Il Leibnitz adopera il vocabolo anagoge come sinonimo di
induzione (ἀναγωγή). Dicesi anagogico quello tra i quattro sensi della
Serittura che è considerato come il più profondo e che consiste in un simbolo
di cose costituenti il mondo divino. Analgesia. T. Analgesic, Analgie; I.
-tnalgesia, Analgia; F. Analgésie. Sintomo frequente nelle malattie del sistema
nervoso; è sinonimo di algoanestesia, e consiste nella completa ο incompleta
insensibilità al dolore, coesistente con la conservazione di altre sensazioni o
di parte di ease. Essa può essere procurata anche per ipnotismo, in seguito a
comando dell’ operatore. Non va confusa coll’ anestesia. La sua importanza, dal
punto di vista psico-fisiologico, sta in ciò che essa può verificarsi anche
quando rimangano integri gli altri sensi cutanei (di contatto, di pressione, di
caldo, di freddo), comprovando con ciò la tesi di BrownSequard, Funke,
Mtinsterberg, che cioò esistano nella cute terminazioni nerveo speciali e nel
sistema nerveo centrale apparati sensitivi distinti per le sensazioni del
dolore, contro la tesi opposta, sostenuta dal Latye, Wundt, Richet, ecc., ANA 40 che
gli organi periferici ο centrali per le sensazioni dolorifiche siano gli stessi
che funzionano per le sensazioni tattili e termiche. Cfr. Kiesow, Aroh. it. de
Biol., vol. XXXVI, 1901; Id., Zeitsohr. für Peychol., vol. XXXV, 1904; Alrutz, Atti del Congr. int. di
Psicologia a Koma, 1906 (v. dolore, modalità, tono). Analisi. Τ. .inalyse; I.
Analysis; F. Analyse. Il significato di questa parola è molto vago molto vario.
Ad ogni modo, ricorrendo alla sua etimologia, analisi significa scomposizione
di un tutto ne’suoi clementi (ἀνα-λύειν -~ decomporre), sintesi composizione di
un tutto per mezzo de’suoi elementi (3uy-tidy1t = comporre insieme). Trasportate
nel pensiero, si dice analitica ogui funzione che distingue in un tutto una o
più parti, sintetica quella che combina parti diverse © ricostruisce un tutto
risoluto, ο di unità preesistenti forma un tutto nuovo. Nella logica il
procedimento 0 metodo analitico consiste nel partire dai fatti particolari per
nasorgere ad una legge, prima ignorata, che tutti li abbracci e li spieghi; il
procedimento sintetico consiste nel partire da nn principio generale noto per
trarne le conseguenze. Il primo procedimento, in cui si va dal meno al più,
costituisce ’ indusione ; il secondo, in cui si va dal più al meno, la
deduzione. Pure nella logica, dicesi analitica’ la prova che va dagli effetti
alle cause, sintetica © progressiva quella che va dallo cause agli effetti;
analitico il concetto le cui note sono sciolte dal loro logamo logico,
sintetico se sono pensate secondo quel legame. Nelle matematiche la parola
Analisi fu un tempo sinonimo di Algebra, la quale, in quanto metodo, consiste
infatti nel supporre il problema risolto per dedurre Je condizioni della
soluzione, cioè risalire dalla conseguenza cercata alle sue premesse; oggi
l’Analisi designa specialmente il calcolo infinitesimale, per opposizione alla
teoria delle funzioni. Cfr. Wundt, Logik, 1893, 1. II, C. 1: Masci, Logica,
1899, p. 67. 41 ANA Analitica. Per Aristotele l’Analitica è
l’arte dello scomporre il pensioro nelle se porti; perciò dal secondo secolo d.
Cristo in poi si dice Analitica quella parto dell'Organo di Aristotele che
tratta dell’arte di ridurre il sillogismo nelle sue diverse figuro (Prime
analitiche) © dà le regole della dimostrazione in generale (Ultime analitiche).
Per Kant l’analiticn è la scienza delle forme dell’intendimento ; essa
decompone tutta l'opera formale dell’ intendimento e della ragione nei suoi
elementi e li presenta come i priueipt di ogni apprezzamento logico della
conoscenza, ed è quindi, almeno negativamente, la pietra di paragone della
verità, poichi bisogna secondo lo regole di essa controllare e gindicare la
forma di ogni conoscenza. L’analitica trascendentale è una delle due parti in
cui è divisa la logica del Kant. Essa ha per oggetto di scomporre la nostra
facoltà totale di conoscere a priori nei concetti elementari della scienza pura
»; si distingue in Analitica dei concetti dell’ intendimento puro e Analitica
dei principî dell’ intendimento puro: questa è la dottrina del giudizio, quella
l’analisi delle facoltà dell’ intendimento, che ha per scopo di spiegnre In
possibilità di concetti a priori, ricercandoli unicamente nell’ intendimento
stesso come in loro fonte vera e naturale. Cfr. Aristotele, Rhetor., I, 4, 1359
b, 10; Kant, Krit. d. reinen Fera., ed. Kehrbach, p. 82 segg. Analitici,
sintetici (giudizi). Kant, seguendo l’antica distinzione, chiama analitici quei
giudizi il cui predicuto è necessariamente contenuto nel pensiero del soggetto,
e che quindi si ricava con una semplice analisi del soggetto medesimo;
sintetici quelli il cui predicato è preso fuori del soggetto. Es. g. sint. il
triangolo ha tre lati; g. an. Napoleone morì a S. Elena. I giudizi sintetici
possono, secondo Kant, essere a priori 0 a posteriori: sono sintetici a posterioni
quei giudizi nei quali il fondamento del rapporto tra predicato e soggetto è
l'atto stesso della percezione; inveco nei sintetici a priori, cioè nei
principi universali che danno la spiegazione dell’ esperienza, il fondamento è
qualcos’ altro, che dev’ essere cercato. Ma per Kant l’apriorità è questo un
punto essenzialissimo della sua dottrina non significa qualche cosa che precede
nel tempo I’ esperienza, bensì l’universalità di valore dei principi razioni
universalità che trascende ogni esperienza e non si può in alcun modo fondare
sul’ esperienza. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 151 segg.;
Proleg., $ 18; O. Ewald, Kante methodologie, 1906. Analogie. T. Analogie; I.
Analogy; F. Analogie. Nel suo significato comune l’analogin è la somiglianza
più ο meno lontana esistente tra due o più cose o fatti ; nel senso primitivo è
ugnaglianza di rapporti o proporzione matematica; nella logica l’analogia ο
ragionamento analogico è un razioeinio col quale, date due coso aventi un certo
numero di caratteri comuni, un nuovo carattere che si riconosca appartenere
all’ una di esse, viene attribuito ancho all’ altra. In altre parole, l’
analogia, a differenza dell’ induzione, conclude da particolare n particolare,
inferendo da alcune somiglianze note altre che non sono note. Il tipo
dell’analogia è il seguente: A (che è πι, n, 4) ὃ P Sèm,n,4 sıP. La conelusiono
dell’ analogia è dunquo soltanto probabile; giacchè, per esser certa,
bisognerebbe che il termine maggiore fosso convertibile semplicemente (ciò che
è m, n, q è A); il suo grado di probabilità cresce col diminnire dei punti di
differeriza e del numero delle proprietà sconosciute. L’analogia può essere di
identità o di coordinarione. La prima ha luogo quando fra due coppie di
concetti esiste identità di rapporto ο di sostanza; ad es. l'estensione della
legge della gravità terrestre a legge della gravitazione universale. La seconda
quando fra i due concetti esiste solo una identità di rapporto; ad cs. le
analogie tra lo spazio visivo e il tattile, tra la propagazione del calore e
quella del suono. E celebre 1’ analogia d’ identità con la quale il Franklin,
movendo da alcune somiglianze fra il fulmine e l'elettricità, argomentd che
anche quello, come questa, doveva essere attirato dalle punte metalliche.
Analogie dell'esperienza chiama Kant le regole secondo le quali dalle
percezioni deve uscire l’unità della esperienza; esse si appoggiano su questo
principio generale: |’ esperienza non è possibile che per la rappresentazione
di un logame necessario delle percezioni. Tre sono i modi secondo i quali i
fenomeni esistono nel tempo, e ciod durata, successione, e simaltaneità ; tre
sono quindi le analogie dell’ esperienza. Prima anslogis : principio della
permanenza della sostanza: «la sostanza persiste nel cambiamento di tutti i
fenomeni ela sus quantità non aumenta nè diminuisce nella natura >. Seconda:
principio della causalità: Tutti i cangiamenti avvengono secondo In connessione
degli effetti e delle cause ». Terza: principio di simultaneità secondo la
legge d’azione reciproca: tutte lo sostanze in tanto cho possono esser
percepite come simultanee nello spazio, sono in una azione reciproca generale
». Nel linguaggio scolastico analoga
sono quelle cose delle quali il nome è identico, mentre la ragione significata
dal nome è in parte identica in parte no, come Dio e la creatura rispetto all’
arte. Analoga attributionia sono quelle cose a cui conviene un nome comuno nel
senso medesimo, ma per titolo diverso; analoga proportionalitatis quelle cose a
cui conviene un nome comune con significato simile © con proporzione, come al
mare, al cielo e all’ animo dell’uomo la serenità. Cfr. Aristotele, Anal.
prior., II, 24; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kohrbach, p. 170 segg.; Wundt,
Logik, 1893, I, p. 402; P. Paguini, Le analogie, Cult. filosofica » ottobre e
novembre, 1908; Chide, La logique de l’analogie, Rev. phil. » ANA _ 44 -dicembre
1908; J. Sageret, L’analogie scientifique, ibid., gennaio, 1909. Analogismo. T.
Analogiemus, Analogiererfahren; I. Analogiem; F. Analogieme. In generale, ogni
indirizzo che si vale del ragionamento analogico per giungere alla conoscenza
di qualsiasi categorin di fenomeni. E quindi analogismo quell’ indirizzo
sociologico, che concepisce la società come un organismo vivente, in cui gli
individui rappresentano le cellule, © ricava lo leggi dell'organismo sociale
dallo studio delle leggi dell’ organiamo biologico. In senso più ristretto
analogismo equivale a idealismo realistico, monismo spiritualistico,
antropomorfismo, ecc.; ossia quell’indirizzo filosofico cho concepisce ln
realtà esterna per analogia con la realtà interna, cioè con la coscienza umona.
Nella sua forma riflessa esso comincia col Leibnitz. per il quale appunto la
natura delle monadi ci è resa intelligibile per via dell’ analogia con i nostri
stati interni; la legge dell’ analogia ci impone di professare ovunque il
principio tout comme oi (simile ul tout comme chez nous di Holberg). Cfr. Leibnitz, Nour.
Essaie, I, 1, Erdmann Ρ. 75 segg. ; Hiffding,
Hist. de la phil. moderne, trad. franc. 1906, II, p. 367 segg. Anamnesi. Gr. ᾽Ανάμνησις. Nella dottrina
platonica l’ansmnesi è la reminiscenza, ossia quel movimento per il quale lo
spirito dall’opinione si innalza alla scienza. Esso infatti si produce spontaneamente
alla vista dei vestigi della verità, della bellezza, dell'uguaglianza, dell’unità
dell'essere, che si riscontrano negli oggetti dell'opinione; sembra quindi che
codesti attributi ci siano conosciuti primitivamente e che noi non facciamo che
riconoscerli. Da ciò viene che per Platone la filosofia non è che una
reminiscenza. Con 1’ esempio del teorema di Pitagora, egli mostra che la
conoscenza matematica non proviene dalla percezione sensibile, ma che questa
fornisce soltanto l'uccisione per cui l’anima richiama alla memoria 45 ANA
la conoscenza preesistente in essa, cioò avente un valore puramente razionale.
Ora, se le idee preesistono nell’ anima alla percezione, l’ anima deve averle
ricevute prima; e infatti le anime, prima della vita terrena, hanno, secondo
Platone, veduto nel mondo incorporeo le puro forme della realtà, © la
percezione di cose corporee simili richiama (secondo le leggi generali dell’
associazione e della riproduzione) il ricordo di quelle imagini, dimenticate
durante la vita corporea terrena; da ciò nasce l’ impulso filosofico, l’amore
per le idee (dpwg), con cni l’anima #'innalza di nuovo alla conoscenza di
quella vera realtà. Cfr. Platone, Men., 80 segg.; Fedro, 246 segg.; Fedone, 72
segg. Anarchia. T. Anarchismus; I. Anarchy; F. Anarchie. Secondo l'etimologia
greca (& priv. ἀρχή --comando) significa assenza di ogni autorità, di ogni
legge, di ogni capo. Nella sociologia ai distingue 1’ anarchiemo politico, che
ebbe per maestro Proudhon, e propugna l’ assoluta eguaglianza fra gli uomini,
l'abolizione di ogni proprietà e autorità, meno la familiare, e la spartizione
dei prodotti, ealcolati secondo le ore di lavoro; il comunismo anarchico,
fondato da A. Herzen, M. Bakunin, ecc., che vuol tutto abbattere, famiglia, proprietà,
stato, religione, per raggiungere V’ amorfismo politico; il collettiriemo
anarchico, che ammette un potere pubblico per la ripartizione dei prodotti
derivanti dallo sfruttamento delle terre e delle macchine, per opera di
associazioni di operai e d’agricoltori. Pietro Kropotkin tentò per ultimo di
unificare le varie dottrine anarchiche ; il suo armonismo sociologico, sia che
cerchi di fissare una presunta posizione scientifica dell’anarchia, o tenti una
valutazione critica dell’ ordinamento rociale e politico presente, 0 si
avventuri in previsioni sulla società avvenire, ha qualche parentela
formalistica ed estrinseca col sistema evoluzionistico dello Spencer, l’unico
filosofo che abbia posizione nel corso normale della acienza da cui gli
anarchici mntuino qualche detrito frammentario ANA-ANE li 46 di
pensiero. Tuttavia l’armonismo sociologico del Kropotkin ha, dimostra lo
Zoccoli, un carattere di troppo palese provvisorietà empirica per poter
assorbire ed acquietare le tendense di autonomia dottrinale, che si manifestano
anche tra gli anarobici; nn esempio tipico lo offre la dottrina dell'americano
Tucker, che giunge bensì allo stesso conseguenze estreme del comunismo del
Kropotkin, ma attraverso premesse aspramente individualistiche in politica, in
economia e in morale. Cfr. E. Zoccoli, L’anarekia: gli agitatori, le idee, i
fatti, 1907. Anatomia e fisiologia comparate. Scienze fondate dal Cuvier, ma
già intravvedute con precisione da Aristotele. Esse, fondandosi sullo studio
comparativo delle vario forme organiche, cercano stabilire le leggi generali di
parentela fra i diversi gruppi © i modi probabili di evoluziono dei vari
apparecchi dell’ organismo animale. Sebbene la natura delle due scienze sia
molto nffine, cosicchè spesso si confondono, tuttavia scopo specifico della
seconda è lo studio dello analogie esistenti tra i vari organi degli animali,
della prima è invece lo studio delle omologie. Si dicono analoghi quegli organi
che, sebbene djversi anatomicamonte fra loro, sono nei vari animali impiegati
agli stessi usi, ul es., le branchie dei pesci, le trachee degli insetti, i
polmoni dei mammiferi; si dicono omologhi quegli organi che, quantunque
morfologicamente uguali, compiono nei diversi animali funzioni diverse, ad es.
le autonne degli insetti, gli aculei dell’ istriee, le penne dogli uccelli.
Cfr. R. Besta, Anatomia ο fisiologia comparata, 23 cd., Hoepli. Anatreptica
(évatpénw = abbutto). L’ arte di rovesciare le proposizioni di un avversario.
Fa parte dell’agoniatica, che è quella parte della dialettica che consiste in
veri e propri certami o dispute (v. dialettica, erintica, maieutiva, ece.).
Anestesia. l. Anisthesie; I. Anaesthesia; F. Anesthésie. Insensibilità a
qualsiasi eccitazione, che pnd essere deter 47 ANF minata da una lesione degli organi
periferici (pelle) o dei centri nervosi (enogfalo, midollo spinale). Nel primo
caso si ha l’a. periferica, nel secondo caso Va, centrale; è speciale se
limitata ad una sola regione del corpo. Si dicono poi sistematiche quelle
anestesie in cni il soggetto, pure avendo tutti i suoi sensi intatti, non
percepisco che le sensazioni cho riguardano un dato oggetto, oppure è incapace
di percepiro quelle cho si riferiscono a un dato oggetto. Anestesimetro è lo
strumento con cui si misura il grado della anestesia. In senso figurato dicesi anestesia del senso
morale (ethische Farbenheit dei tedeschi) la mancanza di senso morale, che si
riscontra in alcuni individui i quali pure non ignorano le leggi della
moralità, ma sono impotenti a seguirle appunto perchè la loro coscienza morale
non è sorretta e guidata da alcuna di quelle tendenze emotive, che spingono 1
uomo verso il bene; essi appartengono alla entegoria dei folli morali, © si
distinguono dai ciechi morali (ethische Blindheit dei tedeschi), che mancano
affatto di coscienza morale, © dagli abnliei morali, nei quali le tendonze
emotive verso il bono esistono, ma sono troppo. deboli per lottare contro
quelle che spingono I’ individuo al soddisfacimento dei suoi appetiti e delle
suc passioni. Cfr. Kraft-Ebing, Die Lehre ton mor. Wahnsinn, 1871; Dagonet,
Folie morale, 1878; Bonvecchiato, Il senso morale e la pazzia morale, 1883 (v.
analgesia), Anfibolia. T. {mphibolie; I. Amphibolia; F. Amphibolie. Vocabolo
greco, col quale si designa, nella logica, l'eq voco di senso risultante dalla
costruzione di una frase, © dall’ nso di termini di doppio significato. Kant
chiamava anfbolia dei concetti della ragion pura la possibilità di nostitnire
all’uso empirico dei principi dell’ intelligenza che non hanno valore se non
per rapporto agli oggetti dell’esperienza un uso trascendentale illegittimo;
percio egli la chiama amfbolia trascendentale o fa una critica della
monadologia leibnitziana, che considera come riposante au ANF-ANI 48 tale
anfibolia. Cfr. Aristotele, Le soph. elench.; Kant, Krit. d. reinen Pern., ed.
Kehrbach, p. 245. Anfibologia. T. Amphibologie; I. Amphibology ; F. Amphibologie.
E una forma di sofisma molto simile all’ anfibolis, ma si usa specialmente per
indicare l’ ambiguità risultante dall’ uso di certe forme sintattiche. Es. la
frase latina dico lupum mordere canem » è un’ anfibologia, perchè può
significare tanto io dico che il lupo morde il cane » quanto io dico che il
cane morde il lupo ». Anima. T. Seele; I. Soul; F. Ame, Prima che comineinsse
la speculazione filosofica, l’uomo s'era già volto ad esaminare quale fosse il
substratum dei fenomeni dell’esperienza interna, e per prima cosa separò questo
dal corpo, spintovi forse dai sogni, poi l’identificò col soffio dolla
respirazione; tale infatti è il significato etimologico del latino animus, del
sanscrito dtman, dal greco φυχή. Sorta la filosofia, il concetto di anima
assunse via via vari ed opposti significati, che si possono tuttavia ridurre a
quattro fondamentali: 1° L’ anima è concepita come sostanza spi «rituale,
semplice, inestesa, immortale, indipendente e distinta dal corpo; ciò
costituisce lo spiritualismo, detto anche dualismo perchè pone la dualità
fondamentale del corpo e dell’ anima, della materia ο dello spirito. 2° L'anima
è considerata non come esistente per sè, ma come una semplice funzione
dell'organismo; ciò costituisce il materialiemo, che è monistico quando ammette
la sola sostanza materiale e fa dello spirito una attività di ossa, dualistico
quando considera 1’ anima come una sostanza materiale simile alla corporea. 3°
L’ anima è considerata come I’ unica realtà, mentre tutte le altre cose non
sono che una parvenza o una derivazione di essa; tale è la dottrina sostenuta
dall’ idealismo o moniemo spiritualistico. 4° Infine l’ anima è identificata
col corpo, i fenomeni psichici coi fisici, considerandosi però gli uni e gli
altri come manifestazione di un principio auperiore che li contiene e li
domina, di un prinei 49 ANT pio che è la
sola roaltà; questa è I' ipotesi fondamentale di due sistemi, che, del resto,
differiscono molto nel fondo: il panteirmo e il moniemo. A queste quattro
vedute fondamentali si può aggiungere lu dottrina fenomenistica moderna, che
trae le origini dallo scetticismo di Hume e dal criticismo di Kant. Essa
abbandona alla metafisica ogni specalazione astratta sull'anima, limitandosi a
studiarne scientificamente le manifestazioni. Non afferma che l’anima esista o
non esista, ma soltanto che essu è un qualche cosa di sconosciuto, di
inconoscibilo forse; e che, in ogni caso, il problems non potrà essere risolto
con le ipotesi ο le congetture, ma con le ricerche minute, pazienti, positive
dei Senomeni peichici. Affine al fenomenismo è l’attualiemo, ılottrina
contemporanea che nega nella coscienza qualunque sostrato permanente,
affermando che i fatti psichici sono reali solo quando e in quanto sono
attuali, e che questi essendo in continua successione, la realtà della
concienza si risolve nella attualità dei suoi stati. Ad ogni modo la parola
anima implica, sia dal punto di vista empirico o fenomenico che dal metafisico,
una opposizione con I’ idea di corpo, e si distingue tanto dallo spirito quanto
dal me: da quello in quanto contiene P idea d’ una sostanza individnale ed ha
una estensione maggiore, applicandosi la parola spirito specialmente alle
operazioni intellettuali ; dal me in quanto questo non è di essa che una parte.
Aristotele chiama anima regetatica quella che produce la nutri zione,
l'accrescimento, la riproduzione degli esseri viventi ; a. pensante quella che
è il principio del pensiero, sin puro che discorsivo: a. sensitiea quella che è
il principio della sensibilità, anche negli esseri irragionevoli. Bacone chiama
a. sensibile uno sostanza puramente materiale, costituita dagli epiriti animali
e propria tanto dell’uomo che dei bruti. Cfr. Platone, Filebo, cap. 30; Fedone,
cap. 2: stotele, Je an., I, 2; Cicerone, De nat. deorum, III, 14, 3 Plotino,
Enneades, V, 5; Bacone, De augm., IV, 3; Carte» 4 Raxcout, Dirion. di scienze flosofiche. ANI 50 Principia philos., IV, 196; Holbach, System de
la nature, 1770, vol. I, p. 118; Kant, Arit. dor reinen Tern., ed. Kirchm., p.
324-337; Lotze, Microkoemus, 1879, vol. I, p. 101170; Vogt, Physiol. Briefe,
1845; Lange, Gesohichte d. Materialismus, 1874; Wundt, Grundsüge d. pysiol.
Psychologie, 1880, vol. I, p. 8 segg.; II, p. 453-463; Ferri, La psychol. d.
l'association, 1883, p. 286-293; Mausdley, La physiol. de Veaprit, 1878, p. 75
segg.; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 8-23; Hamilton, Lectures on metaph., 1882,
vol. I, p. 138 segg.; Spencer, Princ. of. peyohol., 1874, P. 11, $ 58, 59, 63;
F. Bonatelli, Disoussioni gnoseologiche e note critiche, 1885; G. Sergi,
L'origine dei fenomeni psichici, 1885; Ardigò, Opere ΠΙ., I, p. 189 segg.; VII,
17 segg.; G. Villa, La psiool. contemporanea, 2* ed. 1911 (v. parallelismo,
idealismo, priohe, io, immortalità, semplicità, unità, identità). Anima del
mondo. Gr. Ἡ τοῦ παντὸς φυχή; Lat. Anima mundi; T. Weltseele, Wellgeiat; I.
Soul of the world; F. Ame du monde. Dottrina propria specialmente di Platone e
degli stoici. Secondo Platone, il mondo è opera della ragione; ina la ragione
non può stare senz'anima; di qui l’anima del mondo che fu creata da Dio per
prima, ο serve da mediatrice fra I’ indivisibile o il divisibile, fra le ideo ο
le cose sensibili. Per gli stoici, invece, il mondo è un immenso corpo
organizzato, fornito di un’ anima come gli organismi individuali: quest’ anima,
costituita da un fuoco etereo purissimo, è, nello stesso tempo, la ragion
seminale del mondo, il principio di universale attività, la provvidenza che sn
tutto vigila, in una parola Dio stesso. Cfr. Platone, Timeo, 34 b segg.;
Aristotele, De anima, 407 a; Cicorone, De nat. deorum, II, 8 (v. demiurgo).
Animali (spiriti). Lat. Spiritus animales; T. Tiergeister, Nercengeister ; F.
Esprits animaur. Secondo un’ antica dottrina, durata lunghi secoli ma da tempo
abbandonata, I’ attività sensoriale e motrice dell’ anima sarebbe determinata
dagli spiriti animali, sostanza gassosn prodotta dal sangue 51 ANI
e scorrente attraverso i nervi al cervello. Erasitrato, nipote di Aristotele,
considerava gli spiriti snimali come provenienti dal cervello, gli spiriti
vitali dal cuore; secondo Galeno gli spiriti animali derivano da una mescolanza
dell’aria aspirata dalle narici con gli spiriti vitali condotti dal cuore ai
ventricoli laterali del cervello mediante le arterie, ed erano trasmessi dal
cervello ai nervi per determinare il movimento e la sensazione. Tale dottrina,
più o meno modificata, fu accolta da S. Agostino, 8. Tommaso, Telesio, Bacone e
Descartes, per il quale gli spiriti animali sono secreti dal cervello
attraverso dei pori cho s’aprono nei ventricoli, e, sccumulandosi in queste
cavità, eccitano I anima situata nella glaudola pineale; la volontà, a sus
volta, muove gli spiriti animali dei ventricoli per mezzo della glandola
pineale, e li distribuisce per la via dei nervi a tutte le parti del corpo:
Notum eat, omnen hos motus musculorum, ut omnes sensus, pendere a nervis, qui
sun! instar tenuium filamentorum aut instar parvorum tuborum, qui er corebro
oriuntur; et continent, ut et iprum cerebrum, certum quendam aërem aut ventum
subiilissimum, qui apirituum animalium nomine ezprimitur. Lunghe discussioni seguirono
poi tra gli scienziati intorno alla natura, all’ origine, alla sede degli
spiriti animali; ma solo verso la fine dell’ ottocento si cominciò a
sostituirli con I’ ipotesi della vis nervosa, o corrente meurilica, che
propagandosi lungo il cilindrasse delle fibro trasporta le eccitazioni sensorie
dalla periferia all’ encefalo ο le motorie dall’ encefalo alla periferia. Cfr. Telesio, De rer.
nat., V. 5; Bacone, Nov. Org., Il, 7; Hobbes, De Corp., C. 25; Descartes, Pass.
an., 1, 7; Vulpian, Leçons sur la physiol. du syst. nerreuz, 1868: Bastian, Le
cerveau org. de la penade, trad. franc. 1888, II, Ρ. 111
segg. Animismo. T. Animiemus; I. Animiem; F. Animisme. Nella storia delle religioni, dicesi animismo la
credenza nell'esistenza degli spiriti, da cui ogni cosa è animata: à ANN una
delle forme della religiosità primitiva. Si distingue dal fetieismo, che
consiste nell’ adorazione degli oggetti materiali in oui si crede dimori uno
spirito. Una forma affine di animismo consiste nella credenza che tutta la
natura sia animata, senza che ciò implichi l’esistenza di agenti distinti dai
corpi. Nella filosofia, designa quella dottrina che spiega tutti i fenomeni
della vita ponendo a causa originaria di essi l’anima, principio ad un tempo
della vita e del pensiero. L’ animismo filosofico 6’ oppone all’organicismo, al
meccaniciemo ο al vitaliemo, obbiettando al primo che la forza direttrice e
creatrice, ch’ esso pure ammette negli organi, se distinta dalla materia
vivonte è una pura concezione metafisica, se identificata colla materia stessa,
è, in fondo, l’anima; al secondo, che in ogni essero vivente esiste un’ idea
direttrice e creatrice inesplicabilo colla semplice trasformazione del
movimento ; al terzo, cho I’ esistenza di due anime, la vitale e la ponsante,
Puna accanto all’ altra © ignorantisi a vicenda, è incomprens bile e, ad ogni
modo, più difficile a spiegare che non l’esistenza di un’ anima sola. Si
distinguono due specie di animismo filosofico: 1’ nna considera il corpo come
prodotto © organizzato dall’anima, l’altra, più consona αἱ risultati della
scienza moderna, e contraddistinta col nome di ani. miamo polizoista, considera
ogni elemento anatomico vi vente (cellule), come un piccolo animale, cosicchè
il corpo sarebbe prodotto dal consonso di tutte queste anime elementari. Cfr.
Tylor, La première civilisation, 1875; H. Spencer, Principî di sociologia,
trad. it. Bibliotoca dell’ economista, p. 145 sogg.; Hans Driesch, Il
vitaliemo, atoria e dottrina, trad. it. 1911; Haeckel, I problemi
dell'universo, trad. it. 1904, p. 264 segg. (v. cellulare pricologia, vita,
duodinamismo). Annientamento. T. Vernichtung; I. Annihilation; F. Annihilation.
Si distingue dal semplice cangiamento © designa il passaggio dall’ Essere al
non-Essere; è quindi il contrario di oreazione, che è il passaggio dal
non-Essere 53 ANO-ANT all’ Essere. Non sempre però il
vocabolo è preso in senso assoluto (v. ecpirosi). Anoetico e dianoetico.
Aristotele distingue le virtù in dianoetiche ed etiche, cioè virtù dell’
intelletto ο virtà del sentimento (4806): il loro carattere comune sta nel
diventare qualità stabili della persona, ma mentre le prime provengono dall’
esperienza e dalla educazione, le seconde devono nascere dall’abitudine pratica
dell’azione, che loro corrisponde. Due sole sono, in fondo, le virtù
dianoetiche, cioè prodotte specialmente dall’intelletto: la sapienza (σοφία) ©
la prudenza (φρόνησις), secondo che l’operare normale dipende più dall
intelligenza filosofica o da esperienza ο pratica. Il Rosmini, risuseitando con
diverso significato i vocaboli già usati da Platone e da Aristotele, chiama
modo anoetico il modo di pensar I’ essere prescindendo da ogni sua relazione
con la mente, ed essere anoetico l’ essere così pensato; chiama invece essere
dianoetioo ο modo dianoetico quando 1’ essere è pensato colla sua relazione essenziale
alla mente, per mezzo della riflessione colla quale l’uomo s’accorge che I’
essere è essenzialmente intelligibile. Cfr. Aristotele, Eth. Nio., I, 18, 1103
a, 5; II, 1, 1103 a, 15 segg.; Rosmini, Nuovo saggio, 1890. Anomalia. T.
Abnormität, Anomalie; I. Anomaly; F. Anomalie. Vocabolo ormai fuori d’ uso,
preferendosi ad esso V altro di anormalità. Esso significa eccezione alla legge
(a priv. ο vipog= legge); ma le leggi naturali non soffrono eccezioni, e quelle
che si dicono tali nou sono, in fondo, che leggi particolari esse medesime,
avverantesi sia pure in un numero ristrettissimo di casi, ma sempre logate al
determinismo causale. In generale per anomalia si intende ogni fenomeno che si
allontana dal tipo ordinario; in an senso particolare designa le deviazioni
gravi d’un organo o di una funzione. Antagonismo. T. Antagoniemus ; I.
Antagonism ; lagonieme. Si dicono antagonistiche due rappresentazioni che, nel
momento della deliberazione volontaria, si manifestano alla coscienza con forza
l’ una impulsiva l’altra inibitoria. Si dicono antagonistici due muscoli che,
contraendosi, danno luogo a movimenti inversi. Sono antagonistiche due forze
quando il momento della risultante è uguale alla differenza dei momenti dei
loro componenti; sono invece sinergiohe quando il momento della risultante è
uguale alla somma dei momenti dei loro componenti. Antecedente. T.
Vorhergehend, Antecedens ; I. Antecedent; F. 4ntéoédent. In un rapporto
qualsiasi, logico o metafisico, dicesi antecedente il primo termine,
conseguente il secondo. Così lo 8. Mill ha definito la causa come l’antecedente
invariabile e incondizionale di un fenomeno »; l’effetto in tal caso è il
conseguente. Nel giudizio ipotetico dicesi antecedente lu prima parte, che
enuncia la condizione, conseguente la seconda che enuncia il condizionato; nel
giudizio se S è vero, P ὁ vero, 8 è l’antecedente, P il conseguente. Nella
psicologia e nella teoria della conoscenza cesi antecedente d’un fatto ο d’uno
stato di coscienza, ogni fenomeno che li precede nel tempo. Nella medicina
diconsi antecedenti gli avvenimenti individuali o ereditari che possono
spiegare certe anomalie attuali in un dato soggetto. Antecritico. Si suol
designare così quel periodo della vita del Kant, che è anteriore alla
pubblicazione della dissertaziono latina sul mondo sensibile e intelligibile, e
alla libri pubblicati dal grande filosofo nel periodo antecritico, è manifesta
l’iutluenza della filosolia wolfiana ο inglese. Ante rem. Che preesiste alla
cosa. Alcuni scolastici realisti, che ammettevano cioè la realtà degli
nniversali, dicevano, conformandosi alla dottrina platonica, che codesti
universali sono ante rem, preesistono alle cose individuali idealismo,
realismo, terminismo). Anteriore. T. Früher; I. Anterior, prior; F. ‘intérieur.
In generale ciò che precede, che vien prima. Tuttavia occorre distinguere I’
anteriore aronologico, con cui si designa ciò che precede nell’ ordine del
tempo, dall’anteriore logico, che indica il termine da eni un altro dipende.
Es. nella formazione geologica il periodo eolitico è cronolo; camente anteriore
al paleolitico; nel ragionamento sillogi stico la maggiore è logicamente
anteriore alla conclusione. Antesubietto. In generale, ciò che precede cronologicamente
o logicamente il soggetto. Il Rosmini chiama così l'essere, che è il soggetto
dei soggetti, e distingue un antesubietto dialettico e un antesubietto
ontologico. Il primo è quello che la mente prepone, nell’ atto del concepirle,
a entità che sono supposte tali mentre non sono, come al nulla e all’ assurdo;
ο, in altre parole, quell’antesubietto di cui la mente abbisogna per concepire
le cose. Il secondo è invece quello che la mente prepone ai veri atti successivi
o ai termini dell’ essere. La mente concepisce poi le cose per I’ atto dell’
essere, e questo le appariace come assolutamente essente ©, ad un tempo, come
per sò intelligibile; dunque esso costituisce un antesoggetto ad un tempo
ontologico ο dialettico. Cfr. A. Rosmini, Nuovo saggio, 1830. Anticipasione. T.
Anticipation; I. Anticipation; F. Anticipation. È il greco πρὀληψις, che Seneos
tradusse con presumptiones. Secondo gli stoici, non esistono in resltà che i
singoli, mentre gli universali non sono che concetti soggettivi, formati per
astrazione. Alcuni di questi concetti, nati dalla percezione, sono comuni a
tutti e perciò essi li chiamavano anticipazioni, non perchè li credessero
innati come a torto si interpreta da molti ma per contrap porli a quelli la cui
formazione richiede le norme della dialettica. Gli epicurei, che adottarono
pure questa dottrina, la intesero in modo alquanto diverso: secondo essi la
conoscenza si fonda semplicemente sulle percezioni sensibili © sulla
rappresentazione di più percezioni simili che rimangono nella memoria; le prime
chiamavano sensazioni, le secondo anticipazioni. Il Gassendi ha ugualmente definita
l’anticipazione oomprehensionem animi, opinionemve quandam congruam, sive mavis
intelligentiam menti defizam,existentemque quasi memoriam monumentumve cius
rei, qua extroreum sapius apparuerit. Anticipazioni dell'esperienza si soglion dire
quelle congetture provvisorie, concepite a priori, che dovranno più tardi
essere confermate o distrutte dai fatti e che servono intanto come idea
direttiva, come punto di partenza delle esperienze. L'ipotesi sarebbe appunto
un’ anticipazione sull’ esperienza. Kant
chiamava anticipazione della percezione îl secondo dei principi delintelletto
puro », che si formula coeì : ogni fenomeno ha una quantità intensiva, vale a
dire una gradazione. Nella fisica codesta quantità intensiva costituisce lu
forza; dunque tale proposizione è il principio a priori della dinamica. Cfr.
Diogene Laer., VII, 154; Cicerone, De nat. deorum, I, 16; Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 162, 169 (v. ipotesi, senso comune). Antiegoismo v.
Altruismo. Antilogia. Gr. “Avtoyia; T. Antilogie; I. Antilology ; F. Antilogie.
Artificio del linguaggio, mediante cui si riuniscono due parole di opposto
significato, o due giudizi che si escludono. L’ antilogia è uno dei tropi degli
antichi filosoti scettici: tra le due proposizioni contradditorie e di ugual
valore, che si possono sempre profferire d’ogni cosa, essi non affermavano nè
l'una nd l’altra. Tale dottrina era riassunta nella seguente formola: Παντὶ
λόγῳ λόγος ἀντιχεῖται. Alcuni
psicologici moderni designano con 1’ espressione antilogia della volontà il
fatto per cui, anche negli individui normali, la volontà cosciente e razionale
è spesso turbata da impulsi oscuri, da tendenze inesplicabili, che, quantunque
ordinariamente represse, spingono talvolta ad azioni irragionevoli e di cui non
si aa dare spiegazione. Il fatto è spiegato mediante I’ azione che l’ incosciente
esercita sulla deliberazione volontaria. Cfr. Spitta, 57 ANT
Die Willenbestimmungen und ihr Verhältnisse su dom impulsicen Handlungen, 1881;
Höffding, Peychologie, trad. frane. 1900, p. 447 (v. inooscionte). Antinomi.
Setta di eretici cristiani, non molto diversa dal quietismo francese del secolo
XVIII, la quale sosteneva che per salvarsi non è necessaria l’ osservanza della
legge, ma basta la fede. Cfr. Dorner, Syst. of. christ. doctrine, 1. IV, p. 24 segg. Antinomia. Gr. Αντινομία; T. Antinomie; I. Antinomy; F.
Antinomie. Vocabolo usuto originariamente nella teologin e nelle scienze
giuridiche, per indicare In contraddizione tra due leggi ο principi nella loro
applicazione pratica a un caso particolare. Goclenio la dice adoperata pro
pugnantia seu contrarietate quarumlibet sententiarum sew propositionum. Kant
adoperò per primo questo vocabolo, per designare le opposizioni contradditorie
in cui incorre necessariamente la ragione quando si esercita sopra certi concetti
(&vri contro, vépog regola). L’ antinomia è composta di due proposizioni
(tesi ο antitesi), le quali, sebbene siano contradditorie, possono essere
giustificato da argomenti d'ugual forza. Quattro sono le antinomie della ragion
pura, nelle quali cioè nrta V idea cosmologica, l’iden del mondo considerato
come ultima condizione dei singoli fenomeni; le prime due sono dette dal Kant
antinomie matematiche, le altre antinomie dinamiche: 13 tesi, il mondo ha un cominciamento
nel tempo e un limite nello spazio antitesi,
il mondo è infinito nel tempo e nello spazio; 2° t., In materia è composta di
parti semplici a., nessuna sostanza è
assolntamente semplice; 3° {., si dà la libertà, cioè un’attività che non
suppone alcuna causa anteriore, ο che determina tutta la serio degli effetti
che κ’ intrecciano nel mondo a., non vi
è libertà nel mondo, ma tutto avviene secondo le leggi naturali; 4* t., vi è
nel mondo un essere assolutamente necessario, sia como parto sin come causa di
esso a., nulla esiste di assolutamente
necesANT 58 sario, nd nel mondo na fuori di esso come sus
causa. Oltre queste quattro, vi è un’ antinomia della ragion pratica, che
consiste in cid: noi consideriamo come necessario l’ a0cordo tra il bene e la
felicità, ma questo accordo è irrealizzabile nelle condizioni della vita
presente. Questa antinomia si risolve facilmente con la credenza in un mondo
futuro, ove 1’ accordo potrà realizzarsi, mentre le antinomie della ragion pura
sono insolvibili dalla ragione o dalla esperienza, essendo proprie di quel
mondo metafisico dei noumeni, in cni c'è vietato entrare. Cfr. Eucken,
Geschichte d. philos. Terminologie, 1878; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
Dialettica trascend., parte 2°; Krit. d. Urthetlekraft, $ 54 segg.; F. Evelin,
La raison puro et les antinomies, 1906 (v. antitesi, critiolemo, dialettica).
Antipatia. T. bneigung, Antipathio; I. Antipathy; F. Antipathie. Opposto a
simpatia; come dice la derivazione etimologica (ἀντί-οοπίτο, πάθος-οπιοσἰοπο)
significa una repulsione istintiva e cieca che allontana certi individui da
certi altri individui o cose. Secondo Spinoza essa è un prodotto dell’
associazione delle idee, come la simpatia; egli spiega il loro carattere
irrazionale, ammettendo che quando l’anima è eccitata da uno stimolo doloroso o
piacevole dopo averne provato uno indifferente, il ripresentarsi di questo è
seguito da dolore o piacere per pura contiguità nel tempo: Da ciò comprendiamo
come può accadere che noi amiamo 0 odiamo certe cose, senza alcuna cagione »
noi nota, ma semplicemente, come si suol dire, per sil patin ο per antipatia ».
Cfr. Spinoza, Ethica, teur. IX, seolio. | Antitesi. T. Antitheso; I. Antithesie;
F. Antithèec. Nella retorica si dice così quella figura che consiste nella opposizione
non solo di due parole, ma anche di due pensieri; è un’ antitesi il detto di
Socrate: tutti gli uomini vivono per mangiare, io mangio per vivere. Quindi,
più che un ornamento retorico, I’ antitesi è un vero © proprio stro 59 ANT mento di prova, di cni molto si valsero i
filosofi. Così, le antinomie kantiane constano ciascuna di una tesi e di un’
antitesi, la prima che afferma un dato principio, la seconda che, con argomenti
d’ ugual forza, lo nega. Nella filosofia di Fichte, l’antitesi è il non-Io, che
si contrappone all’ Io fenomenico, tesi, e che |’ Io assoluto, vale a dire la
sintesi, identifica con I’ Io fenomenico. Nel sistema Hegel }’ antitesi è il
secondo momento del divenire. La sintesi, come si vede, è la proposizione che
concilia la tesi e l’antitesi. Cfr. Aristotele, Phys., V, 1, 225 a, 11: Kant,
Erit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 349; Hegel, Enoykl., $ 48; Fichte,
Grund. d. gesamiem Wissonachaftslehre, 1802, pag. 35. Antitipia. T. Antitypia;
I. Antitypia; F. Antitypie. Indica la proprietà della materia di essere
impenetrabile e resistente. La parola, ricavata dal greco, fu dapprima usata
dal Gassendi, per provare, contro Cartesio, che l'essenza dei corpi non è
soltanto l'estensione, ma anche l’impenetrabilità. Anche il Leibnitz adopera,
in senso più largo, questo vocabolo, che per lui significa quell’ attributo
della materia per il quale essa esiste nello spazio, rimane immobile senza un
intervento esterno, © oppone una resistenza passiva. Codesta antitipia
costituisce la forza passiva della monade; in ciò il Leibnits fa consistere la
materia prima: materia est quod consistit in antitypia, sen quod penetrandi
resistit ». Cfr. Leibnitz, Op. fil., ed. Erdmnann, 1840, p. 466, 691.
Antropismo. T. Anthropismus; I. Anthropism; F. Anthropieme. Con questo nome l’
Haeckel designa quel complesso di idee erronee, con cui l’uomo si contrappone 4
tutto il resto della natura e considera sò stesso come il fine voluto della
creazione organica e cume un essere perfettamente diverso da quella e simile a
Dio. L’antropismo comprende l’antropocentrismo, la credenza cioè che I’ umanità
sia il centro e la causa finale dell'universo; l’antroANT pomorfismo, © la
credenza in un Dio creatore del mondo, perfettamente uguale, nel pensiero e
nell’ opera, all’ uomo ; © Vantropolatria, o |’ adorazione divina dell’
organismo umano. Cfr. E. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1902, p.
17 segg. Antropocentrico. Τ. Anthropocentrisoh; I. Anthropocentrio; F.
Anthropocentrique. È quasi sinonimo di teleologico, e si applica a tutti quei
sistemi che fanno dell’ uomo il centro dell’ universo, vale a dire il fine per
il quale ogni cosa è stata creata e al quale ogni cosa è subordinata, Quindi,
secondo l’antropocentrismo, gli occhi sarebbero stati dati alV uomo per vedere,
il sole la luna © le stelle per illuminarlo di giorno e di notte, i minerali e
i vegetali per nutrirlo, ece. In un senso più filosofico e più moderno è
antropocentrico il pragmatismo o umanismo, il quale, subordinando la verità
delle conoscenze al loro valore pratico, alla loro utilità, fa della natura
umana e dei suoi bisogni fondsmentali il centro dell'universo; il Troiano lo
definisce infatti come un sistema antropocentrico del sapere filosofico, sul
fondamento d’una teoria delle attività, delle reazioni e dei prodotti dello
spirito, studiato nella sua realtà di fatto, immediata ο storica ». Cfr. F. Ο.
8. Schiller, Humanism, 1903; P. R. Troiano, Le basi dell’ umanismo, 1906 (v.
fine, geocentrismo, teleologia). Antropoidi. T. Menschenaffen, menschenähnliche
Affen : I. Anthropoid; F. Anthropoides. Nel suo senso più generale indica
l'ordine dei primati, che comprende l’uomo; in un senso più stretto, soltanto
la famiglia delle scimmie somiglianti all’ uomo. È il vocabolo dato dal Broca
alla famiglia delle scimmie più vicine all’ nomo, preferito all’ altro di
antropomorfe. Secondo le classificazioni dei naturalisti moderni, questa
famiglia appartiene alla classe dei mammiferi e all’ ordine dei primati, a capo
della quale sta l’uomo. Il Cuvier invece fa dell’ nomo un ordine a parte, ©
così pure il Canestrini, il quale colloca l’ nomo nell’ordine dei bimani. Alla
famiglia degli antropoidi appartengono i generi: Gorilla, Chimpanzé, Orango e
Gibbon. Cfr. Broca, Sur Pordre des primates, 1869; P. Topinard, Anthropologie,
1884, p. 24, 43 © sogg.; Canestrini, Antropologia, 1898, Ρ. 112 segg.; Morselli,
Antropologia generale, 1888-1900. Antropolatria. T. Anthropolatrie; I.
Anthropolatry: F. inthropolatrie. Fenomeno religioso assai raro, che con siste
nell'attribuire onori e potenza divina a nomini viventi. Un esempio ci è dato
dalle antiche tribù dell’ Asin, che veneravano pubblicamente i microcefali,
collocandoli sugli altari e facendoveli rimanere lungamente immobili. Il
voenbolo si usa anche per designare |’ adorazione cieca delle folle per certi
uomini politici, agitatori, conquistatori, 900. (v. antropismo). Antropologia.
T. Anthropologie; I. Anthropology; F. Anthropologie. Per antropologia s'intende
oggi la storia naturale dell’ uomo, ossia una monografia zoologica del genere
umano. Essa appartiene dunque allo scienze naturali. 1! Topinard dice: La
parola antropologia è di vecchin data ed ha sempre significato lo studio dell’
uomo; all'origine dell’ uomo morale, più tardi dell’ uomo fisico. Oggi essa li
comprende entrambi ». Il Broca la definisce: la scienza che ha per oggetto lo
studio del gruppo umano, considerato nel suo insieme, nei suoi dettagli e nei
suoi rapporti col resto della natura ». Il De Quatrefages: In storia naturale
dell’ nomo fatta monograficamente, come Vintenderebbe un zoologo studiante un
animale ». Il Bertillon: una scienza pura e concreta avente per fine la
conoscenza completa del gruppo umano considerato : 1° in ciascuno delle quattro
divisioni tipiche, confrontate fra loro e con gli ambienti rispettivi, 2° nel
suo insieme © nei suoi rapporti col resto della natura ». Secondo il Morselli,
l’antropologia come scienza naturale comprende quattro gruppi distinti di
scienze: 1° scienze aventi per oggetto L’umana natura (antropologia
propriamente detta); 2° scienze aventi ANT 62 per
oggetto le ranze (etnologia); 3° scienze aventi per oggetto i tipi ο gli
individui nmanf (antropografia) ; 4° scienze aventi per oggetto i popoli
(stnografia). Al terso gruppo appartiene anche l'antropologia criminale, che è
la storia naturale dell’uomo delinquente, di cui studia la costituzione
organica e psichica e la vita sociale o di relazione, confrontandolo coi
caratteri offerti dall’uomo normale e dall’ uomo alienato. Essa quindi
comprende una craniometria, una sociologia e una psicologis criminali. Nella
speculazione antica e nella filosofia tedesca, specie dopo Kant, la parola
antropologia ha un significato ancora più largo e metafisico, designando tutte
le scienze che studiano una parte qualsiasi della natura umana, l’anima o il
corpo, gli individui o la specie, l'umanità presente o la passata, Nella
teologia designa quella parte della teologis dogmatica che ha per oggetto
l’uomo nelle sue attuali e ideali relazioni con Dio, o l’uomo come soggetto del
regno di Dio. Cfr. Kant, Anthropologie, 1872, Vorrede ; P. Topinard,
L'anthropologis, 1884; A. Rosmiui, Antropologia in servisio della scienza
morale, 1857; E. Morselli, Antropologia generale, 1888-1900; G. Canestrini,
Antropologia, 1898; F. Del Greco, Vecohia e nuova antr. criminale, 1908; A. G.
Haddon, Lo studio dell’ uomo, trad. it. 1910 (v. Antroposooiologia, biologia).
Antropometria. T. AntAropometrie; I. Anthropometry ; F. Anthropométrie. Fa
parte dell’ antropologia e designa V insieme dei processi di misurazione del
corpo umano ο delle sue parti. Essa non si restringe però a studiare i caratteri
morfologici esteriori, ma entra anche nel campo psicologico, misurando la forza
muscolare, le asimmetrie sensorie, la capacità respiratoria, ecc. L’
antropometria moderna, dice il Livi, studia metodicamente le misure del corpo
dell’ nomo per metterle in rapporto colle varie facoltà umane, per ricercare le
leggi del suo sviluppo e le modificazioni di questo a seconda della razza,
dell'ambiente, dello stato di sainte o di malattia, e per trarne deduzioni
seientifiche le quali, oltre a giovare alla scienza speculativo, possano pur
portare un indiretto contributo al migliora. mento sociale, mostrando in quali
condizioni lo sviluppo del corpo è meglio favorito, ed aver poi anche qualche
applicazione pratica nel campo della medicina legale ο dell'amministrazione
della ginstizia ». La denominazione è dovuto al Quetelet. Cfr. Charles Roberts,
Manual of anthropometry, 1878; R. Livi, Antropometria, 1900. Antropometrismo.
T. Anthropometrismus ; I. Anthropometrism; F. Antropométrieme. Si adopera
talvolta per indicare quella forma estrema di soggettivismo, ο scetticismo, che
consiste nel fare dell’ uomo la misura di tutte le cose; F uomo non conosce le
cose come sono, ma le conosce come sono per lui, e solo per lui, nel momento
della percezione: in questo momento esse sono per lui quali egli se le rappresenta.
L'espressione ha origine dalla sentenza di Protagora: l’uomo è la misura
(μάτρον) di tutte le cose, sin di quelle che sono per quanto riguarda il
conoscere come sono, sia di quelle che non sono per quanto riguarda il sapero
come non sono ». Però non tutti gli storici della filosofia greca concordano
nell’ attribuire a questa sentenza un significato scettico. ‘lutte il suo
valore filosofico consiste infatti nell’estensione che si dà al concetto di
uomo: se si assume come massima, la proposizione ha un significato generico,
abbracciando tutti gli nomini in quanto tali, se si assume come minima ha
significato individuale e si riferisce a ciascun uomo per sò stesso; col primo
ci troviamo innanzi ad una dottrina relativistica che, esoludendo la
possibilità della conoscenza all'infuori delle nostre facoltà di conoscere, non
nega la possibilità di raggiungere il vero ο quindi la legittimità della
scienza; col secondo il vero è ridotto ad una mutevole apparenza individuale ed
abolita effettivamente la conoscenza ο la scienza. Questa seconds
interpretazione è siata fino ad oggi accolta quasi ANT universalmente; ma
contro di essa sono sorti in questi ultimi tempi il Peipers, il Lans, il
Gomperz, ece., che fondandosi in parte sopra l’esame dei frammenti protagorei,
in parte sopra una critica del Testeto platonico, credono invece di poter
dimostrare rigorosamente la legittimità della prima. Tutto ciò prova, in ogni
modo, che I’ uso di questo vocabolo può dar luogo ad equivoci se non
accompagnato dalla dichiarazione del valore che ad esso si attribuisce. Cfr. Lans, Idealismus und
positirismus, 1879-94, vol. I, p. 188 seg.; Grote, Aristotle, 1872, vol. II, p.
148 seg.; Gomperz, Les penseurs de la Grece, 1904, vol. I, p. 477 segg.; A. Levi, Contributo ad una
interpretazione del pensiero di Protagora, 1906; C. Ranzoli, Sul preteso
agnosticismo dei presocratici, Rendic. del R. Ist. lomb. di scienze e lettero
», vol. XLVII, fase. 19, p. 1068 segg. Antropomorfismo. T. Anthropomorphiemue;
I. Anthropomorphism ; F. Anthropomorphisme. È, come indica I’ etimologia
(ἄνθρωπος uomo, µορφή forma) la dottrina che concepisce e rappresenta la
divinità colla forma e gli attributi umani. Esso succede al naturalismo, e designa
uno stadio già abbastanza evoluto della religiosità, giacchè il concepire Dio
sotto forma umana è qualche con di superiore al concepirlo sotto forma di una
rozza forza naturale. Dicesi antropopatia quel modo o fase dell’antropomorfismo,
che consiste nell’ attribuire alla divinità affezioni e passioni umane, ©
antropopoieri l’uttribuirle azioni umane, Nel cristianesimismo primitivo la
concezione della divinità è ancora antropomorfica; i Padri e i Dottori della
Chiesa si sforzarono di purificarla spiritualmente, con l’applicazione dell’
interpretazione allegorica alle Scritture e del metodo negativo, o ria
eminentiae, nella doterminazione degli attributi divini. Tuttavia, non sempre
la teologia cattolien ha saputo evitare lo scoglio dell’ antropomortismo, pur
facendo di Dio l’ essere invisibile, inconoscibile, incomprensibile,
ineffabile; I’ nome non può in fine rappresen 65 AST tarsi Die che con forme simili alle
proprie, od è per questo che alcuni teologi, per evitare lo scoglio dell’
agnosticismo, ammettono la legittimità di un prudente e limitato antropomorfismo.
Nella filosofa la parola antropomortismo
si adopera talvolta, con valore nettamente polemico, per indicare tutte quelle
forme di monismo spiritualistico ο idealismo realistico, che, in quanto tali,
interpretano il mondo per analogia con lo spirito umano; a ciò si suol
rispondere che, ove non si voglia rinunziare a conoscere, non si può far di
meno di concepire la realtà in termini di coscienza, e che quindi sono
antropomorfici tutti i sistemi filosofici, con l'aggravante in alcuni
(materialismo, naturalismo, ecc.) di easer tali senza saperlo. Il Rosmini chiama sofiema antropomorfita quel
falso ragionamento con en gli epieurei e i pagani in genere attribuivano agli
dei forma umana; gli dei sono beatissimi e non potrebbero essere senza aver la
virtà; nd potrebbero aver la virtù senza la ragione; ma la ragione non si trova
che in quell’ onte che ha forma umana, dunque gli dèi hanno forma umana. Il
Rosmini considera tale ragionamento un sofisma, in quanto si fonda sopra la
cognizione erronea e confusa del soggetto, traendo da esso delle conclusioni
che ne sorpassano il valore. Cfr. T. Caird, Evolution of religion, vol. I, p.
289 segg., 367 segg.: Guelpe, Apologie den anthropomorphischen u. anthropopathischen
Darstellung Gottes, 1842; R. Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909,
p. 347 segg.; Ronouvier, Le personalisme, 1903, p. 49 e segg.; Rosmini, Logica,
$ 714 segg... 1853; A. Aliotta, L'aocusa di antropomorfismo, Cult. filonofica
», nov. 1907 (v. analogiemo, ignoratio elenchi, infinito). Antroposociologia.
T. Antkroposooiologie; I.Anthroposociology; F. Anthroposouiologis. Nome col
qualo oggi ni indien lo studio dell’uomo, in quanto tale studio comprende ©
forma il punto di partenza di tutte le scienze morali, della psicologia, dell’
etica, dell'estetica, della sociologia, dell'etnografis, della demografia,
della storia, della politica. Si distingue dall’ antropologia, scienza
puramente zoologica, ed è affine all’ antropologia filosofica quale era concepita
nella speculazione antica. L’antroposociologia è sorta da principio con
carattere prevalentemente storico, che appare in particolar modo nelle opere
del Gobineau sull’ ineguaglianza delle razze umane; attraversò poi una fase biologica,
corrispondente ai grandi lavori di Darwin, che pose innanzi il principio della
lotta per la vita e della selezione naturale, facendone la prima applicazione
alle razze umane; in una terza fase bio-peioologioa, inizinta dal Broca, la
legge della selezione sociale » è assunta come principio esplicativo di tutti i
fenomeni che si svolgono nella società e tra lo società umane; nella sna fuse
attuale essa ha carattere antropometrioo, è rappresentata specialmente dal
Lapouge, dall’Ammon, dal Muffang, dal Livi, e tende con le misurazioni e le
statistiche a dare base sperimentale alle leggi » dell’antroposociologia, che
sono soprattutto la selezione naturale applicata all’ uomo nella sua modalità
di selezione sociale, e la superiorità etnica intellettuale e morale delVelemento
dolico-biondo. Cfr. Ammon, L’ordre social ei ses bases naturelles, 1900; Lapouge Vaoter,
L’aryen, son rôle social, 1899; D. Folkmar, Loçons d'anthropologie philosophique,
1900; Enrico Morselli, 1, antroposociologia, Riv. di fil. e scienze affini »,
ott. 1900. Apagogia. In Aristotole
l’äraywyr non significa che la riduzione di un problema ad un altro. Tuttavia
comunemente designa una forma di ragionamento, che consiste nel provare la
falsità delle proposizioni che si vogliono confutare, deducendone delle
conseguenze assurde e necessarie. Si dice anche deductio ad impossibile o ad
absurdum in quanto doriva la verità della tesi da provare dalla impossibilità
della sua negazione, Il Wundt ammette tre forme di prova npagogica, la disgiuntiva,
la contraria, la contradditoria; la seconda però non è che una specie della
prima, consistendo in uua diagiunzione che ammette due sole possibilità, le
quali in quanto contrarie si escludono, mentre la terza è quella che suol dirsi
riduzione all’ assurdo. Il Masci mette pure una prova apagogica disgiuntiva, la
quale consiste nell’ esaminare tutte le possibilità diverse da quella che si
vuol dimostrare, e dagli assurdi che ne derivano conchiude alla loro falsità, e
da questa alla verità delln tesi. Cfr. Aristotele, Anal. pr., II, 25, 698, 20 ©
segg.; Wundt, Logik, 1893, vol. II, p. 68; Masci, Logica, 1899, p. 345 segg. A
pari v. a fortiori. A parte ante, post rei. Termini propri della scolastica,
che si applicano all'infinito, all’ eternità. L’ eteruità non ha limiti nel
passato, ed è I’ eternità a parte ante; non ha limite nel futuro, ed è l’
eternità a parte post. Dio contiene ambedue queste parti dell'eternità, l’anima
umana soltanto la seconda. Pure nella scolastica dicevansi a parte rei quegli
universali che vengono dalla natura della cosa © non dalla natura dello spirito
che la conosce (v. aerum, idealirmo, realismo). Apatia. (ἀπάθεια). Significa,
come dice |’ etimologia, mancanza di sentimento, d’attività mentale e morale,
indolenza. Ha qualche cosa del quistismo. Per Epicuro essa vale assenza di
dolore, ed è sinonimo di starassia da lui più frequentemente usato: si
distingue solo dall’ atarassin in quanto indica specificamente quella
imperturbabilità, che il sapiente raggiunge liberandosi dai sentimenti e dalle
passioni (πάθη, affectus), che la vita ed il mondo suscitano nell'uomo. Anche
per gli stoici la virtù coincide con l’apatia, con l’ essere scevro da affetti;
se l'uomo non può impedire che la sorte gli procuri un piacere o un dolore, può
però impedire che questi sentimenti diventino affetti, cioè passioni, negando
loro il consenso con la forza della ragione, non reputando il primo come un
bene e il secondo come nn male. Seneca determina così la differenza tra P
apatia stoica e quella megarica: Noster sapiens vinci! quidem incommodum omne,
sed sentit; illorum ne sentit quidem. Clemente Alessandrino adopera questo
vocabolo per indicare la mortificazione della carne, la rinunzia ottenuta dopo
le lotte contro i sensi. Cfr. Diogene Laer., V, 1, 8; Se neca, Ep. mor., I, 9,104.
Apodittioa. T. Apodiktik; I. Apodiotio; F. Apodiotique. Quella parte della dialettica, che insegna il modo di
dimostrare la verità di un priucipio per mezzo del semplice ragionamento, senza
ricorrere a prove di fatto. Secondo il Bouterwek l’apodittica è la scionza dei
fondamenti ultimi del sapere 6 in generale delle convinzioni assolute ». Le
altre due parti della dialettica sono l’elenctioa, che ha l’officio di
confutare le affermazioni dell’ avversario, ο l’apologetica che ha lo scopo di
difendere la verità contro le negazioni dell’ avversario. Cfr. Bouterwek, Ides
einer Apodiktik, 1799 (v. maioutioa, ironia, anatreptioa, agonistica).
Apodittici (gindisi). Vocabolo già usato da Aristotele (Ἀποδεικτικός) e di
nuovo introdotto nel linguaggio filo sofico da Kant, per contraddistinguere
quoi giudizi che sono al disopra d'ogni contraddizione ed esprimono una verità
di diritto, in essi pensandosi il predicato come necessariamente pertinente al
soggetto. Insieme agli assertori © ai problematici appartengono alla categoria
della modalità, od hanno la formola: A deve esser B. Possono anche essere
negativi, nel qual caso hanno la formola: A non può esser B, mentre i
problematici negativi hanno per formola: A può non esser B. Cfr. Aristotele,
Anal. pr., I, 1, 24a, 30; Kant, Krit. d. reinen. Vern., ed. Kehrbach, pag. 54.
Apologetica. T. -{pologetik ; 1. Apologetics; F. Apologétique. Quella parte
della teologia che ha per cémpito di provare la perfezione e la verità della
religione cristiana, contro le religioni e le dottrine avversarie. Gli
scrittori dei primi secoli della Chiesa essendosi per la maggior parto ocenpati
di cid, son detti appunto apologetici. Essi compaiono già nel secondo secolo,
nel qual tempo la pubblica 69 APo-APP opinione veniva eccitata contro i
cristiani da ogni sorta di calunnie, e lo Stato romano, strettamente unito alla
religione pagana, cominciava a procedere giudizialmente contro la nuova
religione: gli apologeti respingono le accuse dei pagani, mostrano l’iniquità ο
l’immoralità dei miti degli dèi, difendono il monoteismo e il dogma della resurrezione,
provano la verità della dottrina cristiana mettendone in rilievo gli alti
effetti morali. Si dice anche spologetica quella parte della dialettica che ha
lo scopo di difendere la verità, di qualunque ordine essa sia, contro le
negazioni dell’avversario. Cfr. Bardenhewer, Patrologie, 1901; Harnack,
Geschichte d. altohristlichen Literatur, 1898-1897; A. Rosmini, Apologetica,
1845. Aporema. Gr. Απόρημα, Una delle quattro specie in cui Aristotele distinse
il sillogismo, considerando il fine logico che si propone chi lo adopera, L’ aporema
è il sillogismo dubitativo (ἀπο-ρέω = dubito), quello cio’ che mostra 1 ugual
valore di due ragionamenti contrari. Cfr, Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a,
17. Aporetica v. Zetetica. Appercezione. T. Apperception; I. Apperoeption; F.
Apperception. Parola di senso molto vario e molto vago. Cartesio la adoperò per
indicare l'ufficio della volontà nel rendere distinti e precisi gli stati della
coscienza: Rien qu'en regard de notre âme ce soit une aotion do vouloir quelque
chose, om pout dire, que c'est aussi en elle une passion @apperceroir co
qu'elle veut ». Ma la parola fu veramonto introdotta nel linguaggio filosofico
dal Leibnitz, ο usata poi, nel suo primitivo significato di un aocorgersi
interno, immediato, da Kant, Herbart, Maine de Biran. Por Leibnitz, infatti, le
appercezioni sono percezioni chiare, caratterizzato dalla riflessione © proprie
soltanto dell’ uomo; come tali si distinguono così dalle percezioni
propriamente dette, che noi proviamo senza riflettere ο che ci possono essere
ripresentate dalla memoria, come dalle percezioni Ave πο oscure, quali possiamo provarle nel sogno. L’
appercozione non è, per il Leibnitz, il prodotto di una facoltà speciale, bensì
la percezione stessa allo stato più perfetto, rischiarante ad un tempo I’ Io ο
gli oggetti esteriori. Per Kant invece essa è completamente distinta dalla
sensibilità, è l'atto fondamentale del pensiero e non rappresenta che sò
stessa. La validità obbiottiva del rapporto temporale ο spaziale non può
fondarsi, per Kant, che sulla sua determinazione mediante una regola dell’
intelletto; ma la coscienza individuale non sa nulla di questo concorso delle
categorie nella esperienza, o non assume cho il risultato di questa funzione
come la necessità obbiettiva della sua concezione della sintesi spaziale ο
temporale delle sensazioni. Quindi la produzione dell’ oggetto non avviene
nella coscienza individuale, ma si trova in questa como sua base; ogni
oggettività che l’ individuo sperimenta ha radico in un nesso che lo trasconde,
e che, determinato dalla forma pura dell’ intuizione e del pensiero, pone ogni
prodotte immodiato dello spirito in un complesso di relazioni determinate;
quosta attività sopraindividuale della vita rappresentativa è chiamata da Kant
nei Prolegomeni coscienza in generale » (das Bewusstsein überhaupt), © nella
Critica . Agire su qualche coss è volere che qualche cosa sia, nel senso che la
volontà se ne serve come mezzo per realizzare sò stessa, per penetrare nell’
intimità chiusa d’altri soggetti © interesearli a sè; la scienza del renlo è du
que la scienza del soggetto dell’azione. Ma agendo n AzI-BAM 128 estraiamo da noi stessi il principio della
nostra azione, e questo principio oltrepassa le esperienze nostre passate ; V
operare genera la riflessione, ma questa non rimane sterile, bensì fa
dell’azione una volontà libera: il nostro pensiero attuale non è dunque che
l’effetto e il mezzo dell’azione. Da queste premesse il Blondel ricava
importanti applicazioni di natura sia filosofica che religiosa. Cfr. Blondel,
L’Aotion, 1893; Id., Annales do la phil. chrétienne, giugno 1906; Cesca, La
fil. dell’asione, ed. Sandron; Lamanna, La fil. dell’azione, in Cultura
filosofica », luglio 1913. BB. Nella logica formale questa lettera si dà per
iniziale ai nomi mnemonici dei modi delle varie figure del sillogiamo, che
devono modellarsi sul modo Barbara, quando si vogliono ricondurre alla prima. E
anche ussta nelle argomentazioni logiche per indicare il predicato della proposizione.
Bamalip o Bramalip. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica si
designa un modo della «uarta figura del sillogismo, in cui la maggiore e la minore
sono universali affermative, la conclusione particolare affermativa, come
indicano le tre prime vocali. Es. le rondini sono uccelli migratori gli uccelli
migratori tornano la primavera dunque qualche rondine torna di primavera. Come
si vede, la conclusione è falsa; ma la lettera B indica che, per esser provato,
questo modo deve essere ricondotto a un Barbara della prima figura; e la
lettera p che questa operazione si dovrà fare convertendo per accidente la
conclusione. Questo modo può anche essere designato col termine Baralipton; in
tal caso I’ ultima sillaba ton non ha alcun senso, essendo stata aggiunta per
la misura del verso mnemonico. Corrisponde al γράµµασιν dei greci (v.
conversione). Barbara. Termine di convensione maemenies, con eni i lo,
designavano un modo della prima figura del sillogismo, nel quale la maggiore,
la minore e la conelusione sono proposizioni universali affermative, come
indicano le tre vocali. Per es. tutti i corpi sono soggetti alla legge di
gravità tutte le stelle sono corpi dunque tutte le stelle song soggette alla
leggo di gravità. Corrisponde al vpénnata dei greci ο rappresenta il tipo
perfetto del sillogismo categorico. Barbari. Termine mnemonico di convenzione,
con cui nella logica si designa un modo della quarta figura del sil logismo.
Come indicano le tre vocali, la maggiore e la minore sono universali
affermative, la conclusione particolare affermativa. È un modo analogo a
Bamalip, colla differenza che non può essere ridotto al Barbara della prima
figura. Baroco. Termine di convenzione mnemonica, che desigua un modo della
seconds figura del sillogismo, nel quale la maggiore è universale affermativa,
la minore ο In conclusione particolari negative. La lettera B indica cho, per
provare questo modo, bisogna ridurlo a un Barbara della prima figura, la lettera
ο che questa operazione si deve fare convertendo la minore per
contrapposizione; r è eufonica. Es. Tutte le esagerazioni sono riprovevoli vi
sono delle passioni che non sono riprovevoli dunqne vi sono delle passioni che
non sono esagerazioni. Corrisponde all’ ἄχολον dei greci. Baroestesia. (βάρος =
peso, αἴσθησις := sensazione). Il senso della pressione, che è dato dagli
organi del sono tattile, di cui fa parte. Su questo senso il Weber aperimentò
la legge psico-fisica, che fa poi verificate anche negli altri sensi e che
suona così: il rapporto in cui devono trovarsi due stimoli della sensibilità
tattile di pressione perchè abbia luogo la distinzione intensiva è di 1 a 14/5.
Per ottenere una sensazione di pressione sul palmo della mano occorre almeno il
peso di cinque cen9 RaszoLi, Dizion, di
scienze filosofiche. tigrammi ; per poter percepire distintamente due
sensazioni suocessive di pressione, queste devono suocedersi con un intervallo
di tempo, che non sia minore di una data quantità, variabile negli individui ο
nelle località della pelle. Cfr. Fechner, Elements der Paychophysk, 2° ed.
1889. Bastoncini. T. Stibohen; F. Bätonnet. Corpuscoli cilindrici che rivestono
la parete esterna della retina, ove sono disposti nel senso dei raggi della
efera oculare. Non sono altro che le terminazioni dei nervi ottici, ed è solamente
da essi che, secondo il Wundt, è ricevuta e trasmessa l’ eccitazione della
luce, mediante un processo chimico analogo # quello onde rimane impressionata
la lastra fotografica. Questo processo dicesi asione fotochimica. La maggior
parte dei psico-fisiologi condivide questa dottrina, considerando il complesso
dei bastoncini della retina come P apparecchio recettore che funziona durante
la visions crepuscolare, e il complesso dei coni come 1’ apparecchio che
funziona durante la visione diurna. Cfr. Wundt, Grundsüge d. physiol.
Ῥοψολοῖοθίο, vol. II, 1902; Horing, Zur Lehre vom Liohtsian, 1878. Bentitudine.
Gr. Maxapiéing; L.
Beatitudo; T. Seligkeit; I. Blossednose; F. Béatitude. Stato di godimento continuo ed uguale, che alcuni
filosofi ripongono nella contomplazione delle verità eterne, altri nel pieno
possesso di sò stessi, altri nell’esser liberi da passioni e da dolori. Così
gli stoici consideravano la beatitudine come stato caratteristico del saggio,
che racchiude tutti i boni nell'animo, disprezza le cose che gli altri
desiderano, non si turba nè si piega per mutar di fortuna, «segue la natura
come maestra, conformandosi alle sue leggi, vivendo come essa preserive ». Per
Spinoza la beatitudo seu felicita» è il riposo doll’ anima, riposo che nasce
dalla conoscenza intuitiva di Dio ». Por la teologia cattolica la beatitudine à
il premio che gli eletti ottongono nella vita celeste, e consiste nella visiono
intuitiva, immediata di Dio uno e trino (risio beaBer tifica), del Padre nella
sua stessa natura e sostanza: vident divinam oesontiam visions intuitiva et
etiam facials, nulla medianto oreatura in rations obiecti visi 8ο habente, sed
divina essontia immediate se, nude, olare et aperte eis ostendente; quodque sio
videntes, cadem divina essentia perfruuntur, neonon quod ex tali visione.... sunt
vere beata, ci habent vitam et requiem cternam. Però, la determinazione dello
stato futuro di beatitudine ha subito ‘delle oscillasioni nella filosofia cattolica;
così 8. Agostino, malgrado il suo volontarismo, lo faceva consistere nella
visio divina cosentie, seguito in ciò da Alberto Magno e da 8. Tommaso, ma Ugo
di 8. Vittore aveva già definito il supremo coro degli angeli mediante l’amore;
ο S. Bonaventura aveva identificato la intuizione eterna con l’amore; Duns
Scoto, procedendo oltre, insegnò che la beatitudine è uno stato della volontà,
e precisamente della volontà tutta rivolta a Dio, cosiechè l’ultima
trasfigurazione dell’ uomo non ènella intuizione, nella contemplazione, ma
nell’ amore. Si distingue da feHoità in quanto designa uno stato di gioia
spirituale ottenuto mediante uno sforzo, e implica 1’ idea della divinità ©
della vita futura. Alcuni psichiatri lo adoperano anche per indicare certi
stati di intima contentezza, che si accompagnano talora all’ estasi, alla
catalessia © alla ma Cfr. Spinoza, Ethica, I, teor. 49, scolio; IV, cap. 4; L.
Billot, De Deo uno ot trino, 1845, t. I, thesis XV, art. 11; H. Siebeok, Die
Willensichre bei D. Scotus u. seinen Naohfolgern, in Zeiteobr. f. Philos. u.
philos. Krit. », vol, 112, P. 179 segg. (v. amore, euforia). Bellezza. T.
Schônkoit; I. Beauly; F. Beauté. Si suol distinguere la bellezza fisica, che è
una riunione di forme, di contorni e di colori che piace all’ occhio, dalla
bellezza morale, che è propria dell’ anima, dei sentimenti © dello azioni; e la
bellezza statica, che risulta dalle lince, dalle forme, dalle proporzioni,
dalla bellezza dinamica, che risulta dai movimenti © dalla forza. Bri. "=
182 Bello. T. Schön : I. Beautiful; F.
Beau. Si può definire, formalmente, come ciò che suscita negli uomini quel particolare
sentimento che dicesi emozione estetica; oppure, ciò che piace universalmente.
Infinite fnrono le definizioni del bello, che forma l’ oggetto di tutta una
parte delle filosofia, l'estetica. Tuttavia queste definizioni si possono tutte
ridurre sotto due grandi categorie: lo une pongono il bello come esistente in
sè, e lo considerano come una proprietà dell’ oggetto; le altre invece lo
considerano come un semplice prodotto della nostra attività mentale, che non
esiste in sì stesso ma in noi. Per le prime il bello è dunque uni: versale,
assoluto, per le seconde è relativo e mutabile coi tempi, coi luoghi e cogli
individui. In Platone l’idea del bello 9 quella del bene sono strettamente
congiunte; se ciò che attira da principio 1’ ammirazione dell’ anima è il hello
fisico, le forme, i suoni, i colori, è perchè il bello risveglia in noi la
reminiscenza d’un bene perduto, un bene che lo nostre anime possedevano quando,
mescolate al coro dei beati, contemplavano il magnifico spettacolo delle Idee o
essenze eterne, tra le quali brilla la Bellezza: Caduti in questo mondo, noi 1)
abbiamo riconosciuta più distintamente di tutte le altre, per mezzo del più
luminoso dei nostri sensi. La vista è infatti il più sottile degli organi del
corpo, e tnttavia non percepisce la saggezsa! ». Di quale ineffabile amore la
suggezza empirebbe le anime nostre se la sua imagine si presentasse ai nostri
occhi distintamente come quella della bellezza! ma la bellezza soltanto ha
ricevuto in sorte d’ essere al tempo stesso la cosa più manifesta ο la più
amabile » (Fedro, 58, 250, a, b, ο). Aristotele non trattò del bello che
incidentalmente, mentre vece penetrò con mirabile acume nell’ essenza dell’ arte;
ma dal poco che egli lasciò seritto in proposito, sembra al Siebeck di poter
dedurre che si può già scoprire in Aristotele, come condizione essenziale del
bello artistico (ed alla fine d'ogni bello in generale) quella proprietà, che 133 BEL
cored poi d’esprimere Kant con la formola finalità sonza scopo, 9 che Schiller
espresse chioramente nella sua dottrina, secondo la quale il segno distintivo e
il carattere formale del bello consiste nell’ impressione della libertà det
fenomeno ». Per Plotino il bello è il tralucere dell’ essenza spirituale,
ideale, attraverso la sia apparenza sensibile, © grazie appunto a questo
irradiarsi della luco spirituale nella materia è bello tutto il mondo
sensibile, ed è bello in esso l'individuo rappresentato ‘secondo il suo
modello:, 1889. Catalettico (καταληπτικὀν). Secondo gli stoici, il eriterio
della verità è la rappresentazione che coglie con pienezza e con chiarezza
l'oggetto, ο risiede nel catalettico, cio nella forza di convinzione immediata,
ed insita ad una data rappresentazione. Cosi per Crisippo la rappresen-,
tazione vera 0 concopibile, φαντασία καταληπική, non si manifesta soltanto essa
stessa, ma manifesta anche il suo oggetto; essa non è altro, egli dice, che la
rappresentuzione prodotta da un oggetto reale ο in una maniera anuloga alla
natura di codesto oggetto. Cfr. Plutarco, De plac. phil, IV, 12; Diogene
Laerzio, VII, 46 ο 50; Zeller, Philos, der Griechen, IID, p. 85. Cataplessia
(xaté οπλἑσσω colpisco). T. Kataple. F.
Cataplerio. Scomparsa repentina e violenta della sensibilità e del movimonto in
qualche parte del corpo, in se 157 Car
"guito a qualche emozione intensa, specialmente la paura. Designs anche lo
stato di torpore prodotto negli animali con processi analoghi a quelli dell’
ipnosi, quando codesto torpore determina nello membra degli animali dei
fenomeni catalettici (v. analgesia, anostoria). Catari (x&tapo; --puro).
Setta di eretici oristiani, che si proclamavano gli unici depositari della pura
dottrina. Secondo il Tocco le dottrine del catarismo, una delle eresie più
infeste al cattolicismo, avrebbero avuto origine dall’antico manicheismo,
diffuso in gran parte d’ Europa, fornendo alla lor volta i materiali a tutte le
successive eresie dell’ evo medio. Il catarismo si fonda essenzialmente sul
dualismo religioso: il mondo è opera di due divinità, una buona e una cattiva;
il bene deriva dal primo, il male dal secondo; nell’ uomo il corpo © l’anima
sono prodotti dal primo e peroiò mortali, lo spirito dal secondo, quindi immortale.
Cristo non è che puro spirito, quindi non ha corpo umano, nè soffrì passione ©
morte; egli è un arcangelo, mandato dal principio del bene a disperdere le
menzogne del vocchio Testamento, opera del dio cattivo, e ad insegnare agli
uomini la schietta verità. Cfr. F. Tocco, L'ereria nel medio-evo, 1884 (v.
manichelemo). Catarsi (κάθαρσις --pargazione). Grecismo col quale talvolta si
designa il periodo di purgazione a cui, secondo V orfiemo, il pitagorismo e la
filosofia platonica, erano sottomesse le anime dei defanti prima di essere
ammesse alle sedi dei besti, o prima di dar vita a un nuovo corpo. Secondo
Platone la cntarsi durava mille anni, perchè di quante mai ingiurie ogni anima
e a chiunque le abbi fatte, di tutte partitamente (deve) scontare la pena; ciò
fare che cisscuna pena duri cent’ anni, tale essendo la misura della vita umana
affinchè scontino decupla la pena del loro peccato ». Virgilio ha seguito in
questo, come in altri concetti, il filosofo greco, stabilendo così In durata
della vita oltremondana: Has omnes, ubi mille rotam rolCat 158 vere per annos Lethaoum ad fluvium deus svocat agmine magno Soilioat
immemores, supera ut convera revisant Rurews, et incipiant in corpora velle reverti.
Aristotele usa la stessa parola in un particolare significato, prendendolo
dalla medicina, dove per catarsi s’intendeva la cura di certi stati di
eccitazione psichica col suono di melodie orgiastiche, ciod di melodie che
producevano un maggiore eccitamento ; applicando questo concetto alla influenza
della tragedia sull’ animo, egli dice che l’opera tragica mira, col modo onde
rappresenta i suoi soggetti, a raggiungere con la paura © la compassione la
catarsi di codesti effetti ». E ciò deve intendersi nel senso, che l'efficacia
psicologica della tragedia consiste nel risolvere i suddetti affetti in un
gradevole fluire, che ingenera il sentimento di una depurazione progressiva dal
dolore, di una liberazione crescente di ciò che in esso è di opprimente, senza
perciò eliminare |’ affetto stesso: quindi la tragedia non suscita soltanto la
paura e la compassione, ma le purifica anche in modo ds far loro perdere il
carattere di emozioni dolorose per convertirle in piacevoli. Cfr. Platone,
Fedone, 67 C, D, Rep., XIII, 615; Aristotele, Poet., VI; Bernays, Ueb. die
arist. Theorie des Drama, 1880; Siebeok, Zur Katharsis-frage, in Unters. z.
Philos. d. Griechen, 1888, p. 163 segg.; C. Ranzoli, La religione e la
filosofia di Virgilio, 1900, p. 185 seg. Catatonia. ‘I. Katatonic; I. Catatony;
F. Catatonie. Nome creato dal Kahlbaum per indicare una malattia mentale,
caratterizzata specialmente da disturbi psicomotori. Si verifica più
frequentemente nelle donne che negli uomini, tra il quindicesimo o il
trentesimo anno. Più che una malattia a si i moderni psichiatri la considerano,
insieme alla cbefrenia, come una forma della demenza precoce. Si inizi con
accessi di esaltamento e di depressione, cui segnono stadi di stupore, di
catalessia, stereotipia, ecolulia, negativismo: il malato rimane lungamente
immobile 159 Cat in posizioni «trane ed incomode, i suoi
muscoli sono rigidi e di un caratteristico color cereo, i suoi movimenti sono
lenti, incerti, legati, come se ad ogni istante una folla di rappresentazioni
antagonistiche si facessero equilibrio nella sua mente, così da allontanare il
periodo della determinazione. L'intelligenza può restare lucida ο sveglia, ma
di tratto in tratto vengono a intorbidarla idee deliranti, stadi di stupore,
atti impulsivi e violenti. Cfr. Kahlbaum, Die Katatonie, 1874; J. Finzi,
Compendio di psichiatria, 1899, p. 57, 121. Categoria. Lat. Predicamentum; T.
Kategorie; I. Category; F. Catégorie. Nel senso primitivo, usato da Aristotele,
le categorie sono i predicati delle proposizioni. In senso generale sono le
classi più alte in cui sono distribuite le idee o gli esseri reali, in seguito
a un certo ordine di subordinazione e a certe vedute sistematiche. I primi
filosofi che abbiano ammesse delle categorie, furono, per non parlare dei
filosofi indiani, i pitagorici, i quali ne contavano dieci, procedenti per opposizione:
il determinato e l’ indeterminato, il pari e il dispari, l’unità e la
pluralità, il diritto e il sinistro, il maschio e la femmina, la quiete e il
moto, ritto e il enrvo, la luce © le tenebre, il bene e il male, il quadrato ο
le figure dai lati disuguali. Aristotele, ponendosi dal punto di vista
grammaticale, distingue pure dieci categorie: la sostanza, la qualità, la
quantità, la relazione, il luogo, il tempo, la situnzione, In possessione,
l’azione, la passione. Gli stoici non ne ammettevano che due: la sostanza e la
qualità. Plotino cinque nel mondo sensibil la sostanza, la relazione, la
quantità, la qualità, il movimento; cinque nel mondo intelligibile: la
sostanza, la quiete, il moto, I’ identità e la differenza. Tra i filosofi moderni,
che hanno formulato delle categorie, tralasciando quelle del Descartes, di
Porto Reale, eco., ricorderemo Kant, Jo Stuart Mill ο il Renonvier. Per il Kant
le categorie sono Cat 160 dodici e rappresentano non le classi più
generali nelle quali si distribuiscono le nostre idee, ma i modi più generali
secondo i quali la ragione costituisce i suoi giudizi; esse costitaiscono i
concetti fondamentali dell’ intendimento puro, le forme a priori della nostra
conoscenza, rappresentanti tutto le funzioni essenziali del pensiero
discorsivo. Ora quattro sono lo classi generali dei giudizi, quindi quattro le
categorie principali: 13 qualità, 2* quantità, 83 relazione, 43 modalità;
ognuna di queste contiene tre categorie subordinate: 1° l’unità, la
moltiplicità, la totalità; 2* la realtà, la negazione, la privazione; 83 la
sostanza, la cansalità, la reciprocità; 4° la possibilità, l’esistenza, la necessità.
Il Mill riduce tutte le cose nominabili a quattro classi, che propone di
sostituire alle categorie aristoteliche; sentimenti o stati psichici; la mente
o anima che li esperimenta; i corpi esterni con le loro proprietà che eccitano
tali sentimenti; le succession e cocsistenze, le 80miglianze e dissomiglianze
tra i sentimenti stessi. Il Renouvier, che le definisce come le leggi prime e
irreducibili della conoscenza, distingue nove categorie: relazione, numero,
posizione, suocessione, qualità, divenire, causalità, finalità, personalità.
Ogni categoris esprime, secondo il Renouvier, una relazione nella quale si può
trovare una tesi, un’ antitesi e una sintesi: ad es. nella successione In tesi
è l'istante, l’antitesi il tempo, la sintesi la durata. Secondo l’Ardigò le
categorie sono idealità strumentali, di origine empirica al pari delle altre
idee, com’ è dimostrato dal fatto che esse pure variano da individuo a
individuo, © nella storia della cultura, per vari rispetti; sembrano a priori
perchè si vengono formando con processo inavvertito nei primordi della vita
psichica individuale, cosicchè al cominciare della riflessiono, lo troviamo già
costituite in noi stessi. Secondo lo Schuppe le categorie, senza lo quali nulla
può essere pensato, non sono una creazione dell? io, non vengono applicate ai
dati dell’ intuizione, como credo 161 Kant, ma sono fin da principio esistenti nella
nostra coscienza come determinazione dei dati, che non potrebbero divenire
contenuti di coscienza senza essere distinti e connessi causalmente; si può
dire dunque che le categorie sono a priori, in quanto non abbiamo bisogno di
aspettare questo o quel dato particolare per dire che deve conformarsi alle
leggi universali del nostro pensiero, ma ci sono date a posteriori, perchè non
abbiamo altro modo di ricavarle se non dalla riflessione sul contenuto della
nostra coscienza. Secondo il Cohen, il pensiero è spontanea produzione di sè
stesso, perchè il pensiero e l’essere sono identici; quindi è erroneo sostenere
che la conoscenza si produca col plasmarsi di una materia empirica nella forma
delle categorie, ma si deve riconoscere che il pensiero, non potendo aver nulla
prima di sd da cui prends le mosse, produce con la sua stessa attività il suo
indivisibile contenuto: questo è l’ unità attiva del gindizio, il cui contenuto
non è la cosa (Ding) ma l'oggetto (Gegenstand), e che produce, con le sue
diverse specie, le diverse formo di conoscenze e di oggetti. A questo tentativo
di deduzione trascendentale delle categorie, la nuova scuola del Fries
sostituisce l’analisi e l’osservazione dell’ intellotto umano, nella sua
struttura comune n tutti gli individui; con essa risale dai comuni giudizi ai
principî fondamentali che in essi sono impliciti (categorie), e la cui unità e
complessità prova il loro essere conoscenze immediate di natura non empirica.
Cfr. Aristotele, Categ., 4, 1 b, 25; Top., I, 9; Simplicio, In cat., 16;
Plotino, Fam. VI, 1, 25 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 95
segg.; J. 8. Syst. of logio., 1865, vol. I, 83; Renouvior, Kesaie de crit.
générale, Logique, I, 184; Trendelenburg, Geschichte d. Kategorienlehre, 1841;
Schuppe, Grundriss d. Erkenninistheorie, 1894, p. 36 segg.; Cohen, System d.
philosophie, 1902, p. 14 segg., 79-100: Nelson, Die kritische Methode, 1906,
vol. I; Ardigd, Op. AV, p. 7 segg. 11 Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche. Cat 162 Categorioo. 'T. Kategorisoh ; I. Categorical ;
F. Catégorique. Nella metafisica si dice categorico un giudizio che non dipende
da alcun altro giudizio esteriore. Nella logica il gindizio categorico
appartiene alla categoria dei giudizi di relazione ed esprime il rapporto di
sostanza ed inerenza ; esso rappresenta la forma più generale di analisi e di
sintesi del pensiero. Alla categoria dei giudizi di relazione appartengono
inoltre il giudizio ipotetico e il disgiuntivo (v. imporatico). Categorumeni.
Aristotele distingueva, oltre le dieci categorie, che sono i predicati, anche
cinque categorumeni, ossia i predicabili, i predicati dei predicati. Sono:
genere (Ὑένος), specie (εἴδος), differenza (διαφορά), proprio (Ἴδιον),
acoidente (συμβεβηκός). Gli scoliasti greci li chiamavano generalmente le
cingue vooi (rèvte φωνάς), appunto per indicare che sono epiteti cho si possono
dare allo dieci categorie, le quali invece sono le cose stesse che si
predicano. Ciascuna di queste cose, se si considera iu relazione con le idee
esprimenti la sua divorsa catensione, può essere specie, differenza, genere,
proprio, accidente o tutto questo insieme; così la quantità può essere un
proprio di quantità, come del corpo è propria una quantità figurata, o un
accidente, come è un accidente la quantità determinata di materia componente il
corpo di un uomo, il quale può essere più o meno grande. Il Rosmini ammette
invece sette predicabili, divisi in due classi, di cui la prima ha per base l’
estensione, la seconda la comprensione : alla prima classe appartengono
l'onsenza universalissima, essere ideale indeterminato, idea dell’ essere (che
è non solo fuori di tutti i generi, in quanto si predica di tutti, ma è anche a
tutti superiore, 9 come per #2 esente dà una differenza mussima da essi),
l’essensa generica, idea generica, genere, e l'essenza specifica, idea specitica,
spocie; alla seconda la differenza specifica, che è ciò che la specie comprendo
più del genere, il proprio, che è ciò che l'individuo comprendo di necessario
più della specie, 163 Cau l’aocidente, che è ciò che di non
necessario 1) individuo comprende più della specie, il reale, che esce dal
novero delle idee, ed è il massimo comprensivo come 1’ essere ideale è il
massimo estensivo. Cfr. Simplicio, In Arist. Categ., 1534; Prantl, Gesohichle
d. Logik, 1885, I, 395; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 97;
Rosmini, Logica, 1853, § 413-416. Causa. T. Ursache; 1. Cause; F. Cause. La
parola causa è adoperata comunemente per designare ciò che produce una cosa o
un fatto, le loro condizioni necessarie, ciò, insomma, senza di cui cosu e
fatto non sarebbero. Boezio la definisce: causa est, quam de necessitate
sequitur aliquid, seilicet oausatum. Guglielmo di Occam: causa sunt quibus
positis sequitur effectus. Cartesio: Jam vero lumine naturali manifestum est tantumdem
ad minimum esse debere in causa efficiente et totali, quantum in eiusdem causa
effectu. Hobbes: «una causa è la somma o l’aggregato di tutti quegli accidenti,
sia nell’ agente che nel paziente, i quali concorrono alla produzione dell’
effetto ». Malebranche: La vera causa è quella tra la quale e il suo effetto lo
spirito percepisce un legame necessario ». ('. Wolff: oausa est principium, a
quo eristentia sive actualilas entis alterius ab ipso diversi dependet tum
quatenua existit, tum quatenue tale existit. James Mill: Una causa, o il potere
di una causa, non sono due cose, ma due nomi per la stessa cosa; I’ idea di
causa come esistente è seguìta irresistibilmente dall’ idea di effetto come
esistente ». Kant: una particolar specie di sintesi,... per cui da un 4 vien
posto un Β da esso totalmente diverso secondo una regola generale >; egli
considera la nozione di causa e di effetto come una delle forme dell’
intendimento, una delle condizioni sotto cui dobbiamo pensare; noi siamo
costretti da una legge della nostra mente a disporre le impressioni della
esperienza secondo ‘questa forma. Ora codesta idea comune di causa è costituita
da altre idee, di oni la critica filosofica, cominciando Cav dal Hume, ha
esaminato il valore, La prima idea è quella di produzione: dicendosi che il
fatto 4 è causa del fatto B, si intendo che il fatto 4 abbin prodotto il fatto
B; così nel fatto del riscaldarsi di un pezzo di ferro (effetto) in seguito a
colpi ripetuti di martello (causa), il primo di codesti fatti sarebbe prodotto
dal secondo. Ora questa iden è errones : essa ha le sue radici nel sentimento
dello sforzo volontario, mediante il quale sentiamo in noi la capacità di
produrre un fatto nuovo che altrimenti non si produrrebbe. Codesta capacità,
codesta attitudine soggettiva noi la obbiettiviamo ponendola nelle cose. La nozione
di causa, dice Maine de Biran, ha origine dalla coscienza del potere della
nostra volontà, che riconosce la volontà come causa delle nostre azioni; e con
nna specie di analogia trasportiamo questo potere personale a tutte le
operazioni della natura». Ma un'attività produttiva nelle cose è affatto inintelligibile:
i colpi del martello e il riscaldamento del pezzo di ferro sono due fatti
eterogenei, cosicchè per ammettere che il primo abbia prodotto il secondo,
bisognerebbe ammettere che questo fosse contenuto in quello o ne facesse parte;
il che è nssurdo. La seconda idea è quella di necessità, ed essa pure è
illegittima, in quanto non fucciamo che collocare nelle cose ciò che non è che
un puro prodotto logico della nostra attività mentale. Fuori di noi non esiste
necessità, ma soltanto qualche cosa di analogo da cui quell’ idea deriva; 6
ciod la costanza nella successione dei fatti. Dacchè due avvenimenti d’ una
certa specie, dice Hume, sono stati sempre ο in tutti i casi percepiti insieme,
noi non ci facciamo più il minimo riguardo di presagire l’uno alla vista
dell’altro allora chiamando I’ uno di essi causa e l’altro effetto, li
supponiamo in uno stato di connessione: diamo al primo un potere per eni il
secondo è infallibilmente prodotto, una forza che opera con la maggior certezza
9 con In più inevitnbile necessità ». La terza idea che entra a costituire 165 Cau
il concetto di causa è appunto l’idea di successione. Essn è perfettamente
legittima, e senza di essa non sarebbe nemmeno concepibile la nozione di causa,
che è ciò per cui un’altra cosa è: se B precedesse 4, non potrebbe in nessun
modo esser concepito come effetto. Da ciò la definizione dello Stuart Mill, che
la causa non è altro che l’antocedonte invariabile e incondizionato di un
fenomeno. Che 1’ antecedente debba essere invariabile, è implicito nella
nozione stessa di causa, perchè se la causa è quella che pone l’effetto, non
può esser causa un antecedente al quale non sempre segue l’effetto, quando una
causa negativa non intervenga; che debba poi essero incondiziunato lo prova il
fatto che due fenomeni possono succedersi invariabilmente, come il giorno e la
notte, quando siano effetti collaterali di un altro fenomeno: nel qual caso, se
v’ ha successione invariabile, non v’ ha però causalità. Aristotele distingueva
quattro sorta di cause: la formalo o essenza, la materiale o sostrato, la
efficiente o movente e la final; lo prime due furon anche dette talora
intrinseche. Queste quattro cause si trovano attuate in ogni cosa, perchè esse
costituiscono, secondo Aristotele, i quattro prineipt fondamentali ed
universali delle cose. Si abbia una statua: essa è fatta d’una certa materia,
sia marino ο bronzo; è secondo un certo modello ο idea, giacchè lu statna non
sarebbe statua senza una forma; © per mezzo della mano, ossia di uno stromento
operante, efticiente; © dietro un dato scopo, giacchò non vi sarebbe la statua
se lo scultore non si fosse proposto un qualche scopo. In Iti casi la causa
efficiente, la finale la formale si medesimano; infatti l’idea può costituire
ad un tempo lo scopo, la forma e la causa efficiente d’ un essere. Quando la
parola causa è adoperata senza qualificativo, essa designa sempre la causa
efficiente, che Aristotele chinma la cansa nel senso primo e principale della
parola. Si dice causa prima quella che non è, alla sua volta, eftetto d’
un'altra causn antecedente; cause seconde quelle invece che sono effetti di
cause anteriori. La causa prima è Dio. La causa si dice prossima o immediata
quando fra essa e il proprio effetto non v’ha termine o serie di termini
intermedi; se questi termini vi sono la causa si dice lontana o mediata. Causa
strumentale si disse il mezzo, lo stromento di cui si serve una causa
intelligente per raggiungere il proprio fine. Causa esemplare si disse invece
il modello, il tipo che I’ artista cerca di imitare: nell’ idealismo platonico
la causa esemplare à l’Idea. Causa univoca è quella che produce un effetto
della medesima specie o natura, come il calore che riscalda; causa eguivoca,
quella che produce un effetto di natura diversa, come l’alcoolismo che è causa
di pazzia; cnusa estrinseca quella che si distingue realmente e adeguatamente
dall’ effetto, causa intrinseca le parti di cui un composto risulta, come
l’anima e il corpo rispetto all’ uomo. Cfr. Aristotele, Meth., V, 2, 1013 a, 24
segg.; Sesto Emp., Ade, Math., IX, 228; Goclenio, Lezioon phil., 1618, p. 355;
Cartesio, Mod., III, 18; Bossuet, Traité des causes, 1875; Chr. Wolff, Ontologia, 1736, $ 881;
James Mill, Analysis of the phen. of mind., 1829, ο. 24; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 108; Hume, Essais philos., 1790, 1, 129
segg.; J. S. Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, ο. V (v. composizione delle
cause, condizione, sofiemi di falsa causa, causa finale, causa occasionale,
causalità, determinismo, ecc.). Causa finale. Lut. Causa finalis; T.
Zweckursache ; I. Final cause: F. Cause finale. Lo scopo, la ragione per cui
una coms è compiuta, per cui un fatto avviene. Lo scopo è il termine iniziale;
ma siccome esso determina, come cuusa efticiente, la serie dei fatti che deve
condurre al termino finale, così il termine iniziale diviene la causa finale.
Finis ext prior in intentione sed posterior in ezocutione, dicevano gli
scolastici. Si oppone a causa meccanica o naturale, che è quella che si
realizza inconsciamente, senza la concezione del fine: nella causa finale si ha
un 167 Cav rapporto di mezzo a fine, nella naturale
un rapporto di causa ad effetto. Dicesi teleologico ο finalistico il metodo che
consiste nello spiegare le cose mediante il fine per cui furono create, e
teleologia la dottrina delle cause finali. Nella storia della filosofia le
cause finali furono intese principalmente in tre modi; da principio I’ uomo
considera sò stesso come centro dell’ universo, e crede che tutte le cose siano
state create per servire di mezzo ai suoi fini; poi consi dera la natura come
creata in vista di un fine, che non è l’uomo, che anzi trascende l'intelligenza
umana, ma che si rivela nell’ ordine ο nelle leggi dell'universo; infine la
finalità à ristretta agli organismi nei quali tanto gli organi che le funzioni
tenderebbero alla conservazione della vita. La scienza moderna respinge come dannosa
la ricerca delle cause finali, e dimostra che l'illusione teleologica trae origine
dall'azione volontaria, nella quale realmente si ha la rappresentazione di un
fine che diventa a sua volta causa, La nostra meraviglia alla vista della
perfezione infinita e della finalità delle opere della natura, dice lo
Schopenhauer, . deriva dal fatto che noi Ja consideriamo come consideriamo le
nostre proprie opere. In queste la volontà ο l'opera sono di due specie
differenti: poi, tra queste due cose, ce ne sono ancora due altre: 1°
l'intelligenza, straniera alla volontà in sò stessa, e che è un mezzo che
questa tuttavia deve attraversare prima di realizzarsi; 2° una materia
straniera alla volontà 9 che deve ricevere da essa una forma e riceverla per
forza, perchè codesta volontà lotta contro un’altra che è la natura stessa di
tale materia. Tutto diversamente accade nelle opere della natura;... qui la
materia, quando la si separa dalla forma, come nell’ opera d’arte, è una pura
astrazione, un essere di ragione del quale non v’ ha alcuna esperienza
possibile. La materia dell’opera d’arte è, al contrario, empirica. L’ identità
della materia e della forma è il carattere del prodotto naturale; la loro
diversità del prodotto dell’ arte >. E assai prima aveva seritto lo Spinoza:
Cau 168 Tutte le cause finali non sono altro che pure
finzioni imaginate dagli uomini. Il primo difetto di codesta dottrina è di
considerare come causa ciò che è effetto, e viceversa; in secondo luogo, ciò
che per sua natura possiede l’anteriorità, essa gli assegna un luogo posteriore
; infine essa abbassa all’ ultimo gradino della imperfezione cid che v’ ha di
più elevato e di più perfetto ». Cfr. Platone, Filebo, 54 0; Aristotele,
Metaph., V, 2, 1013 u, 29 segg.; Cicerone, De nat. deorum, |. 2; Spinoza,
Ethica, I, appendice; P. Janet, Final causes, trad. ingl. 1883; Sully
Pradhomme, I! problema delle cause finali, trad. it. 1903; E. Regalia, Contro
una teleologia fisiologica, Archivio per l’Antropologia », 1897, XXVII, fasc.
3; Ardigò, Op. fil., II, 254 segg.; III, 288 segg.; IV, 244 segg. (v.
antropooentriemo, geocentrismo, teleologia, finalità, fine). Causale. T.
Causal, ursächlioh; I. Causal; F. Causal. ‘Tutto ciò che si riferisce alla
causa: così ai dice legame causale, necessità causale, rapporto causale, eco.
Con 1’ espressione complessità causale si indica che molte sono le cause che
contribuiscono a determinare un fenomeno, cosicchè duto nu effetto non è data
assolutamente la sua causa; n determinare la causa vera di un fenomeno vale I’
eliminazione delle accessorio. Causalità. Lat. Causalitas ; T. Cansalitàt; I.
Causality, Causation ; F. Causalité. Esprime il rapporto della causa all’
effetto. Dicesi causalità immanente quella di uns sostanza o di un essere che
produce, per propria azione, le proprie qualità ο modi; dicesi transitiva
quella in cui l’azione enusatrice è concepita come passante da una sostanza ad
un’altra. Dicesi causalità empirica quella in cui In causa è l’insiomo delle
circostanze o dei fatti mediante i quali un fenomeno avviene sempre, e senza
dei quali non avviene mai; dicesi invece metafisica quella in cui la causa non
è già nu fenomeno, ma una sostanza attiva come Dio, un potere spontaneo come la
volontà. Il principio o legge 169 Cau di causalità è uno dei postulati
fondamentali del pensiero, ο può enunciarsi semplicemente così: ogni fenomeno
ha una causa; oppure: nulla vi ha senza causa. Lo Spinoza lo formula così: Essendo
data una determinata causa, ne risulta necessariamente un effetto; al
contrario, se non è data alcuna causa determinata, è impossibile che un effetto
si produca ». Leibnitz: Nulla accade senza uns causa 0 almeno una ragione
determinante, cioè qualche cosa che possa servire a render ragione a priori del
porchè ciò è esistente invece che inesistente © del perchè ciò è così piuttosto
che in tutt'altro modo ». Kant lo formula in due modi differenti: 1° Principio
della produzione (Erzewgung): tutto ciò che accade, o comincia ad essere,
suppone prima di lui qualche cosa da cui risulta secondo uua regola »; 2° Principio
della successione nel tempo (Zeitfolge) secondo la legge di causalità: tutti i
cangiamenti succedono secondo la legge del legame tra la causa ο l’effetto ».
Schopenhauer lo chiama principio della ragion sufficiente del divenire,
principium rationis suficientie flendi, e lo enuncis così: Quando si produce un
nuovo stato d’ uno 0 oggetti reali, è necessario che sia stato preceduto da un
altro stato, da cui risulta regolarmente, vale » dire tutto le volte che il
primo ha Inogo ». Anche per il Lippe il principio di causalità è un caso
speciale del principio di ragion sufficiente, ο si formula così: Ogni
cangiamento nel contenuto di una rappresentazione imposta, suppone un cangiamento
nelle condizioni della rappresentazione stessa ». Il Wundt fa originare il
principio di cansalità da un'azione reciproca (Weokseltoirkwng) tra il nostro
pensiero e l’esperienza, e lo considera egli pure come una spplicazione del
principio di ragion sufficiente al contenuto dell’ esperienza: La leggo di
causalità non è una legge d’ esperienza nel senso, che sin ottenuta mediante
l’esperienza, ma soltanto nel senso che vale a priori per ogni esperienza,
poichè il nostro pensiero può riunire e ordinare le esperienze solamente in
quanto Cav 170 le raccoglie secondo il principio di ragion
sufficiente. Percid il principio di causalità porta in sò il doppio carattere
d’una legge e di un postulato >. Il principio di causalità, comunque
enunciato, importa dunque due fondamentali conseguenze. Primo: negazione della
possibilità di un comineiamento assoluto ; tutto ciò che incomineia ad essere
ho la propria ragion d’ essere in qualche cosa d’ anteriore: nessun cangiamento
si può produrre nel vuoto ο nel riposo ussoluto. Secondo: gli avvenimenti non
derivano gli uni dagli altri senza regola © senza ragione, ma con universale
costanza ed uniformità; la causa A che ha prodotto un effetto 8, lo produrrà
sempre, qualora, #’ intende, non intervenga l’azione d’una causa negativa; oid
per l'assioma fondamentale, che cause simili, in circostanze simili, producono
effetti simili. Il principio della uniformità della natura, come pure quello
della continuità naturale e dell’ inerzia, non sono dunque che oorollari del
principio di cuusalità, il quale trova la sua più profonda espressione nella
legge della conservazione della forsa. Accanto alla causalità fisica ο obbiettiva
alcuni filosofi pongono la causalità psichica ο soggettiva : Noi possiamo, dice
il Wandt,. esaminare le nostre rappresentazioni, per un canto in rapporto al
significato obbiettivo che loro attribuiamo: allora le portiamo nella
connessione della causalità naturale; ma noi possiamo anche ricercare le
condizioni soggettive dei loro rapporti di simultaneità ο di successione ;
allora entriamo nella sfera della causalità psichica, che procede sompre
parallelamente alla causalità naturale ». La causalità psichica si distinguo
dalla naturale o fisica in quanto non si risolve in un rapporto invariabilo di
mutazioni, ma si rivela come nn principio di azione tendente sempre al conseguimento
di un fine, e per di più è suscettibile di accrescimento e di sviluppo: gli
atti e le funzioni psichiche appaiono come una vera © propria creazione del
soggetto ο non hanno realtà fuori della sfera della coscienza indivi 171 Cau duale. La causalità psichica si distingue
dalla causalità psivofisica, che intercede reciprocamente tra psiche e
organismo : secondo le dottrine materialistiche tale causalità è una vera
trasformazione o continuità di nzione tra luna e l’altro, secondo le altre
dottrine è un puro rapporto di corrispondenza, o di successione, ο di fanzione
(nel senso matematico della parola) tra atti appartenenti a due realità
eterogenee, la peichica e l’organies. La causalità psichica si distingue infine
dall’ interpsiohica che è la risonanza o il consenso tra lo varie coscienze
individnali, per cni nella coscienza di ciaseuno si riflette lo stato mentale
della totalità, Cfr. Spinoza, Ethica, 1. I, ase. 3; Leibnitz, Teodioca, $ 44;
Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 108 seg.; Schopenhauer, l'eber die
vierf. Wurzel d. Satzes v. e. Grund., cap. IV, $ 20; Hamilton, Lectures on
metaph., 1859, vol. II, p. 376; J. Petersen, Kausalität, Doterminiemus und
Fataliemus, 1909; Lipps, Grendthatsachen d. Soolenlebons, 1873-94, p. 443;
Wandt, Logik, 1893, I, p. 549-565; De Sarlo, La causalità psichica, Coltura
filosofica >, luglio 1909; B. Baglioni, 1 principio di causalità e' la
causa, 1909. Causa occasionale. Lat. Causa oocasionalis; T. Gelegenheitsursache ; I.
Oocasional cause; F. Cause ocoasionelle. E la dottrina con eni la scuola cartesia spiega i rapporti tra Dio e il
mondo, e tra l’ anima, sostanza puramente pensante, e il corpo, la cui essenza
consiste nell’ estensione. Data l’opposizione assoluta esistente fra queste
entità, tali rapporti non sono spiegabili se non ammettendo che Dio, cioè la
causa prima, all’ occasione dei movimenti dell’anima eccita nel nostro corpo i
movimenti che a loro corrispondono, e all’occasione dei movimenti del corpo fa
nascere nell’ anima le idee che li rappresentano © le passioni di cui essi sono
l'oggetto. Dice Malebranche: Non v’ ha aleuff rapporto di causalità tra un
corpo ο uno spirito. Che dico! non ve n’ha alcuno da uno spirito a un corpo.
Dico ancora più, non ve n’ha alcuno da corpo a corpo, nè du Cau 172 uno
spirito ad un altro apirito.... Non v'ha dunque cho un solo vero Dio, e uns
sola vera causa, che sia veramonte causa, 6 non si deve imaginare che ciò che
precede un effetto sia la vera causa ». L'importanza di questa dottrina sta in
ciò, che essa prepara la sostituzione del concetto critico di causalità sl
concetto volgare, che cousiste nel pensare la causalità nella natura in base a
quella del volere, e credere che tanto negli effetti del nostro volere quanto
in quelli delle cause fisiche, noi cogliamo propriamente una connessione
necessaria ; 1’ occasionalismo pone invece in evidenza la mancanza di un tale
nesso, o l’incomprensibilità di esso, o meglio la pura effettività d’ ogni
relazione causale tra fenomeni; il parallelismo tra anima © corpo; la costanza
e uniférmità effettiva o sperimentale delle leggi naturali. I due maggiori
rappresentanti dell’occasionalismo furono Geulinex e Malebranche. Cfr. Land, rn. Geulincr
und seine Philosophie, 1895; Malebranche, De la rech. de la verité, 1678, part.
II, 8; Id., Pensieri metaAsici,
trad. it. Novaro, 1911, pag. 40-48; M. Novaro, La teoria della causalità in
Malebranche, 1893. Causa sui. T. Selbetursache; I. First cause; F. Cause première. Nel linguaggio scolastico è la causa prima, la
causa che non è essa pure un effetto. Concepito 1’ universo come uns catena di
cause ed effetti, retrocedendo ο si va all'infinito, ο si deve arrestarsi ad
una causa che non è causata, la causa prima dalla quale discendo tatta lu serie
degli effetti, Dio. Ogni fenomeno deve avere unn causa, dice il Jevone, e
questa causa di nuovo uns causa, finch? noi siamo perduti nella infinità del
pussato e costretti a credere In una causa prima, da cui sia stato de_
terminato il corso della natura ». A ciò si obbietta, che in primo luogo è per
noi incomprensibile che una cosa sin causa ed effetto di sè medesima, e che
secondariamente la nostra esperienza non ci dà che fenomeni, dei quali vedinmo
soltanto il orescere, lo svilupparsi, il trasformarsi, 178 Cau-Crc non mai il nascere, e quindi il
parlare di causa o origine prima è illegittimo e illusorio. ‘Nella dottrina del
libero arbitrio anche la volontà umans è concepita come causa sui, Cfr.
Alfarabins, Fontes quastionum, cap. III; Jevons, The principles of science,
1879, p. 221. Causazione. Vocabolo improprio, che designa l’azione per mezzo
della quale una causa produce un determinato effetto; se la causa è mediata o
lontana, si usa anche l’espressione di proceso causativo. Cecità. T. Blindheit;
I. Blindness; F. Cécité. Può ensore totale, e cioè assenza congenita o
acquisita del senso della vista. Può essere parziale, e in tal caso può essere
limitata alla metà verticale degli oggetti, emianopsia, ο riguardare soltanto
il color rosso, daltonismo, o alcuni colori, disoromatopsia, o tutti i colori,
acromatismo. Il Munk chiama cecità psichica e lo Charchot cecità mentale lo
stato degli animali in seguito alla distruzione o alla lesione grave dei lobi
cerebrali; per effetto di tale distruzione l’ animale non comprende più il
senso di ciò che intende e vede, non si spaventa se minacciato, non ascolta
quando lo si chiama, mangia anche il cadavere d’un individuo della sua razza,
ecc. Il Munk spiega tali fenomeni con la perdita delle imagini della memoria,
che permettono di riconoscere e comprendere le nuove eceitasioni. Dicesi ocoità
verbale 0 alessia. uns forma di amnesia verbale che consiste nella perdita
della memoria visiva della parola in quanto scritta, e dipende da lesione o
atrofia dei centri visivi superiori. 11 soggetto può parlare ma non leggere,
queutunque le parole siano scritte sotto i suoi occhi ed egli ne comprenda
perfettamente il significato. La cecità verbale si distingue dalla ceoità
letterale, che consiste nella pordita della memoria delle lettere soritte, ©
dalla cooità peichica delle parole, che consiste in ciò che l’ammalato può
leggere le lettere e le parole, senza però capirne il significato. In senno
fignrato naasi anche l’espressione ceità morale, per CEL designare V’assenza ο
la degenerazione del senso morale, che si osserva in individui mentalmente
deboli; i ciechi morali si distinguono dagli anestetici del senso morale che,
al contrario dei primi, possiedono una coscienza morale, ma sono incapaci di
obbedirla, perchè mancano delle tendense emotivo necessarie, e dagli abulioi
morali che, pure possedendo tali tendenze, sono troppo deboli per lottare
contro quelle che li spingono invece al soddisfacimento dei loro appetiti e
delle loro passioni. Cfr. Ribot, Les maladies dela memoire, 1909; Id., Payohol. des sentiments,
p. 298, 349; E. Brissaud, Malattie dell’ enogfalo, trad. it. 1906, p. 107 seg
Celantes. Termine di convenzione
mnemonica con cui si designa nella logica formale uno dei modi indiretti della
prima delle tre figure del sillogismo, riconosciute da Aristotele. Come
indicano le tro vocali, questo modo ha In maggiore e la conclusione universali
negative, la minore universale affermativa. Questo modo è lo stesso del Calentes
della quarta figura, ma è ricondotto alla prima per la conversione della
conclusione ο la trasposizione delle premesse. Celarent. Termine mnemonico di
convenzione, che desigua un modo della prima figura del sillogismo, in cui,
como indicano le tre vocali, la maggiore ¢ la conclusione sono proposizioni
universali negative, la minore universale negativa. Es. Nessun essere mortale à
infallibile -tutti gli uomini sono esseri mortali dunque nessun nomo è infallibile.
Corrisponde all’&ypaye dei greci. Cellula. T. Zelle; 1. Cell; F. Cellule. È
Vindividualita organica elementare; fu detta anche otricolo, granulo, ece.;
Virchow la denominò focolare di rita. La parte essenziale della cellula è il
protoplasma, sostanza granulosa, semifinida, elastica, in cui si verificano la
maggior parte dei fenomeni vitali della cellula, cioè le funzioni della vita
vegetativa ο le funzioni della vita di relazione. Tali funzioni sono
considerate dalla biologia moderna come ensen 175 το ὅσν zialmente chimiche: la costituzione
chimica della collula è determinata ma variabile, poichè allo stato normale
eusa subisce delle continue diegregazioni e riparazioni; tra i molteplici
fenomeni chimici che in essa si notano, il principale è una grandissima
affinità per l'ossigeno, sia libero sia debolmente combinato. In seguito a
questa instabilità chimica, ogni cangiamento di stato della cellula determina
una eccitazione, e per conseguenza una risposta della cellula stessa alla
irritazione, di temperatura, di elettricità e di pressione, secondo le quali
possono operarsi le reazioni chimiche in cui consiste la vita della cellula.
Tale è il punto di partenza di tutte le azioni di cui gli esseri viventi sono i
produttori. La forza vi è condensata sotto la forma di energia chimica, e si
manifesta al di fuori sia per nn movimento, sia per la luce, sia per
l'elettricità, sia per il calore, sia per il pensiero. Ogni essere vivente è
costituito ο da una cellula (unicellulari) o da un aggregato di cellule
(pluricellulari); negli individui pluricellulari l’unità è data
all’aggregazione del sistema nervoso, che generalizza le irritazioni e
raccoglie in un centro le ecoitazioni sensibili e da esso tramanda le
eccitazioni motri Cfr. Henneguy, Leçons sur la morphologie et la reproduotion
de la cellule, 1896; Année peychologique, tomo II, 1896; Werworn, Fisiologia
generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. animismo, rita, vitaliemo). :
Cellulare (pricologia). I. Collular psychology; F. Paychologie cellulaire. La
psicologia delle cellule, di cui specialmente si ocenparono I’ Haeckol, il
Werworn, il Binet. Secondo questa teoria, ogni cellula, sia vegetale che
animale, sia isolata che facente parte d’un organismo pluricellulare, ha una
vita psichica, ciod la fucoltà di sentire le eccitazioni di varia natura e di
reagire a questi eccitamenti con determinati movimenti. La tesi fondamentale su
cui la psicologia colInlare si fonda è: siccome la psiche dell’ animale è la risultante
di tutto 1’ organismo in funzione del quale si Cer ~ 176 svolge e si complica, così necessariamente
tutti gli elementi dell’ organismo, che concorrono a formare questo prodotto,
parteciperanno della sua proprietà generale, che è di essere cosciente, 9 le
cellule di tutti i corpi avranno perciò la coscienza dei loro atti. A questa
tesi perd fu opposto che un prodotto qualsiasi non è dato dalla semplice somma
delle sue unità elementari, e le qualità che lo accompagnano non corrispondono
all’addizione delle qualità per cui si distinguono i suoi elementi ; ogui
fenomeno, dice il Lewes, è un fatto emergente non semplicemente risultante,
emerge cioè dalle unità combinate come un nuovo fenomeno con caratteri propri e
specifici e irreducibili ; perciò è falso cavare dal fatto che la coscienza è
il prodotto dell’ intero organismo, la conseguenza che anche lo parti di questo
organismo saranno coscienti. Cfr. Werworn, Psycho-pAysiologischen Protisten, 1889;
Haeckl, Essai de payohol. cellulaire, trad. frano. 1880; Binet, La vie
peychique des micro-organiames, in Lo félioleme dans Vamour, 1891; Lewes,
Problems of Life and mind, 1879, cap. II; A. Groppali, Sociologia e psicologia, 1902, p. 103-180; G.
Bilancioni, Za psicologia cellulare, 1903. Cellulari (teorie). Le teorio con le
quali si è cercato di spiegare sia l’origine delle cellule, e quindi della
vita, sin la formazione cellulare degli orgaui. Rispetto al primo problema, i
moderni biologi propendono in geueralo a ritenere che la prima formazione
cellulare non sia stata che rina semplice combinazione chimica; ciò sarebbe
comprovato dai tentativi fatti da alcuni fisiologi (Mantegazza, Monnier,
Virchow), tentativi in parte riusci nere artificialmente, modiante combinazioni
chimiche, una sostanza analoga al protoplasma e cupace di movimento. La vita si
originerebbe per tal modo dalla materia inorganica. Quanto alla seconda
questione, due sono le teorie principali: quella della Hibera formazione
cellulare e quella della moltiplicazione cellulare. Secondo la prima, da un liqnido
formativo dotto Mastema, si forma liberamente ogni 177 CEN
cellula, © cioè prima il nucleolo, poi il nucleo, poi la membrana, infine il
liquido che riempie la cellula. Questa teoria è combattuta dalla maggior parte
dei moderni biologi, perchè la smentiscono vari fatti, fra cui quello che molte
cellule giovani mancano di nucleo, e che nelle formazioni morbose molte cellule
si formano per moltiplicazione di ‘altre preesistenti ; è quindi preferita
l’altra teoria, che cioè ogni cellula non può originarsi che per
moltiplicazione da un’altra cellula ad essa preesistente: omnis cellula ο
cellula (Virchow). Così questo secondo problema si riconnette al primo. Cfr. Delage, La structure
du protoplasme et les théories sur Vhérédité, 1895; Werworn, Fisiologia
generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. cellula, duodinamiemo, meccanismo, protoplaema, vitalismo, vita).
Conestesi (xoivi comune; αἴσθησις =
sensazione). Lat. Coenassthesis; T. Gemeinempfindung, Gemeingefühl; I. Com: mon
sensibility ; F. Sensations internes, Coencathéoie. Si adopera per designare
tanto la sensibilità generale, sia interna che esterna, quanto l'insieme delle
sensazioni interne ο della vita organica. Questo secondo è il significato più
in uso. La cenestesi è quindi la totalità delle sensazioni prodotte nel
cervello dagli stimoli che provengono da tutte le parti © da tutti gli organi
del corpo. Il Wundt la definisco il sentimonto complessivo nel quale «’ esprime
lo stato generale della nostra buona o cattiva disposizione sensibile ».
Solitamente infatti codeste sensazioni non sono che gli elementi di an
sentimento generale di benessere 0 di malessere, che corrisponde allo stato
degli organi medesimi ο la cui tonalità è in rapporto diretto con la
composizione e la circolazione del sangue, con la secrezione maggiore ο minore
delle glandule, con la rapidità o difficoltà della respirazione e della
digestione, col rilassamento ο contrazione dei mnscoli volontari ο involontari.
Questi fattori agiscono tutti contemporaneamente, ed è perciò che il senso
generale che ne risulta ci appare come semplice ed omogeneo, mentre 12 Raxzots, Dirion. di scienze filosoficlie. CEN 178 in
realtà è molteplico e quindi in sò medesimo vario. Le sensazioni cenestesiche
sono le più oscure ed indeterminate, anche perchè, a differenza dello
sensazioni esterne, non sono distinguibili nettamente nd allo stato normale,
perchè troppo deboli, nd allo stato anormale, perchè troppo forti.
Ordinariamente il senso generale è intonato dall’ azione predominante di questo
o quell’ organo, senza però che ciò appaia alla coscienza. Cfr. Sully, Outlines of
peychol., 1885, p109 sogg.; Wundt, Grundrise d. Peychol., 1896, p. 55, 189;
Beaunis, Les sensations internen, 1889; Ardigd, Op. All, I, 423 segg.; IV, 378 segg. Cenogenesi. La teoria
che ammette anche nell’ embrione 1’ aduttamento a nuove condizioni di vita, che
dà luogo a nuove forme mancanti nella figura originaria, trasmessa dalla
eredità, della forma stipite. Per tal modo i fenomeni dell’ ontogenesi, ο
evoluzione individuale, si dividono in due gruppi: il primo, detto palingenesi,
ci presenta dinanzi quelle antichissime condizioni di struttura che sono state
trasmesse per eredità dalle forme-stipiti primitive; il secondo, detto
conogenesi, altera l’ aspetto originario del processo evolutivo con
l'introduzione di nuovi caratteri, mancanti nelle forme stipiti, e acquistati
dalle forme embrionali per adattamento alle condizioni speciali del loro
sviluppo individuale. Tali caratteri nuovi diconsi cenogenie. Cfr. Haeckel,
Antropogenia, trad. it. 1895, p. 621. Centrale. 1. Central; I. Central; F.
Central. Si dice, per opposizione a periferico, di tutto ciò che è o avviene
nel cervello, nel cervelletto, nel midollo allungato e spinale. Così per la
visione si hanno degli organi periferici (occhio © sue parti, nervi ottici,
ecc.) e degli organi centrali (i tubercoli quadrigemini del cervello, ecc.); lo
stimolo che agisce sulla retina e determina, nel nervo ottico, una cortento
nervosa centripeta, è un fenomeno periferico; la coscienza di questo stimolo
(sensazione), che si desta nel cervello, è un fenomeno centrale. |
Centralissasione (legge di). Una delle leggi di progresso nel mondo organico:
nell'evoluzione degli organismi, accanto al differenziamento, si verifica una
subordinazione sempre maggiore delle parti e una crescente centralizzazione
delle fanzioni e degli organi. Centripeto e centrifugo. Dicesi centripeta una
forza «diretta verso il centro di curvatura della traiettoria d’un punto
materiale, e che mantiene il mobile su questa traicttoria; e forza centrifuga
la reazione che un mobile assoggettato a descrivere una curva fissa, esercita
contro questa curva. Dicesi corrente nervosa centrifuga, ο, semplicemente,
fenomeno centrifugo, quello che #’inizia in un centro nervoso e si trasmette
attraverso il cilindro assile d’ una fibra fino ad on muscolo o ad una
glandola. La corrente centripeta è invece quella che s’ inizia in un qualsiasi
organo posto alla periforia del corpo e di IA si trasmette ad un ganglio ο ad
una muses di sostanza grigia. Centro. T. Centrum; I. Centre; F. Centre. Nella
psicologia fisiologica diconsi centri ideatiti, per opposizione ai motori, quei
centri della parte anteriore del cervello ove si fissano le imagini, e da cui
partono le correnti intercerebrali per i centri motori; e centri percettivi,
quelle areo della superficio corticale del cervello in cui si raggruppa un
maggior numero di cellule, e quindi di fibre nervone, legate ad un determinato
organo di senso, dal quale rice. vono le eccitazioni. L'estensione di codeste
zone è naturalmente in rapporto coll’ importanza del senso cui presiedono, ciod
maggiore per il tatto, la vista, l'udito, minore per il gusto e l'olfatto. La
loro costituziono non esclude che esistano in altre regioni del cervello altre
cellule ed altre fibre collegate col senso medesimo. Dai centri percettivi
sarebbero separati i centri motori, dai quali soltanto partono gli impulsi ai
movimenti e in cui si fissano le imagini dei movimenti stessi. Nella meccanica
razionale dicesi centro dei momenti il punto per rapporto al quale si prendono
CEN-CER 180 i momenti d’ un sistema di forze situate in
uno stesso piano, ϱ centro delle forse parallele il punto per il quale passa costantemente
la risultante di un sistema di forze parallele, quando si fa variare la loro
direzione comune senza far variare la loro intensità o facendole variare
proporzionalmente. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de la pensée, trad. franc. 1888; G. Sergi, La peychologie physiologique,
1888, 1. II (v. ciraonvoluzioni, localiszazione cerebrale). Centro di
creazione, Alcuni segunci della dottrina del trasformismo biologico, tra cui il
Darwin e l’ Haeckel, ritengono che ogni specie animale e vegetale non sia nata
che una sola volta nel corso del tempo (origine omocrona) e in un solo punto
del globo, detto perciò il sno centro di creazione. A questa legge si
sottrarrebbero però, secondo V Haeckel, gli ibridi e gli individui di struttura
semplice. Cfr. De Quatrefages, La specie umana, trad. it. 1871; Haeckel, I
problomi dell’ unteereo, trad. it. 1903, p. 340 (v. monogenismo). Cerebraxione.
L’insiemo dei processi fisiologici del cervello che corrispondono alla attività
psichica, Si dicono fatti di corebrazione incosciente, quei processi
fisiologici del cervello che si svolgono senza dar luogo ni fenomeni psichici
relativi, i quali appaiono improvvisamente solo alla fine dei processi medesimi
@ come risultato di essi. Il problema della cerebrazione incosciente,
aftacciato da principio dal fisiologo Carpenter, è oggi assai discusso dai
psicologi e dai fisiologi, e può formalarsi così: dobbiamo ritenere che alcuni
stati del sistema nervoso, normali ο patologici, rappresentino vere
interruzioni dei processi mentali, oppure che i detti processi, pur subendo
grandi oscillazioni d’intensità ο di lucidezza, da un massimo ad un minimo, non
subiscano mai durante la vita alcuna interruzione assoluta? La prima dottrina è
sostenuta oggi du autorevoli psicologi come il Mtinsterberg e il Ribot; la
seconda specialmente da coloro che adottano l'ipotesi del parallelismo 181 Cen
psico-fisico, estendendolo a tutti i processi specificamente vitali, o almeno a
quelli del sistema nervoso, e in special modo alla parte del sistema impegnata
nelle funzioni della vita animale o di relazione. Cfr. Max Dessoir, Das Unbewussten,
1910; Boris Sidis, Studies in mental dissociation, 1905; B. Hart, The
conception of the subconscious, Journal of abnormal psych. », IV, 1909-910;
Aljotta, Atti del V Congr. int. di peicol. a Roma, 1906. Certezza. T.
Gewissheit; I. Cortitude, Certainty ; F. Certitudo. Sia positiva che negativa,
è sempre uno stato mentale, e quindi soggettivo, che consiste nella persuasione
assoluta della verità cui l'intelligenza aderisce. 8. ‘Tommaso dice: Cortitudo
nihil aliud ost quam determinatio intellectus ad unum. Essa ha per condizioni:
la presenza di due o più mentalità dotate di un certo grado d’intensità; il
legame di una mentalità, o d’un gruppo di esse, a un’altra; la coscienza di un
legame energico, associativo, tra le due mentalità considerate. Si può avere
anche la certezza della falsità di un giudizio o di una idea: si cognoscimus,
dice Cr. Wolff, propositionem esse veram vel faleam, propositio nobis dioitur
esse certam. Si suole distinguere; sebbene impropriamente, la certezza
soggettica dalla oggettiva : quella è data dalla testimonianza della nostra
coscienza, irrecusabile per ciascuno di noi, ma che non può essere comunicata
agli altri, non essendo fondata su ragioni valide per tutte le coscienze;
questa, che è la certezza scientifica, e dicesi piuttosto eridenza, non dipende
da circostanze soggettive e può quindi essere condivisa da tutti. La
distinzione tra certezza cd evidenza è posta talvolta in modo diverso, ad es.
dul D’Alembert: L’ evidenza appartiene propriamente alle idee di oui lo spirito
percepisce immediatamente il legame; la certezza a quelle il cui legame non può
essere conosciuto che con l’aiuto d’un certo numero d’idee intermedie, o, che è
lo stesso, alle proposizioni la cui identità non può essere scoperta che con un
circolo più o meno Ces 182 lungo ». Si distinguono ancora varie specie di
certezza: 1° quella logica ο metafisica, che riguarda l’ ordino immutabile
dell’ ideale, dei supremi principi, ο si divide in intuitiva, quando 1’ idea
uppare immediatamente come evidente, e in razionale o discorsiva quando non
diviene evidente che in seguito ad altre idee, cioè mediante un raziocinio; 2°
quella fisica, che riguarda le coso sensibili, e può essa pure essere razionale
se si ricava indirettamente dalla percerione, peroettita se si ha
immediatamente; questa poi è psicologica quando la percezione si riferisce ad
un fatto interno o psichico, eetefica quando si riferisce ad un fatto esterno;
3° quella didascalica, che si fonda sopra la testimonianza ο autorità altrui, e
pnd essere dottrinale 0 storica a seconda che riguarda fatti attestati da
persone o dottrine tramandate da un maestro; 4° quella morale, che non bn un
significato preciso, cosicchè per alcuni logici antichi designa ciò che solitamente
dicesi certezza dottrinale e storica, per altri è la certezza subbiettiva ο
psicologica, per altri ancora quella che aderisce agli impulsi del sentimento e
dell’ istinto, ο, per i più, la certezza con cni si aderisce alla verità
dell'ordine morale. Cfr.
S. Tommaso, In Hb. sent., III, dist. 23, qu. 2, 2; Cr. Wolff, Philos.
rationalis, 1732, $ 564; D'Alembert, Disc. prélim. de 0 Enciolopédie, § 51;
Joh. Volket, Die Quellen der menschlichen Gewissheit, 1906; Rosmini, Logioa,
1853, $ 217-220; A. Farges, La orisi della certezza, trad. it. 1911 (v.
criterio). Cesare. ‘Termine
mnemonico di convenzione, corrispondente all’&ypape dei Greci, con eni si
designa, nella logica formale, quel modo della seconda figura del sillogismo,
che lia la premessa maggiore universale negativa, la minore uni versale
affermativa, ὁ la conclusione universale negativa. Es.: Nessun uccello è
mammifero, I pipistrelli sono mammiferi. Dunque i pipistrelli non sono uccelli.
Si riconduce al Celarent della prima figura mediante la conversione della
premessa maggiore. 188 Cat Chiaro. T. Klar, deutlioh; I. Clear,
evident; F. Clair. Nella terminologia cartesiana è chiara l’idea che è presente
e manifesta allo spirito, è distinta l’idea che è precisa ο ci fa differenziare
l'oggetto a cui si riferisce da tutti gli altri di cui abbiamo conoscenza;
tutto ciò di eni si ha una idea chiara e distinta è vero. Perciò la verità
fondamentale è nel cogito ergo sum »; esso infatti ha entrambi i caratteri
della chiarezza, perchè |’ Io è immediatamente presente et sò stesso, della
distinzione perchè 1’ Io è pensante e il pensiero costituisce la nota per la
quale si distingue da tutte le altre conoscenze. Alle idee chiare si oppongono
le oscure, alle distinte le confuse. Il Leibnitz ha adottato la stessa
differenza, spostando un poco il significato delle espressioni: per chiara egli
intende la rappresentazione che, diversa dalle altre, è atta al riconoscimento
del suo oggetto; per distinta quella che è chiara fino nei suoi eingoli
elementi e fino alla conoscenza del loro rapporto. Le verità @ priori
geometriche o metafisiche sono chiare e distinte, quelle a posteriori invece,
ossia le verità di fatto, sono chisre ma non distinte: le prime sono quindi
perfettamente trasparenti, congiunte con la convinzione dell’ impossibilità del
contrario; nelle seconde si può ancora pensare il contrario. Cfr. Cartesio,
Prino. phil., I, 45; Med., III, p. 15; Leibnitz, De cogn., Erdm. p. 19; E.
Grimm, Das Lehre von den angeborenen Ideen, 1873. Chimici (consi). Si dicono
tali, per distinguerli dui meccanici, quei sensi sopra i quali gli stimoli
esercitano una asione chimica: tali sono la vista, il gusto © l'olfatto.
Chirognomia. Gr. χείρ--mano; Ύνῶμα = contrassogno, cognizione. La pretesa di
predire il futuro relativamente a una persona e indovinarne il carattere e le
attitudini, coll’esame della mano e delle linee di essa. La psichiatria ©
l'antropologia hanno soltanto stabilito che Pirregolarit& dei solchi
palmari, le dita in soprannumero © in numero minore, e la torsione o l’atrofia
delle dita, Cix 184 specie il mignolo, rappresentano una stigmata
degenerativa, e sono frequenti negli idioti, nei pazzi e nei criminali. L’arte
della chirognomia si crede tniziata dal filosofo Anassagora, Cinematica. (Gr.
Κίνημα = movimento); T. Kinematik ; I. Kinematios; F. Cinématique. Vocabolo
introdotto nell’ uso dall’ Ampère, in luogo dell’antico di foronomia, per designare
lo stadio del movimento considerato astrattamente, prescindendo dalle cause e
dalle circostanze nelle quali si produce. Essa si occupa di tutte le
considerazioni che riguardano gli spasi percorsi nei differenti moti, i tempi
impiegati a percorrerli, la velocità, eco. Fa parte della meccanica. Cfr.
Ampère, Essai sur la philosophie des sciences, 1834. Cinestetiche (sensazioni).
(Gr. Κίνησις movimento; αἴσθησις sensazione); T. Bewegungsempfindungen ; I. Kinaesthetio;
F. Sensations kinesthésiques. Le sensazioni provocate dai movimenti, e
specialmente dalla contrazione dei muscoli volontari. Alcuni psicologi
ammettono che noi sentiamo non lo sforzo delle contrazioni muscolari, ma il
grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli per produrre una data
contrazione. Che esista questo senso dell’innervazione è provato dal fatto che
noi comunichiumo ai muscoli l’innervazione necessaria per produrre lo sforzo
muscolare corrispondente alla resistenza che deve essere superata. D’ altro
canto la psicologia sperimentale ha provato 1) esistenza del senso muscolare,
con la scoperta di fibre muscolari sensitive e della sensibilità dei tendini, i
quali, stimolati, danno movimenti riflessi. Cfr. Kreibig, Die fünf Sinne, 1907,
p. 21 seg.; E. Mach, Grundlinien der Lehre von den Bewegungsempfindungen, 1875;
H. C. Bastian, Le cerveau organe de la pensée, 1888, p. 279 segg.; Beaunis, Les
sens. internes, 1889 (v. articolare, muscolare). Cinici. T. Cyniker ; I.
Cyniques; F. Cyniques. Una delle scuole soeratiche minori, fondata da Antistene
al Cino 185 IR sarge. I cinici
esngerarono le dottrine di Socrate, avondo per sola mira di affrancarsi dalla
schiavitù esteriore ; infatti la loro dottrina si compendia tutta in una sola
massima: vivere secondo natura, Essi sostenevano che la virtù basta per sè
atesss a rendere felici, in quanto è appunto quella norma di vita che rende
l’uomo indipendente fino al possibile dalle vicende del mondo esterno,
insegnandogli a sopprimere i desideri ο a limitare fino all’ estremo i bisogni.
I cinici si possono riguardare come i precursori degli stoici. Nel linguaggio
comune le parole cinico e cintemo sono rimaste per designare il disprezzo delle
convenzioni sociali, dell’ opinione pubblica e anche della morale, sia negli
atti sin nell'espressione delle opinioni; e ciò per il fatto che i filosofi
cinici ponevano una radicale opposizione tra la natura e la legge o
convenzione, conformendosi s quella nella condotta pratica. Cfr. Diogene L.,
VI, 2; K. W. Gôttling, Diogenes der Kyniker, Ges. Abhandl. », I, 125 segg.; Zuccante,
Diogene, Cultura filos. », gennaio 1914; Windelband, Storia della filosofia,
trad. it., vol. I, p. 101 segg. (v. autarohia). Circoli tattili. T. Tasteirkel.
Il Weber chiamò così quelle superfici della pelle ove le due punto del
compasso, più o meno divaricate, si sentono come una punta sola; la distanza
fra le due punte rappresenta il diametro del circolo tattile. Quanto maggiore è
il grado d’acutenza della sensibilità tattile, tanto minore è il dismetro del
circolo tattile. Il punto più sensibile del corpo è l’ apice della lingua, il
cui il circolo hu il diametro di nn mm.; poi vengono le punte delle dita della
mano che sentono le due punte dell’ estesiometro quando sono divaricate poco
più di dne millimetri; seguono poi le labbra, la punta del naso, le guance,
eoc., fino a che si arriva alla coscia e al braccio, ove il circolo tattile ba,
secondo il Wundt, un diametro di 68 mm. Cfr. E. H. Weber, Annotationen anat. ot
phys., 1834; Fechner, Elem. d. Poychophyeik, 1860; Wundt, GrundCir 186 silgo d. phys. Psychologie, 3* ed., I, 391,
II, 10 segg.; Kreibig, Die fünf Sinne, 1907, p. 32-34 (v. esteriometro).
Ciroolo solido. Lat. Ciroulus materialis. Nella logica dicesi così quella
operazione mentale, che consiste nel passare dalla cognizione virtuale o
implicita del tutto, alla cognizione e all’ essme delle parti, per poi risalire
alla cognizione attuale ed esplicita del tutto medesimo. Così lo zoologo al al
quale si presenta un animale sconosciuto, prima lo conosce in modo implicito e
indistinto, poi ne studia distintamente i caratteri, gli organi, le funzioni,
ecc., infine raccoglie i risultati di questi suoi studi, in modo da avere dell’
animale una conoscenza più compiuta e sicura. Il circolo solido è detto anche
regresso. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, pag. 242 segg. Circolo vizioso. Lat. Ciroulus vitiosus ;
T. Zirkel, Zirkelbeweis; I. Cirole; F. Cercle ricieur. È un sofisma di ragionamento, il quale consiste nel
provare una proposizione, appoggiandosi sopra una seconda, la quale non può
provarsi se non appoggiandosi sulla prima. Ad es. : alcune idee sono innate
perchè anteriori dell’ esperienza, e sono anteriori all’esperienza perchd
innate. Oggi lo si denomina più comunemente petizione di principio, appunto
perchè consisto nel postulare fin da principio quello stesso che si vuol dimostrare;
nel linguaggio scolastico il circolo vizioso dicevasi anche oiroulus logious,
Dicevasi poi ciroulus materialis © regressus demonstrationis il ragionamento
con cui si prova la causa per gli effetti, e poi si provano gli effetti stessi
mediante la causa, considerata più attentamente e meglio conosciuta, Cfr.
Aristotele, Anal. pr., II, 5, 576, 18; Masci, Logica, 1899, p. 374 seg. (v.
diallelo). Circonvoluzioni cerebrali. F. Circonvolutione cérebrales. Rilievi a
forma di pieghe che rivestono la superficie del cervello, o mantello cerebrale,
determinato da solchi corrispondenti ο solssure. Si distinguono in cire.
profonde, limitate dalle scissure primarie e secondarie, e circ. di pasCir
raggio, che risultano da ramificazioni delle prime. Sembra esistere un certo
rapporto tra lo sviluppo della intelligenza e la profondità e quantità dello
scissure e circonvoluzioni cerebrali. La loro origine fu spiegata varismente :
1° per l’azione vascolare, cioè per l’azione meccanica esercitata dui rami
arteriosi corrispondenti alle scissure; 2° per I’ ineguale accrescimento della
superficie cerebrale, crescendo la superficie nel foto più presto in direzione
sagittale, ο determinando in tal modo una maggior tensione trasversale (Wundt);
3° per la sproporzione di acorescimento filogenetico tra oranio e cervello,
poichè crescendo di più il cervello (specie nella corteccia grigia, in cui si
esplica l’attività psichica) della scatola cranica che lo contiene, il primo è
costretto a pieghettarsi dovendo rimaner compreso nella seconda. Questa ultima
è forse la spiegazione più attendibile. Cfr. L. Clarke, Notes of researches on
the intimate struoture of the Brain, Proceed of the R. Society », 1863;
Bastian, Le cerveau organo de la pensée, 1888, vol. II, p. 14 segg. Cirenaici.
T. Kyrenaiker; F. Cyrénaiques. Una delle scuole socratiche minori, fondata da
Aristippo di Cirene. Essi ponevano come bene incondizionato, come fino n sè
stesso, il piacere attuale ο presente; fra i piaceri del corpo © quelli dello
spirito preferivano i primi, come più intensi e più vivi, non trascurando però
l'educazione dei secondi. Fondatore della scuola fu Aristippo, nato à rene
intorno al 435 a. C., da famiglia ricchissima, e vissuto qualche tempo ad
Atene, dove divenne.scoluro ed amico di Socrate. Per quanto possa parer strano,
egli non fece con la sua dottrina che svolgere nn elemento già contenuto nella
filosofia del maestro. Per il quale, com’ et noto, non c’è contraddizione tra
virtà ο felicità, anzi la virtù è il più delle volte indicata come il mezzo più
sicuro per arrivare alla felicità; in un luogo dei Memorabili, Socrate
dimostra, ad esempio, che la tempeCLa 188 ranza ci fa godere molto più della
intemperanza, e che perciò quella, anche sotto il rispetto del piacere, è da
preferirsi a questa: a seguire la virtù piuttosto che il vizio si trova sempre
da ultimo, se non da principio, il tornaconto. Aristippo prese dalla dottrina
socratica questo concetto, che conveniva alla sua natura ο al suo temperamento,
~ portandolo alle estreme conseguenze. Egli però, se riteneva che ogni piacere,
in generale, è buono per sò stesso © merita di essere cercato, insegnava anche
che certi piaceri devono essere fuggiti per i dolori che arrecano, che non
conviene violare le leggi per non incorrere nelle leggi penali e nella
disistima pubblica, e sovrattutto che l’uomo deve essere il signore del piacere
non lo schiavo: È siguor del piacere non colui che se ne astiene e lo fugge, ma
colui che ne usa senza lasciarsi trasportare, come è signore della nave o del
cavallo non già colui che rifagge dall’adoperarli ma colui che li conduce dove
vuole ». Morto Aristippo, la scuola continuò col nipote, poi con Teodoro
l’ateo, con Anniceride e finì circa due secoli dopo con Egesia: ma
l’insegnamento primitivo subì trasformazioni radicali, tantochd Teodoro pose
come scopo dell’ uomo non più il piacere ma la gioia e la serenità dell’ anima,
Egesia giudicò la felicità come irraggiungibile © descrisse con tanta officacia
i mali della vita, che molti furon tratti dal suo insegnamento al suicidio,
ond’ egli ebbe il soprannome di avvocato della morte, Πεισιθάνατος, e le
autorità di Alessandria ebbero a proibirgli per questa ragione di tenere
scuola, I cirenaici possono considerarsi i precursori dogli epienrei. Cfr.
Cicerone, Aoadem., IV, 24; A. Wendt, De philosophia Cyrenaioa, 1841; G.
Zuccante, I Cirenaici, Riv. di fil. », marzo 1912 (v. edonismo, morale). Clan.
T. Sippe; I. Clan; F. Clan. Nella sociologia si dà questo nome a tutte quello
forme primitive di società, che ripossno sopra la parentela ed hanno
costituzione guerriera © proprietà comune; in senso più ristretto, che è anche 189 Cia
il primitivo, designs le tribù delle isole britanniche, e particolarmente gli
Irlandesi e gli Higlanders di Scozia, viventi sotto il regime patriarcale.
Cfr.. Durkheim, Année sociologique, I, 9 e 31; Powell, ibid., IV, 125.
Classificazione. T. Classification; I. Classification; F. Classification. È
un'operazione logica, che consiste nel distinguere più oggetti o fatti in
classi o gruppi, secondo i rapporti di somiglianza ο differenza. La
classificazione dicesi sintetica quando parte da un oggetto complesso per
discendere 9 oggetti meno complessi e agli elementi primi componenti; analitica
se inverssmente; artificiale quando le completa conoscenza degli esseri che si
classificano, si fonda sopra un numero ristretto di caratteri, scelti non
secondo la loro importanza ma secondo la facilità di conoscerli; naturale
quando è fondata sopra la cognizione dei caratteri più importanti, palesi o
occulti, permanenti ο evolutivi. Il concetto di evoluzione, divenuto fondamentale
nella scienza moderna, ha dato luogo ad una nuova forma di classificazione,
detta genetica, che è la più perfetta in quanto considera le classi come il
prodotto più o meno stabile, ma non assolutamente invariabile, delle variazioni
causali delle proprietà ; perciò tutte le scienze tendono a costruire sul tipo
genetico le proprie classificazioni, che hanno però diverso valore nelle
scienze teoriche costrattive e nelle sperimentali: in quelle la genesi delle
forme è una costruzione nostra e quindi può essere varia, in queste la genesi
non è una costruzione nostra, ed è una, 9 quindi è una anche la classificazione
genetica possibile. Cfr. Wundt, Logik, 1898, II, 40. Classificazione delle
scienze. Per Aristotele, che fu il primo ad occuparsi del problema scientifico,
tutte le scienze sono subordinate alla filosofia prima (φιλοσοτία πρώτη) detta poi
metafisica, 9 queste scienze sono: la ieoretica di cui fanno parte la
matematica, la fisica, la atorin naturale; la pratica ciod la morale; In
poetica cioè 1’ enteCia tica. Per gli stoici invece tutte le scienze si
riducono a tre fondamentali: fisica, etica e logioa. La classificazione di
Aristotele rimase in vigore fino a che durò incontrastata l'autorità della sua
filosofia, vale a dire fino al Rinascimento. Bacone, primo nell’ evo moderno,
volle tentare una classificazione diversa, fondata sopra le tre grandi facoltà
in oui egli divideva lo spirito : memoria, imaginazione, ragione. Opers della
prima è la storia, della seconda la poesia, della terza la filosofia ; quest’
ultima ha un triplice oggetto: Dio (teologia), l’uomo considerato sia genericamente
che nel corpo e nello spirito, e la natura, onde abbraccia lo matematiche, la
filosofia naturale e la meta‘ fisica. Per Cartesio lo spirito nmano è come un
albero, di cui la fisica è il tronco, la metafisica le radici, i rami le altre
scienze, che si riducono a tre più importanti, ciod la medicina, la meccanica ©
la morale; la filosofia è tutto l’ albero. Notevole poi fu il tentativo di
classificazione fatto dal Diderot, nel I° vol. dell’ Enciclopedia; genialissimo
e compiuto quello dell’Ampère, che qui sarebbe troppo lungo ricordare, giucchè
di suddivisiono in snddivisione egli giunge ad enumerare 128 scienze. Augusto
Comte classificò le scienze a seconda del loro grado di complessità e la
rispettiva subordinazione, stabilendo la serio seguente: matematica,
astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia. La matematica vien prima,
perchè Ja più generale ο più semplico e meno subordinata; la sociologia ultima
perchè più particolare, più complessa, © richiede la conoscenza di tutte le
altre. Lo Spencer, tenendo conto delVoggetto delle scienze, le distingue in
astratte, che studiano i rapporti indipendentemente dai fenomeni e dagli
esseri, come la logica e la matematica; conorste, che studiano gli stessi
esseri naturali, come l'astronomia, la biologia, la psicologia, la sociologia;
astratte-conorete, che studiano i fenomeni indipendentemente dagli esseri, como
la mecca nica, la fisica © la chimioa. Tra i molti tentativi dei filosofi 191 CLa-CLE contemporanei per risolvere 1’ arduo
problema, ricorderemo ancora quello del Naville, che divide tutto il sapere in
tre grandi gruppi: 1° la teorematica, che comprende tutte le scienze delle
leggi, e ciod la nomologia, le scienze matematiche, fisiche e psicologiche, fra
oui è la sociologia; 2° la storia umana; 3° la canonica, che comprende tutte le
scienze delle regie ideali d’azione, e cioè le teorie dei mezzi ο delle arti,
le scienze morali e l'etica propriamente detta. Ad ogni modp, la
olassificazione più comune e praticamente usata, benchè poco scientifica, è la
seguente: 1° sciense matematiche (aritmetica, geometria, algebra, meccanica,
astronomia); 2° soiense fisiche (fisica e chimica); 3° acienze naturali
(mineralogia, geologia, botanica, zoologia, antropologia, anatomia, fisiologia,
etnologia, patologia, nosologia); 4° scienze morali (scienze sociali,
politiche, storiche e psicologiche). Claustrofobia. T. Alaustrophobic; 1.
Claustrophoby ; F. Claustrophobie. Con questo nome, introdotto nella terminologia
scientifica dal Ball, si denomina quello stato patologico che consiste nell’
orrore per i luoghi chiusi. Gli ammalati non possono sopportare d’essere chiusi
in una stanza, e certe volte nemmeno passare sotto una galleria o per una via
stretta: essi dicono di soffocare, di non poter respirare, di sentirsi
opprimere. La cluustrofobia è l'inverso dell’ agorafobia, ο l'una ο l’altra non
sono che casi particolari della fobia dei luoghi, o topofobia. Cfr. A. Verga,
La Claustrofobia, Rend. Ist. lombardo », 1878. Cleptomania. T. Kleptomanie,
Stehltrieb; I. Cleptomany; F. Cleptomanie. Fenomeno patologico, che consiste
nell’ impulso irresistibile a impossessarri di oggetti appartenenti ad altri,
anche se di nessun valore e pur essendo nell’ ammalato la coscienza dell’ atto
delittuoso che commette. In ciò sta la differenza tra il cleptomane e il pazzo
morale: questi ruba seguendo i suoi istinti perversi, obbedendo volontieri ad
nna volontà viziata per abitudine; quegli CLi-Con 192 invece cede ad un bisogno morboso
intermittente, contro il quale cerca di lottare ο al quale non cede che a
mnalincuore, come costretto da una forza più potente della sua volontà. Cfr.
Tamburini, Riv. oliniea, 1876; E. Brissaud, Malattie del? enogfalo, trad. it.
1906, p. 108 segg. Clinanem. Con questo nome Lucrezio designa quella
deolinazione degli atomi, che è I’ ipotesi fondamentale del sistema epicureo.
Secondo Epicuro, nello spazio infinito sono diffusi in numero infinito gli
atomi, che, essendo dotati di peso, cadono verticalmente con la stessa
velocità. Ma come si spiega allora la formazione delle cose e del mondo? In
questa eterna pioggia di atomi bisogna ammettere che alcuni, in momenti © posti
non determinati, deviino spontaneamente dalla linea verticale e per quel tanto
che basti a nrtare contro altri atomi vicini; questi, alla lor volta, producono
per rimbalzo altri urti, e così via via finchè si producono degli addensamenti
atomici, che, nell’infinita varietà delle combinazioni possibili, dànno luogo
ai mondi e alle cose. Su questa infrazione della legge di causalità fisico,
Epicuro fondava il libero arbitrio del volere, che egli riteneva indispensabile
alla felicità : I’ atto volontario è in relazione coi motivi; così il primo
come i secondi si riducono a moti atomici interni; mia siccome nei moti atomici
c'è la libertà, così il passaggio dai secondi ai primi non è una trasformazione
meccanica di movimento, bensì i primi si determinano spontaneamente, come
spontanea è la declinazione atomica. Cfr. Diogene L., X, 184; Lucrezio, De rer.
nat., II, 251-293; Brieger, Urbewogung der Atome, 1884; Giussani, Studi
luoreziani, 1896, p. 124-169; Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella rita, 1913,
p. 26-33 (v. atomo, atomismo, coniunota). Codivisione. Quando, nella divisione
logica, il concotto dividente viene diviso successivamente sotto più d’un
rispetto, l'insieme di tali divisioni costituisce una codivisione. La qualo per
tal modo non è possibile, se non quando 193 Cox-Coa ciascan termine dividente sia atto ad
essere suddiviso sotto il medesimo rispetto ο fondamento (v. divisione).
Coesione psichica. Il legame maggiore o minore che unisee gli elementi da cui
risultano le formazioni psichiche. Secondo 1’ Ardigd, la coesione massima à la
percettiva, e specialmente quella che si forma tra una idea e la parola che
l’esprime; è media la coesione che si ha nelle formazioni ideali, come è
provato dalla varia significazione che una stessa parola riceve nell’ ideazione
degli individui; minima è la coesione logica, che si avvera nel sogno, nella
riflessione, nel ragionamento. La legge fondamentale è che la coesione sta in
rapporto inverso con la complessità del lavoro mentale. Cfr. Ardigò, Op. fil,
VII, 40 e segg. Cogito, ergo sum (penso, dunque esisto). È il principio dal
quale prende le mosse la filosofia di Cartesio. Dopo aver rigettato come dubbie
tutte le verità accettate o per autorità o per testimonianza del senso, trovò
che una cosn sola era fuori d’ogni dubbio e poteva quindi servir di base
inconcusss su cui fondare tutte le altre cognizioni: il dubbio medesimo, vale a
dire il pensiero, e quindi anche In certezza della nostra esistenza. Di tutto
possiamo dubitare, egli diceva, ma non dubitare di dubitare, nè dubitare di
esistere noi che dubitiamo. Lo stesso principio era stato altre volte affermato
prima di Cartesio, ad es. da Β. Agostino, per il quale pure la conoscenza che
I’ essere pensante ha del proprio esistere è immediata: Quando quidem, etiam si
dubita, vivit, si dubitat, cogitat. Ugualmente 8. Tommaso: Nullus potest
cogitare se non esse cum assensu in hoc enim, quod cogitat, percipit se esse.
Campanella: Si nogas et divis me falli, plane confiteria, quod ego sum; non
enim possum falli, si non sum.... Ergo nos esse et posse scire et volle est certissimum
principium, deinde secundario, nos case aliquid et non omnia. Però, mentre per S. Agostino, 8. Tommaso e
Campanella la certezza che |’ anima ha di sò à In più sicura di tutte le
esperienze, il carattere fondamentale 13 RaxzoLt, Dision. di scienze filosofiche. CoL 194 della percezione interna, per cui questa ha il
sopravvento gnoseologico sopra la percezione esterna, per Cartesio invece la
proposizione oogito sum ha il significato di prima fondamentale verità di
ragione più che di esperienza; la sua evidenza non è nemmeno quella di un
sillogismo, ma quella di una immediata certezza intuitiva: prima quaedam notio
quae ex nullo eyllogismo concluditur. La formula cartesiana fu spesso
modificata in sdguito, dandole maggiore impersonalità ed estensione: Cogito,
ergo est (Schopenhauer); Cogito, ergo sum αἱ est (Richl); Cogito, ergo res sunt
(Boutroux). Cfr. 8. Agostino, De Trin., X, 14; 8. Tommaso, Quaest. disp. de
ver., 10; Campanella, Universalis philos., 1688, I, 3, 3; Cartesio, Med., II,
10, 11; Resp. ad. Obj.,
Il; Schopenhauer, Die Welt als. W. und Vorat., suppl. cap. IV; Riehl, Die philos.
Kritioiemus, 1887, II, 2, p. 147; Boutroux, Rerue des Cours, 1894-95, II, 370. Collettivismo.
Kollektivismus; I. Collectiviem;
F. Coliectivieme. Termine creato al Congresso di Bâle, nel 1869, per opporre al
socialismo di Stato, rappresentato dai marxisti, il socialismo non
centralizzatoro. Oggi perd il termine ha assunto un significato più largo, e
indica la dottrina sociale e politica, che propugna l’avvento di una società
nella quale sia abolita la proprietà privata, sia seso comune lo stromento del
lavoro, ed ogni individuo abbia una ricompensa proporzionata così alla sua
capacità come all’opera sua, ma in maniera che ognuno abbia il sufficiente, in
modo degno della umanità. La propriotà è amministrata direttamente dallo Stato,
il quale ne distribuisce il frutto tra i suoi membri. Cfr. Schwflle, Bau und
Leben d. socialen ‚Körpers, 1874; Y. Guyot, Le oolleotivieme futur et le
sooialisme présent, 1906; F. E. Restivo, Il socialismo di Stato, ed. San«ron;
Ant. Labriola, Discorrendo di filosofia ο socialismo, 1898. Collettivo. T.
Gesammnt, kollektir ; I. Collective; F. Colleotif. Si oppone a distributivo e
si distingue da generale. È collettivo ciò che è comune ad un numero
determinato 195 Com di individui ed è una proprietà dell’
insieme ; è generale ciò che è comune ad un numero indeterminato di individui e
appartiene a ciasouno d’essi. Perciò nella logica dicesi collettivo il termine
che abbraccia una moltitudine d’individui senza riferirsi a ciascuno di essi
(es. il 19 reggimento), generale il termine che abbraccia una moltitudine
indefinita di individui a ciascano dei quali si riferisce (es. soldato). Quindi
il termine collettivo è individuale, perchè, sebbene poses esser detto d’una
moltitndine individuale presa insieme, non pud esserlo di ciascuno degli
individui presi n parte. Combinatoria (ars). Quella parte della matematica, che
ha per oggetto di formare per ordine tutte le combinazioni possibili di un
numero dato di oggetti, di numerarle e studiarne le proprietà ο le relazioni.
Con la stessa espressione il Leibnitz designava la medesima scienza, applicata
ad ogni categoria di conoetti, costituendo così la parte sintetica della logica
(v. probabilità). Comico. T. Komische (das); I. Comical; F. Comique. Termine
generico in cui si comprendono tutti quei sentimenti che, nella ricca varietà
delle loro sfumature, ai presentano a volta a volta come umoristico, ridicolo,
ironico, grottesco, satirico, arguto, scherzoso, ecc., ed hanno quasi sempre
per linguaggio emozionale il riso o il sorriso. Secondo In teoria di Platone,
svolta poi da Hobbes e da Lamennais, e accettata fra noi dal Troiano, il
sentimento del comico si risolve nell'orgoglio prodotto dalla percezione improvvisa
della nostra superiorità; così chi ride alla commedia si crede privo del
difetto di cui ride e si sente superiore al personaggio che ne è macchiato.
Invece per Aristotele il comico è un difetto che nd fa soffrire nà nuoce;
questa definizione fu poi modificata da Cartesio ο svolta recentemente dall’
Ueberhorst, che risolve il comico nel segno @ una caftiva qualità d’una
persona, se abbiamo In coscienza di non possedere un difetto della steran perio
e Com 196 non sono provocati in noi sentimenti
fortemente sgradevoli ». Analoga a questa è la definizione del Bergson, per il
quale le oomique est 06 oôté de la personne par lequel elle ressemble à une
chose, ost aspeot des événements humaine qu'imite, par sa raideur d'un genre
tout partioulier, lo mécanieme pur et simple, Vautomatieme, enfin le mouvement
sans la vie; esso sorge infatti quando negli atti che non sono essenziali per
Is vita manca quella vigile agilità di corpo, di spirito e di carattere che la
società richiede; ossia quando l’automatismo imita la vita. Secondo un’altra
dottrina, accennata prima ds Cicerone e da Quintiliano, svolta oggi dal Penjon,
il comico è la libertà, ciò che rompe la regolarità e l'uniformità della vita,
sense spaventarci nd danneggiare noi ο altri; » questo tipo si possono
ricondurre molte dottrine, come quella di Kant, che fa originare il comico
dall’improvviso risolversi in nulla di una grande aspettazione; quella dello
Schopenhaner, che lo riconduce ad un disaccordo subitamente avvertito tra un
concetto ¢ gli oggetti reali che esso ha suggerito; quella di Giampaolo, cho lo
risolve nell’ assurdo roso sensibile perchè manifesta una contraddizione;
quella dello Spencer, che lo riconduce ad un contrasto tra oggetti grandi © piccoli;
quella del Lipps, che lo fa originare da un contrasto tra la cosa attesa ©
quella che si presenta. Invece per il Sully il comico non è che il giuoco, cioè
il considerare quel che si presenta davanti al? anima nostra como un oggetto di
divertimento, un oggetto che non si deve prendere sul serio; per il Bain è l’accrescimento
di energia prodotto dalla liberazione di una gravità forzata; per il Philbert è
un errore subito rettificato, nascendo quando noi siamo ad un tempo ingannati e
disingannati, quando con un solo sguardo vediamo I’ errore, tutte le sue cause
© il vizio di queste cause >. Tra le dottrine più recenti ricorderemo infine
quella di A. Momigliano, che, dopo aver esaminato con nentezza le forme
fondamentali dol comico o lo definizioni fino ad ora proposte, conclude 197 Com
che il sentimento del comico nasce dal compiacimento estetico col quale si
rileva inaspettatamente il lato debole di un oggetto o nn contrasto che rende
manifesti un’ imperfezione © un malanno imputabili all’ uomo o alla sorte ».
Cfr. Franz Jahn, Das Problem des Komischen, 1905; Ueberhorst, Das Komische,
1896-1900; Lipps, Payohol. d. Komik, Philos. Monatshefte », 1888, XXIV; Dugas,
Peyohol. du rire, 1902; Sully, Essai sur le rire, 1904; Bergson, Le rire, 1904;
Bénard, La théorie du comique dans l’esthétique allemande, Revue philos. »,
1880-81, vol. X, XII; C. Hanau,
Del riso e del sorriso, Riv. di fil. scientitica », 1889, vol. VIII; F. Masci,
Psicol. del comico, Atti della R. Acc. di s. 11. e p.», 1889; A. Momigliano,
L'origine del comico, Cultura filosofica », luglio ο sett. 1909; Giulio A.
Levi, Il comico, 1912 (v. ironia, umorismo). Comparazione. T. Vergleichung ; 1.
Comparison; F. Comparaison. Alcuni psicologi, tra oui 1’ Höffding, considerano
la comparazione come la forma fondamentale dell’ atto di conoscere, il
carattere che distingue il pensiero dagli altri fatti di coscienza; pensare è
comparnre, cioò trovare della diversità o della somiglianza. È una comparazione
di differenza la sensazione, una comparazione di somiglianza 1’ atto del
riconoscimento, una comparazione di somiglianza © differenza’) associazione,
ecc. Nella logica diconsi comparative quella specie di proposizioni implicite o
complesse, che costituiscono un paragone ed equivalgono 8 due proposizioni. Ad
es.: l’altruismo è il più nobile dei sentimenti (l’altruismo è un sentimento
nobile questo sentimento è più nobile di ogni altro). Cfr. Haffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 61, 148 (v. pensiero). Complesso. T. Zusammengesetzt, complex;
I. Compler; F. Complexe. Nella
logica si dice complesso un termine quando designs due o più idee, e complesss
una proposizione quando consta di due o più membri. Un sillogismo è complesso,
quando uno almeno dei termini della concluCom 198 sione essendo complesso, le parti componenti
questo termine si trovano separate nelle premesse. Complicazione. T.
Complication ; I. Complication ; F. Complication. Il Wundt, seguendo 1’
Herbart, chiama complicazione quella forma di associazione simultanea che
avvieno fra imagini di specie differenti. Nella scolastica il termine
complicazione era adoperato nel senso di implicito; perciò dicevasi che Dio è
la complicazione del mondo e il mondo l’esplicazione di Dio. Cfr. Nicola
Cusano, Docta ign., 11, 3; Herbart, Lehrbuch s. Peychol., 1850, ο. 3, p. 22;
Wundt, Grundriss d. Psyohol., 1896, p. 275. Composizione delle cause. Principio
logico, analogo al principio fisico della composizione delle forze. Esso si
formula in questo modo: I’ effetto totale di più cause riunite insieme è
identico alla somma dei loro effetti separati. Sarebbe però arbitrario dare a
questa legge la stessa estensione della legge fisica sopra accennata, e
applicare a tutti i fatti, specie a quelli d’ordine fisiologico e psicologico,
il concetto della composizione puramente meccanica delle cause (v. p. es. legge
di Weber). Compossibile. T. Compossibel; 1. Compossible; F. Compossible. La
relazione tra due esseri possibili simultaneamente e di fatto. Due esseri
separatamente possibili non sono sempre e necessariamente compossibili, in
quanto la possibilità di fatto di ciascuno d’ essi può distruggere la loro
compossibilità logica, Il termine, giù conosciuto dagli scolastici, fu
adoperato specialmente dal Leibnitz. Cfr. Goclenius, Lexicon philos., 1613, p.
425 a; Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 718 segg. Composto. Lut. Compositum ; T.
Zusammengesetst ; I. Compound; F. Composé. Ciò che risulta di più parti. Nella logica diconsi
composti quei giudizi che esprimono una relazione di giudizi e si possono
perciò risolvere in due o più giudizi semplici senza alterarne il valore.
Quindi i giudizi composti si suddividono soltanto secondo le forme della
relazione, cioè 199 Com la categories e l’ipotetica, ο secondo la
composizione di ciascuna di queste due forme con l’altra. Si avranno dunque due
classi di giudizi composti: quelli a relazione semplice © quelli a relazione
composta ; più una terza di giudizi contratti. La prima classe contiene i
gindizi : categorico-congiuntivi, categorico-copulativi, categorico-divisivi,
ipotetico-congiuntivi, ipotetico-copulativi, ipotetico-divisivi; la seconda i
giudizi: categorico-ipotetici, categorico-disgiuntivi, ipotetico-disgiuntivi ;
la terra i giudizi: entimematici © tetici. La forma disgiuntiva non dà luogo a
forme composte, se non congiungendosi alle altre due, dalle quali differisce
soltanto per la natura del predicato. Gli scolastici dicevano compositum physioum
quello che risulta da parti reali tra loro realmente distints; compositum metaphysicum
quello che risulta di parti reali, distinte soltanto razionalmente ;
substantiale compositum naturale quello che risulta di sostanze, le quali per
intenzione di natura sono ordinate a costituire qualche cosa, ad es. P uomo,
che consta di snima e di corpo; substantiale compositum supernaturale quello
che risulta di sostanze le quali, benchè non ordinate per natura loro a
costituire qualche cosa, hanno però attitudine ad essere innalzate da Dio a
questo, ad es. l’unione delle due nature, umana e divina, in Cristo. Cfr.
Masci, Logica, 1899, p. 186 segg.; Goclenio, Lericon phil., 1613 (v. giudizio).
Comprensione. Lat. Comprehensio; T. Inhalt; I. Intension ; F. Comprekension.
Dicesi comprensione, 0 tenore, o contenuto di una idea l'insieme dei caratteri
ο delle qualità che essa designa; vale a dire, in altre parole, l’insieme delle
determinazioni o degli elementi da cui quelV idea risulta. Così la comprensione
dell’ idea triangolo è data dalle determinazioni di figura, estensione, tre
angoli, ecc., che entrano a costituirla. Siccome ciascuna di queste determinazioni
può determinare tutte le altre, così i logioi significarono Il rapporto che
lega tra loro le parti della Com 200 comprensione col simbolo algebrico della
moltiplicazione, nella quale ogni fattore moltiplica tutti gli altri. Quindi:
comprensione di A = a x LX c, ossia abc. L'operazione con cui si aggiunge
qualche nota ad una idea, accrescendono la comprensione, dicesi determinazione;
V oporazione inversa dicesi astrazione. Cfr. Aristotelo, Anal. post., I, 4,
738, 35; Drobisch, Neue Darst. d. Logik, 1887, $ 25 (v. estensione). Comune, T.
Gemein; I. Common ; F. Commun. Ciò che appartiene contemporancamente a più
oggetti; si appono al proprio, che è il carattere che appartiene a un individuo
e non si riscontra in nessun altro. Si distingue il comune reale o fisico (ad
es. il sole è il centro comune del sistema solare) dall’ ideale o logico (ad
es. le leggi biologiche sono comuni a tutti gli esseri viventi). Il nome comune
è quello che denota un insieme di qualità; si oppone al nome proprio, che non
indica alcuna proprietà, ma soltanto designa. Per idea o nozione comune si
intende tanto quella che può essere attribuita ad un numero indefinito di
oggetti differenti, quanto quella che si trova in tutti gli spiriti. Gli
scolastici distinguevano i sensibili comuni dai sensibili propri: i primi sono
i fenomeni che possono essere percepiti da più sensi, come la forma, 1’
estensione, il movimento, ecc., i secondi i fenomeni che non possono essere
percepiti che da un solo senso, come il suono, il sapore, il colore, l'odore
(v. senso comune). Comunismo. T. Kommunismus; I. Communiem ; F. Communirme.
Quella dottrina politica od economica, che ripeto le sue origini dal Morus,
Campanella, Morelly e propugna un ordinamento sociale in cui siano comuni tanto
lo strumento del lavoro come la ricchezza prodotta, cosicchè ciascun uomo
lavori per quanto può © consumi secondo i suoi bisogni. Secondo alcuni Platone
sarebbe il padre del comunismo, avendone esposto il disegno nella Repubblica;
mu, in realtà, l’idosle platonico dello Stato si fonda sul prin 201 Com cipio dell’ aristoorazia della oultura,
che appare specialmente in questo: per la gran massa del terzo stato non si pretende
se non l'abilità ordinaria della vits pratica, mentre 1) educazione che lo
Stato ha il diritto e il dovere di avere nelle suo mani per formare i cittadini
socondo i suoi fini, si volge soltanto alle altro due classi, degli insegnanti
ο dei militari. Questi debbono avere comunanza di vita e di beni, affinchè
nessun interesse personale faccia ostacolo all’ adempimento dei propri doveri a
profitto della collettività. Vero padre del comunismo può invece considerarsi
il Morelly, che a sua volta ο) ispirò alle utopie di Moro e Campanella, 8 il
cui sistema può riassumersi così : proprietà comune dei terroni, del domieilio,
degli strumenti di lavoro © di produzione; educazione accessibile a tutti;
distribuziono del lavoro secondo le forze © dei prodotti secondo i bisogni,
senza tener conto alcuno della capacità ο dell’ ingegno; riunione degli
individui in numero di mille almeno, affinchè, lavorando ciascuno socondo le
proprie forze e consumando secondo i propri bisogni, si stabilisca una media di
consumo cho non sorpassi le risorse comuni, © una risultante di lavoro che le
renda sufficientemente abbondanti ; abolizione delle ricompense pecuniarie;
istituzione di un codice pubblico di tutte le scienze, nel quale non αἱ uggiungerà
nulla alla metafisica © alla morale oltre i limiti prescritti dalle leggi;
l'istruzione dei fanciulli è fatta in comune, in un vasto ginnasio, è impartita
dai padri e dalle madri, comincia si cinque e termina ai dieci anni, dopo di
che i giovani passano nelle officine ove ricevono I’ istruzione professionale,
Il comunismo si distingue in comunismo autoritario e comunismo anarokioo. Non
va confuso col collettivismo. Cfr. Pöhlmann, Geschiohte des antiken Sozialismue
und Kommunismus, 1901; A. Sudre, Histoire du communieme, 1850; Marx © Engel,
Man. dei comunisti, 1847 (v. anarchia, rocialiemo). Comunità v. reciprocità.
Con 202 bile. ‘T. Begreiflich; I. Conoerable ; F.
Conoevable. Tutto ciò di cui lo spirito può formarsi la nozione, quindi tutto
ciò che non racchiude contraddizione. Il campo del concepibile è illimitato,
entrando in esso tanto l’éntelligibile, vale a dire ciò che è oggetto soltanto
del pensiero astratto, quanto il sensibile, vale a dire ciò che è oggetto della
sensazione. Nella possibilità logica si ha la concepibilità dei contradditorii,
ma soltanto perchè manca la ragione di decidere quale dei due sia vero, non
perchè siano veri entrambi. Secondo alcuni filosofi la concepibilità è
testimonio di verità, ad es. Cartesio: Avendo notato che in questa
proposizione: io penso, dunque esisto, non vi è nulla che mi assicuri che io
dica la verità, se non il vedere chiarissimamente che per pensare bisogna
essere, gindioai di poter prendere come regola generale, che lo cose che noi
concepiamo in modo chiarissimo ο distintissimo, sono tutte vere, ma che vi è
solo qualche difficoltà nel Len discernere quali siano quelle che noi
concepiamo distintamente >. Anche per Hume è una massima stabilita nella
metafisica, che tuttocid che la mente concepisce, include l’idea dell’
esistenza possibile, ο, in altre parole, che nulla noi imaginiamo che sia
assolutamente impossibile ». Cfr. Cartesio, /iscorao al metodo, trad. it. 1912,
p. 73-74; Hamilton, Discussions ou philosophy, 1852, p. 596 (v. inconcepibile,
incomprensibile, inconosoibile). Conospire. T. Hegreifen; I. Conceive; F.
Concevoir. Alcuni logioi distinguono I’ atto del ragionare e del giudicare
dall’ atto del concepire, che sarebbe il semplice pensare una data cosa senza
nd negare nd affermare. Altri obbiettano che nella coscienza non può essere
separato 1’ atto del concepire da quello del giudicare, perchè concepire una
qualsiasi cosa è un rappresentarsela, e quindi affermare qualche cons che le
uppartieno. Il Baldwin propone di restringere il significato del vocabolo,
usandolo solo per designare la conoscenza del generale in quanto distinto dagli
oggetti 203 Cox particolari cui si applica. Cfr. Logique de
Port-Royal, ed. Charles, p. 37; Taine, De U Intelligenoe, 1870, II, 76 (v. concezione).
Concetto. T. Begriff; I.
Conception, Concept ; F. Concept. È la tradnzione latina del σύλληψις greco
(συν «= con, λαμβάνω =: prendo), con cui si volle indicare che mediante il concetto
apprendiamo il significato della cosa. Ordinariamente per concetto si intende
la sintesi ideale o tipica di una cosa ο d’un fatto, ottenuta mediante il
confronto delle rappresentazioni ο |’ astrazione delle note identiche. Secondo
altri, il concetto, essendo l’unità delle note essenziali dell'oggetto,
ottenuta mediante l’astrazione e la determinazione, presuppone il giudizio e si
definisce appunto come il sistema dei giudizi, che su quell’ oggetto si son
fatti ο si possono fare, Il principio unificatore del concetto può essere
intrinseoo, cioò l’unità fisica ο ideale della cosa stessa, od estrinseoo, cioè
una rappresentazione schematica o una parola o una espressione composta di più
parole. Gli elementi del concetto si dicono rote ο determinazioni. Bisogna però
distinguere il concetto logico dal psicologico; questo è per lo più costituito
da imagini frammentarie, da aspetti dell’ oggetto che più interessano un dato
individuo, per la sus cultura, il sno temperamento, le sue abitudini mentali,
la sua educazione, e varia perciò da individuo a dividuo ο durante la vita
dello stesso individuo; invece il concetto logico, sintesi di tutto le note
dell’ oggetto, è uguale per tutti i pensanti, ossia obbiettivo ο universale, 1]
concetto logico esprime l’essenza della cosa; secondo lo Stuart Mill quella che
noi diciamo l’ essenza della cosa è 1’ insiemo delle note del concetto; secondo
altri l’ essenza è data soltanto dalle note permanenti dell'oggetto; per altri
ancora V essenza è il complesso delle qualità primarie della cosa, che indica
quello che la cosa è nell’ ordine delle altre cose © in relazione ad esse. I
caratteri fondamentali del concetto logico sono tre: 1° di essere costituito
non tanto da conCox 204 tenuti qualificativi che stanno da sò, quanto
da indi relazione, cioè di somiglianze e differenze, di essere insomma un
sistema di rapporti; 2° di essere universale, sia soggettivamente in quanto non
si ha che un solo concetto d’una cosa, sia oggettivamente in quanto vale per
tutti gli oggetti che denota; 3° di essere neoessario soggettivamente, appunto
perchè non si può avere che un solo concotto d’una cosa, oggettivamente in
quanto esprime la legge intima della cosa. Kant distingue il conostto, che è
ogni relazione generale senza essere assoluta, dalle idee ο dati assoluti della
ragione, e dalle intwisioni, che sono le nozioni particolari dovute ai nostri
sensi. Egli li distribuisce in tre classi: ο. puri, che non tolgono nulla dalla
esperienza (es. la nozione di causa); ο. empirici, che sono formati
esclusivamente coi dati dell’ esperienza (es. la nozione generale di colore);
ο. misti, formati in parte sui dati dell’ intelletto puro, in parte su quelli
dell’ esperienza. Come le intuizioni sono impossibili senza una forma sensibile,
così le cognizioni vere e proprie sono impossibili senza una forma
intellettuale, cioè senza i concetti : perciò, egli dice, le intuizioni senza i
concetti sono cieche, i concetti senza le intuizioni sono vuoti. Nel pensiero
filosofico il concetto cominciò ad assumere grande importanza con Socrate.
Opponendosi al relativismo dei sofisti, egli cercò un sapere che dovesse valere
per norma ugualmente per tutti, un elemento costante ed unitario che ognuno
deve riconoscere, e lo trovò nel concetto (λόγος); la scienza è quindi pensare
per concetti, e il fine di ogni lavoro scientifico la determinazione dei
concetti, la definizione. Per Platone l'oggetto della scienza è l’idea, 1’
essere incorporeo che viene conosciuto mediante i concetti; poichè i concetti,
in cui Socrate aveva trovato l'essenza della scienza, non sono dati come tali
nella realtà percepibile, essi devono formare una seconda realtà, una realtà
inmateriale, e la conoscenza loro non può essere che una remi 205 Cox niscenza, onde l’ anima richiama alla
memoria conoscenze preesistenti in essa. Per Aristotele invece ogni concetto si
forma analiticamente da un concetto superiore, 0 genere prossimo, mediante
l’aggiunta di una nota speciale, © differenza specifica: questa deduzione del
concetto è la definizione; naturalmente, la definizione dei concetti inferiori
si riferisce a concetti generalissimi, che si sottraggono ad ogni deduzione e
spiegazione. Gli stoici cercarono di analizzare psicologioamente il concetto,
che per essi ha origine dalla percezione, o per sè stesso o mediante parlari
motivi psicologici, aut wen, aut coniunotione aut similitudine aut collatione;
solo i concetti più generali, κοtiones communes, sono innati. Nel sistema dell’
Herbart il concetto ha una grande importanza : egli infatti, opponendosi agli
idealisti che sostenevano esser compito della filosofia di derivare la realtà
da un principio unico, attribmì alla filosofia uno scopo essenzialmente
oritico, e cioè l'esame © l'elaborazione dei concetti su cui è fondata la
scienza rperimentale, per ripulirli da quelle contraddizioni che falsano la
giusta rappresentazione della natura; i concetti stessi sono per lui delle
idealità logiohe, che non esistono che nella nostra astrazione, non essendo che
rappresentazioni nelle quali astraiamo dal modo come psicologicamente si sono
prodotte. Per Hegel invece il concetto non è semplicemente una rappresentazione
soggettiva, ma |’ essenza storsa della cosa, il suo in sò;... le forme logiche
del concetto sono il vivente spirito della realtà »; egli lo definisce come la
libertà e la verità della sostanza », l’ assolutamente concreto >, l’universale
in cui ogni momento è il tutto, perchè esso è il per sò ed in sò determinato ».
Per Schopenhauer il concetto è la rappresentazione di una rappresentazione, in
quanto non è nessuna rappresentazione data, ma ha In sna natura nel rapporto
con le rappresentazioni ; esso costituisre classe particolare, diversa toto
genere dallo rappresentazioni sensibili ed esistente solo nello spirito nmano.
Per il Con 206 Wundt il concetto è la fusione di una singola
rappresentazione dominante con una serie di rappresentazioni omogenee, fusione
compiuta mediante 1’ appercezione attiva »; osso infatti sorge © si sviluppa
mediante il prevalere di elomenti, che sono percepiti con la maggiore
chiarezza, la scelta delle rappresentasioni da sostituire, 1’ oscuramento degli
elementi rappresentativi mescolati con gli elementi dominanti, l’oscuramento
degli elementi stessi e la loro sostituzione con segni verbali esteriori. Per
l’Avenarius anche il concetto ha un valore psicologico, non essendo che un caso
particolare del principio dell’ inerzia dominante nella vita psichica; esso
infatti rappresenta un risparmio di energia, rendendo possibile alla coscienza
di abbracciare con un minimo sforzo un gran numero di oggetti, e di condensare
economicamente concetti © leggi particolari in concetti e leggi più universali.
Per lo Schuppe è concetto «tuttociò che 1’ uomo pensa come significato di una
parola, in quanto vengono pensati come unità molteplici predicati realmente
conosciuti »; esso esiste obiettivamente perchè contenuto nella percezione, nella
quale lo cogliamo come un elemento di essa; la realtà concreta è la qualità sensoriale
in un punto determinato dello spazio ο del tempo; ciascuno di questi elementi
(qualità, spazio, tempo), isolato dagli altri è un concetto astratto. Secondo
il Croce il concetto puro deve distinguersi dai paeudoconoetti ο finzioni concettuali:
queste hanno per contennto o un gruppo di rapprosentazioni (es. gatto, casa,
rosa) o nessuna rappresentazione (es. triangolo, moto libero); di quello invece
è da dire n volta a volta che ogni imagine 6 nessuna imagine è simbolo di easo
»; il carattere fondamentale del concetto puro è la conoreterza; il concetto è
universale-concreto; chè se è trascendente rispetto alla singola
rappresentazione, è, poi, immanente nella singola, ο perciò in tutte le
rappresentazioni. Cfr. Platone, Terteto, 201 D e sogg.; Aristotele, De an., IT,
1, 412 b, 16 © segg.; Cicerone, De fin.. TIT, 381 207 Cox Acad., U, 7; Kant, Krit. d. reinen Vorn.,
ed. Reolam, p. 77, 88; Herbart, Psychologie als Wissenschaft, 1887, 1; J.
Stuart Mill, Examination of Hamilton, 1867, p. 274 segg.; Hegel, Enoyol., 6105,
108, 154, 157-164; Schopenhauer, Die Welt ala W. und V., 1. 1, 69; Wundt, Logik, 1893, 1. I, p. 46 segg.;
Aven: Philosophie ale Denken, 1903, p. 24 segg.; Schuppe, frrundriss d.
Erkenntnistheorie, 1894, p. 81 segg.; B. Croce, Logica come soiensa del
concetto puro, 1909, p. 15-84; A. Marueci, Di aloune moderne teorie del
concetto, «Riv. di fil. », maggio 1914 (v. idealismo, nominalismo, realismo,
sermonismo). Conoettualismo. T. Conceptualiemus ; I. Conceptualiem ; F.
Conceptualisme. Dottrina della scolastica, che sta fra il realismo e il
nominalismo, e fu creata da Abelardo. Conciliando la teoria dei nominalisti,
che sostenevano essere gli universali e le qualità astratte dei corpi un puro
nome, un semplice flatus rocis, e quella dei realisti, che consideravano gli
universali come le sole e vere realtà, Abelardo sostenne che codesti
universali, sebbene non posseggano nna realtà a sè, indipendente dal nostro
spirito, hanno tuttavia, in quanto concetti o nozioni astratte, una esistenza
logica e psicologica, Ogni individuo, dice Abelardo, è composto di forma e di
materia. Socrate ha per materia l’uomo 9 per forma la socratità. Platone è
composto d’ una materia simile che è l’uomo ο d’una forma differente che è la
platonità, e così degli altri uomini. E come la socratità, che costituisce
formalmente Soorato, non è in nessuna parte fuori di Socrate, ngualmente
codesta essenza d’uomo che, in Socrate, è il sostrato della socratità, non è in
nessuna parte altrove che in Socrate, e così degli altri individui. Per specie
io dunque intendo, non codesta sola essonza d’ uomo che è in Socrate o in
qualche altro individuo, ma tutta la collezione formata da tutti gli individui
di codesta natura ». L’ universale esistente nella natura è appunto, per
Abelardo, codesta collezione, codesta molteplicità identienmente determinata,
che diventa concetto unico solo nella Cox concezione del pensiero umano; ο
poichè tale molteplicità degli individui si spiega col fatto che Dio ha creato
il mondo secondo imagini preesistenti nel suo spirito, così nel concettualismo
abelardiano gli universali esistono anzitutto in Dio come conoeptus mentis
prima delle cose, poi nelle cose stesse come identità dei caratteri essenziali
degli individui, infine nell’ intelletto umano quali suoi concetti. Alcuni
considerano anche la dottrina di Kant come un vero © proprio concettualismo.
Concettualisti nel vero senso della parola furono, oltre Abelardo e Durand de
St. Pourgain, Locke, Reid, Brown. Dice il Reid: Quella universalità che i
realisti considerano essere nelle cose stesse, e i nominalisti nel solo nome, i
concettualisti considerano essere nd nelle cose nè nel nome soltanto, ma bensì
nelle nostre concezioni >. Cfr. Abelardo, Opera, colleg. Cousin, p. 542; Reid, Works, 1863, p. 406;
Windelband, Storia della fil., trad. it, 1913, p. 349. Concezione. T. Konoeptior, Begriffebildung; I.
Conception: F. Conception. Non ha un significato ben definito nella paicologia.
Alcune volte si adopera in opposisione a giudizio, per indicare l’atto con cui
pensiamo o ci rappresentiamo un oggetto senza nd affermare nd negare. Altre
volte è ussta in opposizione a percezione, per significare l’atto con cui ei
rappresentiamo un dato oggetto che non è presente; in tal caso sarebbe analoga
» rappresentazione. Codesta opposizione è adottata specialmente nel realismo
razionalistico, secondo il quale noi non percepiamo che fenomeni e qualità, sia
fuori che dentro di noi, ma, eccitata da essi, la mente concepisce la sostanza;
tale concezione, del tutto irreducibile ai fatti che ce la suggeriscono, è la
condizione della nostra conoscenza delle cose, è una delle leggi necessarie del
pensiero, per cui non possiamo pensare al fenomeno Renza riferirlo all’ essere.
Altre volte ancora il termine concezione à nento per designare le idee astratte
e i concetti, per opposizione a sensazione e rappresentazione sensibile.
Diconsi 209 Cox talvolta concezioni comuni i principi del
ragionamento, in quanto tutti gli uomini li concepiscono e li seguono. Cfr. Boirac, L'idée de
phénomène, 1894, p. 294 (v. concepire). Concesionismo. T. Konceptioniemus ; I.
Conoeptioniem ; F. Conceptionisme. Designa
tutte quelle dottrine che, come le intermediariste, considerano il mondo
esteriore non come percepito immediatamente tal quale, ma come concepito dal
nostro spirito mediante processi particolari. Si adopera quindi per opposizione
al peroesionismo, dottrina sostenuta specialmente dagli scozzesi e dagli
eolettici francesi, i quali consideravano come irreducibile il sentimento di
obbiettività contenuto nella sensazione, e a codesta oredenza accordavano un
valore rappresentativo. Cfr. Mac Cosh, The intuitions of the mind, 1882. Conclusione. Lat.
Conclusio; T. Schluss, Sohlussate, Conclusion; I. Conclusion ; F. Conclusion. O illasione; à la terza proposizione di un
sillogismo, tratta dalle premesse in cui è contenuta. Perchè il raziocinio sia
giusto, la conelusione deve derivare, e necessariamente, dallo premesse, nè
deve enunciare cosa diversa da quella che nelle premesse è enunciata. Da
premesse entrambe particolari ο entrambe negative, non si pnd ricavare alcuna
conclusione, nè si può ricavare una conclusione negativa da premesse
affermative. La conclusione è negativa quando una delle premesse è negativa,
particolare quando nna delle premesse è particolare. Cfr. Wandt, Logik, 1893,
vol. I, p. 270 segg. (5. conseguenza, sillogiemo). Concomitansa. T.
Konkomitanz; I. Concomitance; F. Concomitance. Quando due circostanze si
sccompagnano "uns l’altra, e sono ο simultanee ο immediatamente successive,
diconsi concomitanti. La concomitanza può essere diretta o inversa: p. es. |’
altezza della colonna di mercurio nel barometro è in ragione diretta del
calore; il volume dei gas è in ragione inversa della pressione. l’ud ossere
ancora accidentale, p. es. il crescere dei matrimoni ο della 14 Raxzorı, Dizion, di scienze filosofiche. Cox 210 criminalità, e necessaria p. es. il crescere
del tono del suono e il crescere del numero delle vibrazioni nell’ unita di
tempo. Cfr. C. Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 80 © segg.
Concordanza (metodo di). T. Methode der Uobereinatimmung: I. Method of
agreement; F. Méthode de concordance. Uno dei quattro metodi di ricerca
induttiva proposti dallo Stuart Mill. Esso consiste nel paragonare tra loro
difforenti casi in cui il fenomeno che si studia avviene, © si fonda su questo
canone logico: se due o più casi di un dato fenomeno hanno comune soltanto una
circostanza, questa circostanza, nella quale soltanto tutti i casi concordano,
è la causa o l'effetto di quel fenomeno. Ad es. dovendosi cercare la causa
della combustione dei corpi, si vede che alcuni bruciano neil’ aria, altri nel
cloro, come il fosforo © l’arsenico, altri nei vapori di zolfo, come il rame e
il ferro, ma hanno in comune una circostanza : la viva combinazione chimica
della sostanza che brucia con quella nella quale brucia; essa sarà dunque la
causa della combustione. Questo metodo serve specialmente nei casi in oni
l'esperimento è impossibile, ma non da il criterio decisivo della causalità,
perchè la semplice concordanza di due fenomoni non basta per autorizzarci a
porre il primo come causa © il secondo come effetto: essi potrebbero essere
entrambi semplici effetti collaterali di due altri fenomeni, oppure il secondo
potrebbe essere effetto di una causa rimasta occulta, per quanto presente in
tutte le osservazioni. Cfr. J. 8. Mill, System of Logic, 1865, 1. III, o. 8, $
1. Concordanza nella differenza (metodo di). I. Joint method of agreement and
differenco. Detto anche dell'accordo nella differenza, di differenza indiretta,
di concordanza negatira, della concordanza ο della differenza riunite. È un
metodo complementare di ricerca induttiva, suggerito dal Mill, consistente
nella riunione del metodo di concordanza e di quello di differenza. Esso si
fonda su questo canone 311 Con logico: se due o più casi in cui il
fenomeno avvione hanno soltanto una circostanza comune, mentre due ο più casi
in cui quello non avviene nulla hanno di comune tranne |’ assenza di questa
circostanza, la circostanza nelln quale soltanto le due serie di casi
differiscono è l’effetto © la causa o parte essenziale della causa di quel
fenomeno. Ad es. strofinando in un ambiente asciutto con un panno di lana della
ceralacca, della resina, dell’ ambra, del vetro, essi attirano i perzetti di
carta essendo cattivi conduttori dell’ elettricità; strofinando nelle stesse
circostanze un metallo, che è buon conduttore della elettricità, la carta non
resta attirata; dunque, I’ essere cattivi conduttori dell’elet. tricità è la
cansa per cui quei corpi attraggono i pezzetti di carta. Cfr. J. S. Mill, System of
Logic, 1865, 1, III, ο. 8, ϕ 4. Concorrensa vitale. Ha
lo stesso valore della espressione lotta per l’esistenza » più frequentemente
usata, Concreto. T. Concret; I. Concrete; F. Conoret. Secondo il Trendelenburg,
questa parola à d’origine latina ο significò da principio denso, spesso. Si
adopera infatti in opposizione di astratto, per designare un soggetto che è
rivestito di tutte le sue qualità, ed ha una esistenza reale indipendente e non
quella che spetta ad un puro prodotto del pensiero quale è l’astratto. Nella
terminologia scolastica dicevasi coneretum il composto di sostanza ο forma, da
cui si attribuisce al soggetto una qualche denomina zione; concretum
metaphysicum quello in cui la forma non si distingue realmente dal soggetto;
concretum physicum quello in cui si distingue veramente, ma pure gli è inerente;
conorelum logioum quello in cui non gli è inerente. Per Schopenhauer il termine
ha un significato speciali «I concetti che non si applicano alla conoscenza
intuitiva in modo immediato, ma solamente con I’ intermediario di uno ο più
altri concetti, furono chiamati astratti per eccellonza, mentre al contrario
quelli che hanno il loro fondaCox 212 mento immediato nel mondo dell’intuizione sono
stati chiamati conoreti ». Cfr. Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862; Schopenhauer, Die
Welt als eoe., ed. Reclam, I, ὁ 9.
Condizionale. T. Bedingt; I. Conditional; F. Conditionnel. Una proposizione ο
giudizio è condisionale quando la posizione del predicato è condizionata ο
dipendente dalln posizione del soggetto; la sua formula è: se A à B, C à D. Un
sillogismo è condizionale ο ipotetico quando ha per premessa maggiore una
proposizione condizionale; esso è soggetto alle seguenti regole: se la minore
afferma la condizione, la conclusione afferma il condizionato, ma se la minore
nega la condizione non ne segue necessariamente che la conclusione neghi il
condizionato ; se la minore nega il condizionato, la conclusione nega la
condizione, ma se la minore afferma il condizionato, non ne segue che la
conclusione affermi la condizione. Kant chiama imperativo condizionale ο
ipotetico quello che enuncia che un atto è un mezzo relativamente a un certo
fine. Condizione. T. Bedingung; I. Condition; F. Condition. Si suol distinguere
condisione da causa: questa è la potenza attiva che produce l’effetto, mentre
la condisione è ciò senza di cui la causa non agirebbe. Es. il crescere della
temperatura è la cansa del crescere della colonna di meronrio nel termometro:
1’ essere il termometro stesso esposto alla temperatara, la condizione del
crescere del mercurio. Ma questa distinzione vale soltanto quando si consideri
la causa come un quid che produca I’ effetto; se invece, secondo il concetto
fenomenistico, la causa è riguardata come il semplice antecedente invariabile e
incondizionato di un fenomeno, la causn del fenomeno stesso non è che l'insieme
delle sue condizioni. Altri intendono la condizione negativamente, e cioò come
quella che non produce l’effetto, mn modifica o anche elimina |’ azione di una
causa: p. es. l'umidità rispetto all’ esplosività della polvere. Ma la distinzione,
in questo caso, è puramente soggettiva, dipen 218 Con dendo dal fissarsi dell’ osservazione
sopra l’azione di una piuttosto che di un’altra causa: così volendosi studiere,
invece che l’esplosività delle polveri, l’ azione della umidità sopra I’
esplosività di esse, la medesima umidità che prima appariva semplice condizione
appare come causa. In un senso più preciso dicesi condizione la circostanza mancando
la quale un fatto non può prodursi. In questo senso usaai l’espressione
conditio sine qua non, abbreviazione del1’ antica formula dello Zabarella:
conditio necessaria sine qua non Zabarelle est causa αυοταλική, sine qua res
esse non potest. In senso kantiano, spazio e tempo sono condizioni
dell'esperienza, perchè soltanto per esse noi possiamo rappresentare la varietà
delle sensazioni con unità sintetica: tempus non esi objectioum.... sed
subjectiva conditio per naturam montis humana necessaria qualibet sensibili
certa lege sibi coordinandi. Nel linguaggio matematico le condizioni di un
problema sono tuttociò che particolarizza una soluzione generale; si suppone
quindi che il problema, rimanendo il medesimo nella sua essenza, potrebbe
essere ristretto nelle sue soluzioni mediante altre proposizioni limitative. Cfr. Goolenius, Lezioon
phil., 1613, p. 435 a; Kant, De mundi sonsibilis, III, 14, § 5. Conflitto dei doveri. Widerstreit; I. Confliot;
F. Conflict. Bi verifica quando alla scelta dell’ individuo si presentano due o
più doveri fra loro inconciliabili; il confitto dei doveri è quindi un
conflitto di motivi, ossia un conflitto di rappresentazioni (v. deliberazione).
Confasione mentale. T. Hallucinatorisohe Verwirrtheit ; I. Hallucinatory
confusion; F. Confusion mentale. Sindrome di varie malattie mentali, caratterizzata
da disordini sensori, disorientamento rispetto al luogo, al tempo, alle persone,
turbamento nel decorso delle rappresentazioni, incoerenza nel linguaggio,
annebbiamento del pensiero. Secondo alcuni storici della psichiatria, essa è
ciò che Ippocrate chiamava frenite, Sauvage paraphrosyne, Ploquet paracope. Con
Si distinguono tre forme-di confusione mentale: una allucinatoria,
caratterizzata dall’insorgere di gran numero di allucinazioni che dominano il
malato; una astenioa, che ri presenta prevalentemente con l’ esaurimento; e una
logorroica o maniaca, caratterizzata da fuga d’ ideo, e quindi di parole, senza
aleun ordine o nesso logico. Cfr. Dagonet, Nouv. traité des maladies mentales, 1894,
p. 328-347; Chaslin, La confusion mentale, 1895. Congenito. T. Angeboren ; I. Congenital ; F.
Congenital. Per opposizione ad aoguisiti, diconsi così quei caratteri che
l'individuo porta con sè dalla nascita, e che ha ereditato dai genitori o
acquistato accidentalmente nel corso della sua esistenza embrionaria.
Congettura. T. Vermuthung; I. Conjecture; F. Conjecture. Ha molte affinità con
l'ipotesi e consiste in una conelusione che si cava da dati incerti, ο che per
sò stessa, pur essondo certi i dati, non è nd legittima nd sicura. La congettura
ha un grado minore di probabilità dell'ipotesi, della quale è una
anticipazione. Si dicono razionali quelle congetture che dipendono da principi
logici ο outologici. Secondo il Cusano, il pensiero dell’uomo, non conoscendo
se non ciò che ha in st, non possiede per la conoscenza del mondo se non
congetture, ossia i soli modi di rappresentazione che scaturiscono dalla sus
propria natura; 8 la conoscenza di questa relatività di tutte le affermazioni
posilive, il sapere del non sapere, come primo gradino della dotta ignoranza, è
|’ unica via per arrivare, oltre la scionza razionale, alla comnnione
conoscitiva inesprimibile, immedinta, con la divinità. Cfr. Cusano, De doota
ignorantia, 1884; F. Fiorentino, ZI rinaacimento filonofico nel quattrocento,
1885, cap. IL Congiuntivi (giudizi). Diconsi tali, per opposizione a
copulatiri, quei giudizi che sono composti nel predicato, che hanno cioè più
predicati i quali possono tutti convenire, per quanto disparati, allo stesso
soggetto. Possono 215 Cox essere affermativi ο negativi, categorici
ο ipotetici; la lore formula è: A è tanto B che C e D (v. composti). Coni. T.
Kegel; I. Cone; F. Cône. Corpuscoli di forma conica che, insieme ai bastoncini,
formano lo strato superficiale della retina; sì gli uni come gli altri non sarebbero
che un prodotto di secrezione, una formazione eutioulare delle cellule visive.
Sono in numero minore dei bastoncini e servono alla sensaziene del colore;
quella della luce ha luogo nei bastonoini. Questi costituiscono 1) apparecchio
che funziona durante la risione orepuscolare, quelli 1’ apparecchio che
fanziona durante la risione diurna ed ha la capacità di destare le sensazioni
cromatiche quando è stimolata da raggi di media intensità, e di produrre la
sensazione del bianco quando è stimolata da determinate miscele di raggi
luminosi o da raggi monocromatici di eccessiva ο di debole intensità. Cfr.
Wundt, Grundzüge der physiol. Psychol., vol. II, 1902; Hering, Zur Lehre vom
Lichtsinn, 1878. Connotativo. T. Connotativ, mitbezeichnend; I. Connotative; F.
Connotatif (da notare cum, cioò notare una cosa con ο più un’altra cosa). Lo
Stuart Mill, risuscitando una vecchia © opportuna distinzione scolastica, disse
connotativi quei nomi che designano un soggetto ed implicano un attributo,
non-connotatiri quelli che significano un soggetto solamente o un attributo
solamente. Quindi non sono connotativi i nomi propri (America, Napoleone...)
perchè designano un soggetto solamente, e i termini comuni astratti
(bianchezza, virtù...) perchè designano un attributo aulamente. Sono invece
connotativi tutti i nomi conoreti generali (bianco, virtuoso...) perchè
designano una intera classe per mezzo di uns qualità comune. Così bianco designa
tutte le cose bianche e implica ο connota I’ attribute bianohesza ; il termine
bianco non è affermato dell’ attribato, bensì delle cose bianche; ma quando noi
|’ affermiamo di questi soggetti (le cose bianche) implichiamo o connoCox 216 tiumo che l'attributo bianchezza loro
appartiene. In altro parole il nome connotativo esprime il soggetto
direttamente, gli attributi indirettamente, esso denota i soggetti © connota
gli attributi. Cfr.
Prantl, Geschichte d. Logik, 1. III, Ρ. 364; J.
8. Mill, Syetem of logic, 1865, 1. I,
3, § 5. Conoscenza. T. Erkenninise, Konninisa; I. Knowledge; F. Connaissance.
Per quanto in sd stessa indefinibile, si può dire che la conoscenza esprime un
peculiare rapporto tra la mente © qualsiasi oggetto, per eni quest’ultimo,
oltre ud esistere per sò, esiste per una coscienza. Essa è dunque una
operazione attiva dello spirito, che si' compie sotto determinate condizioni e
suppone tre termini: un soggetto che conosce, un oggetto conosciuto e una
determinate relazione tra l’uno ο l’altro. La conoscenza dicesi: a poatoriori,
se acquistata mediante l’esperienza; a priori, ο pura, o trascendentale se
consiste di cognizioni innate; intuitiva, se ottenuta direttamente ο per sè
stessa; discorsiva, o razionale, ο inferenziale se ottenuta mediante altre
conoscenze. Il problema della conoscenza, il problema cioè del rapporto tra V
essere e il pensiero, 1’ oggetto e il soggetto, la cosa conosciuta e ciò che
conosce, fa sempre oggetto delle ricerche dei filosofi, ma andò sempre più
allargandosi col progredire del pensiero ed è divenuto fondamentale nella
filosofis moderna specialmente dopo Kant. I primissimi filosofi della Grecia
non gli diedero molta importanza; essi infatti lo risolsero nel modo più ovvio,
dicendo che lo spirito riceve l’ imagine o l'impronta delle cose come uno
specchio o un pezzo di cera; per tal modo le sensazioni non sono che copie
fedeli delle cose sensibili. Mn prima ancora di Socrate, i sofisti #’avvidero
della differenza tra le nostre sensazioni © lo cose esterne, e, dirigendo la
speculazione dei filosofi sopra il soggetto che sente, spostarono il centro di
gravità del pensiero umano, facendolo convergere dalla natura, intorno alla
quale fino a quel tempo s'era affaticato, sopra di sè. L'importanza della
riforma 217 Con socratica sta nell’ aver essa determinato
I’ essenza della conoscenze in maniera chiara e decisiva. I sofisti insegnavano
che vi sono soltanto opinioni, che valgono solo per ogni individuo; Socrate
cercò un sapere che, di fronte al mutamento ed alla moltiplicità delle
rappresentazioni individuali, dovesse valere come norma ugualmente per tutti, e
lo trovò nel concetto. Anche gli antichi pensatori avevano avuto un senso vago
del fatto che il pensiero razionale, cui dovevano la loro conoscenza, fosse
qualche cosa di essenzialmente diverso dall’ ordinaria rappresentezione
sensibile del mondo e dall’ opinione tradizionale; ma non avevano potuto
elaborare questa differenza di valore nè psicologicamente nd logicamente.
Socrate intuì chiaramente che, se dev’ esservi un sapere, bisogna trovarlo soltanto
in ciò in cui coincidono tutte le rappresentazioni individuali. Da allora
comincia ad impostarai il vero ο proprio problema della conoscenza, da allora
si costituisce, se non di nome, di fatto, quel ramo importantissimo del supere
filosofico detto gnossologia 0 toria della conoscenza. La gnoseologia ha
appunto per oggetto la ricerca dell’origine, della natura, del valore e dei
limiti della nostra facoltà di conoscere; si distingue quindi dalla peicologia
propriamente detta, che si limita a descrivere i fatti psichioi nel loro
sviluppo e nel loro intreccio, senza ceroarne il valore in rapporto alla
realtà, ο dallo logica, che non fa che determinare le norme dell’applicazione
dei principi gnoseologici senza cercarne l’origine. Dalla scuola dei sofisti
venendo sino αἱ criticismo lantisno, sl fenomenismo dello Stuart Mill, al
realismo trasfigurato dello Spencer, al realismo psicologistico dell’Ardigò, al
solipsismo degli idealisti contemporanei, il problema della conoscenza ebbe
soluzioni ed orientasioni infinitamente diverse, che qui aurebbeimpossibile
risasumere. Ci limitiamo quindi ad esporre, seguendo una chiara e sintetica
classificazione del Musci, i prineipali sistemi gnoseologiei. Questi si
distinguono inCon 218 nanzi tutto secondochè ripongono la verità
nella sensazione © nel?’ intelligenza, © considerano lu sostauza ultima del
reale come materiale o spirituale; secondo il primo rapporto i sistemi si
distinguono in sensisti o empiristi ο in razionalisti, secondo il secondo in
materialisti e idealisti. Se l’oggetto è considerato come trascendente, il
razionalismo e V idealismo prendono la forma del teiemo, se è considerato come
immanente prendono la forma del panteismo ο del naturalismo. 1 idealismo può
essere a sua volta o particolarista 0 universalista, secondo che ammette, come
Platone, idee reali ο distinte ο archetipi, o ammette un processo logico, uno
sviluppo o sistema ideale uno e continuo; © può essere spiritualismo, se ripone
la realtà ultima in una forma di coscienza, 9 considera tutte le relazioni esteriori,
e il mondo naturale in generale, come fenomeno di realtà, che sono coscienze
elementari. All’ idealismo si oppone il realismo, che ripone l’ essonza della
realtà nell’ individuale assoluto, che non può essere oggetto di nessuna
percezione, nella monade, nell’ ente semplice, nell’ atomo inetafisico. A tutti
questi sistemi, che possiam dire positivi, si possono aggiungere quelli
negativi, i cui tipi principali sono: la sofiatioa, che afferma la potenza
della ragione indifferente alla verità, lo soetticismo, che considera la
ragione incapace della verità, 6 il misticismo, che, negando alla ragione il
potere di raggiungere le verità ultime, lo attribuisce al sentimento o alla
rivelazione soprannaturale. Cfr. Nutorp, Forschungen sur Geschichte des
Erkenntnieproblom bei den Alten, 1884; Β. Muene, Die keime der Erkenninistheorie
in der vorsophistisohen Periode der griechischen Philosophie, 1880; Freitag,
Die Entrioklung der griechischen Erkenntniathoorie bir Aristoteles, 1905; De
Wulf, Histoire de la phil. médierale, 1905; H. Höffding, Histoire de la phil.
moderne, trad. franc. 1906; A. Franck, Pilosophes modernes étranger ot
francais, 1893; I. E. Merz, History of europ. thougt in the 19 century, 1904;
Masci, Logica, 1899, p. 17 219 Con negg. ; C. Guastella, Saggi sulla teoria
della conoscenza, 1905 ; B. Varisco, La conoscensa, 1904; Ardigò, Op. ΛΙ., V,
15 segg.; VII, 26 segg.; IX, 237 segg. (oltre ai vocaboli citati, v. ancora:
assoluto, agnosticiemo, eoomomioa teoria, percesioniemo, conoazionismo,
intermediariste, nativiemo, solipsiemo, critioismo, dogmatismo, pluralismo,
soggettivismo, parallelismo, pampeichismo, fonomenismo, soggetto, oggetto,
noumeno, ecc., ecc.). Conoscibile. T. Erkenndar; F. Connaissable. Tutto ciò che
realizza le condizioni necessarie per essere conosciuto, sia mediante la
ragione, sia mediante la sensazione e l’immaginazione. La sfera del conoscibile
è uguale a quella del concepibile, ma molto più vasta di quella dell’ intelligibile,
che è ciò che può essere conosciuto soltanto dalla ragione, dall’ intelletto
puro. Conseontiva
(imagine). T. Nachempfindung, Naokbild : I. Afterimage, after sensation; F.
Image conséoutive. Con V
espressione imaginé ο sensazioni consecutive si suol designure la persistenza
allucinatoria d’una sensazione, dopo l'arresto della eccitazione che l’ha
provocata. Il fenomeno si verifica specialmente nel senso della vista, ove si
distinguono imagini consecutive positive © negatice. Le prime sono quelle che
presentano una pura e semplice continuazione della sensazione provocata dallo
stimolo luminoso; così, movendo rapidemente un tizzone ardente, si ha la
sensazione di una linea luminosa, che è dovuta al prolungamento della sensazione
che il tizzone provoca nei diversi punti della retina. Le negative si
distinguono dalle positive, perchè gli oggetti luminosi che hanno provocata la
sensazione paiono oseuri, e gli oggetti colorati paiono del colore complementare;
così se si chiudono gli occhi dopo aver gnardato una finestra, dopo un certo
tempo essa pare oscura; se si chiudono gli occhi dopo aver fisssto un oggetto
rosso, esso pare di color verde azzurro. Questi fatti si spiegano per mezzo
della stancherza della retina. Cfr. Kreibig, Die fünf Sinne des Mensohen, 1907,
p. 121 segg. Cox 220 Consecuzione. T. Consecution; I. Consecution ;
F. Consécution, Termine usato dal Leibnitz per designare’ |’ associazione delle
idee, che è fornita dalla memoria e imita la ragione, dalla quale però deve
essere ben distinta. Nella consecuzione, infatti, una imagine richiama
automatica mente un’altra imagine, ma tra le due non v’ha alcun legame logico. La
memoria fornisce una specie di conseouzione alle anime, che imita la ragione,
ma che vuol esserne distinta. Noi vediamo che gli animali, avendo la percezione
di qualche cosa che li colpisce e di cui hanno avuto la percezione simile in
precedenza, s’ attendono per la rappresentazione della loro memoria ciò che vi
è stato unito in codesta precedente percezione, e sono portati a sentimenti
simili a quelli che avevano allora, Ad es.: quando si mostra il bastone ai
cani, ‘ai ricordano del dolore che ha loro causato 9 guaiscono e fuggono ». Nel
suo significato somune, la consecuzione è la successione immediata di due
fatti. Cfr.
Leibnitz, Monadologie, $ 46. Conseguente. Lat. Consequens; T. Konsequent,
folgend: I. Consequent; F. Conséquent. Un atto qualsiasi dicesi conseguento quando sta in rapporto con altri
che lo precedono; un ragionamento è conseguente quando le idee che lo costituiscono
derivano logicamente l’una dall’ altra e tutte insieme da un principio comune.
Nella logica si dice conseguente il secondo termine d’un rapporto, ο
antecedente il primo. Conseguenza. Lat. Consequentia; T. Folgerung, Consequenz;
I. Inference, Consequence; F. Conséquence. Una proposizione che risulta
logicamente da un’ altra proposizione © du più proposizioni, ed è così
strettamente legata ad esse, che non si può affermare o negare quella senza accettare
o respingere questa. Una conseguenza è sempre formalmente vera, purchè,
s'intende, sia stata dedotta conforme alle norme logiche; ma può essere
materialmente falsa, se tali sono le premesse. La conseguenza si distingue 221 Cox
dalla conclusione perchè questa risulta necessariamente, la conseguenza risulta
semplicemente; tuttavia, perchè un atto, una ides, una cosa possano dirsi la
conseguenza di un antecedente, non basta che esse lo seguano accidentalmente e
casualmente, ma bisogna che risultino da quello, e che quindi a lui siano
legate ds una relazione costante, vale a dire da una legge. Consenso. Lat. Consensus,
Consensio; Τ. Übereinstimmung; I. Consent; F.
Conséntement, Agrément. Molte
volte, come prova della verità di determinate dottrine, libero arbitrio,
immortalità dell’ anima, realtà del mondo esterno, ecc., ai invoca il consenso
universale, cioò il convenire della maggior parte degli uomini in quella
credenza. In omni re consensio generis humani pro veritate habenda est, dico
Cicerone. Ciò però non basta per provare la loro verità; il consenso dei più è
accordato solitamente alle idee tradizionali e alle attestazioni immediate,
spesso illusorie, del senso; tutte le verità nuove debbono infatti combattere
contro il consenso del maggior numero. Alcune volte consenso 0 oonsensue si adopera
figuratamente, e vale armonia, solidarietà delle parti d’un tutto, degli organi
d’un organismo. Cfr. Aristotele, Eth. Nioom., X, 2, 1173 a; Cicerone, Tusoulano,
I, 15 (v. senso comune). Conservazione. T. Erhaltung; I. Conservation ; F. Conservation.
Con questo vocabolo si designa il problema della conservazione del mondo dopo
la oreazione, problema molto discusso nella teologia e nella vecchia
metafisica, e che si riassume tutto nello spiegare in che cosa consists
l’azione di Dio nella conservazione. Secondo gli uni (cartesiani) In
conservazione non è che una creazione continuata, Omnia qua exiatunt, a sola vi
Dei conservantur, dice Cartesio; vi ha la sola differenza, che mentre colla
creazione Dio ha prodotto la nostra esistenza dal nulla, colla conservazione rostiene
in ogni istante codesta esistenza affinchè non rientri nel nulla. Secondo gli
altri, invece, Dio ha conferito ml Cox ogni essere, dalla creazione, la facoltà
di continuare la propria esistenza; il mondo è quindi un orologio che, una
volta caricato, continua a camminare per tutto quel tempo che Dio s'è proposto
di lasciarlo andare. La prima soluzione è conforme alla dottrina ortodossa, già
sostenuta da,8. Tommaso, per il quale,tutte le cose create sono così strettamente
congiunte al creatore, che se per poco egli si restasse dal conservarle,
cesserebbero di esistere rientrando nel nulla donde uscirono: dependent esse
oujuslibet orealurae a Deo ita quod nec ad momentum subsistere possent, sed in
nihilum redigerentur, nisi operatione divinae virtulis conservarentur in esso.
Come lu trasparenza Inminosa dell’aria scompare appena che i raggi del sole
cessano d’illuminarla, così, dice Β. Tommaso, ogni cosa creata si dileguerebbe
se la potenza divina si ristasse dall’ animarla. Cfr. S. Tommaso, Sum. theol.,
I, qu. CIV, srt. I; De Potentia, qu. V, art, I; Cartesio, Prino. phil., I, ΧΙΙ
(v. oreazione). Conservazione dell'energia. T. Erhaltung der Energio: I.
Conservation of energy: F. Conservation de l'énergie. Uno dei principî
fondamentali della scienza moderna, detto anche delln persistenza della forza.
Siccome però il vocabolo forsa ha nella meccanica un significato preciso, indicando
la massa moltiplicata per 1’ accelerazione, si suol preferire la prima
espressione. Fsso afferma che in tatti i fenomeni la somma delle forze vive e
delle energie potenziali è costante >. Questo principio, che è } espressione
più profonda della legge di causalità, e la base della teoria dell'evoluzione,
fu in origine constatato dal Mayer soltanto nell'equivalenza tra il movimento
meccanico e il calore; poscia fu esteso a tntte le altre forme di energia, che
costituiscono la luce, il calore, 1’ elettricità, il magnetismo, eco. Non
bisogna tuttavia scordare, che ciò non autorizza a considerare l’ energia
cinetica come il fondamento di tutte le altre, perchè con ugual diritto si
potrebbe conchiudere che calore, Ince, 600, non sono che manifestazioni diverse
della 223 Cox stessa energia elettrica; l’equivalensa di
tutte le forme di energia, nota l’Ostwald, lungi dall’autorizzarei a ridurre
una di queste forme all'altra, le pone tutte sullo stesso piano. Di più, il
principio della conservazione dell’ energia, per quanto serva a rendere
concepibile la natara, in sè stesso è una ipotesi indimostrabile, in quanto non
è applicabile che ai sistemi chiusi, a quei sistemi cioè che non ricevono
alcuna azione dal di fuori, nd agiscono al di fuori; ora la nostra esperienza
non ci offre nè potrà mai offrirci delle totalità assolutamente chiuse ed
isolate. In secondo Inogo, per essere una esplicazione generale dei fenomeni
naturali, dovrebbe aver avuto una conferma sperimentale in tutte le forze della
natura, mentre noi non conosciamo nè conosceremo mai il contenuto totale della
natura. Cfr. A. E. Haas, Die Entwickelungsgeschichte des Satz von der Erhaltung
der Kraft, 1909; W. Ostwald, L'énergie, trad. franc. 1910, p. 87 segg.; E.
Naville, La physique moderne, 1890, p. 14 segg.; B. Varisco, Scienza e
opinioni, 1901, p. 205 segg. Consoggetto. Ciò che è percepito unitamente al soggetto.
Secondo il Rosmini, nella percezione che noi abbiamo del nostro corpo come
consoggetto, si sente il paziente, 08sia il paziente sente sò stesso in esso ©
con esso; invece uella percezione di un ente come straniero al soggetto si
sente l’agente. L'ente estraneo al soggetto dicesi esérasoggetto; come tale, ©
quindi come agente, può essere percepito da noi il nostro corpo, quando cioò
determina come ogni altro corpo esteriore un’ azione su qualcuno.dei nostri
cinque sensi. Cfr. Rosmini, Pricologia, 1846, vol.I, p.97 segg. Contatto. Lat.
Contactus ; T. Berührung, Kontact ; I. Contact; F. Contact. Posizione relativa
di due corpi la cui stanza è la più piccola possibile. Il problema se vi siano
azioni a distanza, o se tutte avvengano per contatto, fu dn principio un
problema metafisico e religioso, in quanto si connetteva con l’altro
dell’azione di Dio sul mondo: se si considera quale condizione del movimento il
contatto Con 224 del motore col mosso, come può conciliarsi la
pura spiritualità, che costituisce l’ essenza dell’ essere divino, con la
materializzazione dell’ azione sua, οἱοὸ col movimento della materia? Nei tempi
moderni esso è divenuto un problema essenzialmente scientifico, la cui
difficoltà sta in ciò, che un contatto geometrico rigoroso non è osservabile,
perchè non potrebbe aver luogo che tra due corpi continui senza parti distinte,
mentre è noto che tutti i corpi percettibili, senza eccezione, constano di
particelle separate; mentre, d’ altro lato, per accertare un’ azione veramente
a distanza bisognerebbe sperimentare nel vuoto assoluto, ο assicnrarsi che all’
azione il mezzo non prenda alcuna parte essenziale, due cose del pari
impossibili. Le sensazioni di coutatto
appartengono al senso tattile, come pure quelle di temperatnra e di pressione:
per mezzo di esse si apprezza la natura dello stimolo, cioè dell’ oggetto, il
duro, il molle, il gnssoso, il liquido, il levigato, l’aspro, l’appuntito. Nella terminologia scolastica si distinguono
due specie di contatto: 1) contactus suppositi ο immediatio suppositi, che si
verifica quando colui che opera è immediatamente, per l'entità sua, congiunto a
chi riceve l’azione, quale è Dio a qualsiasi cosa su cui operi; 2) contactus
virtutis ο immediatio tirtutis, quando l’ agente, mediante la sua virtà, arriva
a chi riceve |’ azione, come il sole all’ aria mediante la luce. Cfr. 8.
Tommaso, Summa theol., I. qu. 75, 1; Avenarius, Philosophie ala Denken der
Welt, 1908, 2* ed., pag. 3 segg.; Wundt, Logik, vol. II, p. 268; Windelband,
Storia della fllorofia, trad. it. 1918, I, p. 302 segg.; R. Varisco, Scienza ο
opinioni, 1901, p. 182-145. Contemperasione. È la dottrina, detta anche della
soarità vittoriosa, con la quale alcuni teologi hanno cercato di conciliare la
libertà del volere umano con la provvidenza © la prescienza divina. Le nostre
azioni sono libere; ma Dio, nella ana infinita bontà, riesco a farci compiere
certe azioni determinato ο ponendoci in circostanze tali da ren 225 Cox dere quelle azioni necessarie, ο
suseltando in noi pensieri ο sentimenti che a quelle azioni ci spingono. E
dunque una suggestione, o, meglio, uns seduzione che Dio esercita su di noi, e
dalla quale ci lasciamo docilmente condurre per la soavità © l'abilità onde è
esercitato. Cfr. C. Jourdain, La filosofia di δ. Tommaso, trad. it. 1860, p.
132 segg.; L. Friso, Filosofia morale, 1898, p. 210. Contemplazione. Lat.
Contemplatio; T. Contemplation : I. Contemplation ; F. Contemplation. Termine
proprio del misticismo, che designa quello stato nel quale } anima, libera da
ogni tarbamento dei sensi, esercitata da lunghe meditazioni, si assorbe tutta
nella visione serena e bentifica del mondo spirituale, della sorgente d’ogni
verità. Per Ugo di 8. Vittore i tro gradi dell'attività intellettuale sono
cogitatio, meditatio, contemplatio, e corrispondono ai tre occhi dati all’ uomo:
il corporeo, per conoscere il mondo materiale; il razionale, per conoscere sè
stesso nella propria intimità; il contemplativo, per conoscere il mondo spiritusle
ο la divinità. Anche la contemplazione è una risio intellectualis, un vedere
spirituale, che solo comprende direttamente la verità suprema, mentre il
pensiero a tanto non arriva. La contemplazione si distingue dall’ estasi e
dalla riflessione ; dall’estasi perchè non annienta, come questa, ogni attività
dell’anima, dalla riflessione perchè, mentre questa implica la ricerea di una
verità non ancora interamente conosciuta, quella invece à la visione della
verità già posseduta ο splendente in tutto il suo fulgore dinanzi agli occhi.
Cfr. Plotino, Enn., VI, 9, 3; R. di 8. Vittore, De cont., V, 2 ο 14.
Contiguità. I. Contiguität, Berührung; I. Contiguity; F. Contiguité, Nol
linguaggio comune designa la vicinanza di due oggetti nello spazio. Per
analogia, nella logica In contignità indica la relazione tra due concetti,
compresi sotto un terzo comune e tra i quali passa la minima difforenza
possibile: ad es. tra il violetto e 1’ indaco nei sette 15 RaxzoLi, Dizion. di scienze filosofiche.
colori dello spettro solare. La relazione di contiguità (che alcuni dicono con
minor precisione di contingenza) è quindi possibile soltanto in una serie
discreta, potendosi sempre, in una serie continua, concepire tra i due termini
uno intermedio. Pure per analogia, nella psicologia la contiguità di due fatti
di coscienza è la loro simultaneità o il loro succedersi immediatamente. Quando
i due fatti sono simultanei, cioò contigui nello spazio, ciascuno dei due tende
poi a richiamare I’ altro; quando sono successivi, cioè congiunti nel tempo, il
primo tende n richiamare il secondo; ciò costituisce appunto In legge di
contiguità, che è una delle leggi dell’ associazione, già descritta da
Aristotele ο elevata poi a grande importanza da Hume e dalla scuola scozzese. Cfr. Aristotele, Je memoria,
II, 451; Hume, Essay on human understanding, sez. III; Bain, Mental and moral
science, 1884, p. 150 sogy.; Höffding, Paychologie, trad. frane. 1900, p. 205 segg. Contingenza. T. Contingenz,
Zufälligkeit: I. Contingency; F. Contingence. Si oppone a necessità; questa si
applica a tutti gli esseri o agli avvenimenti che non possono non essere,
quella agli esseri o avvenimenti che potrebbero anche non essere: quod potest
non esse. Un avvenimento futuro è contingente quando, allo stato presente delle
cose, ln sus realizzazione o non realizzazione sono ugualmente compossibili. Un
fatto si considera, per rispetto ad una legge generale, contingente, quando consiste
non nell’ applicazione di questa legge, ma in qualche circostanza particolare a
questo ο quell’ oggetto individuale a cui si applica. La contingenza è dunque,
in generale, la possibilità della esistenza. Possibile quidem et contingens
idem prorsus sonant, dice Abelardo. Si tratta però di nna possibilità pura ο
indeterminata, cio di una vera e propria indifferenza tra l’ essere e il non
essere, ben distinta quindi dalla possibilità concreta, la quale si oppone non
alla necessità ma alla attualità, ο conduce, in assenza di 227 Cox
fattori negativi, alla compiutezza finale dell’ essere. Tale possibilità pura,
come capacità di ricevere determinazioni contradditorie, fu aramessa da
Aristotele nella materia; come la forma priva della materia è l'atto puro,
l'essere che permane identico a sè stesso, così la materin priva della forma è
la para possibilità del? essere © del non essere, che nulla vieta si determini
in tm modo o in un altro. Quindi per Aristotelo nella materia è la vera causa
dell’ accidente, del fortuito; in essa stanno lo altime differenze che separano
individuo da individuo, poichè discendendo dai generi alle specie via vin più
particolari, scompaiono le differenze essenziali 9 nou restano infine che
‘nelle accidentali di colore, grandezza, cor. Andando anin là, Duns Sooto
definisce P’individualitä come il contingente, ossia quello che non si deve
derivare da una ragione generale, ma solo constatare come attuale; lo forma
particolare è per lui qualche cosa di originariamente reale, di cui non si deve
chiedere il perchè. Come contingenza assolnta è concepito l’atto volontario
nella dottrina tradizionale del libero arbitrio di indifferenza ; dice ad es.
Pietro Lombardo: arbitrium quia sine coactione et necensitate valet appetere
rel eligere, quod ex ratione deorererit. E Goclenio : roluntan ut fertur sine
coactione in aliqua re; nam roluntar potent relle vel non velle. E Malebranche: la
puissance de rouloir ou de ne par vouloir, ou bien de vouloir le contraire. Secondo il Leibnitz vi sono due sorta di
verità: le verità di ragionamento, che dipendono dal principio di contraddizione
e sono necessario; lo verità di fatto, che dipendono dal principio di ragione
sufficiente e sono contingenti. Secondo il Mill questa distinzione non si può
faro perchè tutte le verità, in quanto tali, sono necessario; se nelle verità
di ragionamento il contrario sembra inconcepibile, mentre è concepibile nelle
verità sperimentali, ciò dipendo dal’ essere lo prime effetto di una forte
associazione stabilitari fra due {deo in forza dell’ abitudine, mentre per lo
cora Cox 228 seconde quest’ abitudine non si è ancora
formata. Infatti le verità razionali, ad es. gli assiomi matematici, sono le
generalizzazioni più facili e più semplici, la cui esperienza non fu mai
contraddetta, e che perciò hanno in sè tutta la forza di cui la nostra credenza
istintiva è capace. Del resto, la storia del pensiero umano dimostra che ciò
che è inconcepibile in un’ epoca è concepibile in altra epoca, © viceversa. Dicesi dottrina della contingenza dei futuri
quella secondo la quale gli atti e gli avvenimenti, che dipendono dal libero
arbitrio dell’uomo ο dall’ intervento della Provvidenza, non sono necessari,
perchè nè sono retti da leggi naturali, nè hanno la loro ragion d’essere in
atti antecedenti. Quindi possono realizzarsi ο non realizzarsi. Cfr.
Aristotele, Meth., IX, 7, 5; VI, 2, 2; Trendelenburg, Logische Untersuchungen,
1862, vol. II, p. 198 segg.; J. S. Mill, Examination of Hamilton, 1867, p. 560
segg.; Ο. Ranzoli, IL caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 31 segg., 114
segg. (v. causalità, necessità, ragione). Contingenza (filosofia della). F.
Philosophie de la contingence. O anche contingentismo, 0 idealismo
conténgentiata : quell’ indirizzo della filosofia francese contemporanea, che
nega la necessità delle leggi della natura, sostituendo la spontaneità, la
creazione libera, lu contingenza al determinismo meccanico. Essa si riconnette
per un lato con la filosofia della libertà, per l’altro con la nuova critica
della scienza: dalla prima, iniziatasi con la dottrina kantiana del primato
della ragion pratica e svolta in Francia da Paul Janet, Secrétan, Ravaisson,
accetta la concezione morale ed estetica dell’ universo; dalla seconda,
promossa in special modo dal Mach, trae gli argomenti contro la necessità della
legge. Secondo il Boutroux, il più tipico rappresentante di questo indirizzo, i
principj superiori delle cose anrehbero ancora delle leggi; ma delle leggi
morali ed ostetiche, espressioni più o meno immediato della perfezione di Dio,
preesistenti ai fenomeni e anpponenti degli agenti 229 Cox
dotati di spontaneità »; codeste leggi non hanno in sò nulla di assoluto e di
eterno, non sono che abitudini provvisorio contratte dall’ essere, il quale
tende a persistervi riconoscendo in esse l’impronta dell’ ideale; ma il trionfo
completo del Bene ο del Bello farà scomparire queste imagini artificiosamente
fisse di un modello vivente e mobile, soatituendo alla legge necessaria il
libero sforzo della volontà verso la perfezione con la libera gerarchia delle
anime. La scienza, con la rigidità delle sue formule, non hw valore obbiettivo;
essa è soltanto lo sforzo per adattare le cose alla legge d’identità del
pensiero e per renderle docili al compimento della nostra volontà. Codesto
adattamento appare già nella logica, Il pensiero porta in sò le leggi della
logica pura, ma poichè la materia che gli è offerta non si conforma ad esso
adattamento, cerca di adattare la logic alle cose creando un insieme di
procedimenti e di simboli che rendano intelligibile la realtà. Le leggi della
logi pura, ed eme sole, sono necessarie ed obiettivamente valide; però lasciano
indeterminata la natura delle cose a cui si applicano. La sillogistics invece
non ha in sò alcuna garanzia di validità obbiettiva, ma il fatto che i nostri
ragionamenti riescono, ci prova che, nel fondo delle cose, c'è un che di
analogo all'intelligenza umana; e come in noi, accanto alla intelligenza, v’ ha
un complesso di facoltà attive, così possiamo pensare nelle cose un principio
di attività ο di spontaneità. Salendo poi dalle scienze astratte verso le più
concrete, ci allontaniamo sempre più dalla nocessità ed evidenza logica. Dalle
leggi matematiche allo leggi della meccanica ο da queste alle leggi della
fisica, della chimica, della biologia, della psicologia, della soci logia,
ecc., crescono la complicazione ο il grado di conti genza. Il che prova dunque
che la realtà viva ο conoreta non può esser racobiusa nei nostri quadri
mentali; che la necessità della legge vale solo per i principj logici, mentre
nei processi della natura dominano la libertà ὁ la spontaCox 230 à;
che In scienza, se soddisfa il nostro bisogno d'eviο d universalità logica, è
condannata a lasciar fuori che v ha di più reale nelle cose, ossia il loro
aspetto qualitativo, la loro trasformazione incessante, U atto di creazione che
è nella loro essenza come nel fondo dell’ anima umano. Tra gli altri maggiori
rappresentanti del contingentismo, il Poincaré ha cercato in special modo di mostraro
il carattere puramente convenzionale, economico, delle leggi e dei concetti
scientifici; il Milband di porre in luce il valore soggettivo della certezza
logica, che non può estendersi al dominio della realtà perchè, senza il contributo
dell’esperionza, i principj logici non possono darci deduttivamente il
contenuto di nessuna conoscenza; il Bergson, portando all’ estreme conseguenze
lu reazione contro l’intellettualismo, risolve la realtà in un flusso cessante
di forme nuove senza direzione determinata, flusso che la nostra intelligenza
ba, per i suoi bisogni pratici, immobilizzato, e che noi non potromo quindi
conoscere se non spogliandoci il più possibile d’ ogni forma intellettuale,
ritirandoci nella nostra aninia profonda per innuedesimarci con la stessa
attività creatrice. Cfr. P. Janet, Lex causes finales, 1874; Ravuisson, La fil.
en Franco au XIX siècle, 1889; Boutroux, De la contingenoe des lois de la nature,
1899; Id., De l’idée de loi naturelle, 1901; Milhaud, Exsai sur les conditions
et len limites de la certitude logique, 1894; Bergson, L'érolution créatrice,
1907; F. Masci, L’idealirmo indeterminiata, Atti della R. Acc. di s. mor. e
pol. di Napoli », 1898; A. Levi, L'indeterminismo nella fil. franc. contemporanea,
1904; Petrone, 1 limiti del determinismo scientifico, 1900; Tarozzi, Della
necesnità nel fatto naturale ed umano, 1896; ©. Rauzoli, Sulle origini del
moderno idealiemo. Riv. di fil. e scienze affini », maggio 1906; A. Aliotta, La
reazione idealistica contro la scienza, 19 p. 133-196 (v. economica teoria,
empirinmo, esperienza, idealinmo, intuizione, tempo, vitaliamo). 231 Cox
Continuità (principio di). T. Stetigkeit; I. Continuity; F. Continuité. La
gloria di aver primo intuito ed esposto questo principio è universalmente
atiribuita al Leibnitz (di cui è celebre il detto in natura non datur saltus),
che considerava la natura come una serie continua di mona quali sono in numero
determinato, ed h loro, e tutte insiome costituiscono una serie continua di
differenze infinitamente piccole: ogni monade tiene il suo luogo, nessuna nasce
di nuovo, nessuna perisce ; due mouadi identiche non si possono trovare; quindi
levata una inonade, tutta la cutena si rompe. Questa bella legge della
continuità, come il Leibnitz stesso la chiamò, importa dunque che nel mutamento
non vi hanno salti fra i due stati, il vecchio e il nuovo, perehè 1’ intervallo
tra l’uno e l’altro è riempito da un numero infinito di stati intermedi; e che
non esiste una dirersità senza che esista pure una intinità di intermediari.
Fra le applicazioni particolari più importanti che il Leibnitz fece di questa
legge, vi ha la scoperta del calcolo, differenziale, in virtù di cui la disuguaglianza
è come una infinitamente piccola uguaglianza, la parabola un’ ellissi, di cui
un foco sia infinitamente lontano dall'altro. Applicata alla meccanica, la
quiete nou è più I’ opposto del moto, ma non è che un movimento infinitamente
piccolo, e la forza morta non è che un ris elementaris, una forza viva sul
cominciare. Applicata alla natura, il Leibnitz ammette non solo una connessione
graduale tra le varie specie d’animali, ma anche una gradazione intermedia tra
il vegetale ο l’animale. Nella scienza
contemporanea, il principio della continuità dinamica, uni: versale, dei fatti,
è il fondamento del concetto del della natura, in cui il fatto biologico
continua il fatto tisico, ο il fatto psichico il biologico, e il fatto sociale
il psichico, così nel rispetto doll’attualità come in quello della potenzialità.
Integrazioni di questo principio sono la logge di causilità, di evoluzione,
dell’unità della materia, della persistenza, unità Con 232 trasformazione, equivalenza e unità della
forza. Cfr. Loibnitz, Nour. Ess., ed. Gerhardt, IV, 398; V, 49; Monad., 61;
Kant, Krit. d. reinen Vernunft, ed. Reclam, p. 165 segg.; Dithring, Logik und
Wissenschaftstheorie, 1878, pag. 198. Continuo. Lat. Continuum; T. Stetig; I.
Continuous; F. Continue. Si dice
continuo un oggetto le cui parti ο elementi costitutivi sono legati tra loro in
modo che non rimanga tra essi alcun vnoto. Essendo gli oggetti materiali ©
ideali, così si distingue il continuo corporale e il coftinuo ideale. Sono
continui lo spazio e il tempo, la materia e la forza; discontinui il numero e
la quantità. Nel linguaggio scolastico distingnevasi il continuum permanens dal
ο. successioni : il primo è quello le cui parti esistono insieme, come un
bastone; il secondo quello le cai parti passano senza interruzione, ed hanno la
continuità nel senso di non interrotta, successione, come il creato. Secondo 1’
Herbart, è continuo soltanto lo spazio fenomenale, quello ciod dove sono
rappresentate le nostre sensazioni e che è in noi; è invece discreto lo spazio
intelligibile, nel quale esistono i reali, e che è quindi reale. Cfr. Herbart,
Lohruch sur Peychol., 1850, p. 67 segg.; Varisco, Scienza e opinioni, 1901, p.
136 segg.; E. Borel, Le continu mathém. et lo cont. physique, Scientia », 1909,
VI. pp. 21-85 (v. quantità). Contradditorio. Lat. Contradictorius; T. Widersprechend,
oontraditorisch ; I. Contraditory; F. Contradictoire. Due proposizioni si
dicono contradditorie quando, avendo entrambe lo stesso soggetto e lo stesso
predicato, differiscono in qualità ο quantità; tutti gli A sono B, qualche A
non è B, oppure: nessun A è B, qualche À è B. Non possono essere entrambe vere,
nd entrambe false; quindi se luna è vera l’altra è falsa, se luna à falsa
l’altra è vera. ‘Trattandosi di due proposizioni singolari, basta che difteriscano
nella qualità per essere contradditorie: A è B, 4 non è B (v. contrario). 233 Cox
Contraddisione. Gr. ‘Avtipuotc; Lat. Contradiotio; T. Widerspruch, Contradiction ; 1.
Contradiotion; ¥. Contradiction. Quell’
atto dello spirito mediante il quale si afferma ο si nega la stessa cosa; il
suo schema è dunque il seguente 4 = non A. La contraddizione può essere
formale, implicita e in adjeoto. La contraddizione è formale, ο in terminis,
quando i due giudizi ο le due nozioni contradditorie sono espresse ; implicita
quando uno dei due giudizi o nozioni, pure non comparendo, deve essere supposto
come priucipio o come conseguenza di ciò che si enuncia; in adjeoto quando
attribuisce al soggetto una qualità che ne è esclusa per la sua stessa
definizione. La contraddizione tipica è la formale; ma il pensiero non vi
incorre mai, quando trovasi in condizioni normali; può bensì incorrervi per la
complessità dell'argomento, che non gli permette di avvertire la
contraddizione. L’ antinomia è una forma di contraddizione in adjeoto,
dipendente dall’ essero una proprietà, che si attribuisce a un soggetto,
inconcilinbile con esso per altra proprietà che gli è essensiale, u che è
affermata nel suo concetto. Cfr. Aristotele, De interprot., C. 6; Herbart,
Hawpipunkte der Metaphysik, 1806, p. 6-14 (v. assurdo). Contraddizione
(principio di). Aristotele, che lo considerava come il principio più certo di
tutti, lo formulò in questo modo: non è possibile che la stessa cosa inerisca e
non inerisca nella stessa cosa, simultaneamente ο sotto il medesimo rispetto.
In altre parole, questo principio esprime che due proposizioni, di cui l’una
afferma ciò che I’ altra nega, non possono essere considerate come vere
entrambe, e che quindi in tal caso il pensiero è nullo: A= non À = sero. Il
Leibnitz formulò diversamente il principio di contraddizione in questo modo: À
non è non A. Come si vede, mentre questa formula concerne il rapporto tra
soggetto e predicato contradditori d’uno stesso gindizio, quella aristotelica
concerne il rapporto tra due giu 234 contradditori d’identico contenuto; perciò la
formula leibnitziana integra 1’ aristotelica, estendendo il valore del detto
principio non al solo giudizio ma a tutto il campo della conoscenza. Secondo
alenni filosofi, ad es. gli elentici, il principio di contraddizione, come
quello di identità, non ha un solo valore formale e soggettivo, ma anche uno
realo ed oggettivo; vale a dira che esso non sarebbe un semplice canone cui il
pensiero si deve conformare, ma un principio obbiettivo con cui si può
determinare la natura del reale. Invece gli eraclitei negarono loro ogni valore,
sia logico che obbiettivo, e l’antien disputa, spontasi col prevalere della
logica aristotelica, fa rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel e dall’
Herbart. Per Eraclito l'unica cosa permanente nel diveniro incessante delle
cose è l'armonia degli opposti; nella sau retorica poetica il flutto delle cose
è una lotta incessante dei contrari, e questa lotta è la madre delle cose;
tutto ciò che sembra essere è il prodotto di movimenti ο di forze opposte, che
mercà In loro azione mantengono |’ equilibrio ; così I’ nniverso è ad ogni
momento un’ unità, che si suddivide e poi ritorna in xè, una lotta che trova la
sun conciliazione, un difetto che trova la sua compensazione. Nei tempi
moderni, questo concetto della coincidentia oppositorum fu ripreso da Giordano
Bruno e dalla metafisica idealisticn succeduta n Kant. Così per Fichte, se il
mondo deve esser concepito come ragione, il suo sistema deve essere sviluppato
da un problema originario, da una esigenza che ciascuno deve essere nello stato
di adempiere : questa esigenza è l’autocoscienza. ossia pensa te stesso. Questo
principio può svilupparsi solo fino al punto, in cui si mostra che fra ciò che
deve avvenire e ciò che avviene c'è ancora una contraddizione, da cui nasce un
nuovo problema, ¢ così di sèguito : il metodo dialettico è così un sistema in
cui ogni problema ne produce uno nuovo; di fronte a ciò che la ragione vuol
fornire, sta in essa stessa un ostacolo, © per superarlo essa 235 Cox
sviluppa una nuova fanzione; questi tre momonti sono detti fesi, antitesi ©
sintesi. Così il mondo della ragione diventa l’infinità dell’ ontogenesi, e la
contraddizione tra il dovere e il fare viene spiegata come 1’ ensenza realo
della ragione stessa; tale contraddizione è necéssaria ed inevitabile,
appartenendo alln natura della ragione; e poichè soltanto la ragione è reale,
la contraddizione viene cost spiegata come reale. In tal modo il metodo
dialettico, trasformazione metafisica della dialettica trascendentale di Kant,
si mette in opposizione con la logica formale; le regole dell’ intelletto, che
hanno il loro fondamento nel principio di contraddizione, sono sufficienti per
l’ elaborazione ordinaria delle percezioni in concetti, gindizi ο sillogismi,
ma insufficienti per la costruzione speculativa. Il metodo dialettico fu
perfezionato da Hegel, per il quale l’ essenza dello spirito è di sdoppiarsi in
sè stesso e di ritornare da questa separazione alla sua unità originaria; la
ragione è non solo in sè come semplice realtà idenle, ma anche per sè: essa
manifesta 6 stessa come qualche cosa di altro, diventa un oggetto diverso dal
soggetto, e questo esser altro è il principio della negazione. Il cancellare
questa diversi il negare la negazione, è la sintesi di questi due momenti: così
ogni concetto si converte nel suo opposto, ὁ dalla contraddizione di ambedue
deriva il concetto più elevato, che ha poi la stessa sorte di trovare uu’
antitesi, che richiede una sintesi ancora più alta, e così di sèguito. Per I’
Herbart, tutto al contrario, il principio più alto di og sare è, che ciò che è
contradditorio non può essere verumente reale. Ora, poichè i concetti con cui
pensiamo l’esperienza sono in sè contradditori, ne viene che la filosofia, la
quale ha per compito di rintracciare il reale vero, assoluto, dovrà essere una
elaborazione dei concetti dell’ esperienza; ossa deve trasformarli secondo lo
rogole della logica formale (ο non v’ha altra logica che quella formale) finchi
sia conosciuta la realtà scevra di contraddizioni. Cfr. AristoCon tele,
Metaph., III, 2, 996 b, 28 ο segg.; Leibnitz, Monadologie, 31; Theod., I, § 44;
Kant, Krit. d. reinen Vern., od. Reclam, p. 151 segg.; Herbart, Hauptpunkte d.
Motaph., 1806; Id., Einleitung in die Philos., 1813, p. 72-82; Hartmann, Ueber
did dialektische Methode, 1868; F. Paulhan, La logique de la contradiction,
1909; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 176, 108, 173;
II, 69 segg. (v. essere, nulla, realtà). Contrapposizione. Lat. Contrapositio;
'T. Kontraposition; I. Contraposition ; F. Contraporition. Quell’ operazione
logica per cui si converte una proposizione, aggiungendo il segno della
negazione ai due termini. La contrapposizione della proposizione particolare
negativa è poco utile © poco usata; maggiore importanza ha invece la conversione
delle universali affermative, perchè dà modo di controllare se I’ attributo è
legato necessariamente al soggetto, vale a dire se l’ universale affermativo
enuncia una verità. Così, convertendo per contrapposizione la proposizione:
tutti i pesci sono muniti di branchie, si ha tutti gli animali non muniti di
branchie sono non pesci, da cui si vede che l'essere muniti di branchie è un
carattere essenziale dei pesci. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1855, vol. I,
p. 584; Masci, Logica, 1899, p. 225. Contrario. Gr. 'Evavriov; Lat. Contrarius;
T. Conträr: I. Contrary; F. Contraire. Si dicono contrarie due proposizioni
che, avendo uguali soggetto © attributo ed essendo entrambe universali,
differiscono nella qualità, vale a dire l'una è negativa l’altra è affermativa;
tutti gli 4 nono B, nessun A è B. Possono essere entrambe false, non entrambe
vere; dato dunque che sia falsa una, non si può iuferirne che l’altra è vera;
ma dato che sia vera una si deve inferirne che l’altra è falsa. Cfr. Rosmini,
Logica, 1853, $ 107-109 (v. contradditorio). Contrasto. T. Kontrast ; I.
Contrast ; F. Contraste. Nella psicologia designa quel fenomeno ottico, che il
Chevreul 287 Cox ha espresso nella legge seguente: quando
I’ occhio vede contemporanesmente due colori contigui, li vede nel modo più
dissomigliante possibile quanto alla loro composizione ottica ο quanto alla
altezza del loro tono. Infatti, se si pongono vicine delle striscie di carta
coperte d’ una tinta uniforme di grigio di diverse intensità, ogni striscia sembra
più chiara dal lato ove essa tocca una striscia più scura, e più scura dal lato
ove tocca una striscia. più chiara; se si metto una riga bianca su nn fondo
nero, questo fondo pare più nero in prossimità della riga. Ciò per l'intensità;
quanto alle sfumature, se noi collochiamo una striscia di carta verde sopra un
fondo grigio, questo fondo sembra rosso, essendo il rosso il colore complementare
del verde; le nubi bianche in cielo azzurro sembrano giallognole; le ombre
degli oggetti al momento del tramouto sembrano turchine, perchè la Ince inviata
in tal momento dal sole è aranciata, Tutti questi fenomeni di contrasto si
spiegano colla teoria di Joung e Helmholtz, che cioè nella retina si trovino
tre specie di fibre, ognunn delle quali viene stimolata a preferenza da uno dei
tre colori fondamentali (rosso, verde, violetto), e che quindi tutte le
possibili sensazioni di colore risultino dalla combinazione delle tre
sensazioni fondamentali. L'associazione
per oontrasto è uno dei tre casi fondamentali d’ associazione delle idee
descritti da Aristotele. Nella psicologia moderna non la si considera che un
modo subordinato dell’ associazione per rassomiglianza ο per contiguità ;
infatti i contrasti rientrano sotto una medesima idea comune, ad es. fl nano e
il gigante sotto quella della statura media; di più, il corso della vita
implica dei contrari che si succedono, si toccano rasformano l’nno nell’ altro,
come il giorno succede alla notte, la gioia alla tristezza. Secondo I’
Hüffding, nello associazioni per contrasto avrebbe parto prevalente il sentimento,
determinato sempre dall’ importante contrasto del Pincere ο del dolore; a una
forte tensione succede or: Cox 238 riamente un periodo di stanchezza e tendenza a
dirigere il nostro interesse in senso opposto: Così potrebbe spiegarsi il
bisogno che si prova di passare. dall’ imagine della luce a quella della
oscurità, dall’imagine del grande a quella del piccolo ». Cfr. Wundt, Grundriss d.
Psychol., 1896, p. 302 seg.; Kreibig, Die fünf Sinne des Menschen, 1907, p.
113-115; James Mill, Analysis of the phenomena of the human mind, 1869, I, p.
113 segg.; Höffding, Paychologie, trad. franc. 1900, p. 213 segg. Contratti (giudizi). Quelle forme di
giudizio in cui è taciuto il predicato o il soggetto, o in cui il soggetto è
puramente indientivo, o in cui tutto il giudizio è contratto in un nome. Bi
distinguono in entimematici © tetici (v. composti). Contratto sociale. F.
Contrat social. Espressione entrata nel linguaggio filosofico dopo la
pubblicazione dell’opora del Rousseau, Del contratto sociale, ο principio di
diritto politico (Amsterdam, 1762). Il contratto sociale è il tacito patto che
gli uomini primitivi fecero tra di loro, rinnnziando ai propri diritti, per
affidare ad un potere pnbblico e supremo la tutela degli individui ο il
mantenimento della pace sociale. Secondo il Rousseau, il problema fondamentale
che s'impone agli uomini, quando lo stato primitivo di natura non può più
sussistere, è il seguente: Trovare una forma d’associazione, che difenda ο
protegga con tutta la forza comune la persona o i beni di ogni associato, e
mediante la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a sè
stesso e resti libero come pri Tale è il problema fondamentale di cui il
contratto sociale dà la soluzione. Le clausole di questo contratto sono
talmente determinate dalla natura dell'atto, che la più piccola modificazione
le renderebbe vane e di nessun offetto; per guisa che, sebbene non siano forse
mai state formalmente enunciate, sono dovunque le stesse, dovnnque tacitamente
ammesse e riconosciute, finchè, essendo il patto sociale violato, ognuno
rientri nei suoi primitivi 239 Cox riprenda la propria libertà naturale ».
Questa dottrina era giù stata svolta precedentemente da Epicuro, dal (irozio,
dal? Hobbes. Il contrario del contratto è lo statuto sociale, cioè i rapporti
legali che si stabiliscono tra gli nomini per il solo fatto che essi
appartengono a una determinata classe sociale, oppure si trovano in una data
situazione alla quale la loro volontà non può nulla mutare. Cfr. Rousseau, Du contrat
social ou principes du droit politique, 1762 (v. contrattualiemo, società). Contrattualismo. ‘I. Kontraktualismue; I.
Contractualism ; F. Contraotualisme. Sotto questo nome si raccolgono tutte le
dottrine che fanno originare la società, e quindi la morale, il diritto, lo
Stato, da un generale contratto ο da primitivi accordi contrattuali. Questa
idea trovasi già esplicitamente formulata in Epicuro, per il quale la società
politica non è una formazione naturale, ma è creata a ragion veduta dagli uo!
in base ad un contratto, συνθήκη, che essi fanno per non danneggiarsi
scambievolmente; perciò le leggi sono derivate in ogni singolo caso da un
accordo rispetto alle comuni utilità; in sò non v'è niente di giusto ο
d’ingiusto, e poichè è evidente che nel contratto fa prevalere il proprio
vantaggio chi ha intelligonza maggiore, così sono in generale i vantaggi del sapiente
che si presentano come i motivi della legislazione. ‘Tale concetto fu poi
ripreso da Occam, da Marsilio, da Hobbes, che gli diede il massimo sviluppo:
egli pone l’egoi«mo come fondamentale nell’ uomo, e considera lo stato naturale
come il bellum omnium contra omnes, nel quale si dice bene ciò che soddisfa il
proprio egoismo, male ciò che lo contrasta; ma poichè una condizione simile
offendo lo stesso egoismo, recando morte e danno, gli nomini s' accordano
tacitamente di trasferire il proprio diritto naturale ad un terzo, che
rappresenti, la forza di tutti: questo è lo Stato, che fa la zione, non più
relativa ma nssolnta, tra bene © male, tra lecito e illecito, tra religione Cox
e superstizione: il bene à l’ azione legale, il male l’azione illegale; la
religione è l'adorazione legale di Dio, la superstizione |’ adorazione illegale
; entrambe le autorità, civile e religiosa, sono incarnate nel sovrano. Mentre
Hobbes giunge così alla giustificazione dell’ assolutismo, Rousseau ricava
dalle stesse premesse delle conseguenze democratiche e liberali: per lui l’
uomo è originariamente buono e dominato da sentimenti sociali, quindi il
principio della traslazione e della rappresentanza deve essere limitato fino al
possibile, mentre a tutto il popolo si deve riconoscere direttamente |’
esercizio della sovranità. Dopo la rivoluzione francese il contrattualismo
decadde, ma per risorgere ai giorni nostri sotto diversa forma, Oggi non si
ammette più, in generale, un contratto alle origini della società, ma alla
fine, cioè come mata da raggiungere non come punto di partenza; la storia dell’
incivilimento dimostra infatti che all’origine non sono gli individui arbitri
dei propri destini, ma certi gruppi complessi tenuti saldi dall’ autorità di un
capo, e che l’ autonomia individuale si viene mano mano attuando col
perfezionarsi della vita sociale fino a rendere I’ individuo artefice
consapevole delle proprie situazioni giuridiche e delle stesse forme vincolanti
del vivere civile. Questa nuova concezione è dovuta specialmente al Summer
Maine, che, a conelusione dello sue ricerche sulle società primitive, fa
consistere il movimento delle società progressive nel trapasso da un primiero
regime di status ad un regime di contratto; ed è svolta poi in varie forme
dallo Spencer, dal Fouillée, dal De Greef, dal Bourgeois, occ, Cfr. Diogene L.,
X, 150 segg.; Jellinek, Allgemeine Staatalehre, 1905; G. Del Vecchio, Su la
teoria del contratto sociale, 1906; G. Dallari, I! nuoro contrattualismo nella
filosofia sociale e politica, 1911; P. Gentile, Sulla dottrina del “contratto
sociale, 1913 (v. contratto sociale). Controprova. T. Gegenbeweis; I.
Counterproof; F. Contre-éprenve. Una delle applienzioni del metodo di
differenza, A1 Cox che Bacone chiamò inrersio erperimenti.
Consiste nel ripetere inversamente una esperienza per confermarne i risultati.
Es.: per determinare la funzione dei nervi periferici, si fa agiro uno stimolo
sui nervi periferici di un animale, ed è facile accorgersi che detto stimolo ha
dato luogo alla sensazione. Controprova: ai recide la fibra stessa ο si fa
agire ancora lo stimolo; in tal caso non si ha più la sensazione. Si conchiude
che la continuità della fibra è necessaria per avere la sensazione. Cfr.
Bacone, Nuovo organo, 1810, p. 66 segg. Controversisti. I Padri del secondo
periodo della Patristica, così designati perchè non si limitano, come quelli
del primo periodo, a difender la religione cristiana dagli assalti del
paganesimo, ma attaccano anche le dottrine avversarie ο specialmente il
gnosticismo. I principali controversisti farono Ireneo e Tertulliano (v.
Patristica). Convenienza. T. Ubereinstimmung, Angemessenheit, Conrenione ; I.
Propriety; F. Convenance. Significa, in generale, accordo o armonia tra due ο
più termini. Nella morale ln convenienza è ciò che non ha un carattere di
obbligatorietà costante, ma conviene soltanto a certe circostanze în virtù
d’una regola normativa. Così gli stoici dicevano azione conceniente In giusta
scelta e il retto uso che il saggio sa fare di quelle cose che stanno fra il
bene e il male, che non possono nè giovare nè nuocere, che non meritano di
essere cercate nè fuggite, come la vita, le ricchezze, ecc. Leibnitz chiama
prinotpio della convenienza, la saggezza divina rivelantesi specialmente nelle
leggi del movimento : E meraviglioso che, con la sola considerazione delle
cause efficienti o della materia, non si potrebbe dar ragione di tali leggi del
movimento. Poichè io ho trovato che bisogna ricorrere alle oause finali e che
codeste leggi non dipendono dal principio della necessità, come le verità
logiche, aritmetiche e morali, ma dal principio della conreniensa, vale a dire
dalla scelta della saggezza ». Kant chiama principia con16 Raxzom, Dirion. di scienze filosofiche, Cox 242 venientiæ quelle proposizioni, che non trovauo
la loro giustificazione nè nell'esperienza, nè in deduzioni a priori, ma si
raccomandano per la loro opportunità, facilitando ed estendendo V uso empirico
dell’ intelletto; tali principî, da lui esposti nella Dissertazione, divengono
poi nella Critica della r. pura i principî dell’intelletto puro, come quelli
della regolarità del divenire e della permanenza della sostanza. Il Rosmini chiama convenienza metafisioa gli
argomenti, per lo più morali, sui quali si fondano le persuasioni delle verità
dell’ ordine etico ; la convenienza metafisica non riguarda in fatti P uno ο
l'altro ente, ma l'essere universale stesso, ο Dio. Sebbene tali argomenti si
fondino sull’idealità della cosa, importano una necessità e servono di
fondamento alla fede. Cfr. Diogene L., VII, 130; Stobeo, Kel., 11, 158; Cicerone,
De fin., III, 6; Leibnitz, Prino. de la nat. οἱ de la grace, 1714; Rosmini,
Logica, 1853, $ 1124-26; L. Nelson, Unters. üb. die Entwickelungsgeschichte d.
kantischen Erkenntniatheorie, in Aband. d. Fries'schen Schule », 1909, fuse. I.
Convergenza. T. Conrergenz. Zusammenlaufen ; I. Convergency; F. Convergence.
Una delle leggi dell’ evoluzione del mondo organico, che si contrappone alla
legge della divergenza. Mentre per questa da forme uguali si vengono svolgendo
forme differenti, come adattamento a differenti fanzioni ο condizioni biologiche,
per la logge della conrergenza du forme originariamente (lifforenti si svolgono
gradatamente forme somiglianti, in seguito all’ adattamento a fanzioni ©
condizioni di vita uguali. Aleuni biologi, col vocabolo convergenza indicano
invece le rassomiglianze non ereditarie tra gli esseri organizzati, che hanno
una ragione nell’ adattamento ad analoghe condizioni di ambiente. Nolla matematica dicesi convergente una serie
la cni somma tende verso un limite finito, quando il numero dei suoi termini
aumenta indefinitamente. Conversione. Gr. Αντιστροφή: Lat. Conversio; T. Conversion,
Umkehrung; 1. Conversion; F. Conversion. Quell’opo 243 Cor razione logica con cui da una proposizione
8ο ne forma una seconda, la quale ha per soggetto il predicato della prima, e a
predicato il soggetto della stessa. Es.: qualche A è B, qualche B è A. Dicesi
conversione semplico quella che ni fu conservando la quantità stessa del
soggetto, il quale ha la medesima estensione del predicato; conversione per
accidente quella in cui la quantità del nuovo soggetto muta, avendo esso
maggiore estensione del soggetto della prima propojone; conversions per
contrapposizione quella che si fa nggiungendo il segno della negazione si due
termini. Es.: 1° tutti gli organismi respirano; tuiti gli esseri che respirano
sono organismi; 33 tutti gli uomini sono mortali; alcuni mortali sono uomini;
33 tutti i pesci hanno branchie; tutti quelli che non hanno branchie son sono
pesci. Si convertono sempre semplicemente le proposizioni universali negative,
non si convertono le particolari negative. Gli scolastici hanno espresso le
leggi della conversione nei due seguenti versi innemonici: F E I Simpliciter
conrertitur, E v A per accid. Alto por
Contrap. Sio fit converaio tota. Cfr. Kant, Logik, 1800, p184 vegg.; l'oberweg,
Logik, 1874, $ 80; Masci, Logica, 1909, p. 215 segg. Coprolalia. T. Koprolalie;
1. Coprolalia ; F. Coprolalie. Stato patologico, che appare in varie malattie
mentali, talvolta anche nella pubertà, ο si manifesta con nn impulso continuo e
irresistibile a pronunciare bestemmie ο a tener discorsi osceni. L’impulso a
diro bestemmie si suol anche «denominare teoblasfemia. Cfr. G. Pontiggia,
Osservazioni pricologiohe intorno alla coprolalia, Riv. di filorofia ο acienze
affini », maggio 1901. Copula. T. Copula; I. Copula; F. Copule. Quella parte
del giudizio che unisce il predicato al soggetto. Spesso In copula è compresa
nell’ attributo, quando questo è eapreaso da un verbo attributivo; ad es. :
l'umanità progrediace l'umanità è progrediente. Alcuni logici sostennero che
non può esservi una copula negntiva, perchè In negnzione è il Cop-Cor 244 toglimento della copula non una copula, e
perchè officio suo è di unire il predicato al soggetto non di disgiungerli. A
ciò altri logici risposero che la unità domandata dal giudizio non è un
amalgama materiale di più cose, ma la semplice relazione di due o più elementi
concettaali, che il pensiero può abbracciare in un solo atto; ora tale unità si
ha tanto con l'affermazione quanto con la negazione. La copals, espressa dal
verbo essere, è detta dai logici terzo elemento del giudizio, essendosi essa
formata dopo il predicato © il soggetto; infatti, nel periodo intuitivo delle
lingue, il concetto del predicato è verbale, esprime cioè tanto la qualità come
l’attività; in seguito i due concetti si staccarono, e l’attività astratta,
separata da ogni qualità, costituì fl terzo elemento del giudizio. Cfr. B.
Erdmann, Logik, 1892, vol. I, p. 860; Ch. Sigwart, Logik, 1873, vol. 1, P. 119
(v. grammatica, linguaggio). Copulativi (giudizi). Per opposizione ai
oongiuntivi, diconsi tali quei giudizi che sono composti nel soggetto, in cui
cioè un solo predicato è affermato ο negato di più soggetti. Il suo tipo è:
tanto 4 che B che C sono D. Il giudizio copulativo negativo è detto anche
remotivo. Oltre la forma affermativa e negativa, può assumere anche quella
categorica 6 ipotetica (v. composti). Corollario. Lat. Corollarium ; T.
Corollar; 1. Corollary: F. Corollaire. Verità che risulta naturalmente da una
proposizione già dimostrata, e non ha bisogno di appoggiarsi su una
dimostrazione particolare. Si adopera anche per indicare una proposizione di
minore importanza ο di minore estensione dedotta da una proposizione
principale. Corpo. Lat. Corpus; T. Körper; I. Body: F. Corps. Per corpo si
intende un reale che ha una data forma, una data massa ed occupa un dato posto
nello spazio. Gli elementi costitutivi del corpo sono dunque: estensione,
massa, imponetrabilità. Riguardo ai suoi rapporti con noi, i metafisici
oggettivisti definiscono il corpo come In causa este 245 Cor riore alla quale attribuiamo le nostre
sensazioni ; in altre parole, nn dato corpo è da me conosciuto per il numero
delle sensazioni che da esso ho avuto, ma codeste sensazioni le considero come
prodotte da qualche cosa che non solo esiste indipendentemente affatto dalla
mia volontà, ma che è anche esterno ai miei organi e alla mia coscienza; ora,
codesto qualche cosa di esteriore, codesto qualche cosa che permane anche collo
scomparire delle mie sensazioni e che determina le leggi secondo cui le
sensazioni stesse sono legate, è il corpo. La spazialità o estensione è generalmente
considerata come l'attributo fondamentale dei corpi; così I’ Hobbes definisce
il corpo: quioquid non depondens a nostra cogitatione cum spatii parte aliqua
coincidit vel ceztenditur. Per Cartesio il concetto di corpo coincide con
quello d’ una grandezza spaziale, ogni corpo è un frammento dello spazio; per
Spinoza il corpo è un modo che esprime in‘ maniera certa © determinata 1’
essenza di Dio, in quanto questi è considerato come la cosa estesa ». Per altri
invece il corpo non è che un gruppo di sensazioni, o pinttosto di possibilità
di sensazioni, riunite insieme secondo una legge costante; non v’ ha quindi in
esso alcun substratum che serva di sostegno agli attributi. Secondo il Berkeley
il corpo è ciò che vien percepito, ciò che si vede, si tocca, si odora; il suo
ose coincide col suo peroipi, con la somma delle sue proprietà, dietro le quali
non esiste una sostanza che in esse appaia; la realtä dei corpi consiste nol
fatto che le loro idee sono comunicate da Dio agli spiriti finiti, © la serie
in cui Dio suol far questo è da noi detta legge naturale; la differenza tra i
corpi reali e i corpi imaginarii o sognati sta in ciò, che questi ultimi
vengono rappresentati solo în uno spirito singolo, in seguito a una
imaginazione, sia meccanica sia volontaria, senza che essa gli sin comunicata
da Dio. Secondo
il Condillao un corpo è uno collection de qualités que vous touchez, toyes,
etc. quand l'objet est présent: quand l'objet est Cor 246 absent, c'est le souvenir des qualités que
vous aver touchées, rues, eto. Secondo
Kant i corpi sono un’ unione, una sintesi di forme intellettuali e di
sensazioni, le prime delle quali vengono dal nostro intendimento, le seconde
dalla suscettività del nostro senso. Il Rosmini definisce il corpo una sostanza
che produce in noi un’ azione, ch’ è un sentimento di piacere o di dolore,
avente nn modo costante, che chiamiamo ostensione ». Gli Scolastici
distinguevano : il corpus organioum, o corpo istramentale, cioè il corpo che
consta di parti, di cui l’anima sensitiva si serve come di strumento; il corpus
mathematioum, nns quantità che consta di tre dimensioni, lunghezza, larghezza ο
profondità; corpus naturale, nna sostanza composta di materia prima e forma
sostanziale, naturalmente esigente lo tre dimensioni. Cfr. Aristotele, Phys., III, 5,
204 b, 20; Goclenius, Lex. philosophicum, 1613, p.481; Hobbes, De corp... 8, 1; Cartesio, Princ. phil, I, 4; Spinoza,
Ethica, II, def. I; Locke; Ess., III, cap. 10, $ 15; Berkeley, Princ.. XVIII;
Condillse, Extrait raisonné, 1886, p. 50; Kant, Proleg., $ 49; Rosmini, Nuoro
saggio, 1830, IT, p. 366 (v. atlante, conoscenza, essenza, 80stanza, materia,
attualismo, fenomenismo, realismo, idealismo, dinamismo, energismo, ecc.).
Corporale. Si oppone generalmente a spirituale, per dosignare tntto ciò che
partecipa della natura dei corpi, che ha una estensione, che occupa nno spazio
determinato e che può esser causa di sensazioni. Si nppone anche a morale per
indicare 1’ insieme dei bisogni, dei sentimenti, dei desideri, degli appotiti
provenienti dal nostro organismo, inerenti alla nostra natura materiale e
contrastanti colla nostra natura spirituale. Corpuscolo. T. Corpuskel,
Körperlein; 1. Corpuscle; F. Corpusoule. Termine assai vago, con cui si
designavano, per il passato, le porzioni minime del mondo corporeo. Così per
Descartes i corpuscoli sono gli elementi del mondo muteriale, ossia lo parti
dello spazio non più realiter divisi 247 Con bili, ma anch'esse, matematicamente,
divisibili all'infinito; quindi non esistono atomi. Oggi si adopera per
desiguare alcuni piccoli elementi corporei, anche visibili, come: i corpuscoli
tattili, che si trovano in alenne papille della cute, contengono la
terminazione d’unn fibra nervosa, e sono considerati come organi del tatto: e i
corpuncoli del Paoini, visibili anche ad occhio nudo, cho contengono le
ramificazioni d’ una fibra nervosa sensitiva, © sono consideruti come organi di
sensibilità generale. Dicesi dottrina ο
filosofia corpuscolare la teoria cho spiega i fenomeni fisici complessi
mediante particolari aggruppamenti o posizioni di particelle invisibili per la
loro piccolezza. Correlazione delle forze. Questa espressione è analoga all’
altra di trasformazione dei movimenti, adoperata più frequentemente. Col nome
di forza si designa infatti lu causa di un movimento; ma una causa di movimento
non può essere determinata altro che per i suoi effetti, che sono movimenti, e
per la leggo della sua azione, che non è che lu legge del movimento.
Corrispondenze (ἰοογία delle). Lat. ('orrespondentia : T. Entaprochung,
Übereinstimmung; 1. Correspondence; F. Correspondance. La teoria che considera
l’ universo come composto d’un certo numero di regni analoghi, i cui clementi
rispettivi si corrispondono, e possono quindi servirsi reciprocamente di
simboli, rivelare le loro proprietà, o anche agire l’ uno sull'altro per
simputia. Cfr. Swedenborg, (lavia héerographica aroanorum per riam
representationum el correspondentiarum, 1784. Corruzione. Gr. Bsopd: Lat.
Corruptio; T. Vergehen : 1. Corruption; F. Corruption. In seuso tisico indica comunemente l'alterazione delle
sostanze, in senso morale la degenerazione del costume. Nella filosofia si usa
specialmente per indicare la dottrina greca della distruzione opposta alla
generazione (γένεσις). Secondo Aristotele, la corruzione, che è l'avvenimento
per cui una cosa cessa di Con 248 esser tale che si possa ancora chiamarla con
lo stesso uome, avviene in tutte le cose terrestri, mentre i cieli soltanto
sono incorruttibili; infatti i corpi materiali sono tutti costituiti di due
specie di elémenti, di cui gli uni sono dotati di movimento rettilineo
all'insù, gli altri di movimento rettilineo all’ ingitt; la sostanza dei cieli
è inveco dotata del solo movimento circolare; essendo i due movimenti dei corpi
terrestri contrari, e la contrarietà implicando corruzione, i corpi terrestri
sono corrattibili, mentre i corpi celesti sono incorruttibili perchè ove à un
movimento solo non può esistere contrarietà. Però tanto Aristotele quanto gli
altri filosofi greci intendevano per corruzione non ls sparizione della
materia, ma soltanto la sus «dissoluzione e disgregazione; gli elementi delle
cose non nascono nò spariscono. Cfr. Aristotele, De generatione et corruptione,
trad. franc. 1866. Corsi e ricorsi. La celebre dottrina sullo svolgimento della
storia, esposta dal Vico nella Scienza nuova, specialmente nella seconda
edizione (1735). Socondo il filosofo napoletano, il peccato originale ο la
caduta spinsero gli uomini ad un primitivo stato innaturale di abbrutimento, ©
stato ferino; ma la divina Provvidenza, valendosi di certi sensi naturali
radicati nel loro animo, come il senso religioso e il pudore, © mediante gli
stimoli dell’ utilità ο del bisogno, li guidò alla vita sociale, e quindi,
gradatamento, all’ incivilimento. Tre sono i gradi e le età uttraverso cui
passa ogni popolo per giungere alla civiltà; lu prima è l'età degli dei ο
patriarcale, in cui, non essendovi un potere sociale, i deboli sono
perseguitati dai forti empi © si rifugiano sotto la protezione dei forti pii, i
quali riuniscono tra loro, dando così luogo ai primi stati; la seconda è l'età
degli eroi, ed è caratterizzata da lotte continuo tra i nobili discendenti dei
forti, e i plebei, discendenti dei deboli; la terza è degli womini, ed è
iniziata dalla vittoria dei plebei, che ottengono I’ eguaglianza ciCorvile e
politica, è retta a governo popolare o monarchia civile e governato da leggi
dinanzi alle quali tutti i cittadini sono uguali. Ora, non solo ogni popolo è
passato attraverso questi tre periodi, ma siccome la loro civiltà va soggetta a
dissolvimento, così ogni popolo deve ripercorrere gli stessi stadi. La storia
non è dunque che un avvicendarsi di queste tre età, con un ciclo fatale di οογ
e ricorsi. Va notato però che questa periodicità di ripetizioni non ha nulla,
nel pensiero del Vico, di quella rigidezza matematica che venne ad essi
obbiettata, ο che si trova invece in sociologi modernissimi, ad es. nel
Gumplowicz : Identità in sostanza d’ intendere, dice il Vico a tal riguardo,
diversità nei modi di spiegarsi ». Cfr. Vico, Prinoipî di rienza nuova, 1735,
1. I; R. Flint, G. B. Vico, trad. it. 1888; B. Croce, La filosofia di G. B.
Vico, 1911; Gumplowiez,= La lutte des races, 1893 (v. palingenesi). Corteccia ο
strato: grigio, 0 sostanza corticale ο grigia, è una sostanza di colore
grigiastro, costituita specialmente di cellule, la quale riveste la superficie
del mantello cerebrale e nell’ interno ne forma i gangli. Il suo spessore varia
tra i 22 © i 28 mm.; il massimo si ha in quel tratto che è attorno alla
scissura di Rolando (ivi sarebbero i centri peico-motori), il minimo nel lobo
occipitale; ha più spessore nel maschio che nella femmina e diminuisce con
l'avvicinarsi della veochiaia. E costituita di vari strati sovrapposti, diverai
per I’ aspetto delle cellule ο per la disposizione delle fibre nervose che fra
quello si intromottono: lo strato più superficiale dicesi molecolare, quello
sottoposto dicesi delle piccole cellule piramidal delle grandi cellule
piramidali, l’ultimo delle cellule simorfe. Cfr. Bastian, Le oerveau organe de
la pensée, 1888, vol. II, Ρ. 4 segg. Corticale. Dicesi di tutto ciò che avviene
nella corteccia grigia del cervello, nella quale sembrano localizzarsi le
funzioni psichiche superiori. Cosa. T. Ding; I. Thing; F. Chose. Questo termine
ha un significato latissimo, indicando tutto cid che può essere penssto,
supposto, affermato o negato. Nella dottrina della conoscenza si adopera tanto
in apposizione a fatto per designare una realtà statica, costituita da un
sistema supposto fisso di qualità e di proprietà coesistenti, quanto in
opposizione a pensiero per designare il reale esteriore in genere, sia statico
sia dinamico, coesistente ο successivo. Può significare tanto il reale esterno
quale apparisce alla nostra esperienza sensibile, quanto ciò che riesce inaccessibile
al nostro ponsiero ed è quindi fuori d’ogni esporienza. In questo secondo caso
si usa, specialmente dal Kant in poi, I’ espressione di cosa in #2 0 noumeno.
La cosa in sè si oppone alla cosa per noî, alla cosa in quanto ci appare, cioë
al fenomeno: esen à quindi il sostrato assolutamente fisso delle qualità, il
soggetto che permane sotto il mutare dei fenomeni, il reale, insomma, di cui
noi non cogliamo che le apparenze. Perciò metafisicamente la cosa in sè è
sinonimo di sostanza; ne differisce solo in quanto questa può essere applicata
anche allo spirito (sostanza spirituale), quella invece importa sempre una
certa idox di obiettività. Il concetto della cosa in sè è molto antico nella
storia della filosofia; così già Pitagora parla di ciò che esiste per sè
stesso, καθ΄ αὐτὸ; Democrito ascrive agli atomi una esistenza per sè stessi,
ἑτεῖ ; Aristotelo distingue l'essenza concettnale della cosa da ciò che è in sò
stestia; uguale opposizione è posta poi dagli scolastici tra ese in ro è in
intelleotu; Gregorio di Nissa nega che noi possiamo conoscere 1 essero in sè
stesso delle cose esteriori: guardando le cose cho ci appaiono, non dnbitiamo
che esistano per ciò che vediamo, ina siamo tanto lontani dal comprendere 1’
essenza di ciascuna di esse, quanto se non conoscessimo col senso il principio
che ci appare ». Cartesio afferma che le impressioni sensibili non si
riferiscono alle coso come sono in «è stesse: Satis erit, ai advertamus, sen
251 Cos euum percoptiones non referri,
nisi ad istam corporis humani cum mento coniunctionem, et nobis quidem
ordinarie exhibere, quid ad illam externa corpora prodesso possint, aut nooere;
non autem, nisi interdum et ex accidenti, nos docere, qualia in seipeis
existant. Condillac afferma ugualmente che noi non vediamo lo cose in sè
stesse. Forse esse sono estese e provviste di sapore, suono, colore, odore,
forse anche non hanno nulla di tuttocid. Io non affermo nè I’ una cosa nè
l’altra, e attendo la prova che siano come ci appaiono © che siano invece totalmente
diverse ». Ma la differenza tra cosa in sè © cosa per noi o fenomeno diviene
fondamentale nella filosofia di Kant; dato cho l’ unico oggetto della
conoscenza umana è l’esperienza, il fonomeno, data cio la natura delle forme
dell’ intaizione © del pensiero, ne segue che nulla in generale di ciò che è
intuito nello spazio è una cosa in sè, e che nemmeno lo spazio è una forma
della cosn,... bensì che gli oggetti non sono da noi conosciuti in sè stessi e
che ciò che noi conosciamo non sono che pure rappresentazioni (Forstellungen)
della nostra sensibilità, la cui forma è quella dello spazio e il cui vero
correlato, ossia la stessa cosa in sè, non è perciò da noi nè conosciuta nè
conoscibile ». Tuttavia, dice Kant, non ο) è contraddizione a pensare la cosa
in sì; se si pensi una intuizione di specie non ricettiva, una intuizione
produttiva non solo delle forme ma anche del contenuto, i suoi oggetti
dovrebbero essere non più fenomeni ma cose in sè; la possibilità di questa
facoltà non si può negare più di quel che se ne possa affermare la realtà, Le
cose in si sono dunque pensabili in senso negativo © quali oggetti di una
intuizione non sensibile, come concetto-limite dell’euperienza. Ma la dottrina
kantiana della cosa in sè, intorno alla quale si sviluppa poi tutta la
filosofia tedesca, fu variamente intesa, daalcuni accolta, da inolti
combattuta. Cfr. Aristotele, Metaph., I, 5; V, 18, 1022 a, 26; Gregorio Niss.,
Contra Eun., XII, 740; Cartesio, Prino. phil., Il, 3; Cos 252 Condillac, Traité des sensations, 1866, IV, 5,
§ 1; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reolam, p. 57 segg.; A. Tumarkin, Kante Lehre vom Ding
an sich, Archiv fur Gesch. d. Phil. », aprile 1909; Th. Loewy, Die Vorsellung
des Dinges auf Grund der Erfahrung, 1887; O. Liebmann, Kant und die Epigonen,
1865; Ardigd, Z’ inoomosoibile di H. Spencer ο il noumeno di E. Kant, 1901 (v. agnostioismo, conoscenza, corpo,
limite, orilicismo, neo-oriticismo, realismo). Coscienza. T. Bewusstsein, Gewissen; I. Consciousness,
Conscience; F. Conscience. È questo uno dei vocaboli di signifloato più vario e
incerto nella terminologia filosotica, Etimologicamente (consoientia da
consoire = conoscere insieme) non designa altro che un accordo tra diversi individui
nel conoscere le stesse cose o fatti; poi, per analogia, V’ accordo, l’unità
che si rivela in uno stesso individuo tra i suoi stati attuali e quelli che non
lo sono più, tra il presente e il passato. Noi possiamo distinguere tre
significati fondamentali che si attribuiscono alla parola coscienza: quello
volgare, quello morale © quello peicologico. Va notato, però, che la coscienza
non è propriamente definibile, essendo la radice di ogni conoscenza, il dato
fondamentale del pensiero, irreducibile in elementi più semplici. Volgarmente,
si usano le espressioni avere coscienza dei propri atti, del proprio valore », coscienza
di scienziuto >, coscienza nazionale, popolare, umana, storica», ece., per
indicare ln consapevolezza piena che un individuo o un gruppo di individui può
avere di qualche cosa, Ancora più comune è l’uso della parola coscienza nel
significato morale, espresso nei modi di dire lo speochio della propria
coscienza » il testimonio della coscienza » «la voce della coscienza » mancanza
di coscienza », ecc. Ora, la coscienza morale, che i tedeschi distinguono col
nome di Gewissen, si rivela principalmente nell’ individuo col compiacimento
per le buone azioni compiute, col rimorso per lo cattive, e col giudizio
interno sopra un conflitto di 253 Cos motivi. Essa dunque accompagna le azioni
morali, e non ci dà soltanto il criterio per giudicare gli atti nostri, ma è
pure la base del nostro giudizio intorno alle azioni sltrai, in quanto sono
buone o cattive; questo giudizio, riferendosi sempre all’antore dell’ ato,
dicesi imputasione. La coscienza morale è quindi concepita come il tribunale
davanti a oni sono giudicati affetti, pensieri ed azioni: non bisogna però
credere che essa sia qualche cosa di stabile, esistente in sò e indipendente
dai sentimenti e dai giudizi pei quali si avverte il carattere morale degli affetti,
ecc. ; al contrario, essa ei identifica cogli stessi fatti psichioi nei quali
si manifesta e con essi è varia © mutahile. La coscienza psicologica, che i
tedeschi chiamano Bewusstsein, non è altro che la nota caratteristica dei fenomeni
interni o psichici, per cui essi si distinguono da quelli esterni o fisici : ad
un grado assolutamente inferiore, essa consiste nel pnro fatto di avvertire una
data modificarione avvenuta in sò stesso; ad nn grado superiore implica la
distinzione dell’ oggetto modificante; nel suo massimo aviluppo è la
contrapposizione dell’ oggetto sentito al soggetto senziente. Quest’ ultimo
grado di coscienza non esiste nell’ animale ed è proprio soltanto dell’ uomo
adulto normale: esso dicesi anche autocoscienza, 0 suicosciena, 0 coscionsa
personale, 0 coscienza dell’ Io. Riguardo alla sua natura, le ipotesi
principali possono ridursi a tre: quella apiritualiatioa, secondo cui la coscienza
è la sostanza stessa dello spirito, che è tale in quanto ha coscienza di sè; oppure
una facoltà originari dello spirito, un’ entità metafisica spirituale, unica,
semplice, identica, esistente in sè © per sè; quella materialistios, secondo
cui la coscienza non è che un fenomeno secondario (epifenomeno) nel meccaniamo
della vita psichica, la quale invece è costituita essenzialmente dall’ attività
nervosa, dal fenomeno fisiologico ; quella positfvistica, che, opponendosi sia
allo spiritualismo che al materialismo, la considera come un fatto nuovo e Cos 254 distinto di cui si devono studiare i rapporti,
senza confonderlo coi fatti materiali, che l’ esperienza ci rivela come opposti
agli spiritnali, ο senza trascendere l’esperienza, che non ci può far conoscere
nd la sostanza dello spirito nè una facoltà originaria di esso. Quanto alla
genesi della coscienza, secondo l'ilosoiemo primitivo tutto il mondo è animato,
e tutto quanto è fornito di movimento è pure fornito di coscienza. A questa
dottrina dei primi filosofi greci, si accosta il pampsichiemo moderno di
Ernesto Hiickel, secondo il quale ogni atomo materiale, ‘come centro di forza,
è dotato di un’ anima costante, di movimento ο di sensibilità, cosicchè la
coscienza o anima dell’uomo non è che la somma delle anime elementari delle sue
cellule, composte appunto di protoplasmi molecolari ο queste di atomi. All’opposto
il cartesianismo o automatismo attribuisce In coscienza soltanto all'uomo,
negandola anche agli animali, che debbono essere considerati come macchino ο automi.
Per altri invece, la coscienza non è una proprietà esclusiva dell’uomo, ma si
estende a tutti gli animali e persino alle piante. Secondo altri ancora, la
materia inanimata possiede nna vita psichica latente, potenziale, che diviene
attuale per effetto dell’ organizzazione biologica. Infine nell’ evoluzionismo
dello Spencer, la coscienza sorge da una differenziazione dell’ energia
universale, fondamentalmente unica, e fa la sua prima apparizione nell’ atto
riflesso, considerato como il crepuscolo della vita psichica. Quanto poi alle
dottrine psicofisiologiche sulla sode della coscienza, possiamo ridurle a due:
quella che la pone soltanto nel cervello, e quella che la considera come
proprietà di tutto il sistema nervoso, e cioò anche del midollo spinale ο dei
centri inferiori. Cfr. Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, III, 2, 7;
James Mill, Analysis of human mind, 1869, I, p. 224: Kant, Κε. d. reinen Vern.,
ed. Reclam, p. 76 segg., 127 segg.; Fechner, Über die Seelenfrage, 1861, p. 199
segg.; Hneckel, Der Monismus, 1898, p. 23 segg.; 255 Cos
Wundt, Grundrim d. Psychol., 1896, p. 238 segg.; Joël, Lehrbuch d. Peychol.,
1896, p. 111 segg.; Sergi, La peyool. physiologique, trad. franc. 1881, p. 223
segg.; Bonatelli, La coscienza e il mocoanesimo interiore, 1870; Ardigo,
L'unità della coscienza, 1898; Id., Op. fil., III, p. 68 segg.; IV, p. 373
segg. (v. cellulare psicologia, anima, autocoscienza, psiche, spirito, io,
dualismo, monismo, parallelismo, ecc.). Cosmogonia. T. Kosmogonie; I. Cormogony
; F. Cormogonie. Dottrina scientifica, filosofica o religiosa che spiega
l'origine e la formazione del mondo. Tatte le religioni antiche, specie le
orientali, hanno fatto larga parte alla cosmogonia. La scienza moderna ha
sostituito alle poetiche immaginazioni primitive 1’ ipotesi di Kant, Herschel e
Lapiace, la quale, sebbene non possa ritenersi definitiva, esclude ogni
intervento sovrannaturale © spiega la formazione del mondo con le leggi
puramente meccaniche. Secondo questa ipotesi, lo spazio nel quale si muove il
sistem solare era occupato da una materia cosmica gassosa, ugualmente tesa ©
indifferenziata, la quale, irraggiando continuamente calore, si condensò a poco
a poco intorno a un punto centrale destinato a diventare il sole. Per virtù
della condensazione le molecole dei gas erano attratto con velocità sempre
maggiore in un immenso giro Întorno all'asse del sistema; ma, nello stesso
tempo, lu forza centripeta eresceva in proporzione, cosicchè bilanciandosi le
due forze, si venne a costitnire intorno al nucleo centrale un primo anello
rotante, poi un secondo, poi un terzo... i quali erano destinati a divonire i
futuri pianeti del sistema solare. In virtù di qualche perturbazione
astronomica, alcuno dei segmenti di codesti corpi anulari diventava più denso
degli altri, esercitando una forza di attrazione sempre crescente, finchè
rompeva a suo profitto la zona d materia gassosa © la condensava intorno 4 sd
sotto forma di atmosfera concentrica. Nel nuovo pianeta, per la forza
d’impalsione primitiva delle sue molecole, il moto era diCos 256 venuto doppio: il pianeta continuava a girare
intorno al sole e incominciava nello stesso tempo a rotare intorno al proprio
asse. Così l’intero sistema planetario avrebbe in tempi remotissimi fatto parte
del sole. Alla dottrina 00smogonica del Laplace furono rivolte molte obiezioni,
che giustificano i numerosi tentativi sia di perfezionarla sia di sostituirle
ipotesi più soddisfacenti. Così secondo il Faye V universo si riduceva in
origine a un caos generale, estremamente rado, formato da tutti gli elementi
della chimica terrestre; questi materiali, sottomessi alle loro mutue attrazioni,
erano da principio animati da movimenti diversi, che hanno determinato la sua
separazione in brandelli o nuvoloni, i quali hanno conservato uns traslazione
rapida © rotazioni intestine più o meno lente: da tali miriadi di brandelli
caotici sarebbero nati per progressiva condensazione i diversi mondi
dell’universo. Secondo il Du Ligondòs, al principio esiste un vero e proprio
caos costituito da un gran numero di masse moventesi a caso e che per caso
vengono ad urtarsi tra di loro; essendo tali urti inevitabili, ne risulta una
concentrazione della nebulosa con la tendenza alla formazione di un nucleo
centrale, e un appiattimento dello sferoide, che è la nebulosa caotica
iniziale: dal nucleo centrale avrà origine il sole, e i materiali esterni
formeranno intorno ad esso una specie di disco lenticolare equatoriale che,
appiattendosi sempre più, diverrà anch’ esso instabile e potrà finalmente
trasformarsi in anelli donde nasceranno poi i pianeti. Invece secondo il See i
pianeti non sono stati formati da frammenti della nebulosa solare, ma sono di
origine esterna, ossia corpi estranei che, venendo a passare vicino al sole,
sono stati da esso catturati per effetto della resistenza della vasta atmosfera
di cui un tempo era circondato ; allo stesso modo la Inna non proverrebbe da un
frammento della nebulosa terrestre, ma ad una certa epoca sarebbe stata
catturata dalla terra. Secondo PArrhenius gli astri si scambiano Ince, 257 Cor
elettricità, materia e persino germi viventi; la pressione di radiazione che
emana dai corpi luminosi ο che ha la proprietà di respingere i corpi leggeri,
caccerebbe dal sole piccolissime particelle, spingendole fino alla terra, ai pi
neti e alle più lontane nebulose ; queste particelle finirebbero per
agglomerarsi formando le meteoriti, le quali, penetrando nella massa delle
nebulose, diverrebbero centri di condensazione intorno ai quali la materia
comincerebbe a concentrarsi: donde I’ evoluzione stellare, che va dn una prima
fase di oscurità quasi completa attraverso un periodo di splendore a una fase
di decadenza, che si chinde con an inorostamento finale. Cfr. Kant, Allgemeine
Natur gesohiohte u. Theorie des Himmels, 1755; Laplace, Exposition du système
du mondo, in Œuvres, 1884, t. VI, p. 498 segg.; H. Faye, Sur l'origine du
monde, 1896; Du Ligondèe, Formation mécanique du système du monde, 1897; Seo,
Rescarohes on the erolution of the stellar system, 1910; Arrheniua, L'évolution
den monde, 1910: Ardigd, La form. nat. nel fatto del sint. solare, 1876; A.
Aliotta, Le nuove teorie v0amogoniche, Cultura filosofica >, maggio 1912.
Cosmologia. T. Kosmologie; I. Cosmology ; F. Comologie. Termine entrato nel
linguaggio filosofico e scientifico specialmente dopo Kant; significa dottrina
del mondo considerato come un tutto armonico. Nel Wolff designa lo studio delle
leggi generali dell’ universo e della sua costitazione complessiva, sia dal
punto di vista metafisico che da quello scientifico: cosmologia generalia eat
soientia mundi neu universi in gonere, qualenus soilicet ona idquo comporitum
atquo modificabile est. Per Kant la cosmologia razionale » è la scienza
dell'oggetto, vale a dire il Invoro della ragione per cogliere nella sna unità
’ insieme di tutti i fenomeni; invece In psicologia razionale » è ln scienza
del soggetto pensante. La cosmologia ha per oggetto l’iden razionale del mondo,
come la psicologia l’idea del Me. Nella lingua filosofien classicn 1’
espressione cosmologia razionale designa 17 Ἠλκκοια, Dision. di scienze filosofiche. Cosla
parte della metafisica che tratta della natura fondamentale © dell’origine
delle cose sensibili. Cfr. Wolff Chr., Coamologia generalis, 1737, $ 1; Kant, Metapk.
Anfangagrunde d. Nat., 1876, Vor. Cosmologico
(argomento). È uno degli argomenti a posteriori dell’ esistenza di Dio, che
dalla caducità e contingenzu del mondo conclude alla esistenza di un Essere assoluto
come creatore 0 primo motore dell’ universo. Si può anche formulare nel modo
seguente: il mondo è un sistema di mezzi e di fini, come dimostrano |’ ordine ο
l'armonia che vi regnano; ogni sistema di mezzi e di fini è l’effetto di una
causa, e d’una causa intelligente che sappia disporre i mezzi a quei fini, e
che sappia concopire il fine quando non esiste ancora in realtà; dunque il
mondo è l’effetto d’una Causa intelligente, Dio. Esso fn formulato la prima
volta da Aristotele, il quale afferma la necessità di un primo motore immobile,
πρῶτος κινοῦν ἀκίνητος, che muova il mondo, non per una specie di impulso
meccanico che ad esso comunichi -nel qual caso sarebbe insieme movente © mosso ma
per l’ irresistibile attrattiva della sua bellezza, per l’inestinguibile
desiderio che suscita di sè nelle cose. Da allora I’ argomento fu formulato in
modi diversi, e il suo valore spesso combattuto. Kant lo respinge perchè trova
in esso questi due principali errori: 1° Ἡ principio trascendentalo che
conchiude dal contingente a una causa, principio che non ha valore che nel
mondo sensibile, ¢ che non ha più nemmeno significato Suori di questo mondo.
Infatti, il concetto puramente intellettuale di contingenza non può produrre
alcuna proposizione sintetica come quella di causalità, il principio della
quale non ha valore oi neo che nel mondo sensibile; vece bisognerebbe che
sorvisse appunto a uscire da questo mondo. 2° Il ragionamento che consiste nel
conchiudere dal’ impossibilita d’ una serie infinita di cause date le une sopra
le altre nel mondo sensibile, ad uns cansa prima; i principi d’ uso razionale
non οἱ antorizzauo a conchiudere così, nemmeno nell’ esperienza, là ove codesta
catena non può essere prolungata ». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 6 6 segg. ;
Cartesio, Prino. phil., I, 14, 20, 21; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam,
p. 476 seg. (v. oause finali, storico, fisico, ideologico, ontologico).
Cosmopolitismo. T. Kormopolitismus ; 1. Cormopolitiem ; F. Conmopolitieme. La
dottriua della fratellanza universale, che respinge ogni distinzione di nazioni
e di razze, considerando tutti gli uomini come cittadini d'una sola città, come
appartenenti ad una sola patria,.il mondo. Il casmopolitismo, prima che dal
oristianesimo, fu bandito nella società pagana dalla scuola stoica, che di
fronte allo smembramento politico dell’ umanità, insegnò che lo Stato ideale
non conosce limiti di nazionalità o di Stato storico, ma è ina comunità
razionale della vita di tutti gli uomini, alla quale appartiene ogni uomo, purchè
saggio, sin esso barbaro, ro, ο schiavo, perchè tutti gli uomini sono fratelli.
Cfr. Sencen,
Ep., 95, 52; Ogereau, Le ayntème phil. den Stoioiens, 1885, cap. VIII. Cosmos (κόσμος == nniverso). L'univers
considerato come un tutto armonico e ben ordinato. L'espressione, che in
origine significava ordine, fu attribuita per la prima volta al mondo dai
pitngoriei, per i quali U’ armonia, simholeggiats dall’ ottava musicale,
risultava dall'unificazione del molteplice e dall’accordo dei dissenzienti. Cfr. Plutarco, Plas., II,
1; Renouvier, Manuel de phil. ano., 1, 200. Cosmotetico (ideulismo). I. Cosmothetic idealism. Termine creato dall’
Hamilton, per designare la dottrina che si rifiuta di ammettere una coscienza
immediata di qualche cosa fuori dello spirito, civ’ In conoscenza del non-io.
Gili idealisti cosmotetici si distinguono, alla lor volta, in due classi:
quelli che ammettono una entità rappresentativa presente allo spirito, ma non
nua semplice modificazione mentale, come Democrito, gli scolastici,
Malebranche, Newton; © quelli che non riconoscono altro oggetto immediato della
percezione che uno stato dello spirito, come Leibnitz, Condillac, Kant. Cfr. Hamilton, Lectures on
metaph., 1859, I, p. 295 (v. idegliemo). Costume. T. Sitte, Sittlichkeit ; I.
Custom; F. Coutume. Una
ripetizione regolare di atti, comune ad una intera collettività ed alla quale
nessuno degli appartenenti alla collottività stessa può sottrarsi, senza
incorrere nel biasimo degli altri o nella punizione inflitta dal Potere. L’
importanza del costume appare dal fatto che du esso deriva, per graduale
evoluzione, la moralità e che ad esso si conforma V ideale etico. Il costume si
distinguo dall’ abitudine, in quanto questa è puramente individuale, © dall’
uso, che, ‘pur essendo comune a tutta una società, manca tuttavia di quel
carattere di imperatività che è proprio del costume. Cfr. Kunt, Krit. d. pr.
Vern., ed. Reclam, p. 37; Wundt, Grundries d. Peyohol., 1896, p. 359 segg.
Creazione, T. Schöpfung, Schafen; I. Creation; F. Création. Termine teologico e
metafisico, col quale si designa Vatto per cui la Divinità ha prodotto il mondo
e gli esseri che in esso si trovano, senza l’aiuto di alcuna materin
preesistente. Quanto al modo di questa creazione, secondo il racconto mosaico essa
fu successiva, avendo richiesto sei giorni; secondo altri invece fu istantanea,
non compor‘tando la potenza di Dio il bisogno del tempo: quindi tutto avrebbe
ricevuto in un medesimo momento la vita e 1’ esistenza, ο i sei giorni non
dovrebbero intendersi che come lo sei mutazioni attraverso le quali passò la
materia, per formare l’ universo quale oggi lo vediamo. Ad ogni modo, nella
filosofia cristiana la derivazione del mondo da Dio è posta non come necessità
fisica 0 logica dello sviluppo dell'essere, ma come un atto di libera volontà,
e quindi la ereazione del mondo non è per essa un processo eterno, ma un fatto
isolato, temporaneo. Il concotto di libertà del volere aveva significato da
prima, con Aristotela, In capa 261 Cre
cità di una decisione fra diverse possibilità date, indipendentemente da ogni
costrizione esteriore; con Epicuro aveva pot assnnto il significato metafisico
di una attività acausale dell'individuo; applicato all’assolnto ο considerato
come proprietà di Dio, divieno nella filosofia cristiana il concetto della orcasione
dal nulla, trasformato nella dottrina di una generazione acausale del mondo
dalla volontà di Dio. Mentre per la maggior parte dei filosofi anteriori al
cristianesimo, In materia preesiate alla Divinità, la quale non fa che
ordinarla e plasmarla come un artista (Demiurgo); per i tilosofi cristiani
creare vuol dire trarre qualche cosa dal nalla, non in maniera da fare che il
nulla sia la materia la causa dell’ essere, ma facendo che l’essere succeda al
nulla, fit post nikilum, come il giorno succede all’ aurora, viout post mane
fit meridice. Alls massima, comune nel mondo pagano, che er nihilo nihil fit,
essi oppongono che la onnes prima, universale ed infinita, si distingue appunto
dalle cause seconde per codesta potenza, che esclusivamonte le appartiene, di
trarre le cose dal nulla. Tra le molte prove dirette a dimostrare la potenza
creatrice della divinità, basti ricordare questo due: 13 gli esseri finiti non
esistono per forza propria e spontenes; essi dunque ricevono I cnistenza da un
essere infinito, che la possiede per eccellenza ; ora, essendo Dio il solo
essere esistente per sò, tutti altri esseri hanno ricevuto da lui l’esistenza ;
2° gli effetti sono proporzionati alle loro cause; il primo di tutti gli
effetti à l'essere, sia perchè è il più generale sin perel procede tutti gli
altri; dunque, como gli effetti particolari dipendono da cause seconde, la
partecipazione dell'essere rimonta fino alla causa prima, e come un re, signore
supremo nei suoi Stati, sovrasta a tutti i depositari della sua autorità, così
Dio vince tutte le cause inferiori, ο mentre questi danno origine ad accidenti
fugaci, In sua potenza giunge fino u dare esistenza al nulla. La scienza
moderna considera la dottrina della creazione come assurda e contradditoria e
lo oppone V evolusione, che implica lo sviluppo dell'essere per cause © leggi
proprio. Tuttavia alcuni teologi cercano conciliare il dogma della creazione
con la dottrina dell’ evoluzione, distinguendo una oreatio prima, detta anche
creazione vera, cioè la creazione diretta della sola materia informe, la quale,
essendo dotata di certe ragioni causali, diede luogo alla oreatio secunda,
detta anche creazione derivatica, cioè allo sviluppo delle innumerevoli forme
esistenti, per cui le creature multiformi farono create indirettamente e mediatamente
per opera di cause occasionali. Con I’
espressione oreatio continua gli scoluatici e i cartesiani designavano l’azione
con cui Dio conserva il mondo nell’ esistenza, azione che è ugualo a quella con
cui primitivamente 1’ ha prodotto dal nulla: Dal fatto che nel momento
precedente esistevo, dico Cartesio, non segue in nessun modo che io debba esistero
anche nel momento attualo, cosicchè una qualche causa deve avermi creato di
nuovo pure per questo secondo momento, cioè deve avermi conservato ».
Ugualmente Spinoza: Da ciò segue che Dio non è soltanto la causa per cui le
cose cominciano ad esistere, ma anche quella per oni perseverano nell’
esistenza, ossia, per servirmi del termine scolastico, Dio è la causa essendi
delle cose ». Dicesi teoria delle
creazioni periodiche la dottrina con cui l'Agussiz spiega l'origine e la
diversità delle specie: ogni specie è stata crenta da Dio e ne rappresenta un
particolare concetto; ma poichè sulla superficie terrestre vi sono rapporti di
continua convivenza fra specie ο specie, fra piante ed animali, fra i viventi e
le condizioni di vita, il suo intervento si effettua ad intervalli di tempo e
in deminati punti della terra, cosicchè si hanno creazioni pejodiche in
differenti centri di creazione, Cfr. Alberto Maguo, Sum. de creat., I; S.,
settembre 1910 (v. agnosticimo, cononcenza, corpo, 0088, noumeno, neo-oriticirmo,
dommatismo). Cromatiche (sensazioni). Si dicono tali le sensazioni visive date
dai sette colori dello spettro solare : rosso, arancisto, giallo, verde,
turchino, indaco, violetto. Al rosso, corrisponderebbero cirea 450 bilioni di
vibrazioni al m”, della lunghezza di 688 milionesimi di mm. ciascnna; al
violetto 790 bilioni della lunghezza di 393 milionesimi di mm. Da Aristotele
fino ai giorni nostri sono state formulate molte ipotesi per spiegare la
percezione dei colori ; lo più accreditate sono quella di ‘I. Joung,
perfezionata da Helmboltz, quella del Wundt e quella di Hering. Secondo la
teoria Joung-Helmholts, esistono nella retina tre distinte fibre nervose recettrici,
© nei centri differenti elementi percettori, quelli pel rosso, pel verde e pel
violetto ; ciascun colore fondamentale sarebbe capace di eccitare i tre elementi
recettori, ma in grado differente secondo la diversa * lunghezza d'onda. 11
Wundt ammette invece che ogni qual volta la retina è eccitata da uno stimolo
esterno, ai può eccitare sia un processo cromatico, in funzione specialmente
della lunghezza d'onda, sin un processo acromatico, in fimCro-DaB 272 zione specialmente dell’ ampiezza delle
vibrazioni} l’eccitamento cromatico sarebbe un multiforme fenomeno fotochimico,
gradualmente varinbile colla lunghezza d’ onda delle vibrazioni e provocato da
stimolazioni di media intensità. Secondo Hering esistono negli elementi
sensibili della retina tre diverse sostanze fotochimiche visive, sede di due
opposti processi contemporanei, uno assimilativo, l’altro dissimilativo: quando
prevale quello si hanno le sensazioni del nero, del verde, dell’aszurro, quando
prevale questo le sensazioni del bianco, del rosso, del giallo; quando i due
opposti processi si fanno equilibrio, si ha In sensazione del grigio ο del
bianco, Cfr. Wundt, Grundeüge dor phys. Paychologio, 1903, vol. II; Hering, Zur
Lehre vom Lichtsinn, 1878; Schenck, Pflügers Arch., 1907, vol. 118 (v.
aoromatiche, acromatopsia, bastoncini, coni). Cronotopo (xpévor --tempo τόπος spazio). Questo termine si adopera qualche
volta per indicate I’ unità dello spazio e del tempo ideali. Cruciale v.
erperimentum orucia. D Dabitis. ‘Termine mnemonico di convenzione, col quale
nella logica formale si indica quel modo indiretto della prima figura del
sillogismo, in cui, come indicano le vocali, ls maggiore è universale
affermativa, In minore © In conclusione particolari affermative. A questo modo
pnd ossere ricondotto il Dibatis della quarta figura, mediante la conversione
della conclusione e la trasposizione delle premesse. Es. Dabitis : i
delinquenti nati sono individui anormali qualche uomo d’ingegno è delinquento
nato dunque qualcho nomo d’ingegno è individuo anormale. Es. Dibati«: qualche
uomo d’ingegno è delinquente nato tutti i delinquonti nati sono individui
anormali dunquo qualche individuo anormale è uomo d’ ingegno. 273 Dar-DaR Daltonismo. T. Daltonismus: I.
Daltonism; F. Daltonieme. Una delle forme più comuni della discromatopsia.
Consiste nella cecità per il color rosso, o nella difficoltà di distinguerlo
dal verde. È così chiamata dal chimico inglese Dalton, che ne fu affetto © per
primo la desorisso o la definì. L’ Helmholtz lo chiamò aneritropsia. In senso figurato dicesi daltonirmo morale
(ethische Farbenblindheit dei tedeschi) quella forma di pazzia morale, in ui I’
individuo non ignora ciò che la probità impone e la moralità proibisce, ma è
incapace di tradurre le sue conoscenze teoriche nella condotta pratica, perchè
non sorretto da quelle tendenze emotive che spingono l’uomo verso il bene. In senso pure figurato e polemico usasi
talvolta 1’ espressione daltonismo intellettuale per indicare l'incapacità di
comprendere certe idee, di valutare la gravità e I’ catensione di problemi, che
altri giudica invece importanti. Cfr. J. Dalton, Res. della soo. fil. di
Manchester, t. I, ottobre 1794; Dagonet, Folie morale, 1878; Mendel, Die moralische
Wahnsinn, 1876. Darapti Termine mnemonico di convenzione, col quale si designa
quel modo della terza figura del sillogismo in cui la maggiore e la minore sono
proposizioni universali affermative, la conelusione particolare affermativa,
Fs, Tutti i pesci sono vertebrati. Tutti i pesci sono animali acquatici. Dunque
alcuni animali acquatici sono vertebrati. Si riconduce al Darii della prima
figura mediante la conversione parziale della premessa minore; corrisponde
all’&rast dei logici greci. Darii. Termine mnemonico di convenzione, col
quale si designa quel modo della prima figura del sillogismo, in cui la
maggiore è una proposizione universale affermati la minore e la conclusione
particolari affermativo. Es. Tutte le azioni automatiche sono incoscienti.
Qualcheazione umana è automatica. Dunque qualche azione umana è incosciente, A
questo modo vengono ricondotti tutti { modi delle altre 18 Ranzots, Dizion. di scienze filosofiche. Dar 274 tre
figure comincianti per In lettera D; corrisponde al γραφίδι dei logici greci.
Darwinismo. Τ. Darwiniemus; I. Dariciniom; F. Darwinieme. Non dovrebbe mai
usarsi in luogo di trasformismo cd evolusionismo ; esso infatti indica la
teoria del trasformismo biologico come fu inteso ed esposto da Carlo Darwin, il
quale spiegò l’origine comuno di tutte le specio di animali o piante da
semplici forme stipiti primitive, mediante il principio della selezione
nuturalo 0 sopravvivenza del più adatto, necessaria conseguenza della rapida
riproduzione degli organismi ο della concorrenza per la vita: tra gli organismi
sopravvivono soltanto quelli che, nella lotta che devono sostenere per la
sproporzione completa tra il loro accrescimento e la misura del mezzo di
nutrizione disponibile, possono variare in modo ad essi favorevole, cioè
conformo allo scopo. Il presupposto della teoria è quindi, accanto al principio
della eredità, quello della variabilità : a ciò κ) aggiunge la concezione, che
oggi è modificata dalla dottrina delle variazioni improrvise del De Vries, di
grandissimi spazi di tempo per l’accumularsi delle variazioni infinitamente
piccole. Il Lamarck invece, esponendo prima del Darwin la teoria della
discendenza, poneva come fattore principale lo condizioni esterne di vita e 1’
uso e nonuso degli organi. L'importanza filosofica del darwinismo consiste
nell’ aver dato una spiegaziono puramente meceanien dello finalità, che formano
il problema della vita organica; così il concetto della soleziono fu applicato
poi alla sociologia, alla psicologia, alla storia ο da molti è con#iderato come
il solo metodo scientifico. La dottrina darwiniana ha molti precursori fino
dall’antichità. Anassimandro ammetteva la trasformazione degli organismi per
adattamento alle mutate condizioni di vita; Empedocle insegnava che gli animali
hanno avuto origine qua ο là senza regola, in formo strane ο grottesche, ¢ che
poi sopravvissero solo gli adatti alla vita; Aristotele riconosceva il
principio della 275 Dar lotta dell’esistenza, scrivendo che gli
animali sono in guerra tra loro, quando abitano gli stessi luoghi ο si cibano
dello stesso nutrimento, ο se il nutrimento non è sufficiente, essi si battono,
anche tra quelli della stessa specie »; Lucrezio ebbe chiaro il concetto della
variabilità della specie e descrisse con grande esattezza lo sviluppo
intellettuale progressivo dell’ uomo; Francesco Bacone intui la possibilità di
trasformazione delle specie vegetali, ο propose anzi 1’ esperienza di variare
le specie per vodere come esse si siano moltiplicate ο diversificate; Cesaro
Vanini riconobbe la variabilità delle piante domestiche, suppose perciò che anche
gli animali possono tramutarsi, intuì il parallelismo tra embriologia ed
evoluzione e dichiarò esplicitamente che 1’ uomo deriva dalla scimmin per la
graduale trasformazione dell’ atteggiamento quadrupede di questa nella stazione
bipede di quello; Giordano Bruno lasciò scritto l’ aforisma che compendia tutta
In dottrina, una epecio alterins est principium, © affermò persino il parallelismo
tra lo sviluppo della specie ο quello dell’ indi duo. Tra i precursori più
immediati basti ricordare il Buffon, che segnalò nettamento In verosimiglianza
delle variazioni lente e progressive per gradi sfumati, spesso imperce bili
> e fu un trasformista convinto; Diderot, Goethe, Erasmo Darwin, che
sostenne prima del nipote Carlo il princi pio del trasformismo, accennando
all’origine di tutte le specie da forme-stipiti primitive, estremamente
semplici € analoghe al filamento embrionale », cio all’ovolo e allo spermatozoo.
Ἡ massimo rappresentante del darwinismo classico è, oggi, Ernesto Haeckel. Cfr.
Darwin, Origin of speciea by means of natural selection, 1859; Id., The deacent
of man, 1883: G. Novicow, Critica del darwinismo rociale, trad. it. 1910: C.
Fenizia, Storia ο bibliografia evoluzioniatica, ediz. Hoepli (v.
neo-daricintemo, neo-lamarckismo, traaformirmo, ecc.). Datisi. Termine
mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo
della terza figura DAT-Drc 276 del sillogismo, in cui la maggiore è una
proposizione universale affermativa, la minore e la conclusione proposizioni
particolari affermative. Es.: ogni azione umana è determinata dallo stato
psico-organico dell’ agente qualche azione umana sfugge all’imputabilità dunque
qualche cosa che sfugge all’ imputabilità è determinato dallo stato
psico-organico dell’ agente. Questo modo corrisponde al} ἁσπίδι dei logici
greci, e può essere ricondotto al Darii della prima figura mediante la
conversione semplice della premessa minore. Dato. T. Gegeben; I. Given: F.
Donné. Indica in generale ciò che è immediatamente presente alla coscienza,
prima che lo spirito lo elabori; nella scienza i dati sono i fatti ο i principi
indiseutibili che servono come punto di partenza. Dicesi dato della sensazione
il contenuto della sonanzione stessa, prodotto dal funzionamento dei centri”
nervosi in seguito all’azione di uno stimolo centripeto, interno o esterno. I
daf della conoscenza sono, alla lor volta, i dati delle sensazioni stesse, cioò
i materiali sui quali opera l’attività sintotica dello spirito. In un problema
diconsi dati gli elementi cogniti, mediante i quali si debbono determinare gli
elementi incogniti. Decisione. T. Entscheidung; I. Decision; F. Ireision. Quel
momento della volizione, ossia dell'atto singolo di volere, che segue alla
deliberazione © risolve il conflitto dei motivi mediante il definitivo
prevalere di una idea-fine. Solo determinate rappresentazioni hanno in un dato
individuo potenza impulsiva all'atto, e nello stesso individuo l’impulsività di
tali rappresentazioni può variare colla disposizione sua del momento. In
generale la massima impulsività è propria delle idee fisse, la minima delle
idee astratte; ma per essere normalmente impulsiva, un’ idea dove essere
organizzata nolla psiche dell’ individuo. La deeisione, detta anche scelta ο
risoluzione. è preceduta dalla deliberazione 0 seguita dalla esecuzione. 277 -Dec-bkb Deolinazione. La deviazione degli
atomi dalla loro linca verticale, secondo la dottrina di Epicuro. Bacone chiama
tarola di declinazione, oppure tarola d’ assenza, quel metodo che consiste nel
confrontare i casi in cui il fenomeno nvviene, con altri, simili nel rimanente,
in cui quello non avviene. Corrisponde al metodo della differenza di Stuart
Mill (v. caso, olinamen, differenza). Deduzione. T. Deduction, Ableitung; I.
Deduotion; F. Deduction. Forma di ragionamento, che consiste nel partire da un
principio generale noto per trarne delle conseguenze particolari; si oppone
all’ inducione, che consiste invece nel partire dai fatti particolari per
ascendere a un principio, prima ignorato. La deduzione rappresenta dunque il
procedimento sintetico, Ι’ induzione V’ analitico. Si κυgliono tuttavia
distinguere due forme di deduzione, la sintetica © V’ analitica; la prima
procedo da principi semplici e trae dalle loro combinazioni conseguenze
complesse, la seconda consiste nella risoluzione di un concetto complesso nei
suoi elementi, o nella trasformazione di un concetto mediante una diversa
disposizione o combinazione dei suoi elementi (nd es. la risoluzione delle
equazioni), ο nella soatituzione di un elemento del concetto complesso dal
quale dipende la verità che si vnol dimostrare. La deduzione analitica à usata
specialmente nelle matematiche, gin essa si applica a quelle verità cho possono
essere dimostrato con semplici operazioni logiche sopra altre verità in cui
sono contenute. La forma della deduzione, sia ossa analitica o sintetica, è il
sillogismo. La deduzione, come metodo di ricerca, occupa un posto centrale
nella logien aristotelica, posto cho essa ha conservato finchè durò, να]
pensiero filosofico e scientifico, il dominio di Aristotele. Accogliendo la
dottrina socratico-platonica delle idee, Aristotele ammette che il vero essere
è I’ elemento universale, ϱ la sua conoscenza è il concetto; mn laddove Platone
aveva fatto dell’ universale, che il concetto conosce, a del Der 278 particolare, che viene percepito, due mondi
totalmente diversi, senza rapporto tm di loro, Aristotele pone invece come
ufficio fondamentale della scienza di cercare quel rapporto di derivazione del
particolare dall’ universale, che renda capace la conoscenza concettuale di
comprendere o apiegare l'oggetto della percezione e al tempo stesso di dimostrarlo
o provarlo. Lo spiegare e il provare sono, per Aristotelo, la stessa cosa e si
esprimono con la stessa parola deduzione », ossia «derivazione: infatti 1’
universale che, in quanto vero ente, è la causa dell’ accadere, quello da cui
il particolare, oggetto della percezione, deve essere spiogato, è nel pensiero
la ragione da cui il particolare deve essere provato; per tal modo la deduzione
dol dato della percezione dal suo principio universale costituiaco tanto la
spiegazione scientifica dei fenomeni del mondo reale quanto il processo logico
della loro dimostrazione. Du cid si comprende l'importanza data da Aristotele
al sillogismo, che è la deduzione di un giudizio da due altri; ο come egli non
#bbia rivolto la sua attenzione se non a quella forma di sillogismo, che
esprime la subordinazione del particolare all’ universale, e come infine abbin
considerata più valida di tutte ed originaria la prima figura del sillogismo,
nella quale il principio della subordinazione è espresso puramente ©
chiaramente. Kant chiama deduzione
trascendentale la giustiticazione del fatto, che dei concetti a priori sono
applicati agli oggetti della esperienza; tale one dicesi trascendentale per
opposizione alla empirica, che consisterebbe nello scoprire tali concetti
mediante riflessione fatta sull’ esperienza stessa. Ufr. Aristotele, anal. pr.,
II, 25, 69 a, 20; Wundt, Logik, 1893, II, p. 29 segg.; Kant, ΑΗ. d. reinen
Fern., ed. Reclam, p. 103-104; H. Majer, De Syllogistik des Aristoteles, 1900;
Rosmini, Logica, 1853, p. 170 seg., 270; Masci, Logica, 1899, p. 423 segg.
Definito. Come contrario di indefinito, è ciò a cui possono essere © sono dati
dei limiti, essendo indetinito ciò 279 Der che non ha dei limiti assegnabili. Si
distingue dal finito, che è ciò che ha dei limiti assegnati. Nella definizione
dicesi definito ο definiendo il concetto da definire, cho funge da soggetto nel
giudizio con cui è formulate la definizione. Definizione. T. Definition,
Begriffabestimmung; I. Definition; F. Définition. E l’ analisi o la
determinazione del contenuto di un concetto, espressa in un giudizio il cui soggetto
è il concetto da definire (definito ο definiendo), ο il predicato (definiente)
quel gruppo di note mediante le quali il primo vien definito. ‘Tra queste note
basta scegliere quelle che sono sufficienti a distinguere il concetto sia dai
concetti congeneri sia da quelli che fanno parte di altri generi; a tal uopo
servono il genere prossimo, cioè quel genere che più s'avvicina, come tale,
alla comprensione del definiendo, e la differenza specifica, cioè l’ insieme
delle qualità che lo distinguono dai concetti coordinati. Codesta
determinazione risale ad Aristotele, per il quale la definizione è la formula
che esprime l’ essenza della cosa, essenza che si compone appunto di genere e
di differenza. Il metodo della definizione può essere positivo ο negativo ; il
primo consiste nel riunire nella definizione l’intero gruppo di note che il
definiendo abbraccia, il secondo nel determinare i caratteri che devono da esso
escludersi. I logici chiamano nominale la definizione che spiega il significato
di una parola, che determina soltanto ciò che si deve intendere con una data
espressione; reale quella che si riferisco invece al valore intrinseco del
definiondo ; analitica ο determinativa quella che espone gli elementi
costitutivi del detiniendo in quanto sono per sò stessi determinativi ;
genetica quella che espone il processo con cui la cosa definita si forma, © può
essere genetica indicativa ao la formazione della coss è da noi indipendente,
genetica costruttiva se noi stessi possiamo formarla, Però il significato di
questi termini è ben lungi dall’ essere fisso; così per Leibnitz le definizioni
nominali sono quelle che permettono solamente di distinguere Der 380 un
oggetto dagli altri, le reali o causali quelle che mostrano la possibilità del
definito, cioè la sua assenza da contraddizione. Kant distingue ancora le
definizioni analitiche, che anaizzano un concetto anteriormente formato, e le
definizioni sintetiche che servono Α formare primitivamente un concetto ; egli
chiama poi reali le definizioni che non solo rendono chisro un concetto, ma
anche nello stesso tempo la sua obbiottiva realità ». Nella logica algoritinica
si distinguono due specie di definizioni indirette; l’ una per astrazione, che
cousiste nell’ indicare a quali condizioni si ha l’uguaglianza d’una funzione
logica, come quando si defigisce la massa ο la temperatura indicando le
condizioni d’ uguaglianza di tali grandezze ; l’altra per postulati, che
consiste nel definire un insieme di nozioni enunciando, come assiomi ο
postulati, le relazioni fondamentali che questi termini verificano © che
costituiscono i fondamenti necessari e sufficienti della loro teoria. Il Liard
distingue due gruppi di detinizioni : le une geometriche, o formali, ο
sintetiche, vervono a costituire la materia d’una scienza ὁ ne rappresentano
quindi il punto di partenza; le altre empiriche, o materiali, o analitiche,
servono u riassumere le conoscenze ottenute induttivamente e costituiscono
perciò un punto d’urrivo. Gli errori più comuni della definizione sono l’angustia,
che consiste in ciò, che il definiente contiene qualche nota che non appartiene
a tutta I’ estensione del definito ; V ampiezza nell’ inverso ; la
sovrabbondanza, nell’ aggiungere note superflue rispetto al fine di distinguere
il concetto dato da tutti gli altri. Cfr. Aristotele, Top., VII, 5; Anal. post,
11, 3, 7, 10; Leibnitz, Nour. Eusais, 1. III, cap. 3, $ 19; Kant, Krit. d.
reinen Vern., ed. Roclam, p. 225, 55%; G. Burali-Forti, Congrès de philos.,
1900, III, 289; L. Liard, Des défin. géometriques οἱ dea déf. empiriques, 1903;
G. Vailati, La teoria aristotelioa della definizione, Riv. di fil. ο scienze
aftini », novembre 1903 (v. tautologia, diallelo, indefinibile). Degenerasione.
T. Entartung; 1. Degeneration; F. IXgénérescence. Indica in generale
l'alterazione d’un organo © d’un orggnismo, per oni esso è condotto ad uns
forma giudicata inferiore. In modo più preciso si può definire: un’ alterazione
organica e funzionale, che degrada dal tipo normale ed è trasmissibile per
eredità; o anche: l’indebolimento dei caratteri iniziali della specie a cui un
essere appartiene. Il merito di aver introdotto nella psicologia il concetto
della degenerazione è dello psichiatra francese B. Morel, che ne trattò in un
libro rimasto celebre. Tuttavia il significato della parola non è ancora molto
preciso, dandole alenni, come il Max Nordon, una grande estensione, ed usandola
altri per indicare così il processo come gli effetti della deviazione di uns
specie o di un organo dal suo tipo normale. Secondo il Sergi, la degenerazione
consiste nel fatto di individui e di loro discendenti, i quali, nella lotta per
1’ esistenza non cssendo periti, sopravvivono in condizioni inferiori e sono
poco atti a tutti i fenomeni della lotta susseguente. La degenerazione è un
fatto essenzialmente ereditario ; l’ ereditarietà morbosa indebolisce a lungo
andare il potere di una famiglia, cosicchd il decadimento fisico ο mentale si
trasmette nei discendenti finchè la famiglia scompare. Ma è anche un fenomeno
acqui potendo derivare dall’ambiente, da uno stato patologico costituzionale,
dall’ arresto o deviazione di sviluppo, dalV alterazione di un viscere più o
meno importante alla vitalità dell'individuo; è merito del Morel di aver dimostrato
appunto come vi siano delle cause deyencratrici della specie © della famiglia,
quali le intossicazioni con a capo I’ alcolica, U ambiente sociale, lu miseria,
certe professioni industriali insalubri, certi climi, con a capo il palustre,
ecc. La degenerazione si imprime con stimmate somatiche, fisiologiche e
psicologiche. Tra le prime sono più appariscenti la microcefalia, le
deformazioni del cranio, 1’ asimmetria facciale, le orecchie ad ansa, la
dentatura irregolare, il Deo 282 progenoismo, il prognatismo; tra lo seconde In
balbuzie, lo strabismo, il mancinismo, l’analgesia, il ritardo di sviluppo
nelle varie funzioni, |’ esagerazione dei riflessi, speciali idiosinerasie del
gusto e dell’ odorato, la gracilità, V idrocefulo, i sogni spaventosi, il
sonnambulismo. Tra le note psichiche, 1’ onicofagia, l’onanismo, la mancanza
d’armonia tra le tendenze, il difetto di attenzione, la mancanza di volontà, la
tendenza alla menzogna, I’ egotismo, la criminalità, la scarsezza di senso
morale, l'avidità del meraviglioso. Il Sergi distinguo una piccola e una grande
degenerazione del carattere : nella prima 1’ individuo si mostra indeciso nelle
sue azioni, cade spesso nel turpe e tutto urrischia per coprire lo sconvenienze
della propria condotta ; nellu seconda rimane annullata la personalità morale e
l’individuo si trascina nel più completo servilismo. Dal punto di vista dello
sviluppo intellettuale i degenerati si sogliono distinguere in due categorie: i
degenerati inferiori (idioti, imbecilli, futui) e degenerati superiori
(squilibrati, mutidi). I degenerati superiori non presentano, a differenza dei
primi, insufficienza di sviluppo mentale, chè anzi non à raro rilevare in ossi
una notevole attitudine alle arti, ad es. alla letteratura, alla pocaia, più
eccezionalmente alla scienza; ciò che li caratterizza è invece lo sviluppo
ineguale delle diverse facoltà, per cui, a lato di alcune eminenti, altre sono
rimaste allo stato embrionale, cosicchè nella loro mente si originano con somma
facilità dello idee morboso di grandezza, alimentato dal vivo sentimento di
vanità che è in tutti i deboli. Cfr. B. J. Morel, Traité des dégénérencenes de V'expèce
humaine, 1857; Moreau de Tours, La psychologie morbide dane ses rapports aveo
la philos. de Vhistoire, 1860; E. Reich, Veber Entartung des Menschen, 1868;
Dallemagne, Dégénéré et déséquilibrés, 1895; Maguan et Debove, Les dégénérés,
1895; G. Sergi, Le degenerazioni umane, 1888; F. Mugri, La degenerazione
oonsiderata nella sua ouusa, 1891; Max Norduu, Degenerazione, trad. it. 1894
(v. atariemo, reversion’). 283 Dei-Det Deismo. T. Deirmun; I. Deiem; F.
Deine. 1 vocaboli deismo è teismo, derivanti il primo dal latino, il secondo
dal greco, hauno etimologicamente lo stesso significato. ‘Tuttavia, benchè
entrambi indichino la credenza nell’ esistenza di una Divinità personale,
intelligente, distinta dal mondo, col primo, usato la prima volta dal Toland,
si suol più propriamente designare una credenza filosofica che non poggia sulla
rivelazione e non riconosce vincoli di dogmi. In modo diverso lo intendeva il
Kant; egli infatti chiama teismo la credenza in una Divinità libera, creatrice
dol mondo sul quale esercita la sun Provvidenza, e deismo la semplice credenza
in una forza infinita e cieca, inerente alla mutoria © causa di tutti i
fonomeni che in essa avvengono, Il Clarke stabilisce invece quattro spocie di
doisti: quelli cho ammettono puramente I’ esistonza di una Divinità, negandole
ogni azione sul mondo e sull’uomo; quelli che ammettono anche la Provvidenza
divina, ma pongono l'indipendenza della moralità dalla religione; quelli che
ammettono l’idea del duvere © della Provvidenza divina, ma nogano ogui sanzione
oltremondana; quelli che ammettono tutte le verità della religione naturale,
rigettando il principio di autorità e lu rivelazione. Quest’ ultimo è forse il
significato oggi più in uso. Cfr. Clarke, Traité de Vertstence et des attribute de
Dieu. 1828, 6. II, p. 21 segg.; Kant, Arit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p.
494-495; Eucken, Geschiote d. philos. Terminologie, 1879, p. 94; Ueberwog, Die
Neue Zeit., 1896, I, p. 153. Deliberazione.
I. Ueberlegung; 1. Deliberation : F. I liberation. Il primo dei momenti dell’
atto volontario. oppone in generale a impulsione. Esso è costituito dal pe
riodo di esitazione tra la rappresentazione dell’ atto pensato come fine, o tra
l'eccitazione, e il suo compimento. Le rappresentazioni che in questo periodo
di tempo entrano fra loro in conflitto diconsi motiri: i sentimenti, le
tendenze, gli istinti che a quelle si uniscono, prendendo parte al conflitto
medesimo, diconsi mobili. 11 prevalere di Den 284 uno
ο di un gruppo di motivi ο mobili dà poi Inogo alla decixione, cui consegue 1’
esecuzione. Cfr. Jodl, Lehrbuch d. Paychologie, 1896, p. 742. Delirio. T.
Delirium; 1. Delirium; F. Délire. Sotto il me di stati deliranti si comprendono
quei disturbi psichici, che si manifestano nello malattie infettivo, negli avvelonamenti
acuti, negli stati di profondo esanrimento, e i cui sintomi principali sono :
ottuudimento della coscienza, vovitazione motoria, confusione mentale,
allucinazioni, spevie visive e uditive. Possono durare poche ore come alcune
settimane. Quando questi sintomi hauno' intensità maggiore e sono accompagnati
da febbre più ο meno alta, insonnia nssoluta, contrazioni fibrillari, rifinto
di cibo, oce si ha il così detto delirio acuto. Quando poi lo ideo deliranti
non sono fugaci © sconnesse, ma formano un tutto organizzato in serio logica,
si hanno i delirii sistematizzati, i cui tipi principali sono: delirio di
negazione, delirio di persecuzione, delirio ipocondrinco, delirio di grandezza,
delirio di antorimprovero, ece. Si distingne infine un delirio di gelosia, che
apparisce nella paranoia alcolica. Cfr. Kraepelin, Peyohiatrie, 4* ed. 1893, p.
254 segg.; Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 352 segg. Delitto. T. Verbrechen; I.
Crime; F. Crime. Designa in generale ogni infrazione alla legge penale, ed
implica u utto che tendo in qualsiasi modo a nuocere alla vita sociale. I
criminalisti però sono ben langi dall’intendersi circa la dofinizione del
dolitto, la sun natura ei suoi ratteri costanti. Così per il Franck è dolitto
qualunque uttucco alla sienrezza ο alla libertà sia della società sia degli
individui; per il Carrara il delitto si definisce la infrazione della leggo
dello Stato promulgata per proteggere la sicurezza dei cittadini, risultante da
un atto esterno dell’uomo, positivo o negativo, moralmente imputabile ; per il
Garofalo è delitto ogni offesa ai sentimenti della pietà e della probità; per
Ferri il delitto è un attacco alle condizioni naturali d’esistenza dell’
individuo e della società; per il Colajanni e il Berenini sono delitti le
azioni determinate da motivi individuali e antisociali, che turbano le
condizioni @ esistenza e offendono la moralità media d’un popolo a un momento
determinato ; per il Tarde I’ idea del delitto implica essenzialmente,
naturalmente, quella d’un diritto ο d’un dovere violato; il Durokheim definisce
il delitto ogni atto che, et un grado qualunque, determina contro il suo autore
quella reazione caratteristica che chiamasi pena, ecc. Tutte queste definizioni
si bassno su caratteri variabili, come i sentimenti, i diritti, i doveri, le
leggi penali, le forme sociali, mentre, per servire di base sicura alla scienza
penale, dovrebbero dare della nozione in discorso 1) elemento fisso ο valido in
qualunque luogo e a qualsiasi epoca. Sembra percid preferibile a tutte la
definizione dell’ Hamon : ogni atto cosciente che lede la libertà d’agire d’ un
individuo della stessa specie dell’ autore dell’ atto è un delitto. Cfr. F. Carrara,
Programma del corso di diritto criminale, 1871; A. Marucci, La nuova filosofia
del diritto criminale, 1904; E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto ο della
procedura penale, 1884; R. Garofalo, Il delitto come fenomeno sociale, nel vol.
Per lo onoranze a F. Carrara, 1899, p. 321 segg.; Colajanni, Sociologia
oriminale, 1889; A. Hamon, Déterminiame et responsabilità, 1898. Demagogia
(δῆμος -= popolo &ywyé = che
conduce). T. Demagogie; I. Demagogy; F. Démagogie. Etimologienmente designa
quella forma di governo in cui il potere è in mano della moltitudine; ma si
adopera quasi sempre in senso cattivo per indicare la tirannia esercitata dalla
Plebe, giunta al potere, sopra le altre classi sociali. Demenza. T. Psychische
Schicdchezustinde, Blödsinn, Schwachsinn; 1. Mental weakness, dementia; F.
I)tmence. Termine molto generale, con cui si indies l’indebolimento ©
Vottundimento acquisito e irrimediabile delle facoltà intellettnali. Si
presento come sindrome di diverse malattie Dem 286 mentali, e può essere generale e parziale,
permanente e progressiva. Va notato però che l’ indebolimento caratteristico
della demenza colpisce quasi sempre contemporaneamente le tre grandi funzioni
psichiche, l'intelligenza, il sentimento, la volontà. I disturbi della
intelligenza si manifestano col diagregarsi del legame associativo delle idee,
con P incoerenza del lingnaggio ο della scrittura, con In perdita della
capacità di fissare e rievocare i ricordi; i disturbi dell’ affettività con 1’
indebolimento di tutti i sentimenti ideali o rappresentativi, e col
distraggersi progressivo degli affetti familiari ο del senso morale; i disturbi
della volontà con } apatia ο l’indifferentismo che caratterizza gli stati
dissociativi della personalità. Le forme principali di essa sono: la d.
precoce, cho si presenta nella gioventà e si può esplicare con stadi di
esaltamento di depressione ο di delirio; la d. senile, caratteristica della
tarda otà e che si accompagna naturalmente agli altri fenomeni d’ involuzione
fisiologica della vecchiaia; In d. paralitica, che è la più ricca e la più
varia di fenonieni psicologici. Infine la demenza si può presentare come stato
terminale dell’ alcoolismo, dell’ epilessia, dell’ antenza, © della frenosi
circolare. Cfr. Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 335 segg. Demiurgo. Nel sistema
di Plutone, il demiurgo (3nwovpy4¢ = operaio) è Dio, la ragione divina, che
guardando alla idea del Bene dà forma al mondo, ordina la materia che già prima
esisteva, gli impone il movimento cireolare, gli infonde l’anima e, per
renderlo rompre più simile all’esemplare suo eterno, lo dota infine del tempo:
«Quella cosa di cui il demiurgo effettua la forma e la funzione, guardando
sempre, per servirsene come di modello, a ciò che è allo stesso modo, è
necessario che riesen per questo sempre bella. Se dnnque questo mondo è bello ©
il demiurgo è buono, è evidente che questi ha gnaraato l'esemplare eterno....
Ma questi era per sna natura eterno, 287
Dex e ciò non poteva adattarsi in alcun
modo a chi aveva avuto nascimento. Egli escogita quindi di fare una imagine mobile
dell’ eternità, e mentre ordina il cielo, fa dell’ eternità, che resta sempre
nell’ uno, una imagine dell’ eternità (αἰώνιον εἰκόνα), che si muove secondo il
numero, quello che noi abbiamo chiamato il tempo ». Anche gli gnostici adottarono
la dottrina del demiurgo, il quale anche per essi è il mediatore tra lo spirito
© la materia, che trovansi in originario contrasto. Tale ufficio è a lui
attribuito in quanto è l’ultimo degli eoni, quello cioè che è più vicino alla
materia e perciò in immediato contatto con ébsa. Cfr. Platone, Timeo, 37 d, 41
A; Senofonte, Mem., IV, 11, 13; Fraccaroli, I! Timeo. 1906, p. 220, n. 3 (v.
Dio, esemplare. creazione). Democrazia. T. /emocratie: I. Democracy; F. Démoeratie.
Per Aristotele è quella forma di governo in oui i liberi e i non ricchi
costituiscono la maggioranza e occupano il potere supremo; l’oligarchia è,
all'opposto, quella forma di costituzione politica in cui il potere è nelle
mani dei pochi © dei ricchi. Oggi designa lo stato politico, nel quale la
sovranità appartieno alla totalità dei cittadini, senza distinzione di nascita,
di fortuna o di capacità. Aristotele è favorevole al governo popolare,
specialmente per la ragione che esso utilizza In maggior somma di attitudini
individuali; anche in ciò egli si pone contro a Platone, che considerava lo
Stato democratico come peggiore d’ogni altro, la libertà ο 1’ uguaglianza como
origine perenne di turbamenti, d’ingiustizia, di corruzione, persino nel seno
delle famiglie: Io voglio dire che il padre #’abitus n trattare il figlio come
uguale, e persino a temerlo; che questi s’ nguaglia al padre e non ha rispotto
nd paura per gli autori dei suoi giorni, perchè altrimenti la sua libertà ne
soffrirebbe; che i cittadini e i semplici abitanti o gli stessi stranieri
aspirano agli stessi diritti. Sotto un tale governo il maestro tome e tratta
con riguardo i suoi diDem 288 scepoli: questi si ridono doi loro maestri ο
dei loro sorveglianti. In generale, i giovani voglion essere pari ai vecchi e
lottare con essi in propositi e in azioni. Ma I’ ultimo eccesso della libertà
in uno Stato popolare è quando gli schiavi dell’ uno e dell’ altro sesso non
sono meno liberi di quelli che li hanno comperati ». Nei tempi moderni
Montesquieu, ponetrando il vero spirito del governo popolare, dice che nella
democrazia il popolo è, sotto un certo riguardo, il monarca, sotto certi altri
il suddito; esso non può essere monarca che per i suoi suffragi, che sono le
sue volontà; la volontà del sovrano à il sovrano stesso »; perciò mentre non
occorre molta probità nel governo monarchico e nel dispotico, perchè la forza
delle leggi nell'uno, il braccio del principe nell’ altro, reggono tutto, nella
democrazia è necessaria la virtù. Cfr. Platone, Rep., Ve VI; Aristotele, Polit., 1. III, c.
5, 6; Montesquieu, Esprit des lois, 1748, 1. II, 11 © 111 (v. aristocrazia). Demone, demoniaco. Nel
linguaggio filosotico la parola demone è usata talvolta per indicare il genio
familiare da cui Socrate dicevasi ispirato e che egli stesso chiamava, con
parola da lui creata, δαιμόνιον. Sulla sua precisa natura molto si è disputato
e si disputa ancora; secondo alcuni essa ha in Senofonte, il più diretto
discepolo di Socrate, lo stesso significato di Θεός, come la parola Baluov in
Omero, laddove in Esiodo i δαιµόνες sono geni intermediari tra l’uomo e la
divinità; altri invece, fondandosi sopra i dialoghi platonici, sostengono
doversi ammettere cho Socrate credesse davvero all'esistenza di geni familiari;
altri ritiene che Socrate usasse questo neologismo per significare 1’ analogia
esistente tra i suoi presentimenti interni, ispiratigli dalla divinità, e i
demoni della mitologin greca; altri, specialmente psichiatri e fisiologi, upinano
che Socrate softrisse di allucinazioni visive ο uditive ϱ #’imaginarso di
parlare con uno spirito; altri infine, fondandosi sui della psicologia, risolvo
le 385 Dew ispirazioni demoniache avvertite da
Socrate nelle suggestioni del subcosciente, che in tutti i mistiei assumono una
speciale vivacità e si presentano all’ introspesione nella forma di un
fantasma, di una individualità estrinseca, di cui essi sentono continuamente la
presenza negli strati profondi della loro anima. In un senso analogo a quello . sonofonteo,
Goethe chiama demonisco (das Zimonische) la rivelazione del divino nel mondo,
I’ inaccessibile che ci circonda e del quale’ sentiamo dovunque l’affiato misterioso;
esso si manifesta nei modi più diversi in tutta la natura visibile e
invisibile, nella pittura, nella poesia e più ancora nella musica perchè essa
sta così in alto cho nessuna intelligenza le si può avvicinare, e gli effetti
che produce dominano ciascuno senza che nessuno sin in grado di rendersene
ragione ». Cfr. Senofonte, Mem., I, 1v; Platone, 4pol., 31 D; Cicerone, De
dirin., I, 54, 122; Fouillée, Hist. de la phil., 1884, p. 74; Luciani,
Fisiologia dell'uomo, 1913, vol. IV, p. 499; Eckermann, Gesprioke mit Goethe,
ed. Reclam, 1, 207 segg.; II, 166; C. Ranzoli, 1 agnosticiemo nella fil. religiosa,
1913, p. 48 segg. Demoniaci. Setta di erotici cristiani, i quali ritenevano che
alla fine del mondo sarebbero stati salvi ancho i demoni, cioè gli angeli
ribelli a Dio. Demonismo. M. Dimonismus; I. Demoniem ; F. Démonisme. Con questo
nome si designa quello stadio della ev luzione religiosa, in cui i fenomeni
naturali sono spiegati come effetto della lotta continua di spiriti, alcuni
buoni ed altri cattivi, di cui è popolato il mondo. Il domonismo è anteriore al
politeismo; in esso gli spiriti non hanno nome, non hanno forma umana, non
hanno storia personale, sono adorati negli alberi, nel vento, nelle nubi.
Quando, sotto In spinta del bisogno religioso, egsi acquistano un nome, forma
umana e storia personale, il demonismo si trasforma in politeismo e in
mitologia. Cfr. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse, 1912;
F. B. Jevons, L'idea di 19 RANZOLI,
Dizion. di seienze filosofiche. DEM-DEO 290 Dio
nelle religion’ primi dualiemo). Demonstratio quo, dem. quid. Termini della
scolastica, con cui si desigus quell’ argomentazione nella quale si va dall’
effetto conosciuto ancora imperfettamente alin causa, © si trova l’ esistenza
della causa ma non la ana natura (demonstratio quo, cioè quod est). La natara
della causa si scopre per mezzo delle considerazioni della mente, che la
confronta con tutte le parti e condizioni dell’ effetto. Dalla causa di cui
così si conosce In natura, si argomenta poi all'effetto (demonstratio quid o
propter quid) cosicchè tanto nell’ una quanto nell’ altra argomentazione si va
dal più al meno noto. Cfr. Goclenius, Le. phil., 1618, p. 504; Rosmini, Logica,
1853, $ 708. Denotazione. I. Denotation; F. Dénotation. Lo Stuart Mill, facendo
rivivere una abbandonata distinzione scolastica, chiama connotativi quei nomi
che servono a denotare un soggetto o una classe di soggetti, e nello stesso
tompo implicano, οοπποίαπο un attributo. Sono connotativi tutti i nomi comuni
astratti ο i nomi propri. Cfr. Stuart Mill, System of logic, 1865, vol. I, cap. II, § 5 (v. connotatiri). Deontologia (τὸ δέον
--ciò che si deve fare). T. Ixontologie, Pflichtenlehre; 1. Deontology; F.
Déontologie. O trattato dei doveri, è il titolo dell’opera postama del Bentham,
nella quale è esposto il suo sistema di morale. Exsondo fine della vita il
piacere, cho chiamasi utilità in quanto diventa regola delle nostre azioni, la
misura del valore morale di una azione si dove basare sul valore effettivo che
essa ha di promuovero il piacere ο la folicità. Un piacere © un dolore, dice il
Bontham, possono essere produttivi o sterili. Un piscere può essero produttivo
di piaceri o di dolori, o di entrambi: per contro, un dolore può esser proluttive
di piaceri, di dolori, ο di entrambi. Il compito de contologin consiste nel
pesarli ο nel tracciare, in, 1914, p. 19 segg. (v. religione. 291 Drr-Drs base al resultato, la linea di
condotta che bisogna tenere ». In tal modo la scienza morale si riduce tutta al
calcolo deontologioo. Oggi la parola deontologia è adoperata per designare la
teoria dei doveri, e di quelli specialmente relativi ad una data situazione
sociale. Cfr.
Bentham, /eontology or the mience of morality, 1834 (v. intoresne). Depersonalissasione. F. /)épersonalisation.
Fenomeno di sdoppiamento della personalità, che si presenta in vario malattie
mentali © in cui il soggetto ha l'illusione di divenire un altro, pure
sentendosi rimanere lo stesso divenendo due. Il vocabolo è anche usato per
designare quella speciale ossessione, in cui V individuo sente come sparire la
propria personalità, perdersi il proprio io. Cfr. Dugas, Un cas de
depersonalisation, Revue philos. », maggio 1898; Bernard-Leroy, Sur Pillusion
dite dépersonalisation, Tbid., agosto 1898. Descrittivi (giudizi). Alcuni logici chiaman tali quei
giudizi in cui il predicato è una proprietà del soggetto ο snole essere
espresso grammaticalmente da un aggettivo. Descrizione. T. Beschreibung; I.
Description: F. Description. Nella logica designa quella operazione per cui si
definisce una cosa dai segni apparenti che sono propri di essa. La descrizione
non è una vera e propria definizione, ma una indicazione definiente, ο si uen
appunto per quelle nozioni che, o in sè stesse o perchè imperfettamente conosciute,
non si possono definiro. Minus acourata definitio, descriptio dicta, ea est,
secondo i logici di Porto Reale, quae rem facit notam per aocidentia, propria,
atque ita determinat, ut nobis possimua illius ideam formare, quae illam ab
omni alia re distinguat. Le definizioni della storia naturale sono per la
maggior parte indicazioni definienti per carattori estrinseci. Cfr. Logique du
Port-Royal, ed. Charles, II, 12; Hamilton, Lectures on logic, 1860, lez. XXIV, pp. 12, 20 (v. definizione, locazione,
distinzione, indefinibile, cavatteristica). Des 292 Desiderio. T. Begehren, Begehrung ; I. Desire;
F. Désir. La rappresentazione effettiva di un atto sperimentato direttamente o
indirettamente come piacevole, il quale tende per conseguenza a rinnovarsi. Il
desiderio è quindi qualche cosa di meno generale e di più specifico della
tendenza; il desiderio, dice I’ Höffding, non è che una tendenza comandata da
rappresentazioni chiare. Del resto esso fu variamente inteso dai filosofi; per
Leibnitz è la tendenza a’ una rappresentazione all’ altra, per Condillac una
attività dell’ anima rivolta alla soddisfazione di un bisogno, per Cr. Wolff
una inclinazione dello spirito verso un oggetto percepito come un bene. Secondo
Kant, la facoltà di desiderare sarebbe la facoltà di esser causa, mediante le
proprie rappresentazioni, della realtà delle rappresentazioni stesse ». Per
Hobbes è un movimento che si compie nella sostanza cerebrale, «tale movimento
si chiama appetito ο desiderio quando l’ oggetto è gradevole, avversione quando
è naturalmento spiacevole, timore rispetto al dolore che se ne attende »; per
Locke il desiderio è il disagio che si prova per l’assenza di qualche cosa il
cui presente possesso reca con sè l'idea di un piacere »; per Bain è uno stato
mentale costituito da un motivo di agire, sia esso un piacere o nn dolore,
attuale o ideale, senza averne la capacità; esso è quindi uno stato di
intervallo ο sospensione tra motivo ed esecuzione »; per lo Spencer è un
sentimento ideale, che si manifesta quando il sentimento reale, a cui
corrisponde, non è stato per lungo tempo sperimentato ». Il desiderio si
distingue dall’ appetito, il quale non è che la tendenza fondamentale a cercare
il piacere © fuggire il dolore; e dalla volontà, perchè mentre questa implica
l'attuazione del fine, quello è semplicemente la tendenza all’ atto e non ne
implica I’ effettuazione. In altre parole, mentre il desiderio è passivo la
volontà è attiva; perciò il primo è per il Kant una eteronomia, la seconda una
autonomia. Cfr, Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 714 a; 293 Des-beT Condillac, Traité des sens., 1886, I,
3, 1; Wolff, Pryohol. empirica, 1738, 6579; Kant, Krit. d. prakt. Vern., ed. Reclam, p. 67;
Hobbes, Human nature, 1650, cap. XI, $3; Locke, Human understanding, 1877, II,
xx, 6; Bain, Mental and mor. science, 1884, p. 368; Spencer, Princ. of
peychol., 1881, 1,$51; Höffding, Psyohologie, trad. frano. 1900, p. 312, 422. Desitive (proposisioni). Si
oppongono alle incettire, ed esprimono che una cosa ha finito di essere, o di
possedere una dats proprietä,.ad un dato momento. Contengono perciò due
proposizioni, che possono essere contestate sepsratamente, e di cui una
riguarda lo stato anteriore, I’ altra lo stato posteriore. Determinativo. T.
Bestimmend; 1. Determinative; F. Déterminatif. Diconsi determinative quelle
proposizioni incidentali © composte, implicite o esplicite, le quali contengono
un inciso che ne determina il significato e cho non si può togliere: ad es.
l’uomo, che ha commesso delle colpe, merita punizione. Se l’inciso non fa che
spiegaro il significato, e può esser tolto, lu proposizione dicesi esornativa.
Pure nella logica, dicesi determinative 1’ addizione che sumenta la
comprensione di un termine semplice, e, quindi, ne restringe l'estensione. Cfr. Logique du PortRoyal,
ed. Charles, II, cap. vi. Determinazione.
T. Bestimmung; I. Determination: F. Détermination. Indica in generale la
specificazione dei caratteri che distinguono un concetto da altri concetti del
medesimo genere. Si oppone ad astrazione rerticale, © designa 1’ operazione
logica con cui si aumenta la comprensione di an concetto, dimiauendone I’
estensione. Consiste nell’ aggiungere una nota al concetto; ma questa aggiunta
non è affatto arbitraria, dovendo tale nota essere compatibile colla sostanza
logica del concetto. Ad es. al concetto governo si potrà aggiungere la nota
costituzionale o assoluto, ma non la nota verde ο salato. Dicesi ancora determinazione o decisione quel
momento dell’ atto volontario, Der 294 in cui si risolve il conflitto dei motivi per
il definitivo provalere d’ una ides fine. Determinismo. T. Determiniemue; I.
Determiniom; F. Déterminieme. Termine di uso recente nel linguaggio filosofico,
nel quale fa introdotto primitivamente dalla filosofia tedesca. Si oppone 4
indeterminiemo ο libertiemo, e designa la dottrina secondo la quale ogni
fenomeno, compreso quello della volontà, è determinato dalle circostanze nelle
quali si produce, è l’effetto necessario di una causa, per modo che, dati
quegli antecedenti, ne risultano necessariamente quei conseguenti. 11
determinismo non è dunque altra cosa che il principio di causalità : le stesse
cause nelle stesso circostanze producono gli stessi effetti. Si suol distinguere
il determinismo cosmico o fisico, dal determinismo psicologico o volontario; il
primo riguarda i fenomeni fisici © del mondo esterno, il secondo i fenomeni
psichici ο del mondo interno. I] primo è il postulato di tutte le scienze della
natura: esse infatti non hanno altro oggetto che In ricerca delle leggi; ora la
legge, cioè il rapporto invariabile tra due fenomeni, può essere ricercata solo
a condi zione che si creda che ogni fenomeno è invariabilmente preceduto, ©
invariabilmente seguito, da altri fenomeni; ο tale appunto è la formula del
determinismo. Nella sua espressione più rigorosa, esso porta a considerare il
passato ο l'avvenire come valutabili in funzione del presente, cosicchè, per
usare l’ esempio dell’ Huxley, una intelligenza sufticionto conoscendo le
proprietà delle molecole di cui ora composta la nebulosa primitiva, avrebbe
potuto predire lo stato della fauna dell’ Inghilterra nel 1868, con pari certezza
di quando si predice ciò che accadrà al vaporo della respirazione durante una
fredda giornata d’ inverno »; ο, secondo l’esempio non meno celebre del Du
Bois-Reymond, si potrebbe dallo stato attuale del mondo conchiudere sia in qual
momento I’ Inghilterra brucerà il sno ultimo pezzo di carbone », sin chi ora la
maschera di ferro », sia tutt'e 295 Der duo le cose. Il determinismo volontario
non è che nn caso 0 una specie del determinismo universale: esso onuncia che
tutte le azioni dell’ numo sono determinate dai suoi stati anteriori, senza che
la sus volontà possa cambiare nulla à questa determinazione; l’uomo dunque non
ha li bitrio, e, se egli crede di possederlo, non ne possiede che V apparenza.
Gli atti volontari sono determinati dal potere impulsivo e inibitorio dalle
rappresentazioni : la scelta dipende dalla rappresentazione che ha impulsività
maggiore. Se si potessero conoscero, disse Kant, tutti gli impulsi che muovono
la volontà di un uomo, anche i più leggeri, ο prevedere tutte le occasioni
esterne che agiranno su lui, si potrebbe calcolare la condotta faturn di questo
uomo con quella stessa esattezza con cui si calcola un eclissi di sole o di
luna. Si distinguono varie forme di determinismo volontario : il d. teologico,
per cui i nostri atti sono un prodotto dell’azione divina, della
predestinazione, della grazia, della provvidenza; il d. intellettualistico,
detto anche peicologico, che ripone l’asione determinativa nell’ intelligenza,
facendo di ogni atto la pura conseguenza di un giudizio, cosicchè l'atto è
buono o cattivo a seconda che il giudizio è logicamente retto o errato; il d.
sensistico 0 sensualistico. che fa delle sensazioni |’ unica causa necessaria
degli atti; il d. idealistico, nel quale |’ idea in sè, nssoluta, agisce liberamente
e determina gli atti umani senza vincolo alcuno con la resltà materiale. Molte
volte si è confuso e si confonde il determinismo col fataliemo : ma mentre in
questo gli avvenimenti sono predeterminati ab eterno in mod nocessario da un
agente esteriore, in quello il potere è collocato nell’ agente medesimo; in
altre parole meutre nel fatalismo la nutura è sottomessa ad una necessità
trascendente, nel doterminismo la necessità è immanente e si confonde con la
natura stessa. Oltre al determinismo per il quale il conseguente è determinato
dai suvi antecedenti ο } insieme dalle sue parti, che è il determinismo
meoeamico, το ar-Der-Dia 296 Claudio Bernard ha mostrato che per spiegare
gli organiemi viventi bisogna faro appello a un’ altra specie di determinismo,
ove l’ insieme determina le suo parti e il conseguente i suoi antecedenti;
questo determinismo nuovo, che il Bernard chiama un determinismo superiore, si
può anche chiamare un determinismo finalista. Cfr. Kant, rit. d. reinen Vern.,
ed. Rechun, p. 481 segg.; Laplace, Introd. à la théorie dea probabilités, 1886
; CI. Bernard, Introduotion à Pt. de la physiol., 1865; Fouillée, La liberté οἱ le déterminisme, 1873; A. Hamon, Déterminieme et
responsabilité, 1898; A. Lalaudo, Note sur Vindétermination, Revue de métaph.
», 1900, p. 94; Petrone, I limiti del determiniamo scientifico, 1900; Ardigò,
La morale dei positiviati, 1892, p. 118 segg. (v. autonomia, contingenza,
equazione, indeterminismo, predeterminismo, libero arbitrio). Determinismo economico v. materialismo storico.
Dialettica (διά attraverso, λέγω raccolgo). T. Dialektik; I. Dialectic; F.
Dialeotique. Per gli antichi era |’ arto di raggiungere © cogliere il vero
mediante la discussione delle opinioni. Infatti Platone, nel Cratilo, dice: colui
che sa interrogare e rispondere, come lo chiameremo, se non dialettico » E
Aristotele, nella metafisica: la dialettica tasta, dovo la filosofi conosce ».
Non va dunque confasa con la Logica (quantunque nel medio evo designasse
appunto la logica formale per opposizione alla retorica) che è una scienza vera
e propria, la scienza del ragionare. La dialettica non è che un’ arte polemics,
con la quale si apre la via alla scienza; essa muovo dalle opinioni comuni
intorno ad un dato oggetto, le prova sl martello della critica, ne mostra lo
lacnne, le difficoltà, gli errori, in modo da apparecchiare il terreno alla
indagine scientifica. Nell’ emanatismo
di Proclo il principio dialettico è quello in base al quale si altera In
derivazione logien del particolare dall’ nniversale, della pluralità dall'unità;
tale derivazione implica da un Into la somiglianza 297 Dia
del particolare all’ universale e quindi la permanenza dell'effetto nella
causa, dall’ altro la contrapposizione di questo prodotto come qualche cosa di
nuovo e indipendente, € infine, per questo rapporto antitetico, la tendenza del
particolare alla sua origine; i tre mumenti del processo dialettico sono dnnque
il persistere, il derivare, il ritornare, ossia unità, differenza © unità del
differente. Nel razionalismo di Abelardo
la dialettica ha per compito di distinguere il vero dal falso; quindi, mentre
per Anselmo la dialettica si limita a rendere comprensibile all’ intelletto il
contenuto della fede, per Abelardo essa ha anche il diritto critico di
decidere, nei casi dubbi, secondo le sue regole: così nel suo seritto Sic et
mon egli oppone luna l’altra le opinioni dei Padri, per distraggerle a forza di
dialettica e per trovare infine ciò che è «degno di fede in ciò che è
dimostrabile. Per Pietro Ramo la vera
dinlettica ha anzitutto per compito di scoprire ciò che può la natura 6 come
essa procede nell’ impiego della ragione, poscia di insegnare ad esporre con
ordine, metodo ed eloganza il proprio pensiero: In tal modo la dinlettica, dopo
esser stata allieva della natura, ne diventerà per così dire la maestra; poichè
non v’ha natura così energica © forte, che non lo diventi ancora più medianto
In conoscenza di sè ο la descrizione delle proprio forze; ο non v’ha natura
così debole e Innguente che non possa, col soccorso dell’ arte, acquistare
maggior forza ed ardore ». Kant, nella
terza parte della Critica della ragion pura, che egli chiama Dialettica
trascendentale, esamina l'illusione naturale che ci spinge alla metafisica,
cioè a cercare l’Assoluto e penetrare nel regno dei noumoni; la fncoltà che ci
spinge a ciò è la Ragione, la quale può mantenersi entro i limiti dell’
esperienza, ridncendo alla maggiore unità possibile In molteplicità delle
cognizioni, ma può anche pretendere di trarre da concetti puri delle cognizioni
sintetiche, indipendentemente du ogni intuiDia zione; è in questo modo che
sorge la dialettica, cioè la metafisica dogmatica, ed è in questo modo che la
ragione diventa trascendente. Quindi per Kant la parola dialettica significa
non solo |’ illusiono della ragione, ma anche lo studio e la critica di codesta
illusione. Per Schleiermacher la
dialettica è la dottrina del sapere in quanto diviene, la filosofia. Ogni
sapere è volto a rilevare l’identità del pensiero e dell’essere; ma nella
coscienza umana essi procedono separati come fattore ideale ο fattore reale di
essa, come concetto ¢ come intuizione, come funzione organica e funzione
intellettuale; solo il loro piono accordo darebbe la conoscenza, perciò tale
accordo, non mai pienamente raggiunto, rappresenta lo scopo assoluto,
incondizionato, remotissimo, del pensiero, il cui sapere vuol diventare, ma non
mai diventa, completo. La dialettica, come dottrina del sapere che diviene,
suppone però In realtà di tale scopo irraggiungibile dal nostro pensiero :
questa realtà, identificazione del pensiero con l'essere, Dio. Per 1’ Hegel la dialettica è I’ applicazione
scientifica della logica inerente alla natura umans »; siccome poi le forme del
pensiero sono le forme del reale, così la dialettica è la vera e propria natura
delle determinazioni dell’intelletto, delle cose e, in modo generale, di tutto
il finito »; 0488 consiste essenzialmente nel riconoscere |’ inseparabilità dei
contradditori e nello scoprire il principio di codesta unione in una categoria
superiore. Egli chiama momento dialettico sia la contraddizione stessa, sia il
passaggio da un termine all’altro di codesta contraddizione. ll Balnsen chiama dialetticg reale la
contraddizione posta nella stessa essenza delle volontà individuali (nelle
quali la realtà si risolve) per cui uns è sdoppiata in sè stessa, essendo con
ciò irrazionale e infelice; tale contraddizione è inaccessibile al pensiero
logico, il quale per tal guisa è incapace di abbracciare un moudo che consiste
nella volontà contradditoria di sè; ciò rende impossibile anche la liberazione
parziale 299 Dia ammessa da Schopenhauer, e quindi la
volontà in indistruttibile dovrà soffrire indefinitamente in esistenze sempre
nuove il tormento di questa autolacerazione. Il Gourd chiama dialettica la serie delle fasi
successive percorse dallo spirito che, allontananilosi per gradi dalla coscienza
primitiva, costruisce progressivamente il mondo della scienza, quello della
morale e quello della religione. Il Rosmini distingne il dianoetioo dal
dialettico: quello è ciò che la mente suppono nelle sue operazioni, e che non è
tale in sè stesso, cioè prescindendo dall’ operazione della mente; questo è ciò
che Ia mente produce nolle cose in sé essenti, per modo che la mente stessa
concorre colle sue operazioni a fare che la cosa sia tale in sè stessa com'è.
Quindi, mentre il dialettico è il prodotto di una mera finzione mentale, il
dianoetico è il prodotto vero di una causazione. Cfr. Senofonte, Memor., IV, 5,
12; Platone, Sof., 258, C, D; Republ., 598 E, 534 B; Aristotele, Anal., I, ıv,
468; I, v, 77 a; Metaph., Il, 1, 995b; H. Kirchner, / Prooli metaphysica, 1846;
Abelardo, Dialeotica, ed. Cousin: P. Ramus, Institutionen dialeoticae, 1549;
Sobleiermacher, Dialektik, 1908; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 88
segg.; Hegel, Enoycl., $ 10, 81; Hartmann, Ueber die dialektische Methodo,
1868; Jal. Bahnsen, Der Widerpruch im Wisson und Wesen der Welt, 1881; J. Gourd,
Les trois dialeotiques, Revue de metaph. », 1897, p. 1-9; Rosmini, Idcologia,
1858, t. IV, pag. 313 segg.; F. De Sarlo, Un ritorno alla dialettica, Cultura
fil. », febbraio 1907 (v. contraddizione, divenire, oriatica, ironia,
maieutica). Diallelo (ἀλλήλων ’uno per l’altro, mutunmente). Ha due significati
un poco diversi; nel linguaggio degli scettici antichi esso è uno dei tropi ο
motivi di dubbio, ο consiste in ciò che non è possibile la dimostrazione di
alcun prin: cipio, di alcuna verità, perchè In dimostrazione deve foudarsi
sopra un criterio, e il criterio ha esso pure bisogno di essere dimostrato. Più
tardi il significato della parola Dis-Dic 300 8’
à venuto generalizzando, cosicchè con essa si intende ora qualsiasi circolo
vizioso, qualsiasi definizione d’ una cosa per sò stessa. Cfr. Prantl,
Geschichte der Logik, 1855, I, 494. Dibatis. Termine mnemonico di convenzione,
con cui nella logica formale si designa uno dei modi della quarta figura del
sillogismo, che ba la maggiore e la conclusione particolari affermative, la
minore universale affermativa. Esso si riconduce al Dabitis della prima figura.
Dicotomia. T. Dichotomie: I. Dicotomy; F. Dichotomie. E l'argomento attribuito
a Zenone di Elea, e col quale egli voleva dimostrare che se |’ essere è
multiplo, deve cesere infinitamente grande e composto di un numero infinito di
parti. Infatti ciascuna delle parti dell’ essere deve avere una grandezza ed
essere separata dalle altre; ora, siccome lo spazio è il luogo dei corpi, e il
vuoto non può quindi esistere, è necessario che tra codeste parti separate
altre ne esistano per separarle; e tra queste altre ancora, ο così via via all’
infinito. Egli perciò concludeva che la pluralità è impossibile e che non
esiste che I’ unità. Nella logica dicesi
dicotomia la divisione che consta di due soli membri dividenti. Ogni divisione
può essere ridotta a una dicotomia per opposizione logica, ponendo come primo
membro il genere con l’ aggiunta di una differenza specifica e contrapponendo a
questo il genere stesso più la negazione di quella; ad es., gli animali sono
vertebrati o non vertebrati. La dicotomia si può fare ancora per distinzione,
quando il fondamento della divisione non consente che due modalità: ad es. gli
orgunismi sono piante o animali. Cfr. Aristotele, Physica, V, 9; Plutone,
Polit., 262 A; Masci, Logica, 1899, p. 304 seg. Dictum de omni aut de nullo. E
la formola con cui gli scolastici esprimevano il principio fondamentale del
sillogismo, traducendo l’ espressione aristotelica: κατὰ πάντος À μηδενὸς κατηγοραῖσθαι.
Esso significa che: ciò che si afferma di un tutto molteplice, si afferma pure
dei Dip-Drr singoli, e ciò che di un tutto molteplice si nega, si nega anche
dei singoli. Cristiano Wolff lo formula più esplicitamente così: Quicquid de
genere vel specie omni afirmari potest, illud etiam afirmatur de quovis sub
illo genere rel illa specie contento: quioguid de genere vel specie omni
negatur, illud etiam de quovis sub illo genere vel illa specie contento negari debet.
A questo principio altri preferiscono quollo proposto dal Kant: nota note est
nota rei ipsins; questo principio però è la stessa cosa di quello aristotelico,
che cioè: ciò che si afferma si nega del predicato si affermerà o negherà pure
del soggetto. Gli stessi scolastici, con
l’espressione: a dicto simpliciter ad dictum secundum quid, e viceversa,
designavano quella specie di sofisma di ragionamento, che consiste nel passare
dul senso assoluto di un termine al relativo, e dal relativo all’ assoluto; ad
es. una piccola dose di stricnina può essere salutare (a dioto secundum quid)
ina non ne deriva che la stricnina, in qualunque dose, sia una sostanza
benefica (ad dictum simp! citer). Cfr. Aristotelo, Topie., I, 3; Reth., I, 2,
3, II, 1, 22; Cr. Wolff, Philos, rationalis sive logica, 1732, $ 346 segg.;
Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 253; Rosmini, Logica, 1853, p. 166
segg. (v. rillogismo). Didattica. 1. Didaktik ; I. Didaotios; F. Didactique. 1
signa propriamente la scienza dell’ insegnamento; stingue dunque dalla
pedagogia, che è vocabolo assai più recente e il cui significato odierno fu
espresso in passato con In parola diduttica. La didattica si divide in due
parti: una generale, che tratta della scuola, dei suoi fini, del suo
ordinamento, dei suoi metodi ; l’altra particolare, che riguarda le singole
materie d'insegnamento (v. pedagogia, pedologia). Differente. T. Perschieden;
I. Different; F. Different. Si dice di un'entità che possiede qualche cona di
comune con un’altra, ma che ha pure qualche cos di proprio, per cui si
distingue dall’ altra: questo proprio è la difere Dir 302 Il
differente si distingue dal diverso, che si adopera per distinguere due entità
senza però indicare che differiscono in qualche cosa ο in tutto tra esse. A
designare poi la più generale varietà che possa notarsi tra lo entità, fu adoperato
nella terminologia scolastica il termine altro, che signified il fatto di
entità che non variano punto di essere, ma variano di semplice relazione. Cfr. Aristotele, Met., V, 10,
1018 b, 1 segg.; Hume, Treatiee on human nature, 1874, I, seg. 5, p. 27 (v.
alterità). Differenza. Gr.
Διαφορά; T. Unterschied, Liferenc ; I. Difference ; F. Différence. Tutto ciò
che serve a distinguere una cosa da un'altra, un concetto da un altro. Si suol
distinguere in formale e materiale: quella è il più che risulta dal paragone di
un concetto meno astratto con un altro più astratto, questa il più che risulta
dal paragone di due quantità. Gili scolastici distinguovano ancora la difietonza
in: oostitutica, che è quella onde un dato genero si costituisco; dibisiva,
quella per la quale un genere si divide; communis, la semplice differenza di
luogo ο di tempo, per cui una cosa differisce da sò ο dalle altre; propria, 1’
ncoidente inseparabile dal soggetto, per il quale differisce dal resto;
propriissima o maxime propria, quella per la quale un essore è essenzialmente
distinto dagli altri. 11 metodo della
differenza è uno dei quattro metodi di riceren induttiva sugxeriti dal Mill.
Esso consiste nel paragonaro i casi in cui un fenomeno avviene con altri,
simili nel resto, in cui quello non avviene, e si fonda su questo canone
logico: se un caso nel quale il fenomeno da osaminarsi s' avvera e un caso in
coi il medesimo non si verifica, hanno comuni tutte le circostanze ad eccezione
d’una sola € questa s’ incontra soltanto nel primo caso, questa circostanza per
In quale soltanto i due casi differiscono è l'effetto o la causa ο una parte
nocessaria della cansa del fenomeno. Eeso riposa sul principio, che tutto che
non può essere eliminato è collegato al fenomeno 1 rapporto di enusalità, ed è
molto utile quando con l'esperimento si può riprodurre, modificondola, una
serie di fenonieni. Così, nelle esperienze fisiologiche, il taglio della fibra
essendo seguito dall’ assenza della sensazione nonostante In presenza dello
stimolo, prova che la continuità della fibra è parte essenziale della causa
della scnsazione. Ma quando la produzione e la soppressione della causa non è
in nostro potere, o quando la soppressione della cansa trae con sò
necessariamente il subentrare d’una causa nuova, al metodo di differenza si
deve sostituire quello di concordanza, o quello di concordanza e differenza
riunite. Dicesi differenza specifica
quell’ insieme di qualità per cui una specie ai distingue da un’ altra, appartenente
allo stesso genere. Essa perciò riguarda la connotazione delle idee: ciò che
alla connotazione del genere si deve aggiungere per avere la specie,
costituisce la differenza specifica. Nell’ idea di uomo, che è connotata dall’
idea di animale (genere), la differenza specifica à data dalle qualità di
ragionevole, a posizione eretta, ecc. Cfr. Stuart Mill, System of logic, 1865,
III, cap. 8; Masci, Logica, 1899, p. 284 segg. Differenza personale v.
equazione personale. Differensiamento. T. Diferenzierung; I. Differentiation;
F. Différenciation. Una delle leggi che reggono I evoluzione stories del mondo
organico. Essa esprime tanto la tendenza comune a tutti gli esseri del mondo
organico di avolgersi differentemente in grado sempre più elevato, e di
ullontanarsi perciò dal tipo comune primitivo, quanto il risultato di tale operazione.
Il differenziamento è tanto fisiologico, ossia divisione di lavoro, quanto
morfologico, ossia divisione di forma. Secondo il Darwin tale tendenza ha la
sua causa nella lotta per In vita. Cfr. Spencer, Firat principlos, 1884, cap.
XV. Dilemma (31ç due volte, λήµµαproposizione). T. Dilemma; I. Dilemma ; F.
Dilemme. Forma di argomentazione, che consiste nel porre l'avversario tra due
alternative dalle quali si cava una conelnaiono medesima e contraria all'avDim 304 versario stesso, che per ciò non ha più via d’
uscita. Dicesi anche argomento cornuto, e le due proposizioni corna del
dilemma; se invece di duo le proposizioni sono tre si ha il trilemma, se
quattro il quadrilemma, ecc. Ha due forme fondamentali: nella prima, detta modo
ponente ο dilemma di costruzione, la premessa maggiore ipotetico-congiuntiva
stabilisce una conseguenza unica per tutti i casi possibili dell’ ipotesi, la
minore mostra che non sono possibili altri casi fuori di quelli considerati, la
illazione afferma la necessità della conseguenza ; nella seconda, detta modo
tollente ο dilemma di distruzione, la maggiore è ipotetico-diegiuntiva ο
determina tutte le conseguenze possiLili dell ipotesi, la minore è remotiva e
mostro che nessuna di esse è possibile, la conclusione nega quindi la validità
dell’ ipotesi. Schema della prima: tanto se è «4, quanto se è Bo C.... à M; ma
à 4 0 Bo C; dunque à M. Schema della seconda: se M è, d0 4 0 BoC; ma non è A,
nè B, nè C; dunque non è M. Perchè il dilemma sia valido occorre che la
disgiunzione sia completa e siano considerati tutti i casi possibili; ο che il
rapporto di condizione a condizionato sia vero © necessario, cosicchè la conclusione
non si possa ritorcere. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1885, I, 110: Masci,
Logica, 1899, p. 266 segg. Dimaris o Dimatis. Termine di convenzione mnemonica,
con cni nella logica formale si designa quel modo della quarta figura del
sillogismo, nel quale la maggiore © la conclusione sono proposizioni
particolari affermative, la minore universale affermativa. Es. Qualche azione
virtuosa resta senza premio. Tutte le
azioni virtuose sono lodevoli. Dunque
qualche cosa che è lodovole rimane senza premio. Si riconduce al modo Dari
della prima figura mediante la trasposizione delle premesse e la conversione
semplice della conclusione. Dimensione. T. Dimension: I. Dimension; F. Dimension.
Nella geometria designa nna grandezza renlo che, si 305 i
Dim-Dix sola sia con altre, determina la grandezza d’una figura misurabile.
Nell’ aritmetiea generale designa un numero reale, che è uno degli elementi
costitutivi d'un numero complesso. Dimostrazione. ‘I. Demonstration, Boweis ;
I. Demonatration: F. Démonstration. 11 ragionamento mediante il quale si
verifica quali conseguenze dipendono da certe premesse, © da premesse vere si
deduce la verità di una conclusione : le premesse diconsi argomenti, la verità
da dimostrarsi tesi 0 teorema. A seconda del modo di derivazione può essere
diretta ο indiretta : nel primo caso la derivasione è dai principi e dalle
cause reali, nel secondo dalla impossibilità del contradditorio. La diretta pnd
essere deduttiva, induttiva, entimematica, analogica ; la indiretta può avere
la forms contradditoria e la disgiuntiva. La indiretta dicesi anche apagogioa ©
riduzione all’ assurdo. Si dice dimostrazione ad hominem quell’ artifizio della
discussione per cui si parte da un principio, non in quanto sia vero in sè, ma
in quanto è ritenuto vero dall’ avversario, cosicchè questo è costretto ad
accettaro la tesi se non vnol cadere in contraddizione con sè stesso. Cfr.
Lotze, Logik, 33 od. 1881, p. 271; Rosmini, Logica, 1853, $ 539 segg. (v. demonatratio,
entimema, analogia, apagogia, prora). Dinamica. T. Dynamik; I. Dynamics; F.
Dynamique. Quella parte della meccanica razionale che studia la composisione
dei moti a cui danno luogo le forze motri l’altra parte è la sfatioa, che
stadia invece la composizione delle forze (indipendentemente dai moti che sono
capaci di produrre) considerate come grandezze e riferite ad una unità di
misura della medesima specie. La dinamica si distingue alla sua volta in
cinetica, che studia la composizione dei moti relativamente alla traiettoria,
che essi determinano nello spazio, ed in energetica, che studia la composizione
dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre lavoro.
Metaforicamente 1’ }ler20 RanzoLI,
Dirion. di scienze filosofiche. Dix . 306 bart chiama dinamica degli stati di coscienza
il loro rapporto allo stato di trasformazione © di movimento, © il Comte
dinamica sociale il progresso delle società umsne. Dinamismo. T. Dynamismus; I.
Dynamism; F. Dynamisme. Ogni sistema filosofico che pone come sola realtà le la
forza, riducendo la materia a un semplice centro inesteso di forza, © spiegando
la diversità ο l’ armonia del mondo mediante le leggi della forza. Si oppone al
meccanismo, che pone come distinti l'essere e In forza,, considerando il primo
come passivo rispetto alla seconda, la quale agisce su di esso dal di fuori; il
meccanismo riduco quindi tutti i fenomeni naturali al movimento della materia
ponderabile ed eterea. È nn dinamismo il sistema del Leibnitz, che considera |’
estensione come una pura astrazione ο riduce la materia alla monade, forza
semplice, originaria, differenziata in sò stessa, considerando pure l’anima
come una monade o una forza. Una moderna forma del dinamismo è 1’ energismo
(Ostwald) che considera l’energin come una vora e propria sostanza, come |’
unica resltà, © si distingue dal dinamismo perchè al concetto antropologico di
forza sostituisce quello scientifico di energia, e dal meccanismo perchè nega
la realtà della materia e la riduce all'energia. Cfr. W. Ostwald, Chemische
energie, 1893 ; Die Überwindung d. wissenschaft. Materialiemue, 1895 (v. attiviemo,
attualismo, mobilismo, meccanismo). Dinamogenesi. T. Dynamogenetisch ; I.
Dynamogenetio ; Dynamogène. Generazione della forza. Deve intendersi senso
relativo, cioò il passaggio dell’ energia dallo stato potenziale allo stato
attuale; unn generazione di forza dal nulla contrasterebbe col principio della
conservazione delVonergia. Nella
psicologia dicesi logge della dinamogenesi, quella per cui ogni stato di
coscienza tende a continuarsi in un movimento. Questa legge costituisce il
fondamento dello moderno dottrine fisio-psicologiche sulla volontà, la quale si
considera come il risultato di due forze antagoDix-Dro nistiche; un movimento è
eccitato ο inibito per l'azione dinamogenetica del piacere ο inibitoria dol
dolore, secondo comporta l’esperienza per la quale l’individuo distinguo il
danno dall’ntile. Cfr. Ardigd, Opere fil., V, p. 503 segg.; VI, 213 sogg. (v.
ideeforze). Dinamometro. Strumento destinato a misurare le forze, 6 quindi il
lavoro che producono. Si conoscono varie specie di dinamometri, che si fondano
però tutti sullo stesso principio. La parte essenziale di essi è costituita da
una molla di cui si può notare la flessione; ogni forza che, applicata allo
strumento,. produce la stessa flessiono di un peso di n chilogrammi è detta una
forza di » chilogrammi. Applicando all’ apparecchio stesso un grafografo, si ha
il dinamografo, il quale traccia schematicamente il gra di forza © di tonicità
muscolare e indica il grado di perfezione del senso muscolare. Cfr. Année psyohologique,
1899, p. 337 segg. Dio. T. Gott; I. God; F. Dieu. La natura di Dio, la sua esistenza, i suoi rapporti col
mondo, i suoi attributi, farono e sono concepiti in modi infinitamente diversi
nelle varie religioni e nei sistemi filosofici. Quasi tutti, è vero, lo
considerano come 1’ Ente supremo, del quale è impossibile pensare il maggiore ;
ma quest’ Ente pnd essere concepito come creatore del mondo (creazioniemo,
emanatismo) © come un semplice ordinatore della materia, osistente ab eterno
come lui, © per il cui ordinamento si vale d’un intermediario (demiurgo); può
essere concepito come immanente al mondo, con la cui sostanza è identificato
(panteiemo), e come trascendente il mondo, du cui è sostanzialmente distinto;
si può negargli ogni azione sul mondo e sull’ uomo (deismo, epioureismo), 9 si
può farne un'entità personale, intelligente, che interviene incessantemente
negli avvenimenti naturali ed umani (teismo, proveidenca) ; si può credero in
una divinità unica e soln (monoteismo), o in vu’ unien divinità in tre persone
(triploteismo, mistero della trinità), o in dno divinità di cui una rappresenta
il prinDio 308 cipia del bene, l’altra quello del male
(dualismo, manioheiemo) ο in più divinità fornite di diversi attributi ο gerarchicamente
disposte (politeiemo); si può oredere che la sua esistenza non abbia alcun
bisogno di essere in alcun modo provata, in quanto I’ intuizione di Dio è
conereata alla nature intelligente, così da essere il fondamento e Pinisio di
ogni altra cognizione (ontologismo), ο si può soatenere I’ incapacità della
ragione umana a dimostrare tale verità, che essa deve ricevere dalla
rivelazione ὁ dalla tradizione che la trasmette (rivelacioniemo,
tradisionalismo), ο si può invece dimostrarne l’esistenza sia con argomenti a
priori (ontologico, ideologico, morale) sia con argomenti a posteriori
(metafisico, teleologico ο cosmologico). Quanto al modo come Dio fu concepito
dai principali filosofi, per Socrate esso è uno, immenso, eterno, presente nel
mondo come l’ anima è presente nel corpo: esso vede nello stesso tempo tutte le
cose, comprende tutto, è presente ovunque e voglia sopra ogni cosa ». Per
Platone è l’idea del Bene, l’iden più elevata a cui tutte le altre αἱ
subordinano come mezzo © quindi la causa finale di ogni accadere. Per Aristotele
è il primo motore immobile, la forma più alta © il fine più alto, che muove
ogni cosa non per impulso meccanico ma per 1’ irresistibile attrattiva della
sua bellezza; esso è una attività che risiede puramente in sò stessa, ossia il
pensiero puro, che non richiede niente altro come oggetto ma che ha sè stesso
per contenuto sempre uguale, dunque il pensiero del pensiero; con ciò
Aristotele pone lo basi del monoteismo spiritualistico, giacchè Dio è posto
come Essore antocosciente distinto dal mondo e come I’ elemento immateriale.
Per gli stoici è la forza originaria universale, in cui sono contenute
parimente la causalità e la finalità di tutte lo cose e di tutto I’ accadere;
come forza proAuttrice © formatrice Dio è la ragione seminale, il principio
della vita cho si svolge nella molteplicità dei fenomeni, e in questa funzione
organica Dio è anche In ragione cho 309 Div crea e guida secondo uno scopo e quindi,
rispetto a tutti i processi particolari, è la provvidenza sovrana. Nel neoplatonismo
è 1’ essere primitivo assolutamente trascendente, l’unità perfetta snperiore
anche allo spirito, intinito, incomprensibile, inesprimibile. Per S. Agostino è
1’ unità assoluta, la verità che tutto abbraccia, 1’ Essere supremo, la suprema
bellezza, il supremo bene: Prendete questo ο quel bene particolare, 9 vedete lo
stesso Bene se potete; così voi vedrete Dio, che non è buono per un altro bene,
ma che è il Bene di tutto cid che è buono ». Per Scoto Erigena è l'essenza
sostanziale di tutte le cose, i quanto possiede in sò stesso le vere condizioni
dell’ essere: Nulla di ciò che è, è veramente in sò stesso; Dio solo, che solo
è veramento in sè stesso, dividendosi in tutte le cose, comunica ad esse tutto
ciò che in esse risponde alla vera nozione dell’ essere ». Per Nicolò Cusano è
I unità di tutti gli opposti, la coincidentia oppositorum, 1’ aseoluta realtà
in cui le possibilità sono realiszate come tali, mentro ognuno dei molti finiti
è solamente possibile in sè, ο reale solamente per lui; in ognuna delle sue
manifestazioni il Deus implicitus unico è insieme il Deus explicitus diffuso
nella molteplicità, il finito ο l’infinito, il massimo e il minimo. Per Boehme
è il primo principio e la causa del mondo, il quale non è che l’essenzialità di
Dio stesso fatta creatura; ugualmente per Giordano Bruno, Dio è la causa
formale, efficiente ο finale dell’ universo, l'artista che agisce senza
interazione e trasforma il suo interno in vita rigogliosa. Per Cartesio è 1’
ens perfeotisnimum, 1’ essere i finito che lo spirito umuno comprende con
certezza intu tiva nel suo proprio essere imperfetto ο finito. Por Spinoza è
l'essenza universale delle cose finite, 1’ ens realissimum che consta di
infiniti attributi, ma che non esiste se non nelle cose, come loro essenza
generale, e nel quale tutte le cose esistono, come modi della sua realtà. Per
Malebranche Dio è il ἔκορο degli spiriti, come lo spazio è il Inogo Dir 310 dei
corpi ; ogni conoscenza umana à una partecipazione alla ragione infinita, tutte
le idee delle cose finite non sono che determinazioni dell’ iden di Dio, tutti
i desideri rivolti all’individusle non sono che partecipazioni all’ amore di
Dio come principio dell’ essere e della vita. Per Leibnitz è lu monade
centrale, la monde suprema nella serie ininterrotta che va dalle più semplici
fino agli spiriti, e che pere rappresenta 1’ universo in tutta la chiarezza e
la distinzione. Per Fichte è I’ Io universale assolutamente libero,
l'ordinamento morale del mondo; per Scheiermacher è l'identità del pensiero con
Vessere, che, in quanto tale, non può ossere oggetto nè della ragione teoretica
nd della ragione pratica, ma che tuttavia costituisce lo scopo ussoluto del
pensiero ; per Schelling è la ragione assoluta 0 l'indifferenza di natura e di
spirito, di oggetto e soggetto, perchè il principio più alto non può essere
determinato nè realmente nd idealmente e in esso debbono cessare tutti i
contrasti; per Hegel è lo spirito ussoluto, 1’ Idea, delle oui determinazioni
il mondo è uno svolgimento. Cfr. 8. Reinach, Der Ursprung des Gottesidee, 1912;
Allen, Grant, Theevolution of the idea of God, 1897; F. B. Jevons, L'idea di
Dio nelle religioni primitive, trad. it. 1914; Windelband, Storia della
filosofia, trad. it. 1913, passim (v. assoluto, ateismo, agnosticismo,
creazione, essere, fede, fideismo, panteismo, teismo, ecc.). Diplopia. T.
Doppelsehen ; I. Diplopia; F. Diplopie. Anomalia della visione, che consiste
nel vedero gli oggetti doppi. Ciò deriva dal mancato parallelismo degli assi visuali,
per cui l’iminagine dei due oggetti, che si produce sul centro della macchia
gialla, non è quella di uno stesso punto dell'oggetto. Dicesi unche ἀΠίοροία.
Dicesi diplopia monoculare la visione doppia degli oggetti con un solo occhio
in determinate condizioni ; secondo G. Miiller essa dipende dai diversi campi
di fibre di cui si compone ciascuno strato del cristallino; secondo Brücke
dalla aberrazione di 311 Dir sfericità dello superfici dell’
apparecchio diottrico ; secondo Verhöff dalla aberrazione stessa associata a un
certo grado di astigmatismo, Cfr. Helmholtz, Handbuch d. physiol. Optik, 2° ed.
1886-96 ; Techering, Optique physiologique, 1898. Diritto. T. Recht; I. Right;
F. Droit. In generale è tutto ciò che è permesso, sis moralmente, sia dalle
leggi scritte ο dai regolamenti riguardanti gli atti considerati, virtà di una
espressa dichiarazione o anche del principio che ciò che non è proibito è
permesso. Già l’Alighieri lo definì come realie ot personalis hominis ad hominem
proportio, quae servata hominum sorvat socictatem, et corrupta corrumpit.
Positivamente αἱ può definire come quelY insieme di norme irrefragabilmente
obbligatorie, le quali, munite di sanzione e fatte valere dall’ autorità dello
Stato, regolano le azioni degli individui e dei gruppi sociali, allo scopo di
assicurare il rispetto, la retribuzione, il soccorso reciproco e la
subordinazione delle persone nei rapporti più importanti della vita sociale;
più brevemente, il diritto è una facoltà o pretesa cut la legge ο la
consuetudine assicurano un carattere ooattivo, per il caso che venga disconosciuta.
Il diritto presuppone il dovere e viceversa: ad ogni dovere in una persona
corrisponde un diritto, il diritto necessario per il compimento di questo
dovere. Carattere essenziale di entrambi è che implichino la responsabilità.
Dicesi diritto naturale quello assolutamente intrinseco alla natura umana, e
che quindi non può esser tolto in nessun modo; diritto positivo quello che
risulta da una convenzione e non esiste se non in forza di questa. Per diritto
naturale s'intende anche il diritto virtuale, e por diritto positivo quello
riconosciuto fissato e garantito. Il problema del diritto naturale sorge con la
sofistica greca, quando 1’ esperienza della vita pubblica e la conoscenza delle
differenti legislazioni dei diversi popoli, spinse u ricercare se esiste
qualche cosa di valido sempre ὁ dovunque; © poichè i filosofi anteriori avevano
chiamato natura, Dir 312 φὺσις, l'essenza delle cose eternamente uguale
sotto tutti i cangiamenti, così si argu) che da questa. natara sia determinata
anche una legge superiore ad ogni cangiamento © differenza, ben distinta dai
precetti fondati per convenzione umana © validi solo temporaneamente © in un ambito
ristretto. Nel diritto romano questa legge naturale è poi definita quod natura
omnia animalia doouit, e il diritto delle genti quod naturalie ratio inter
omnes homines constiinit. Per 8. Tommaso il principio fondamentale del diritto
naturale è il bisogno della socialità, essendo l’uomo maturaliter animal
sociale; lo stesso principio vale, più tardi, anche per il Grozio, che fa
consistere il jus mafurale in ciò che la ragione conosce come in un armonia con
la natura socievole dell’uomo e che quindi è deducibile da essa. Per Hobbes il
diritto naturale è la libertà che cisseuno possiede di adoperare ad arbitrio la
propria potenza per la conservazione della propria natura, e quindi di faro
tutto quelle cose, che sembrano condurre a tale scopo : Nello stato di natura è
permesso di fare a ciascuno ciò che @ lui piace; nulla di ciò che l’uomo può
fare è in sè stesso ingiusto ; 4ο una persona danneggia un’altra, non esistendo
tra esse alcun patto, si potrà dire che quella fa torto a questa, ma non che le
faccia un’ ingiustizia ». Analogamente, per Spinoza il diritto naturale è In
stessa potenza della natura: Ezistit unuaguisque summo naturae jure, et
consequenter summo naturae iure unuaquisque oa agit, quae ex suae naturae
necessitate sequuniur; atque adeo summo naturae iure unusquisque iudicat, quid
bonum, quid malum sit, suacque utilitate ex suo ingenio consulit, seseque
vindioat, et id, quod amat conservare, et id, quod odio habet, destruero
conatur. Per Locke il diritto è una potenza morale; il diritto naturale ha tre
gradazioni : ins strictum, che si esprime col comando neminem ledere; probitas
ο equità, col comando suum ouiquo tribuere; pistas col comando honeste vitere.
Per Kant e per Fichte il principio del diritto naturale è 313 Dir
la reciproca limitazione delle sfero di libertà nella vita esteriore degli
individui, cosicchè, per usare lo parole di Fichte io debbo riconoscere in ogni
caso fuori di me l'essere libero come tale, debbo cioè limitare la libertà mia
mediante il concetto della possibilità della libertà sua ». L’Herbart fonda il
diritto sopra l’iden pratica della disapprovazione che consegue alla
perturbazione dei rapporti armonici tra la propria volontà e l’altrai; il
diritto è perciò l’ unanimità di più voleri, pensato come regola che evita i
conflitti ». Per il Wundt il diritto, al pari del linguaggio, del mito e del
costume, coi quali da principio è strettamente connesso, non è il risultato di
un accordo arbitrario, ma un prodotto naturale della coscienza, che lia la sus
fonte perenne nei sentimenti © nelle tendenze suscitato dalla convivenza degli
uomini »; esso si sviluppa in tro stadi auccessivi, dei quali il primo è quello
delle intuizioni giuridiche naturali, il secondo della codificazione, il terzo
della sistematizzazione dei diritti. Secondo l’Ardigò il diritto naturale è la
stessa giustizia potenziale astratta, da cui deriva la giustizia legale, è lo
stesso ideale del diritto, solo imperfettamente realizzato nelle singole
formazioni storiche della società; il diritto naturale corrisponde quindi alle
idealità sociali universe, ossia tanto avverate già nella coscienza umana,
quanto a quello che potranno avverarsi in sèguito. Da ciò deriva: 1° che il
diritto positivo è determinato ο giustificato dal natnrale ; 2° che il diritto
naturale è imperscrivibile ed ba un valore truscendente assoluto,
corrispondendo al ralore trascendente axsoluto della natura di cui è il
prodotto; 3° che il diritto naturale è universale al pari della natura umano,
con In quale si svolge parallelamente ; 4° che il diritto naturalo è infinito,
essendo una potenzialità inesauribile nella serie e nelle forme dei suoi
svolgimenti. Esistono varie specie di
diritti: quello pubblico, che è il diritto garantito dalla minsecia d’ una pena
ο ogni sna infrazione è colpita di314 rettamente dal Potere; quello privato,
per il quale il Potere non ha azione diretta, ma che è interesse stesso dei
cittadini osservare e fare osservare; quello costituzionale, che determina la
forma politica dello Stato e i rapporti giuridici tra i governanti ο i
governati per l'esercizio della sovranità; quello ecclesiastico, che regola
materie riguardanti la Chiesa; quello internazionale 0 diritto delle genti, che
può essere pubblico o privato, a seconda che regola i rapporti tra i vari
Stati, o tra i cittadini di uno Stato estero © lo Stato nel quale essi
dimorano. Cfr. Puffendorf, De jure nature et gentium, 1672; Lasson, Syst. d.
Rechtsphilosophie, 1882; B. Brugi, Introd. enciclopedica alle scienze giuridi.
che, 1907, p. 66-194; Ardigò, Opere fil., vol. III, p. 181-257 ; vol. IV, 173
segg.; G. Delveochio, I! concetto del diritto, 2° ed. 1912. Disamis. Termine di
convenzione mnemonica, con cui nella logica formale si designa quel modo della
terza figura del sillogismo, nel quale la maggiore e la conelusione sono
proposizioni particolari affermative, la minore universale affermativa. Es.
Qualche fibra nervosa trasmette delle onde centrifughe. Tutte le fibre nervose
provengono dalle cellule. Dunque qualche cosa che deriva dalle cellule
trasmotto delle onde centrifughe. Corrisponde all’ioéxig dei logici greci, e
può essere ricondotto al Dari della prima figura mediante la trasposizione
delle premesse e la conversione semplice della maggiore e della conclusione.
Disattensione. T. Unachtsamkeit ; I. Inattention; F. Inattention. È un
complemento necessario dell’uttenzione alla quale non possono pervenire tutti
gli stimoli. Si suole distinguere la disattenzione primitira, che è la semplice
assenza d'attenzione, e la secondaria. che è determinata dall’ essere
l’attenzione concentrata sn un oggetto, ed à tanto più forte quanto più intensa
è la concentrazione dell’attenzione. Quando la disattenzione diviene
persistente © si presenta come effetto di esaurimento nervoso assume 315 Dis
carattere patologico e dicesi aprovessi 0 aprosechia; in essa I’ attonzione non
può mantenersi anche per poco, e, se forzata volontariamente, determina nel
soggetto capogiri, cefaleo, vomiti, ecc. Nei casi di demenza, come nell’idiotismo,
imbecillità, ebefrenia, ece., l’attenzione è totalmente soppressa. Cfr. Ziehen, Leitfaden der
physiol. Paychologie, 2% ed. 1893, p. 166 seg.; Ribot, Prychologie de l'attention,
1889. Discorsivo. T. Discursir; I.
Disoursive; F. Disoursif. Si oppone a fntuitivo, per designare In conoscenza o
il ragionamento mediato, mentre la conoscenza intuitiva è quella che avviene
per un atto immediato, subitaneo, di cui il processo sfugge. Nel ragionamento
discorsivo, il pensiero passa dal principio alla conseguenza, dalle premesse
alla conolusione; nel ragionamento intuitivo, invece, il pensiero non formula
alcuna dimostrazione, © la conclusione appare immediatamente nella sua
evidenza. Gli scolastici avevano già distinto queste due forme di procedimento
mentale; essi chiamavano cognitio disoursira, paragonandola ad un movimento,
quella che trascorre da idee note a idee meno note; cognitio intuilira sia
quella fatta per la specie propria, ossia per l’imagine propria dell'oggetto
stesso, sia quella riferenteni all’ oggetto realmente presente; così è
intuitica la cognizione del sole mentre lo vediamo, e quella che i beati banno
di Dio. Cfr. Cr. Wolf, Philosofia rationalis, 1732, § 51; Wundt, Logik, 1898,
vol. I, pag. 139. Discreto. T. Diskret; I. Discrete; F. Discret. Latinismo che
significa diviso, separato, e αἱ applica tanto allo spazio come alla quantità
dei numeri; in questo caso ha il valore di discontinuo. Dal punto di vista
filosofico, una grandezza è discontinua se è composta di elementi dati, mediante
i quali essa è costruita nel pensiero. Nella logien diconsi discretire quelle
proposizioni composte ed esplicite, appartenenti al tipo delle congiuntire, che
esprimono una Dis 316 distinzione avversativa; ad es. non è nuvolo
ma sereno. Diconsi anche avversative. Cfr. Logique de Port-Royal, ed. Charles,
II, 9 (v. continuo, numero, quantità). Discriminazione. T. Unterscheidung; I.
Disorimination; F.' Discrimination. Termine d’origine inglese, che indica V
atto con cni si distinguono l’uno dall’ altro due oggetti del pensiero
concreto. Si adopera specialmente nella psicologia per significare il
differente grado di intennità avvertito in due momenti di una medesima
sensazione. Per mezzo di opportuni esperimenti, la psicologia fisiologica cerca
appunto di determinare quali sieno le più piccole differenze percepibili di
sapore, di temperatura, di peso, d’ intensità luminosa, di altezza o intensità
di suono. Secondo il Bain, la discriminazione è una proprietà delle sensuzioni
muscolari, per mezzo della quale ha origine la coscienza. Essendo la coscienza
unità e differenza insieme, noi mancheremmo delle sue condizioni se avessimo
una sensazione sola o due sensazioni con un intervallo in mezzo. Cir. Bain, The senses and the
intellect, 1890; Wundt, Grundzüge d. physiol. Psychologie, 1893, I, p. 348.
Discromatopsia. T. Dyschromatopsie; I. Dyschromatopsia; F. Dyschromatopsis. Acromatopsia parziale, 0 cecità per alcuni
colori (specie il rosso, il verde ο il violetto) mentre gli altri sono
normalmente percepiti. La forma più comune della diseromatopsia è il
daltonismo, o cecità per il color rosso (v. cromatiche). Disgiunzione. T.
Disjunction ; I. Disjunction ; F. Disjonction. Carattere d’ una alternativa i
cui termini si eseludono reciprocamente. Il giudizio disgiuntivo è una forma
dei giudizi di reciproca dipendenza; la sun formola è: 4 è Bo Co D; oppure,
nella forma negativa: 4 non è nv B, nè €, nd D, Per essere valido, è necessario
che non vi siano altro possibilità oltre quelle espresse nella disgiunzione, ο,
in altre parole, che l'enumerazione disgiuntiva sia completa; e che le parti
disgiunte si escludano, cioè siano 817 Dis coordinate e non subordinate. I sillogismi
disgiuntivi sono quelli nei quali la maggiore è una proposizione disgiuntiva ;
se è categorico-dingiuntiva (A è ο Bo Co D) il sillogismo ‘esi
oategorico-diagiuntivo; ne In maggiore è ipotetico diegiuntiva (se A è ΗΒ, oC è
D, 0 E è F) dicesi ipoteticodisgivntivo. Regola comune a tutte le forme dei
sillogiemi disgiuntivi è che se la minore nega tutti i membri disgiunti della
maggiore, la conclusione nega l’antecedente della maggiore. Il dilemma non è
che un sillogismo disgiuntivo, in cui la minore negando tutti i dne membri
disgiunti della maggiore, la conelusione nega il soggetto della maggiore. Cfr.
Wandt, Logik, 1898, vol. I, p. 154 segg.; Rosmini, Logioa, 1858, $ 445 (v.
remotiro). Disgrafia. T. Dyegraphie; I. Dyographia; F. Dyagraphte. Una delle
forme dell’ amnesia verbale, che si vorifien nella demenza, nell’ alcolismo,
nella paralisi. 1’ ammalate non è più capace di tracciare che una serie di
lineo incerte ed inintelligibili, oppure la sua scrittura vien nasumendo una
forma elementare, inzaccherata da continui agorbi, come nei bambini. Dicesi
disgrafia emozionale quella che non dipende da alterazioni centrali, ma da
sentimenti, come timore, soggezione, ecc., ed è transitoria al pari di questi. Cfr. Séglas, Les troubles
du langage, 1892; Lombroso, Grafologia, 1895, p. 111 segg. (v. agrafia). Dismnesia. T. Dysmnesie: I.
Dysmnesia ; F. Dyemnesic. Anomalia dolla memoria che consisto nell’ abolizione
di particolari categorie di ricordi, come i nomi propri, i segni, i numeri, le
figure e così via via. Nella paralisi progressiva essa si verifica sempre,
attuandosi secondo le leggi psicologiche illustrate dal Ribot: 1° i ricordi più
recenti scompaiono prima degli antichi; 2° i ricordi più complicati si
disgregano prima dei più semplici, e quindi gli astratti prima dei concreti; 3°
le ideo scompaiono prima dei sentimenti; 4° i ricordi che più resistono sono
quolli organizzati fin dalle primo fasi dello aviluppo mentale. Dis Cfr. Sollior, Les
troubles de la memoire, 1894; Ribot, Les maladies de la memoire, 9* ed. 1904. Disparato. Lat. Disparatus; T. Disparat; F.
Disparate. Nella logica diconsi disparati due tormini, fra i quali non esiste
alcuna relazione. Però la disparatezza non si'può mai dire assoluta, potendosi
sempre trovare un qualche rispetto, sotto il quale i due concetti cessano di
essere tra loro disparati. Per Boezio i termini disparati sono quelli diversi
ma non contrari. Per Leibnitz due concetti sono disparati quando nessuno dei
due contiene 1’ altro, quando cioè non sono nella relazione di genero a specio.
Cfr. Prantl, Gesohichte à. Logik, 1855, t. 1, 686; Leibnitz, Inédita, ed. Conturat,
p. 53 ο 62. Dissociazione. T. Dissoziation ; I. Dissociation; F. Dissociation.
Alcuni psicologi distinguono dissociazione da astrazione; la prima consiste
nell’ analizzare o separare gli elementi che compongono la percezione o la
rappresentazione senza alterarne il valore; la seconda invece nel ricavare
dagli elementi stessi una nozione generale, che non può più essere un oggetto
di percezione o di rappresentazione. Si suole anche opporla alla associazione
per designare l’operazione negativa e preparatoria della immaginazione creatrice,
mentre l’ associazione è l'operazione positiva e costruttiva. La dissociazione
trovasi già in germe nella sensazione 6 nella percezione, come prova il fatto,
dimostrato dell’ Helmholtz, che nell’ atto della visione molti particolari non
vengono perccpiti, essendo indifferenti ai bisogni della vita; ma nell’immagine
tale lavoro si intensifica, ed è soltanto dopo un’ opera incessante stinzioni,
soppressioni e corrosioni, che gli elementi dissociati di un tutto possono
entrare in molte combinazioni a alla dissociazione succede l'associazione. 11
Renda distingue tre forme principali di dissociazione: la d. conoscitira, cho,
smussando le imagini, decomponendo l’integralità dello serio rappresentative,
permette che la reviviscenza 319 Dis degli stati passati sia, in parte, una
nuova creazione, e che sintesi novelle rinnovino incessantemente il contenuto
dello spirito, elevandolo dall’angusta percezione dell’individuo alle idee
astratte; la d. effettiva, che, rompendo ‘ l'equilibrio dei sentimenti, pone
alla nostra attività nuovi valori ed imprime ad essa nuove direzioni; la d.
conatira, che, agendo sulle coordinazioni motorie, dovute ad annociazioni
anatomo-fisiologiche tra centri del sistema neuromotorio e centri del sistema
neurosensorio, permette nuovi adattamenti e nuovo serie sinergiche. Nella
psicologia patologica dicesi dissociazione il disgregarsi degli elementi della
personalità unitaria, per cui la coscienza si soinde in due coscienze separate,
che coesistono o si succedono alternativamente. L’ espressione è usata
specialmente da quei psicologi e psichiatri che considerano la nostra attività
psichica complessiva come risultante dalla continua collaborazione coordinata
del cosciente col subcosciente, dell’ io supraliminale con l'io subliminale; in
tal caso gli edoppiamenti della personalità risulterebbero dalla dissociazione
ubnorme dei processi psico-fisici coscienti dai subcoscienti, ο
dall’esaltamento funzionale di questi ultimi, in modo da costituire un nuovo
centro psichico cosciente, vale a dire una nuova personalità distinta. Altri
psicologi, fondandosi sopra la dottrina segmentale, considerano la
dissociazione della personalità come primitiva e propria di tutti gli nomini
anche in condizioni normali; essa si rivelerebbe nel dissenso che talvolta si
produce in noi tra l’io cosciente che ragiona e il subcosciente che si esprime
in forma di vaghi sentimenti, nelle ineguaglianze di carattere e di condotta
proprie specialmente dei giovani, nel fatto, illustrato da W.James, del senso
di presenza che continuamente avvertono le persone dotate di sentimento mistico
religioso. Cfr. Boris Sidis, Studies in mental dissociation, 1902 ; Myere, The
human personality, 1902; Morton Princo, The dissociation of a personality,
1906; J. Sully, Les illusione der senses Dis 320 et de l'esprit, 1889; W. James, Prinoipî
di psicologia, trad. it. 1901; A. Renda, La dissociazione peicologioa, 1905.
Distanza (percezione o giudizio di). T. Abatand: I. Distance; F. Distance.
Secondo la dottrina nativista, le nostre sensazioni ci fanno apparire fin dal
principio l'oggetto © della percezione sensibile come situato ad una certa distanza.
Secondo la dottrina genetica ο empirica, primitivamente enunciata dal Berkeley,
la percezione della distanza deriva da un'associazione che si stabilisce tra le
sensazioni e le rappresentazioni della vista, del tatto e del senso
cinestetico, associazione cho diviene poi abituale e indissolubile. Ciò è
provato dal fatto che 1’ apprezzamento della distanza rimane imperfetto nel
bambino fino al secondo o terzo anno, e che i ciechi nati, sppena operati, non
sono assolutamente capaci di apprezzarla. In codesta valutazione la base è nel
senso tattile e nelle sensazioni muscolari che vi si accompagnano: la distanza
è data per noi dalla serio più o meno grande di sensazioni cinestetiohe che noi
proviamo quando moviamo le nostre mani ο il nostro corpo intero verso un
oggetto. À queste poi si associano le sensazioni del movimento che gli occhi
devono fare per accomodarsi agli oggetti più ο meno lontani. Cfr. Bérkeley, Theory of
vision, 1709; W. James, Perception of space, Mind », 1887; Höffling,
Peyohologie, trad. franc, 1900, p. 254 segg. Disteleologia. T. Dysteleologie. Significa in generale
mancanza di finalità. L’ Haeckel chiama così la dottrina darwiniana degli
organi rudimentali, perchè essa, dimoatrando I’ esistenza di organi che si sono
atrofizzati perchè non compiono più alcuna funzione, prova che gli organi
stessi ‚non esistono per un fine predeterminato, ma sono creati dall’ esercizio
ο che quindi la dottrina delle cause finali (feleologia) è insussistente. Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 359 segg. Distinto. T.
Verschioden, Deutlich; I. Distinot; F. Diatinot. Intrinseenmente è distinto ciò
di eni lo spirito vedo 321 Dis nettamente tutti gli elementi costitutivi,
e in senso proprio si dico della visione ὁ delle imagini visuali. Nella terminologia
cartesiana è chiara una conoscenza che è presente e manifesta a chi la
considera con attenzione; è distinta invece la conoscenza che non contiene
nulla più di ciò che è chiaro, che è quindi precisa e differente da tutte le
altre. Peroid a chiaro si oppone osewro, a distinto confuso; unn idea è confusa
quando può essere scambiata con altre, come avviene delle idee complesso; ma
l'essere confusa non esclude che possa essere chiara, mentre non può mai essere
distinta senza essere chiara. Cfr. Descartes, Princ. phil., I, 43. Distinzione.
T. l’atersohoidung, Verschiedenheit; I. Distinction; F. Distinotion. Questo
termine ha, nella logica, vari significati. Innanzi tutto designa quella forma
di definiziono approssimativa esplicativa, che si adopera per quei concetti che
sono, per qualsivoglia ragione, propriamente indefinibili, e dei quali, quindi,
non si può far altro che distinguerli dai concetti affini. Il modo migliore
della dizione è l'opposizione coi simili, purchè il concetto negativo ο il
positivo abbiano lo stesso genere prossimo ο Puno sia determinato dalla
negazione della diferensa dell'altro, Es.: le parallele sono rette, che
giacciono sullo stesso piano e prolungate indefinitamente dai due lati, non #
incontrano mai. In senso analogo intendevano In distinzione gli scolastici, per
i quali però essa aveva un uso essenzialmente dialettico: essi infatti
chiamavano distii zione l’ operazione per cui, prima di rispondere ad un dato
argomento nel quale si era adoperata una parola in doppio senso, si distinguono
questi due sensi e si definiscono esattamente, e poi si mostra come la
conclusione, vera per un senso, non conviene per l’altro, o come è falaa per entrambi
i sensi e non sembrava vera che a motivo della confusione. Per ricordare questo
genere di risposta, gli scolastici avevano fatto questo verso: Diride, defini,
con21 Ranzoti, Dizion, di scienze
filosofiche. Dis 322 cede, negato, probato. Descartes, e prima di lui gli scolastiei,
ennmeravano due forme di distinzione: la distinzione di ragione, cioè quell’
operazione mentale per cui si considerano separatamente cose che nella realtà
sono unite ed inseparabili; la distinzione reale, che è quella che si fa
negando uns cosa di un’altra, ed esiste nelle cose stesso, indipendentemente
cioè da ogni operazione mentale; questa seconda distinzione aveva tre specie;
da oosa a coda, come da Dio all’ uomo, da modo a modo, come da bianco à nero,
da modo a cosa come da corpo a movimento. Nel sistema filosofico dell’ Ardigò la legge
della distinzione è la legge suprema di ogni formazione naturale. Tanto nella
psiche come nel cosmo, l'evoluzione formativa consiste in un passaggio
incessante da un indistinto a un distinto, che in quello era contenuto; quindi
ogni momento della fase evolutiva è un «distinto verso la precedente e un
indistinto verso la susseguente; e risalendo indietro per le diverse fasi che
si sono succedute, si trova sempre che l’ ultimo è una distinzione sul
precedente, all’ infinito. Così tutte le formazioni distinte dell’attuale
sistema solare sono ottenute mediante la distinzione da un unico indistinto
primitivo (nebulosa) donde a poco a poco emersero e nel cui seno giacevano; e
tutta la ricchezza del contenuto psichico della coscienza individuale è un
distinto operatosi a poco a poco coll’ esperienza del primitivo indistinto, con
cui s’ inizia la vita psichica di ogni individuo. Ma questi indistinti
primitivi non sono tali che relativamente; infatti la stessa nebulosa solare
apparisce formatasi da un tutto immensamente più grande, }’ universo, ed è un
distinto rispetto ad un indistinto che le sta sopra, dal quale procode: 1’
indistinto supremo dato dall’ assoluta uniformità fondamentale della materia e
della forza, che è quindi medesimezza e continuità; 1’ indistinto, in un altro
senso, della continuità dello spazio e del tempo, in quanto la mutazione della
materia implica la continnità dello spazio, e lo sviluppo della forza
rappresenta Ja con 323 Dis-Div tinuità
del tempo. Da ciò consegue che ogni cosa ο fatto, compresa la rappresentazione
psicologica, è contenuta nel continuo dello spazio e del tempo, ed è
rappresentata dal punto d’intersecazione di due linee infinite, la linea dello
spazio e la linea del tempo. Cfr. Descartes, Princ. phil.,I, 60; Goolenio,
Lezicon phil., 1613, p. 595; Ardigò, Opere fil., IT, 81 segg.; III, 437 segg.;
IV, 43 segg.; VI, 190 segg.; Espinas, La phil. expérimentale en Italie, 1880,
p. 81 segg. ; Hòffding, Philosophes contemp., trad. franc. 1908, p. 37 segg.
Distributivo. Lat. Distributéous; T. Distributin; I. Distributico; F.
Distributif. Si oppone a collettivo ed indica ciò che è comune ad una pluralità
di individui ed appartiene a ciascuno di essi, mentre collettivo indica ciò che
è comune ad un insieme determinato di individui ed è una proprietà del gruppo.
Dicesi perciò giustizia distributiva quella che riguarda i rapporti fra i
singoli cittadini di uno Stato e la distribuzione dei beni comuni da condividere,
che si debbono distribuire proporzionatamente ai meriti. Diteismo. Sistema
religioso che consiste nell’ ammettere l’esistenza di due divinità,
rappresentante I’ una il principio del bene, l'altra il principio del male,
ugnalmente primitivi ed eterni. La lotta continua tra queste due divinità, e il
prevalere dell’ una o dell’ altra, spiega I’ esistenza del bene e del male nel
mondo: Secondo l’Ardigò, il diteismo rappresenterebbe il secondo periodo dell’
evoluzione religiosa. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 73 (v.
catari, dualiemo). . Divenire. Lat. Fieri; T. Werden; I. Becoming: F. Devenir.
Si contrappone ad Essere inteso come ciò che permane immutato, e designa lu
mutazione, il cangiamento, la serie dei passaggi da uno stato all’altro. Il
problema se la realtà consista nel rimanere o nel mutarsi, nell’ Essere o nel
Divenire, fu già posto dai primi filosofi greci. Secondo Parmenide ο In senola
elentica, soltanto I’ Eanore Div 824 _ è
reale, quindi il non-Essere non è possibile, come non è possibile il diventare;
I’ Essero è unico, eterno, infinito, semplice, immutabile, indivisibile; esso è
il sostrato del cangismento, la sostanza che rimane mentre le qualità mutano.
Secondo Eraclito, invece, il reale consiste nel mutarsi, nel trasformarsi
continuamente, nel Divenire ; la permanenza dell’ Essere non è che pura
illusione; la realtà è come un fiume che sempre scorre. L’ antica disputa tra
eleati e eraclitei fu rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel © dall’ Herbart:
questi negò il Divenire in quanto credette implicasse la realtà del nulla;
quello negò l’ Essere, ponendo l’ equazione: Essere affatto indeterminato ==
non-Essero. Si prenda il divenire, dice Hegel, ciascuno può rappresentarselo.
Si accorderà che, quando lo si analizza, vi si trova la determinazione
dell'essere, come anche del suo contrario, il nulla; si accorderà infine che
queste due determinazioni si trovano riunite in una sola e medesima
rappresentazione. Il divenire è, quindi, l’unità dell’essere e del nulla». Il
divenire sarebbe soppresso se si ammettesse la verità del principio che nulla
può renire dal nulla; ma Hegel considera tale proposizione come fondata sull'identità
astratta dell'intelletto: Non sarebbe difficile provare che l’unità dell’
essere © del nulla si trova in tutti gli avvenimenti, in tutti gli ogguiti 9 in
tutti i pensieri. Bi deve dire, dell'essere e del nulla.... che non v’ha
nessuna cosa nel cielo e sulla terra che non li contenga entrambi. Quando si
parla d’una cosa reale, queste due determinazioni, essere ο nulla, vi si
tradncono mediante l'elemento positivo ο l'elemento negatiro ». Cfr. Platone,
Cratyl., 1402 A; Aristotele, Metaph., IV, 5, 1010 a, 12 segg.; Hegel, Encicl.,
§ 88 segg.; Logik, $ 88, 89 (v. cangiamento, mobilismo, essere, nulla, ente).
Divergenza (legge della). 'T. Divergenz; 1. Divergence; F. Divergence. Una
delle leggi che ai verificano nell’ evoluzione del mondo organico, per In quale
In molteplicità Div e la varietà delle
forme viventi s’ à venuta costantemento aumentando dai tempi più remoti sino al
presente. Dicesi divergenza personale quella che intercede tra gli organismi ©
conduce alla formazione di nuove apecie ; essa ha origine dalla divergensa dei
tessuti, per cui da cellnle primitivamente uguali si sviluppano tessuti
disuguali; e la divergenza dei tessuti si basa a sua volta sulla divergenza
cellulare, che ha origine dal fatto fisiologico della divisione di lavoro delle
cellule stesso (v. convergenza). Diverso. Gr. “Etepoc; Lat. /τεγονο; T.
Versohioden ; I. Divers; F. Divers. Nel senno aristotelico il diverso è tutto
ciò che, essendo reale, non è identico. Gli scolastici dicevano primo-dirersa
quelle cose che non convengono in nessun genere, tranne in quello
universalissimo dell’ essere; diversa © differentia solo numero le cose che
hanno entità diverso in una specie medesima, come gallo e gallinn; diversa ο
differentia εροοίο le cose che hanno diverse definizioni essenziali nello
stesso genere, come, nel genere animale, l’uomo e il bruto; diversa o
differentia genere quelle che si classificano in predicamenti diversi, come il
coraggio e la pietra. Distinguevano poi la diversitas physica, che nei termini
delle proposizioni negative, in quanto dire con verità che l’una cosa non è
l’altra, dalla diversitas logica, che si ha in quei termini delle proposizioni
affermative i quali, sebbene non differiscano da parte della cosa indicata,
pure vengono intesi sotto nn concetto differente. Alcuni distinguono il diverso dal differente,
ii quanto, pure implicando una differenza intrinseca ο qualitativa fra due
oggetti, non determina lu specie o il grado della differenza stessa. Cfr.
Aristotele, Mefaph., V, 10, 1010 b, 1 seg.; Crist. Wolff, Ontologia, 1736, $
188 (v. alterità, altro, differente, indiscernibili). Divinità. T. Gottàeit; I.
Dirinity; F. livinitd. Si adopera quasi sempre come sinonimo di Dio; tuttavia
alcuni distinsero il significato dei due vocaboli, intendendo col Divprimo 1)
essenza divina e col secondo Dio in quanto essere personale. Tale distinzione
trovasi ad es. in Eckhart, per il quale la Divinità, causa prima di tutte le
cose, trascende V esistenza ο la conosgenza, manca di ogni determinazione, è il
niente; essa si rivela nel Dio unitrino, e il Dio esistente e conoscente crea
dal nulla le creature, le cni idee egli conosce in sè, perchè questo conoscere
è il suo creare. Questo processo di autorivelazione appartiene all’ essenza
della Divinità, la quale, come essenza creatrice, non è reale se non in quanto
conosce sè stessa in Dio e il mondo come realtà creata. Cfr. Stöokl, Geschichte
d. Phil. des Mittelalters, 1864-66, vol. II, p. 1098; Leibnitz, Monadologie,
47. Divisibilità. T. Theilbarkeit; I. Dirinibility; F. Divi sibilité. La
proprietà di un essere di poter venire scomposto in un certo numero di parti.
Si suol distinguere la divisibilità fisica dalla matemation: questa, essendo
una pura operazione mentale, non ha limiti assegnabili ed è quindi indefinita;
quella invece è definita, ciod può avere dei limiti, arrivando un punto in cui
non è più praticabile. Secondo l’atomismo la divisibilità dei corpi è concretamente
limitata, in quanto essi consistono di parti ultime indivisibili, atomi. Per
Cartesio, dalla incapacità del nostro intelletto a rappresentarsi una
divisibilità i finito, non segue che essa non debba realmente darsi. Secondo
Spinoza la sostanza infinita è indivisibile, e non si può concepire con verità
nessun attributo della sostanza, dul quale risulti che la sostanza possa essere
divisa »; infatti, la sostanza così concepita sarebbe divisa in parti, che ©
conserveranno la natura della sostanza, 0 non la conserveranno: nel primo caso
ogni parte dovrebbe essere infinita, e causa di ad, ο costituita da un
attributo speciale, cosicchè da una sola sostanza si potrebbero costituirne
molte, il che è assurdo, e di più le parti così ottenute non avrebbero nulla di
comune col tutto da cui provengono, e il tutto potrebbe esistere secondo lo suo
parti; nel 827 Div socondo caso ne risulterebbe che,
dividendo tutta In sostanza in parti uguali o disuguali, essa perderebbe la natnra
della sostanza ο cesserebbe di esistere. Secondo Hobbes lo spazio e il tempo
non sono divisi all’ infinito, ma si dà soltanto un minimum divisibile. Secondo
Leibnitz il continuo è divisibile all’ infinito, cosioch® non esistono atomi ma
monadi spirituali inestese. Berkeley combatte l’idea della divisibilità
infinita, perchè è una palese contraddizione dire che una estensione o una
grandezza finita constino di infinite parti »; quando noi diciamo che una lines
è divisibile all'infinito, intendiamo solo una linea di lunghezza infinita.
Kant rappresenta il dibattito sotto forma di antinomis, la seconda delle
antinomie della ragione: tesi: ogni sostanza composta consta di parti semplici,
ο non esiste nel mondo che il semplice 0 ciò che di esso si compone; antitesi:
non esiste alcuna cosa semplice nel mondo. Kant risolve questa, al pari della
precedente antinomia, affermando che spazio, tempo, semplicità, complessità
sono soltanto determinazioni che hanno valore per la cosa in quanto fenomeno,
cosicchè il principio del terzo escluso perde il suo valore quando si faccia
oggetto della conoscenza qualche cosa che non può mai diventar tale, come 1’
universo. Cfr. Aristotele, Phye., III, 7, 207 b; Spinoza, Ethios, 1. I, teor.
ΧΙΙ, x11; Hobbes, De corp., ο. 7, 13; Berkeley, Prinoipl., ΟΧΧΙΝ segg.; Kant,
Krit. d. reinne Fern., ed. Reolam, p. 360 seg., 411 segg. . Divisione. Gr.
Ataigesig; Lat. Divisio; T. Hinteilung : 1. Division; F. Division. L'operazione
logica per mezzo della quale si determina l’ estensione di un concetto, enumerando
gli oggetti a cui si riferisce. Essa consiste in una proposizione in cui il
soggetto (dividendo) è il genere, e il predicato 1’ enumerazione delle specie
contenute sotto quel genere. Perchè l'operazione sia perfetta, occorre che i
membri dividenti esauriscano tutta l'estensione del diviso e che il concetto da
dividersi possegga una nota, detta funDiv-Doc 328 damentum divisionis, la quale sia suscettibile
di varietà. So questo fondamento è preso tra le note essenziali del concotto,
la divisione dicesi naturale, so è preso tra le accidentali artificiale. Dicesi divisione del lavoro 1’ organizzazione
economica in cui il lavoro totale da compiere è ripartito tra i cooperatori, in
modo che ciascuno compin sempre uno stesso genere di lavoro, per il quale
acquista così una abilità particolare. Il Rosmini chiama sofisma dell’ assurda
divisione quello in cni cadde Zenone quando sostenne che, se un moggio di
miglio cadendo in terra manda rumore, dove mandarlo anche ogni granello di
miglio; ed il Leibnitz. quando pretese che, se peroepiamo il fragore del mare,
dobbiamo percepire anche quello d’ ogni goccia d’acqua che lo compone. Cfr.
Hamilton, Lectures on logic, 1860, 11, 32 segg.; Wundt, Logik, 1898, II, p. 40;
Rosmini, Logica, 1853, pe 384 κ. (v. sorito, nota, dicotomia, tricotomia,
suddivisione, codivisione). Divisivi (giudizi). Forma di giudizio composto, che
esprime la risoluzione completa del concetto del soggetto nelle sue parti; ad
es. i lingnaggi sono parte monosillabici, parte agglutinanti, parte a
flessione. Possono essere divisivi anche i giudizi ipotetici, e tanto nell’
ipotesi come nella tesi, indicando nel primo modo in quanti casi la tesi è
vera, nel secondo a quale condizione è sottoposto nn certo numero di cose o di
eventi: es. 1° se un uomo sente rimorso per il male e compiacimento per il bene
fatto, è responsabile delle proprie azioni; 2° se un animale è vertebrato,
possiede uno scheletro interno cartilaginco od osseo, una colonna vertebralo,
un tubo intestinale complesso, sangue rosso che circola entro vasi e simmetria
bilaterale evidente. Docta ignorantia. Espressione resa celebre da Nicola
Cusano, per il quale l’uomo, di fronte alla vera essenza delle cose non
possiede che congetture, cioè solo i modi di rappresentazione che scaturiscono
dalla sua propria natura; 329 Dor la conoscenza di questa relatività di
tutte le affermazioni positive, il sapere del non sapere, come primo gradino
della dotta ignoransa, è l’unica via per arrivare alla comunione conoscitiva
inesprimibile, indesignabile, immediata con I’ Essere vero, cioè con la
divinità. Dio infatti, mancando di attributi positivi, non può essere
conoscinto che in questo modo: 44 hoc ductus sum, ut inoomprohensibilia
incomprehensibiliter amplooterer in doota ignorantia.... Supra igitur nostram
apprehensionem in quadam ignorantia nos doctos case convenit. Perciò la doota
ignorantia è la perfoota soientia. L'espressione era già stata adoperata da 8.
Agostino, 8. Bonaventura e in genere da tutti i teologi che, nella determinazione
dell'essenza divina, adottavano la teologia negativa. Cfr. N. Cusano, De doota
ignorantia, ed. P. Rotta, 1913, 1, 26; II pref.; III, peror.; P. Rotta, Il
pensiero di Niccolò da Cusa nei suoi rapporti storici, 1911 (v. agmostiolemo,
Dio, teologia). Dolore. T. Schmerz; I. Pain; F. Douleur, Uno dei due poli
opposti del sentimento, il quale si manifesta sempre sotto forma di piscere o
di dolore e nel numero infinito degli stati intermedi che li ricongiungono. 11
dolore’ e il piacere, essendo dati immediati della coscienza, sono per sè
stessi indefinibili; soltanto se ne possono stabilire le cause 6 le condizioni.
In generale, il dolore dipende dalla intensità degli stimoli; quando l’
eccitazione è troppo intensa, cosicchè essa passa il limite di adattamento
dell’ dividno, si ha uno stato di dolore determinato dall’ alterazione dei
tessuti. Oltre che da eccesso di funzione, il dolore può essere anche
determinato da innzione di un organo, cioò da mancanza di funzione ; lo Spencer
ha chiumato questo dolore negativo, il primo dolore positivo. Va notato però
che, mentre per alcuni psico-fisiologi, Lotze, Wundt, Richet, ecc., gli stessi
nervi ed organi di senso che servono per le sensazioni cutanee sono capaci di
destare sensazioni di dolore, per ultri, come Milnsterberg, Frey, KieDor. 330 sow, esistono invece nella cute terminazioni
nervee speciali, © nel sistema nervoso centrale apparati sensitivi distinti per
le sensazioni di dolore. Gli studi più recenti tendono à far prevalere quest’
ultima dottrina, che si bass specialmente su queste constatazioni : a) nell’
uomo può scomparire per cause anormali la sensibilità dolorifica, restando
integre le altro modalità specifiche del senso cutaneo ; d) alcune regioni
della cute mancano del tutto di punti dolorifici, tantochè non reagiscono con
sensazioni di dolore neanche con l'applicazione di stimoli meccanici od
elettrici assai intensi; ο) la soglia della sensibilità per gli stimoli dolorifici
è diversa, ossia più alta o più bassa, di quella per gli stimoli meccanici. La
sede anatomica del dolore sarebbe, secondo alcuni, il midollo allungato,
secondo altri il midollo spinale: ad ogni modo, per avere una sensazione di
dolore è necessario che l’ eccitazione sia trasmessa nd un centro nervoso da
una fibra afforente; ove queste fibre mancano (cervello, polmoni, ecc.) si può
avere qualsiasi alterazione senza che ossa sia avvertita come dolore. In
gonerale, i tessuti organici interni posseggono una sentà al dolore minore
degli esterni. Il dolore suscitato du uno stimolo lungo il decorso di una
fibra, viene riferito alla periferia, e non solamente allo parti malate ma
anche alle vicine; questa proprietà di érradiarei del dolore, ne rende
difficile la localizzazione. Diconsi appunto dolori riflessi quelli
erroneamente proiettati alla superficie corporea dagli organi interni malati;
questo fatto, già osservato dal Lange, fu ampinmente studiato dallo Head, che
formulò la legge seguente: Quando uno stimolo doloritieu viene applicato ad un
punto poco sensibile, il quale sia in intima connessione centrale con un altro
punto più sensibile, il dolore che si desta è sentito più intensamente nella
sede di maggiore sensibilità, invece che là ove la sensibilità è minore © in
cui lo stimolo fu effettivamente applicato ». Le principali modificazioni
fisiologiche accompa 331 Dom guanti il
dolore sono: diminuzione delle fanzioni vitali, rallentamento dei battiti del
cuore, turbamento delle funzioni digestive, brevità delle inspirazioni, arresto
dei movimenti v agitazione motoria. Però la sensibilità dolorifien non è uguale
in tutti gli animali; alcuni negano che essa esista negli infimi, mentre è
certo che aumenta proporzionalmente all’ elevarsi della loro struttnra fino a
raggiungere il suo massimo nell’ uomo; perciò il dolore è considerato come una
funzione della intelligenza, una sovrapposizione psichica ai riflessi
protettivi subcoscienti. La distinzione comune tra dolore fisico e dolore
morale si considera illegittima, essendo entrambi da un lato fatti fisici e
organici (in quauto anche il dolore morale implica un processo fisiologico
corrispondente) e dall’ altro fatti psichici, in quanto non sono conosciuti che
come stati di coscienza. La sola differenza è nella complessità: il primo
infatti è semplice ο risulta da sensazioni immediate (ad es. il dolore dei
denti), il secondo è inveoe indiretto e accompagnato da un certo numero di
rappresentazioni e di ricordi (sd es. il rimorso). Cfr. Wundt, Grundries d.
Psyohol., 1896, p. 55; Killpe, Grundriss d. Peyohol., 1893, p. 93; Kiesow e
Penzo, trchi für Payohologie, vol. XVI, 1910; Höffäing, Peyohologie, trad.
franc. 1900, p. 294 segg.; Penzo, Atti della R. Aco, delle Scienze di Torino,
vol. LXV, 1911; I. Ioteyko, Peycho-physiologie de la douleur, 1908 (v. piacere,
male, sentimento). Domma (da δόγμα, che significava da principio semplicemente
opinione plausibile e poscia le decisioni politiche dei re o delle assemblee
popolari). T. Dogma; I. Dogma; F. Dogme. Nel suo significato comune questa
parola designe una opinione imposta da un'autorità collocata al di fuori © al
di sopra d’ogni critica e d'ogni esame. Nella religione cristiana il domma è
una verità rivelata ds Dio © come tale direttamente proposta dalla Chiesa alla
nostra credenza. La rivelazione, sorgente del domma, è sia quella Dom 332 completamente esplicita, manifestante la
verità divina nel suo proprio concetto, sie quella parzialmente esplicita ο
implicita, che contiene οἱοὺ le verità stesse come parti costitutive ina non le
fa conoscere formalmente. Perchè una verità rivelata sin un domma, deve essere
proposta direttamente da una definizione solenne della Chiesa o dall’insegnamento
del sno magistero ordinario 6 universale; suo carattere fondamentale è
l’immufabilità, per cui deve ri. manere fino alla fine dei tempi senza subire
nel suo contenuto alcuna modificazione sostanziale. Essendo comunicato al? uomo
da Dio stesso. il domma fornisce una conoscenza obbiettiva delle verità divine.
Contro questo carattere di obbiettività, lo Schleiermacher prima, poi il
Ritschl, il Sabatier, ece., sostennero che la rivelazione divina è in ogni uomo
un fatto di esperienza intima, e il domma un’ imagine ο un simbolo che traduce
approssimativamente i sentimenti dell’ individuo ο esprime, In via media, le
impressioni degli individui formanti una comunità, ed è quindi essenzialmente
mutabile. Tra i cattolici, il Loisy considera i dormi como una semplice
interpretazione dei fatti religiosi e la riveluzione come la coscienza
acquisita dall’ uomo dei suoi rapporti con Dio; il Laberthonnière ammette
l’esperienza religiosa come sorgente prima di tutte le verità religiose e
considera la rivelazione come una conoscenza di Dio nella nostra stessa realtà
vivente; il Le Roy attribuisce al domma un puro senso negativo, in quanto esso
esclude © condanna certi errori piuttosto che non determini certe verità, e un
valore essenzialmente pratico, in «quanto enunoia delle prescrizioni di
condotta. Cfr.
G. Goyan, L'Allemagne religieuse, 1898, p. 96 segg.; Loisy, Autour Wun petit
livre, 1903, p. 195 segg. ; Id., Quelques lettres den questione actuelle, 1908,
p. 162; Laberthonnière, Essai de phil, religieuse, 1908, p. 120; Le Roy, Dogme
et critique, 1907, p. 6-15; Ch. Guignebert,
L’érolution dee dogmes, 1910 (v. fideimno, immanentiemo, modernismo, ecc.). 338 Dom
Dommatica oristiana. È 1’ insieme dei dommi su cui poggia la religione
cristiana, e che vennero preparati, definiti ο sviluppati dai Padri della
Chiesa, dai Concili o dai Papi. Essi si possono ridurre a tre fondamentali:
Gesù è uomo e Dio; Dio è uno e trino; l’uomo, caduto per effetto del peccato, è
redento per mezzo della grazia. Gli altri dommi non hanno che una importanza
secondaria ο sono semplici corollari di questi tre. Dommatismo. T. Dogmatismus;
I. Dogmatiem ; F. Dogmatisme. Nel linguaggio comune indica la tendensa a considerare
come assolutamente vere le proprie opinioni, a non accettare su di esse alcuna
discussione, rigettando a priori come false tutte le opinioni opposte. Inteso come metodo, il dommatismo consiste nel
partire da principii aprioristiei, sui quali non si ammette dubbio nd
discussione, e ricavarne delle conseguenze senza curarsi se sono 0 no d’accordo
coi fatti e con l’esperienza. Questo metodo fu in onore specialmente nella
filosofia scolastica. Nella dottrina
della conoscenza si adopera il termine dommatiemo in opposizione a sosttioismo
© misticismo ; il primo, cioè il dommatismo, ammette la possibilità della
scienza, vale a dire la possibilità di conoscere la realtà qualo essa è; il
secondo la pone in dubbio e crede quindi che l’ uomo debba astenersi da
qualsiasi affermazione; il terzo afferma che la verità è bensì conseguibile
dall’ uomo, ma purchè egli, abbandonato I’ uso della ragione, sappia assorbirsi
tutto nella contemplazione della divinità (cioè della verità suprema) perdendo
il sentimento della propria esistenza. Il oriticismo, sorto con Emanuele Kant,
ruppresenta un’ attitudine intermedia tra il dogmatismo ο lo scetticismo : la
critica, dice Kant, non è opposta al procedimento dogmatico della ragione nella
conoscenza pura in quanto scienza.... ma al dogmatismo, cioè alla pretesa di
avanzarsi in una conoscenza pura ricavata da semplici conoetti (la conoscenza
filosofica) appoggiandosi su principî che In ragione impiega Dor 334 da
lungo tempo, senza ricercare in qual modo e con quale diritto essa è arrivata
ad affermarli ». Alonni distinguono il
dogmatismo propriamente detto, positivo, dal dogmatismo negativo, ο
scetticismo; la filosofia antica è sempre dogmatica, in un senso © nell’ altro,
© in ciò si distinguo dalla filosofia moderna. Dicesi dogmatismo morale quella forma di
prammatismo sentimentalistico, la quale afferma che: tutte le nostre conoscenze
spontanee sono l’ espressione dei nostri desideri, delle nostre azioni ; tali
conoscenze servono a proporre alla nostra attività morale dei problemi che, secondo
la solazione volontariamente scelta, determinano dei nuovi stati, una nuova
attitudine intellettuale; il valore metafisico o realistico della nostra
conoscenza è dunque legato alla maniera morale con cui noi ci comportiamo riguardo
ad esseri, che non subordiniamo al nostro egoismo, ma trattiamo come fini in sò
atessi. Cfr. Ch. Wolff, Philos. rationalis, 1732, § 40; Kant, Arit. d. reinen
Vern., ed, Reclam, p. 46 segg. ; Laberthonnière, Le dogmatieme moral, in Essais
de phil. religieuse », 1908, p. 76 (v. oriticismo, neooritioiemo, realismo,
idealismo, solipeiemo, conoscenza, ecc.). Dottrina. T. Lehre; I. Dootrino; F.
Doctrine. Nel suo significato più generale designa il complesso degli insegnamenti
d’ uno scienziato, d’ un filosofo ο d’ una scuola acientifica o filosofica, Si
distingue perd da sistema, che è un organismo ideale in cui le parti sono
logicamente coordinato fra loro 9 subordinate ad un principio generale, e da
teoria, che ha valore propriamente speculativo mentre la dottrina può averne
anche uno pratico. Kant distingue In
dottrina dalla critica: questa ha per oggetto di determinare il valore e la
portata delle nostre conoscenze a priori, ossia puramente razionali; quella le
raccoglie in un sol tutto e le coordina in un sistema. La dottrina si distingue
alla sua volta in metafisica della natura, che considera i principi della
ragione nella loro applicazione al mondo esteriore, © metafisica dei costumi,
cho li considera mella loro applicazione alle nostre azioni. Nella dialettica
trascendentale Kant dimostra che nè la psicologia razionale, nd la teologia
razionale, nè la cosmologia razionale sono possi bili come dottrine ma soltanto
come discipline, poichè sin V idea psicologica, che la teologica e la
cosmologica sono principi regolativi, non mai costitutivi. Nella teologia per dottrina s'intende: a)
oltre l’ insieme delle verità dogmatiche, anche 1’ insegnamento non rivelato,
oggetto non di un atto di fede ma di assentimento fermo, che la Chiesa
definisce come necessario per la difesa ο 1’ esplicazione delle verità
rivelate; 5) ciò che la Chiesa non definisce esprersamente, ma solo loda o
raccomanda come utile per la proposizione dell’ insegnamento rivelato. Cfr. Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Reclam, p. 18 segg. Dovere (τὸ dioy=
l’obbligatorio). T. Pflioht ; I. Duty; F. Devoir. Non è altra cosa che l'obbligazione morale, ο, come
tale, è implicito nell’ idea di giustizia, in quanto questa ha una efficacia
diretta sul soggetto. In senso concreto un dovere è una regola determinata
d'azione, una obbligazione definita. Nella storia della filosofia il concetto
del «dovere comincia ad essere determinato con gli stoici; esso si presentò
loro necessariamente, in quanto riconducevano l’attività particolare alla legge
generale della natura e quindi l’attività appariva prescritta dalla legge. Essi
distinguevano due specie di doveri, assoluti © medi, corrispondenti alle due
specie di beni: quantunque solo il bene sia comandato incondizionatamente,
tuttavia può essere moralmente’ consigliabile anche ciò che è desiderabile.
Dico Cicerone: Porfeotum ofleium rectum, opinor, vocemus, quoniam Grasci
κατόρθωμα, hoc autem commune officium vocant. Atque ea sic definiunt, ut rectum
quod sit, id officium perfeotum esse definiunt; medium autem officium id ease
dicunt, quod cur faotum sit, ratio probabilis reddi posit. La più comune ed
antica classificazione dei doveri è quella fatta a seconda dei loro oggetti:
verso noi stessi, verso i nostri simili, verso Dio. Fra i primi sono quelli
verso la nostra integrità fisica ο psichica, verso la nostra costituzione organica,
intellettuale, morale; fra i secondi, quelli verso la famiglia, verso la
società, verso lo Stato, o di fratellanza morale verso le altre nazioni, cioè
doveri internazionali. Altra classificazione importante è quella in doveri
atretti ο perfetti, © doveri larghi ο imperfetti; i primi sono quelli che non
lasciano alcuna libertà nella applicazione, i secondi quelli la cui
applicazione è lasciata invece all’ apprezzamento dell’ individuo. Si
distinguono anche i doveri positivi, che consistono in azioni che si devono
compiere, dai negativi, azioni da cui si deve astenersi. Ricordiamo infine la
distinzione fondamentale fra doveri giuridici, che sono imposti dalle leggi, si
appoggiano sulla forza, ed hanno una sanzione definita nelle leggi punitive, e
doveri morali, che hanno una sanzione indefinita nella pubblica opinione ©
nella coscienza dell’ individuo. Dicesi materia 0 contenuto del dovere l’atto
che si deve compiere, e forma il carattere di necessità pratica che tale atto
riveste nella nostra coscienza. Per Kant la materia del dovere si deduce dalla
sua forma; il dovere è infatti la necessità di faro un'azione per rispetto alla
legge, ο dn qui sgorga la suprema legge morale, ossia 1’ imperativo categorico,
cho si formula così: agisci in modo che la massima della tua azione possa diventare
una norma universale di condotta. Ma perchè siavi una legge che comandi senza
eccezione, occorre che siavi in natura qualche cosa di valore assoluto, che
cioè si imponga sempre come fino; tale è l’uomo, unico essere ragionevole della
natura; perciò l'imperativo categorico si modifica così: agisci in maniera da
trattar sempre I’ umanità come fine, sis nella tua che nell’ altrui persona, ©
dn non servirtene mai come mezzo, Occorre ancora che la volontà dia la legge a
sò, sia autonoma, perchè solo a tal patto accetterà la legge senza alcun altro
interesso; da ciò la terza formola doll’ imperativo categorico : opera in modo 337 Dua
che la tua volontà possa considerare sè stessa come dettante, con le sue
massime, leggi universali. Per Fichte V’Io è la volontà morale e il mondo è il
materiale sensibile del dovere, ossia tale che in esso noi possiamo essere
attivi; quindi non l'essere è la causa dell’ agire, ma per l'agire 1’ essere è
sorto, ο tatto ciò che è non pnd concepirsi se non per ciò che dere essere: L'unico
sicuro e definitivo fondamento di tutte le mie conoscenze è il mio dovere.
Questo è l'in #è intelligibile, che, mediante la legge della rappresentazione
sensibile, si converte nel mondo dei sensi ». L’urto (Anstoss) che ci obbliga a
porre il mondo esterno, non è altro che il nostro dovere, o il mondo stesso il
materiale per l’attività della ragione pratica. Per l'Ardigò l’imperativit del
dovere ha la sun ine naturale nella impulsività delle idealità sociali,
mediante un processo formativo di cui non s’accorge l’individuo, il quale solo
avverte la formazione già compiuta ed è perciò indotto a credere nella
primitivita del sno rentimento del dovere; in breve, l'obbligatorietà del
dovere non è che la ricordanza assommata e indistinta, ma inevitabile, del
dolore incontrato eseguendo atti che riescono di danno ai consoci; il dovere
morale nasce quindi dal dovere giuridico, fino a diventare una forma
contitutiva della psiche dell’ individuo, avverandosi così il fatto, che sembra
paradossale, del convertirsi dell'attività volontaria da fondamentalmente
egoistica, qual'è da principio, in virtà disinteressata. Cfr. Diogene L., VI,
1, 107-109; Cicerone, De ofleis, I, 3, $ 8; Kant, Arit. d. prakt. Vern., ed.
Reolam, p. 103 segg.; Fichte, Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 224; G.
Marchesini, La dottrina positiva delle idealità, 1913, p. 93 segg.; Ardigò, Op.
/l., III, p. 132 segg. (v. autocoscienza, autonomia, dialettica, etico,
idealismo, moralismo, realtà). Dualismo. T. Dualiemus; I. Dualism; F. Dualisme.
Si oppone a monimo, e designa qualsiasi dottrina, sia filo22 RaxzoLi, Dision. di scienze filosofiche. Dua 338 sofica che religiosa, che spiega o un dato
ordino di cose © di fatti, o tutto l'insieme delle cose © dei fatti, I’ universo,
come la risultante di due principi, di due tendenze, di due canse distinte ed
opposte, ο perciò irredueibili 1’ una all’ altra. Un dualismo religioso è la
religione di Zoroastro, che attribuisce tutti gli avvenimenti del mondo alla
lotta di dne potenze contrarie, primitive, eterne, indipendenti l'una
dall'altra, di cui l’una, Ormurd, è l’autore del bene, l’altra, Abrimane, del
male. Il dualismo filosofico, qnale fu inteso dai filosofi greci, da Pitagora a
Platone, da Aristotelo agli stoici, consiste nel considerare l’origine ο la
natura dell’ universo mediante due principi ο sostanze affatto opposte: la
materia, assolutamente amorfa e passiva, © lo epirito, potenza attiva ed
animatrice. Dicesi dualismo spiritualistico la dottrina, posta sotto forma
precisa da Cartesio, che considera l’anima ο il corpo come due sostanze
etorogenee, agenti reciprocamente l’ una sull’ altra, Questa dottrina, detta
anche dell’ influsso fisico, si oppone alle vario forme di monismo, sia
spiritualislico : il corpo non è che uns forma ο un prodotto d’ uno ο più
esseri psichici ; sia malerialietico : l’anima non è che una forma ο un
prodotto del corpo; sia pricofisico : l’ anima © il corpo non sono che due
aspetti differenti di un solo e medesimo essere. Nella teoria della conoscenza
dicesi dualismo ogni dottrina che faccia originare le nostre conoscenzo da due
fonti; ad es. quella del Locke, che dalla sensazione fa derivare la conoscenza
del mondo corporeo, dalla riflessione In conoscenza dolle attività dello
spirito. Spesso il términe dualismo è adoperato in opposizione a naturaliemo ©
a panteismo, per indicare la dottrina che pone due ordini distinti di realtà :
una spirituale, trascendente, eterna, senza causa, l'altra, che della prima è
un riflesso, materiale, temporanea, creata. Cfr. Th. Hyde, Historia rel. ret.
Pers, 1700, ο. 9; Cartesio, Princ, phil., I, 60; L. Stein, Dualiemus oder
Moniamua, 1909 (v. anima, coscienza, manicheiemo, parallelirmo). 339 Dus
Dubbio. T. Zweifel; I. Doubt; F. Douts. Lo stato di perplessità in cui trovasi
l'intelligenza quando rimane sospesa senza negare nè affermare. Il dubbio
presuppone l’esistenza di due gindisi contradditori, considerati entrambi come
possibili, tali cioè che nessuno dei due porsegga ragioni sufficienti per
essere aocettato ο respinto. Il dubbio si oppone alla certessa, che è una
persnasione ferma conforme alla verità, © ni distingue dalla probabilità, che è
una specie di avviamento alla certezza. Si distinguono due sorta di dubbio:
quello assoluto ο definitivo, che è il vero e proprio dubbio scettico, e non
ammette possibilità di conoscenza e di soienza; quello provvisorio, o metodtoo,
© filosofico, che, da Cartesio in poi, è divenuto il ‘principio fondamentale
del metodo scientifico, e consiste nel respingere qualsiasi opinione
anteriormente accettata, 80spendendo ogni giudizio fino che la verità non siasi
imposta allo spirito con evidenza assolata. I! dubbio metodico trovasi già in
Socrate: opponendosi al dubbio scettico dei sofisti, che riguardava la
possibilità della scienza e la realtà delle cose, egli proolama la necessità di
sottoporro a revisione ogni opinione, per antica ed antorevole che sia, per
eliminarne le contraddizioni, correggerla, completarla: così il dubbio, che
nella sofistica era stromento di distruzione dell’ antica filosofia, diventa
con Socrate il punto di partenza della filosofia nnova. Più tardi, anche 8. Agostino
cerca la via della certezza attraverso il dubbio, e le stesse teorie scettiche
gliene aprono la via; dubitando, egli dice, io dubitante so di esistere, di
ricordare, di conoscere, di volere, perchè il dubbio contiene gid in sè la
preziosa verità della realtà doll’ essere cosciente, e le ragioni del dubbio si
fondano sulle nostre rappresentazioni anteriori, ο nella valutazione dei motivi
del dubbio si sviluppa il nostro sapere, il nostro pensare, il nostro
giudicare, Analogamente per Cartesio, la ricerca è figlia del dubbio © generatrice
della conoscenza e delle convinzioni salde © coDus 340 scienti. Nel Discorso sul metodo ogli dice
come dal dubbio gli sia derivato il primo impulso alle sue meditazioni : tot
enim mo dubiis totque erroribus implicatum coso animadverti, ut omnes diacendi
conatus nihil aliud miki profuisse judicarem, quam quod ignorantiam meam magis
magisque detezisse. L'unica via di liberazione dal pregiudizio ο dall’ errore,
che ingenerano il dubbio, è questa: non aliter videmus posse liberari, quam si
semel in vita, de ite omnibus studeamus dubitare, in quibus vol minimam
inoortitudinia euspicionem reporiomus. Il dubbio deve in primo luogo attaccare
le cose sensibili © la loro esistenza, invadere le dimostrazioni matematiche e
i loro principî, non risparmiare alcuna delle nostre conoscenze, finchè non
incontri un limite insuperabile in sè stesso, il dubbio, dellaycui esistenza
non è possibile dubitare; e da questo punto fermo cominois in Cartesio, col
cogito ergo sum, tutta la fase ricostrattiva delle conoscenze chiare ο distinte
non più attaccabili dal dubbio. Si suol
distinguere anche il dubbio normale dal patologico, il quale a sua volta è
distinto dal Ribot in dubbio drammatico ο Sollia del dubbio. Il dubbio
drammatico è quello che precede le grandi conversioni (S. Paolo, Renan, ecc.)
ed è costituito da un lavono intellettuale lungo e da principio latente, che
scoppia alla fine col crollo delle credenze antiche © il costituirsi delle
nuove. Cfr. ΒΑ. Agostino, De vita beata, 7; Solil., II, 1 segg.; De rer. rel.,
72 segg.; Cartesio, Specimen philos. seu dissertatio de methodo, 1764, p. 3;
Princ. philos., IV-V; P. Sollier, Le doute, 1909; G. Zuccante, Intorno al
principio informatore e al metodo della filosofia in Soorate, Riv. di fil. »,
febbr. 1904 ; Alemanni, Intorno a una psicologia del dubbio, Ibid., maggio
1908; R. Mondolfo, Il dubbio metodico e la storia della filosofia, 1905 (v.
acatalesnia, autocoscienza, ironia, epooa, testimonianza, achepsi, dommatiamo,
diallelo, dicotomia, tropi). Dubbio (follia del). T. Zweifelsuoht, Grübelsucht ; I.
Doubting mania; F. Folie du doute. Stato
morboso di perplessità Duocontinua, che ha tro gradazioni diverse; nel primo il
malato si sente continuamente irresoluto, non sa giungere ad alcun risultato
definitivo, è sempre tormentato dal bisogno di corcare il perchè di tutto, di
rivolgersi domande senza fine (mania del perchè); questa ruminazione psicologica,
come la chiamò il Legrand du Saulle, si traduce poi negli atti, cosicchè il
malato non osa far nulla senza timori, ansie © precanzioni infinite; da ultimo
questi fenomeni possono assumere carattere ipocondriaco, che si rivela con il
dubbio eterno di non poter far nulla, di essere affetti da una malattia
cronica, di aver mancato al proprio dovere, di essere male edncati, importuni,
indisoreti. A seconda poi del contenuto dei problemi, che l’ammalato si
propone, si hanno casi: di dubbio metafisico, quando riguardano l’ essenza
delle cose, l’origine ο il perchè della creazione, οσο. di dubbio realista,
quando le questioni mentali più comuni si riferiscono alla ragion d’ essere di
certi organi, perchè l’acqua bagni, perchè la terra non sia assorbita dal more,
ecc.; di sorupolo, in cui 1 dividuo è nella continna preoceupazione di non aver
adempiuto bene ai propri doveri, o di non aver fatto bene ciò che ha fatto, ο
d’ essere responsabile di qualche sciagura tocestn alla propria fantiglia, Cfr.
Legrand du Saulle, La Jolie du doute, 1875; Ribot, Les maladies de la volonté,
1883, γ. 60 segg. Duodinamismo. Quel sistema vitalistico, che spiega il
fenomeno della vita come il prodotto di an principio o anima distinta dagli
organi corporei non solo, ma anche dal!’ anima pensante. Esso si trova per la
prima volta in Platone. Le dottrine sue furono poi riprodotte da Galeno, e, più
tardi, da Bacone, Gassendi, Buffon. Tra i filosofi moderni il duodinamiemo,
variamente modificato, fu wguito specialmente da Maine de Biran, Jouffroy,
Ahrena (v. animismo, archeismo, meccanismo, elettrovilaliemo, vita,
protoplasma, vitaliemo). Der 342 Durata. T. Dauer; I. Duration; F. Durée. Di
solito indica il tempo in cui avviene un fenomeno senza interruzione, ossia una
lunghezza determinata, costituita dai mutamenti continui della successione; |’
interruzione della durata di un fenomeno dicesi intervallo. Invece gli scolaatici,
ispirandosi al concetto comune, secondo il quale una coss che dura non cambia e
non ha quindi, in quanto dura, nè prima nè poi, intendevano la durata come un
permanere in ezistentia. Essi distinguevano la duratio intrinseca, che è In
permanenza della coss nell’ esistenza sua, ossia l’esistenza perseverante,
dalla duratio extrinseoa, che à il movimento del primo mobile, da cui sono
regolate le durate intrinseche. Per Spinoza è la continuazione indefinita
dell’esistenza » ; per Locke è l’ intervallo tra l’ apparire di due rapprosentazioni
nella coscienza ». Per Cartesio la durata si distingue dal tempo, in quanto
questo non sarebbe altro che la misura della durata di un fonomeno, o la parte
della duruta, durante la quale un fenomeno avviene: quindi il tempo sarebbe una
cosa soggettiva, la durata avrebbe uno realtà oggettiva, in quanto le cose
realmento durano. Leibnitz oppono il tempo alla durata come lo spazio alla
estensione: la durata è l’ordine di successione tra percezioni reali, come la
massa estesa è ens per aggregationem, sed ex unitatibue infinitis; il tempo è
invece un continuum quoddam, sed ideale, in cui possono essere prese frazioni
pro arbitrio. La genesi delle due nozioni è inversa: in aotualibus nimplicia
aunt anteriora aggregatis, in idealibue totum est prius parle. Per Clarke il
tempo è una durata senza principio ο senza fine nella quale si succedono i
fenomeni »; da cui seguo che la anecesione è il rapporto delle durate finite
comprese nella durata infinita del tempo, e che il tempo è metatisicumente
anteriore alle durate successive che lo riempiono. Per Cristiano Wolff è la
eristentia. qua rebus pluribus nuocemivis quid cœnietit, veu eristontia
rimultanea cum rebus pluribus xuccesiris ». Per Berkeley la durata di uno
spirito 343 Dur finito deve essere valutata secondo il
numero delle idee 0 delle attività che in esso si succedono |’ una all’ altra
». Anche per Hume la rappresentazione della durata discende sempre dalla
successione di oggetti matabili e non può mai essere introdotta ‘nello spirito
da qualche cosa di uniforme © di immutabile >. Per Kant il permanente (das
Beharrliche) è il sostrato della rappresentazione empirica dello spazio; mediante
il permanente soltanto 1’ essere ricevo quella grandezza costituite dalle
diverse parti della serie temporale, che si chiama durata ». Per il Boirno la
durata in abetraoto è la concezione della possibilità di successioni nelle
cose, perchè, senza un rapporto con la successione, la durata non sarebbe
misurabile e xi confonderebbe con l’esistenza; la durata concreta involge, di
più, un rapporto di simultaneità col successivo, ossia il permanere identico
della cosa, mentre le altre cose mutano. Per il Bergson la durata si oppone al
tempo in quanto la prima è il carattere stesso della successione, quale è immediatamente
appresa dalla coscienza, mentre il secondo è l’idea matematica che noi ce ne
facciamo per ragionare e comunicare coi nostri simili, traducendola in imagini
spaziali ; quindi In durata è per lui il tempo concreto, il tempo reale,
costituito da una pura successione di cangiamenti qualitativi senza alcuna
tendenza ad esteriorizzarsi gli uni rispetto agli altri, senza alcuna parentela
col numero, l'hétérogeneité pure sane aucune parenté aveo le nombre. Cir.
Suarez, Metaph. disputationes, 1751, 50, 1,1; Spinoza, Cog. metaph., I, 4;
Ethica, 1. II, def. 5; Locke, Ese., II, cap. 14, $ 3; Cartesio, Princ. philos.,
I, 57; Leibnitz, Nouv. Een, II, cap. 14; Letiren de Leibnitz οἱ de Clarke, ed. Janet, t. II, p. 647; Ch. Wolf.
Philosophia prima, 1736, $ 578; Berkeley, Prino., XCVIIL; Hume, Treat., Il,
ser. 3; Kant, Krit. d. reinen Vern., p. 176: Boirac, L'idée du phénomène, 1894,
p. 128 segg.; Bergson, Essai sur lee données imm. de la conscience, 1904, p.
74-78 (v. aevum, cangiamento, istante, mobiliemo. tempo). Ebk-Ecc 344 E. Nollu logica formale si adopera per
designare la proposizione universale negativa (nessun 4 è B), e, nelle proposizioni
complesse e modali, 1’ affermazione del modo e la negazione della proposizione.
Nella dottrina dell’ Hamilton sulla quantificazione del predicato, designa la
proposizione toto-totale negativa (nosrun 1 è nessun B). Cfr. Hnmilton, Lectures on logic,
1860, app. II, p. 288. Ebefrenia. T. Hebephrenie; I. Hébéphrénie. Una dello forme sotto cui si manifesta la
demenza precoce. Compare soltanto nell’ età giovanilo e più frequentemente
nell’ nomo che nella donna. Ha gradazioni che vanno da disturbi insignificanti
dell’ intelligenza ο dell’ affettività alle alterazioni più profonde della
psiche, manifestantesi con allucinazioni e idee deliranti malinconicho,
esaltamenti improvvisi, movimenti senza scopo e sonza ordine, logorrea. Il
curattere più tipico dell’ ebofrenia è 1’ indifferenza assoluta per l’ambiente,
verso il quale il malato uon reagisce che debolmente e lentamente. Cfr.
Daraszkiewiez, Ueber Hobephrenic, 1892 (v. demenza, oretinismo, idiotiamo,
imbecillità). Bcoeità. T. Diesheit; I. This-nes; F. Eoceité. Giovanni Dune
Scoto opponendosi a 8. Tommaso, che poneva la forma intellettiva come base
della individualità, sostenne che la sorgento vera della individuazione non
consiste in determinazioni accidentali ed esteriori, ma nel profondo stesso
della ossenza, in una ultima realitas, che nella persona umana è la volontà.
Questa ultima e profonda nota differenziule, che si può solo constatare come
attuale ma non derivare da una ragione universale, che trascende la conoscenza
οἱ è peroiò indefinibile, fu detta dagli scolari dello Scoto haccoeitas, o
anche ecocitas : exsu è la traduzione del τὸ τοδέ τι di Aristotele, e, per
quanto sia intraducibile, come indefinibile è la realtà, si potrebbe tradurre
come: 345 Ecc questa cosa qui, il qui. L’ecceità degli
Scotisti si contrappone alla quidditä dei Tomisti, che è perfettamente traducibile.
Cfr. Prantl, Gesohiohte d. Logik, 1855-70, III, 219, 280; Goclenius, Lex.
philos., 1613, pag. 626. Bocettuative (proposizioni). T. Auenchmend; I.
Ezceptive; F. Ezoeptice, Quelle proposizioni implicite 9 composte, che di un
soggetto generale affermano universalmente un predicato, ad eccezione d’ nna ο
più specie d’ individui. La sua formula è: tutti gli 4, fuorchè a, sono B.
Eccitazione, T. Reis, Erregung; I. Ezoitation ; F. Ezcitation. In generale
significa risvegliare, mettere in azione una forza, ma si usa specialmente per
designare quello stato caratteristico delle cellule nervose, che consiste in
particolari modificazioni di natura ancora ignota, determinate dall’ azione di
speciali agenti che si dicono stimoli. La modificazione costituisce lo stato di
eccitazione; I’ attitudine a subirla costituisce 1) eccitabilita. L’ estremità
delle fibre eccitate dicesi estremità di eccitazione, l’altra estremità cui
l'eccitazione viene trasmessa dicesi estremità d'azione. Il limite minimo di
intensità dello stimolo, che è necessario varcare per ottenere I’ eccitazione,
dicesi soglia della ecoiaumento minimo dello stimolo al di sopra della soglia,
capace di produrre un aumento della eccitazione, dicesi soglia della
differenza. L’ eccitazione nervosa, entro certi limiti, cresce col crescere
dell’ intensità degli stimoli L’ occitazione di una celluls ο di una fibra
nervosa non si può arguire che dai fenomeni da essa provoesti nei centri
nervosi © negli organi periferici (sensazione, contrazione muscolare,
secrezione delle glandole, ecc.) non essendo note le condizioni fisiche e
chimiche che costituiscono lo stato di eccitazione. Il grado di eccitabilità si
desume dal grado della eccitazione prodotta da uno stimolo di intensità inferiore
a quella necessaria per produrre una eccitazione di grado massimo: il grado di
eccitazione xi desume dagli μοι, 946 effetti della medesima. L’ eccitazione si
trasmette lungo le fibre, purchè in esse non sis avvenuta alcuna discontinuità
anatomica; tale trasmissione si fa tanto in via centripeta che in via
centrifuga. L’ eccitazione delle cellule nervose può essere di tre forme:
riflessa, prodotta dalla eccitazione d’una fibra centripeta ; automatica,
prodotta dall'azione dei liquidi che bagnano i centri nervosi; prichica,
emozione, volontà, ecc. Cfr. Wundt, Grundriss d. Peychol., 1896, p. 299;
Höffding, Peyohologie, trad. frane. 1900, p. 140 segg.; Richet, Reckerches sur
la sensibilità, p. 42 segg., 168 segg. (v. irritabilità, quantità, atimolo).
Eolettiamo. T. Eklekticismus; 1. Eolecticism ; F. Eoleotime. Sistema che
risulta da un insieme di dottrine sparse nei differenti sistemi e coordinate
armonicamente tra loro; quando la coordinazione manca non si ha più I’
eclettismo ma il sinoretismo. Nella storia della filosofia 1’ eclettismo
comincia a manifestarsi verso la fine del II secolo d. C.; col diffondersi
delle scuole nei grandi rapporti della vita dell’ impero romano, svanì lo
spirito scolastico, venne meno la polemica e sottentrò invece il bisogno dell’
adattamento © della fusione: platonismo, aristoteliamo e stoicismo presero a
base comune la concezione teleologica del mondo per combattere l’epicureismo.
Minore importanza filosotica, ma maggiore importanza storica ebbe 1’ eclettismo
a Roma: accogliendo la filosotia greca i Romani, con criterio essenrialmente
pratico, dedussero 1’ una dopo I’ altra dai sistemi delle vario scuole le
dottrine da loro accettato: così avvenue in Cicerone, in Varrone ο in parte nel
gruppo dei Sestii. Nel pensiero moderno l’eclettismo risorge, oltrechè nei
seguaci del Leibnitz, nella scuola psicologica francese restaurata da Vittorio
Cousin (1791-1867) col nome di eclettica, consolidata dai seguaci di lui col
nome di spiritualiatica: essa ha avuto un dominio quasi incontrastato in
Francia per gran parte del secolo XIX, costituendo la filosofia ufficiale delle
accademie ed avendo a rappresentanti 347
Eco uomini illustri come Jul. Simon, E.
Vacherot, C. Secrétan, Ad. Franck, E. Caro, ecc. Il suo punto di partenza è il
seguente: ogni uomo possiede un senso del vero, che si suol chiamaro senso
comune, ragione, coscienza, spirito umano, ecc. ; esso è competente ο
infallibile rispetto alle verità eterne, che giacciono inconscie ‘e latenti in
ciascuno di noi; i sistemi filosofici non sono che frammenti di codesta verità,
portati alla piena coscienza dalla riflessione; dato il grande numero e la
grande varietà dei sistemi filosofici fino ad ora succedntiei, si può
conchiudere che, frammento per frammento, essi hinno portato alla luce tutta la
verità filosofica, la quale dunque esiste oggi sia inconscia nel nostro senso
comune, sia chiara ma dispersa nella storia della filosofia; per scoprirla non
può esserci che un metodo: la storia, unn volta giudicata dal senso comune,
lascerà un residuo che sarà lo stesso senso comune, la verità allo stato di
coscienza piena e chiara. Eclettica quanto alla sua formazione, per le fonti
svariate cui ha attinto, ms esclusiva ο dommatica pel sno fine, di rinnovare
col metodo psicologico la tradizione spirituali stica interrotta dsl predominio
del sensualismo, la scuola eclettica francese ha potuto, in grazia al suo
metodo, frazionarsi in tanti centri minori, senza perdere una costante
intonazione spiritualistica e senza ricorrero ad altra rivelazione che a quella
psicologica. Cfr. Windelband, Geschichte d. Philos., trad. it, 1913, vol. I, p. 203
seg.; Saphary, L'école colootique et V éoole française, 1844; A. Fresnean,
L'éclootisme, 1847; Jouffroy, De l’éolectisme on morale, 1825; P. Junet, Victor
Cousin et son œuvre, 1885, cap. XVII;
De Ruggero, L'eoletiismo francese, Riv. di filosotia », aprile 1910. Boolalis.
T. Echolalie, Echonprache; I. Echolalia, Echophasia; F. Hoholalie. Fenomeno
psicologico che si verifica in alcune malattie mentali, specialmente nella
catatonia, nel? afasio, disfasia, ecc. Consiste in ciò che 1’ ammalato neynists
una tale suggestibilità, du ripetero fedelmente ogni parola che in sua presenza
è pronunciata, ο, in luogo di rispondere alle domande rivoltegli, ripete le
domande stesse. Aleune volte, poi, si dà il caso curiosissimo che Vammalato,
sentendo pronunziare dei numeri in somma, moltiplicazione, oce., non ripeta i
numeri stessi, ma il risultato della operazione. Cfr. Séglus, Les troubles du langage,
1893; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 369 segg. Economia. T. Ökonomie; I. Economy; F. Économie. Nel suo
significato più generale, si può definire come la disposizione delle parti di
un tutto necessaria n far sì che, con i minimi mezzi, il tutto medesimo
raggiunga una determinata finalità. In questo senso si può quindi parlare tanto
di economia della famiglia, dello Stato, della società, quanto di economia
doll’ universo, del corpo umano, di un sistema filosofico, di un’opera
scientifica ο letteraria. Per coonomia politica intendesi la scienza dei
fenomeni e la determinazione delle leggi che concernono la distribuzione delle
riochezze, nonchò la loro circolazione e consumazione in quanto questi fenomeni
sono lognti a quello della distribuzione; ο, più brevemente, la scienza dell’
ordine sociale della ricchezza. Nelle
grandi controversie, sorte prima e dopo la tissazione del dogma cristiano della
Trinità, si designava con questo vocabolo l'uguaglianza delle tre persone in
una sola natura divina. Economica (concezione della scienza). Con 1’
espressione concezione economica ο biologioa della scienza o della conoscenza,
si indicano tutte quelle dottrine contemporanee, sostenute specialmente da
scienziati come Maxwell, Hertz, Mach, Avenarins, Dubem, Poincaré, eco., che
muovono dal concotto che l’origine e quindi anche l’essenza dell’attività
conoscitiva, come di qualsiasi altra attività e funzione organica, ha il suo
fondamento nel grado d’utilita per l’ organismo, nella rispondenza ad un
bisogno vitale; cosicchè le idee, i principi, lo ipotesi, ecc. non sono se non
convenzioni, stro-* menti il cui valore sta soltanto nel loro grado di utilità 349 Eco
© di comodità, non nella loro correlazione con una realtà per sè stante. E le
varie forme di conoscenza, mentre sono in relazione con i nostri bisogni,
rappresentano le vie per agire in modo più efficace e proficno; noi arriviamo a
costrnire i vari oggetti dell’ universo e ne determiniamo le qualità, le
proprietà, le attitudini, riferendoci sempre alle maniere în cui riescono a
farci operare in un modo piuttostooh® in un altro, considerandoli come
occasioni ο motivi della nostra condotta. L’Avenarius, ad esempio, riduce tutto
lo sviluppo della conoscenza al principio delP inerzia ο del minimo consumo
d'energia: l’anima non impiega in una percesione più forza di quella che
necessaria e, quando si trova innanzi a una pluralità di appercezioni, dà la
preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo stesso effetto o con
uno aforeo uguale prodnce un effetto maggiore. Il Mach assegna alla scienza un
solo ufficio biologico, quello ciod di daro all’uomo un orientamento completo
in mezzo al complicato intreccio dei fatti naturali; così i concetti non sono
che schemi suggestivi di azioni adatte, il valore delle ipotesi delle
definizioni ο degli assiomi scientifici sta tntto nel modo semplice ed economico
di ordinare le leggi ricnvato dall’esperienza, il principio di causalità non è
che un inolamento arbitrario delle circostanze che più ci interessano per i
nostri fini pratici, il tempo scientifico o astratto è una semplice parola con
cni ci risparmiamo la fatica d’una serie complessa di relazioni. Per il Duhem
la scienza fisica non altro si propone che di darci un sistema di proposi zioni
matematiche, dedotto da un piccolo numero di principi, che hanno per fine di
rappresentare più semplicemente, più completamente e più esattamente che sia
possibile 1’ insieme delle leggi sperimentali. Il principio comune da ‘ni
muovono i sostenitori di questa dottrina, è che la conoscenza emerga da quel
fondo di esperienza diretta, in cni propriamente consiste la realtà e in cui,
non essendoci dintinEoo-Ecr 350 zione tra jo e non-io, non è nemmeno da
parlare di conoscenza © di realtà: quest’ultima è appresa nell’ atto stesso che
è vissuta. La conoscenza vers ο propria, in quanto si pone di faccia alla
realtà, all’ esperienza genuina, non è che una sovrastruttura, che diviene più
artificiale a misura che ¢’ allontana dal dato immediato (sensazione), e quindi
anche più convenzionale, più simbolica, più astratta, Cfr. Mach, Erkenninis und
Irrthum, 1905, p. 162 segg.; Id., Dio Mechanick in ihrer Entwickolung, 1901, p.
6 segg., 80 segg.; Avenarius, Philosophie als Denken der Welt, 1903, p. 3
segg.; Duhem, L'évolution de la mécanique, 1908 1 A. Aliotta, La reazione
idealistioa contro ia scienza, 1912, p. 68-110; H. Höffding, Philosophes
contemporaine, trad. franc. 1908, p. 93 segg.; F. De Sarlo, I problemi gnoseologici
nella fil. contemp., Cultura filosofica », nov. 1910; Masci, Scienza e
conoscenza, 1911. Economismo storico v. materialismo storico. Eopirosi
(ἐκ-πυρόω abbrucio). È la dottrina dell’ imbraciamento universale, che gli
stoici tolsero da Eraclito, facendone unn purte essenziale del loro sistema.
Secondo gli stoici, Dio è ad un tempo fuoco, anima del mondo, e ragione
seminale: all’ origine delle cose, la materia universale assorbita nel fuoco
divino, è uniformemente tesa © occupa un immenso spazio nel vuoto infinito; ma
poi, per via di graduale raffreddamento e condensazione, da codesto fuoco
vengono formandosi i diversi elementi, la terra ο gli astri, gli uomini © le
coso; costituito così il mondo, esso attraversa tutte le età e tutti gli
avvenimenti possibili, dopo di che ritorna di nuovo nel seno del fuoco divino,
che tutto invade e tutto penetra. Dio allora regna solo ο si concentra nella
contemplazione di sò stesso; ma Len presto egli si accinge alla formazione di
un nuovo mondo, che si risolverà esso pure nel fuoco, e poi ad un altro, ο così
via via all'infinito: ο ogni nuovo mondo corrisponde esattamente a quelli che
l'hanno preceduto e a quelli che lo seguiranno, perchè l’esenza divina è sempre
la medesima. Cfr. F. Ogereau, Le syst. philosophique des Stoiciens, 1885, cap. III (v. πιοπίηπιο, cosmogonia, palingenesi,
panteismo, stoioimho). Edonismo. T. Hedoniemus; I. Hedoniem ; ¥. Hédonisme.
Dottrina morale che identifica la virtù col piacere (ἡδονή) © sostiene non
esistere altro bene che il piacere e ultro male che il dolore. Nella storia
della filosotis 1’ edonismo è rappresentato specialmente dalla dottrina di
Aristippo di Cirene, secondo il quale unico bene per I’ uomo è il piacere
attuale ο presente, il piacere più vivo e immediato; è indifferente quale sia
l’oggetto del piacere, tntto dipende solo dal grado del piacere, dalla forza
del sentimento di soddisfazione, che si trova per lo più nel godimento sensuale
dell’ immediato presente; la speranza d’ an bene futuro è sempre unita all’
ingnietudine dovuta all’ incertezza del destino, © perciò non è un vero bene.
L’ edonismo non va confuso nd con I’ atilitariemo, nè con l’ eudemoniemo, poichè
il primo al piacere immediato sostituisce l'interesse ο P utile, il secondo
pone come fine ultimo la felicità, che consiste in un piacere il cui valore
deve essere giudicato dalla ragione (v. Cirenaioi). Educazione. T. Ersichung;
I. Education; F. Education. Fu variamente intesa e definita. Secondo Kant, è lo
s luppo nell’ uomo di tutta la perfeziono che comporta la sua natura; per lo
Spencer è la preparazione alla vita completa; per lo Stein è I’ evoluzione
armonica ed uguale dello facoltà umane; per il Joly è la totalità degli sforzi
che hanno per scopo di dare all’ uomo il possesso compiuto ed il buon uso delle
sue facoltà, ecc. Come è facile vedere, si confonde bene spesso il fatto della
educazione con In scienza della educazione ; questa è la serie delle operazioni
con le quali si educa, quella il risultato di tali operazioni. In questo
secondo senso, che è il solo legittimo, si può dire che l'educazione non è
altro che un’ abitudine buona EFR-EFF e perfezionatrice, sia negativa che
positiva: negativa in quanto contrasta con le tendenze riprovevoli, positiva in
quanto crea delle speciali attitudini ed abilità fisiche, intollettuali e
morali già possedute dalla società in genere. Si distingue perciò un'educazione
fisica ο del corpo, una educaziono éntellettuale ο dell’intelligenza, e una
educazione morale ο del carattere. All’ efficacia dell’ educazione possono
contrastare I’ eredità ο V ambiente; tuttavia so codesti fattori spesso si
rivelano con forza irresistibile (specie nelle nature estreme, idioti, geni,
degenerati), più spesso ancora l'educazione riesce a modificarli radicalmente. Dicostruite mediante le sensazioni si
trasformano, si precisano, si completano e ϐ) organizzano con gli altri
fenomeni psichici ; con la stessa espressione si indicano anche i mezzi con cui
s' insegna a correggere gli errori (illusioni) che derivano dalla costituzione
stessa degli organi sensori, a distinguere lu diversa qualità e intensità delle
sensazioni, a conoscere le sensazioni simili, ad apprezzare le distanze, ecc. Nol linguaggio teologico dicesi eduoazione
dirina quella che l’uomo riceve da Dio, per effetto della rivelazione; essa
coincide con l’origine del mondo, à data e continuata parte con parole parte
con fatti; ha quattro fasi, Poriginaria, la patriarcale, la mossica e la
cristiana; quantunquo queste fasi si debbano riguardare come un solo tutto
strettamente connesso, poichè attraverso esse si svolge il piano divino
dell'educazione, tuttavia le prime tre si considerano come fasi preparatorie
dell'ultima, la più perfetta di tutte, perchè manifestazione diretta di Dio (v.
pedologia, didattica, pedagogia). Efettici (épextixot). Con questo nome furono
designati qualche volta gli scettici (v. zetética). Effetto. T. Wirkung,
Effekt; I. Effect; F. Effet. Ciò che è prodotto da una causa. Un avvonimento
qualainai ai co cepisce come effetto quando lo si considera come cominciante ad
esistere, ossia quando si pensa la sus nuova esistenza come una mutazione o
come una operazione: L'effetto i distingue dall’ accidente perchè, mentre
questo si considera come una cosa sola colla sostanza e ls determina, l’effetto
si concepisce invece come separato dalla causa cd appartenente ad altro essere.
Gli scolastici chiamavano effectus primarius o intrinsecue il composto concreto
0 In denominazione, che risulta dalla forma unita ad un soggetto capace: ad es.
l’effetto primario del calore, per cui l’acqua si riscalda, è l’acqua calda
stessa; effectua secondarius © extrinscous qualsiasi effetto positivo ο
negativo, che risulta dall’ unione della forma nel soggetto, in modo da essere
adeguatamente distinto dalla forma o da restarle estrinseco, ad es.
l'allontanamento del freddo dall’ acqua. Efficace. T. Firksam; I. Efficace; F.
Efficace. Usato come sostantivo, designa il potere che ha la causa’ di produrre
l'effetto; non è dunque che I’ obbiettivazione dello sforzo che proviamo nell’
agire, la virtualità dell’ effetto nella causa, costituita dall’ aspettazione
di B che abbiamo visto segnire costantemente ad A. Si suol opporre l’ efficace
alla condizione, che è ciò senza di cui la causa non agirebbe, e alla
occasione, che è il semplice concorso delle circostanze in presenza delle quali
la causa agisce (v. causa). Efficiente. T. Bewirkende; I. Efficient; F.
Eficiente. Du Aristotele in poi dicesi causa efficiente, per opposizione alla
finale © alla oocasionale, il fenomeno che ne produce un altro, o l’ essere che
produce un’ azione. Alcuni distinguono la causa efficiente dalla efficace:
questa produce I’ effetto senza nulla perdere o cedere della propria natura, o
della propria efficacia d’agire ulteriormente, quella produce I’ effetto
trasformandosi in esso parziahnente ο totalmente. Gli scolastici dicevano concorrere eficienter
ο effeclire ad alcunchè, l’operare immediatamente I’ azione; concorrere
directive, dare le norme dell’azione; concorrere finaliter dare la ragione
finale dell’azione. 2A RarzoLi, Dizion,
di scienze filosofiche Eco 354 Egoismo. T. Egoiemus, Selbatliebe, Selbateucht
; I. Egoiem, Selfishness} F. Égoïsme. Nel suo senso più proprio designa V amore
di sb stessi, che è naturale ed inevitabile, che nocompagna l'individuo dalla
culla alla tomba e che, se può dar luogo a sentimenti bassi e volgari, è anche
1’ unico fondamento delle azioni 6 dei sentimenti più generosi. Nel suo
significato più comune, per egoismo si intendo invece l'umore assoluto ed esclusivo
di sè, onde I’ individuo non cura che sd stesso anche a prezzo del danno
altrui. All’ egoismo si oppone l’alfruismo o antiogoismo, che consiste nel}
esercizio dell'attività propria al benessere altrui, ed è pure, come l’egoismo
inteso in senso proprio, fondamentale, primordiale ed essenziale nella condotta
umana, avendo la sua origine nell'organismo stesso, in quanto comincia con la
propagazione della specie. Secondo Hobbes l'egoismo è l'impulso fondamentale
dell’uomo, ognuno tendendo a conservare sè stesso o ad estendere In propria
forza fin dove può; nello stato di natura esso domina sfrenato, e cià che lo
soddisfa si chiama hene, ciò che lo contrasta si chiama male; ma poichè da ciò
ne deriva la lotta di ciasenno contro tutti, che offende lo stesso egoismo
indivi duale, è stato fondato lo Stato come contratto per la mutua garanzia
dell’ anto-conservazione. Lo Spinoza accettò questa teoria, ma introducendola
nella sua metafisica le diede una importanza più ideale: anche per Ini P
essonza «ogni volere è il suum esse conservare, ma poichè ogni modo finito
appartiene ugualmente ai due attributi, spirito e corpo, così il suo istinto di
conservazione αἱ rivolge tanto alla sua attività cosciente, ossia al sto
sapere, come alla sus affermazione nel mondo corporeo, ossia al sno potere: per
tal modo Pimpulso fondamentale di ogni vita volitiva individuale vien riferito
all'identità baconiana di sapere e potere. Nella filosofia sociale
dell'illuminismo 1? egoismo è assunto pure come fondamentale; per il
Mandeville, ad es., la vitalità del sistema sociale si fonda tutta sopra In
lotta dl interessi degli 355 Eco individui, e la forza impulsiva nella
civilizzazione è solo l'egoismo; non è quindi da meravigliare se la cultura si
manifesta non mediante nn elevamento delle qualità morali, ma solo con un
raffinamento dell’ egoismo; la felieità dell'individuo non »' accresce per
effetto della civiltà, perchè se ciò accadesse, l'egoismo ne rimarrebbe
indebolito, mentre su questo punto si fonda il suo progresso. La morale
evoluzionistica dello Spencer è basata tutta sopra il gioco di questi tre
sentimenti: Pegoismo, cheha per oggetto l’ interesse individuale; 0 allrujemo,
che ha invece per oggetto il benessere degli altri e della società:
l'ego-altruiemo, che rappresenta una via di merzo tra il primo e il secondo ο
mediante il quale si produce 1 armonia tra l’ individuo e il suo ambiente. Ora
la evoluzione morale non tende a sacrificare l’egoiamo all’altruismo, bensì a
contemperare le due forme tra loro: e cioè I’ individuo si modifica per
adattarsi sempre meglio all’ ambiente rociale, e questo si modifica a sua volta
per soddisfare sempre meglio alle necessità dell’ individno. E tanto immorale
l’assoluto altruismo come I’ egoismo esclusivo: l'individuo non deve vivere
soltanto per sè, ma neppure soltanto per gli altri, poichè neppure agli altri
può essere debitamente ntile se non cerca nella cura di sè stesso le condizioni
adatte a tal fine. Dall’ egoismo pratico o morale, del quale abbiamo ora
parlato, si distingue l'egoismo teoretico 0 aolipsiamo, dottrinn gnoseologica
secondo la quale ogni singolo apirito non è certo che della sun propria
esistenza, non può atfermare che sè stesso; lu realtà di tutto il resto è problematica,
nè pnd essere affermata: Un egoista, dice Ch. Wolft, è nello stesso tempo un
idealista, e non considera il mondo colloeato in altro spazio che nel proprio
pensiero ». Però questo significato della puroln egoismo, comune nel secolo
18°, oggi non à più in nao, ndoperandosi invece le espressioni solipsismo,
idealismo soggettivo, nihiliamo, eve. Cfr. Ch. Wolff, Fernünflige Gedanken, 1725; Sidywi
EGo-ELa 366 Methods of elhios, 1877, p. 88, 116, 194;
Bain, Mental and moral soience, 1884, p. 598 seg.; Spencer, The data of ethice,
1879; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 323 segg.; Ardigò, Opere fil., vol. III, p.
11-14, 204 segg. (v. odoniemo, egotismo, idealismo, illuminiemo, unioismo,
utilitarismo, intorease). Egotismo. I. Egotism; F. Égotisme. Gli inglesi chinmano
così il grado più profondo dell’ egoismo in cui, per una specie di ipertrofia
dell’ io, ogni sentimento nobile, ogni tendenga altruistica è distrutta, I’
affettività è quasi annientata e predominano soltanto le passioni più basse. I’
egotiamo è una delle stimmate psicologiche della degenerazione, anzi la
fondamentale secondomolti psichiatri, i quali riconducono ad essa tutti i
caratteri propri della condotta dei degenerati, come lo sviluppo eccessivo
della sensibilità morale, la smania di richiamare su sò stessi l’attonzione
altrui, la misantropia e la diffidenza che ri‘sultano dal non trovare nei
rapporti sociali le desiderate soddisfazioni dell’ amor proprio. In un altro senso, più letterario che
filosofico, per egotismo s’ intende l’analisi particolareggiata fatta da uno
scrittore della propria individualità fisica e mentale. Quest’ uso risale allo
Stendhal: «Se questo libro non annoia... si vedrà che I’ egotismo è un modo di
dipingere questo cuore umano, nella conoscenza del quale abbiamo fatto dei
passi da gigante dal 1721 in poi, ecc. ». Cf. Stendhal, Souvenirs d’ égotieme,
p. 81; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 480 segg. ; Lombroso, Pazzi ο
anomali, 2° ed. 1889. . Eguaglianza v. uguaglianza. Elaborazione. T.
Ferarbeitung ; I. Elaboration; F. Elahoration. Le attività ο facoltà di
elaborazione della conoscenza si distinguono da quelle di acquisizione: queste
sono costituite dall’ esperienza, sia interna che esterna, mediante cui si
acquistano i materiali della conoscenza, quelle dall'astrazione,
dall’immaginazione costruttiva ο ELE riproduttiva, dall’ associazione, ecc.,
che trasformano e organizzano i materiali stessi. Bleatismo. T. Eleatirmua; I.
Hleatiom: F. Eloatiome. Senola filosofica greca, iniziata da Senofane (569 a.
Cr.) © proseguita da Parmenide, Zenone e Melisso. 11 problema che essa cerca
risolvere è quollo del cangiamento. Opponendosi ad Eraclito, per il quale la
realtà è lo stesso cangiamento, il moto, il puro diventare, gli eleati
sostengopo che il vero Resle è uno ed immutabile e che lo cose molteplici ο
variabili non sono se non illusioni del nostro senso. Per Senofane codesto Uno
immutabile, eterno, perfottissimo è Dio, 1’ nnico Dio e l’ unico reale ad un
tempo; per Parmenide invece è 1’ Essere assolutamente intelligibile, che
riempie lo spazio: Bisogna ammettere in maniera axsoluta, egli dice, o l'essere
o il non-essere; la decisione su questo soggetto è tutt’ intera in queste
parole: è 0 non è. Ora, non si può conoscere il non-essere, poichè è imporsibile,
nd euprimerlo con parole; non resta dunque che una cons: porre l’ essere © dire
esso è, ἔστι. In questa via, molti sogni si presentano per mostrare che I?
essere è senza nuscita © senza distrazione; che è un tutto d’ una sola specie,
senziî limiti, immobile, che non era nd sarà, poichè frattanto è tutto intero
ad un tempo, e che è nno, senza discontinnità ». Melisso e Zenone, discepoli di
Parmenide, ne svolsero lo dottrine, il primo in modo diretto e positivo, con
rigoroso ordine scientifico, il secondo in modo indiretto, corcando di
dimostrare gli assardi nei quali si cade inevitabilmente se si ammette la
pluralità del reale e la possibilità dol moto. Cfr. Ritter, Geschichte d.
jonischen Philosophie, 1821: G. Fraccaroli, I lirici greci, 1910, p. 139 segg.;
Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1918, vol. I, p. 42 segg.
‘Elemento. T. Element; I. Element; F. Élément. Deriva, secondo il
Trendelenburg, dalla corrnzione del latino olomentum, che il Vossio fa venire
da una antica voce cleo per oleo= cresco; secondo altri deriverehbe invece dal
EL 358 greco Όλημα (Όλη = materia) ο da ἄλημα pulviscolo di farina. Nel suo significato
proprio designa le parti ultime, costitutive della materia, che non sono
passibili di ulteriore decomposizione, e in questo senso è adoperato dai
fisici. Nel suo significato astratto si adopera per designare le parti più
semplici ed essenziali di qualunque scienza ο dottrina. I filosofi antichi
chiamavano elementi le sostanze ogiginarie da cui ogni cosa deriva e in cui
ogni cosa si corrompe ; per Empedocle tali sostanzo erano quattro: aria, acqua,
terra © fuoco, ὁ questa dottrina fu seguita fino al Lavoisier. Con la parola
elemento alcuni intendono, nella psicologia, una faccia o una particolaro
qualità di un fenomeno © di uno stato di coscienza; i sonsisti e gli empiristi
intendono invece la sensazione pura e semplice ; altri infine, come l’Ardigò,
intendono per elemento psichico la sensazione minima (protoestema). Ad ogni
modo, è chiaro che anche nella psicologia, come nella nostra conoscenza presa
nel sno insieme, la nozione di elemento è aftatto relativa, perchè il limite
dinanzi al quale ci arrestiamo non è un limite se non per noi, che può essere
sorpassato dugli altri osservatori e nelle epoche successive. Cfr. Goclenius,
Lexicon philosophicum, 1613, p. 145; Trendelemburg, Élementa logioes aristoteleæ,
1878; H6fding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 24, 112; Wundt, Grundriss d.
Paychol., 1896, p. 3336; V. Alemanni, L'elemento peichico, 1903; Ardigò, Op.
fil. vol. VII, p. 34 segg. (v. protoestema). Elenoo (ἔλεγχος confutazione). È l’esume contradditorio col
quale Socrate confuta gli errori © distrugge la falsa sapienza. La parola è
rimasta appunto per indicare il ragionamento refutativo ; dicesi anche
redarguizione. Por ignoratio elenchi intendesi quella specie di sofisma, che
consiste nel dimostrare ο refutaro una cosa diversa da quella che è in
questione. Cfr.
Aristotele, Anal, pr., II, 20, 66 L, 11; Logique du Port-Royal, parte III, cap.
XIX (v. elenotica, ironia). 359 Elenctica. Una delle tre arti speciali della
dialettica, intendendo per dialettica l’arte del ragionamento. Essu ha
l'ufficio di confatare le proposizioni false, ed ha per antecedente opposto l’
affermazione dell’ avversario, che si deve abbattere. Si distingue dall’
apodittica, altra parte della dialettios, in quanto suppone un avversario, fauso
di sillogismi puramente formali in cui le premesse, o una di esse, sono tolte
all'avversario, e può risalire ai pri principi. Essa si vale dell’ spioherema e
dell’ elenco: il primo obbliga l'avversario a cadere nella contraddizione, il
secondo lo convince d’ esservi caduto. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 841 (v.
maieutica, ironia, anatreptica, agonistica, apologetica). ‘Eliminazione. T.
Elimination; I. Elimination; F. Élimination. L'operazione logica che si compie
nella ricerca scientifica, per fissare i rapporti di causalità tra i fenoineni,
sceverando le circostanze essenziali dalle non essenziali alla produzione del
fenomeno stesso. Consiste nel moltiplicare il più che sia possibile le
‘osservazioni © gli esperimenti, in modo da ottenere la separazione degli elumenti
causali da quelli che non lo sono, cioè dalle circostanze accessorie e dai
concomitanti casuali. L’ eliminazione ha il suo fondamento logico sopra questi
tre assiomi della causalità: ogni antecedente, che non può essere eliminato
senza che l’effetto scompaia, è causa ο fa parte di essa; ogni antecedente, che
può essere eliminato senza che l’effetto scompaia, non è causa nd fa parte di
essa; un antecedente e un conseguente, che variano correlativamente in qualità
e quantità, sono in rapporto causale tra di loro. I quattro metodi induttivi
dello Stuart Mill, si basano cssenzialmente sopra l'eliminazione: il metodo di
concordanza ha il suo fondamento sopra il secondo nssioma della causalità; il
metodo di differenza sul primo; il metodo delle variazioni concomitanti sul
terzo; il metodo dei residui è il risultato della applicazione di tutti tre. Cfr. Hncone, NoELi-Ema 360 vum organum, II, 18; Stuart Mill, System
of logic, 1865, III, 8, $ 3 (v. causa). Eliocentrico. (#Atoç = sole). È detto così il sistema astronomico di
Copernico e Galileo, che pone nel centro del nostro sistema planetario il sole,
e della terra fa un pianeta che gira intorno a sò stesso © al sole. Geocentrico
era invece il sistema astronomico degli antichi, che poneva la terra come
centro dell’ universo. Elioteismo. T. Eliotheismus; I. Eliotheism; F. Eliova di
monoteismo naturalistico, che riconosce nel sole l’incarnazione di Dio; forma
analoga, ma meno importante, è il selenoteismo ο culto della luna. La scienza
moderna riconosce, secondo alcuni, il fondamento dell’elioteismo, in quanto la
vita umana, come ogni altra forma di vita organica, si deve ricondurre in
ultima analisi al sole raggiante: 1’ astrogenia dimostra che ogni corpo
celeste, compresa la terra, è una parte staccata dal sole; e la fisiologia
insegna che l’origine della vita organica sulla terra è la formazione del
plasma, e che questa sintesi da semplici combinazioni inorganiche avviene
soltanto sotto l’azione della luce solare. Cfr. Haeckel, I problemi dell’ universo,
trad. it. 1902, p. 885 seg. (v. vita). Emanatismo o emanazionismo v.
emanazione. Emanazione. T. Emanation; I. Hmanation; F. Emanation. Dottrina
filosofica e religiosa dell’ Oriente, secondo la quale da Dio sortirono e
sortono tutti gli esseri che costituiscono l’ universo, senza che per questo la
sostanza divina diminuises o si esaurisca mai. L’ emanatiswo si trova nella
religione di Zoroastro, nella Cabbala e nella mitologia ebraica. Esso assume
formu veramente filosofica nel neoplatonismo di Plotino, secondo il quale il
Tutto nasce per l'irraggiamento intorno a sò (nepidapdtc) delP Uno immobile,
cioè dell’ Unità suprema incomprensibile e ineffabile. L’immediata produzione
dell’ Uno è il Noo (9οῦς), cioè I’ intelligonza, che emana da quella come la 361 Ens-Enı luce dal sole; dal Noo emana l’anima
del mondo, ο da questa emanano le anime individuali. Qui si ferma il graduale
irraggiamento dell’ Uno ; perchè se è vero che l’ anima produce il corpo, la
materia, che ne è il sostrato, non è più Ince ma ombra. Distingnendo emanazione
dell’ essenza ed emanazione della forza, la filosofia di Plotino è definita
come un emanatiemo dinamico. Cfr. Plotino, Enn., II, 4,10 segg.; V, 1, 3 segg.
(v. oreasionismo, cabbala, logos, x00, demiurgo). Embriologia. I. Embryologie;
I. Embryology; F. Embryologie. Quella parte della biologia che studio il modo
di generazione e sviluppo degli esseri. Con questo termine si designa aucora lu
formaziono embrionale © lo sviluppo dell’ essere medesimo, che consisterebbe
nella ripetizione compendiata delle vicende storiche attraversate dalla specie,
dal genere, dalla famiglia, dall’ ordine o dalla clusse rispettiva, durante la
sus evoluzione diflerenziativa: in altre parole l’ embriologia, ossia la
morfogenesi individuale, non sarebbe che il risssunto della genealogia, ossia
della morfogenesl atavica. Cfr. Bergh, Vorles. üb. allgemoine Embryologie,
1895; (i. Cattaneo, Embriologia e morfologia generale. od. Hoepli (v.
filogenesi). Emianopsia o emiopia. T. Hémianoprie, Cecità parziale, in cui il
soggetto non vede che In metà destra ο In meta sinistro degli oggetti che
guarda; resta abolita per tal modo metà del campo visuale. Dipende da una
lesione delle fibre del nervo ottico, nel tratto che va dal chiasma alla
corteccia cerebrale. La lesione determina |’ aboliziono della visione nella
parte corrispondente del campo vinivo, ο cioè destra se la lesione è a destra,
sinistra se è n sinistra. Cfr. Techernig, Optique physiol.. 1498 (v. aocomodamento,
binooulare, diplopia). Eminente. T. i/berragend, Hervorragend: I. Eminent; F.
Éminent. Nella teologia dicesi ria eminentiæ, per opposizione alla via
remotionis o negationix, la determinazione Emo 362 della natura © degli attributi divini mediante
1’ aflermazione in grado sommo di tutto I’ essere e di tutte le perfezioni che
esistono nelle creature. Nella Scolastica unn causa è detta contenere eminenter
I’ effetto quando è molto più perfetta di esso, non contenendone i difetti e le
imperfezioni; lo contiene invece formaliter quando ha la stessa natura dell’
effotto. Nel linguaggio di Cartesio, 1’ esistenza ominente è l’esistonza in
tutta la sun realtà; I’ esistenza ‚formale è V esistenza in sè; l’esistenza
obbiettira è l’esistenza per il pensiero e nel pensiero, cioè come oggetto
doll’ iden. L'esistenza eminente possiede quindi tutta In renltà o perfezione
che è nell’ esistenza formale, e oltre. Siccome tutto ciò che vi ha di resle
nel mondo vieno da Dio, così il mondo esiste eminentemente in Dio. Il Berkeloy,
dopo aver negata I’ esistenza dei corpi, pone, ispirandosi a Cartesio, una
causa eminente delle idee che loro corrispondono; questa cansa è Dio, cosicchè
le idee del mondo esterno non sono che il linguaggio col quale Dio parla agli
spiriti finiti, per regolarli nella loro vita pratica. Cr. Heinrich, Dogm. theol.,
1879, t. III, $ 166; Goclenius, Lexioon phil.. 1613, p. 146; Descartes,
Troirième meditation, $ 17 © 18; Berkeley, Treat. on the prino., 5 segg.; Ch. Wolf, Philos. prima site ontologia, 1736, $
845. Emozionale (linguaggio). T. Ansdruoksbewegungen; 1. Expression of emotion;
F. Expression de l'émotion. Quell’ insieme di modificazioni organiche e di
movimenti istiutivi, cho costituiscono l’aspetto fisico delle emozioni, ο, in
quanto appaiono esteriormente, servono a indicare le corrispondenti emozioni,
per l'esperienza che ne abbinmo. ‘Tali modificazioni e movimenti, appunto
perchè possono richiamare per wwociuzione negli altri individui lo stato
psicologico corrispondente, diconsi segni emozionali, o patognomici, v
eapressiri. Il Darwin ha spiegato I’ espressione delle emozioni con questi tre
principi: 1° associazione delle abitudini utili: le azioni che sono utili a
soddisfare certi desideri ο Emo bisogui, si associano cou questi in modo che,
riprodu dosi questi anche in circostanze diverse, quelle pure si riproducono;
2° azione diretta del sistema nerroso: quando un centro nervoso è fortemente
cccitato, la sua energia o ribocca in certe determinate direzioni v è
apparentemente sonpesa; 3° l’antitesi: quando si hanno stati opposti ni precedenti,
tendono a prodursi movimenti opposti ni precedenti, benchè inutili. Questi
princip non sono da tutti accettati, ed il Wundt ha ad essi sostituito i tre
seguenti: dell’ associazione delle sensazioni analoghe, dell’ innervazione
diretta e del rapporto del movimento colle rappresentazioni sensoriali. Ad ogni
modo, le espressioni organiche delle emozioni hanno una ragione protettiva,
anzitutto perchè servono di deviazione alla forte eccitazione nervosa,
secondariamente perchè, specio nelle popolazioni primitive, esse avevano lo
scopo della difesa, orano l’inizio della lotta. Questo fatto si riferisco alla
legge seguente: un sentimento represso e quindi non troppo intenso, dà luogo al
principio di quell’ atto u cui darebbe luogo il sentimento stesso qualora
raggiungesse un certo limite d’ intensità, e non forse frenuto. Cfr. Darwin, The expression of
the emotions, 1865, cap. 1; Spencer, Principles of psychology, 1881, vol. II,
p. 545 segg.; Wundt, Grundzüge der physiol. Peyohol., 1893, vol. II, Pp. 504
segg.; Hiffding, Psychologie, trad. frane. 1900, Ρ. 126 segg. Emosione (e che vien da, motio movimento).
T. Affekt, Gemiithabewegung ; I. Emotion; F. Emotion. Dosigna, nella psicologia
moderna, uno stato della medesima natura del sentimento, ma molto più forte di
esso in quanto sorge d'improvviso e durante un certo periodo di tempo κ’ impone
allo spirito, arrestando l'associazione libera e naturale delle
rappresentazioni. La passione non à che una emozione divenuta irresistibile 6
persistente. Secondo alcuni psicologi moderni (Lange, James, Ribot, Mosso)
l'origine dell’ emozione si ricondurrebbe a movimenti organici; l’cleEmo 364 mento affettivo, che fa parte di esse, non
sarebbe così attribuito al pensiero, ma si ridurrebbe alla sensazione, alla
cenestesi, in altre parole al riecheggiare nella coscienza di più o meno
profonde alterazioni somatiche. Per tal nudo l'emozione risulterebbe di questi
tre momenti : rappresentazione della cansa; movimenti puramente riflessi del
corpo, modificazioni vasomotrici, contrazioni muscolari; coscienza dei
movimenti organici. Ad appoggio di questa teoria si osserva che, se di
un'emozione qualsiasi, ad es. la gioia, si tolgono le sensazioni organiche, 1’
emozione svanisce e non rimane che un'idea pura; ο che, d’altro canto, se si
producono artificialmente i concomitanti fisiologici dell’emozione stessa, non
solo si vedrà apparire l'emozione medesima, ma essa cercherà e troverà una
causa immaginaria, come avviene negli ubriachi ο nei malinconici. Tra questa
teoria somatica della ernozione e la teoria tradizionale ο intellettualieta
(secondo la quale lo stato mentale sarebbe la oansa delle modificazioni
organiche) sta la dottrina intermedia, secondo la quale l’emozione sarebbe la
sintesi complessiva di un particolare stato organico e di un particolare stato
psichico, agenti reciproca mente l’uno su l’altro. Le emozioni farono
classificate in depressive e diesaltamento, che sono le due forme principali
sotto cui si manifesta il loro carattere fisiologico ; Kant chiamò le prime
steniohe, lo seconde asteniche. Si dicono emozii potiori quei piaceri ο dolori
intellettuali, che si godono per la sola superiorità della intelligenza: tali
sono Ve. logica, che è esaltativa quando è costituita dal piacere della ricerca
e della scoperta del vero, depressiva quando risulta dalle pene dol dubbio e
dall’ avversione dell’errore: Pe. entetica, che risulta dalla contemplazione
del bello naturale ed artistico (esalt.) e del sublime (depres.); Pe. morale,
che sorge dalle azioni conformi (esalt.) o non conformi (depres.) all’ ideale
del bene; l’e. religiosa, che ha origine dal sentimento del legame che unisce
il nostro allo spirito misterioso, di cui riconosciamo la dominazione sul mondo
¢ sn noi stessi. Cfr. Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, p. 130; Anthropologie,
1872, § 71, 72, 74; Wundt, Grundzüge d. physiol. Payohol., 1893, II, p. 405 segg. ; Grundriss d.
Paychol., 1896, p. 199 ; Jodl, Lehrbuch d. Payohol., 1896, p. 692; Bain, The
emotions and the will, 1865; Spencer, Prino. of peyohol., 1881, II, p. 514
seg.; Sully, Outlines of peychol., 1885, p. 454; W. James, La théorie des
émotions, 1908; Lange, Les émotions, trad. franc. 1895; Th. Ribot, La Φεγολοὶ. des sentiments, 6* ed. 1906; Sergi, Lee émotions,
trad. franc. 1901; Mosso, La peur,
trad. franc. 1886; Ardigd, Op. fil., V, p. 506 segg.; F. B. Jevons, L'idea di
Dio nelle rel. primitive, 1914, p. 24-27 (v. emosionale, sentimento, passione).
Empirioo. Gr. Ἐμπειρικός: T. Empivisch; I. Empi cal; F. Empirique. Vocabolo
usato nei primi secoli dell'era nostra per indicare nna scuola di medici, che
si dicevano ἐμπειρικοί per opposizione ad altri detti λογικοί. Entrò poscia nel
linguaggio filosofico, per designare ciò che nppartiene all'esperienza, sia
esterna che interna; si oppone quindi a innato, rasionale, a priori. Talvolta
si oppone anche @ sistematico per indicare ciò che è un risultato immediato
dell'esperienza e non si deduce da alonna altra legge ο proprietà conosciuta,
Nell’ uso kantiano empirico si contrappone a puro, © indica ciò che
nell'esperienza totale non deriva dalle forme o dalle leggi dello spirito
stesso, ma allo spirito è imposto dal di fuori. Cfr. Sesto Empirico, Aypot.
pyrr., I, cap. 34; Ade. Logiooa, II, $ 191, 327; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
od. Reclam, p. 49. Empiriooritieismo. T. Empiriokritioiemus; I. Empirioeritieism
; F. Empiriocriticieme. Il sistema filosofico dell’Avenarius, detto anche
filosofia dell'esperienza pura, in quanto si propone di ristabilire
l’esperienza pura con un processo di eliminazione di tuttocid che è un'aggiunta
arbitraria del pensiero, di spiegare psicologienmonte e fisiologicamente la
genesi dell’ illusione metafisica. Secondo Emp esso, tutto lo sviluppo della
filosofia © della conoscenza si riduce al principio dell’ inerzia, del minimo
consnmo di forza, che in rapporto alla vita psichica si esprime corì: il
contenuto delle nostre rappresentazioni dopo una nuova appercezione, ha la
massima somiglianza possibile col contenuto anteriore. In quanto poi l’aninia è
soggetta alle condizioni dell’esistenza organica e ai bisogni dell’adattam
questo principio diviene una legge di sviluppo: Pani non impiega in una
percezione più forza di quella che sin necessaria, e, quando si trova innanzi a
una pluralità di apporcezioni, dà la preferenza a quella che con nuo sforzo
minoro produce lo stesso effetto, o con uno sforzo uguale produce nn effetto
maggiore. Questa tendenza dell'anima al risparmio di forza, spiega la legge di
assimilazione, per cni il nuovo è ricondotto all’antico, il noto all’ignoto; e
spiega la creazione dei concetti, che con un unico sforro di coscienza ci
rendono possibile di abbracciare nn grande numero di oggetti. In tutte le
scienze agisce questo principio, facendo sì che i concetti e lo leggi
particolari siano condensati in concetti e leggi più universali; la filosofia,
che vuol darei un concetto universale del mondo, è In meta ultima a cui conduce
il bisogno di risparmiare l'energia della coscienza. Man mano che si procede
innanzi, si minano le aggiunte inutili all'esperienza, aggiunte che sono di tre
specie: le mitologiche, che pongono nel dato reale In forma di tutto il nostro
essere; le antropopatiche, che attribuiscono agli oggetti i nostri sentimenti;
le intellettnali o formali, che aggiungono all'esperienza certe forme proprie
dell’ intelletto umano (causa, sostanza, ece.), La pnrificazione delle due
prime è oggi quasi completa per effetto dell’evoluzione scientifica; purificare
l’esperienza anche dalle terze, ecco il cémpito della critica dell’esperienza
pura, la quale «i contrappone quindi alla critica della ragion pura di Kant,
che ha affermato invece la nedi tali forme por la spiegazione dei fenomeni, Que
867 Emp sti tre momenti della
conoscenza, al pari d’ogni altra forma di attività psichica, anche rudimentale,
si riducono a tre fasi successivo della serie vitale, cui corrispondono tre
fasi della serie psichica. Le tre fasi vitali sono : 1° turbamento
dell'equilibrio organico normale ; 2° processi intermedi per ristabilirlo ; 3°
ristabilimento di esso e delle condizioni favorevoli alla conservazione
dell'organismo. Le tre fasi paichiche corrispondenti sono: 1° momento di
insoddisfazione, per il presentarsi di valori psichici, che, in contrapposto n
ciò che tinora si è caratterizzato reale, vero, abituale, ecc., hanno il
carattore dell’ inaspettato, del nuovo, del problematico, ecc.; 2° ricerca di
ciò che è reale, evidente, noto, sicuro; 3° chiusura della ricerca col
raggiungimento del vero. Cfr, Avenarius, Kritik d. reinen Erfahrung, 1888-90;
Der menschliche Weltbegrif, 1891; Philosophie ale Denken der Welt gemass dem Princip
des Kleinston Krafimasses, 1908 ; Petzold, Einführungn in die Philos. d, reinen
Erfahrung, 1904; Hôtiding, Philosophes contemporains, 1908, p. 119-122; Aliotta,
Riccardo Avenarius, Cultura filosofica », maggio 1908; Id., La reazione
idealistira contro la sciensa, 1912, p. 68-110 (v. economica concezione).
Empirismo. T. Empirimus; 1. Empiriciem; F. Empirisme. Dottrina psicologica, che
fa derivare tutte le nostre conoscenze dall'esperienza sia esterna che interna
(riflessione). Bi dice quindi empirismo, o anche sperimentalirmo «_positiviemo,
quell’ indirizzo scientifico e filorofico che considera come solo oggetto di
conoscenza il fenomeno, ο come solo metodo di ricerca l'osservazione,
l'esperimento © induzione. L’empirismo psicologico si oppone all'innatiemo e nl
razionalismo, che considerano alenne idee fondamentali ο i principi supremi
della ragione, como anteriori all'esperienza e ad essa irreducibili. Si
distinguo anche dal sensiemo, che pone la sensazione esteriore come la fonte
unica di tutte le nostre conoscanze, mentre l'empirismo propriamente detto lo
fa derivare dn due sorgenti: END 368 l’esperienza esterna, ciod le sensasioni, ©
l’esperienza interna, cioè la riflessione. Il massimo rappresentante dell’empirismo
fu Giovanni Locke, del seusismo il Condillac. Dicesi empirismo radicale la
dottrina che, considerando i principi, le leggi, ο le forme della conoscenza
come convenzionali, o come aventi un puro valore economico di comodità, d’uso,
vuol liberarne la conoscenza stessa per risalire all’esperienza pura, al fatto
bruto che solo La valore reale, ossia alla sensazione; per essu infatti
l'universo è ito di clementi sensoriali, i quali, secondo che si uns ο in altra
maniera, ci danno le determinazioni più diverse della realtà, quali l’io, da
una parte, © il non-io dall'altra, nelle sue varie forme ο specificazioni (v.
economica, empiriocriticiemo, innatismo, prammatismo, sensazionalismo).
Endictioa. Quella parte della dialettica che ha per scopo di stabilire le
proposizioni (ἐνδαικτική) ; appartiene all’agonistica, cioè l’arte dei certami
dialettici. Oggi è vocabolo poco usato. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 841.
Endofasia. T. Endophasie; I. Endophasy; F. Endophasie. E la successione delle
immagini verbali, con le quali si suole esprimere una successione di pensieri,
ma che rimangono allo stato psicologico, senza dar luogo si movimenti vocali,
quando tali movimenti importerebbero nna perdita di tempo e di forza. Dicesi
anche linguaggio interiore ed ha nei vari individui tipi fissi, a seconda che
caso è costruito su imagini acustiche, visive, motorie, ece. In alcune malattio
mentali codesto linguaggio interno si intensifica a poco n poco, finchè,
estendendosi I’ eccitazione all’ elemento psico-motore, l’individno, pensando,
dovo articolsre intensamente nel suo interno le parole; se l’irritaziono cresce
ancora, si ha la formazione di un impulso prico-motore che va agli organi
esterni della favelia, a l'infermo ha delle vere allucinazioni verbali paico-motrici:
da ultimo la stimolazione si scarica per le vie mo 369 END-Exr trici, © si ha l’articolazione
completa © la pronunzia distinta delle parole. Cfr. Ballet, Le langage intérieur
et lee formes do l'aphasie, 1886; Saint-Paul, Finde sur le langage intérieur,
1892; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438 segg. Endogamia. T. Endogamie; I. Endogamy: F. Endogamie.
Forma di costituzione famigliare, in cui più nomini ai uniscono con la stessa
donna scelta nel seno della tribù. Secondo Mac Lennan l’endogamia rappresenta
una delle primissime fasi dell’ evolnzione della famiglia: essa narebbe infatti
snoceduta immediatamente alla promiscuità, perchè, praticandosi nelle tribù 1’
infanticidio ed essendo più frequente il sacrificio delle femmine, più deboli,
ne segni che, per rimediare a questa deficienza di donne, si dovette ricorrere
ο al matrimonio poliandrico nell’ interno della stessa tribù, o al rapimento di
donne a tribit nemiche. Cfr. Mac Lennan, Studies in ancient history, 1878 ;
Starke, La famille primitive, 1891 (v. emgamia, elerimo, lerirato, matriarcato,
poliandria, famiglia). Endolinfa. T. Endolymphe; I. Endolymph; F. Endolymphe.
Liquido trasparente, che riempie le cavità del labirinto membranoso dell’
orecchio interno. È più denso della perilinfa, contenuta nel labirinto osseo,
in cni stanno lo terminazioni nervose del nervo acustico. Secondo molti
psicofisiologi, Cyon, Mach, Ewald, essa avrebbe una grande importanza nel
produrre le sensazioni di equilibrio e della orientazione nello spazio. Cfr.
Cyon, Recherches our ler fonctions des canaux nemi-circulatres, 1878; Mach,
Grundlinien der Lehre von den Bewegunsenpfindungen, 1874; R. Ewald, Pflügers
Arch, vol. LV, 1895. Energia. T. Energie: I. Energy: F. Énergie. Por Aristotele
la materia è la potenza (ὀύναμις) © ad essa si contrappone l’onergia, che è
l’atto, l’effetto realizzato nell'opera (νέργεια): questa si distingne alla sus
volta dalla entelechia (ἐντελέχεια), che accenna propriamente allo tato di
perfezione in cai la sostanza si trova nituata, mentre 24 RanzoLI, Dizion. di acienze filosofiche. Ένα 370 Penergia accenna alla reale attività che essa
esercita. Nella scienza moderna dicesi
energia la forza capace di lavoro; ed è attuale o cinetica quando il punto
materiale cui è applicata trovasi in moto effettivo; potenziale 8e il punto
materiale non è in moto, ma può effettivamente imprenderlo ; Venergia totale di
un sistema materiale ad un momento dato è la somma delle sue energie
potenziali. Energetica dicesi perciò quella parte della dinamica, che studia la
composiziono dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre
lavoro. Cfr. Aristotele, Metaph., IX, 6; Phys., VIII, 5; De an., II, 5; Georg
Helm, Dio Energetik nach ihrer geschichtlichen Entwickelung, 1898 (v.
energiemo, forsa, morimento, laroro). Energie specifiche (legge delle). T. Specifische Sinnesenergie;
I. Specific energy; F. Énergie xpeeifique des sens. Sotto la denominazione di legge delle energie
specifiche degli organi di senso » si intende la dottrina svolta primitivamente
da Giovanni Müller nel 1840, secondo la quale le diverse modalità delle
sensazioni non dipendono dalla differenza degli stimoli esterni che le
eccitano, bensì dalla natura specifica degli orguni. Essa è sinteticamente riassanta
nello seguenti proposizioni : a) Per effetto di canse esterne noi non possiamo
avere alcuna specie di sensazione, che non possiamo ugualmente avere senza
dette canse per la sensazione degli stati dei nostri nervi (ad es. nella
allucinazione, nel sogno, nelle sensazioni soggettive); 5) La medesima causa
interna, 0 la medesima causa esterna, produce sensazioni differenti nei diversi
sensi in ragione della loro propria natura o delln sensibilità specifica di
essi (nd es. l’iperemia produce fosfeni agli occhi, tintinnio agli orecchi,
ece.); 0) Le sensazioni proprie a ciascun nervo sensoriale possono essere provocate
da molteplici influenze sin interne sia esterne; la sensazione è la
trasmissione alla coscienza non di ana qualità o di uno stato dei corpi
esterni, ma di una qualità, di uno stato del nervo sensoriale, determinato da
una causa esterna, o queste qualità sono differenti nei differenti nervi
sensoriali (la sensazione del suono, ad esempio, è Venergia o qualità del nervo
acustico, e non ha nalla di comparabile con le vibrazioni dell’aria); d) È
ignoto se le cause delle energio diverse dei nervi sensoriali abbiano sede in
loro stessi ο nelle parti del cervello o del midollo spinale in cui terminano;
ma è indubitato che le parti centrali dei nervi di senso nel cervello sono
capaci di provocare le sensazioni proprie di ciascun senso, indipendentemente
dai cordoni nervosi. Questa dottrina, svoltasi sotto 1’ influenza della teoria
kantiana delle forme a priori della sensazione, ha suscitato molte discussioni
ο ancor oggi è assai dibattuta sin dai psicologi che dai fisiologi. Cfr. J.
Müller, Manuel de phyeiologie, trad. franc. Jourdan et Littré, I, 711;
Goldscheider, Die Lehre ron den spezifischen Energien, 1881: Weismann, Die
Lehre v. d. per, Sinnesenergien, 1895; Jodl, Lehruch d. Payohol., 1896, p. 182
segg. Energismo. Ί. Energismus; F. Energieme. Nella filosofia morale si oppone
a edoniemo, e designa quella dottrin che pone come fine della volontà
l’attività della vita; tale dottrina è specialmente sostenuta dal Paulsen. Nella metafisica o filosofia generale, designa
quella dottrina che tutta la realtà ridnco all’ energia, considerata come una
vera e propria sostanza (intendendo por sostanza ciò che v'ha di permanente nel
mondo esterno). Si contrappone tanto al mecoaniemo, in quanto nega la realtà
della materia, che si riduce alla energia, quanto al dinamismo, in quanto al
concetto soggettivo di forza sostituisce quello obbiettivo e scientifico di
energia. Tale dottrina è sostenuta oggi specialmente dall’Ostwald, che la fonds
su queste considerazioni: la sola cosa conosciuta e conoscibile è l'energia,
nella quale si esaurisce lo stesso concetto di materia; infatti ogni nostra
conoscenza del mondo esterno non è dovuta che all’azione sui nostri sensi delle
energie; poichè non solo noi ENE 372 abbiamo dell’energia una esperienza diretta
nello sensazioni dello sforzo muscolare, ma ciò che noi vediamo non è che un
lavoro chimio, prodotto dall'energia luminosa, ciò che noi udiamo è il lavoro
che le oscillazioni dell’aria compiono nell’orecchio interno, se tocchiamo un
corpo fermo sentiamo il lavoro meccanico che è impiegato nella compressione
della punta del nostro dito ο dell'oggetto; mentre gli altri concetti fisici,
massa, quantità di moto, ece., la cui grandezza sottostà alla legge della
conservazione, si applicano solo a un determinato campo di fenomeni naturali,
tutto ciò che noi ssppiamo del mondo esterno lo possiamo esprimere in termini
d’energia, la quale ci apparisce dunque come il concetto più generale che la
scienza abbia finora formato ; esistono delle energie specificamente diverse,
oltre le quali non è necessario andare per cercare il sostrato della materia
nella forza o nella cosa in sè, essendo tali energie la realtà ultima e unica.
Queste energie specifiche sono di forma, di volume, di distansa, di movimento:
nd es. si può diminuire il volume di un corpo con una compressione fatta in
modo da consorvarne la forma, spendendo dell’ energia, che sarà restituita dal
corpo, quando esso riprenderà il volume di prima, e che possiamo chiamare
energia di volume. Ma il concetto di energia offre ancora il mezzo di sistemare
sia i fenomeni biologici, che si riducono à trasformazioni di energie le quali,
a differenza di ciò che accade nel mondo organico, hanno la proprietà di
conservare il sistema; sia i fenomeni psichici, i quali non devono già
considerarsi come concomitanti dei processi energetici del cervello, socondo la
teoria del parallelismo psico-fisico, ma comeun’energia dovnta alla
trasformazione dell’ energia chimica del corvello, e che sottostà alle stesse
leggi delle altre forme. Il fatto che tutti i processi Bsici si possono
rappresentare come trasformazioni d'energia, si spiega appunto ammettendo che
In coscienza è esan stessa energia la
forma 373 ENO-ENT più alta e più rara che ci sia nota e
comunica questa sua proprietà all'esperienza esterna. Cfr. F. Paulsen, Ein leitung in
die Philos., 2° ed. p. 482; W. Ostwald, Chemische Energie, 1893; Die
Uberwindung d. wissenschaftl. Materialismus,
1895; Aliotta, La reasione idealiation contro la scienza, 1913, p. 468 sogg.;
R. Nasini, La chimica fisica, 1907, p. 31 (v. attivismo, materia, meccanismo,
dinamismo). Enoteismo. T. Henotoinnue. Max Müller .chiama così quello stadio
primitivo della religione, in cui si adorano oggetti diversi presi a volta a
volta isolatamente come rappresentazioni di un Dio (alç-évéç). Si distingue
quindi tanto dal monoteiemo, che è la credenza in un Dio unico © solo (μόνος),
quanto dal politeiemo che è ls credenza in più divinità gerarchicamente
disposte a seconda della loro potenza e dei loro attributi. Cfr. Max Müller,
Forlesunyen κ. d. Entw. d. Rel., p. 158 sogg., 291 segg. Ente. Lat. Æns; T. Sein; Dasein;
Woson; I. Boing; F. Être. Tutto
ciò che è. Ha quindi lo stesso significato di essere, col quale è sempre usato
promiscuamente, sebbene alcuni filosofi, tra cui il Rosmini, credano debbano
distinguersi. Gli scolastici chiamavano ene per se quello che ha una essenza
sola, ad es. l’uomo; one por acoidens quello che consta di più enti in atto, o
di enti di diversi predicamenti, ο di un predicamento solo ma ordinati fra loro
naturalmente, ad es. un bosco di alberi; ene rationis logioum quello che si
finge col pensiero pur avendo qualche fondamento nelle cose; ene rationis pure
obiectum una chimera impossibile a realizzarsi. Lente crea I’ esistente è la formula
fondamentale dell’ ontologismo giobertiano, necondo il quale oggetto dell’
intuito intellettuale è lo stesso Ente (Dio), che crea le cose particolari.
Infatti Dio solo 3, perch’ egli solo ha in sè stesso la ragione del suo essere;
il mondo non è, ma esiste, perchè la ragione del sno essere non l’ha in sò, ma
fuori di sè, cio in Dio, che produce il mondo per creazione. Per tal modo
l’origine della conoENT 814 scenza si connette all’ origine delle cose, e
l'atto creativo, quale ci vien fornito dall’ intuito, è ad un tempo la radice
da cui germogliano tutte le conoscenze ¢ tutte le esistenze. Mentre il soggetto della formula giobortiana è
l'Ente reale, il soggetto di quella del Rosmini è l'Ente possibile
indeterminatissimo, vale à dire l'essere spogliato di qualsi determinazione. L’
idea di quest’ Ente risplendo di coni nuo nella nostra mente, e per mezzo dei
giudizi primitivi (giudizi percettivi) noi la riconosciamo attnata negli
oggetti particolari; per tal modo 1’ Ente cessa di essere puramente possibile o
ideale e diventa reale ed attuale. L’ idea dell'Ente non è dunque soggettiva,
ma oggettiva, in quanto il suo oggetto si identifica da ultimo col Reale
assoluto. Cfr. Gioberti, Introd. allo studio della filonofia, 1840; Protologia,
1857; B. Spaventa, La filosofia di Gioberti, 1863; B. Labanca, La mente di Ῥ.
Gioberti, 1871; Rosmini, Nuoro saggio sull'origine delle idee, 1855; A. Paoli,
Esposizione r gionata della filosofia di A. Rosmini, 1789; Th. Davidson, The philosophical
xyatem of 4. Rosmini, 1882. Entelechia. Lat. Entelechia: T. Enteleohie; 1. Entelechy: F. Entéléchie. Aristotele distingue.
nel riguardo delVoperare, la materia, che chinma potenza (δύναμις), forma che
chiama entelechin (ἐντελέχεια). e l'energin (2vépyeta). L’entelechia si
distingue dall'energia, in quanto quella ncconna propriamente allo stato di
perfezione in cui la sostanza si trova attuata, questa alla reale attività che
exsa esercita. Però Aristotele adopera la parola entelechia in due significati:
1° come atto compiuto in opposizione ad atto che sta per compiersi, ὁ come
perfezione che risulto da codesto compimento; 2° come forma o ragione che
determina l'attualità d’una potenza. Perciò chiama l’anima ora la forma, ora
l'entelechia di ogni corpo naturale organizzato, avente in sè la vita in
potenza. Il Leibnitz diede il nome di
entelechie alle monadi, perchè esse non agiscono una sull'altra, mu bastano a
sè stesse, 375 ENT avendo in sò la sorgente delle loro azioni
interne. Si potrebbe dare il nome di Entelechie a tutte le sostauzo semplici ο
monadi create, perchè esse hanno in sò una certa perfezione (ἔκουσι τὸ
ἐντελές); c'è una sufficienza (αὑτάρχεια) che le rende sorgenti delle loro
azioni interne, © per così dire degli automi incorporei ». Come si vede,
Leibnitz usa la parola entelechia nel significato di potenza prossima. Cfr.
Aristotele, Metaph., II, 4, 415 b; IX, &, 1058 a; Leibnitz, Theodicea, I, $
89; Monadologie, $ 18. Entimema (ἐνθυμέομαι ripensare). T. Enthymem ; I. Enthymeme; F.
Enthymème. Aristotele chiamò così una brevissima argomentazione sillogistica in
cui, da un verosimile ο da un segno, si ricava una conclusione non ussoIntamente
certa. Siccome in queste forma di argomentazione era tacinta une premessa,
supposta come nota, così i logici posteriori, cominciando, paro, da
Quintiliano, che enumerò i vari significati della parola, chiamarono e chinmano
entimema quella qualunque forma di sillogismo euntratto in cui sia sottintesa
una delle due premesse. Quando In premessa taciuta è la maggiore, l’entimema
dicesi di primo grado, quando è la minore di secondo grado. Es. 1° grado: Anche
gli animali sono di carne e d’ossa dunque soffrono se maltrattati; qui è taciuta
la maggiore: tutti gli esseri di carne e d’ossa soffrono se maltrattati. Es. 2°
grado: Tutti i fenomeni naturali sono soggetti alla emusalità dunque anche la volontà; qui è taciuta la
minore: la rolontà è un fenomeno naturale. Aristotele chi poi sentenza
entimematica quella in cui le due proposizioni dell’entimema sono contratte in
una, e reca fra gli altri questo esempio: mortale, non serbare odio immortale.
Diconsi infine giudizi entimematici quei giudizi categorici contratti, che
mancano di soggetto o che hanno un soggetto puramente indicativo (questo,
quello); altre volte tutto il giudizio è concentrato nel verbo, il cui soggetto
è indeterminato nella mente (piove, lampeggia). Cfr. AriExr 376 stotele, Anal. pr., II, 27, 70 a, 10;
Quintiliano, Inst, or., cup. X, $ 1; Masci, Logica, 1899, p. 258 seg.
Entimematica (prora). Aristotele chiama così la prova dal probabile e dai
segni: per probabile intende una proposizione ritenuta vera dall’opinione
comune, ma non vera assolutamente, per segno intende una proposizione o necessaria
o probabile, che ha la proprietà di dimostrarne un’ altra. E necessario il
segno che à effetto necessario o causa unica della cosa significata, in modo
che solo posto il segno sia la cosa, e posta la cosa sia il segno; in tal caso
la prova è certa: ad es. lo psichiatra, dalla presenza in un individuo di
deliri organizzati, che durano lungamente e non terminano in demenza, trae la
prova che l’individuo è un paranoico. È probabile il segno quando non indica
necessariamente una cosa sola, sia perchè è un particolare cui si dà un valore
generale, sia perchè è un generale che si assume per provare l’esistenza di un
individuale: la prova basata su questi segni può quindi condurre in errore,
come, ud es. se dall'essere stato il Cellini grande artista e rompicollo si
conchiudesse che tutti i grandi artisti sono rompicolli, ο se dall’uver scoperto
un'arma indosso a un imputato si conchiudesse senz'altro che è colpevole. Ad
ogni modo, la prova dai segni ha uso larghissimo nella scienza ed è assai
utile: tutta una parte della medicina, la semiotica, prende nome da essi. Cfr.
Aristotele, Top., I, 1, 100 a, 27; Anal. pont., II, 24, 85 b, 23 segg.; Masci,
Logica, 1899, p. 333 seg. Entità. Lat. Entitas; T. Wesenheit, Entität; I. Entity:
F. Entité. Vocabolo proprio della
filosofia scolastica, ricavato dal participio del verbo esse (il τὸ ὃν dei
greci). Vale essenza o forma. Gli scolastici lo usavano infatti per designare
il genere, il modello supremo immutabile di cui gli individui non sono che le
copie imperfette ο pusseggere, la natura indeterminata che rivesto tutto le
forme senza esaurirsi mai. Così l'umanità era l'entità dell’uomo. 377 ENT-ENU D vocabolo è usato oggi in un senso
ben diverso: ussu designa un essere sostanzialmente distinto e indipendente,
per opposizione alla qualità, alla proprietà, all’ attributo, all’aceidente,
che non possono esistere che in un essere 0 per un essere. Entoptiche (imagini)
v. imagine. Entusiasmo. T. Enthusiarmus, Begeisterung ; I. Enthusiam; F.
Enthowsiasme. In Platone e Aristotele significa ispirazione o esaltazione
divina dell’ anima. Per Shaftesbury l'entusiasmo per tutto ciò che è vero buono
e bello, l'elevazione dell’anima ai valori più universali, la rinunzia alla
vita egoistica dell'individuo, costituisce la sorgente prima della religione
naturale; la quale è così una vita superiore della personalità, un sapersi una
cosa sola coi grandi nessi della realtà. Locke oppone l’entusiasmo, ossia
l’impeto dell imaginazione, alla ragione, che è la rivelazione di quella parte
di verità che Dio ha messo alla portata delle facoltà naturali dell’ nomo:
voler scoprire il vero con l’entusiamo, vorrebbe dire perciò distruggere la ragione
ο la rivelazione, sostituendo ad esse le vane ombre della fantasia umana.
Barthelemy Saint Hilaire distingue l'entusiasmo dalla spontaneità: questa è la
potenza interiore a cui l’anima s’abbandona ciecamente, ed è un fatto generale
che appartiene a tutti gli uomini: quello ne è uns particolarità ed avviene
solo in alcuni uomini. Cfr. Kant, W. W., V, 280; Windelband, Storia della
filosofia, trad. it. 1913, II, 179. Enumerazione. T. 4ufedhlung ; I.
Enumeration; F. Enumération. L'induzione non è che un sillogismo in cui in
luogo del termine medio è data l’enumerazione incompleto ο completa delle sue
specie. Quando l’enumerazione dei concetti specifici del genere non ne
esaurisce l’estensione, l’ induzione è imperfetta e la conclusione è soltanto
probabile. La probabilità aumenta quando l’ enumerazione nou è dei concetti
specifici, ma degli esemplari di un'unica Eon-Epı specie. Secondo alcuni, le
prime nostro induzioni, non potendo fondarsi sopra un principio che non è ancor
dato, si sostengono semplicemente sul numero dei casi, che presentano la
proprietà che si attribuisce al genere; porciò tali induzioni furono dette per
enumerationem simplicem. Cfr. Bacone, Noe. org., I, $ 105; De Dignitato, V,
cap. II; J. 8. Mill, Syst. of logio, 1865, 1. III, cap. 3, § 2; Rosmini,
Logica, 1853, $ 726 (v. induzione). Boni (aiöveg -le eternità). Lat. derum; T.
don. Gli gnostici chiamavano così, a causa della loro eternità, le emanazioni ο
proiezioni che, secondo la loro dottrina, colmavano l'intervallo tra la materia
e lo spirito, mettendo in contatto questi due principi, da essi concepiti come
opposti ϱ irredueibili. Gli eoni si combinavano in sisigie ο in pleromi. Cfr.
Eusebio, Praep. ev., XI, 18; Windelband, Storia della filosofia, trad. it.
1913, I, p. 313 weg., 330 seg. Epagoge, epagogico. 'T. Epagogik ; I. Fpagogio;
F. Épagogique. Con questo termine, ancora in uso, Aristotele designava il
procedimento induttivo; la parola induzione (induotio), fa, secondo
Quintiliano, introdotta nel linguaggio filosofico da Cicerone, come
corrispondente alla greca ἐπαγωγή (da ἐπί = verso, ἄγω = conduco). Tuttavia, il
significato primitivo del termine non è sicuro; secondo alcuni designava quel
modo di ragionare nel quale si sostiene una tesi con più ragioni ed esempi;
secondo altri (Buddeo, ‘Trendelenburg) fu tolto dalla lingua militare, nella
quale indicava il procedere d'una schiera di soldati in fila serrata. Ad ogni
modo, oggi essa indica I’ induzione formale o aristotelica, che va dalle leggi
particolari alle generali, e si distingue dall’induzione baconiana che va dui
fatti alle leggi. Cfr. Aristotele, Top., I, 12, 105 a; Anal. pr., Il, 25;
Cicerone, De intent., I; Trendelenburg, Elementa logicer aristoteleae, 8"
cd. 1878. Epicherema. Gr. Ἐπιχείρημα: T. Epicherem; I. Epicheirema: F.
Épiohéràme. Come dice la radice etimologica, 379 Epi
è un sillogismo nel quale è aggiunta la prova di una ο di entrambe le promesse.
Es. I pesci sono vertebrati (perchè hanno una colonna spinale). La triglia è un
pesce. Dunque la triglia è un vertebrato. È detto anche dai logici sillogismo
catafratto ; Aristotele, che lo considerava come una forma di ragionamento sul
verosimile, lo disse sillogismo dialettico. Il Rosmini distingue due specie di
epicherema, il probabile ο il dimostrativo, il primo ooncludente a probabilità,
il secondo a necessità; entrambi sono usati dall’ arte di confutare ο
elenotica, ed hanno per scopo di obbligare l'avversario a cadere nella
contraddizione. Cfr. Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 15; Rosmini, Logica,
1853, p. 314 segg. Epicureismo. T. Epikureismus; I. Epiowreanism ; F. Epicureisme.
Scuola filosofica fondata da Epicuro in Atene tre secoli a. C., e durata fino
sl quarto secolo dell’ era nostra. 1 suoi seguaci più noti sono Metrodoro,
Ermarco, Polistrato, Apollodoro, Diogene di Tarso. Fedro; in Roma Amafinio,
Pomponio Attico e T. Lucrezio Caro, che ne espone le dottrine del suo
insuperabile poema De rerum natura. L’epicureismo, come quello che fu 1’ unica
filosofia irreligiosa dell’antichità, fu oggetto d’ogni sorta di acense © d’una
guerra accanita prima da parte delle altre scuole filosofiche, poi della Chiesa
cristiana, cosicchè ancor oggi epicureo è sinomino di eretico, crapulone,
gaudente. Lu critica ha dimostrato non solo infondato codeste accuse, ina ha
fatto risaltare come nell’epicureismo aleggi lo spirito scientifico proprio dei
tempi moderni. Esso infatti oselude ogni intervento divino e ogni finalità
nella natura, nella quale non imperano che cause naturali; pone il criterio del
vero nella certezza data dalla sensaziono, e il fine supremo della condotta fa
consistere non già nel piacere grossolano e immediato dei sensi, ma nella felicità,
che è data, per ciò che riguarda il corpo, dall’ assenza del dolore (ἀπονία),
per ciò che concerne l’ animo Epi 880 dalla tranquillità (&tapafia). Per questi
suoi caratteri, quando l’ascetismo cristiano comincia a declinare coll’aprirsi
dell’ età moderna, la dottrina d’ Epicuro risorge : essa fa capolino prima in
Montaigne, poi apertamente è diffusa in Francia dal Gassendi ; ricostratte in
Inghilterra dall’ Hobbes, rinasce più tardi in Helvetius, D’ Holbach,
Saint-Lambert e ispira infine gli utilitaristi inglesi da Bentham a Stuart
Mill. Delle varie dottrine epicuree è fatta esposizione in questo vocabolario
alle parole anticipazioni, alarassia, canonica, caso, coniunola, eventa,
olinamen, oacumina, Dio, eudemonismo, intermundia, inane, idoli, atomi amo,
ecc. La parola epicureismo è anche adoperata per designare, in opposizione et stoicismo,
tutti quei sistemi di morale che pongono come norma suprema dell’operare il
piacere o l'interesse. Cfr. Gizycki, Ueber das Leben und die Moralphilosophis
des Epikur, 1879; W. Wallace Epiouroanimm, 1880; Guyau, La morale d’Epioure,
1878; Giussani, Studi luoreziani, 1896. Epifenomeno. T. Begleiterserscheinung;
1. Epipkenomenon: F. Epiphénoméne. Dato un insieme di fenomeni, costituenti una
specialità fenomenica distinta, se a questi s’aggiungo un fenomeno nuovo, che
può anche mancare © che, colla sua presenza ο colla sua assenza, non muta il
carattere precedente dell’ insieme, codesto fenomeno dicesi più propriamente
epifenomeno ossia fenomeno sovreggiunto. Quindi nella medicina si dà questo
nome ad un sintomo, che si manifesta in una malattia già riconosciuta © si
aggiunge agli altri sintomi presentatisi prima. Nella psicologia si chiama
epifenomeno il fatto di coscienza, la coscienza, quando si crede che essa non
sia costitutiva della attività psichica, ma semplicemente un fenomeno
addizionale, aggiunto al fisiologico, e che può anche non comparire senza che
per questo ln funzione psicologica sia distrutta. I segusci del materialismo
psico-fisico, considerando il fatto psicologico e il fatto fisiologico cioè lu
funzione del si 381 Err stema nervoso
centrale come due diversi aspetti, il primo interno e il secondo esterno di una
medesima attività, considerano i fatti di coscienza come semplici epifenomeni.
Per i seguaci della dottrina somatica dell’emozione, questa, risolvendosi
essenzialmente in una alterazione organica, in una reazione vasomotoria, lo
stato di coscienza emotiva è un semplice epifenomeno. Cfr. Ribot, Les maladies de la
personalité, 163 ed., 1899, Introd.; Les maladies de la mémoire, 313 ed., 1909,
cap. I, 1; W. James, La théorie de l'émotion, trad. franc. Dumas, 1903, Introd.
Epigenesi. T. Epigencse; I.
Fpigenesis; F. Épigénène. Dottrina che sostiene essere ogni nuovo individuo
l’effetto di un progressivo e regolare sviluppo del corpo organico, che fu
formato dalla fecondazione nel seno dell'organismo generatore; in contrasto
colla dottrina detta della preformazione dei germi, secondo la quale il germe
sarebbe un individuo estremamente piccolo, ma già completamento formato,
esistente attualmente nel generatore, e contenente alla sua volta una serie
indefinita di altri germi sempre più piccoli, gli uni involti negli altri, di
modo che ogni individuo conterrebbe in sè stesso tutte le generazioni cho da
lui possono sortire. Per la dottrina dell’epigenesi, dovata a G. F. Wolff, lo
aviluppo embrionale non consiste in uno svolgersi di organi preformati, ma in
una catena di neoformazioni, in cui ciascuna parte si forma dopo l’altra e
tntte compaiono in una forma semplice, che è affatto diversa da quella
ulteriormente evoluta. Cfr. (i. F. Wolff, Theoria generationis, 1759; E.
Haeckel, Anthropogenie, 4° ed. 1891, p. 28 segg. Episillogismo. T.
Epieyllogiemus; I. Episyllogiem; F. Episyllogisme. Sillogismo aggiunto, che ha
per premessa maggiore o minore Ia conclusione d’un sillogismo (v. poLisillogismo).
Epistematico (ἐπιστήμη --scienza). Qualche volta si adopera per designare il
procedimento deduttivo, che dai Eri-Ero 382 principi generali ricava delle conseguenze
particolari; in opposizione ad epagogico, che è il procedimento inverso, ©
induttivo, per cui dai fatti o dalle leggi particolari si sale ai principi ©
alle leggi generali. Quindi dicesi epistematica quella scienza che procede per
deduzioni e per sillogismi, in opposizione 8 scienza sperimentalo ο induttiva.
Epistemologia. T. Wissemschaftslehre ; I. Epistemology; F. Épistémologie. La
filosofia delle scienze. Essa stabilisco gli oggetti d’ogni scienza,
determinandone i caratteri differenziali, ne fissa i rapporti e i principt
comuni, le leggi di sviluppo e il metodo particolare. Si distingue dalla teoria
della conoscenza ο gnoseologia, in quanto questa studia la conoscenza nell’
unità dello spirito, nelle forme universali © nel meccanismo interiore, mentre
I’ epistemologin unalizza le conoscenze a posteriori, nella diversità dello
scienze © degli oggetti. La distinzione però non è sempre osservata, specie dai
filosofi inglesi. Cfr. R. Flint, Agnoaticiem, 1903, p. 10, 13. Epoca (da
ἐπόχειν sospendere, tacere). Gr. Ἐποχή:
T. Epoche. La famosa dottrina dello scetticismo pirroniano; significa
sospensione ο astensione dall’affermare ο dal negare intorno all'essenza di
qualsiasi cosa, In altro parole l’epoca è il dubbio scettico. Constatato le
antinomie della ragione e la disparità delle opinioni umane, Pirroneconsiglia
l’uomo a sospendere il suo assenso circa la natura delle cose in sè stesse, le
leggi e i rapporti invisibili degli esseri; egli deve aooontentarsi di
considerare le cose semplicemente secondo la diversa impressione che gli
arrecano. L'epoca ha una portata teorica © pratica; teorica perchè preserva
l'intelligenza dalle contraddizioni; pratica perchè l'assenza della
contraddizione significa la pace © la serenità dello spirito. Cfr. Sesto
Empirico, Pyrrà. Hypot., I, 188 segg.; Galluppi, Lezioni di logioa e met.,
1854, II, p. 250-55 (v. aoatalesia, afasia, diallelo, dicotomia, dommatiemo,
tropi). 383 Epo-Equ Epoptico. Si adopera talvolta in
significato di esoterico. Infatti nella scuola di Pitagora gli epopti erano
quelli fra gli allievi che, avendo sostenuto le prove stabilite ο possedendo in
modo completo la dottrina del maestro, fucevano parte della società stessa; gli
altri erano considerati come esterni alla scuola, come semplici aspiranti ad :
entrarvi. Così dicesi epoptioa quella parte del sistema filosofico di Platone e
anche di Aristotele, che era destinata soltanto agli scolari più fedeli e più
intelligenti (v. aoroamatioo, esoterico, ezoterico). Equabilità. Con questo
vocabolo, riferito al tempo, il Rosmini designa ls medesima quantità d’ azione
ottenuta con un grado costante di intensità. Infatti la durata successiva è da
noi concepita come lu possibilità, che mediante un grado dato di intensità, si
ottenga una data quantità di azione; in altre parole, dentro una durata
qualsiasi, la quantità di azione sarà proporzionata alla intensità dell’azione.
Questo rapporto costante può essere espresso Zi cui 1° desigi @ la quantità
d’azione, 8 la durata successiva. Cfr. Rosmini, Nuovo raggio sull'origine delle
idee, sez. V, par. V, ο. VI; Id., Peioologia, 1848, vol. II, parte II, p.
189-205 (v. durata, momento). Equazione. T. Gleichung ; I. Equation; F.
Equation. Nella matematica si chiama uguaglianza l’espressione algoritmica
composta di due membri, in cui il valore dell’uno è il risultato delle
operazioni eseguite nell’altro. Si chiama poi equazione quella uguaglianza,
specialmente letterale, nella quale in uno dei due membri si ha una lettera il
oui valore non è conosciuto (incognita) e lo si vuol determinare a mezzo della
espressa uguaglianza. Equazione del mondo. T. Weligleichung; F. Equation du
monde. La formula del determinismo rigoroso, che concepisce l’accadere così
definito in ogni ana fase, da consinella seguento formola: T= il tempo, Equ 384 derare il passato e l’avvenire come
esattamente valutabili in fanzione del presente. Il Laplace la esprime così : Una
intelligenza che, in un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui
la-natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono,
se fosse abbastanza vasta per sottoporre codesti dati all’analisi,
abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’ universo
ο quelli dell'atomo più leggero; nulla sarebbe incerto per essa, © l'avvenire,
come il passato, sarebbe presente a’ snoi occhi ». E l’Huxley, in modo ancora
più concreto: Se la proposizione fondamentale dell’ evoluzione è vera, che cioè
il mondo intero, animato ο inanimato, è il risultato della mutua interazione,
secondo leggi definite, delle forze possedute dalle molecole di cui era
composta la nebulosa primitiva dell’ univereo, allora non è men certo che il
mondo attuale riposava potenzialmente nel vapore cosmico, e che una
intelligenza sufficiente avrobbe potuto, conoscendo le proprietà delle molecole
di codesto vapore, predire ad esempio lo stato della fauna dell Inghilterra nel
1868, con pari certezza di quando si predice ciò che accadrà al vapore della
respirazione durante una fredda giornata d'inverno ». Il determinismo viene
così a convertirsi in un predeterminiamo, che si distingne dal teologico solo
perchè la necessità è posta come immanente alla natura. Molti però intendono il
determi nismo causale non come una monotona ripetizione dell’identico, ma come
una mutazione incessante nella durata, come uno svilnppo continuo di forme
nnove; e non lo fanno cominciare arbitrariamente dalla nebulosa primitiva, ma
lo estendono all’ infinito nel tempo e nello spazio. Così inteso il
determinismo è la negazione perfetta al predeterminismo e la sua espressione il
contrario preciso di quella del Laplace: ogni fenomeno naturale, emergendo dal
seno dell’ infinito e rappresentando il realizzarsi di nna serio infinita di
possibilità, è l'equazione dell'infinito, ossin i 0 385 5
Equ l’imprevedibile, l’indeterminabile; cosicchè l’ipotesi di uno spirito
infinito, che in base alla conoscenza attuale della natura ne ricostruisca a
priori la storia passata, e lo svolgimento futuro, è, oltrechè inutile e
indimostrabile, anche assurda. Cfr. Laplace, Introd. à la théorie analytique des
probabilités, 1886, p. VI; Renouvier, Hist. et solution des problèmes
metaphysiques, p. 168 segg. ; Bergson, L'érolution créatrice, 103 ed. p. 41
segg.; Stanley Jewons, The principles of science, 1877, vol. II, cap. XII, $ 9; C. Ranzoli, Il caso nel
pensiero e nella vita, 1913, p. 130 segg. Equazione personale. T.
Personalgleiohung ; I. Personal equation; F. Equation personelle. È la
differenza di tempo con cui uno stesso stimolo è'sentifo da diverse persone. La
constatazione di questo fatto, che diede il primo impulso alle ricerche della
psico-fisica sulla durata dei fenomeni psichici, fa fatta la prima volta all’
Osservatorio di Greenwich. Si osservò che un assistente incaricato di segnare
il momento del passaggio delle stelle sul filo, teso sopra Voculare del
canocchiale e coincidente col meridiano del luogo, notava costantemente il
passaggio delle stelle un minuto secondo più tardi dell’Osservatorio stesso.
Fatte le opportune indagini, si potd constatare che codesta differenza si
verifica sempre quando osservazioni simili vengono fatte do diverse persone, e
si inventarono apparecchi appositi per misurare 1’ equazione personale, diversa
nei diversi individui, ma pressochè costante nello stesso individuo; la
misurazione di essa serve a correggere i dati «lolle osservazioni individnali.
Cfr. Fechner, Elemente der Payohopysik, 1860 (v. tempo di reazione). .
Equilibrio. T. (lechgewicht, Aequilibrium; I. Fquilibrium ; F. Équilibre. È la
relazione esistente fra due corpi contigui, i quali, pur possedendo uno stato
determinato di tendenza al movimento, rimangono tuttavia in riposo. In un senso
più generale, e non puramente meccanico, si ‘lice che esisto equilibrio fra dne
cause di canginmento, 25 RANZOLI,
Dizion, di acienze filosofiche. Eu 388 qualunque siano queste cause e quel
cangiamento, quando un sistema semplice o complesso, sottomesso a queste cause,
non ne subisce alcun canginmento. Non bisogna tuttavia confondere l'equilibrio
col riposo: un sistema è in riposo quando non è sottomesso ad alcuna causa nè
interna nd esterna di canginmento. L'equilibrio si distingue ancho dall’
inerzia, perchè, mentro il concetto di equilibrio è una pura costruzione dello
spirito, possibile solo in quanto esiste il concetto negativo di assenza di
equilibrio, il concetto negativo di energia è d'ordine puramente ideale, non
esistendo materia sprovvista d’ inerzin. Nel dinamismo volontario 1’ equilibrio
corrisponde alla perplessità in cui ci troviamo, quando la nostra volontà è
sollecitata in senso opposto da motivi e mobili uguali ; la possibilità, in
simile caso, della scelta, costituisco una prova di quella che dicesi libertà
d’equilibrio. Alouni psicologi chiamano
senso dell'equilibrio quel sentimento particolare, che avrebbe sede nel
cervelletto o nella base dei canali semi-circolari, per cui è possibile
conservare al proprio corpo la giusta posizione © orientazione nello spazio;
questo senso scompare in alonne malattie, © può essere sperimentalmente abolito
negli animali mediante la distruzione di determinate parti del sistema nervoso
centrale, Cfr. Mach, Grundlinion d. Lehre von den Bewegungsempfindungen, 1878;
Grasset, Los maladies de l'orientation et de l'équilibre, 1901; Paulhan, Esprit
logiques οἱ caprite Sanz, parte II, cap. I, $1; L. Amoroso, Sulle analogie tra
l'e. meccanico e l'e. sconomico, Riv. di filosofia », aprile 1910.
Equipollensa. T. (‘leichgeltung: I. Equipollence; F. Équipollence. È la
relazione che intercede tra due concetti che si contengono a vicenda, che hanno
cio la stessa entensione. Per alenni logici, due concetti equipollenti non sono
che il medesimo concetto espresso con parole diverse; per altri, invece, sono
equipollenti due concetti che hanno In stessa estensione ma divers
comprensione, che cioè con 387 Equ-Ere
notano diversamente lo stesso oggetto che denotano. Cfr. Rosmini, Logios, 1853,
$ 389-391 (v. oonnotatiri). Equivalenza. T. Aequiralenz ; I. Equivalenoy ; F.
Equivalence. Si dicono equivalenti due cose, ad es. due figure geometriche,
quando non differiscono in nulla relativa mente all'ordine di ideo o al fine
pratico che si considera. Equivalente meccanico del calore dicesi il numero dei
kilogrammetri necessari in un corpo o in un sistema termicamente isolato, per
accrescere d’una caloria la sus quantità di calore. Siccome la legge della
conservazione della forza fu scoperta ο formnlata primitivamente nell’
equivalenza tra il lavoro meccanico e il calore, così la logge stessa dicesì
anche legge di equivalenza. Equivoco. T. Aequivok ; I. Equivocation; F.
Équivoque. E equivoca una parola quando ha più significati diversi, univoca
quando non no ha che uno. Sopra il significato equivoco d’una parola si possono
fondare molti sofiemi verbali, come l’anfibologia, la fallacia divisioni,
l'accento, eco. Cfr. Aristotele, Categ., I; Metaph., IV, 4 (v. omonima).
Eredità. T. Vererbung; I. Heredity; F. Hérédité, 11 fatto del trasmettersi
delle proprietà degli organismi nei loro discendenti per mezzo della
riproduzione. La aus formula ideale è: il simile produce il simile; oppure,
como propone l’ Haeckel: l'analogo produce l'analogo. Vi sono d specie
principali di eredità: la immediata, ciod la trasmissione diretta dei caratteri
fisici ο psichici dei genitori ai figli; la atavioa, ciod la riapparisione di
caratteri scomparsi da tempo più o ineno lontano. Vi sono pure due forme
principali: la similare cioè la trasmissione inaltorata degli stessi caratteri,
e la dissimilare, cioè la metamorfosi dei caratteri da una generazione
all'altra. L'eredità può trasmettere tanto i caratteri normali che gli
anormali; questa, che è detta eredità patologica, può avere due forme: l'una,
detta eredità di germe, è la trasmissione diretta della malattia : l’altra,
dotta eredità di terreno, è la tramminione ERE 388 di
una predisposizione speciale a determinate malattie; alcuni biologi esclndono
però l’esistenza della eredità di germe, non ammettendo che la seconda forma.
Fra le leggi più generali dell'eredità sono: quella della eredità adattata ο
aoguisita, per cui l'organismo può tranmettere ai discendenti delle proprietà
che egli stesso ha acquistato durante la ana vita, © quella dell'eredità
costituita ο iasata, per cui tanto più sicuramente si trasmettono le proprietà
acquisite quanto più a lungo durano le cause che le determinarono. Dicesi
eredità omoorona, quella che si manifesta alla stessa età; e. omotopa, quella
in cni i caratteri si riproducono in siti corrispondenti del corpo ; ο.
anfigona, quella per la quale tanto il padre che la madre riproducono nei figli
i loro caratteri personali ; ο, sessuale, In logge per cni eiasonn sesso
trasmette soltanto »’ suoi discendenti del medesimo sesso i suoi caratteri
sessunli socondari ; e. abbreviata, per cui si saltano nell’ontogenesi alcune
fasi o forme della filogenesi. Varie sono le ipotesi escogitate per spiegare i
fenomeni ereditari, ma si può dire che nessuna ha raggiunto la certezza di una
vera © propria dottrina scientifica. Sembra però indubbio che la trasmissione
ereditaria avvenga per un passaggio diretto, dagli ascendenti ai discendenti,
di una sostanza materialo apportatrice, se non dei singoli caratteri, almeno di
una disposizione primigenia, onde quei caratteri vengono poi detorminati nel
successivo differenziamento della cellulafiglia (quando l'organismo è
monocellnlare), nella moltiplicazione e nell’ ulteriore differenziamento dei
blastomeri © delle cellule elementari dei tessuti ed organi (quando l'organismo
è pluricellulare). Questa sostanza materiale è il plasma germinatito, che la
maggioranza dei biologi pone nel nucleo delle cellule sessuali, nucleo che
perciò è stuto denominato l'organo della eredità. Quindi In trasmissione
caratteri sarebbe dovuta alle minime particelle della sostanza vivente, siano
esse le gemmule di Carlo Darwin. 389 Ekk-Eki le plastidule di Haeckel, i biofori di
Weissmann, i granuli di Altmann, i eitoblasti di Schlater, ecc. Cfr. A. Weissmann,
Das Keimplasma, eine neue Theorie d. Vererbung, 1894; P. Lucas, Traité de
V'hérédité naturelle, 1847-50; Yves Délage, La structure du protoplasme et les
théories de V'hérédité, 1895; ‘Th. Ribot, L’hérédité payohologique, 1884; G.
Portigliotti, L'erodità comsanguinca, 1901 (v. pangonesi, perigenesi, idioplasma,
germiplasma, epigencsi, embriologia, filogenesi, ecc.). Ereditarietà. La
potenzialità ο la virtualità degli orgnnismi a trasmettere i loro caratteri ai
discendenti per mezzo della riproduzione. Si distingue dall’eredità, che è il
fatto reale ed attuale della tramissione dei caratteri dai genitori ai figli.
In altre parole, l’ereditarietà indica una facoltà di cui l'eredità è
l'esercizio. Eristica. Gr. Ἐριστική: T. Eristik; I. Erietio; F. Eristique,
L’arte di disputare per disputare, di contraddire l’avversario ad ogni
affermazione, senza l'intenzione positiva di provare qualche cosa. Sarebbe la
degenernzione della dialettica. L’eristica trasse l’origine, secondo il
Winokelinann, dagli enigmi e dai logogrifi che i savii della Grecia usnvano
proporsi, ancora prima che sorgesse la filosofia ; fiorì specialmente nella
scuola di Megara, fondata da Euclide; i filosofi che appartennero a codesta
scuola furono detti eristici, appunto perchè disputatori sottili e spesso
sofistici. Tattavis non bisogna confondere l’eristica colla sotistica, giacchè
quella è una derivazione di questa. Tra gli argumenti dell’ oristica rimasero
celebri specislmente due, il «mucchio » e la testa calva », la cui idea si fa
risaliro n Zenone, adattandosi alle argomentazioni per cui si dimostra che è
impossibilo la formazione delle grandezze mediante parti piccolissime. Uno dei
più inosanribili nel trovare simili bisticei fa il megarico Diodoro Crono, del
quale è rimasta la dimostrazione contro il concetto di possibilità: possibile è
solo il reale, perchè un possibile, che non diventa reale, si dimostra appunto
per ciò impossibile. Un Erm-Ekk 390 esempio di ciò che fu l’eristica ci è rimasto
nell'Eutidemo di Plutone 6 nel nono dei Topici d’Aristotele. Malgrado il
significato cattivo del vocabolo, il Rosmini usa Ta parola cristioa per
indicare quolla parte della logica, che insegna l’arte di contendero con
ragioni ed argomenti. Cfr. Diogene L., II, 107; Sesto Empirico, Adv. math., X,
85 segg.; Cicerone, De fato, 7, 13; A. G. Winckelmann, Platonie Buthydem.,
1833, Prolegom. ο. Il; Rosmini, Logica, 1853, p. 310-315 (v. agonistica).
Ermetismo. T. Hermelismus; I. Hermotiem ; F. Hörmétisme. L'insieme delle
dottrine religione, scientifiche ο filosofiche contenuto nei libri attribuiti
dagli Egiziani a Hermes Trismegisto o Mercurio. Questi libri, in cui è riussunta
l’antica sapienza egiziana, furono riuniti la prima volta © tradotti in lingua
latina da Marsilio Ficino ; però la loro antenticità è nessi dubbia. Cir.
Marsilio Ficino, Morcurii Triemogisti liber de potestate et sapientia Dei,
1471. Errore. T. Irrtum; 1. Error; F. Erreur. E un ragionamento falso ο
un'opinione erronea, cho si distingue dal sofiema, in quanto, mentre quello può
essere involontario © nou dissimulato, in questo invece l’errore è più o meno
abilmente rivestito delle apparenze del vero, ¢ come vero si cerca di farlo
accettare agli altri. Da ciò seguo che l’errore non è mai affermato come tale;
per una mente che erra, tutto quello che è affermato sembra vero e l'errore non
esiste. Esso comincia ad esistere solo quando è stato scoperto. Nessun
giudizio, quindi, può essore un errore per sè, ma tale divonta solamente dopo
che è stato corretto. Per Cartesio il problema dell'errore sorge dal princi pio
della reraoitas Dei, non potendosi comprendere come la divinità perfetta abbia
potuto formare la natura umana tale che possa errare; egli ammette che solo le
idee chiare © distinte esercitano una forza così preponderante sullo spi rito,
che questo non può non riconoscerle, mentre di fronte alle rappresontazioni
oscure © confuse esso conserva illi 391 Ekk mitata l’attività del suo libero arbitrio:
così nasce Perrore, quando l'affermazione © la negazione si snccedono
arbitrariamente, dato un inateriale di giudizio indistinto e oscuro. Per
Spinoza Perrore è una mancanza di cognizione, cosicchè l’anima, in sè stessa
considerata, non commette mai alcun errore: Cus) quando guardiamo il sole, imngininmo
che si trovi a una distanza di circa cento piedi da noi, e tale errore non
consiste in codesta imaginazione sola, ma in ciò che noi, mentre imaginiamo
così il sole, ignoriamo la causa di tale imaginazione, così come la vera
lontananza del sole ». Per Leibnitz l’errore è una privatio: «Io vedo una
torre, che di lontano mi pare rotonda montre è quadrata. Il pensiero che la
torre sis quale mi uppare, discende in modo naturale da ciò che vedo, ο quando
rimango fermo in tale ponsiero, tale affermazione è un falso giudizio ». Per
Hume invece l'errore consiste in uno soambio di rappresentazioni tra loro
somiglianti; per Kant in un inavvertito influsso della sensibilità sopra 1’
intelletto, che fa sì che noi ritenismo per oggettivo il fondamento puramente
soggettivo dei nostri giudizi © scambiamo quindi la pura apparenza della verità
con la verità stessa ». Per il Rosmini l'errore consiste nell’assenso dato in
senso contrario alla ragione; può quindi essere tanto un assenso gratuito,
quando si dà ad un giudizio che pu esser falso, quanto uns conseguenza
dell’assenso gratuito, quando è concesso sopra una ragione falsa; quando l’uomo
dà l'assenso mosso da una ragione falsa e mediante un atto di libero arbitrio
che dichiarò falso il vero, e vero il falso questo libero arbitrio, che invece
di soguire la ragione data dall’intelligenza ne crea una (falsa) da vt, collocandosi
nel luogo dell’intelligenza, è la facoltà dell’errore. La forza di questa
facoltà dell’ errore è tale che non si può assegnarle limiti determinati, e
però In storia della umanità dimostra che, verificandosi certe condizioni, ella
si estende a dare l’assenso alle cose più strane e in 392 credibili, ο a negarlo alle più credibili e
certe ». Por il Bradley tutto è upparenza nel mondo del pensiero umano, quindi
tutto vi è errore, ma in ogni errore c’è una parto di verità, come in ogni
verità c'è una parte di errore; onde si possono distinguere vari gradi, secondo
che è nocossario sottoporre l'apparenza ad una nuova sistemazione per
trasformarla in esperienza assoluta. Nel panteismo del Royce l’errore consiste
nella inadeguatezza dello stadio attuale del processo volitivo ad esprimere il
suo vero fine; poichè il fine non è sempre chiaramente presente alla coscienza,
ma si passa da uno stato vago e indeterminato di inquietudine ad uno definito
di volontà e di risoluzione, uttraverso il quale sono possibili gli errori
riguardo all'intelligenza del nostro fine; in breve, l’errore è un contrasto
tra la mia volontà parziale e il proposito finale che ho liberamente scelto. Con l’espressione errore dei sensi, si
designavano una volta quelle che oggi si dicono illusioni naturali dei sensi,
come quella del sole che a noi sembra veder girare intorno alla terra, di un
bastone per metà immerso nell'acqua che appare piegato, ecc. Nella psicologia
sperimentale dicesi metodo degli errori un metodo che serve per stabilire i
rapporti che passano in una scala di sensazioni tra ognuna di queste © gli
stimoli corrispondenti. Esso può avere due procedimenti : uno, detto degli
errori medi, è fondato sul principio che, quanto più piccola è la difforenza
dell’eccitamento percettibile nella sensazione, tanto piccola sarà anche quella
differenza di eccitamento, che non è percettibile; il secondo è fondato sul
futto, che quando si fanno agire su un dato organo di senso due stimoli poco
diversi I’ uno dall'altro, per le oscillazio della sensibilità di difforenza, o
per altro, ora appare più forte il primo del secondo, ora all’inverso. Cfr.
Descartes, Med., IV; Prine. phil., I, 31 segg.; Spinoza, Ethica, II, teor.
XVII, XXXIII, XXXV, scol.; Leibnitz, Theod., I, B, 432; Hume, Treat., Il, sez.
5; Kant, Log., p. 77; Rosini, Logica, 1853, p. 25, 53 sogg.; Royce The world
and tho individual, 1901, vol. I, p. 327, 384, 389; F. C. 8. Schiller,
L'errore, Riv. di filosofia », aprile 1911; A. Marchesini, L'arte dell'orrore,
1906; E. Mach, Conoscenza ed errore, trail. it., Sandron. Esatto. T. Ezakt; I.
Exact; F. Exact. Dicesi esatta una enunciazione, quando è adeguata a ciò che
essa deve enunciare; in questo seriso esatto αἱ oppone quindi ad ambiguo. Nelle
enuneiazioni che si riferiscono alla misura, l’esattezza consiste nell'essere
la misura nd inferiore nd auperiore alla grandezza misurata. Diconsi esatte
così le scienze matematiche, perchè, secondo la profonda intuizione del Vico,
della materia di queste scienze, cioè le forme e i numeri, noi stessi siamo gli
autori, noi stessi creandole per mezzo del ragionamento puro: esse quindi sono
assolutamente vere 9 certe, mentre ciò non può dirsi delle scienze
sperimentali, le cui conoscenze non sono che approssimative, essendo
subordinate al grado di acutezza dei nostri sensi o alla perfezione dei nostri
strumenti. Escatologia. T. Eschatologie; I. Eschatology; ¥. Esohatologie. Nella
teologia dogmatica si designa così la dottrina delle ultime cose, le quali,
secondo alcuni teologi, sono tre: risurrezione, giudizio, caugiamento della
terra. In generale dicesi escatologia ogni dottrina che riguardi il destino
finale dell’uomo e dell'universo, ο in questo senso il vocabolo è adoperato,
oltrechè nella teologia, anche nella scienza e nella filosofia. Esclusive
(proposizioni). Quelle proposizioni complesse © implicite, le quali esprimono
che un dato predicato conviene a quel solo soggetto: ad es. Dio è uno solo. Possono
essere rese esplicite, equivalendo a dne proposizioni: ad es. Dio è uno, e non
più di uno. In generale, tutte le proposizioni affermative sono implicitamente
esclusive, perchè negano tutto ciò che ripugna alla coesistenza col predicato
attribuito al soggetto; questa negazione impliEst 394 cita è di due maniere: 1° Rispetto ad alcune
cose, il predicato che si afferma del soggetto ha semplicemente la relazione di
esclusività, onde quelle cose rimangono escluse semplicemente; ad es. dicendosi
questo è un circolo », si esolude l’altra prop. contraria questo è un quadrato
». 2° Rispetto ad altre cose, ciò che si afferma nella proposizione non ha
semplicemente la relazione di esclusività, ma anche quella di correlatività, in
quanto ciò che viene affermato, nello stesso tempo che esclude quelle cose, implicitamente
le afferma esistenti come correlativo; ad es. l'affermazione dell’effetto
inchiude implicitamente l’affermazione della causa. Cfr. Rosmini, Logica, 1853,
p. 152. Esecuzione, T. Ausführung, Ezeoution; I. Ezeoution ; F. Erdoution. Nel
processo d'ogni singolo atto volontario (rolisione) dicesi esecuzione il
momento terminale del processo medesimo, ossia l’atto che consegue al prevalere
definitivo d'una idea-fine nel conflitto dei motivi. L'esecuzione rappresenta
nol processo volitivo il lato meceanico o materiale; la parte psicologica ed
essenziale di esso è costituita invece dalla deliberazione ο dalla scelta (v.
deliberazione, volontà). Esemplare. T. Exemplar; I. Exemplary; F. Exemplaire.
Nei processi di finalità intelligente, in cui l’attività dell'ossere è diretta
con mezzi noti ad un fine noto, dicesi causa esemplare il fino alla cui
realizzazione l’essero tondo, © causa efficiente l’attività stessa che tale
fine realizza. Si suol distinguere anche la causa esemplare dal fino: quella si
ha quando l’attività dell’agento è essa stossa lo scopo, questo quando invece
l’attività non è che un mezzo di cui lo scopo prefisso sarà l’offetto. Nella
filosofia platonica lc idee sono modelli, paradigmi, cause esemplari delle cos,
© quindi esistono per sò; ma esse non hanno causalità officiento e perciò
questa deve trovarsi accanto a loro e concorrere con loro alla formazione del
mondo; tale causa efficiente, che Platone toglie dulla credenza religiosa, è il
Demiurgo (v. causa finale, finalità, fine, teologia). 395 Est
Esistenza. T. Existenz, Dasein; I. Existence; F. Kzistence. Lo stato di una
cosa in quanto esiste. Ha una maggiore ostensiono dei concetti di realtà ed
attualità; si oppone al concetto di nulla, ed anche a quello di essenza in
quanto questa è soltanto l'insieme degli attributi senza i quali la cosa non si
potrebbe concepire, ma che non bastano n far sì che in realtà sia; in altre
parole, l'essenza della cosa, una volta concepita, basta per dimostrarne lu
realtà intrinseca, ma non la sussistenza. Dicosi esistenza per sè 0 in sè il
fatto d’essere indipendentemente dalla conoscenza, sia dalla conoscenza
attuale, sia da ogni conoscenza possibile; esistenza contingente, quella che
non è contenuta nell’ossenza, esistenza necossaria quella che è contenuta. In
questo senso il realismo dell'età di mezzo insegna che tra l'essenza e
l’esistenza osiste un rapporto diretto, cosicchè quanto maggiore è
l'universalità tanto maggiore è il grado della realtà, e Dio, che è l’essere
più universale, è anche l’essere assolutamente realo, ene realissimum ; su ciò
Ansolmo di Canterbury fonda, nel suo Monologium, la prova ontologica
dell’esistenza di Dio, che si può riassumere così: mentre ogni singolo ente può
anche essere pensato come non esistente, e perciò deve la realtà del suo essere
ad un essere assoluto, questo, in quanto tale, devo essere pensato come
esistento unicamente per sun propria essenza (ascitae), dove osistero ciuè per
necessità della sua propria natura. In questo senso ancora, dice Spinoza: Alla
natura della sostanza appartiene l'esistenza. Infatti una sostauza non può
essere prodotta da alcuna altra cosa; essa sarà dunque causa di sò, ossia la
sun essenza involgo necessariamente |’ esistenza, cioò alla sua natura appartiene
d’osistore. L'esistenza di Dio © lu sua
ossonza sono una sola e medesima cosa. L'essenza delle coso prodotte da Dio non
involge l’esistenza ». Per Spinoza quindi, come per gli scolastici, l’esistenza
è un predicato della coën ; per Kant invece essa non può essere un predicato,
gineEsı-Esp chè il soggetto deve essere presupposto come esistente da tutti i
predicati: L'esistenza è l'assoluta posizione di una cosa e si distingue da
qualunque predicato, che come tale può essere posto sempre ad un’altra cosa in
modo puramente relativo... Quindi l’esistenza non è manifestamente un predicato
reale, cioè il concetto di un quid che possa essere mentalmente aggiunto al
concetto di una cosa. Essa è la pura posizione d'una cosa o di certe determinazioni
in sò stesse.... Cento talleri reali non contengono la minima cosa di più che
cento talleri possibili ». Psicologicamente, il concetto di esistenza ha le sue
radici nel sentimento del proprio io, che rimane continuamente presente fra il
comparire e scomparire delle altre cose ; sentimento che viene poi trasportato
per astrazione alle sensazioni stesse, riguardate come oggetti fuori di noi, e
csteso infine a tutti quegli oggetti i cui effetti ci indicano un rapporto
qualunque di distanza o d'attività con noi stessi. Cfr. Prantl, Geschichte d.
Logik, 1855-70, t. III, p. 217 segg.; Spinoza, Hthioa, 1. I, theor. VII, XX, XXIV; Kant,
Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam,
p. 472 segg. ; H. Spencer, Princ. of psychology, 1881, $ 59, 467 (v. es sere,
ento, divenire, realtà, nulla, sussistonca). Esistenziali (giudizi) v. tetici.
Esogamia. Quella forma primitiva di matrimonio poliandrico, in cui le donne
vengono rapite alle tribù nemiche. Il matrimonio per cattura pare fosse
determinato dalla scarsezza delle donne, poichè, praticandosi presso quelle
tribù l’infanticidio, le più spesso sacrificato erano lo femmine. L’esogamia
segna un passo nell’ evoluzione della famiglia, in quanto porta una limitazione
alla poliandris. Cfr. Starke, La famille primitive, 1891 (v. endogamia,
Ἰοτίγαίο, eterismo, matriaroato, famiglia). Esoterico v. esoterico.
Esperienza. T. Erfahrung; I. Experience; F. Experience. Nella logica designa il metodo sperimentale, ο
comprende 397 Esp quindi tanto l'esperimento propriamente
detto quanto l’osservazione. Nella psicologia per esperienza s'intende In
nostra facoltà di conoscere i fenomeni e si distingue in esperienza esterna
cioè la sensazione, ed esperienza interna, ossia la coscienza; in un senso
ancora più generale, ma sempre psicologico, per esperienza #’intende il fatto
di provare qualche cosa, in quanto ciò non è nn fenomeno transitorio ma qualche
cosa che arricchisce il nostro pensiero, ad es. esperiensa sociale, esperienza
religiosa, ecc. Nelle scienze biologiche il termine ha un significato assai più
vasto, intendendosi con esso l'insieme dei caratteri che l'individuo viene
acquistando, nel sno adattamento all’ambiente © alle condizioni d’ osistenza;
siccome tali caratteri possono trasmettersi per eredità nei discendenti,
rimanendo acquisiti alla specie, così ai distinguo nna esperienza individuale ©
una esperiensa specifica. Nell’empiriocriticismo © nelle dottrine economiche
della conoscenza, dicesi arperienza pura la conoscenza liberata da tutte le
sovrastrutture e le aggiunte inutili, dalle forme artificiali proprie soltanto
dell'intelletto umano (cansa, sostanza, tempo, ecc.), e ridotta in tal modo al
puro dato immediatamente vissuto (sonsazione), a quel fondo di esperienza
genuina e diretta in cui propriamente consiste la realtà. Cfr. Hodgson, The meta-physio
of experionoe, 1898; Avenarius, Kritik d. reinen ErSahrung, 1904; Ardigò, Opere
fil., vol. III, p. 266 segg. ; VI,
196 segg. Esperimento. T. Experiment; I. Experiment; F. Erpérience,
Ezpérimentation. Coll’osservazione noi non facciamo che assistere allo
svolgimento dei fenomeni, quali si producono in natura; l'esperimento consiste
nell’intervonire nei fenomeni stessi, riproducendoli nelle condizioni più
favorevoli per essero studiati. L'esperimento è dunque nina osservazione
artificiale, e costituisoo un mezzo di ricerca superiore all'osservazione;
infatti con esso possiamo produrre ripetutamente un fonomeno, isolurlo dalle
cause Esp 398 perturbatrici, variare indefinitamente le
circostanze della sun produzione, studiarlo partitamente sotto tutti i suoi
aspetti. Il merito di aver introdotto l’esperimento nella ricerca scientifica,
più che a Bacone e a Cartesio, vuol essere attribuito ai grandi genii del
nostro Rinascimento, specio a Galileo; a lui si deve se la scienza, abbandonato
il metodo aprioristico, adottò quell’ indirizzo sperimentale che doveva
squarciare tanta parte del mistero ond’ era avvolta la natura; con lui 1’
esperimento non è solo una accorta domanda alla natura, ma à una operazione
consapevole del suo scopo, onde le forme semplici dell’ sccadere vengono
isolate, per essere sottoposte alla misurazione. Va notato però che non sempre
l'esperimento è possibile, perchè in moltissimi casi In causa non è in nostro
potere o non possiamo adoprarla in modo che la ricerca sia fruttifora. Cfr. J.
Stuart Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, cap. VII; A. Valdarnini, It metodo
aperimentale da Aristotele a Galileo, 1909. Esplicativo. T. Erklärend,
erplioativ; I. Erplicatire : F. Ezplicatif. Che serve ad esplicare, vale a dire
a descrivere ciò che era sconosciuto o a mostrare che un dato di conoscenza era
implicito in una o più verità già ammesse. Per distinguerle dalle normative
(logica, etica, estetica, ecc.), si dicono esplicative tutte le scienze
naturali, le quali non hanno per compito di stabilire una norma suprema, ma invece
di cercaro la causa per cui certi fenomeni naturali ei producono e per cui essi
si spiegano. Alcuni logici chismano esplicativi quei gindizi in cui il
predicato comprende nella propria estensione il soggetto, sta a sè, e suole
grammaticalmente essere espresso da un sostantivo. Esplicito. T. Explicit,
ausdrücklich ; I. Explicit; F. Explicite. Una nozione o un giudizio si dicono
espliciti quando sono formalmente espressi nella proposizione. Le proposizioni
esplicite appartengono alle proposizioni composto e possono essere congiuntive,
disgiunlire, causali, condizionali e incidentali, Diconsi exponihili quelle
proposizioni impli 399 Ess cite ©
complesse, che si possono rendere esplicite. Si distinguono in esclusire,
ecoettuative, comparative, reduplicatire, determinatice, esornative. Essenza.
T. Wesen; I. Essence: F. Essence. Come la parola sostanza (substantia) è la
traduzione del greco broxslpsvoy, così l'essenza (essentia da cars = essere) è
la tradazione esatta, data da Cicerone, del greco οὐσία (da εἷva: ossere). Ma
nella filosofia greca essa non ebbe mai un significato preciso; usata per
designare ciò che è sotto l'apparire dei fonomeni, ciò che persiste identico
sotto la varietà ο la molteplicità di quelli, ciò che esce dal dominio della
osservazione sensibile per entrare in quello della conoscenza razionale,
l'essenza fu per tal modo identificata colla sostanza. Qualche volta soltanto
fn adoperata per indicare ciò che αἱ aggiunge alla sostanza per darle
determinazione e concretezza, e senza di cui la sortanza rimano una vuota
astrazione, una semplice possibilità. Kant ne precisò meglio il valore,
riducendola tuttavia ad una pura nozione logica; egli infatti distinse In
essenza una cosa dalla sua natura; quosta designa ciò che v'ha di reale nella
cosa che ci rappresentiamo, e non può essere constatata che per mezzo
dell'esperienza ; quella invoce è determinata dalla semplice nozione che noi
abbiamo della cosa, 9 può essere pienamente illusoria : L'essenza, egli dice, è
il primo principio interno di tutto ciò, che appartione alla possibilità di una
con... L'essenza è il contenuto di tutte le parti essenziali di una cosa, o In
sufficienza (Hinlängliohkeit) del loro carattere di coordina zione e di
subordinazione... Pereid αἱ riduce al primo concetto fondamentale di tutti i
caratteri necessari di una cosa ». Ugualmente il Fries: L'insieme dei
caratteri, che stabiliscono il contenuto di un concetto, ai chiama ancho
l'essenza logica di questo concetto ». Codesto carattere logico e puramente
astratto dell’ amenza tant verso da
quello attribuitole dalla filosofia green ai trova Ess 400 per
la prima volta negli scolastici. I quali considerarono la sostanza, sprovvista
di ogni forma, come una realtà attuale, una esistenza positiva, ο l’essenza
come l’ insieme delle qualità espresso dalla definizione, o dalle idee che
rappresontano il genere e la specie, Così per G. Seoto l’essenza è quod
perfootionem nature, quam definit, complet ac perficit. Per Duna Scoto,
substantia duplex cet esse, sc. cose ementice et existentiæ. Individuum.... per
se et primo ezietit, ossentia nonnisi per aocidene. Anche Cartesio conservò In
distinzione fra i due vocaboli; ma, opponendosi agli scoInstici, considerò
l'essenza non come una semplice astrazione, ma come il sostrato vero e reale di
tutte le qualità ed i modi sotto i quali noi percepiamo un essere particolare,
riserbando l’idea di sostanza, che è il grado più alto della realtà ©
dell'essere, a Dio. Ora, sottraendo dai corpi cid che non è essenziale, ciod i
modi e le qualità sensibili, noi giungiamo u coglierne la vera essenza, ed è
l'estensione ; come sottraendo ciò che non è essenziale dalla coscienza, si
giunge a coglierne l’essenza, cioè il pensiero. Per Spinoza l'essenza d’ una
cosa comporta ciò che, essendo dato, fa necessariamente che In cosa esista, ©
che, essendo tolto, fa necessarinmente che la cosa non esista, vale a dire ciò
senza di cui la cosa non pnd nd esistere nd essere concepita, e reciprocamente,
ciò che senza la cosa non può nd esistere nd essere concepito; quindi all'essenza
dell’uomo non appartiene I’ essere della sostanza perchè l’essere della
sostanza comporta l’esistenza necessarin, cosicchè se appartenesse all'essenza
dell’ uomo, data la sostanza anche l’uomo sarebbe dato necessariamente,
cosicchè l’uomo esisterebbe necessariamente, il che è assurdo. Da ciò risulta
che l'essenza dell’uomo à costituita da certe modificazioni degli attributi di
Dio ». Per Malebranche l'essenza di una cosa è ciò che si conce pisce di
primitivo in codesta cosa, da cui dipendono tutte lo modificazioni che in ossa
si notano ». Locke, riforen 401 Ess dosi
alla noziono scolastica della essenza, dice: La parola essenza ha quasi perduto
il suo primitivo significato, e in luogo della reale costituzione delle cose è
stata quasi interamente applicata alla costituzione artificiale di genere ©
specie »; rifacendosi perciò al significato proprio ο primitivo, che si
riferisco allo stesso esse della cosa, per essenza egli intende ciò per cui una
cosa è quello che è, la reale costituzione interna, per lo più sconosciuta,
della cosa, da cui dipendono le sue qualità conosciute ». Per Leibnitz è «la
possibilità di ciò che si pensa »; per.J. Stuart Mill «la totalità degli
attributi designati mediante la parola >; per Rosmini ciò che si comprende
nell’ iden di una qualche cosa »; per Ardigò un gruppo più o meno stabilmente
connesso di dati fenomenici, ossia l’aggruppamento di quegli atti coscienti,
che accade si trovino costanti nella rappresentazione dell'oggetto ». Cfr.
Prantl, Geschichte der Logik, 1855-70, III, 116 segg.; Aristotele, Met., VII,
4, 1030 a, 18 segg.; Cartesio, Princ, phil., I, 51 segg.; Spinoza, Ethica, II,
def. II, teor. X, corol.; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, 11, 1;
Locke, Essay, 11, cap. 3, $ 15; Leibnitz, Mouv. Kes., III, 3, $ 19; Rosmini,
Nuoro saggio sull'origine del idee, 1830, II, p. 217; Ardigò, Op. fil, I, p. 63
segg.; 128 segg. (v. aocidente, sostanza, materia, forma, concetto, modo,
attributo, ecc.). Essore. T. Sein, Soiendes, Wesen; I. Being; F. Être. L'idea
di essero è considerata come la più universale ο quindi come la più semplice;
perciò è in ad stessa indefinibile. Si è contrapposto all’essere: il nulla,
considerato come principio ugualmente necessario ο primitivo dell’exsere, ma
che non è, come idea, concepibile dalla nostra intelligenza se non in un senso
puramente relativo; il direnire, ciod il cangiamento, mentre l’essere è la
stabilità: Vesistere, ossia 1’ essere renle distinto dall'essere inmagi into
Vexsera in sò, insomma ehe non nario ο semplicemente possibilo. Si è d vale a
dire In sostanza, il soggetto, 28 Raxzon, Dizion. di scienze filosofiche, ha
bisogno per essere di essere in un’altra coss, dall’essere per #2, che è ciò
che, oltre essere in ad, non deriva la propria esistenza da un altro essere.
Dicesi essere puro quello che è considerato indipendentemente dai suoi modi ©
dalle sue determinazioni; essere supremo, Iddio, concepito come assoluto,
realissimo, infinito, necessario, immutabile ed uno, riassumente in sò sia la
forma ideale che la reale e la morale; essere intelligibile ο logico, l'essenza
© l’idea della cosa, cui si attribuisce una unteriorità logica rispetto
all’essere conoreto nel quale si manifesta. Il concetto dell'essere comincia ad
elaborarsi con la scuola elentica, e specialmente con Parmenide, per il quale
l’essere è l'unico reale, l’unico nesoluto intelligibile, principio,
condizione, legge e oggetto essenziale del pensiero, eterno, infinito,
semplice, immutabile, indivisibile, perfettissimo, identico con la sua iden.
Per Democrito l’ossere si fraziona negli atomi, per Platone #' identifica con
le idee ; Aristotele definisce l’esistente como l’essere che ei sviluppa nei
fenomeni stessi, cosicchè l’essere delle cose, conosciuto nel concetto, non
possiede nessun’ altra realtà oltre l’insieme dei fenomeni in cui esso si
realizza. Per Stratone © per gli stoici 1’ essere è determinato come la più
alta delle categorie; per 8. Agostino l'essere reale è soltanto quello che
permane immutabile, quindi la divinità; per 8. Tommaso il nostro intelletto
conosce naturalmente l’essore, sul quale si basa la conoscenza dei principi
primi: per Leibnitz noi possediamo l’idea dell’essere, perchè noi stessi siamo
degli esseri e quindi troviamo l'essere in noi; per Kant essere non è il
concetto di qualche determinazione che possa aggiungersi all’ idea di una cosa,
ma è solo il fatto di porre una cosa o certe determinazioni in # «tosse. Per
Hegel l'essere puro è l’astrasione pura, V’ essere assolutamente indeterminato
; ma l’ essere nasoIntamento indeterminato è 1’ essere che non è nulla, 1’ essere
ὁ altra corn che l’essore, l’essoro e ciò cho non è 403 Est
l'essere, in una parola 1’ essere e la sua negazione, il nonessere ». Secondo
il Rosmini l’idea d’essere è innata e tutte le idee acquisite procedono da
essa; egli distingue l’ensere necessario in sè, in tre forme; essere ideale, in
quanto comparisce come oggetto e illumina le menti: es sere morale, in quanto
determina il soggetto a sentire ed operare, secondo la norma dell’essero
ideale; essere reale, in quauto comparisce come soggetto attivo che sente passioni
ed azioni. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., cd. Roclam, p. 237, 472; Hegel,
Logik, $ 86 segg.; Dauriac, Farai sur la cat. d’être, Aunée philos. », 1901;
Rosmini, Nuoro saggio null’ origine dell’ idee, 1830, II, p. 15 segg. (v. ento,
ontologia, divenire, nulla, esistenza, essenza, sussistenza, acvidente,
sostanza, vuoto, ecc.). Estasi. T. Ekstase; I. Kontaxy; F. Eztase. 1 teologi la
definiscono come un rapimento dello spirito, nel qualo l’anima umana, chiusa ad
ogni voce terrena, comunica direttamente con Dio. Si chiama estasi, dice il
Bontronx, uno stato nel quale ogni comnnicazione col mondo esterno è rotta e
l’anima ha il sentimento di comunicare con un oggetto interno che è l'essere
perfetto, l'essere infinito, Dio.... L’estasi è la riunione dell’anima e del
suo oggetto. Neasun intermediario più tra essi : l’anima lo vede, lo tocca, lo
possiede, è in lui come l'oggetto è in Ini. Non à più In fede che crede senza
vedere, à più della scienza stessa, la quale non coglie I’ essere che nella sua
idea: è una unione perfetta, nella quale l’anima si sente esistere pionamente,
per ciò atesso che si dona e si rinuncia, poichè quello a cni si dons è
l’essere ο In vita stessa ». La scienza In considera come un semplice stato di
monoideismo, di annientamento della volontà e della personalità, in cui l’individno
è fuori di ad, (ἀξίστημι = uscir di sè stesso). Un’unica rappresentazione,
straordinariamente intensa, domina l’individuo assorbendone tntta l’attività e
staccandolo dal mondo sonsibile. Questo stato pnd casera raggiunto ο naEst 404 turalmente o con processi artificiali, di cui
abbonda la letteratura filosofica © religiosa dell'Oriente. Gli estatioi si
distinguono in santi e demoniaci, a seconda del genio che li invade. Plotino e Filone ebreo ponevano il supremo
grado della virtù speenlativa nell’estasi, cioè noll’assorbimento del nostro
essere individuale e del nostro pensiero stesso, in Dio o nell’Uno: L'anima non
vede Dio, dice Plotino, che confondendo, facendo svanire l'intelligenza che in
essa risiede.... Nessun intervallo più, nessuna dualità, tutt'e due non.fanno
che uno; impossibile distinguere l’anima da Dio, finchè essa gioisce della sua
presenza; l'intimità di questa unione è imitata quaggiù da coloro che, amando
ed essendo amati, cercano di fondersi in un solo essere ». Cfr. Plotino, En». III, 11; A. Merx, Idee und
Grundlinien einen Allgemeiner Geschichte d. Myatik, 1893; P. Janet, Une
extatique, Bull. Inst. psychol. »,
1901; Boutroux, Le myeticisme, Ibid. >, 1902 (v. monoideismo, ipnotismo,
misticismo, suggestione). Estensione. T. Ausdehnung ; I. Extension; F. Ertension.
Si distingue alcune volte l'estensione dallo spazio; quella ci è data dalle
sensazioni tattili © cinestetiche, muscolari e visive, che noi abbiamo sia
della forma e dimensione degli oggetti, sia del rapporto esterno tra di loro,
in quanto coesistono, ossia della distanza; questo non è altro che
l’oggettivazione del rapporto dei coesistenti, in quanto implicano la distanza
e l'estensione. Oppure, lo spazio è il luogo reale, o ideale di tutti i corpi,
la cui estensione non è che una porzione limitata di spazio; questo è
illimitato, e le sue parti sono capaci di qualsiasi forma, senza averne, per sò
stesso, alcuna. Secondo Hume l'estensione è idea di punti visibili o tangibili
distribuiti nello spazio »; secondo Kant essa non appartiene alle coso in sò,
ma è nna forma » priori dell’ intuizione; secondo Hartmann e Lotze l’estonsione
non appartiene alle sensazioni primitive, ma è il prodotto di una funzione del
405 Est l’anima, che colloca
spazialmente gli oggetti esteriori; secondo il Bain l’estensione risulta dal
movimento delle nostre membra, a cui s’associano i movimenti d’accomodazione
degli occhi. Il Rosmini distingue 1’ estensione dall’ esteso : con la prima
intende lo stesso spazio considerato indipendentemente dai corpi, col secondo
il corpo che occupa una parte dello spazio, vale a dire della estensione; la
prima è infinita, immobile, indivisibile, ossia continus ed immodificabile, il
secondo è invece misurabile, mobile, divisibile, modificabile. Quanto al
concetto di estensione, inteso in senso generale, come comprendente ciod anche
l’esteso, esso risulta secondo il Rosmini da due relazioni essenziali:
considerata in sò stessa, l'estensione risulta da un rapporto di esterioritä di
parti, per cui le une sono fuori delle altre ο tra un punto e l’altro è un dato
continuo maggiore ο minore, per cui i punti non si possono toocar mai; considerata
in rapporto col principio senziente, essa è n Ini condizionata e a lui
inesistente, perchè il principio senziente apprende l’esteso in un modo
inesteso. Dicesi estensione, ο afora, ©
ambito di un concetto, l'insieme di tutti i concetti di oui il concetto dato è
una determin: zione; ο, in altre parole, l’insieme di tutti i concetti nei
quali il concetto dato è compreso e dei quali può essere affermato come
attributo. Ad es. l'estensione del concetto uomo è data dai concetti europeo,
asiatico, africano, francese, ecc. I logici esprimono il rapporto delle parti
dell'estensione tra di loro mediante il simbolo dell’ addizione; ciò perchè,
come gli addendi, le parti dell’ estensione xi escludono tra loro, e sommate
insieme costituiscono il tutto. Cfr. Bain, The »ensen and the intellect, 1870, p. 371 sogg.; Ueberweg,
System der Logik, 1874, $ 53; Rosmini, Psicologia, 1848, vol. II, p. 177 segg. (v. comprensione, distanza,
spasio). Estensivo. ‘I. Ertonsir; I. Extensive; F. Ertensif. Tutto ciò che
occupa uno spazio; si oppone quindi ad intensiro. Est 406 I
fatti di coscienza sono per loro natura inten: surazioni psicometriche non
rappresentano quindi che una rappresentazione estensiva dell’intensivo. Secondo
Kant una grandezza è estensiva quando la rappresentazione delle parti rende
possibile la rappresentazione del tutto, e quindi la precede necessariamente; e
intensiva quando non è appresa che come unità, e la quantità non vi può essere
rappresentata che avvicinandosi più ο meno alla neguzione. Soglia estensiva del
tatto, dicesi il diamotro dei oircoli tuttili, rappresentato dalla superficie
del derma in cui le due punte del compasso di Weber, o estesiometro, sono
sentite come una punta sola. Cfr. Kant, Arit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 164 seg.; Fechner,
Elemente d. Paychophyeik, 1860. Esteriore.
T. scussor, Aussen; I. External; F. Estirieur. In generale, ciò che sta al di
fuori di un’ altra cosu. Dicesi mondo esteriore o non-io il mondo sensibile,
vale a dire l'insieme degli oggetti distinti da noi ο che sono la cause delle
nostro sensazioni; il mondo interiore o Vio ci è conosciuto invece per mezzo
della coscienza. Secondo il realismo ingenuo, che s'accompagne invincibilmente
all'esercizio della nostra attività conoscitiva e pratica, il mondo esterno, le
sue leggi e proprietà hanno una esistenza altra dal nostro pensiero o
indipendente dallo percezioni che ne sbbiamo, le quali percezioni appsiono come
la copia più ο meno osatta del mondo reale. Ma fin dal priucipio i filosofi
groci cercarono di doterminare, sotto le mutevoli apparenze dol mondo
esteriore, il fondo unico e permanente, il vero reale da cui tutte le mutazioni
provengono e in cui tutte di nuovo si risolvono; stabilirono così un'antitesi
tra ciò che @ © ciò che appare, tra esperienza ο riflessione, tra verità e
opinione. Da allora, due problemi si imposero con forza sempre maggiore al pensiero
filosofico: dato che noi sinmo chiusi nella nostra coscienza, dato che nella
coscienza non ci sono che stati di 407 Est coscienza, come possiamo affermare
l’esistenza di un mondo esteriore alla mostra coscienza? Dimostrata l’esistenza
di questo mondo, qual'è la sua natura, quali le sue proprietà © in qual modo
sono da noi conosciute? Naturalmente, le risposte furono diversissime: per
alcuni filosof noi non possiamo affermare con certezza che gli stati della
nostra coscienza, cosicchè l’esistenza di un mondo esterno è per lo meno
ipotetica; per altri la sua esistenza è in dubbio, ma quale sia in sò stesso
noi non potremo mai conoscere; per altri il mondo esterno, essendo pure di
natura ‘spirituale, è conoscibile per analogia col nostro spirito, ece. (v.
conoscenza, soggetto, oggetto, realirmo, idealismo, semelipsismo,
percesionismo, ecc.). Esteriorità (giudizio di). Con questa espressione, usata
specialmente nella filosofia francese, si desigua quell’ atto con cui
proiettiamo fuori di noi le modificazioni produtte in noi dai sensi,
attribuendole ad esseri distinti da noi ο di cui le nostre sensazioni sarebbero
le qualità. È dunque la credenza nella esistenza del mondo esteriore, che si
unisce alla sensazione e ci dà la percezione esteriore. Si contrappone al
giudizio d’ interiorità, che è l’atto con cui gli stati psichici vengono
riferiti al soggetto, cioè come propri di Ini (v. percesione).
Esteriorissasione. T. Veriusserlichung ; I. Externalieation; F.
Extériorisation. Con 1’ espressione estertorizzazione della sensibilità si
designano alcuni fenomeni, non bene chiariti, nei quali la sensibilità di un
individuo, durante il sonno ipnotico, si trasferirebbe fuori di lui, così da
sentire, ad es. il dolore d’una puntura in una data regione del corpo, quando
la punta non sia giunta aueoru a contatto con essa © sia tenuta alla distanza
di qualche centimetro dalla regione stessa. Col termine esteriorizzazione si
suol anche designare la proiezione della modificuzione determinata dal senso,
cioè dal dato della sensazione, fuori di noi, all'oggetto che di essa è In
causa oggettiva; Esr 408 è con tale esteriorizzazione, che avviene
specialmente per le sensazioni visive e uditive, che noi acquistiamo la conoscenza
del mondo esterno. Cfr. Ardigò, It fatto psicologico della percezione, in Op.
fil, IV, p. 343 segg. (v. percezione, soggetto, oggetto, realismo, idealismo).
Estesiometro. Strumento assai semplice, che servo a misurare ln sensibilità
tattilo, ed è derivato dal compasso di Weber. Esso si compone di dne punte di
metallo, fissate a perno sopra un’asticella divisa in millimetri : le due
punte, messe più o meno divaricate a contatto col derma, sono sentite come una
o come due, a seconda della maggiore o minore sensibilità della parte toccata.
Cfr. Fechner, Elemente d. Peychophysik, 1860 (v. circoli tattili). Estetica
(αἴσδησις = sensazione). T. Aesthetik; I. doathetios; F. Esthétique. La scionza
del hello, o filosofia dell’arte, Il nome e la dignità di scienza le vennero
dal Baumgarten, discepolo di Cristiano Wolff; tuttavia, fuori che per coloro i
quali, come il filosofo tedesco, considerano il bello come una sensazione o un
sentimento, il nome non sembra molto appropriato, data la sua etimologia;
infatti fu pdoperato dal Kant nella Critica della ragion pura per designare lo
studio della sensibilità ο delle forme pure del senso. Nell'antichità le
questioni relative al bello, non si distinguono da quelle anl bene ο sul vero;
perciò lo studio di esso fa parte della morale, della logica e della politica.
Il solo Plotino ci ba lasciato un trattato veramente importante intorno al
hello, che egli considera come il trionfo dello spirito sulla materia: degli
altri Platone non se ne oconpa che saltuariamente, Aristotele lo studia
soltanto in rapporto alla tragedia, 8. Agostino nella musica, Longino nella
rettorica, Orazio nella poesia, Quintiliano nell’arte oratoria. Nei tempi
moderni lo studio più poderoso intorno all'estetica fu fatto da Emanuelo Kant,
che si giovò delle ricerche compiute precedentemente dai sensisti inglesi, dal
Winckelmann e dal Les 409 Est sing.
L'estetica di Kant, che entra nella Critica del giudizio, si distingue in due
parti, di cui l’una si occupa del Bello l’altra del Sublime; tanto l’uno che
l’altro sono oggetto dei giudizi estetici, che hanno per carattere comune di
essere disinteressati, di non dare conoscenza, di riguardare l'oggetto solo in
quanto è rappresentato, e di pretendere al consenso universale sebbene non
siano logi: Kant distingue accuratamente il bello dal sublime, dal vero, dal
buono e dall’aggradevole; quanto al criterio del bello, egli lo fonda sopra uns
particolare sensazione, rendendolo così affatto soggettivo. L'estetica, intesa in senso largo, comprende
tre parti: una generale, che determina i caratteri dell’ idea del bello, la
natura e il fine dell’arte in generale; una spooiale, che fissa la natura, i limiti,
la posizione e le norme delle arti particolari; una storica, che studia
l'evoluzione dell’arte nelle diverse epoche dell'umanità, Cfr. Baumgarten,
Aesthetica, 1759; Kant, Krit. d. Urteilakraft, 1878, p. 39 segg., 56 segg.;
Lipps, Grundlegung d. Aesthetik, 1903; Id., Die aesthetisohe Betraohtung, 1906;
Dessoir, Aesthetik und allgemeine Kunaticissenschaft, 1906; M. Neumann,
Einführung in die Acsthetik d. Gegenwart, 1908; Ch. Lalo, Introd. à
l'esthétique, 1912; Id., L'esthétique experimentelle contemporaine, 1908; 8. Witasek,
Prinoipi di estetica generale, trad. it. Sandron; Manfredi Porena, Che cos'è il
bello, 1905; G. Fanciulli, La cosoienza estetica, 1906; A. Rolla, Storia delle
idee estetiche in Italia, 1904; B. Croce, L'estetica come scienza dell’ capressione,
1909; A. Tari, Saggi di estetica ο di metafisica, a cura di B. Croce, 1910 (v.
dello, comico, sublime). Estetismo. T. Acethetismus; I. Acstheticiem; F. Esthefirme.
Nell’ estetica dicesi estetismo o estetioismo, per opposizione a storicismo,
quell’ indirizzo che attua la critica d’arte con criteri esclusivamente
estetici; per esso l’arte è opera d’ intuizione e quindi dev’ essere oggetto d’
intuizione da parte del critico, mentre i dati storici sono un iugombro e un
ostacolo alla impressione immediata, In filosofia dicesi così, in senso
dispregiativo, quel modo di ragionare, di speculare, di discutere il quale
consiste in un semplice giuoco di parole ὁ di idee, in un formalismo vuoto ed
astratto che, per quanto possa sembrare talora clegante, non fa procedere d’un
passo la ricerca del vero. Esso è dunque più che altro una tendenza, che ha lo
sue origini nella coltura e nello attitudini mentali dell’ individuo. Kant la
chiamava filodozia. Infine, la parola estetiamo usasi talora in senso non
dispregiativo, per denominare quei sistemi filosofici che pongono nell’
universo una finalità morale ed estetica, che considerano come vera realtà non
la necessità dol fenomeno ma il mondo illuminato dalla luce dell’idea di
libertà © di bellezza, e fanno quindi dell’ ispirazione artistica il vero
stromento della filosofia; in tal senso è estetismo la filosofia del Ravaisson,
per il quale la bellezza, e specialmente la più divina e la più perfetta, contiene
il segreto del mondo », e il processo cosmico, anzichè un meccanismo di moti
necessari ed eterni, è la perenne creazione di un’opera d’arte meravigliosa; ed
è un estetismo il sistema del Boutroux, per il quale le leggi naturali non
hanno nulla di assoluto e di eterno, risolvendosi în «leggi morali ed
estetiche, espressioni più o meno immediate della perfezione di Dio,
preesistenti ai fenomeni e supponenti degli agenti dotati di spontaneità >. Cfr. Kant, Krit. d. r.
Vern,, prof. alla 33 ed., § 16; Ravuisson, La phil. on France, 1889, p. 322;
Boutroux, Science et phil., Revue do metaph. >, nov. 1899; A. De Rinaldis, La coscienza del‘Parte,
1909; G. Natali, Storicismo ed estetioismo, Riv. di filosofia », ottobre 1909
(v. verbaliemo). Estrasoggetto. Il Rosmini designa così l'insieme delle cose
estranee al soggetto intelligente, e che come tali vengono da lui percepite al
di fuori; però, appunto per questo atto percettivo, l’estrasoggettivo diviene
in qualche modo soggettivo. Il nostro stesso corpo può venir percepito da noi
sia soggettivamente, mediante il sentimento fondamentale per cui sentismo la
vita essere in noi, sia estrusoggettivamente mediante i cinque sensi per cui
esso è percepito come qualunque altro corpo © non come partecipe egli stesso di
sensibilità. Cfr. Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I, p. 97 segg., 157 seg. (v.
oenestesi, ente). Estrinseco. T. Auesserlich; I. Extrinsio, extrinscval ; F.
Extrinedque. In generale, ciò che non è compreso nel. l'essenza dell'essere © nella
definizione dell’ides di cui si tratta. Nella logica diconsi estrinseche o
esterne le denom nazioni, che consistono in rapporti della sostanza con qualche
altra cosa che non è essa stessa. Bi dice che una cosa © un'azione hanno un
ralore estrinseco, quando non sone per sè stesse un fine, ma valgono soltanto
come mezzo ad un’altra cosa. Cfr. Logique de Port-Royal, parte 1, cap. 2. Eterismo. T.
Heterismus ; I. Heteriem; F. Hélérieme. Il Bachofen designs con questo nome, entrato ormai nella terminologia
sociologica, lo stato iniziale di vita promiscua in cui si trovò l’umanità. In
tale stato, descritto gid u colori tanto vivi da Luerezio, non esisteva alcuna
forma di istituzione sociale o familiare, e gli uomini vivevano in lotte
continue tra di loro, fomentate sopratutto dal possesso delle donne. All’
eterismo sarebbe succeduto il primo embrione di famiglia, a base materna. Cfr.
Bachofen, Jas Mutterecht, 1861 (v. matriaroato, esogamia, endogamia, lerirato,
famiglia). Eternità. T. Ewigkeit ; I. Eternity; F. Éternité. In senso
filosofico, l'eternità è l’immutabilità, ciò che è superiore ud ogni
variazione. Perciò il tempo, anche se concepito senza principio e senza fine, è
infinito ma non eterno, perchè esso perpetuamente trascorre è diviene.
L’eternita è l'essere, quale fu già concepito dai filosofi greci, 1’ essere
perfetto, uno, immutabile, senza successione, e quindi senza tempo. In questo
senso Boezio distingue |’ eterno dal perpetuo : Eternità è l’intero e
simultaneo possesso Ere 419 di una vita interminabile; ciò meglio si
paless dal confronto di essa con le cose temporali. Tutte le cose che vivono
nel tempo presente procedono dal passato ‘e’ vanno al futuro, © ninna è
collocata nel tempo in modo da poter abbracciare tutto lo spazio della propria
vita, poichè non possiede ancora il domani, ha già perduto I’ jeri, e nella
vita d’oggi vive un incerto e transitorio momento. Se adunque si misura la vita
di chi è soggetto al tempo... alla stregua della eternità, non giungo a tal
punto ds doversi stimare eterna; e quantunque comprenda uno spazio infinito,
pure non tutto lo abbraccia, mancandogli il passato © il futuro.... Se pertanto
vogliamo dar nomi giusti alle cose, chiameremo Dio eterno e il mondo perpetno
». Una distinzione analoga è fatta da 8. Agostino: Si recto discornuntur
acternitas ot tempus, quod tempus sine aliqua mobili mutations non est, in
aeternitate autem nulla mutatio cal, quis non videat, quod tempora non
fuissent, nisi oreatura fierot, quae aliquid aliqua mutatione mutaret? » In un
senso più comune, l’eternità è invece il tempo senza limiti nd nel passato, nd
nel futuro. Nella scolastica l'eternità era appunto concepita in questo modo, ©
perciò era distinta in aeternitas a parte ante, ossia il tempo infinito già trascorso,
© aeternitas a parte post, ossia il tempo infinito che deve trascorrere;
all'anima umana non era attribuita che questa seconda eternità, a Dio entrambe.
Per Giordano Bruno il mondo è eterno e soltanto lo sue forme sono mutabili; per
Spinoza l'eternità è propria della divinità e dei suoi attributi, che perciò
sono immutabili; Kant sopprime la contraddizione tra an tempo infinito e
l’origine del teınpo, considerando il tempo come una forma oggettiva, valida
soltanto nel dominio dei fenomeni: perciò le due proposizioni: il mondo ha
prineipio nel tempo », il mondo non hs alcun principio » sono ugualmente false.
Cfr.
Aristotele, Phys, IV, 12, 221 b; Boezio, De consol. phil, V, 6; 8. Agostino, De
cir. Dei, XI, 4, 6; Bruno, 413 Ers-Erı De la causa, disl. V; Spinoza, Ethica,
I, def. vin, teor. 7,
19, 20, ece.; Kant, Krit. d. reinen Fern., ed. Reolam, Ρ. 354 ségg. (v. aevum,
durata, tempo). Eterogeneo. I. Heterogen, ungleiohartig ; I. Hoterogencous ; F.
Hétérogene. Ciò che è composto di parti che diversificano tra loro in qualità;
1’ omogeneo è invece ciò di cui tutte le parti sono della stessa natura.
Secondo lo Spencer, l’evoluzione consiste in un passaggio dall’ omogeneo all’
eterogeneo, dall’ indifferenziato al differenziato. Cfr. Spencer, First principles,
1884, cap. XIV-XVIII (v. indistinto, evolusionismo). Eterogenesia. T. Heterogenesie; 1. Heterogenesy ; F.
Hétérogènesie. Nella biologia si designa con questo termine una qualsiasi
deviazione organica, consistente in una anomalia nel numero degli organi ο
nella loro posizione. Por contrapposizione
ad omogenesia, che è la proprietà per cui due organi di sesso opposto tendono a
fecondarsi reciprocamente, il Broca chiama eterogenesia 1’ impossibilità di
fecondazione tra due germi di sesso opposto, pur avendosi I’ nccoppiamento. Col termine eterogenia si designa invece la
generazione animale senza genitori, cioè la generazione spontanea (v.
omogenesia, teratologioo, ibridismo). Eteronomia (ftep0¢ = diverso, νόμος =
legge). T. Heteronomie; I. Heteronomy; F. Hétéronomie. Può essere adoperata in
due modi diversi: nell’ uno vale anomalia, deviazione delle leggi ordinarie,
nell’ altro si contrappone ad autonomia e designa il fatto di un essere che non
ha in sò stesso la ragione e la possibilità di operare, ma è sottoposto
passivamente all’azione di cause esterne, che gli si impongono ο lo dominano
(v. libero arbitrio, delerminiamo, autonomia). Etica, Gr. Ἠθική; Lat. Ethioa;
T. Kthic; I. Ethica; F. Ethique. E sinonimo di Morale; questa infatti vieno dal
latino mos, quella dal greco 790g, che significano entrambi costume, abitudine.
Aleuni vorrebbero forse riservata a deErn 414 signore la scienza morale, serbando la parola
Morale a designare il fatto della morale, la moralità; altri chiamano etica
ogni dottrina naturalistica senza principj speculativi nd obbligazione mistica,
morale ogni dottrina che pretende fondare sopra principj teorici una teleologia
ideale e nna obbligazione; altri ancora propongono di chiamare etica la scienza
cho ha per oggetto immediato i giudizi di valutazione sugli atti detti buoni o
cattivi, etologia o etografia la scienza che ha per oggetto la condotta degli
uomini, indipendentemente dal giudizio che gli nomini fanno di codesta
condotta, e morale l’ insieme delle prescrizioni ammesse ad un’ epoca e in ‘una
società determinata, lo sforro per conformarsi a codeste prescrizioni,
l'esortazione a seguirle. I filosofi kantiani distinguono generalmente l'etica
dalla morale, ponendo la prima al di sopra della seconds: La morale in
generale, dice Schelling, pone un comando che non si rivolge che all'individuo,
e non esige che l’assoInta personalità dell’imdividuo; l’etien pone un comando
che snppone una società d’ esseri morali e assicura la personalità di tutti gli
individui per ciò che essa esige da ciascuno d’ essi ». Per Hegel l'etica
designa specialmente il regno della moralità, la morale il dominio dell’ intenzione
soggettiva. Cfr. Schelling, Sämélioho Werke, I, 25 Bulletin de la soo. frang.
di philosophie, Anno V, n. 7 (v. bene, morale). Etnografia. T. Etnographie; 1.
Ethnography: F. Ethnographie. Questo vocabolo si cominciò sd usare etl principio
del secolo scorso, specie dal Campe, come sinonimo di descrizione dei popoli e
delle razze umane. Il Wiseman la definì come la classificazione delle rarze per
mezzo dello studio comparato dei linguaggi. L’etnografia appartiene allo
scienze antropologiche, e nella parte generale tratta le questioni relativo
alle origini, alle migrazioni, ni caratteri fisici © psichici dei popoli; nella
parte speciale studia i rapporti dei vari popoli coi tipi fondamentali, la
storin, le manifestazioni sociologiche e religiose, i fenomeni biologici. Cfr. Topinard,
Anthropologie, 1884, p. 7, 433 (v. antropologia). Etnologia. T. Ethnologie; I.
Ethnology; F. Ethnologie. Questo
vocabolo sorse più tardi di etnografia ο designa, secondo il Broca, quel ramo
delle scienze antropologiche che s’occnpa della descrizione particolare ο
determinazione delle razze, lo studio delle loro somiglianze ο differenze, così
sotto il rapporto della loro costituzione fisica come sotto quello dello stato
intellettuale e sociale, la ricerea delle loro affinità attuali, della loro
ripartizione nel presente e nel passato, del loro compito storico, della loro
parentela ‘più ο meno probabile ο della loro posizione rispettiva nella serie
umana ». Non bisogna dunque confonderla con l'etnografia, che è la parte
descrittiva ο generale della scienza dei popoli. Cfr. Topinard, Anthropologie,
ethnologie et ethnographie, Bull. soc. d'anthropologie », 1876; Id.,
Anthropologie, 1884, p. 8 seg.; F. Griibner, Methode der Ethnologie, 1911. T. Ethologie; I. Ethology: F. Ethologie. Nome
dato dallo Stuart Mill alla scienza dei caratteri individuali, che altri
designa col nome di caratterologia. Si fonda Λοpra la psicologia, ma se ne
distingue in quanto questa hn per oggetto la conoscenza delle leggi semplici
dello spirito in generale, ed è peroid una scienza d'osservazione e d’
esperimento, l’etologia invece è una scienza interamente induttiva, cercando di
seguire le operazioni dello apirito nelle combinazioni complesse determinate
dalle circostanze. Lo scopo fondamentale della etologia è la classificazione
dei tipi dei caratteri. La classificazione più antica ο comune è quella
ippocratico-galenica che, basandosi sulla credenza che 1’ indole degli
individui dipendesse dal prevalere nell’ organismo degli umori (sangue, flemma,
bile gialla ο bile ner) riconosce quattro caratteri fondamentali: sanguigno,
bilioro, melanoonico, flemmatico. Molti filosofi moderni accettano, Eup-Eur HR consistere la felicità nella calma, nella
tranquillità, nella liberazione dalle passioni e dai desideri, ο nell’ estasi,
che è una immedesimazione con Dio (stoicismo, neoplatoniamo); infine
l’eudemonismo pessimistioo ο negativo, per il quale la vita è intrinsocamente
infelicità e non merita quindi di essere vissuta. Per Kant la morale
eudemonisticn è il tipo della morale falsa, perchè è eieronoma, ossia perchè
rende la ragione pratica dipendente da qualche cosa data esteriormente ad essa;
la morale vera non può dipendere da nessuna volontà esistente empiricamente,
non dove essere un mezzo in servizio di altri scopi, è, in altre parole, un
precetto puro, un imperativo categorico ; lo sforzo verso Ja felicità non è un
bisogno della ragione, esisto empiricamente, cosicchè ogni morale eudemonistica
mena alVesplicito imperativo ipotetico, risolvendo le leggi morali precotti
della prudenza ; se, dico Kant, la natura avesse voInto destinarci alla
felicità, avrebbe fatto meglio a fornirei di istinti infallibili, invece che
della ragion pratica della coscienza, che è incessantemento in conflitto con i
nostri impulsi. Cfr.
Aristotele, Ethica, 1. 1 ο 10; Kant, Grundlegung zur
Metaphysik der Sitten, 1882, IV, 395; Paulsen, System der /hik, 1888, t. I, 1.
11, cap. 1; M. Heinze, Der Eudämoniemus der Griechischen Philosophie, 1383;
Bain, Mental and moral science, 1884; A. Marrot, Life and happines, 1889;
Wundt, Eihik, 1892, p. 508 segg. (v.
attivismo, energiemo. interesse, piacere). Eudemonologia. T. Kudämonologie; I.
Eudaemonoloyy; F. Eudemonologie. Dottrina che tratta della felicità che consegue
al bene morale, e del modo di svolgerla, Coscienza endemonologica, si dice il
giudizio che gli esseri intelligenti fanno del proprio stato di piacere; 6 bene
endemonologico la stessa felicità che κ’ accompagna al bene morale. Enforia.
Termine usato especialmente nella psichintri per designare quello stato di
intima serenità ο di contentozza, che è proprio di alenne malattie mentali,
specie della mania e della forma espansiva della demenza paraica, ma che può
anche ensere l’effetto iniziale di corte sostanze, come l’oppio, la morfina e
la cocaina. Lo stato di euforia varia da un soggetto all’altro, secondo I’ eccitabilità
individuale del sistema nervoso contrale, l’educnzione, la cultura, ece.; in
generale, caso consiste nella soppressione di ogni percezione dolorosa,
eccitamento delle funzioni intellettuali, dimenticanza di ogni noia ο dolore
morale, senso di dolce calore al capo e di leggerezza delle membra. Cfr. Quincey, Confensions of a
english opiumeater, 1890; Chambord, I morfinomani, trad. it. 1894. Evemerismo. T. Euhemerismus; I. Euhemeriem ; F.
Erhémérisme. Dottrina religiosa, che ebbe molti partigiani cos fra gli antichi
come fra i moderni. Ni denomina così dal nome del suo fondatore Evemero,
filosofo della scnola cirenaica, che visse nella seconda metà del secolo IV n.
C. Egli sosteneva che tutte le leggende intorno agli dei erano stato
avvenimenti reali, ma terrestri e umani; 6 cho gli dei stessi altro non erano
se non uomini vissuti in tempi remoti, i quali, avendo colpita l’imaginazione
degli uomini o per la loro virtà, ο per il loro coraggio, 0 per ln loro forza,
erano stati dopo morte divinizzati. Così Giove sarebbe stato un antico ro di
Creta, come proverebbe l’esistenza in codesta isola della sua culla. Ma la
moderna scienza mitolo; ha dimostrato falso codesto modo di spiegare l'origine
dei miti. Cfr. Cicerone, De nat. deorum, 1, 42. Eventa. Lucrezio, traducendo i
συμπτώματα di Epieuro, chiama così, distingnendolo dai coniunota, lo proprietà
o qualità eventuali delle cose, che sono estranee alla corporeità di esse, che
cioè possono anche mancare sonza cho perciò una cosa cessi di exsero quello che
è ». Tali sarebbero, per l’nomo, lo schinvità, In povertà, In ricchezza, la
libertà, ecc. Siccome poi tali erenta noi li pensiamo in relazione al tempo,
così il tempo e V erento Evi-Evo 420 degli eventi; vale a dire che il tempo si
concepisce non in relazione coi corpi, ma coi caratteri eventuali dei corpi, ο
che mentre questi si conoscono per mezzo dei sensi, il tempo non si conosce che
per una inferenza dai sensi. Cfr. Lucrezio, De rer. natura, 1. I, v. 449-463;
Diogeno Laerzio, X, 38, 51 (v. accidente, attributo, adiafora). Evidenza. T.
Evidenz; I. Evidence; F. Evidenoe. Bi può definire come una verità così chiara
e manifesta per sè stessa, che lo spirito non può rifiutarvisi. L’evidenza dicesi
razionale quando risulta da un ragionamento, sensibile © sperimentale quando
risulta dalla constatazione di un fatto. Si distingue dalla certezza, che è nno
stato puramente mentale, © cioò lo stato del pensiero che si crede in possesso
della verità; ma questo può esser dato anche dall’errore, mentre soltanto la
verità può essere evidente. Epicuro pone come criterio del vero il sentimento
della necessità con cui la percezione entra nella coscienza, ossia quell’ esser
manifesto, quell’ evidenza (ἐνάργεια) con cui l'ammissione del mondo esterno è
legata nella funzione dei sensi; ogni percezione come tale è vera ed
incontestabile, sussisto per sò stessa indipendentemente da qualsiasi motivo.
Cartesio pone l’evidenza come criterio della verità ; nulla è vero se non ciò
che è evidente, e tutto ciò cho. è evidente è vero; a sua volta è evidente
tutto ciò che è chiaro e distinto come la coscienza di sò, quod lumine naturali
clare et distinote percipitur; ora, essendo solo giudice dell’ evidenza delle
cose lu ragione, essa dove infine decidere tanto di ciò che è la verità come di
ciò che è l'errore. Questo principio della certezza egli lo contrappone al
principio d’antorità, che aveva dominato durante tutta P etd di mezzo. Cfr.
Diogene L., X, 32, 52; Descartes, Princ. phil, I, 45; Wundt, Logik, 1893, I,
74-78 (v. cogito ergo sum). Evoluzione. T. Evolution, Entiriokelung: 1.
Evolution; F. Frolution. Termine dal significato molto vago, che può in421 Evo dicare tanto lo sviluppo lento e graduale
per opposizione a rivoluzione, quanto la trasformazione da forme basse ©
semplici a forme più alte e perfette, quanto lo svolgimento di un principio
interno, originariamente latente e che a poco a poco si manifesta all’esterno.
Nel linguaggio filosofico il vocabolo è usato più spesso ad indicare un
processo di trasformazione, diretto in un senso costanto © percorrente una
serie di fasi, delle quali si può assegnare in precedenza la successione;
questo processo può attuarsi tanto nella roaltà materiale (mondi, organismi)
quanto nella realtà spirituale (diritto, moralità, linguaggio, arte, religio
ne), ma implica sempre una variazione così in senso qualitativo come in senso
quantitativo; e poichè ogni sistema che si svolge è unità ‘nella molteplicità,
1’ accrescimento si riferisce così all’unità come alla molteplicità (intograzione
e differenziazione). Cfr. Richard Gaston, L'idée d’érolution, 1902; Romanes,
L'evoluzione mentale dell’ uomo, trad. it. 1907; De Sarlo, Il significato
filosofico dell’ eroluzione, Cultura filosofica », Inglio 1913 (v.
eroluzionismo, darwinismo, neo-lamarkismo, progresso, trasformismo, ccc.).
Evolusionismo, T. Ecolutioniemus, Entwiokelungatheorie; I. Evolutioniem; F.
Frolutionisme. Dottrina filosofica, da non confondersi col trasformismo, e che
pone l'evoluzione per spiegare tutti i fenomeni naturali cogli organici. Lo
Spencer, che si considera come il capo dell’evoluzionismo definisco
l'evoluzione così: un'integrazione di materia accompagnata da una dispersione
di movimento, durante la quale la materia passo da una omogeneità indefinita ©
incoerente ad una eterogeneità definita ο coerente, ο durante la quale anche il
movimento, che è conservato, subisco una trasformazione analoga ». Mediante
tale processo dalla nebulosa primitiva, che rappresenta il mussimo dell’
indeterminatezza ο della omogeneità, si è formato il sistema solare; poi sul
piccolo globo della terra si sono venite distendendo masso viventi le quali,
sottoEy EXO 422 poste a diverse influenze, si sono
differenziate, dando luogo alle specie multiple delle piante ο degli animali;
in questo mondo animale, per una differenziazione sempre crescente, s'è venuta
svolgendo la vita dello spirito: linguaggio, religioni, istituzioni politiche,
arti, scienze, ecc. Si hanno così tre forme principali di evoluzione:
inorganica, organica, e superorganica. Ma va notato che lo Spencer considera
l'evoluzione come l'ipotesi più accettabile, non come una legge avento valore
ussoluto; e che per di più ossa non ci svela, secondo lo stesso filosofo, la
natura intima e la genesi delle cose in sè, ma soltanto la loro genesi in
quanto si manifestano allo spirito umano. Cfr. Spencer, First principles, cap.
XVII; Baldwin, Derelopement and erolution, 1902; Richard Gaston, L'idée
d'évolution dane la nature et dans l'histoire, 1902; Delage et Goldsmit, Les
théories de l'évolution, 1910; E. Clodd, I pionieri dell'evoluzione, trad. it.
1909; V. Ducceschi, Evoluzione morfologica ed er. chimica, 1904; C. Fenizia,
L'evoluzione biologica e le sue prove di fatto, 1906 (v. cosmogonia). Ex
concessis. Termine della scolastica, con cui si designa quella forma di
argomentazione sillogistica nella quale la premessa maggiore, quantunque falsa,
è accordata per vora. Tale argomento non dimostra quindi per sè ma relativamente,
0, come dice Clemente Alessandrino, concludere ex concessia est raliooinare,
conoludere autem ex veris est demonatrare. Cfr. Clemente A., Strom.. VIII, 771.
Exoterico. Gr. Ἐξωτερικός; T. Ezoterisch ; I. Eroteric; F. Exoterique. Da
principio il vocabolo, che signitica esterno, fu adoperato per indicare i libri
aristotelici d’ argomento non strettamente scientifico, per opposizione ai
libri enoterici. In generale dieosi esoterica una dottrina che vien insegnata
soltanto agli iniziati, mentre ai profani ne è resa impossibile la conoscenza
per ln voluta oscurità sotto cui è velata. Più specialmente dicesi esoterico I’
insegnamento filosofico che Aristotele impartiva la mattina ai propri di 423 Exr-ExT scepuli, i quali venivano ammessi
nell'interno della scuola dopo aver assistito all'insegnamento più elementare:
questo, detto per contrapposizione ezoterico, era impartito invece la sera, e
trattava questioni più facili ο d'interesse più generale, assistendovi un
pubblico più largo. Codesta distinzione sembra fosse esistita anche nell’
insognamento di Platone e nella scuola di Pitagora. In questa infatti erano
detti esoterici gli alliovi cho avevano penetrata pionamente la dottrina del
maestro, eroterioi i novizi. Cfr. Bonitz, Index aristotelious, 104 a, 44-105 L,
49 (v. epoplico). Experimentum crucis. Quando lo scienziato cuncepisce un
dubbio sul valore reale d’una causa presunta, o trovasi incerto tra due ipotesi
ugualmente possibili, dove produrre dei fatti che si possono spiegare soltanto
con l'intervento di quella causa, o che lo costringono a respingere una delle
due ipotesi, e ad accettare l’altra, ‘Tale è l’esperienza che Bacone disse
oruciale pigliando la similitudine, come dice egli stesso, da quelle croci
alzato nei bivj, le quali segnano le separazioni delle strade ». Cfr. Nov.
organon, 1, II, cap. XXXVI (v. instantiae, crucis). Extrasensibile, I.
Eztrasensible; F. Extrasensible. Non bisogna confonderlo col sorrasensibile. La
sensibilità ci rivela soltanto uns piccola porzione del mondo, esterno, puichò
vi sono nella nostra conoscenza di esso degli elementi non presenti ai sensi;
questa parte dell'ordine esterno cle nou ci è data direttamente dalla
sensazione, e che noi crediamo esistere, costituisce un’ esistenza
extrasensibilo, lu quale ci è rivelata, secondo il Lewes, da varie induzioni, |
È infatti tra le infinito impressioni che colpiscono i nostri sensi, soltanto
alcune di esse corrispondono agli stati di coscienza, sicchè la sfera sensibile
è troppo limitata per abbracciare sia la totalità obbiettiva sia quella piccola
parte di essa che si trova in contatto con l'organismo : ne consegue che la
sfera della conoscenza non è limitata solo alle impressioni sensibili, ma si
estende anche alle Exr-Fac 424 inforenze, che sono ricombinazioni e
riproduzioni di tali impressioni; quindi la conoscenza sensibile è estesa all’extrasensibile.
Oltre poi questo mondo sensibile ο extrasensibile, i metafisici ammettono una
terza regione sovrasensibile, che è preclusa affatto all'esperienza dei'sensi
ed sporta soltanto alla fede ο alla intuizione intellettuale. Cfr. Lewes, Probleme of life
and mind, 1875, vol. I, pr. I,
cap. III, p. 253 sogg. F. Nellu logion formale è adoperata nei tro ultimi dei
quattro versi mnemonioi che designano lo figuro del sillogismo, per indicare
cho ogni modo espresso in una parola cominciante per codesta iniziale, può
ossore ricondotto, con processi logici speciali, a qual modo della prima
figura, cho è espresso in una parola cominciante per l’ iniziale medesima
(Ferio); tali sono: Festino, Felapton, Fesapo, Fresison. Facoltà. T. Vermögen,
Seelenvermögen; I. Faculty; F. Faculté. Per facoltà dell'anima s'intendono
quelle forze speciali cho esistono nell’ anima, per cui essa è atta a fare
qualche cosa, quelle potenze misteriose © spontaneo di cui i fatti psichici
sono l'effetto. Si sogliono distinguere in pamire, come la sensibilità, ο
attire, come In volontà. Le facoltà passive sono dette più comunemente
capacità, risorbando il vocabolo proprietà alla semplice predisposizione della
materia inorganien a divenire soggetto di un dato fonomeno, o ancho alla
capacità della materia organica di dar luogo a fenomeni fisici e chimici. Dice
? Hamilton: Facoltà, facultas, è derivato dal latino arcaico facul, la forma
più antica di facilée, du cui è formato facilitas. Fssa è limitata in senso
proprio al potere attivo, e quindi è applicata abusivamente alle più passive
affezioni dello spirito, alle quali capacità è più propriamente limitato ». An
425 Fac che per il Murphy le facoltà
sono essenzialmente attive: . Boirae, L'idée de phénomène, 1894 (v. altualivmo,
fenomenismo, mobilismo, sostanzialivmo). Perio ο ferioque. Termine mnemonico di
convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo della prima
figura del sillogismo, nol quale la maggiore è universale negativa, la minore
particolare affermativa, la conelusione particolare negativa. Es.: I pazzi non
sono esseri normali. Qualche uomo di
genio è pazzo. Punquo qualche uomo di
genio non è essere normale. Corrisponde 439 FER-Fis al τεχνικός dei logici greci ο ad esso
vengono ricondotti tutti i modi delle altre figure che cominciano con la stessa
lettera (v. sillogismo, figura, termine). Ferison. Termine mnemonico di
convenzione, con cui si designa nella logica formale quel modo della terza
figura del sillogismo, che ha la maggiore universale negativa, la minore
particolare affermativa, la conclusione particolare negativa. Es.: Nessun
delinquente è virtuoso. Qualche
delinquente è uomo colto. Dunque qualche
uomo colto non è virtuoso. Corrisponde al φέριστος dei logici greci, ο si può
ricondurre al ‘Ferio della prima figura mediante la conversione semplice della
minore. Fesapo. Termine mnemonico di convenzione, con cui si designa nella
logica formale quel modo della quarta figura del sillogismo, in cui la maggiore
è universale negativa, la minore universale affermativa, la conclusione
particolare negativa. Es.: Nessuna azione volontaria è priva di fine. Ogni fenomeno privo di fine è meccanico. Dunque qualche cosa che è meccanico non è
azione volontaria. Si può ridurre al Ferio della prima figura mediante la conversione
semplice dello due premesse e la conversione per accidente della conclusione.
Fespamo. Termine mnemonico di couvenzione, con cui nella logica formale si
designa quel modo dalla quarta figura del sillogismo, che ba, como indicano le
vocali, la premessa maggiore universale negativa, lu minore unive sale
affermativa, la conclusione particolare negativa (v. fosupo, fapesmo). Festino.
‘Termine muemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel
modo della seconda figura del sillogismo, nel quale la maggiore è universale”
negativa, la minore particolare affermativa, la conclusione particolare
negativa. Es.: Nessun uccello è mammifero. Qualche animale che vola è mammifero. Dunque qualche animale che vola non è uccello.
Corrisponde nl pétptov dei logici groci ο si può ricondurre al Ferio della
prima figura mediante la conversione semplice della promessa maggiore,
Feticismo (faotitiue = fattizio). T. Fetischglauhe, Fetischimus; I. Feticiam ;
F. Fétichieme. La forma più grossulana dell’animismo, quale si riscontra nelle
religioni dei popoli primitivi e selvaggi. Esso consiste nell’adoraziono di un
oggetto inanimato (feticcio) che si crede dimora di uno spirito. Soltantochè,
mentre nell’animismo gli spiriti degli esseri naturali possono staccarsi dal
loro involuero visibile e spaziure liberamente por l’aria, nel feticismo invece
lo spirito del feticcio © la sua forma sensibile costituiscono una sola ο
medesima cosa. E poi errore designare col nome di feticismo la semplice
ailorazione degli oggetti naturali, come il sole, i fiumi, gli alberi, gli
animali, poichè il feticcio ha per carattero essenziale di appartenere
materialmente all’ uomo, di essere da lui scelto e lavorato ο d'essere
trusportabile a volontà. Il Comte attribuisce al feticismo una estensione
particolure. Egli lo considera como la faso inizialo ¢ più importante dello
stadio teologico, il fondamento di ogni sistema religioso, ο riguarda lo stesso
panteismo germanico dei suoi tempi come un feticismo più generalizzato ©
sistematizzato. Nella sua religione posi tiva, egli colloca la Terra col sistema
solare nella trinità positiva chiamandola il maggiore dei Feticci, mentre lo
spazio è il Gran Mezzo e I’ Umanità il Grand’ Essere, Cfr. F. Schultze, Der
Fetisohismue, 1871; A. Comte, Catéchieme ponitiviete, 1851; Système de
politique positive, 1854, vol. IV (v. animismo, elioteismo, pantelismo,
religione). Fideismo. T. Glaubensphilosophie ; I. Faith-philosophy ; © F.
Fidéieme. Con questa parola si indicò, sul principio del secolo scorso, il
tradizionalismo religioso promosso dalP Huet, dal Bautain ο dal Lamennais, cho
faceva dell’ intelligenza una facoltà snprema e speciale, contrapponendola alla
ragione: questa ci fa conoscere soltanto le apparenze dl Fip senza nulla dirci intorno alla vera
natura dello cuse, quella invece, prendendo per baso la parola rivelata, della
quale permette di cogliere il senso esoterico, dà all'uomo Ii tuizione diretta
della realtà spirituale, dell’assoluta verità. Più precisamente furon detti
fideisti quei seguaci del Lamennais, che attribuivano alla fede, all’autorità
della rivelazione divina, un officio esclusivo nell'acquisto d’ una vera
certezza dei principj della ragione. Per estensione, oggi la parola fideismo
viene applicata a tutte le dottrine che ammettono delle verità di fede accanto
o sopra le verità di ragione; quindi è spesso identificato con 1’ imma-ı
nentismo, col prammatismo, con |’ anti-intollettualiemo, ο si riconduce, sotto
tutte le sue forme, alla dottrina della fede | fiduoiale propria del
luteranismo primitivo. La fede fiduciale ο giustificante, che Calvino chiama
agnitio erperimen| talis, è un'esperienza interiore, che si distingue come tale
dalla fede nei dogmi, e sussiste anteriormente ad ogni atto intellettaale ; è
insomma una certezza immediata, non legittimata da un motivo, che possa
formularsi con un giudizio che la preceda. Qui si rivela il senso delle
espressioni comuni al fideismo contemporaneo: Dio è il riassunto delle nostre
esperienze religiose; la religione è una vita; lo formule religiose non
forniscono che l’espressione esteriore © formale dell’impressione interiore,
ecc. Poichè la fede tiduciale è di sua natura soggettiva, in quanto l'oggetto
di essa si risolve nel contenuto degli stati rappresentativi dell’esperienza
interiore. Il fideismo, già condannato più volte nel passato, subì ugnal sorte ai
giorni nostri sotto il pontificato di Pio X, che nell’enciclica Pascendi dominici
gregis così lo definiva: Dinanzi a questo inconosoibile, 0 sia esso fuori
dell’uomo oltre ogni cosa visibile, 0 si celi entro l’uomo nelle latebre della
suboosciensa, il bisogno del divino, senza alcun atto previo della mente, secondo
che vuole il fideismo, fa scattare nell'animo già inchinato a religione un
certo particolare sentimento; il Fie 442
qualo, sia come oggetto, sia come causa
interna, ha imPlicata in sò la realtà del divino e congiunge in certa guisa
l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di
fede, e lo ritengono quale inizio della religione ». Per queste ripetute
condanne, che dànno alla parola un carattere peggiorativo, molti fra gli stessi
fideisti vorrebbero fosse abbandonata. Cfr. Calvino, Institution chrétionno,
1562, 1. III, cap. II, p. 385; Lamennais, Ewai wur Vindifférence on matière de
religion, 1820, t. II, p. 37, 70, 80 sogg.; A. Richard, Zamennais ot son école,
1881, p. 139 segg.; C. Ranzoli, Il fideiemo, in Linguaggio dei filosofi, 1912,
p. 213-227 (v. oredenza, fede, modernismo, ragione). Figura. T. Schlussfigur:
I. Figure; F. Figure. Nella logica dicesi figura (σχῆμα) d’un sillogismo, la
disposizione cho essa presenta riguardo alla posizione del termine medio nollo
premesse. Essendo quattro le posizioni possibili, quattro sono le figure. Nella
prima il termine medio è soggetto nella promessa maggiore © predicato nella
minore: nella seconda è predicato in entrambe le premesse; nella terza soggetto
in entrambe ; nella quarta predicato nella maggiore e soggetto nella minore.
Per ricordare facilmente la definizione delle quattro figure, fu costruito il
seguente verso mnemonico, nel quale eub è abbreviazione di audiectum © prae di
praedicatum : sub prae: tum prac prac; tum sub sub; denique prae sub. Le prime
tre figure si debbono ad Aristotele; l’ultima venne attribuita da Averroò a Galeno,
ma essa si considera concordemente come inutile et artificiale. Il sillogismo
di prima figura è il vero tipo del ragionamento deduttivo, perchè va dalle
condizioni al condizionato, dalla causa all’ effetto, dalla leggo al fenomeno:
per esser valido deve aver sempre la maggiore universale © lu minore
affermativa. Quelli di seconda figura debbono aver sempre la maggioro
universale ο una delle due premosse negativa. Quelli di terza figura debbono
avere la 443 Fin maggiore uffermativa © la conclusiono
particolare. 1 sillogismi di seconda e terza figura possono essere ridotti alla
prima, secondo le regole già fissate da Aristotele. Cfr. Aristotele, Anal. pr.,
I, 4, 5, 6; Kant, Logik, 1880, $ 67-69; Masci, Logica, 1899, p. 244 segg. (ν.
sillogivmo, modo, termini, premessa, conclusione, forma). . Filodoxia. T.
Philodozio; 1. Philodozy; F. Philodorio. Kant chiama così quella specie di
dilettantismo filosofico, che oggi dicesi estetiemo filosofico, il quale
consiste nel ridurre la filosofia ad un vacuo simbolismo, in cui più che la
verità d’una dottrina se ne riceroa l'eleganza e alla ricerca del vero si
sostituiscono le discussioni sottili ed oziose: Quelli che rigettano il suo
metodo (del Wolf) ο tuttavia non ammettono nemmeno il procedimento della
critica della ragion pura, non possono avere altra intenzione che quella di
sbarazzarsi completamente dei legami della scienza, di cangiare il lavoro in
gioco, la certezza in opinione, e la filosofia in filodossia ». Anche Platone
aveva adoperato il vocabolo filodossi, contrapponendolo u filosofi, ma non nel medesimo
senso di Kant. Per filodossi (Φιλόδοξοι) egli intendeva coloro che si
compiacciono ο s’accontentano dell’apparenza delle cose, della moltitudine dei
fatti particolari e relativi, mentre i filosofi risalgono all’ossenza © all’
idea. Cfr. Platone, Repubblica, 1. V, 480; Kant, Krit, d. reinen Vern., prof.
alla 33 vd., § 16 (v. estotirmo, verbalismo). Filogenesi (yivasıs τῶν φυλῶν).
T. Philogencse; 1. Phylogeny; F. Phylogénèse. Indica l'evoluzione ο lo sviluppo
della apecio, in opposizione ud omtogenesi, che indica lo sviluppo dell’
individuo. Socondo Haeckel ο i darwinisti moderni, l'evoluzione ontogenetica è
il riassunto della ovoluzione filogenetica, l’embriologia uns ricapitolazione
molto rapida e breve della geneologia ; vale a dire che un individuo di una
data specie, prima di raggiungere il suo completo sviluppo, deve trascorrere in
breve tutte lo fusi Fin MM di ovoluzione organica e psichica attraverso cui
passò precodentemente la specie alla quale appartiene. Questa è detta
dall’Haeckel legge biogenetica fondamentale. Cfr. Vialleton, Un problème de
l’évolution, 1908; Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 100
segg. (v. embriologia, ontogonesi, darwiniemo, trasformismo, eredità, ecc.).
Filoneismo (φίλος = amico, viog = nuovo). L'amore per il nuovo, che si contrappone
al misoneismo, che è l'odio per tutto ciò che è nuovo. Quando il filoneismo
diviene esagerato, dicesi più propriamente neomania, a cui si contrappone la
neofobia. Filosofema. Gr. Φιλοσόφημα; T. Philosuphem ; I. Philosophema; F.
Philosophème. Una delle quattro specie nelle quali Aristotele distinse il
sillogismo, per rispetto al fine che si propone chi lo adopera. Esso è il
sillogismo dimostrativo, che si propone la dimostrazione della verità, Nell’uso
comune indica dottrina o teoria filosofica; ma per lo più è adoperato in senso
dispregiativo, e vale sottigliezza da filosofo dialettico. Cfr. Aristotele,
Top., VIII, 11, 162 a, 15. Filosofia. Gr. Φιλοσοφία; I. Philosophie; I.
Philosophy; F. Philosophie. Stando ad una antica leggenda, raccolta da Diogene
Laerzio e da Cicerone, il primo a chiamare la filosofia con questo nome fu
Pitagora, secondo il quale Dio soltanto poteva essere sofo, ciod sapiente, e 1
uomo semplicomente filosofo, cioè amante della sapienza, desideroso d’imparare;
per spiegare questo termine nuovo, avendo paragonata la vita alle grandi fiere
a cui la gente aecurreva da ogni parte della Grecia, gli uni per concorrere nei
giochi, gli altri per vendere e per comperare, gli altri infine per il solo
piacere di vederne lo spettacolo, aggiungova: qui ceteris omnibus pro nihilo
habitis, rerum natura studiose intuerentur, hos se appellare sapientiae
studiosos ; id est enim philosophos. Di tale racconto dubitano i critici moderni;
ma è certo, ad ogni modo, che quelli che poi si 445 Fin
dissero filosofi furono chiamati soff e sofisti fino a che tale vocabolo non
cadde in discredito; cho le parole filosofia e filosofare si trovano usate, nel
significato che poi ebbero sempre, soltanto nelle scuole socratiche, delle
quali è proprio anche fl concetto della incompiuterza del sapere umano; © che,
infine, l’uso delle parole medesime, ancora fluttnante in Platone ο in
Aristotele, non si fissò definitivamente che cogli stoici. Da quel tempo in
poi, della * filosofia fu dato un numero grandissimo di definizioni, e in modi
diversissimi furono intesi il suo compito, il suo oggetto, le sue parti, i suoi
metodi, i suoi rapporti con le altre branche dello scibile; tuttavia,
attraverso la diversità degli indirizzi ο dei sistemi, ha conservato uu carattere
fondamentale ο costante, cho la differenzid sempre da ogni altra forma di
sapere. Dalle scuole indiane agli ionici primitivi e da questi ai positivisti e
ai neo-criticisti moderni, In filosofia rappresentò sempre 1’ unificazione
snprema delle conoscenze, la sintesi totale dei risultati particolari d’ogni
altra soienza, la matrice perenne dei problemi scientifici, lo studio delle
verità più alto o più complesse, che riguardano l'essere e il conoscere, il
mondo © Pesistenza, il reale ο l’ideale, lo spirito e la materia. Secondo il
vecchio paragone, l'universo è per le scienze uno spocchio in frantumi; la
filosofia, raccostando i frantumi, cerca di intravedere l’imagine comune. Il
compito della filosofin è dunque quello dell'unità; essa è l’organizzazione dei
pronunciati ultimi d’ ogni altra scienza, e dei concotti problematici che ne
sorgono, in un sistema esplicativo ottenuto mediante la subordinazione loro ad
un dato unico, che ne dà ragione. Ciò, come ha dimostrato l’Ardigò, attraverso
tutta la storia della filosofia, dagli inizi ai nostri giorni. Agli inizi della
filosofia le cognizioni furono sistemate nel concetto generico del mondo, che
si cercò spiegare prima col principio dell’animazione, poi con quello del
numero, indi con quello dell'ente; In sintesi o il problema filosofico fn perFr
446 ciò da prima fisico, poi matematico, indi
metafisico. Formatisi poi dall’indistinto primitivo del mondo i concetti distinti
della materia, del pensiero e della moralità (da cui la fisica, 14 logica e
l'etica) sorse il problema del loro accordo, che la filosofia ceroò spiegare
unificando i tre concetti nel principio del trascendente, concepito ora como
intelligenza ordinatrice, ora come forza creatrice, ora come sostanza dei
fenomeni. Nella filosofia moderna i dati offerti dalle scienze sperimentali
vennero unificati nel concetto della natura, spiegata ora come attività logica,
ora come pura materia dotata delle sue proprietà fisiche. Nella filosofia
attuale, infine, l’esplicazione della natura è fatta mediante il principio
dell’evolusione, in cui la natura appare come un'entità primitiva
trasformantesi nelle sue forme definite ascendenti. Da tutto ciò si possono
ricavare aleuue eonelusioni, che pongono in maggior luce il carattero
fondamentale e perenne della filosofia: 1° la filosofin è soltanto la
concezione del problema da essa riguardato © il tentativo non ancor riuscito
della sua soluzione; in altre parole l'unificazione filosofica non ha che un
valore problematico, relativo, provvisorio mentre la soluzione dei problemi
stessi costituisce le scienze particolari ; 2° la filosofia precede quindi le
scienze, offrendo loro i problemi da risolvere, succede alle scienze, come
complesso dei problemi superiori generali ai cui presupposti le scienze si
riferiscono, durerà finchè dureranno le scienze, raccogliendo il problematico
insorgente perennemente allato della scoperta positiva; 3° la filosofia non
consiste dunque în un semplice inventario generale dei dati ultimi delle
scienze particolari; 4° non consiste, come altri credono, nel semplice insieme
delle scienze non fisiche, quali l’etica, l’esteca, la psicologia, eco.; 5° non
consiste nemmeno in un insieme di principi aprioristici, imponentisi per la
loro intrinseca evidenza metafisica, anteriori alla scienza positiva essa
inattacenbili; 6° 0 neppure si risolvo, come molti 447 Fin
credono, in tante filosofie speciali quante sono lo scienze particolari. Per
ricordare ora alcune delle principali definizioni della filosofia, nella Grecia
sei erano specialmente celebri, secondo Hamilton : la filosofia è la conoscenza
delle cone esistenti, in quanto esistenti ; è la conoscenza delle cose divino
ed umane; à una meditazione della morte; una somiglianza della divinità in
quanto è competente all’ nomo; l’arte delle arti e la scienza delle scienze;
l’amore della sapienza. Per Cicerone la filosofia è la conoscenza divinarum
humanarumgue rerum, tum initiorum causarumque cuiuaque rei. Por S. Tommaso la
filosofia abbraccia tutte le verità accossibili mered il solo lume naturale, ed
è l’opera della ragione applicata alla ricerca della verità: de quibus
philosophicae diaciplinae tractant, secundum quod sunt oognoscibilia lumine naturalis
rationis. Per Bacono, come già per Aristotele, essa è sapere razionale, scienza
nol significato più generale della parola: Philosophia individua dimittit;
neque Impressionen primas individuorum, sed notiones ab illis abstractas
compleotitur... atque hoc proreua ofleium atque opificium rationin. Anche per
Cartesio la filosofia è sapienza, sia pratica ain scientifica: Philosophiae
voce sapientiae studium denotamus, et per sapientiam non solum prudentiam in
rebue agendis intelligimus, verumetiam perfeolam omnium eorum rerum, quan homo
potest novisne, sciontiam, quae et vitae ipsine regula rit, et valetudini
comservandae, artibusque omnibus inveniendin inserviat. Per il Shaftesbury è lo
studio della felicità »; per il Berkeley lo sforzo verso la sapienza e la
verità»; per Cristiano Wolff la scienza dei possibili in quanto porsono essere
». Per Kant è la conoscenza razionale da concetti puri, la scienza degli scopi
ultimi della ragione umana », una solenza dello più alte massime aull’ uso
della nostra ragione ». Per Hogel la filosofia è, formalmente, la
considerazione dell’oggetto mediante il pensiero >, dal punto di vista del
contenuto In scienza dell'assolnto l’iden cho pensa sò stessa, In verità connaFi
448 pevole ». Per Galluppi è la scienza del
pensiero umano »; per Rosmini la disciplina che tratta de’ primi principî », ed
è ideologia se si considera l'ordine che ha col pensiero umano, teologia
razionale se si considera 1’ ordine assoluto degli oggetti cogniti; per Comte l’esplicazione
dei fenomoni dell’ universo »; per Spencer «il sapere completamente unificato
»; per Lewes la sistemazione delle concezioni fornito dalla scienza »; per
Renan lo studio della natura e dell'umanità »; per Paulsen il contenuto di
tutte le conoscenze scientifiche »; per Wundt è lo sforzo di raggiungere una
intaizione universale del mondo e della vita, che soddisfi le osigenze della
nostra ragione e i bisogni del nostro sentimento >. Dicesi filosofia naturale l’ interpretazione
sintetica dei fatti fisici o del mondo esterno; filosofia prima o generale la
filosofia propriamente detta, cioè l’interpretnzione totale dell'universo,
della sua origine, della sua nntura, del sno fine; filosofia della storia
quella che studia In società nel sto movimento e cerca interpretaro i fatti
storici riconducendoli ad un principio unitario ; filosofia del diritto quella
che ha per oggetto la ricerca dell origine del diritto, delle sue forme, della
sua evoluzione; filowofia delle scienze quella che stabilisce gli oggetti
d’ogni scienza, determinandone i caratteri differenziali, fissandone i rapporti
e i principi comuni, le leggi di sviluppo e il metodo particolare; filosofia
scfentifica quella che, basandosi sopra la relatività della conoscenza, rigetta
ogni dato aprioristicn, esclade ogni dottrina dogmatica intorno al reale
assolnto, e corca costruiro la sintesi filosofica appoggiandosi sui riaultati
dello scienze particolari: in senso analogo si usano le espressioni filosofia
dell'esperienza © filosofia epertmentale. Con le espressioni filosofia
zoolagica, filorofia biologica, filosofia della chimica, ecc. si sogliono
designaro quelle parti di ciascuna scienza che, per la loro astrattozza e
genernlità, perdono il loro carattere strettamente scientifico ο sperimentale,
per nequistare un valore speculative e filo 449 Fix sofico. Alcune volte si usano le
espressioni filosofia morale in luogo di etica e filosofia dell'arte in luogo
di estetica. Altre volte il termine filosofico è adoperato in luogo di sistema
o indirizzo filosofico, come quando si dice filosofia dell'azione, filosofia
della contingenza, filosofia dell''immanensa, 909. Con le espressioni filosofia
verbale 0 filosofia letteraria si suol designare ciò che Kant chiamava
filodozia, ο che altrimenti dicesi rerbaliamo o catetiemo filosofico, vale a
dire quella filosofia che si compiace delle vacne esereitazioni rettoriche, che
ricerca più 1’ eleganza della forma che In solidità della sostanza, che si
esaurisce, insomma, nello studio delle parole trascurando quello delle cose.
Cfr. Hamtiton, Lectures on metaphysica, 1859, vol. 1, p. 51 segg.; Ucherweg-Heinze,
Grundries d. Geschiohte d. Philosophie, I, $ 1; F. Paulsen, Einleitung in die
Philosophie, 1896, p. 19 seggi; Waundt, Einl. in die Philos., 1901, p. 1-10;
Windelband, Storia della filosofia, trad. it., Sandron, I, p. 1-28; Id., PräIndien,
3% ed. 1907, p. 1 segg.; Galluppi, Lezioni di logica e met.,1854, vol. I, p.
7-61; Rosmini, Ideologia e logica, 1853, vol. IV, p. 308 seg.; Ardigò, Op.
fil., II, p. 442 seggi; IV, 285 segg. (v. metafisica, sociologia, psicologia,
logica, morale, estetioa, pedagogia, didattica, dommatismo, ontologia,
teleologia, teonofia, epistemologia, assoluto, conoscenza, anima, criticiemo,
positivismo, ccc., ecc.). Finale. T. Letst, endlich; I. Last, final; F. Final,
Lo scopo per cui una cosa è compiuta, per cni un avvenimento è determinato; si
oppone a causa mecoanica 0 naturale, che è quella che si reulizza
incoscientemente, senza la concezione del fine. Talvolta finale si oppone a
iniziale, per indicare ciù che riguarda la cessazione d’un fenomeno nel tempo.
Scopo finale dicesi quello che non è mezzo per rapporto ad aleun altro fine
ulteriore (v. oguae finali, finalità, fine, teleolog Finalismo v. teleologia,
cause finali, fine, finalità. Finalità. T. Zeokmässigkeit, Finalität: I.
Finality: F. Finalité, Una serie di cause od effetti, che fa capo nd um 20 Ranzo14, Dizion, di scienze filosofiche FIN 450 determinato scopo con l’azione di determinati
mezzi. Dicesi finalità immanente quella che #’ identifica con l’attività
dell'essere che, con determinati mezzi, realizza determiti fini; finalità
trascendente quella che si realizza in un essere per una attività diversa da
lui; finalità organica quella che si realizza negli esseri organizzati senza 1’
intervento di alcun fattore psichico, in virtù soltanto della loro struttura
organica; finalità effettiva quella che si realizza nell’animale in seguito
all’appetito fondamentale, che lo spinge a cercare il piacere e fuggire il
doloro; finalità intelligente quelin degli animali superiori e dell’uomo, che
sî rivolge con mezzi noti ad un fine noto. Il principio di finalità, col quale alcuni
filosofi vogliono integrato quello di causalità, si enuncia così: ogni fatto ha
il proprio fine. Esso trovasi già in Aristotele, che lo esprimeva dicendo: ἡ
φὺσιξ οὐδὲν µάτον ποιεῖ = In natura non fa nulla in«arno. Occorre notare però
che Aristotele non dava alla pafola φύσις il senso universale che oggi si dà
alla parola natura, e che molti filosofi escludono che l’esistenza della
finalità possa dar Inogo ad un principio, vale a dire ad una proposizione universale
e necessaria. L'esistenza della finalità, in quanto distinta dalla causalità
efficiente, sembra casere una verità d'esperienza, specialmente interna; perciò
Kant ne fa un'ipotesi direttiva, un concetto normativo: Il concetto di una cosa
considerata come un fine in sè della natura, non è un concetto costitutivo
dell’intendimento o della ragione; ma può servire di concetto regolutore per il
giudizio riflesso e, secondo una analogia lontana con la nostra propria
causalità, nella sua tendenza generale verso i fini, servire di guida alla
riceroa d’oggetti di questa speci ». Altri invece, come il Lachelier, considera
che l’esistenza di cause finali nel mondo è un principio razionale, che, senza
avere il carattere assoluto del principio di causalità, ο però sin un elemento
indispenanbile del principio dell’ induziono, sin una logge che B 451 risulta, como quella delle cause efficienti,
dal rapporto dei fenomeni col nostro spirito. Cfr. Aristotele, De an., III, 12,
434 a, 31; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, I, § 65; J. Lachelier, Du
fondement de induction, cap. VI; Goblot, Fonotion et finalité, Revue phil. »,
1899, II, p. 505 (v. cause finali, fine, pantelinmo, teleologia). Fine. Gr.
TéAoç; Lat. Finis; ‘Il’. Zweck,
Endzweck; 1. End; F. Fin. Lo scopo per cui una cosa è compiutn; trovasi al
principio non alla fine della serie causative. In ogni processo di finalità si
distinguono, infatti, tre momenti successivi: un termino iniziole, un termine
finale, e uno o più termini intermedi, che diconsi messi. Siccome il termine
iniziale determina come causa efficiente la serio dei fatti che debbono
condurre al termine finale, così il termine iniziale stesso dicesi fine. Il
concetto di fine, dico l’Hartmann, si forma primamente dall’esperienza che
ognuno fa sulla propria attività spirituale cosciente. Un fine è per mme un
processo futuro da me concepito e voluto, il qualo io non sono in grado di
attuare direttamente, ma sì solo per vin d’intermedii causali (mezzi). Se
questo processo futuro io non lo penso, per me ora non esiste ; se non lo
toglio, io non me lo propongo n fine, anzi m'è ο indifferente o repugnante; se
io posso attuarlo direttamente, scompare il termine causale intermedio, il
mezzo, e con ciò sfuma anche il concetto di fine, che consiste unicamente nella
relazione verso il mezzo, poichi: in tal caso l’azione consegue immediatamente
dal volero ». Ma per quanto riguarda la natura intrinseca del fine, per nlcuni
esso non può essere che un pensiero, un'idea, cioò l’idea del termine finale;
secondo altri può anche essero chiamato fine un fatto incosciente, come
l'istinto, il bisogno, la prieazione. Nella morale dicesi fino ogni bene
soggettivo ο oggettivo In eni acquisizione determina la volontà all’atto ;
dicesi fine primario quello senza del quale l'atto non avverrebbe; fine
secondario quello che alletta soltanto ad agire; fine dell'opera (finin operis)
quello cho è inerente all'essenza stessa dell’atto che si compie; fine
dell’operante (finis operantis) quello che è il vero © proprio fine ed è
estrinseco all’azione, essendo liberamente voluto dall’agonte; finis cujus
quello per raggiungere il’ quale l'agente si muove; finis qui il bene che si
vuol conseguire ; finis cui la persona 0 il soggetto a cui si procura il finis
qui. Dicesi regno dei fini, per
opposizione a regno della matura, l’insiome degli esseri ragionevoli come fini
in sò stessi, © i fini obbiettivi che questi esseri debbono proporsi, ciod i
loro doveri. L'espressione risale a Kant, il quale per regno (Reich) intende il
legame sistematico degli esseri ragionevoli mediante leggi obbiettive comuui
>; ora, gli esseri ragionevoli sono, per la loro ragione, degli esseri
enpnei di porsi dei fini, e, per il carattere incondizionato di talo ragione,
dei fini in sè stessi; può dirsi quindi regno dei fini il sistema che comprende
sotto una medesima legislazione i fini degli esseri ragionevoli, che sono essi
stesai dei fini in 62, e anche i fini che questi esseri possono proporsi sotto
la condizione di rispettare in sò medesimi e negli esseri loro simili la
dignità di essere dei fini in sè. Noll’azione volontaria Kant distingueva i
fini materiali, ο oggetti particolari del desiderio, e che sono tutti relativi
alla natura particolare della facoltà di desiderare, dai fini formali ο
obbiettivi, che sono presentati dalla ragione come ‘oggetti assoluti del
dovere. I primi dànno luogo agli imipotetici, i secondi all’imperativo
categorico. Diconsi fini secondari o relativi quelli che non sono che merzi al
raggiungimento di altri fini; fine ultimo ο assoluto quello nel quale #’nrresta
definitivamente l’attività, non essendo un mezzo per rapporto nd un fine
ulteriore. Va notato però che molti respingono codeste espressioni come intrinsecamente
contradditorie ; infatti il fine, se è veramente tale, non può non essere
sempre ultimo per rispetto alla volontà che se lo propone, @ se si ummotte che
possa esservi un fine che non sia ultimo, esso non è più nn fine ma un mezzo, 453 Così puro, se per fine assoluto » s'intende sciolto
da ogni legame o rapporto », non si capisce come possa ponsarsi un fine
assoluto dal momento che il fine è, per definizione, pensabile soltanto in
rapporto con la volontà; quindi fine assoluto non può significare altro che
fine in sè, fine senza rapporto con la volontà, oggetto non più del volero mu
del pensiero, che in tal caso deve ammettersi come identico col volere stesso.
Cfr. Goclenius, Lezicon philosophicum, 1613, p. 583; Kant, Grundlegung zur Met.
der Sitten, 1882, § 97-111; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 3° ed.
1869, Introd.; Wundt, Logik, 1893-95, 1, 577 segg.; Sigwart, Logik, 1889, vol.
II, p. 251 segg.: Riehl, Der philosophische Kriticismus, 1887, vol. II, t. 2, p337;
Vidari, I concetti di fine e di norma in etica, Riv. di filosofia », aprile
1911 (v. cause finali, toleologia). Pinito. T. Endlich; I. Finite; F. Mini.
Come opposto ad infinito, dicesi di ciò che ha limiti assegnati. Si distinguo
dal definito, che è ciò cui possono essere dati o sono dati dei limiti (v.
infinito). Fisica. T. Physik; I. Physics, Natural philosophy; F. Physique. Per
i lunghi secoli nei quali dominò la classificazione aristotelica del sapero,
questa parola fu usuta in contrapposizione a metafisica, per designare tutto
l'insieme di cognizioni riguardanti i fenomoni esterni, l’ universo sensibile.
Il termine fisico si adopera ancor oggi in opposizione a priohioo, spirituale,
morale, per indicare l’insiome doi fenomeni che appartengono al corpo, alla
materia, ο sono oggetto dell’osservarione esteriore. Con Paccrencersi delle
cognizioni, mediante l'applicazione del metodo sperimentale, l'antica fisica si
venne dividendo in due gruppi distinti: la storia naturale, che si limita alla
semplice deserizione della natura, © la filosofia naturale, che stadia le cause
ο le leggi dei fenomeni di natura. La fisica, intesa nel sno significato
moderno, appartiene a questo secondo gruppo, in quanto è la scienza che ha per
oggetto le proFis 454 prietà generali dei corpi nei loro stati
diversi e le modificazioni che ossi subiscono per lo varie azioni cui possono
cavere assoggettati. La distinzione della fisica dalla chimica © dalla
meccanica va sempre più attenuandosi, ed esse surebbero destinate, secondo
alcuni scienziati, a divenire tanti capitoli d’ una scienza più generale, la
meccanica molecolare. Alcuni teologi
chiamano argomento fisico quella fra le prove a posteriori dell'esistenza di
Dio, che dalla constatazione delle cause seconde, conclude alla necessità d'una
Cavea prima. Questo argomento si può formulare sillogisticamente cos): so si ha
una serie o una concatenazione di fenomeni, che sono ad un tempo causa ed effetto,
è necessario ammettere una Causa che non sia cansata, cioè che non sia un
effetto, che sin insomma una Causa prima; ora nel mondo si osserva appunto
questa serie di euuso; dunque è necessario ammettere una Causi prima esistente
in virtù propria, cioè Dio. Cfr. Bacone, Notum Org., II, 9; L. Poincaré, La physique
moderne, ed. Flummarion (v.
filosofia, materia, causa sui, Dio, assoluto, © gli argomenti ontologico,
ideologico, morale, metafisico, storico). Fisiognomica. ‘I. Physiognomik ; I.
Physioynomonics ; F. Physiognomonie. O fisiognomonia. In Aristotele φυσιογνωμονεῖν
significa giudicare dei caratteri in base ai segni esteriori. Per G. E. Schulze
è l’arte di conoscero dai caratteri esteriori del corpo le abilità, le
inclinazioni, naturali ed acquisite, le buone o le cattive qualità di un
individuo ». In generale, la fisiognomonia è la scienza dei rapporti tra il
carattere e l’aspetto fisico dell'individuo, e in particolar modo tra il
carattere e i tratti del viso. Cfr. Schulze, Paychische Anthropologie, 1819, p.
74; A. Borse, L’Aysiognomische Studien, 1899. Fisiologia. T. Physiologie: 1.
Physiology; F. Physiologie. Anticamente era lo studio della natura sia animata
che inanimata; nei tempi moderni è divenuta la scienza che descrive, localizza
e interpreta i fenomeni della vita, se 455 Fis condo la legge della causalità nataralo.
Essa è il fondamento di tutte le soienze biologiche, e nella parte generale
studia i problemi della vita in genere, nella parte speciale esamina le
funzioni dei diversi spparati in una determinata specie organica. Come scienza
fisico-chimiea dei viventi, la fisivlogia comprende lo studio comparato dei
fenomeni vitali dei regetali, degli animali, dell’ uomo ; vi sono infatti dei
fenomeni vitali comani a tutti i viventi, fenomeni che hanno per sostrato
materiale le cellule, valo a dire le unità morfologiche più semplici. La
fisiologia cellulare rappresento quindi il fondamento di tutta la fisiologia,
perchè le funzioni dei tessuti, degli organi e degli apparati, si riducono in
ultima analisi all'attività vitale degli svariati elementi cellulari da cui
risultano; tanto la fisiologia vegetale, che la fisiologia animale ed umana,
attingono dalla fisiologia cellulare le conoscenze relative alle funzioni
elementari, e se ne valgono come basi per lo studio delle funzioni complesse e
speciali dei diversi tessuti, organi ed apparati. Cfr. Luciani, Fisiologia
dell’uomo, 3" ed. 1908, vol. I, Introd. (v. animiemo, cellula, cellulari
teorie, meocanismo, protoplaema, vita, vitaliemo). Pissazione. T.
Zwang-Vorstellungen ; I. Imperative ideas : F. Obsessions, Stato mentale
caratterizzato obbiettivamento dall’ indeoisione dello spirito, dalla tendenza
al dubbio, agli sorapoli esagerati e senza fondamento, da una specie di debolezza
della volontà, che rende l’indi viduo incapace di resistore à certi impulsi,
oppure di decidersi e di compiere certi atti fra i più comuni e semplici.
Psicologicamente pare dovuto ad una diminuzione della facoltà di sintetizzare
le impressioni e i ricordi, per compiere quegli atti coordinati e voluti che
costituiscono la regolare manifestazione della nostra uttività mentale.
Caratteristica di tutte le fissazioni è d’ essere ncoompagnate da
consnpevolezza di sè stesse ο quindi du angoscia più ο meno viva; l’ammalato ha
perfetta conoscenza del proprio stato, riconosce la natura patologica dei
fenomeni cui va soggetto, ma è impotente a liberarsene. Fos 456 G.
Folret, partendo dal concetto psicologico, ammette tro categorie di fiesasioni:
le intellettuali, le emotive, le istintire, u seconda che si tratta di una idea
fissa, di una paura, o di un impulso irresistibile. Il Morselli, accettando in
parte quosta olassificazione, le distingue in quattro grappi: 1° follin del
dubbio, ο paranoia indagatoria © interrogatorin; 2° fobie ο paure morbose ; 3°
impulsi, che determinano ud atti per il predominio morboso di una tendenza: 4°
abulie, ο impotense generali o parziali nel funzionamento della volontà. Cfr.
Folret, Congr. int. di psichiatria di Parigi, 1889, p. 33 segg.; Morselli,
Manuale di semejotica, 1885, vol. I; Pierre Janet, Hist. d’une idée fire, Revue philos. »,
febbraio 1894. Fobia. T. Phobie,
neurasthonische Angesustinde; I. Phobia; F. Phobie. Nel linguaggio comune
equivale a pauni osagorata o ingiustifienta; nel linguaggio scientifico è una
forma di psicosi degenerativa, consistente in un timore istintivo irragionevole
cho assale l’ammalato in certo circostanze, in presenza di dati oggetti, al
pensiero di corti possibili avvenimenti, ed è sempre accompagnato da un sonso
di ansia più o meno vivo. La natura delle fobie vuria infinitamente o ogni
giorno so ne descrivono nuove varietà; tutte però rivelano lo stato mentale che
loro serve di substrato, cioè l’emotività eccessiva, tantochè alcuni psichiatri
la designano col nome di paranoia rudimentaria. Possono raggrupparsi in sei
classi: 1° paura dei contatti, caratterizzata dalla oppressione che l’ummalato
prova nel toccare determinati oggetti, monete, pomi delle porte (metallofobia),
spilli (belonefobia), oggetti a punta (aoutofobia), pezzi di vetro o perle
(oristallofobia), ecc. ; 2* paura morbosa degli spazi o topofobia, si tratti di
spazi larghi e aperti (agorafobia), o di spazi chiusi e oscuri (claustrofobia),
di precipini (cremnofobia), di alture (aorofobia); 3% paura morbosa di esseri
viventi o biofobie, si tratti di certi animali come ragni, topi, rospi
(zoofobia), ο della presenza di una 457 Fon donna (ginefobia), ο di un uomo
(pirifobia); 43 paura morbosa concernente l’ambiente fisico esterno da cui si
temono danni, como lu vista dell’acqua, dei flumi e ruscelli (idrofobia), del
fuoco dei fiammiferi (pirofobia), dei lampi ο dei tuoni (astrofobia); 5* timori
istintivi riferibili ad atti Asiologici od a possibili impotenze, come la puura
di non poter stare in piedi (stasofodia), di non poter cammivare (basoSobia),
di non poter muoversi dal letto (atremia), ecc.; 6* infine il gruppo numeroso
delle patofoble © delle nosofobie, fra cui la paura di essere avvelenati con
gli alimenti, con tossici imaginari contenuti negli abiti o negli oggetti
esterni (tossicofobia), di essere deformi (diemorfobia), di esser sepolti vivi (tafefobia),
ecc. Secondo la moderna psichiatrin, le fobie costituiscono quasi sempre delle
stigmate psichiche della degenerazione, ma possono anche essere conseguenza di
un semplico stato neurastenico, sia ereditario sia prodotto du stati di
esuurimento leggero, e rimediabile, del cervello. Cfr. Friedmann, Ueber den
Wahn, 1894; Gélineau, Les peur morbides, 1894; Lombroso, Alcune nuore forme di
malattio mentali, Arch. di peichistria », 1881; Morselli, Kir. di freniatria,
1887. Pondamento.T. Grund, Begründung, Grundlage; I. Foundation; F. Fondement.
In generale, significa ciò su cui riposa un certo ofdine di conoscenze; più
specialmente, indica sia ciò che giustifica un'opinione, che determina l’assentimento
dello spirito ad una serie di affermazioni, sin In. proposizione più generale ο
più semplice, da oui si può dedurre un insieme di conoscenze ο di precetti.
Fondamonto dolla morale dicesi il principio da cui si deducono le verità morali
particolari in un dato sistema otico; ο, più in generale, ciò che legittima per
la ragione il nostro riconoscimento d’una verità morale. Il fondamento della
divisione logica (fundamentum divisionis) è quella nota del concetto dividendo,
che è suscettibile di varietà. Il fondumento del1’ induzione è quel principio
generale, che rende possibile © For 158 legittiuo l’attribuire a tutta l’estensione
del genere che s'è riconosciuto soltanto in alcune sue specie. Tale principio
sarebbe, secondo gli empiristi, quello della costanza e uniformità delle leggi
naturali; anche eso però si forma per induzione, quindi è uecessario ammettere
che le prime nostre induzioni si facciano per enumerationem aimplicem, si
appoggino ciod soltanto sopra il numero dei casi, Per gli aprioristi invece
anche le verità sperimentali si fonduno sopra le verità originarie, i principi
supremi di ragione, nei quali è contenuta la giustificazione dei processi
induttivi (v. enumerasione). Forma. T.
Form, (iestalt; I. Form; F. Forme. Aristotele dlistinse per primo in ogni cosa
la materia (Όλη) dalla forma (1806), considerando la prima come l’ente in
potenza, τὸ Zuväneı ὄν, 9 la seconda come l’ente in atto, τὸ évepyeta ὃν. Egli
distinse anche la forma dalla figura (µορφή) cho è la più semplice
determinazione della materia, ciò che v ha di più elementare nella forma; e la
materia dalla sostanza, che è ciò che esiste in sè © non in altro. Ora le
sostanze sensibili sono prodotte dall’ unione della materia colla forma; perciò
la materia è una sostanza potenziale, © per divenire attuale occorre che sia
limitata e determinata, e tale carattere le è dato dalla forma. Dunque lu forma
è la sostanza in attualità, la materia à la sostanza in virtualità. Il dualismo
posto da Aristotele fra queste due entità oggettive, materia e forma, non fu
superato nè ila lui nò dai filosofi successivi. Nella filosofia scolastica il
termine forma ha un uso larghissimo, servendo a tradurre εἴδος, µορφή, obsia,
παράδειγµα. Per determinarlo, gli scolustici aggiungevano al termine stesso un
gran numero di epiteti, come: f. metaphysica, l’ essenza sostanziale d’ ogni
cosa; f. corporeitatia, l’organizzazione delle parti del corpo degli esseri
viventi, onde questi sono atti a ricevere l’anima, organizzazione considerata
quale sostanza distinta dal corpo e perciò detta organizationem substantialem ;
f. accidentalie. quella che sopraggiunge ad un soggetto completo nel suo essere
di sostanza; f. eubstantialis, una realtà sostanziale distinta dalla materia, ordinata
per sò in modo da costituire colla materia prima la sostanza corpo naturale,
cui «dà il suo essere ο la sua operazione specifica; f. materialis, quella che
è inseparabile assolutamente dalla materia, che dipende da essa nella sua
esistenza e nella sua operazione; J. spiritualia U anima intellettiva, che
oltrepassa la materia, © se dipende da essa per alcune operazioni inferiori, ne
è indipendente quanto alla esistenza e nelle operazioni più elevate; f.
assistons quella che non è porzione della cous, mu presiede soltanto al moto di
essa; f. informane quella che è ricevuta dalla materia e costituisce una cosa
sola con essa, Giordano Bruno accetta l’ iden aristotelico-scolnatica di forma;
soltanto le forme esterne mutano, egli insegna, tuentre le forme interne o
forze permangono immntabili; si devono distinguere la forma prima, che dà la
figuro, si estende parzialmente ed è dipendente dalla materia (ad os. la forma
materiale del fuoco), dalla forma inestess (anima) © indipendente dalla materia
(intelletto), come parti di un medesimo principio; dove è la forma, ivi in un
certo senso è tutto; dove è l’anima, lo spirito, la vita, è il tutto, Bacone
spogliò il termine del suo significato antico, cercando di dargli un senso
nuovo, che servisse di base ad una teoria della natura: Nos enim, quum de
formis loquimur, nil aliud intelligimus, quam leges illas et determinationes
aotus puri, quae naturam aliquam rimplicem ordinant et constituunt… Qui formas
novit, is nalurae nnitatem in materiis dissimillimis complectitur. Nella
filosofia moderna, specio dal Kant in poi, i due vocaboli, materia © forma,
farono trasportati dall’ essere al conoscere, e perciò il loro significato mutò
radicaliente: infatti per materia della conoscenza intendesi oggi tutto il
contenuto obbiettivo di essa, © per forma della conoscenza intendesi, nel senso
logico, nou altro che il modo dell’ attività del pensiero che si fissa come proFor
460 dotto logico, e, in senso gnoseologico, la
funzione formatrice della sensibilità ο del pensiero. Così nel giudizio dicesi
forma lu relozione di convenienza o discrepanza tra suggetto © predicato; nella
proposizione la forma è il verbo che esprime la relazione dei due termini,
soggetto ο predicato; nel sillogismo dicesi forma il nesso intrinseco e la
mutua dipendenza che hanno fra loro le tre proposizioni; nella legge morale In
forma è il modo con cui essa impone i suoi principi, che si manifesta in un
comando (imperativo positivo) o in un divioto (imperativo negativo). Cfr. Aristotele, Metaph.,
IX, 6; De an., II, 1; De ooolo, IV, 3, 4; Goclenius, Lexicon phil., 1613, p.
588-593; 8. Tommaso, Sum. theol., ΠΠ, 18, 1.0.; Bacone, N.
Org., II, 3, 17; Bruno, De la causa, dinl. II, IV; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
ed. Reclum, p. 49 (v. formalismo).
Formale. T. Förmlich, formal; I. Formal; F. Formel. Ciò che è indipendente
dalla materia, © riguarda soltanto la forma, Dicesi verità formale 1’ armonia
del pensiero con sò stesso, © verità materiale la conformità del pensiero con
la cosa a cui si riferisce. Dicesi logica formale quella che considera soltanto
la forma del pensiero, cioè il modo come gli olementi di questo sono tra loro
combinati, e logica materiale quolla che considera anche il contenuto del pensiero,
e cioò i rapporti delle idee in relazione con le cose. Cartesio disse esistenza
formale quella in sè, fuori d’ ogni idea, per opposizione all'esistenza
obbiettiva, che è l’ esiatenza per il pensiero © nel pensiero, Kant distinse i
fini delle azioni in materiali o soggettivi © formali ο obbiettivi: quelli sono
gli oggetti particolari del desiderio, questi sono presentati dalla ragione ad
ogni essere razionale come gli oggetti assoluti del dovere; i primi dànno luogo
agli imperativi ipotetici, i secondi all’imperativo categorico. Formalismo. T.
Formalismus; I. Formalism: F. Formalisme. Nella filosofia si adopera per
designare quei sistemi o quelle dottrine che si fondano sopra un principio
puramente formale, e che scambiano le parole con le cose. Ad es. dicesi
formaliemo matematico, la dottrina di Pitagora, che facendo dell’ unita il
principio formale e della molteplicità il principio materiale d’ogni esistenza,
cambin tutte le differenze di essonza in semplici determinazioni di grandesza.
Dicesi pure formaliemo la filosofia naturale di F. Bacone, per il quale ogni
conoscenza della natura ha lo scopo di comprendere le canse delle cose, le
prime delle quali sono le cause formali, perchè 1’ necadere ha radice nelle
forme, nelle nature delle cose; così, quando |’ induzione baconians ricerca la
forma dei fenomeni, ad es. la forma del calore, per forma e’ intende l’essenza
permanente dei fenomeni. Il vocabolo formalismo fu usato originarinmente per
indicare la particolare soluzione del problema degli universali sostenuta da
Duns Scoto; per codosto filosofo, tra l’individualità della cosa ο la sua
essenza univerrale non esiste che ana distinotio formalie; l'individuo è V
ultima forma di ogni realtà, mediante il quale soltanto esisto la materia
universale © che quindi non si può derivare da una forms generale ma solo
constatare come nttuale. Cfr. Duns Scoto, In lib. sent., 2, dist. 3, qn. 6, 15; Bacone, Novum
organum, 1. II; Sigwart, Logik, 2° od., vol. II, 6 93, 3 Formaliter. Termine usato specialmente
nella filosofia scolnatica, e con significati assai differenti. Talvolta ha
idontico significato (li ensentialiter, ο per correlativi aooidentaliter ©
materialiter : si dice infatti che un predicato appartiene ad nn soggetto
formaliter, quando non potrebbe sussistere nè osser concepito senza di esso, ad
es. la ragionevolozzn all'uomo; si dice che gli appartiene aooidentaliter
quando } easenza è raffrontata con predicati accidentali, materialiter quando è
raffrontata con attributi o parti della com, che sono come materia del soggetto
indifferente a cost tnire quella cosa o quell’ altra. Talora ha il significato
mentalmente, vale n dire accondo le formalità che distinFor 462 guiamo soltanto col pensiero, e in tal caso ha
per correlativo realiter. Altre volte formaliter si dice della cosa considerata
in sè, e allora ha tanti correlativi quanti sono quelli coi quali una cosa pnd
confrontarsi : se si confronta con l'oggetto, obiective; se con l'esemplare
secondo cui una corn è fatta, eremplariter; se col fine correlativo, finaliter,
ece. Altre volte ancora val quanto tere e proprie, ed allora ba per correlativi
apparenter, metaphorice. Si adopera infine, assieme con virtualiter ed
eminenter, per riferirlo alle cause in quanto contengono la perfezione dell’
effetto: quando nella causa si trova la natura dell’ effetto, come nel fnoco il
calore, l’effetto dicesi contenuto formaliter nella cansa; quando non si trova,
come la statua nella mente dello scultore, l’effetto dicesi contenuto
rirtualiter nella causa; quando la causa è molto più perfetta, cioè scbvra del
tutto dalle imperfezioni che si trovano nell’effetto, come Dio rispetto alla
creatura, allora dicesi eminenter. Cfr. Goclenio, Lextoon philos., 1613, p. 593
seg.; Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, 1855-70, vol. III, 216.
Fortiori (a). La dimostrazione a fortiori è quella che prova al di là della
tesi o verità da dimostrarsi. Però se il provar troppo, quando è esatto, è
utile, bene spesso costituisce un vero e proprio sofisma (v. argomento, quod
nimis probat). Forza. T. Kraft, Gewalt; I. Force; F. Force. Intesa nel senso
psicologico, essa non è altro, secondo molti filosofi moderni, che la
sensazione di resistenza, ο ciò che è supposto casere la causa della sensazione
di resistenza; ed anche volgarmente è sinonimo di aforzo. Esiste in noi, dice
il Condillac, un principio delle azioni nostre, che sentiamo ma non possiamo
definire: è chiamato forza. Noi siamo attivi del pari in relazione a tuttooid
che codesta forza produce in noi ο al di fuori. Lo siamo, ad esempio, quando
riflettiamo e quando facciamo muovere un corpo. Per nnalogia noi supponiamo in
tutti gli oggetti che producono 463 For qualche cangiamento, una forza che
conosciamo ancor meno, e siamo passivi in relazione alle impressioni che essi
fanno su di noi ». Il Maine di Biran riconduce il concetto di forza alla
coscionza della propria capacità attiva, alla appercezione interna immediata o
coscienza d’ una forza, che è il mio mo e che serve di tipo esemplare tutte le
nozioni genorali e universali delle cause, delle forze ». Il Bain, analokamente
al Mill e allo Spencer, la definisce. il sentimento che noi proviamo quando
spieghiamo la nostra energia muscolare, sia resistendo, sia producendo noi
stessi il movimento ». Nel senso meccanico la forza è una grandozza
suscettibile di misurazione, il che sarebbe impossibile se si riducesse ad un
puro conoctto psicologico. Ma, anche nel senso meccanico, essa fu intesa e
definita in modi diversi. Per Cartesio è ciò che dicesi oggi più propriamente
impulsione o quantità di movimento; per il Leibnitz nel concetto di forza era
compreso anche quello di lavoro e di energia: La forza attiva, che sta di mezzo
tra la facoltà di agire e l’azione stessa, suppone uno sforzo, © con questo
entra in operazione da sò stessa, senza aver bisogno @ altro ausiliare che la
soppressione dell’ ostacolo. Il che si può rendere comprensibile con 1’ esempio
d’un corpo grave teudente la corda che lo sostiene ». Nella meccanica modern la
forza è definita comunemente come la causa che modifien o tende a modificare lo
stato di movimento o di riposo di un punto materiale; quando il punto materiale
non è sottomesso nd alcuna forza, ο è in riposo, ο, se si muove, il suo movimento
è rettilineo ed uniforme, e ciò perchè egli non pnd modificare da sè stesso la
propria velocità nò in grandezza nè in direzione. Tuttavia, anche il definire
la forza come la causa del movimento non sembra esatto, innanzi tutto perchè la
causa non è misurabile, in secondo Inogo perchi la forza esercitata da un
sistema su un mobile non dipende solamente dallo stato intrinseco del sistema,
ma anche dullo stato dol mobile ο dalle ano relazioni col sistema esteriore.
Fre 464 Due forze si dicono uguali quando, applicate
ad uno stesso corpo nelle stesse circostanze, producono il medesimo effetto ;
forze mutue le forze uguali e contrarie che due punti esercitano V uno sull’
altro; forza omtrifuga la reazione che un mobile, assoggettato a descrivere una
curva fissa, osercita contro questa curva; forza contripeta In forra diretta
verso il centro di curvatura della traiettoria di un punto materiale, © che
mantiene il mobile su questa traiettoria; forza d'inerzia una forza uguale ο
opposta a quella che produce l’accolerazione di un mobile. Cfr. Condillac, Traité den
sensations, 1886, I, cap. 2, $ 11; Leibnitz, Op. phil., Erdm., p. 121; Maine de
Biran, Oeuvres phil., 1841, vol. ΠΠ,
5; Spencer, First princ., 1870, $ 31; Ardigò, Op. fil., I, p. 104 segg.; IL, p.
49 segg. (v. materia, energia, potenza, lavoro, dinamismo, ecc.). Freison o
fresinon. Termine mnemonico di convenzione, con cui si designa nella logica
formale quel modo della quarta figura del sillogismo, che ha In premessa
maggiore universale negativa, la minore particolare afformativa, la conolusione
particolare negativa. Es.: Nonsun savio è superbo. Qualche superbo è dotto. Dunque qualche dotto non è savio. Prenastenia
(φρήν -mente, ἀσθένεια =debolezza). T. Phrenaathenie ; I. Phrenasthonia; F.
Phronasthenie. Mancanza ο deficienza di vita mentale, determinata da arresto di
sviluppo. Comprende due forme o gradazioni fondamentali: V imbecillit& ©
l’idiotismo, più tutte quelle forme di debolezza di mente, congenita 0
acquisita, che attira volgarmente in chi la possiede il titolo di scemo,
zuccone, testa dura, eco. Cfr. A. Verga, Frenastenici ed imbecilli, 1877 (v.
ehefrenia, catatonia, idiotiemo, demenza, eco. Frenologia. T. Phrenologie; I.
Phrenology; F. Phrénologie. Questo nomo, che non dovrebbe mai usarsi in luogo
di psichiatria, designa In dottrina di Gall e Spursheim, che ebbe gran favore
nella prima metà del secolo scorso ed 465 Fre-Fox è ora quasi completamente abbandouata.
La fronologia è V arte di scoprire il carattere ο l'intelligenza dell’
individuo mediante l'esame della forma del suo cranio, e si fonda sopra la
supposizione che lo spirito sia costituito di tante facoltà innate, emozioni ©
tendenze affatto distinte tra di loro; che ciascuna di esse abbia la propria
sede, pure indipendente ο distinta, in una regione o organo della corteccia
corebrale; che quanto più sviluppata è una di questo facoltà, tanto più
voluminoso sia il centro cerebrale corrispondente ; che, infine, il maggiore o
minor volume dei singoli centri si riveli ulla superficie dol cranio, mediante
corrispondenti rilievi, bozze, depressioni, prominenze, ecc. Le facoltà ammesse
dal Gall, e i corrispondenti organi, sono ventinove, delle quali una si trova
nel cervelletto (senso sessuale), cinque nel cervello posteriore, sette nel
medio, sedici o diciassette nell’ anteriore. Quantunque In frenologia si
fondasse su presupposti assurdi giustifica bili con l'ignoranza in cni
trovavansi allora la fisiologia © l'anatomia del sistema nervoso essa ha
contribuito tuttavia n perfezionare la moderna dottrina delle localizzazioni
cerebrali. Cfr.
Bastian, Le cerveau org. de la pensée, trad. franc. 1888, vol. 11; Ch. Blondel, La peycho-physiologio de
Gall, 1914. Fresison. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica
formale si designa uno dei modi della quarta figura del sillogismo. È lo stesso
che freison. Frisesomorum. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella
logica formale si designa in modo indiretto della prima figura del sillogismo.
Come indicano le vocali delle tre prime sillabe, la premessa maggiore è una proposizione
particolare affermativa, la minore nniveranle nogativa, la conclusione
particolare negativa. Lo due ultime sillabe sono semplicemente eufoniche.
Funzione. T. Funktion; 1. Function; I. Fonction. I norale, l'esercizio di nos
determinato forma di atti 30 Rawzout,
Dizion, di scienze filosofiche. Fus più particolurmente, l’attività propria e
caratteristica esercitata da un organo in un insieme le cui parti sono in
rapporto di mutna dipendenza. Nella fisiologia dicesi funzione ogni fenomeno
che si comple nell’organiamo e concorre a realizzare un determinato risultato,
necessario alla conservazione dell’ individuo e della specie. Si distinguono
fanzioni di tessuti, di organi, di apparecohi. Le fanzioni generali della vita
sono: la nutrisione per cui gli individui, nei limiti assegnati alla loro
specie, crescono e si mantengono in vita; la riproduzione per cui la serie
degli individui si perpetua moltiplicandosi nel tempo e nello spazio; le
fanzioni di relasione, per cui gli individui sentono e si muovono, ponendosi
così in relazione col mondo ambiente. Per analogia il termine stesso fu poi
estero agli elementi e agli organi sociali; perciò si parla dolla funzione
sociale nel genio, della funzione ‘dello Stato, ecc. Nella matematica due
quantità variabili sono dette funzioni l’una dell’altra, quando |’ nna è legata
all’ altra per modo, che variando l’una varia anche l’altra in modo
perfettamente determinato, ma diverso a secondn dei casi. Così, considerando z,
variabile indipendente, come tale che possa assumere tutti i valori possibili
sd ognuno di questi valori dovrà corrispondere un valore determinato di y. Tale
proprietà, dal Lagrange in pol, si indica con In formula y == f(x). Cfr. Goblot, Fonotion et
finalità, Revue philos. », 1899, II, 695; Lebergue, Legona sur 7’ intégration,
1904. Fusione delle sensazioni. F.
Fusion des sensations. Tl carattere qualitativo unitario che risulta da due
senanzioni in determinati rapporti quantitativi. Così è possibile ottenere nna
sensazione olfattiva qualitativamente nuova dalla fusione psichica di due o più
odori applicati contemporaneamente nella mucosa nasale. Ma è specialmente nel
campo dell’ adito che essa ha importanza, e lo Stumpf se ne serve per spiegare,
contro 1’ Helmholtz, la consonanza 467 Fer ο la dissonanza degli intervalli musicali.
Sarebbero dissonanti quegli intervalli che non sono capaci di fondersi in una
percezione sonora unitaria, di guisa che anche un orecchio non musicale è
capace di distinguere due suoni simultanei; consonanti quelli capaci di
raggiungere una fusione perfette. Però non tutti i psico-fisiologi accettano
questa spiegazione, e molti, pur accettando il concetto che dotti fenomeni
stiano in rapporto con la maggiore o minore fusione delle sensazioni
elementari, fanno dipendere la furiono stessa non da processi psichici
centrali, ma da un fatto periferico, consistente in un nuovo fenomeno
periodico, riaultante dalla composizione delle vibrazioni di duo suoni. Cfr.
Stumpf, Tompeyokologie, 1890, 1. II, p. 64, 128; Helmholtz, Die Lehre von den
Tonempfindungen, 5° ed. 1896; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 133;
C. Zambiasi, Un capitolo di acustica musicale, Nuovo Cimento », serie V. vol.
IX, 1905. Futuro. T. Zukunft; 1. Future; F. Futur. La noziono di tempo risulta
di tro elementi, che rispondono ad atteggiamenti diversi del nostro pensiero:
il passato, cioì la memoria, il presmte cioè il fatto attuale, il futuro ossin
il fatto atteso. Il passato è già il non-essere, il presente è l'essere, il
futuro è il possibile concepito relativamente alla nostra esperienza. Diconei futuri contingenti, per opposizione a
futuri necessari, quegli avvenimenti che, essendo opera della Provvidenza
divina o del libero arbitrio, non hanno un legame necessario coi fatti
precedenti : «1 filosofi convengono oggi, dice il Leibnitz, che la verità dei
faturi contingenti è determinata, eiod che i futuri contingenti sono futuri,
oppure che essi accadranno, che esai si verificheranno: poichè è ugualmento
sicure che il futuro sarà, come è sicuro che il passato è stato ». Cfr.
Platone, Timeo, 37 e, 88 a; Aristotele, Paye, IV. ο, 1x e segg.; Leibnitz, Teodioen,
I, 36 (v. durata, intante, tempo). Generale. T. Allgemein; I. General; F.
Général. T'ermino generale è quello che abbraccia un numero indefinito di
individui, » ciascuno dei quali ai riferisce: ad es, scolaro. Si distingue dal
termine collettivo, che abbraccia un numero determinato di individui senza
riferirsi a nessuno di essi, ad es., scolaresca. Si distingue anche da wnirersale,
che si può attribuire soltanto ai giudizi, i quali diconsi universali quando V
attribute è affermato ο negnto di tatta 1) estensione del soggetto : perciò è
universale ogni gindizio che abbia per soggetto un termine singolare ο individuale
(che sono l’ opposto di generale) in quanto l’individno, che possiede l'
estensione minima, non può esser preso in parte dell’ estensione. Cfr. J. S. Mill, System of
logio, 1865, 1. I, $3; Wundt, Logik, 1898, vol. I, 96. Generalizsasione. T. Verallgemeinerung; 1.
Generalization; F. Généralisation. Quell’ operaziono mentale con oni si estende
un dato astratto a più oggetti indefinitamente. La generalizzazione implica
dunque 1’ astrazione; isolato, con l’analisi mentale, dagli elementi che
compongono un tutto, un dato elemento, questo che è un astratto; diventa un
generale quando, appartenendo a più altri oggetti, ne estondiamo la nozione
anche ad essi, cioò lo pensiamo come ad ossi proprio. Cfr. H. Ebbinghaus,
Psychologie, trad. franc. 1912, p. 176 segg.; Arohiv. f. (esante Psychologie,
vol. 8, 9, 12 (v. idea, astrazione). Generazione. T. Erzeugung, Generation ; I.
Generation : F. Génération. L’atto del generare, sia in senso biologico sia in
senso logico ed epistemologico; nel suo senso più largo è il cambiamento da un
termine negativo a uno positivo, o dal non essere all’ essere. Definizione per
generazione 0 genetica à quella che costruisce una figura con nn movimento
determinato di un’altra figura già conosciuta; ad“es.: il cerchio è una fignra
piana generata dalla rivoInzione d’una retta rigida intorno nd una delle
proprie estremità. Generatio æquirooa 0 generazione spontanca è una espressione
che ha due significati ben diversi: per il passato desiguava il nascere
spontaneo di esseri viventi, specie insetti, senza bisogno di ova o di germi
preesistenti; e questa cosa fu dimostrata falsa dalle esperienze del Redi e
dello Spallanzani. Oggi per generazione spontanea ο abiogencsi si intende
l’origine sulla terra della sostanza viva dalla sostanza inanimata; tale
origine spontanea, che è un presupposto della concezione monistico-meccanica ο
materialistica della vita, è intesa in due modi: ο gli esseri viventi nascono
direttamente dalla materia inorganica per una improvvisa aggregazione di
composti chimici evoluti a buso di carbonio, i quali si oristallizzano attorno
ad un contro di forza, così de assumere subito i caratteri di forme riproducibili
; oppure, e questa è l’ ipotesi più accettata, alla compares di esseri
monocellulari organizzati precede un periodo di combinazioni chimiche fra gli
stessi elementi, per le quali si formano gradualmente quelle sostanze che si
dicono proteiche ο la cui molecola complessa si costituisce attorno ad un atomo
di carbonio. Quantunque lu dottrina dolls generazione spontanen si presti a
molte obbiezioni, è tuttavia ammessa ds molti scienziati perchè preferibile a
quella della oreasione dell’ essere vivente dal nulla, per opera d’un potere
esterno al mondo, o a quella dell’ilozoismo, cioè In esistenza eterna ὁ
continua della vita. Nella terminologiascolasticadistinguevansi varie spocie di
generazione: generatio conversiva, quella per la quate un soggetto viene
trasportato da una forma ad un’altra, ad es. il calore in movimento meccanico;
g. mufativa, per la quale la materia presupposta nella generazione passa dalla
negazione di qualche forma alla sua realizzazione, ad es. l’acqua che da
torbida diventa limpida; g. pura, simpler, pracoiea, per la quale viene
prodotto un corpo dalla muGun 470 torfa allora creata, in cui cioè non
precedette forma ο privazione di sorta, nd es. le generazioni avvenute nel
primo istante della creazione del mondo. Cfr. Richerand, Nuori elem. di
fisiologia, trad. it. Dall’Aqua, pref., $ v; Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I,
p. 246 segg.; G. Pfitiger, Ueber die physiologische Verbrennung, Archiv für
gesammte Physiol. », 1875, vol. X; Id., Élém. de physiol. générale, trad.
franc. 1884; Haeckel, I problemi dell’ univereo, traduzione jana 1903, p. 353
segg. (v. monera, organiciemo, vita). Genere. Lat. Genus; T. Gattung, Genus; I.
Genus; F. Genre, In sonso generale il genere, come lo definisce lo Stuart Mill,
è € una classe che si distingne dalle altre, non solo per qualche proprietà
definita, ma per una serie sconosciuta di proprietà in numero indefinito, di
cui le prime sono V indice ». In senso logico il genere è quello che si predica
di molte specie differenti in qualche cosa, 0, come brevemente lo definisce Cr.
Wolff, eimilitudo specierum: in una serie di idee, in cui l'estensione va
decrescendo ed aumenta quindi la comprensione, l'idea più ostesa ὁ meno
comprensiva è nn genere rispetto alle meno estese e più comprensive, 6 l’idea
meno estesa è una specie rispetto alle più estese di cui comprende tutte le
proprietà. Ad es. nella serie: materia, organiemo, animale, vertebrate, uomo,
curopeo, V iden di organismo rappresenta il genere rispetto ail animale, che è
In specie e che dell’ organismo comprendo tutti gli attributi. Nella stessa
serio diccni genere promimo quel genere cho più #i avvicina, come tale, ad uns
data idea; ad es., animale rispetto a vertebrato, muteria’ rispetto ad
organismo. Ciò che sotto un rispetto è genere, sotto un altro rispetto è
specie; ad es, uomo è gonere rispetto ad europeo, ed è specie rispetto a
vertebrato. Ora, i metafisioi dicono genere sommo (τὸ γενικώτατον γένος summum genus) quello che contiene tutti gli
altri generi © non è contenuto in nessuno, ossia l’idea assolutamente
estensiva; tale sarebbe, socondo alcuni, I’ essere, secondo «τι GEN altri la sostanza, ο l’ unità, ο il bene,
eco. L’ idea assolìelmente specifica, ossia assolutamente comprensiva, è I’
dividuo. Nella biologia il genere à pure
1’ insieme di pi specie presentanti qualche punto di contatto; l'insieme di più
generi è la famiglia; tra il genere e la famiglia si ainmettono talvolta dei
sottogeneri. Nella nomenolatura binomia © denominazione duplice stabilita da
Linneo, ogni specie di animale o di pianta è designata con due nomi, di cui il
primo esprime il genere, il secondo la specie e serve n stinguerla dalle oongeneri.
Cfr. Aristotele,
Metaph., V, 28, 1024 a, 29 segg.; Crist. Wolff, Philos. rationalis sive logica,
1732, $ 234; Kant, Logik, 1800, p. 150; J. 8. Mill, System of logie, 1. IV, cap. 6, $ 4. Genesi. Gr. Γένεσις; T.
Genese; I. Genesis; F. Genèse. Significa generazione, origine, formazione,
principio. Iu greco indicava più specialmente divenire, produzione; in tal
senso si distingue da origine, in quauto ogni genesi suppone una realtà
preesistente e un punto di partenza, che ne è l’origine. Genetico. T. Genetisch
; I. Genotio; F. Génétique. Che riguarda la genesi di un essere, di un
concetto, di una istituzione. Il metodo genetico consiste nel ricercare le
orig; © la formazione di un dato fenomeno, di una data dottri o scienza. La
definicione genetica è quella che definisce un concetto nel modo stesso onde
esso si costruisce; dicesi gonetica indicatita, se il costituirsi degli
elementi non dipende da noi ma è opera della natura, genetica ricostruttiva se
possiamo congiungere noi stessi gli elementi costitutivi dell'oggetto, come
quando si definisce il ciliudro: una figura generata da un rettangolo, che
compio una rivoluzione completa girando intorno ad uno dei suoi lati. La
olassificasione genetica è quella che dispone i gruppi secondo una
diversificazione progressiva, e considera le classi come prodotto più o meno
stabile, ma non del tatto invariabile, delle variazioni causali delle
proprietà. GEN Μο | itrine evolutive ha reso genetiche tanto } © naturali
quanto le sociologiche e moÈ. Philos. rationalis, 1732, $ 195; Maso 8 segg. |
om 2. vende; L Genius; F. Genio, Esistono molte definizioni del genio, cho
riflettono i modi diversi di intenderne e spiegarne la natura: tutti però
convengono nel considerare il genio come la forma più alta di sviluppo che
l'intelligenza, l’imaginazione, il sentimento o il volere possono raggiungero
in un individuo umano, come la più compiuta espressione della psiche umana. Si
distingue dal’ ingegno, che è più comune e, so comprende e crea, non è nelle
sue crensioni così spontaneo e originale come il genio, nd suscita intorno a
sè, tra i contemporanei ο presso i posteri, quel consenso ο quell’ammirazione,
che rendono immortale il genio. Si distingue anche dal falento, che è in un
uomò quella inclinazione complessiva, che gli è propizia a causa delle speciali
diresioni delle sue doti di fantasia e d’intelletto. Le ricerche teoretiche sul
genio non cominciano che con la psicologia moderna; nei tempi antichi esso è
studiato piuttosto biograficamente, come în Plutarco, e in Platone, che nei
suoi dialoghi fa rivivere la figura del maestro immortale. Secondo la nota
definizione, attribuita dal Littré al Buffon, il genio non è altra cosa che una
grande attitudine alla pazienza ». Secondo d’ Holbach è la facilità di cogliere
l'insieme e i rapporti negli oggetti vasti, utili, difficili a conoscere ». Per
Cristiano Wolff è soltanto la-fcilità di osservare la somiglianza delle cose ».
Per Kant il genio artistico è una intelligenza cho opera come la natura »; il
segreto ο la caratteristica delle creazioni geniali sta in ciò, che lo spirito
che crea con uno scopo, lavora tuttavia come la natura che crea senza uno scopo
e senza un interesse; nel campo dell'attività razionale umana, il genio è la
sintesi della livertà e della natura, della finalità » della necessità, della 473 GKN
funzione pratica e della funzione teoretica. Anche per Schelling il genio, come
la più alta sintesi di tutte le attività della ragione, consiste nella finalità
senza scopo del creare; in altre parole, l'essenza della ragione si realinza
pienamente soltanto mediante 1’ attività cosofente-incosciente del genio
arlistico, in quanto esso supera quei contrasti tra attività cosciente ©
incosciente, che fanno sì che Pio teoretico e l’io pratico, tra essi racchinso,
non raggiunga mai, normalmente, il suo scopo. Per Schopenhauer il genio è la
capacità di penetrare con la pura intuisione nella realtà obbiettiva delle
cose, di sepnrarsi per un certo tempo dalla propria personalità per essere puro
soggetto conoscente. Per il Cousin il genio, specie quello artistico, è caratterizzato
da due cose: anzitutto dalla vivacità del bisogno di creare, poi dalla potenza
creatrice ; il vero genio non riesce a dominare la forza che ha in sè, soffre
nel contenere cid che prova, cosicchè se è stato detto che non v ha uomo
superiore senza un grano di follia, tale follia, como quella della croco, è la
parte divina della ragione ». Per Lombroso il genio è, con la delinquenza e la
pazzia, uns sottospecie di una specie psicologica abnorme, unu nevrosi
degenerativa di natura epilettoide; questa teoria ha suscitato un vivace
dibattito, non ancora chiuso, 0sservandosi da alcuni che la genialità non è
certamente In coratteristica dei folli, da altri che il dispendio mentale da
cui sorge l’opera del genio espone facilmente a forme nervose degenerative, le
quali dunque non sarebbero causa ma effetto della genialità, da altri ancora
che alle condizioni di assoluta squisitezza ὁ delicatezza del sistema nervoso
si debbono sia le attitudini geniali sia le degenera zioni nervose, ma che le
une e le altro, se sorgono su un terreno comune, non si debbono perciò
considerare come vincolate tra loro da un rapporto di causalità. Cfr. Holbach, Syst. de la
nature, 1770, vol. I, p. 127; Cr. Wolff, Paychologia emp. 1198, $ 476; Kant, Krit. d.
Urteilekraft, 1878, Geo AU p187; Schopenhauer, Die Welt als, oce.,
suppl., 1. IIT,
cap. XXXI; V. Cousin, Du vrai, du beau οἱ du
bien, part. III, cup. V; Moreau de
Tours, Payool. morbide, 1859; Lombroso, L'uomo di genio, 1888; Id., Genio e
degenerazione, 1908; Id., Origine e natura dei genii, 1902; Padovani, Che cox’
è il genio, 1907; Id., Le origini del genio, 1909. Geocentrico. 1. Geocentrisoh;
F. Géocentrique. L’antico sistema tolemaico, che poneva la terra come il punto
centrale fisso dell'universo, intorno a cui si muovono il sole, la luna e le
stelle. Il geocentrismo si ricollega strettamente all’altro errore antico
dell’antropocentrismo, per cui l’uomo considera sò stesso come scopo finale
prestabilito della creazione, e crede che tutta la natura sia stata creata per
servire et lui (v. oause finali, finalità, oliooentriemo) Geografia. T.
Erdkunde, Geographie; I. Geography; F. Géographie. Scienza che ha per oggetto
la descrizionc della superficio della terra, la determinazione della sua veru
forma, la distribuzione delle piante e degli animali, delle zone occupate dai
diversi popoli, linguaggi, religioni, ecc. Si distingue perciò la geografia
fisica, matematica, biologica (zoologica, botanica, etnologica), sociologica
(econo-, politica, linguistica, ece.). Geologia. Ί. Erdbildungskunde, Geologie
; I. Geology; F. Géologie. La, scienza che studia la struttura interna della
terra, i suoi periodi di formazione, desumendoli dall’ esame della crosta
terrestre e dalle leggi fisiche e chimiche. Eas sorse quando cominciò seuoterai
la fede nelle leggendo n saiche sulla creazione, verso la fino del secolo
diciottesimo, οἱ è giunta oggi u stabilire i periodi principali nella storia
della terra, a spiegure la formazione dei fossili, a escludere l’ intervento
dei miracoli e delle cause sovrannaturali nella formazione del nostro pianeta.
Cfr. K. A. Zittel, Geschichte d. Geol. und Paläontologie, 1899 (v. cosmogonia).
Geometria. T. Geometrie; I. Geometry; F. Géométrie. Quella parte delle scienze
matematiche che ha per oggetto 475 Gro lo studio delle forme ο delle -figure che
si possono tricciare nello spazio. Secondo il Comte l'oggetto della geometria è
la misura indiretta delle grandezze; infatti nelle «quantità non direttamente
misurabili, conosciuti alcuni dei rapporti tra gli elementi di cui una figura è
composta, essendo tali elementi necessari, mediante essi αἱ determimano tutti
gli altri. La geometria distinguesi in pura e analitica: quella, senza valersi
delle formule algebriche, studia direttamente le figure mediante spostamenti,
sovrapposizioni ed uguaglianze; questa allo studio diretto delle figure
sostituisce delle semplici formule algebriche, fondandosi sulla scoperta di
Cartesio, che cioè ad ogni figura corrisponde una equazione e ad ogni equazione
una figura. Alla geometria pura si connette la descrittiva, cioè 1’ arte di
rappresentare delle figure solide mediante le loro proiozioni sopra due piani
perpendicolari. Fino ol principio del secolo XIX la geometria enclidea era
considerata il modello porfetto d’ogni certezza scientifica; il razionalismo
cartesiano, ispirandosi al detto di Keplero, ubi natura ibi yeometria, l'aveva
posto # fondamento d’ogni sapere intorno alle cose idealizzate nella pura
estensione ed aveva persino preteso con Spinoza di costruire una morale more
goometrico demonstrata. Ma con l'Helmbolte, il Lobatchewsky, il Riemann, il
Bolyai, ecc. cominciò ad affermarsi la ponsibilità di altri spazi oltre quello
euclideo, e quindi di geomotrie diverse da quella di Euclide. Ciò diede origine
à vivact discussioni filosofiche, non ancora sopite, tra empiristi e
neo-kantiani, intorno alla natura dello spazio, nlY origine degli assiomi, alla
possibilità 0 meno di rappresentarsi intuitivamente lo spazio non euclideo.
Altre vedute non meno importanti si annunziarono in questi ultimi tempi circa
la natura e il metodo della geometria. Così secondo il Pieri la geometria deve
affermarsi sempre più come lo studio d'un certo ordine di relazioni logiche,
liberandosi dai legami che ancora la legano all’ intuizione e divenendo con Gen
476 ciò scienza puramente deduttiva ed astratta. A
questa nuova elaborazione logica della geometria, contribuì specialmente, tra
noi, il Peano; secondo il quale il calcolo geometrico consiste in un sistema di
operazioni da eseguirsi su enti geometrici, analoghe a quelle che l’algebra fa
sopra i numeri © permette di esprimere con formule i risultati di costruzioni
geometriche, di rappresentare con equazioni proposizioni di geometria e di
sostituire una trasformazione di equazioni a un ragionamento ; come si vede,
questo calcolo ha analogie con la geometria analitica, dalla quale però differisce
in quanto i calcoli non si fanno, come in quella, sui numeri che determinano
gli enti geometrici, ma sngli enti stessi. Cfr. Klein, Porlesungon über nicht-suolidischen Geometrie,
1893; Halstead, Bibliografy of hyperspace and non-ewolidean geometry, American
journ. of. math. », vol. I, p. 261
segg.; Veronese, Fondamenti di geometria a più dimensioni, 1891, p. 565 segg.;
Vonola, La geometria non-cuolidea, 1905; Peano, I prinoipii di geometria
logicamente esposti, 1889, p. 3 segg.; Aliotta, La reazione idealistios, 1912,
p. 389 segg. (v. euclideo, matematica, metageometria, spazio, superficie).
Gerarchia. T. Hierarchie; I. Hierarchy; F. Hiérarchie. Una serie di esseri ο di
fatti, sia reali cho ideali, disposti in modo che ciaseuno dipende dai
precedenti e comanda ai susseguenti o li determina, li spiega. In tal senso parlusi
di gerarchia delle scienze, gerarchia delle funzioni xin fisiologiche che
sociali, gerarchia delle specie biologi che, ece. (v. olagnifoazione delle
wienze, seriazione dei fen. sociali). Germiplasma (teoria del). E la teoria con
la qualo il Weissmann spiega l'eredità. L’ essere organizzato è costituito di
soma 0 plasma somatico, da cui si sviluppano tutti i tessuti del corpo, ο di
germiplasma, o plasma germinale, di cui una parte viene impiegata nella
riproduzione οἳοditaria, dando luogo ai nuovi individui. Ora, non essendovi
aleuno scambio, nessuna comunicazione tra queste due 417 Go
specie di plasma, e le qualità acquisite interessando esclusivamente il primo,
ne viene come necessaria conseguenza la negazione dell’ ereditarietà dei
caratteri acquisiti. Ed è appunto per questa conseguenza, che la teoria del
Weissmann ha suscitato infinito discussioni e critiche nel mondo scientifico.
Cfr. A. Weissmann, Des Koimplaema, cino neue Theorie d. Vererbung, 1894 (v.
eredità, panmizia, neolamarkismo). Gionchiti o gioachimiti. Setta di eretici
medioevali, fondata dall'abate Gioacchino e originata, secondo il Tocco, dalle
dottrine della Chiesa greca 9 ancor più da quelle del catarismo. Il gioachismo
divide In storia dell’ umanità in tre grandi periodi, nel primo dei quali regnò
il Padre, nel secondo il Figlio, nel terzo sarà per regnare lo Spirito; questo
terzo periodo sarà contrassegnato della luce piena della grazia, della libertà
ο della carità, impererà un vangelo più perfetto e la verità sarà colta
attraverso le molteplici allegorie della Bibbia, abbandonandone | interpretazione
letterale. Cfr. Tocco, L'eresia nel medio oro, 1884 (v. alimariolans). Gioia.
T. Freude; I. Ioy; F. Joie. È un sentimento di piacere, che non è localizzato
in nessuna regione determinate dell’ organiamo, e al quale s’unisce, secondo
l'Hôffding, una tendenza involontaria a mantenere e conservare l'oggetto del
piacere. Fa intesa e definita variamento dai filosofi. Per Spinoza è la
passione per la quale l’anima passa a una perfezione maggiore », mentre la tristezsa
è la passione per cui discende sd una minore. Por Cartesio à una gradevole
passione dell'anima, nella quale consiste il godimento che essa ha del bene,
che le impressioni del cervello le presentano come suo »; esiste anche una
gioia puramente intellettuale, che viene nell’ anima per la sola azione dell’
anima e che si può dire essere nnn gradevole emozione eccitata in lei stessa,
nella quale consiste il pincere cho essa ha del bone, cho il suo intendiGiu
mento le presenta come proprio ». Per Locke la gioia è un piacere che l’anima
prova quando considera il possesso di un bene presente o futuro come assicurato
; e noi siamo in possesso di nn bene quando esso è talmente in nostro potere,
che possiamo goderne quando vogliamo ». Per il Galluppi la gioia è una
passione, che nasce quando |’ oggetto nmato si riguarda come presente; quando
si riguarda invece come vicino, e certo ad ottenersi, si ha l’allegrezza alla
gioia si oppone la tristezza, all’ allogrezza lx mestizin. Per il Godwin è uno
stato di piacere mentale, detorminato specialmente da sensazioni piacevoli e
dai loro oggetti, dalle conoscenze di ogni specie, da ogni sorta d'esercizio.
Il Bergson insiste sul carattere di pienezza o totalità della gioin, per oui
essa si estende a tutto il contenuto della coscienza La gioia interiore non è,
più che la passione, un fatto psicologico isolato, che occuperebbe da principio
un angolo dell’ anima e a poco a poco gundagnerebbe terreno. Nel suo grado più
basso, essa somiglia molto ud una orientazione dei nostri stati di coscienza
verso l'avvenire. Poi, como se codesta attrazione diminuisse la loro
pesanterza, le nostre idee © sensazioni si succedono con maggiore rapidità; i
nostri movimenti non costano più lo stesso sforzo. Intino, nella gioin estrema,
le nostre percezioni ei nostri ricordi acquistano una qualità indefinibile,
paragonabile a un calore 0 a una luce, e così nuovi che a certi momenti,
ritornando su noi stessi, proviamo come uno stupore di ensero ». Cfr. Cartesio, Les
passions de l'âme, II, 91; Spinora, Ethica, lib. IIT, teor. XI, scolio; Locke,
Essay, II, cap. 20, $ 7; Galluppi, Lesioni di logioa e metafisica, 1854, II, p.
841; Godwin, Active principles, 1885, p. 9, 18; Bergson, Essai sur les données
imm. de la conscience, 1904, p. 8; G. Dumas, La tristesse é la joie, 1908. (Giudizio. T. Urteil; 1. Judgement; F.
Jugement. Essendo un atto primitivo della mente, ο quindi nasolntamante mi
generis, non è propriamento detinibile. La dofinizione più 479 Gru
comune, già usata da Aristotele, quell’atto per cui ni afferma ο si nega » è
essa pure una tautologis, perchè I’ affermare ο il negare costituisce appunto
il giudizio. Nè più felici sembrano le altre definizioni, che citiamo a caso e
senz’ ordine cronologico rigoroso; Malebranche : la percezione del rapporto che
si trova tra due 0 più cose; Baylo: l’atto col quale affermiamo o neghiamo
qualche cosa di un’nltra; Locke: l’atto con cui si uniscono ο ri separano due
idee; Kant: è l’idea dell’ unità di coscienza di difterenti idee, ο l’idea del
loro rapporto in quanto compongono una nozione; Hobbes: è l’espressione del
rapporto tra il significato di due nomi; Wuridt: è la decomposizione d’ una
rappresentazione nei suoi elementi; Hamilton : giudicare è riconoscere la relazione
di congruenza o di incongruenza in cui stanno tra di loro due concetti, due
cose individuali, ο un concetto e un individuo; Munsel: un atto di comparazione
tra due dati concetti riguardo la loro relazione ad un oggetto comune ; J. 8.
Mill: la pertinenza di un attributo o di un grappo di attributi, ad un altro
attributo o gruppo di attributi; Galluppi: un pensiero, col quale noi pensiamo
che un oggetto è o non è di tale o tal maniera; Rosmini P affermazione
(possibile o reale) d’ un atto in sò, che si fa, sia poi un atto essenziale, ο
sostanziale, ο accidentalo, positivo ο negativo, occ.; Masci: un rapporto
predicativo tra concetti; Hòfiding : un legame di nozioni fatte con coscienza ©
limpidezza; Volkelt: un semplice atto di relazione; Bergmann: la decisione sul
valore di una rappresentazione. Nel giudizio si distinguono tre elementi
costitutivi: il soggetto che è il concetto da determinarsi ; il predicato che è
il concetto che serve a determinare il soggetto; la copula che è la relazione
tra il predicato e il soggetto. Secondo alcuni logici, quest’ ultimo non è
elemento essenziale del giudizio © può anche mancare. Varie furono le
classificazioni proposto dei gindisi, perchò vario fu il modo onde il giudizio
stato considerato; ma la classificazione più universalm Gv 480 accettata è quella che, abbozzata
primitivamente da Aristotele, completata dai logici posteriori, fa poi raccolta
in una tavola dal Kant. Essa divide i giudizi in quattro classi, secondo la
qualità, la quantità, la relazione, la modalità. Sotto il primo rispetto i
giudizi sono: affermativi, negativi. infiniti; sotto il secondo universali,
particolari, individuali : sotto il terzo calegorici, ipotetici, disgiuntivi;
sotto il quarto problematici, assertori, apodittici. La qualità © quantità doi
giudizi vengono designate per brevità colle lettero a, ο, secondo i versi
mnemonici: Asserit a negat €, verum generaliter ambo. Assorit i negat ο, sed
partioulariter ambo. Il Kant distingue anche i giudizi in analitici ο
sintetici. Alla classificazione kantiana alcuni vogliono aggiungere questa:
giudizi narrativi, esplicativi, descrittivi. La classificazione kantiana dei
giudizi vale porò soltanto per i giudizi semplici; i giudizi composti furono da
altri divisi in tre classi: a relazione omogenea, a relazione etorogonea,
giudizi contratti (v. le rispettive definizioni). Cfr. Kant, Krit. d. reinen
Fern., ed. Reclam, p. 33 segg.; Logik, $ 17; Hamilton, Lectures on metaph.,
1859, I, p. 204 segg., II, 271 segg.; Mansel, Metaphysios, 1866, p. 220 segg.;
Hôffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 285; Id., La base peyohologique
des jug. logiques, Revue philos. », 1901, t. II; Ueberweg, System der Logik,
1874, § 67; Volkelt, Erfahrung und Denken, 1886, p. 157 segg.; Wundt, Logik,
1893, vol. I, p. 136 segg.; Gulluppi, Lezioni di logica e motaf., 1854, vol. I;
p. 65; Roamini, Logica, 1853, p. 87; Masci, Logica, 1899, p. 158 segg.; Calò,
Conoezione fetica ο conoesione vintetioa del giudizio, Cultura filosofica »,
agosto 1908; S. Tedeschi, Sulla funzione conoscitiva del giudizio, Ibid. »,
gennaio 1910. Giustizia. T. Gerechtigkeit; I. Justice; F. Justice, È la più
grande delle virtà sociali, l’espressione più alta del sentimento di simpatia,
Essa trae origine dal concetto di uguaglianza ο di reciprocità, e si compendia
nel precotto evangelico: non fare agli altri cid che non vorresti fosse 481 Gru
fatto a to stesso. Infatti già i pitagorici, cioè i primi filosofi che
studiarono il concetto della giustizia, ls fecero consistere nel contraccambio,
nella proporzione, 6, in conformita al loro simbolismo matematico, 1’
assimilarono al numero quadrato, ἡ δικαιοσύνη ἀριθμὸς ἰσάχις ἴσος. Con ciò è
dato, quantunque in modo generalissimo, il concetto della giustizia come di una
combinazione fra termini uguali © contrapposti; essi facevano consistere la
giustizia nel1’ uguale moltiplicato per 1’ uguale, ο nel numero quadrato,
perchè essa rende lo stesso per lo stesso. Anche Aristotelo affermava che il
giusto è il legittimo ο 1’ uguale, 1’ ingiusto l’illegittimo ο l’inuguale; e i
Romani, col termine ginstizia, designavano ciò che è esatto, imparziale, proporzionale.
La giustizia scaturisce dal seno stesso della 80cietà, assumendo forme sempre
più pure e perfetto, ο si personifica nel Potere, che ha l'ufficio di tutelarne
il rispetto e l’applicazione anche con la coazione materiale. Si distingue
quindi la giustisia sociale, che risiede nel Potere, dalla giustizia potenziale
(ο equità), corrispondente alla idealità che nasce da prima nell’ individuo ο
si riflette nella società. La giustizia si distingue ancora dalla carità ο beneficonza,
che si compendia nel precetto: fa agli altri ciò che vorresti fatto a te
stesso. Fra le classificazioni delle varie forme di giustizia, la migliore
sembra ancora quella aristotelica, che distingue: 1. la ginstisis distributiva
(τὸ δίκαιον daveperix6v) che riguarda i rapporti fra i cittadini d'uno stato ei
beni comuni da condividero, che si devono distribuiro secondo il merito; 2. la
ginstisia correttiva (τὸ δίκαιον διορθωτικὀν) che riguarda specialmente
l’applicazione delle leggi e veglia non alla loro formazione ma al loro
adempimento; 3. la giustisia retributiva (τὸ δίκαιον αντιπαπονθός) che può
essere o penale o civile o comniutativa in quanto è l’ uguaglianza pura e
semplice, ο l’equivalenza dei beni scambiati, dei mutui servigi. Cfr. Aristotole,
Motaph., I, 5, 985 b, 29; EtMoa, V, 1, 1129 a, 6 segg.; 31 RaNzoLI, Dizion, di scienze filosofiche;
Gra-Gno 482 Zeller, Phil6s. d. Griechen, I, p. 391-426;
Diels, Die Fragm. der Vorsokratiker, 1906, vol. I, p. 239 segg.; Romagnosi,
L'antica morale filosofica, 1838, p. 195 segg.; Troiano, Dottrine morali di
Pitagora ο di Aristotele, 1897, p. 58 segg.; Ardigò, Opere fil., IV, p. 54
segg.; Z. Zini, Giustizia, 1906; B. Donati, Dotirina pitagorica e aristotelica
della giustizia, Riv. di fil. », novembre 1911. Glandola pienale. T.
Zirbeldrüse; F. Glande pinéale. Organo atrofizzato ο rudimentario, di forma
conico-ovolare, di colore rossastro, che si alsa davanti ai lobi ottici, tra
l'encefalo anteriore e quello posteriore. Cartesio od altri filosofi ne fecero
la sede dell'anima: Kem acourate eraminando, dice Cartesio, mihi videor
ovidonter cognovisse, partem cam corporis, in qua anima ezerosi immediate suas
functiones, nullatonus osso oor, neque etiam totum cerebrum, sod solummodo
mazime intimam partium eius, qua est certa quaedam glandula admodum parva, sita
in medio subatantiae ipeius, et ita suspensa supra oanalem, por quem spiritus
oavitatum cerebri anteriorum communicationem habent cum spiritibue pouterioris,
ut minimi motus, qui in illa sunt, multum possint ad mutandum oursum horum
spirituum, σὲ reciproce minimac mutationes, quae accidunt cursui spirituum
multum inserviant mutandie motibus huiue glandulae. Invece per i moderni
naturalisti essa non è che il rudimento di un occhio impari, mediano, chiamato
occhio parietale per la sua posizione rispetto alle ossa omonime, In parecchi
vertebrati inferiori, ad os. nei rottili, esso è più che rudimentale,
potondovisi discornere le varie parti degli occhi ordinari. Cfr. Cartesio,
Pans, an., I, 31 seg. (v. animali spiriti). Gnomica (filosofia). Nel suo
significato generale designa quella forma di sapienza che non è sistematizzata
in un tutto logicamente coordinato, ma s' esprime in proverbi, sentenze,
aforismi, con forma popolare sia in prosa che in poesin. In un significato più
ristretto, designa la primitiva morale dei Greci, quale trovani già esposta nei
versi di 483 Gxo Omero, nel poema di Esiodo, nella poesia
gnomica propriamente detta di Solone, di Focide, di Teognide e nelle sentenze
de’ sette Savi, conservate dalla tradizione. Cfr. Diogene Laerzio, I, 1, 40
segg.; Aristotele, EtMoa Nie., V, 3. Gnoseologia. T. Gnoseologie,
Erkerntnistheoris ; I. Gnos0logy ; F. Gnostologie, Guosiologie. Nome dato dal
Banmgarten a quella parte della filosofia che tratta della dottrina della
conoscenza, vale a dire dell’ origine, della natnra, del valore e dei limiti
della nostra facoltà di conoscere. La parola è caduta quasi in disuso nella
terminologia tedesca, che preferisce la parola Erkenniwistheorie teoria della conoscenza; è invece d’ uso
comune negli altri linguaggi filosofici, sebbene con qualche oscillazione di
significato. La gnoseologia non va confusa nd con la peicologia nd con la
logica: sebbene abbiano per oggetto comune lo studio del pensiero, tuttavia la
psicologia considera il pensiero stesso come un'attività dello spirito; la
logica lo riguarda come mezzo delle conoscenze mediate, il quale condnoe alla
verità ο all'errore a seconda che è usato bene o male; la gnoseologia lo studia
in rapporto all’ oggetto, per vedere se © in che limiti ce ne può dare In
conoscenza. La gnoseologia si distingue anche dalla epistemologia, che è lo
stadio critico dei principi, delle leggi, dei postulati e delle ipotesi
scientifiche. Circa la sua importanza, è indubbio che da Kant in poi casa
occupa una posizione centrale nella filosofia, tantochè per alcuni essa è tutta
quanta la filosofin ; nessun filosofo oggi può accingersi a discutere di
questioni metafisiche senza aver prima chiarita la sua posizione riguardo ai
problemi gnoseologici. I quali, trascurati ο sottomessi a presupposti
metafisici nella filosofia antica ο medievale, cominciano ad assumere unu
posizione autonoma ο fondamentale con l’ empirismo inglese, specialmente con
Locke: La mia intenzione, egli dice, è di ricercare 1’ origine, la certezza ο
1’ estensione del sapere umano, come pure i fondamenti e lo fasi gradunli della
credenza, della Gyo 484 opinione e dell’ assenso ». Mentre Cartesio,
Malebranche, Spinoza, eoc., si erano affaticati intorno al problema del
rapporto tra anima e corpo, tra spirito e materia, Locke, giudicando tale
problema come insolubile, si propone invoce di determinare con quali mezzi
giungiamo a conoacere tanto lo spirito che il corpo, e, con la distinzione tra
le qualità primarie e le secondarie, con l’analisi distruttiva dell'idea di
sostanza, getta le prime basi di tutte le discussioni gnoseologiche, le quali
terranno occupata Ja mente dei filosofi nei due secoli seguenti. Occorre però
aggiungere che non tutti i filosofi moderni convengono sulla necessità, anzi
sulla legittimità della gnoseologia. Hegel aveva già osservato: L’esame della
conoscenza non può farsi altrimenti che conoscendo ; questo cosidetto stromento
richiede di essere esaminato non altrimenti che conoscendolo. Ma voler
conoscere, prima di conoscere, è cosa tanto assurda quanto il sapiente
proposito di quello scolastico, di imparare a nuotaro prima di arrischiarsi nell’acqua
». Oltre la scuola dell’ Hegel (la quale però non è tutta concorde nel seguire
in questo il maestro) anche quella del Fries nega la legittimità della
gnoseologia, considerando In possibilità della conoscenza non come un problema,
ma come un fatto, in quanto il criterio della verità dei giudizi ata nella
conoscenza immediata, quale ci è data dalla percezione che è originariamente
assertoria: se la possibilità della conoscenza fosse un problema, per
risolverlo dovremmo avero un criterio, mediante l'applicazione del quale si
potesso decidere se una conoscenza è vera o no; questo criterio sarebbe una
conoscenza 0 no; nel primo caso richiederebbe a sun volta un altro criterio per
poter decidere della sus validità, nel secondo caso, se cioò non fosse
conosciuto, come potremano conoscere che è un criterio della verità? Cfr. Locke, Essay, I, cap. I, $
2; Hegel, Enoyol., $ 10; A. Phalen, Das Ærkenninisproblem in Hegels
Philosophie, 1912; Riehl, Die philosophiache Kriticismus, 1879, vol. II, 1. I,
p. 11; Eigler, 485 Gxo-Goc Einführung in die Erkenntnistheorie,
1906; È. Cassirer, Das Erkenntnisproblen in d. Philos. u. Wissenschaft,
1906-1907 ; .ibhandlungen der Friewechen Schule, 1909-1912, vol. III, fase. IV; Ardigò, Op. jil., vol. I, pref.:
V, 15 segg.; Do Sarlo, I problemi gnoseologici nella. fil. contemp., Cultura
filosofica », settembre 1910. Gmosi. T. Guosis; I. Gnosis; F. Gnose. Indica
quella scuola teologica e filosofica, sorta nei primordi del oristinnesimo, la
quale voleva giungere dalla pura fede nel fatto (πίστις), alla vera conoscenza
(γνῶσις) di Dio, della natara e dol destino degli esseri, mediaute lo studio
dello diverse religioni ο il confronto della religione cristiana colle precedenti.
Varie sono le forme di gnosticismo, che si distinguono a seconda della
religione a cui ciascuna dà la preferenza: quindi si ha una gnosi
cristianizzante, cui appartennero Saturnino e Marcione; una paganizzante, cui
appartennero Carpoerate e Manete; una giudaizzante, cui appartonnero Valentino
e Basilide. Combattuta dalla Chiesa cristiana, da cui la separavano profonde
divergenze, essa si spenso dopo un breve periodo di apparente fecondità. Perd,
secondo aleuni scrittori cattolici, la gnosi ha gettato nelP atmosfera
intellettuale una quantità di idee teologiche © di idealità morali, che hanno
contribuito potentemente alla diffusione del cristianesimo dopo averne
minacciato l’esistenza ». Le origini della gnosi fnrono attribuito dui SS.
Padri a Simon Mago; i caratteri fondamentali di talo scuola sono: il dualismo
tra spirito e materia, e la dottrina del Demiurgo. Cfr. Harnach, Lehrbuoh der
Dogmengeschiohte, 1894, I, p. 220 segg.; F. Bonaiuti, Lo gnosticismo, 1907 (v.
eoni, Noo, Logo, Demiurgo, pleroma, nisigia). Gnosticismo v. gnosi. Goclenico
(eorite). Il tipo progressivo del sorite, In cui formola si deve a Rodolfo
(ioclenio; è 1’ inverso del tipo regressivo, formolato da Aristotele. La sua
formola è: C= D, B C, 4 == B, dunque A= D. Ad es.: l’ovoGra 486 luzione è perfezionamento ; la civiltà è
evoluzione; la moralità è civiltà; dunque la moralità è perfezionamento. Cfr.
Goclenius, Isagoge inorganon Aristotelis, 1598, p. 2, ο. 4; Lotze, Grundzüge d.
Logik, 1891, p. 46 (v. sorite). Graduasioni medie (metodo delle). Uno dei
metodi adoperati per verificare lu leggo di Weber sul rapporto tra la
sonsaziono ο lo stimolo. Siccome 1’ intensità della sensazione cresce in
proporzione aritmetica, quando l’intensità degli stimoli cresce in proporzione
geometrica, così, trovando una sensazione media tra due sensazioni a’ intensità
differente, l'intensità aritmeticamente modia tra le duo sensazioni dovrà
corrispondero ad una intensità geometricamente media tra i due stimoli. In ciò
consiste il metodo dello gradazioni medie, proposto dal Wundt. Cfr. Wundt,
Grundzüge d. Psyoologie, 1893, p. 356 segg.; Id., Grundriss d. Payohol., 1896,
p. 299. Grafico
(metodo). T. Graphische Methode;
I. Graphio mothod; F. Méthode graphique. Consiste nel rappresentare mediante
traccinti o grafiche i fatti che si stanno studiando. Il metodo grafico ha
ricevuto e riceve sempre nuovo applicazioni, estendendosi esso sia ai fatti
puramente fisiologici che ai psicofisiologici, nei quali i movimenti
corrispondono a particolari stati psichici. A seconda dei fenomeni di cui si
vogliono raccogliere le indicazioni grafiche, variano naturalmente gli
strumenti, fra cui ricordiamo gli psicografi, gli ergografi, i grafografi, i
miografi, gli sfimografi, i pletismografi, i pressiografi, ecc. In tutti, ad
ogni modo, le grafiche sono fissate in bianco sul fondo nero di una carta
annerita per mezzo d’una fiamma fuliginosa, ο rese indolebili mediante un bagno
di vernice. Grafologia. ‘I. Graphologie; I. Graphology ; F. Graphologie.
Quantunque } etimologia della parola sembri indicaro come oggetto di questa
scienza lo studio della scrittura sotto tutti i suoi aspetti, tuttavia, nel
concetto dei suoi più noti cultori, essa si restringe a cercare i rapporti che 487 Gra
esistono tra il carattere di un individuo e la sua scrittura, per cavarne norme
generali onde poter inferire in ogni caso dalla scrittura -che è la traduzione
immediata dal pensiero la conosconza del carattere dello scrivente. Tre sono le
ricerche che la grafologia compio in ogni seritto: 1. i sogni generali, dati
dall’ insieme dello scritto; 2. i segni particolari, dati dalla punteggiatara,
dalle paraffe, dai filetti, dalle lettere; 3. le risultanti, vale a dire lo conclusioni
generali derivanti dal confronto dei vari se grafologici. La grafologia studia,
oltre agli soritti degli individui normali, anche quelli dei delinquenti, dei
geni e dei pazzi. Cfr. Erlenmayer, Die Schrift, 1879; Goldscheider, Dio
Physiologie und Pathologie ste Handschrift, 1891; Cropieux-Jamin, L'écriture οἱ
le caraotère, 1879; Lombroso, Grafologia, 1895. Grafo-motore (centro). Il
centro grafo-motore è situato sotto il piede della seconda circonvoluzione
frontale del1’ emisfero cerebrale sinistro ; la sua distruzione determina la
agrafia, ossia la perdita della memoria dei movimenti necessari alla scrittura.
La scoperta di questo centro è dovuta ul Broca, allo Charcot e alla sua scuola:
alcuni fisiologi, però, non ammettono I’ esistenza di un centro psichico
distinto per l’impulsione e la coordinazione dei movimenti della scrittura,
altri lo ripongono nel midollo all’ altezza del rigonfiamento anulare. Cfr. Ch. Bastian, Le
cerregu organe de la pensée, trad. franc. 1888, vol. HI, p. 64 #ogg. Grammatica. 1. (irammatik,
Sprachlekre ; 1. Grammar; F. Grammaire. E la forma del linguaggio, mentro il
vocabolario no è la materia. Le forme grammaticali esprimono lu funzione
essenziale del pensare, la quale consiste nel porre in relazione; quindi esse
sono in continuo reciproco rapporto con lo sviluppo del pensiero stesso. Da
principio non esistono che parole, cioò segni per rappresentare gli ogget: © le
relazioni logiche sono significate sia con la disposizione delle parole sis
adoperando certe parole ad esprimere, Gra 488 oltrechè oggetti, anche rapporti. In seguito
le disposizioni di parole diventano costanti e le parole adoperate ad esprimero
rapporti perdono il loro significato indipendente fino ad aggiungersi come
affissi alle parole dinotanti oggetti. Intine I’ orguuismo grammaticale, sotto
l’azione incessante del pensiero, si fa completo: mediante il solo cambiamento
del suono (/lessione) ogni parola è un’ unità modificata secondo le suo
relazioni grammaticali, ed una parto del discorso determinata, avente un’ unità
sia lessicale che gramiuaticale. Lu grammatica, come scienza delle regole che
le necessità logiche, l’uso e la vita sociale hanno imposto agli individui
nol?’ impiego del linguaggio, comincia con i sofisti, specialmente con Prudico,
Ippia ο Protagora; quali maestri d’ eloquenza politica essi dovevano insegnare,
in prima istanza, come si parla bene e trasformando la retorieu da arte
tradizionale in soienza, si dedicarono a ricerche intorno alle parti del
discorso, all’ uso dello parole, alla sinonimia e all’ etimologia, e furono
così i creatori della grammatica. Cfr, Marty, Ueber eubjeotlose Sätze und das
Verkäliniss der Grammatik zu Logik und Paychologie, Wiert. fur Wiss. Philosophie >, VIII,
Jahrg. 1884, 1° art. p. 73; A. Marty, Rech. sur lee bases de la grammaire οἱ de la phil. du langage, 1908; Binet et Salmon, Langage οἱ pensée, 1909 (v. linguaggio, giudizio, emozionale,
eco.). Grazia. T. Gnade, Anmutk;
I. Grace; F. Grice. Questo vocabolo ha due significazioni ben distinte, una
teologica ο l’altra estetica, Nella teologica la grazia divina è uno dei dogmi
della religione cristiana, definito dai teologi come il dono sovrannaturale e
gratuito concesso da Dio agli uomini, per condurli alla eterna salvezza. Esso
si ricollega strottamente col dogma della caduta dell’uomo ο del peooato
originale; questi due dogmi sono dovuti entrambi a 8. Agostino, che li difese
dagli assalti © dalle false interpretazioni delle sette ereticali. Grande
estensione diede poi al dogma della grazia S. Tommaso, che la considera
necessaria al 489 Gra PP uomo per
compiere quella parte sovrannaturale del suo destino, che consiste nella
visione divina; © tale necessità, inerente alla sua condizione di creatura, si
è ostesa, per il peocato originale, anche a quelle azioni che non oltrepassano
la natura delle sue forze: Nello stato di natura innocente l’uomo non aveva
bisogno che una virtà di grazia si aggiongesse a quella di natura, se non per
fare © per volere il bene sovrannaturale; ina nello stato di natura corrotto,
ne ha bisogno per due riguardi: primo per rimanere terso dalla macchia della
colpa, secondo por cor piere un beno di ans virtb sovrannaturale che sia mei
torio ». Così l’aiuto della grazia è nocessario per osserva i precetti della
leggo divina, per amare Dio, per non peccaro, per uscire dai lucci del peccato,
per perdurare nel bene © infine per rendersi degni di ricoverla allorchè non si
possiede. A che wi riduco allora il compito dell’uomo e la libertà del suo
volere? Per conciliare questo dogma con la dottrina del libero arbitrio, i
teologi distinsero varie specie di grasin: la grazia interiore, che ispira all’
nomo buoni pensieri, pie risoluzioni, © lo porta a fare il bene; la grazia
abituale, cho risiede nella nostra anima, rendendolu cara a Dio © meritevole
dell’ eterna felicità; la grazia attuale, che è una operazione per la quale Dio
illumina la mente e muove la volontà nostra a fare un’opera buo: superare una
tentazione, adempiere un precetto; la grazi afficace, che opera infallibilmento
sulla volontà e alla quale l'uomo non resiste mai, malgrado la libertà che ba
di resistere; la grazia sufficiente che dona alla volontà abbastanza forza per
fare il bene, ma alla quale l’uomo può resistere, rendendola così inefficace. Nell’ estetica la grazia è qualche cose di
distinto ο talora indipendento dalla bellezza, tantochè, come osservò già il
Winkelmann, ossa si trova anche in quelle forme che non sono belle ed è un
mezzo di supplire alla mancanza del bello. Generalmente, la grazia è
considerata come la bellezza di ciò che è piccolo, fragile, Gus 490 gentile; oppure come la bellazsa del
morimento, comprendendo in questa espressione anche le forme fisse, nelle quali
la suggestione del movimento sia non solo assai viva, ma anche principale. Per
lo Schelling la grazia nell’ arte à P espressione dell anima: Dopo che l’arte
ha dato alle cose il carattere che loro imprime l’ aspetto dell’individualità,
fa un passo ancora; dà loro la grazia che le rende amabili, facendo che esse
sembrino amare. Oltre questo secondo grado, non ve n’ha che uno, che il secondo
annuncia ο prepara; è di dare alle cose un’ anima, con cui esse non sembrano
più soltanto amare, ma amano. La grazia nelParte è l’espressione dell’ anima ».
Per lo Spencer invece la grazia è la bellezza del movimento, che non riveli uno
sforzo ο che sia vario di direzione, di volocità ο di composizione: questa
varietà spiega l’etorna freschezza della grazia. Il Guyau, accostandosi allo
Schelling, fa consistere la grazia in uno stato della volontà, della volontà
soddisfatta o che è portata a soddisfare altrui: ovvero nell espressiono del?’
amore, perchè par che amie perciò è amata. Secondo il Masci, il sentimento del
grazioso è un sentimento gaio, che rifugge dalla serietà ο dalla gravità, ©
suppone un contrasto oggettivamente e felicemente superato, di forma non di
sostanza, di sò stesso inconsapevole; esso ha per fattore psichico essenziale
la porcezione dell’ingenuità che non confini con la dabbenaggine, che non offra
motivo di disistima ο di sprezzo. Cfr. 8. Tommaso, 1*, 33, qu. CIX, art. 2,3 e
segg.; Jourdain, La fil. di S. Tommaso, trad. it. 1860, p. 203 segg.;
Schelling, System d. transcend. Idealiomus, 1801; ‘Taine, Philosophie de Vart, 1880;
Guyan, L'art au point de vue sociologique, 1884; Masci, Psicologia, 1904, p.
392 segg. (v. bello, comico,
estetica, provvidenza, premozione, scienza media). Gusto. T. Gesohmach ; I.
Taste: F. Goût. Senso chimico col quale si percepiscono i sapori. Di questi si
distinguono quattro fondamentali: l'amaro, il dolce, l'acido, il salato, ai
quali alcuni aggiungono il metallico © V alcalino. Le sen 491 Gus sazioni gustative sono molto complesso;
quelle che ordinariamente si riguardano come sensazioni di gusto, sono un misto
di sensazioni di gusto, di tatto, di olfatto © di temperatura. Infatti la
mucosa boccale possiede papillo gustative solo in alcune parti, come la punta e
i margini luterali della lingua, ls parto superioro 6 la superficie auteriore
dol palato; nelle altre parti non vi sono che corpuscoli tattili. I nervi del
gusto sono il linguale, che servo per il gusto della parte anteriore della
lingua, e il glossofaringeo per le altre parti della lingua ο della bocca. In, per gusto ο buon gusto ο) intende la coltà
di gindicare intuitivamente ο sicuramente i valori estetici, specialmente in
ciò che essi hanno di corretto © delicato. Per il Shaftesbury ο l’ Hutcheson il
gusto è lu facoltà fondamentale non solo estetica ma anche eticn; l’uomo
possiede, secondo essi, un sentimento naturale ο profondo tanto per il buono
quanto per il bello, che non sono quindi oggetto di conoscenza razionale, ma di
un intimo consenso insito nella stessa natura dell'individuo. Per il Reid anche
il gusto è sottomesso a leggi: Quelli che sostengono che non v’ ha nulla
d’assoluto in materia di gusto, e che il proverbio che dei gusti non si devo disputare
è di applicazione illimitata, sostengono un’opinione insostenibile ; con le
medesime ragioni si potrebbe sostenere che non c'è nulla di assoluto in materia
di verità ». Kant inveco distingue il buono dal bello, in quanto il primo è ciò
che coincide con la nonna finale rappresentata nella legge morale, il bello
invece à ciò che piace senza concetto, come godimento affatto disinteressato ;
quindi è impossibile una dottrina estetica, v'è soltanto una critica del gusto,
ciod nua ricerca intorno alla possibilità del valore aprioristico dei giudizi
estetici; il gusto è infatti per Kant la facoltà di giudicare di un oggetto o
di una rappresentazione mediante un piacere o uno stato sgradevole, senza
‘alcun interesse ;... una capacità puramente regola 492 tiva di giudicare la forma nell’ unione dol
molteplice nella fantasia »; pord, la sentenza che dei gusti non si può disputare,
vale solo nel senso che in questioni di gusto con la prova concettuale non si
ottiene nulla, il che non esclude che sia possibile in ciò nn appollo a
sentimenti di valore universal. Per l'Herbart i giudisi del gusto hanno un valore
necessario ο universale, d’ indimostrabile evidenza, © «si riferiscono sempre
ai rapporti dell'esistente; quindi In morale è per lui un ramo dell’ ostetica,
in quanto questa si risolvo nella dottrina doi giudizi estetici intorno ai
rapporti della volontà umana. Cfe. Hutcheson, Philosophiae mordlis institutio
oompendiaria, 1754; Reid, Works, 1817, V, 215 seg.; Kant, Krit. d.
Urteilskraft, 1878, 1, $5; Blencko, Kants Unterecheidung den Sohönen rom
Angenchm, 1889; Wundt, Vòlkerpsychologie, 1900, vol. 1; Kiesow, Atti del IV
Congr. int. di pricologia, 1906; Windelband, Storia della fil., trad. it
Sandron, 1, 328; Höflding, Prychol., trad. frane. 1900, p. 130 ο segg. 1. Nella
logica formale designa le proposizioni particolari affermative (qualche À è 3).
Nella teoria della quantificazione del predicato indies lo proposizioni
parti-parziali afformative (qualche οἱ è qualche 1), mentre la lotters greca ı
designa le proposizioni parti-totali afformative (qualche .1 è tutto B).
Ibridismo. F. Hybridisme: I. Hybridiem. 1, accoppinmento fecondo di due
individui più o meno diversi tra di loro. Diconsi ibridi i prodotti stabili ο
instabili delle specio tra loro, e meticci i prodotti delle varietà o delle
razze. Nel linguaggio comune, però, ai riserba il nome di meticci prodotti della
fecondazione fra le diverse razze umane. Sembra eselusa la possibilità di
fecondazione tra individui appartenenti a ordini differenti ; è invece
accertata fra indiviIpe dui di differenti generi, i cui prodotti sono
indefinitamente fecondi, © di differenti speoie, i oui prodotti possono essero
infecondi, come i mali ei bardotti, 0 fecondi, come i piocoli della lepre ο del
coniglio, del cane e del lupo, del cano e della volpo. Si ha 1’ ibridiemo
unilaterale quando il maschio d'una specie dà Inogo et meticci fecondi con la
femmina @ un’altra specie, mentrechd una femmina della prima con un maschio
della seconda è sterile; 1 ibridiemo collaterale quando i meticci di primo sangue
sono sterili, mentro quelli di secondo sangue sono indefinitamente fertili,
così da dar luogo mediante i collaterali a una nuova razza; P ibridiemo diretto
quando i meticci di due ordini sono indefinitamente fecondi. I fenomeni di
ibridismo, non ancora pienamente spiegati, vi intrecciano ad altri importanti
problemi della filosofia zoologica, riguardanti la fissità, l’unità, l’origine
della specie, il concetto delle olassifionzioni zoologiche, l'eredità, 1’
affinità sessuale, eco. Cfr. A. Suchotet, L'hydridité dana la nature, 1888 (v.
omogenesia, monogenismo, poligeniemo, varietà, specie, ecc.). Idea. T. Idee,
Vorstellung; I. Idea; F. Idee. Comunemente per idea si intende ciò che non è
reale se non in quanto è pensato, ciò che esisto soltanto nel pensiero © per il
pensiero; e si suol anche opporla alla sensazione, alla percezione, alla
imagine, in quanto designa i prodotti generali ed astratti dell’ attivita dello
spirito. Ma nella storia della filosofia l’ides assume significati assai
diversi ed implica varie ed importanti questioni riguardanti la sun origine, la
sua natura, i suoi rapporti col reale, eco. Quanto alla varietà dei
significati, da principio Ἴδέα equivale nella lingua greca a forma visibile,
aspetto; da ciò anche il significato di forma distintiva, di specie nel
significato cho questa parola ebbe presso gli scolastici : perciò Democrito
chiama gli atomi anche ἰδέαι, e Dionigi Massimo definisce le idee species vel
formas aelernas et incommutabiles rationes, secundum quas et in quibus
visibilio mundus formatur et regitur. IDE 494 Affine a questo è il significato che Platone
dà alla stessa parola, come vedremo più avanti; il passaggio si può cogliore in
questa definizione di Goclenio : Idea signifioat speciem seu formam, sou
rationem rei eziernam ; generatim idea est forma seu exemplar rei, ad quod
respiciens opifez affoit id quod animo destinarat. Per Kant invece ha un valore
differente: Per idea io intendo un concetto necessario della ragione, al quale
nessun oggetto adeguato pnd esser dato nei sensi »; tali idee sono, per Kant,
quelle d’unità assoluta del soggetto, di sistematizzazione completa dei
fenomeni (comprondente le quattro idee cosmologiche ») e di ridusione all’
anità di tutte le esistenze, ideo alle quali corrispondono rispettivamente
l’anima, il mondo e Dio. In senso psicologico l’idea equivale al concetto,
considerato come fenomeno mentale in una determinata coscienza; alcuni psicologi
la distinguono dal concetto solo perchè, mentre l’idea astratta può essere
d’una qualità o d’ una proprietà, il concetto è l’idea d’ una cosa ο d’un
fatto, e in quanto tale raccoglio in sè, come in una sintesi ideale, quegli elementi
che devono costantemente associarsi per costituire la conn 0 il fatto. Già con
la tarda scolastica, ma più specialmonte a partire dal sec. XVII, la parola
idea si adopera anche per indicare ogni oggetto del pensiero in quanto
pensiero, în opposizione sia al sentimento, all’ istinto, alla volontà, ciod ai
fenomeni psichici non intellettuali, sia alla cosa, all'oggetto esistente per
sè, indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiamo. Infine, tanto nel
linguaggio comune che in quello filosofico, ides è adoperata ad indicare
progetto, disegno, invenzione, opinione, teoria, come appare dallo espressioni aver
’ idea di compiere qualche com », idea della filosofia trascendentale », le
idee filosofiche dominanti », le ideo politicho di un uomo >, ece. Per
questa varietà di significati, 1’ Hamilton dichiarava giustamente che è
impossibile serbare a questa parola un uso tecnico, e che non si può usarla se
non nel senso vago 495 Ipr nel quale racchiude le presentazioni dei
sensi, le rappresentazioni dell’ imaginazione e i concetti ο nozioni dell’ intendimento:
Le idee, parola e cosa, sono state la orur philosophorum, dacchè Aristotele lo
mandò nd imballare fino ai giorni nostri >. Quanto alla natura 6 all’origine
delle idee, per Platone esse sono i veri reali, che non esistono come semplici
enti del pensiero, ma sono sostanziate in sè, immutabili ed universali; esse
costituiscono i tipi, i modelli esemplari ed eterni delle cose, le quali non
sono che imitazioni delle idee, e partecipano del reale solo in quanto
partecipano delle idee ; esse non possono venir apprese che dalla ragione, e
costituiscono una gerarchia al sommo della quale sta l’idea del bene, cioè il
bene stesso, dal quale le altre idee ricevono realtà e intelligibilitä. Per
Aristotele invece le idee non hanno una realtà separato dalle coso individuali
© sd esse anteriore, ma son poste in esse medesime; soltanto gli individui sono
i veri sussistenti sò, vere sostanze; l’universale esiste, ma nell’ individuo;
V idea non è un semplice vocabolo, ma associata ad un vocabolo viene a fissare
ciò che hanno fra loro di comune più individui della medesima specie. Da allora
in poi le due teorie rimasero sempre di fronte, ο si combntterono specialmente
nella scolastica sotto il nome di realismo la prima, conosttualismo o nominalismo
la seconda. Più tardi sorsero le varie dottrine circa l’origine delle idee:
secondo l’ innatiemo esse sono contenute nello spirito anteriormente ad ogni
esperienza; secondo il seneemo sono invece il prodotto della nostra esperienza
sensibilo; secondo 1’ empirismo derivano pure dall’ esperienza, ma non soltanto
da quella esterna o sensibile, ma anche da quella interna ossia dalla
coscienza; secondo la dottrina pricogenetioa dello Spencer, derivano non solo
dall’csperionza dell’individuo mn ancho da quella della specie, accumulata,
organizzata ο traamessa sotto forma di virtunlitä psicologica. La dottrina
generale della ovoluzione, dico lo Spencer, concilia 1’ ipoIne 496 tesi sperimentale e quella intuisionistica,
ciascuna delle quali è parzialmente vera, ma insostenibile per sò stossa. Nel
sistema nervoso certe relazioni prestabilite esistono attraverso la
trasmissione, rispondendo a relazioni dell’ ambiente assolutamente costanti,
assolutamente universali. In questo senso esistono ‘‘ forme dell’ intuizione ”,
ciod elementi di pensiero infinitamente ripotati finchè sono divenuti
automatici e impossibili ad abbandonarsi. Queste reInzioni sono potenzialmente
presenti avanti la nascita nella forma di determinate connessioni nervose,
antecedenti e indipendenti dalle esperienze individuali, ma non indipendenti da
ogni esperienza, essendo state determinate dall'esperienza di precedenti
organismi ». Secondo il Condillac, sensista, non esiste una demarcazione netta
tra sensazioni ed idee; queste non sono iu fondo che sentimenti esistenti nella
memoria che li riproduce; così, parlando dell’ idea di spazio, ogli dice: La
sensazione sia attuale che passata di solidità è sola per sè stessa sontimento
ed idea ad un tempo. È sentimento per la relazione che ha con l’anima, che essa
modifica; è idea per la relazione che ha con qualche cosa @ esteriore.... Tutte
le nostre sensazioni ci appaiono come lo qualità degli oggetti che ci
circondano; esse dunque le rappresentano, e perciò sono dello idee ». Secondo
il Locke, empirista, le idee si dividono, quanto alla loro origine, in semplici
9 composte : le primo nascono dalla sensazione sola, ο dalla riflessione sola,
ο dall'una e dall'altra unite; le seconde invece derivano dalle primo; colle
idee semplici noi ci rappresentiamo le qualità dei corpi, sis primarie che
secondarie, le composte si distingnono in modi, sostanze ο relazioni, Però alla
parola idea Locke dà un significato assai vasto: Tuttocid che lo spirito
percepisce in ad stesso, o è l'oggetto immediato della percezione, del
pensiero, o dell’intendimento, io chiamo idea. La parola serve per qualunque
oggetto dell’ intelletto, quando l’uomo pensa, qualunque sin ciò che ocenpa lo
spirito nel suo pensare ». 497 Ir Lo stesso significato dà alla parola il
Berkeley, per il quale non esistono che gli spiriti e le loro funzioni, cioò
idee e volizioni; ma idee astratte, in quanto tali, non esistono nello spirito,
non sono che finzioni scolastiche, la loro apparenza deriva dalla espressione
verbale; in realtà non esistono che rappresentazioni singole, e alcune di
queste, grazie alla somiglianza ο all’ uguaglianza della denominazione, possono
rappresentare anche altro, simili a loro. David Hume si appropriò questa
dottrina, e distinse le impressioni originarie dalle loro copie : le idee non
sono che copie di impressioni, imagini sbiadite (faint images) ο non c’è idea
che si sia prodotta altrimenti che come copia di una impressione, 0 che abbia
altro contenuto fuori da quello che ha tolto dall’impressione. Secondo Kant,
esistono nello spirito leggi e forme invariabili, che sono ls condizione
necessaria del pensiero: di queste forme le une, le categorie, si applicano al
mondo fenomenico e sensibile, le altre, le idee, hanno un oggetto trascendente e
puramente intelli gibile: ora, siccome le idee sorpassano i limiti dell’ esperienza,
non sono che forme logiche che regolano l’intelligenza, ο tutt'al più non
esprimono che uns possibilità. L’ Hegel invece, accostandosi a Platone, non
considera P idea come una mera entità logica, bensì come la più alta realtà,
per mezzo della quale tutto si spiega, 1’ essero 9 la conoscenza, la natura e
il pensiero, e nella quale tntto ha la propria ragione e il proprio fondamento;
da idea in sò, potenza non ancora evoluta, diventa idea per sà, ossia natura,
che si evolve per gradazioni infinitesime e continue, finchè torna in sè, si fa
spirito cosciente, dando luogo alla filosofia dello spirito, alla famiglia,
alla società, alla moralità e al diritto. Per il Rosmini I’ idea è I’ essere
possibile presente allo spirito; la sua presenza è appunto l’esser noto: non ha
altro effetto che far conoscere che cosa è essere »; l’idea e il sentimento
sono i duo primi clementi di tutto le cognizioni, che sono alla lor volta
anticip: 22 Ranzotı, Dizion. di acienze
filosofiche. IE 498 @ ogni deduzione e d’ogni argomentazione; ogni
applicazione dell’ idea dell’ essere nd uns data notizia è una riflessione, Per
il Gallappi l’idea è un elemento del giudizio »; egli distingne le idee in
accidentali od emensiali: sia le une che le altre sono, in quanto idee, un
prodotto della meditazione sui sentimenti, ma mentre per le prime non tutti gli
uomini hanno i sentimenti necessari alla loro formazione, nessun nomo manca dei
sentimenti necessari per la formazione delle seconde; sono ideo essenziali
quella dol proprio io, quella del proprio corpo e quella di un corpo esterno,
nonchè tutte quelle idee che l’azione feconda della meditazione può sviluppare
da queste e che si trovano in tutti gli nomini i quali hanno 1’ uso della
ragione. Per l'Ardigò l’idea è una reduplicazione della sensazione »; la sua disformità
dalla sensazione dipende unicamente dalla ripetuta elaborazione specificatrice
onde è uscita, ma i caratteri di universalità ο di infinità, che all’ idea si
attribuiscono con significazione metafisica, sono propri anche della
sensazione, che è riproducibile senza terntine ο riferibile ad un numero
illimitato di oggetti; gli uffici principali dell’ idea sono tre: 1° è il campo
mentale dei particolari, che in essa si inquadrano como în una rappresentazione
unica comnne, per il rapporto fondamentale dolla loro somiglianza ; 2°è una rirtualità
infinita di rappresentazioni ulteriori; 3° è un segno di operazioni già
eseguite o di formazioni già ottenute. Quanto alla classificazione delle idee, essa è
impossibile nei riguardi dei loro oggetti, che variano all’infinito ; per
rispetto alla qualità ο forma si distinguono in vere e false, chiare ο oscure,
distinte e confuse, semplici e composte, astratte ο concrete, individuali e
collettive, particolari e generali ; riguardo ai loro caratteri, si sogliono
distinguere in contingenti, che hanno per oggetto cose che possono essere e non
essere, © necessarie, che hanno per oggetto cose che non possono non essere :
le prime sono determinate, particolari, individnali, le secondo sono invece
universali; nn’ idea con 499 IDE
tingente e particolare dicesi idea relativa, una necessaria ο universale dicesi
idea ansoluta. Cfr. Platono, Tim., 51 D; Rep., VI, 507 B; Fedr., 247 C;
Aristotele, Met.;I, 9, 991 n, 11 segg.; Bacone, Nor. Org., I, 23; Cartesio,
Med., III, 4 5; Locke, Essay, I, cap. 1, $ 8; Berkeley, Prino., I; Hume,
Treat., I, sog. 1; Kant, Arit. d. reinen Fern., p. 274 segg.; Hamilton,
Discussions on phylosophy. 1852, p. 69; Spencer, Prino. of psychology, 1881, I,
p. 467 negg.; Romini, Peioologia, 1848, t. II, p. 264 segg.; Id., Logica, 1858,
Ρ. 85 segg.; Galluppi, Elem. di filosofia, 1820-27, t. II, p. 9; Id., Lezioni
di logica e metafisica, 1854, t. III, p. 999 segg.; Ardigò, Op. fl.. I, 219
segg.; II, 461 segg. (v. associazione, archetipo, entelechia, idealimmo, ecc.).
Ideale. T. Ideel, Ideal; I. Ideal, Standard; F. Ideel. Quando si oppone a
reale, designa ciò che non ha una esistenza obbiettiva, ma esiste soltanto come
idea, cioè in quanto pensato. In questo senso Goclenio lo definisce esse
alicniun in mente secundum epeciem, in qua, ut obiectiro prineipio, res
cognoscitur. Per i platonici l'ideale costituisce una specie di mondo perfetto
ed eterno, anteriore e auperiore al mondo visibile, ove quello talora si
riflette fugacemente ϱ sempre in forma molto lontana dalla perfezione. Per
ideale si intende ancora il modello astratto, il tipo generale ο perfetto della
cosa; © nell’ agire morale cd artistico, il tipo di perfezione che lo apirito
costrpisco come fine da raggiungere, l’idea che si vuole rappresentare nella
materia. Nell’ arte I’ ideale risponde, secondo Hegel, al bisogno di uscire dal
finito, di volgere lo sguardo ad una sfera superiore più pura ¢ più vera, dove
spariscono tutte le opposizioni ο le contraddizioni del finito, dove la
libertà, svolgendosi sonza ostacoli e senza limiti, raggiungo il ano scopo
supremo. Questa è Ia ragione dell’arto ο la sua realtà è l'ideale: La necessità
del bello nell’ arte ο nella poesia risulta perciò dalla imperfezione del
reale. La missione dell'arto è di rappresentare, sotto forme sensibili, lo
ariluppo Ie 500 libero della vita © sovra tutto dello spirito.
Allora soltanto il vero è liberato dalle circostanze accidentali e passeggere,
sciolto dalla legge che lo condanna a percorrere la serio delle coso finite;
allora giunge ad una manifestazione esteriore, che non lascia scorgere i
bisogni del mondo prossico della natura, ad una rappresentazione degna di lui,
che ci offre lo spettacolo d’ una forza libera, non dipendente che da sò
stessa, avente in sò stessa la propria destinazione © non ricevente le proprie
determinazioni dal di fuori ». Nella moralità I’ ideale è più propriamente un
modello proposto al nostro agire sociale; ma ciò cho lo sorregge è, anche qui,
il senso dei limiti opposti dalla realt& che ci circonda al nostro volere,
e il bisogno di snperarli. Il sentimento di questa limitazione, dice il Wandt,
risveglia, riguardo alla attività creativa del volere, la rappresentazione che
il nostro volere è I’ organo di un volere infinitamente perfetto, per la cui
attività sol. tanto diventa intelligibile l’ illimitata capacità di sviluppo
del pensiero ο della attività umana. Così si convertono le norme volitive nell’
ideale, che, non mai raggiungibile, deve esser sempro oggetto di aspirazione ».
1,’ ideale si sposta infatti da ogni istante; la realtà di oggi è l’incarnazione
dell’ ideale di ieri, come l'ideale di oggi sarà In realtà di domani. In questo
senso l’ ideale è In concezione del possibile © dell’ infinitamente possibile;
quantunque non esista che nell’ idea, è vero in quanto sia fondato sulla
conoscenza positiva di quanto I’ essere ha di essenziale. Cfr. Goclenius, Lex.
philosophioum, 1618, p. 209; Hogel, Poétique, trad. frano., p. 45 segg.; Wundt,
Logik, 1893, II, p. 514; Colozza, 1) imaginasione nella acienra, 1900, p. 104
segg.; P. Gaultier, L’ideal moderne, 1908. Idealismo. T. Idealismus; I.
Idealiem ; F. Idéalieme. Termine di significato molto generale e vario, con cui
si designano quei sistemi filorofici che considerano la sostanza ultima del
roale come spirituale; oppure cho considerano 501 Ip
1 idea sia come principio della conoscenza, sia come principio tanto della
conoscenza quanto della realtà. L’idealismo si oppone quindi al materialismo,
che considera la sostanza ultima del reale come materiale, © al realismo, cho
sostiene la validità della percezione immedista del mondo esteriore come tale,
l’esistenza dell oggetto sia quale noi lo percepiamo, sia come causa delle
nostre sensazioni. L’ idealiemo si divide anzitutto in due specie; luna, detta
idealismo gnoseologico, psicologico, soggettivo, spiega il mondo per l’attività
immanente dello spirito sulle proprie rappresentazioni; l’altra, detta
idealismo obbiettivo, metafisico, realistico, ammette, al contrario del primo,
un mondo realo indipendente dalla conoscenza che ne abbiamo, ma lo considora di
natura spirituale, cioò come una forma di coscienza: perciò è detto anche
spirifualiemo, ο monismo spiritualislico, iu quanto per esso non v'ha altra
realtà che quella spirituale. Le forme dell’ idealismo metafisico sono varie:
se il principio spiritunle è da esso concepito come trascendente, l’idealismo
dicesi teistioo, se immanente panteistico © aucho naturalistico; ο
particolarista se ammette con Plutono idee reali distinte ο archetipi,
unirersalista so ammette con Hegel uno sviluppo o sistema uno e continuo, deterministico
in quanto per esso l’idea in sò, assoluta, lo spirito, determina gli atti umani
senza vincolo alcuno con la realtà materiale (natura). A quest’ ultimo si
oppone l’idealismo contingentistico o indeterministico, che estendendo ni fatti
del mondo fisico la libertà colta direttamente noi fatti della coscienza,
considera il determinismo scientifico v la necessità naturale come illusioni
della nostra mento, e riduce gli stessi principi logici ad nn semplice
stromento soggettivo, col quale cerchiamo di rendere intelligibile la realtà
ponendo in essa un ordine che corrisponda alle nostre esigenze conoscitive ;
fiorisce attualmento in Francia, è sorto da lontane origini kantiane e da un
più diretto influsso sia dell’ idealiamo pluralistico del Lotze sia delIpE 502 1°
idoalisiuo finalistico, ο teleologion, 0 estetico del Ravaisson, del Lachelier
e di Paul Janet. A seconda poi della forma di coscienza posta a fondamento
della realtà, l’idealiemo può essere sensistion 0 empirico, volontaristico,
razionalistion 0 panlogistico; il primo risolve la materia in una possibilità
permanente di sensazioni e lo spirito nella possibilità permanento degli stati
interni (J. 8. Mill); il secondo concepisce la volontà non solo come il
principio della vita dello spirito ma anche como il fondamento reale ed
assoluto di tutte lo cose (Schopenhauer); nell’ ultimo il mondo esteriore
risulta dallo sviluppo sia di esseri pensanti, di ragioni individuali sia di
una ragione cosciente universale, sia infino di un sistema di idee indipendenti
dalle coscienze, incosciente almeno per lo coscienze umane, © che si pone come
un oggetto per rapporto ad esse: è il movimento dialettico dello spirito
obbiettivo (Fichte, Schelling, Hegel). Ma nelle scuolo filosotiche che
succedettero a Kant, © per designaro lo scuole medesime, si è fatto ο si fa un
vero abuso del termine idealismo. La stossa dottrina kantiana che il suo autore
chiamò idealismo trascendentale dei fenomeni, porchd considera tutti i fenomeni
come rappresentazioni ¢ non come cose in sè, 6 ritiene il tempo © lo spazio
come condizioni nostre è denominata ora idealismo critico, perchò risulta da
un'analisi ca dei poteri umani di conoscenza; ora idealismo razionalistico,
perchè risolve la sostanza in un rapporto, che il pensiero impone a priori ai
fenomeni; ora idealismo agnostico, in quanto ammette l’esistenza in sè dello
cose ma nega all’uomo la possibilità di conoscerlo. Le dottrine di Fichte,
Schelling, Hegel ο Schopenhauer sono complessivamente denominato ora idealismo
metafisico, ora idenlismo trascendentale, in quanto negano con Kant che spazio,
tompo, materia, ece. siano determinazioni del realo o coudizioni delle cose in
sè; ora idealismo assoluto, in quanto per essi le cose sono interamente
prodotte dall'attività del pensiero individuale ο universale ; ora idealismo
noumenico 503 lo (noumenal idealiem), in quanto interpretano
il mondo noumenico come un conoscibile mondo mentale. Ciascuna di tqueste
dottrine ricevo poi delle denominazioni non meno oscillanti ; la più comune è
quella che caratterizza la dottrina di Fichte come idealismo soggettivo, o
etico, in quanto colloca V’ ideale, principio d’ ogni esistenza, nel soggetto
morale considerato come assoluto; quella di Schelling como oggettiro, ©
esletico, in quanto fa della natura ο dello spirito due manifestazioni di un
essere originario, superiore all'oggetto © al soggetto e a tutti i contrari che
in esso coincidono; quella di Hegel come assoluto, o logico, in «quanto,
mediante la tesi della convertibilit del reale nol razionale © del razionale
nel reale, rappresenta la formulazione ultima v compiuta dell’idealismo
metatisioo. Oggi però si dà un significato un po’ diverso alle espressioni
idvalismo critico e idealismo etico, che designano due importanti indirizzi
della filovofia contemporanea; entrambi muovono dal concetto kantiano, che non
la realtà dotermina l'atto conoscitivo, ma questo mira a costruir quella, o,
come diceva Kunt, che non la natura detta le suo leggi al ponsiero, ma questo
et quella: ma mentre I’ idealismo eritico non si propono la giustificazione del
processo crentivo della realtà, limitandosi a spiegare l’illusorietà dei
concetti di realtà, di obiettività, di sostanza, ecc., I’ idealismo etico crede
di poter indicare il motivo fondamentule dell’ esplicuziono dell'attività dello
spirito nelle sue vario forme, motivo che sarebbe appunto l'esigenza morale;
per l’idenlismo etico non è I’ essere la categoria fondamentale atta a servirci
di guida nella costruzione del mondo, ma il dorer essere, come risulta sia
dall’ esame della funzione conoscitiva (essendo ogni giudizio una decisione
volontaria che richiede un apprezzamento), sia dalla riflessione critica au)
concetto di realtà (la quale realtà, indipendentemente dall'atto mentale che la
pone e l’afferma. non è cho nna possibilità, e si riduce quindi a ciò che Ipk 504 roclamu l’atto mentale). Idenlismo ontologico,
o anche idealivmo teologico, fa detto il sistema del Rosmini e del Gioberti,
secondo cui l’idea dell’ Essere, che s’ identifica in ultimo col reale
assoluto, splende di continuo alla nostra mente, è oggetto d’un atto ο visione
immanente del nostro spirito, in quanto la applichiamo in ogni nostro atto
intellettivo. L’ idealismo guoseologico, portato alle sue estreme conseguenze,
dicesi più propriamente soliprismo 0 semetipsismo: esso sostieno la realtà non
dei soggetti, ma del solo soggetto pensante; dato infatti che il mondo
osteriore non esiste, non è che la nostra rappresentazione, anche gli altri
soggetti non avranno altra realtà che il mio pensiero, di modo che io non posso
affermare che una cosa: la mia usistenza porsonale. Affine all’ idealismo
solipsistico è quello che oggi dicesi idealiemo personalistico 0 anche
pluralistico ; accanto alla mia coscienza personale esso riconosce I’ esistenza
di altre coscienzo, risolvendo così la realtà in tanti centri spirituali o
persone, in rapporto di coesistenza e di interazione. Esso ha molti punti di
contatto con la dottrina del Berkeley, che comunomente si denomina idealismo
s09gettito © metafisico ο ancora spiritualiemo assoluto, montre Kant lo chiamò
idealismo dogmatico, contrapponendolo all’idealismo problematico di Cartesio.
Finiamo avvertendo ancora che, per tutte queste espressioni, In terminologia
filosofica è estremamente vaga, arbitraria e fluttuante. Cfr. Laas, Idealismus
und Positiviemus, 1884; R. B. Perry, Prosent philosophical tendencies, 1912; A.
Fouilléo, Le mouvement idealiste οἱ la reaction contre la soience positite,
1906 ; L. Branschwiog, L'idéalieme contemporain, 1905; Masci, 1) idealismo
indeterminista, Atti della R. Aco. di Napoli », vol. XXX, p. 96 segg.; G.
Villa, Z’idealismo moderno, 1905 ; A. Chiappolli, Dalla oritica al nuovo
idealismo, 1910; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, 1912;
C. Ranzoli, Le forme storiche dell’ idealismo ο del realiemo, in Linguaggio dei
filosofi, 1918, pp. 59-104. 505 Ipk Ideasione. T. Ideation; I. Ideation; F.
Idéation. Si ulopera talvolta per designare genericamento il lavoro cogitativo,
il processo psicologico e logico per cui si vengono formando e svolgendo lo
idee; oppure il processo per cui una sensazione diventa idea. Altre volte ha
significato più ristretto ancora, designando lo sviluppo di una determinata
serio di atti mentali. Il Rosmini, in base al suo idealismo antologico,
definisce l’ ideazione quella funzione della mento ner mezzo della quale nella
specie piena di nn ente indi vile, ο considerato como tale, ossa trova altre
spocie picne, aon perchè si comprendano in casa belle © formate, ma Derchè sono
in essa contenuti i loro rudimenti, dei quali la mente si servo por formarle.
Cfr. Rosmini, Pricologia, .848, vol. II, p. 272 segg.; Sergi, La psychologie
physiol., irad. franc. 1888, p. 143 (v. ente, essere, specie). Idee-forze. F.
Idées-foroes. Il Fouillée chiama filorofia lello idee-forze la propria
dottrina, che attribuisce alle idee in quanto tali una azione sugli altri
fenomeni, per opporiziono a tutto le altre dottrine evoluzionistiche (Spencer,
3oin, Maudsley, Huxley) che nell’ evoluzione non introdusono alcun fattore di
ordine mentale, e considerano i fatti pichici come semplici risultati
collaterali senza influonza propria, como fenomeni sovragginnti ο epifenomeni
supericiali, incapaci di contribuire in nulla al corso delle cose. V
espressione di idee-forze egli 1’ usa per racchiudervi tutti i modi d’influenza
possibile che l’idea può avere, per opjosizione alle ideo inattive che non
entrano per nulla nel isultato finale e non sono che simboli. La parola idea
poi, 10n è presa nel senso stretto di stato di coscienza rappreæntativo d’un
oggetto, ma nel senso largo di stato oscienza intellettualo, affettivo e
appetitivo. La forza di questo idce non consiste nel creare dei movimenti nuovi
€ direzioni nuove di movimenti ; essa non è cho l’attività osciente, la legge
psichica cho collega la volizione col pensero © col sentimento; questa forza
psichica è infatti la Ink 506 sola propriamento detta, perch’ le forze
meccanicho uon sono che movimenti. Cfr. A. Fouillée, Morale des ideesforces, 1908 ; Id., La
psychologie des idées-forces, 1893; 1d., L'évolutionnisme des idées-forces,
1890. Idee rappresentative. F.
Idées représentatives. Dicesi teoria delle idee rappresentative la teoria
secondo la quale tra la coscienza ο l'oggetto esteriore conosciuto da essa, non
c'è relazione immediata, ma soltanto relazione indiretta per mezzo d’un fertium
quid, l’idea, che è ad un tempo lo stato ο l'atto della coscienza, da una
parte, ο la rappresentazione dell’ oggetto conosciuto dall'altra. Quosta tworia
fu sostenuta da Cartesio, Locke, Reid; ma 1’ ospressione con cui si indica
sembra aver avuto origino dalla polemica di Arnauld contro Malebranche. Cfr. Arnauld, Dee vraies
ot des fausses idées, od. J. Simon, p. 38-39. Identità. Gr. Tastöryg; Lat. Identitas; T. Identität;
1. Identity; F. Identité. Il porsistere dell’ nuità della cosa, attraverso il
variaro degli attributi, degli accidenti o dei modi. L'identità di due cose è
la luro medesimezza, la mancanza di qualsiasi differenza tra loro; tale
identità assoluta è giudicata impossibile da molti filosofi, in quauto, perchò
duo coso siano realmente due, occorre che almeno siano fuori l'una dall’ altra,
cioè difteriscano almeno nella situazione; due cose assolutamente identicho non
potrebbero duuque essere che la stessa cosa. L'identità nel primo senso, cioè
la persistenza dell’ unità della cosa, è considerata como il carattere
essenziale della sostanza, ciò che distingue la sostanza dai fenomeni. Si suol
distinguere l'identità della materia inorganica, da quella dell’ organica ©
del? anima umana; la prima non è che la persistenza delle molecole di cui la
materia si compone, la seconda risiede nella organizzazione e nella vita
stessa. Quanto al. l'identità dell’ anima, ο identità personale, essa è,
seconde molti filosofi, la sorgente medesima della nostra idea d’identità: L'identità
personalo, dice il Reid, è l'identità per 507 Ins fotta; essa non ammetto gradi diversi;
essa è il tipo ο la misura naturale di tutte lo altre identità, che sono imperfette.
La nozione generale d’identità deriva dalla credenza nella nostra identità
personale. Dove percepiamo una grande somiglianza, siamo indotti a collocare
codesta identità reale con cui siamo tanto familiari. La credenza nell’
identità delle altre persone non è che una congettura; la credenza nella nostra
propria identità è nna certezza invincibile. L'identità degli oggetti del senso
non è mai perfetta, poichè tutti i corpi sono divisibili e in porpetuo
cangiamento; ma, quando il cangiamento è graduale, noi lasciamo all'oggetto il
suo nome di prima e diciamo che è il medesimo oggetto ». Secondo gli
spiritualisti, U identità dell’ anima è uns conseguenza della sua natura
spirituale, semplice, inestesa, che non può dar luogo nd ad aggiunte ο sostituzioni
nd a cambiamenti successivi ; © ci è anche confermata, sin dalla percezione
dell’ Io, sia dalla memoria, sia dalla previsione del futuro, per il quale
lnvoriamo in rapporto alla nostra coscienza del passato, sia dalla possibilità
dell’imputabilità morale delle uzioni compiute in ogni tempo © condizione della
vita. L' dell’ anima è nogata dai materialisti ο dai fenomenisti, per i quali V
anita dell’ lo non è che la tà della coscienza, il connettersi dei fatti
psichici successivi; quin PP Io, se è uno, è nello stesso tempo molteplice, in
quanto è la sintesi effettiva per cui ogni singolo fatto psichico è riforito 0
alla somma dei precedenti © alla sorio cui appartione: in tale costante
riferimento risiede il sentimento dell'identità del proprio Io: Lo spirito,
dice Hume, è una specio di teatro ove ogni percezione fa la propria comparsa,
passa e ripassa, in un continuo cangiamonto.... E questa metafora del teatro
non deve ingannarci; à In successione delle nostre percezioni che costituisce
il nostro spirito, ο noi non abbiamo alcuna idea, nemmeno lontana e confusa,
del teatro in cui codeste scene sono rappresentate. Il fondaIps 508 mento della nostra credenza nell’identità
personale è in codesto legame e in codesto passaggio facile delle nostre idee,
prodotto dai principi di associazione, di causalità, di contiguità, di
somiglianza >. Gli scolastici
distinguevano due spocie d'identità: P identitae realis, che compete alle cose
indipendentemento dalla operazione dell'intelletto, come quella che compete
agli attributi divini; 1’ identitas rationalie, cho deriva da un atto della
ragione o in esso consiste, come quando concepiamo medesima la natura di due
uomini, sebbene l'abbiano realmente distinta. Dicosi filosofa dell'identità (IdentitätsPhilosophie)
ogni dottrina, in generalo, che ammetto l'identità originaria ο sostanziale
dello spirito e della matoria, del pensiero e dell’ essere, del soggotto ο
dell’ oggotto in un terzo quid, oppure li considera come due aspetti di un solo
e medesimo essere. Più particolarmente, dicesi filosofia dell’ identità 1’
idealismo assoluto dello Schelling, che pone come fondamento del reule un Assoluto,
suporiore a tutti i contrari che în esso coincidono : esgo è quindi P
identificazione perfetta e l’unità del soggetto © doll’oggetto, del reale e
doll’ ideale, dello spirito ο della natura, che si attun poi nell'universo,
passando per tutto le ditteronziazioni possibili: La untura, egli dico, deve
ossoro Jo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile. Qui adunque,
nell’assoluta identità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, deve
risolversi il problema, del come una natura fuori di noi sia possibile ». Il
primo passo alla filosofia ο la condizione senza la quale non si può entrare
addentro in essa nemmeno una volta, è questa veduta: che I’ assoluto Ideale sia
anche l’ assoluto Renle ». L’idontità ansolata fu ammessa anche da altri
filosofi, che la concepirono sia, come il Bruno, qualo immanenza dell’ uno nel
molteplice, sia, come lo Spinoza e l’ Hegel, ‘qual immanenza del molteplice
nell’ uno. L’ordine © la concatenasione delle idee, dico Spinoza, è identico
all’ ordine e alla concatenazione delle cose... Da ciò risulta che la potenza
del pen 509 IDE siero di Dio è identica
alla sua potensa attuale d'azione, ossia che tuttocid che risulta formalmente
dalla natura infinita di Dio, risulta obiettivamente, in Dio, dall’ idea di Dio
nell’ identico ordine e nell’ identica concatenazione. ... La sostanza pensante
© la sostanza estesa non sono che una sola e medesima sostanza, compresa ora
sotto un attributo ora sotto 1’ altro. Così un modo dell’ esteso e l’idea di
codesto esteso non è che una sola e medesima cosa, ma espressa in due maniere
differenti ». L’ essere, dice Hegel, è nella sun essenza intima pensiero, © il
pensiero nelle sue prodazioni è una cosa sola con } essere: questa unità del
concetto e dell’ essere è ciò che stabilisce il concetto di Ρίο». 11 primo
filosofo che affermò I’ identità assoluta del pensiero con l'essere fu
Parmenide, per il quale non ο) ὃ pensiero il cui contenuto non corrisponda all’
essere, pensare ed essere sono lo stesso, τὸ γὰρ αὐτὸ vosty ἐστίν τε xal εἶναι.
--Nella matematica diceei identità una uguaglianza, sis quando i termini sono
interamente espressi, sia quando l'eguaglianza sussiste qualunque sia il valore
attribuito alle lettere. Cfr. Aristotele, Phye., 25r, 116 D; Met., V, 29, 1024 b, 32 segg.;
Spinoza, Ethica, 1. II, teor. VII, corol., scolio; Humo, Treatiso on human
nature, 1739, V, 6; Roid, Works, 1827, vol. III, cap. IV; Schelling, Naturph.,
1803, p. 64 segg.; Hogel, Enoyol., $ 51; Rosmini, Psicologia, 1846, t. I, p. 90
segg.; Ardigò, L'unità della coscienza, 1898; A. Rey, Identité et réalité, Rev.
de metaphysique », luglio 1909 (v. anima, spirito, indiscernibili, emanatiemo,
panteiemo, s0atanzialità, ecc.). Identità
(principio di). Il principio razionale che afferma l’identico dell’ identico:
ciò che è, è, ciò che non è, non è; oppure: il medesimo è il medesimo, l’altro
è l’altro. Si anole esprimere con In formula: A -= 4. Tuttavia questa formula,
che esprime una identità nssoluta, non sembra propria, in quanto è applicabile
solamente ai giudizi noi quali il secondo termine è la ripetizione del IDE 510 primo; ora tali giudizi sono semplici
tautologie, non esprimono la formula generale del pensare ma ne sono la negazione.
Perchè l'identità riesca feconda nel lavoro conosoitivo deve essere intesa
relativamente, ciod secondo certi limiti del contenuto e dell’ estensione dei
concetti. In altre parole non il riferimento dello stesso allo stesso, bensi il
riforimento di nozioni o cose, che in parte e sotto un rispetto coincidono,
mentre nel resto e sotto altri rispetti diversificano. In questo caso soltanto,
infatti, non è soltanto logica ma legittima ed utile la sostituzione dell’ identico,
Il principio d'identità fu formulato in diversi modi dai filosofi; G. Buridano
: quodlibet eat vel non est; Cartesio: impossibile est idem simul esse ot non
ease ; Locke: lo steso è lo stesso; Leibnitz: ogni cosa è ciò che essa è; Cr.
Wolff: idem ene est illud ipsum ens, quod ene, seu omne A est A; Schelling: la
proposizione A = A è possibile soltanto mediante l’atto espresso nella
proposizione Io = Io; Lotze: ogni contenuto pensabile è uguale a sè stesso ο
diverso da ogni altro. Por l Hamilton la sua importanza logica sta in ciò, che
esso è il principio di ogni affermazione ο di ogni definizione logica: Esso
esprime la relazione di totale medesimezza (eameness) in cni un concetto sta
con tutti i suoi caratteri costitutivi, e la relazione di parziale medesimezza
in cni sta con ciascuno di essi. In altre parole, esso dichiara l’
impossibilità di pensare il concetto e i suoi caratteri come reciprocamente
diversi ». Nell’ ontologismo del Rosmini il principio d'identità acquista un
valore particolare: esso infatti esprime I’ ordine dell’ essere e deriva dal
principio di cognizione (I essere è oggetto dell'intelligenza), perchè si
conosce l'ordine dell’ essero in quanto la mente conosce V’ essere, si conosce
che 1’ essere è essenzialmente uguale a sò stesso in quanta si conosce
l’essenza dell’ orsere. Cfr. Schelling, Syet. d. trans, Idealismus, 1801, p. 55
segg.; Lotze, Grandziige d. Logik, 1891, Hamilton, Lecturer on logic, 1860, p.
79 segg.; Ra 611 Ipe smini, Nuoto
saggio, 1830, II, p. 15 sogg.; Id., Logioa, 1853, $ 337-349. Ideologia. T.
Ideologie, Denkgebilde; I. Ideology; F. Ideologie. Con questo nome il Destutt
de Tracy ed altri con Ini designano la soienza del pensiero, in quanto non
implica, come la psicologia, lo studio dell’ anima, che è una delle cause su
cui specula la metafisica, nè, come la metafisica stessa, riguarda la natura
degli esseri, le cause prime piuttosto che le loro manifestazioni fenomeniche,
ma comprende soltanto lo studio degli effetti, l’analisi dei fonomeni,
l'inventario metodico del contenuto della coscienza. Secondo il Galluppi,
l'ideologia è la scienza delle idee essenziali all’ umano intendimento >,
quali sarebbero I iden del proprio me, quella del proprio corpo, quelle di
possi bilità, durata, sostanza, attributo, eco.; egli dichiara di preferire
questo vocabolo a quello più antico di ontologia, © scienza dell’ essere in
generale, perchè l'ontologis suppone che le nostre idee corrispondano
esattamente agli oggetti in sò stessi: questa supposizione non è niente filosofiea:
sarebbe stato necessario premettere una questione preliminare sul valore di
queste nozioni di cui tratta 1’ ontologia. Bisognava cercare come lo spirito
umano può permettersi di passare dalla regione del suo pensiero ο delle aue
idee a quella dell’ esistenza. L'ideologia stessa, spiegando l’origine di
queste nozioni essenziali allo spirito nmano, avrebbe somministrato i dati per
la soluzione del proposto problema... L'ideologia dunque non è che ¥ ontologia
ragionata e filosofica. E un’ ontologia poggiata sopra una base solida ».
Secondo il Rosmini è la scienza del lume intellettivo, col quale l’uomo rendo
intelligibili a sè stesso i sensibili, da cni trae l’universo sapero >; essa
è scienza formale, ha per principale fondamento 1’ osservazione interna ©
tratta dell’ essere oggetto della mente, vale n dire dell'unione dello apirito
umano coll’ essere intelligibilo sotto forma d’ iden e di concetto. Secondo il
Franck l'ideologin Ipe-Inı 512 à la scienza delle idee considerate in sè
stesse, cioè come semplici fenomeni dello spirito umano ». Secondo il Windelband,
non è improbabile che il Destutt de Tracy abbia tolto il nome di ideologia
dalla Wiseonschaftelehre del Fichte. Alcane volte però alla parola ideologia si
dà un significato diverso, angi opposto, in quanto designa una scienza di pura
astrazione, un insieme di ragionamenti aprioristici, di idee pure. Cfe. Destutt
de Tracy, Éléments d'idéologie, 1801, I, p. 5; Galluppi, Elementi di filosofia,
1820-27, U, p, 2; Id., Lezioni di logica e metafisica, 1854, t. III, p. 982
segg.; Rosmini, Ideologia e logioa, 1853, t. IV, p. 458 segg.; Id., Pricologia,
1846, t. I, p. 23 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. Sandron,
II, p. 142 4, 369 segg. Ideologioo. Ί. Ideologisch; I. Ideologioal ; F.
Idéologique. Tutto cid che riguarda le idee, il pensiero in generale; così
dicosi evolnzione ideologica, fattore ideologico, ecc. Dicesi argomento
ideologico una delle prove a priori dell’esistenza di Dio, ricavata dalla
eternità delle idee. Esistono delle verità, che sono indipendenti dal mondo in
cui si realizzano © dalla coscienza nostra che le contempla; deve dunque
essorvi una mente eterna di cui sono oggetto essenziale, ο in cui risiedono ab
aeterno, altrimenti la loro nocessità ed oternità non avrebbe fondamento (v.
Dio, ontologico, morale, fisico, cosmologico, storico). Ideorrea. Stato di
disgregazione mentale, costituito da fuga di rappresontazioni e da ideazione
confusa, esuberanto, senza legame logico, Si manifesta in alcune malattio
mentali e costituisce il lato interno della logorres. Cfr. Dagonet, Nour. traité des
maladier mentales, 1894, p. 828 segg. Idiosinorasia (ἴδιος: == proprio, civ = con, xp&atg temperamento).
T. Idiosynorasie; I. Idiosynorasy, Idiocrasy; F. Idiosynerasie. In sonso
proprio designa le disposizioni individuali n sentire in modo particolare
l’azione degli agonti esteriori, apecio dei medicamenti; ma si adopera anche
per designare l'insieme dolle varietà individuali cho 58 , Ini-Ipo si incontrano negli individui di
una medesima specie, e costituiscono il temperamento. Non va confusa con I’
idiosincrisi, con cui si designano un insieme di fenomeni diversi che si
manifestano spontaneamente in uno stesso individuo. Idiotismo. T.
Blödeinnigkeit; I. Idiotiem ; F. Idiotisme. Uno doi gradi infimi di debolezza
mentale; appartiene al gruppo delle frenastenie ο arresti di sviluppo. L'
idiota fu definito come un essere estrasociale ; esso infatti presenta una inettitadine
assoluta al lavoro ordinato, non prova alcun interesse per l’ambiente che lo
circonda, è incapace di concepire rapporti sociali elevati ο di provare
sentimenti nltruistiei, non ha altra preoconpazione che di soddisfare i propri
bisogni fisici; i suoi sensi sono straordinariamente ottusi, specie il tattile
e il dolorifico ; 1’ affettività rudimentaria ο irregolare; i movimenti lenti
ed impacciati. L’idiota si distingue psicologicamente dall’ imbecille, perchè,
pur essendo l’uno e l’altro dei deboli di spirito, il secondo ha imaginazione
disordinata, associasioni rapide e incoerenti, attenzione desta ma instabile,
grande concetto di sè stesso unito ad insofferenza per ogni lavoro ordinato.
Per idiotiamo morale si suol intendere la cecità morale, ossia l’assenza totale
© Patrofia degli impulsi altruistici, sociali, estetici ; si distingue dalla
follia morale, che consiste invece in impulsi anormali. Cfr. Sollier, Psychologie de
l’idiot et de T'imbéoile, 1891 (v. obefrenia). Idolatria. T. Abgötterei; I. Idolatry; F. Idoldirio.
Consiste nell’ adorazione delle imagini come se fossero le stesso persone
divine, ed è propria delle religioni primitive o dei popoli selvaggi. Essa ha
origine dal simbolismo religioso. Da principio imagine divina, appena
fabbricata, non è compresa che como un semplice simbolo; poi a poco a poco,
continuando ad essere adorata, perde la sua natura di emblema ο di semplico
analogia, per identifienri con l'oggetto reale del culto. Cfr. F. B. Jevona, L'
idea di Dio 23 Raxzorı, Di . di scienze
filosofiche. Ino 514 nelle vel. primitive, trad. it. 1914, p. 4, 14
(v. feticiamo, religione, simbolismo). Idoli. Lat. Idola; Gr. Et2oXa. Bacone
chiama così, nella prima parte del suo Organo, quelle anticipazioni ed errori
che la mente umana aggiunge alla esporienza, falsando in tal modo il concetto
della natura. Gli idoli e le nozioni false, che invasero l’intelletto umano e
vi gettarono radici profonde, non solo ingombrano le menti degli uomini in modo
che la verità a mala pena vi può trovare accesso; ma anche se lo trovasse,
ricompariranno di nuovo nella riforma delle scienze e saranno moleste, qualora
gli nomini, preavvisati, non si muniscano al possibile contro di esso ». Egli
enumera quattro classi di idoli da cui bisogna guardarsi: 1. idola tribus, che
sono inerenti alla stessa natura umana in generale, perchè l’anima dell’ uomo è
come uno specchio male aggiustato, che, mescolando la propria natura a quella
degli oggetti, li altera e li deforma; 2. idola spocus, che derivano dall’
individualità propria di ciascuno, perchè ciascuno di noi è prigioniero nello
speco profondo dei suoi pregiudizi; 3. idola fori, che sono dovuti al lingnaggio
e si assorbono col commercio degli altri nomini ; 4. idola theatri, che
s’imparano nelle varie scuole filosofiche, le quali sono appunto come tante
finzioni teatrali, che l'autore ha cercato di rendere verosimili senza
riuscirvi. Purificata l’esperienza da tutte queste illusioni, cossa il cömpito
della parte negativa della logica (pars destruens) e comincia quello della
parte positiva, che consiste nel riordinare i materiali ottenuti con l’
esperienza. Cfr. Bacone, Novum Organum, I, ΧΧΧΝΙΙΙ segg.; Do Dignitate, 1. V,
cap. ıv, $ 8-10. Idolologia. T. Eidolologie. Una delle quattro parti cni dividesi,
secondo l’ Herbart, la metafisica. Essa move dall’ Io, di cui cerca levare In
contraddizione, ο contiene quindi le fondamenta essenziali della psicologia. La
parola idolologin si adopera anche con significato dispregiativo, per indicare
una scienza di fantasmi, nna scienza costituita di astrazioni e di imagini
vnote. Cfr. Herbart, Allgemeine Metaphysik, 1828, 1, p. 71. : Ignava ratio
(ἀργὸς λόγος). Gli antichi logici chinmavano così quel sofisma, che si fonda
sopra una cognizione confusa ed erronea del soggetto. Cicerone ne reca questo
esempio: se il fato ha predestinato che tu guarisca, guarirai, se ha
predestinato che tn muoia, morrai, adoperi o no il medico; ma è certo che si
compirà P ana o l’altra di queste due predestinazioni del fato, dunque à
inutile che tn adoperi il medico. Il Rosmini chiama tale sofiama il pigro e lo
pone nella categoria dei sofismi che derivano dall’ infinito non compreso: con
esso infatti si parte dalla presupposizione di conoscore la maniera di operare
dellente infinito, non volendo confessare d’ignorarla, ο αἱ attribnisce quindi
alla causa prima la maniera d’operaro delle canse seconde, che sole si
conoscono. Cfr. Cicerone, De fato, 12, 28; Rosmini, Logica, 1853, § 714-715.
Ignorabimus. La celebro formula con cui il fisiologo E. Dubois-Reymond
esprimeva l’insolubilità assolta dei problemi metafisici, opponendola all’
ignoramus provvisorio della scienza intorno ai problemi d'ordine materiale. Codosti
problemi insolubili ο enigmi dell’ unirersn sono sette: l'essenza della materia
ο della forza; l’origine del movimento; l’origine delle sensazioni elomentari ;
la libertà del volere; l’origine della vita; la finalità della natura; l’origine
del pensiero ο del linguaggio umano. La parola ignorabimua è divenuta poi il
simbolo usuale dell’ agnosticismo scientifico. Va notato, infine, che il punto
di partenza dell’agnosticismo sia del Dubois-Reymond sin di molti altri
scienziati, è il presupposto che la sola vera scionza rin In meocaniea e cho
conoscero significhi soltanto formulare meccanienmento: ogni voluta
teleologien, estetica o valutativa è nna concezione antropomortica, dalla quale
bisogna liherarsi per non considerare il mondo che sotto l'aspetto Ton 516 quantitativo del movimento delle masse
materiali. Cfr. Dubois-Reymond, Über die Grenson des Naturerkennens, 1872; 1d.,
Die sieben Welträtsel, 1882; De Sarlo, Studi sulla fil. contemporanea, 1901, p.
2 segg.; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo, i suoî significati e le sue forme, in
Linguaggio dei filosofi, 1913, p. 105-154. Ignoranza. Lat. Ignorantia; T.
Unwissenheit; I. Ignoranco; F. Ignorance. Assenza di conoscenza intorno a
qualche cosa. Gli scolastici ne distinguevano tre specie: ignorantia negativa ο
simplicis negationis, la semplice mancanza di una conoscenza che non si è
obbligati a possedere, ad es. In filosofia per una donna; i. privativa ο
privationis, la maneanza della conoscenza in chi è atto o obbligato ad averla,
ad es. la storia della filosofia per un filosofo; i. pravae diapositionis, U’
errore contrario alla conoscenza che uno devo avore, ossia l’ ignoranza
colpevole. Con I’ espressione dotta
ignoranza (doota ignorantia), già usata da 8. Agostino, S. Bonaventura e resa
celebre da Niccolò da Cusa, s'intende quel sapere di non sapere, che, nelle
cose inacceı alla mente umana, come la natura di Dio, costituisce I unica forma
di conoscenza © il segno della vera sapienza. Cfr. S. Agostino, Epist. ad
Probam, Migne, ep. 130, C. 15, $ 28; Uchinger, Der Beyrif docta ignorantia in
seiner geschichil. Entwicklung, Arch. f. Gesch. d. Phil. », vol. VIII, 1895;.
P. Rotta, Il pensiero di Niccolò da Cusa, 1911. Ignoratio elenchi (ἄγνοια
ἐλέγχου). Termine della scolastica, con cui si designa quel sofisma, detto
anche della questione sbagliata, che trao origine dal credere falsamento che
l'opinione dell’ avversario sia contradditoria alla propria, mentre non è. Con
lo stesso nome si sogliono designare anche quei sofismi che si fondano sopra I’
ignoranza delle regole della contraddizione e della confutazione: come, nd
esempio, se uno ignorasse che fra 1’ esser doppio dell’ uno © non esser doppio
del tre non v’ ha contraddizione, perchè non è esser doppio e non doppio sotto
lo stesso rispetto : ILL 517 1 por tal
modo la confutazione cho uno vi fondasse su non sarebbe che apparente. Cfr. Aristotele, Anal.
pr., II, 20, 66 b, 11; De soph. elench., 6, 168 a, 18; Logique de PortRoyal,
III, 19. Ignotum per ignotum.
Espressione della scolastica, con cui si designa quella fallacia di
ragionamento che consiste nel pretendere di dimostrare nna cosa ignota per
mezzo di un’altra ugualmente ignota, Questa pretensione di far conoscere una
cosa nota per un'altra ignota, osserva il Rosmini, è frequente ne’ semidotti,
che nl ragionamento sostituiscono un gergo, che sorprende gli inesperti, una
delle tanto arti della vanità umana ». Cfr. Rosmini, Logica, 1853, p. 278.
Illasione v. conclusione. Illuminismo. T. Aufklärung. Si denomina così quel
largo e complesso movimento degli spiriti, verificatosi nel sec. XVIII ed
estesosi a tutti i popoli di cultura europea, che ha questi principali
caratteri: disdegno per le sottigliezzo dialettiche, conceziono pratica della
filosofia come sapienza della vita, studio apparsionato dei problemi riguardanti
l'essenza dell’uomo 6 la sua posizione nel mondo; ricerca della possibilità e
dei limiti della conoscenza scientitica; penetrazione della filosofia nella
cerchia della cultura generale e sua fusione col movimento letterario. L’
illumimo 8'inizia in Inghilterra, ove, dopo il periodo rivoluzionario, la
lotteratura e la filosofia avevano raggiunto un grande sviluppo; di qui passa
in Francia, acquistandovi un carattere più vivace e una tendenza decisamente
ribello contro l'ordinamento contemporaneo dello Stato ο della Chiesa; dalla
Francia si diffonde poi in Germania, già intollettualmento preparata a
riceverlo e dove esso raggiungo la sun più nobile espressione nella poesia
tedesca. Corifeo dell’ illuminismo inglese è Giovanni Locke, perchè seppe
trovare una forma piana e popolare di esposizione empiricopsicologica per le
linee generali della concezione cartesiana. ILL 518 Del’ illuminismo francese è pioniere Pietro
Bayle, il cui Dizionario promuove la tendenza della cultura verso lo
scetticismo religioso; Voltaire è il grande scrittore che a questa tendenza
diede la più eloquente espressione. La Germania era già conquistata al
movimento dell’ illuminismo mediante la filosofia del Leibnitz ο il gran
successo cattedratico ottenuto da Cristiano Wolf ; qui, per mancanza d’un
pubblico interesse unitario, lo idee dell'illuminismo assunsero nel campo
psicologico, politico e religioso una grande varietà, ma senza un nuovo spirito
creatore, finchè non furono portate a maggiore altezza dal movimento poetico ο
dalla grande personalità di un Lessing e di un Herder. «Cfr. E. Zeller, Geschichte d.
deutschen Philosophie seit Leibnilz, 1873; Leslie Stephen, History of english
thought in the 184 contury, 1876; Ph. Damiron, Mémoires pour servir à l'histoire de la
philosophie au 18me sidole, 1858-64; Windelband, Storia della flosofia, trad.
it. 1913, vol. I, p. 85 segg.; II,
p. 115 segg. Illusione. T. JUusion, Täuschung; I. Ilusion; F. Illusion.
Fenomeno psicologico, che dipende, como l'allucinazione, da una sovreceitazione
dei centri corebrali ο periferici; ma mentre l’allucinazione consiste nel porre
come realo ciò che è puramonte mentale, 1’ illusione consiste invece nol
percepire l'oggetto diverso da quello che realmonto è, assuciando alla
sensazione di esso imagini latenti nei centri sensitivi. L'illusione si può
dunque definire quel fenomeno per cui s’intograno i dati sensibili attuali con
dati mentali preformati, non conformi alla reale natura dell'oggetto. «Ρος
illusione s’ intonde, dice lo Zichen, quella sensazione per la quale esiste
realmente uno stimolo esteriore, ma cho non corrisponde qualitativamente a
codesto stimolo ». Secondo I’ Ebbinghaus, il processo psicologico
dell'illusione può svolgersi in due modi diversi; nell’ uno vi è contraddizione
tra la realtà obbiettiva, quale noi la prevediamo in base alle leggi della vita
psichica, ed uno dei 519 IuL suoi stati occezionali dovuto alle loggi
della natura >; nell’altro le impressioni prodotte sono modificate e deviate
nel senso delle rappresentazioni esistenti, cosicchè le stesse eccitazioni
obbiettive sono percepite in modo diverso a seconds doi pensieri © delle
conoscenze relativo a quelle che già si posseggono ». La distinzione fra
illusione e allucinazione non è sempre praticamente possibile, perchè non sempre
si può dire se si tratti di nn oggetto esterno falsamente percepito, o di una
rappresentazione formatasi noi centri cerebrali indipendentemente dal mondo
esterno. D'altro cuuto, spesso le illusioni si convertono gradatamente in alIncinazioni:
Il grado dell’ illusione, dice il Sully, cresco proporzionalmento al orescere
della forza dell’ elemento imagiuntivo rispetto alle impressioni attuali,
finchè nelle illusioni sregolste del pazzo la quantità delle impressioni
attuali diventa evanescente. Quando questo punto è raggiunto, l’atto della
imaginazione si mostra come un processo puramente creativo, ossis come una
allucinazione ». L’ illusione apparisce in parecchie malattio mentali, specie
nella paranoia tipica ο nella mania. In quest’ ultima gran parte della
sintomatologia è costituita appunto dalle illu V ammalato vede gli oggetti
rovesciati, impiccioliti o smisuratamente ingranditi, scambia 1) infermiore con
un amico, un parente, una persona illustre; un mobile, un bicchiere, assume ai
suoi occhi delle proporzioni fantastiche © spaventose; i minimi rumori che
giungono al suo orecchio diventano schiamaszi sssordunti o musica piacevolissima
; le bevande hanno talvolta il gusto di nettaro delizioso, tal’ altra di un
liquido avvelenato. Ms l'illusione può avvenire anche negli animali e nell’
uomo solo per offetto di distrazione o di suggestione. Si dicono iMusion gli
amputati quelle per cui, per un tempo più o meno lungo dopo l’amputezione di uu
arto, l'individuo sente |’ arto stesso al sno posto abituale e prova acuti
dolori, specio alla ana estremità. Questo fatto, secondo alcuni, è di naIL 520 tura puramente intellettuale; secondo altri
dipenderebbo dalla irritazione delle fibre nervose contenute nella cicatrice
del moncone. Diconsi illusioni della memoria, per distinguerle dalle
sensoriali, quelle per cui i ricordi non sono più giustamente associati fra
loro nella loro successione nel tempo, ο ai ricordi esatti si mescolano
prodotti della fantasia; e quelle per cni si riconosce falsamente ciò che in
realtà è percepito o conosciuto per la prima volta. Dicosì #llusione di
Aristotele quella per cui, quando #’ incrocin il dito indice col medio ο
s’interpone tra i polpastrelli delle due dita una pallina posta sul tavolo,
sembra di tovcare due distinte pallino; illusione paradossale quella che si
verifica talvolta nella misura della sensibilità tattile per mozzo del compasso
di Werber e che consiste nella falsa percezione di duo punte, quando in realtà
vi è lo stimolo d’una sola punta; illusione del Rivers quella nella quale,
toccando con due baochettino i due bordi dello ditu che nell’incrociamento
guardano lateralmente, si ha l’impressione di una bacchetta nelle dita;
ilusioni ottiohe-geometriche, tutti quegli errori di giudizio che commettiamo
sorvendoci dell’ occhio come misura della grandezza, errori il cui studio entrò
nella scienza spocialmente con l’Oppel ο P Helmholtz, od è oggi oggetto
importante di ricerca in tutti i Inboratori di psicologia sperimentale ; osso
sono spiegato como prodotte sia dai movimenti degli occhi (Wundt, Binet), sia
dall’ irradiaziono (Lehman), sia da cause psicologiohe (Lippe, Benussi).
Infine, estendendo illegittimamente il significato della parola, si parla
talora di illusioni logiche, metafisiche, estetiche e morali : le prime
sarebbero i sofismi, le seconde gli scambi dei fenomeni con le cose stesse, le
terze gli scambi dello rappresentazioni artistiche degli oggetti con gli
oggotti stessi, dolle apparenze gradevoli con la verità, lo ultime quelle con
cui circondiamo la vita di speranze, desideri, aspirazioni, ecc. Cfr. Mach,
Sitsungaber. d, Wiener Akad., 1861; Lipps, Raumäntelik u. geom. opt.
Täuschungen, 1897 ; 521 ILL-ILo Th. Zichen, Leitfaden d. physiol.
Psyoologie, 1893, p. 182; Wandt, Grundries d. Peychol., 1896, p. 274 segg.;
Sully, Outlines of Paychol., 1885; Id., Illusions, 1881, p. 120; Ebbinghaus,
Préois de psychologie, trad. franc. 1912, p. 168171; M. Foucault, 1 illusion
paradozale, 1910; Ardigò, Op. fil., IV, 381 segg.; Botti, R. Aco. delle scienze
di Τοrino, 1908-1908; A. Pegrassi, Le illusioni otticho nelle figure
planimetriche, 1904 (v. riconoscimento, poramneria). Illusionismo. T.
Iusioninmus; I. Illusioniem ; F. Ilusionisme, Con questo termine, che ha sempre
significato peggiorativo, #’ indicano talvolta le dottrine che risolvono la
conoscenza nel fenomeno, o non ammettono altra certezza che quella che
l'individuo ha dei propri stati di coscienza, considerando quindi il mondo
esterno como nn puro fantasma mentale. S’applica anche alla dottrina di
Cartesio, Malebranche, Fénelon, che pono il mondo esterno como problematico.
Dico il Fénelon: Tous ces 6ires, dis-je, peurent avoir rien de réel et n'être
qu'une puro illusion qui κο passo toute entière on dedans de moi seul, Talvolta
è dotta illusionismo anche la dottrina dello Schopenhauer, in quanto considera
la natura estoriure, così come ci appare estesa nollo spazio o perdurante nel
tempo, come un fantasma, un fonomeno cerebrale. Cfr. Fénelon, De Vezistenoe et des
attr. de Dieu, 1861, p. 120. Ilosoismo (Όλη =
materia, {Gov animale). T. Hylozotemus;
I. Hylozotem; F. Hylozoisme. Dottrina
filosofica la quale considera come inseparabili la materia ο il principio della
vita e pono quindi la materia come vivente, sin in sò stessa sia in quanto
partecipa all’azione di un’ anima del mondo. Il vocabolo fu usato la prima
volta dal Cudworth, la cui dottrina delle nature plastiche è ilozoistica. L’
ilozoismo si distingue dal materialismo ο dallo spiritualismo in quanto nè fa
risultare la vita da una combinazione meccanica di parti preesistenti, nd la fa
derivare da un principio superiore o separato, Dio, Idea, Spirito, cho formi ©
vivifichi la maIma teria, ma considera la materia come attiva 0 vivente, dotata
cioè di spontancità ο di sensibilità. L’ ilozoismo è dottrina propria della
scuola ionica, e più tardi della stoica. ‘Tra quella e questa sta l’ilozoismo
di Stratone di Lumpsco, che concepisce la forza divina come immanente nella
natura stessa, In quale contiene in sò le cause della generazione e della
dissoluzione : Strato, qui omnem vim dirinam in natura sitam esse censet, dice
Cicerone, quae oausas gignendi, augendi, minuendi habeat, sed careat omni sensu
et figura, Esso ricompare poi, con caratteri diversi, nei filosofi naturalisti
del Rinuscimento, e in F. Glisson, H. More, Diderot, Buffon, Robinet. Nei tempi
moderni I’ ilozoismo ha assunto, specialmente con Czolbo, Noiré ο con 1’ Haeckel,
la forma più scientifica del pampsichismo. Cfr. Aristotelo, De An., I, 1,3;
Cicerone, De nat. deorum, I, 13; A. G. Pari, Ricerche analitico-razionali sopra
la fisica, l'analisi ο la vita della molecola chimica, 1834; Hacckol,
Natürliche Schopfungageschiohle, 1889, p. 20 segg. (v. genorazione, mediatore
plastico). Imaginazione. T. Einbildungskraft, Phantasie; 1. Imaginalion; F.
Imagination. Nol suo senso più largo è l'attitudino a riprodurre delle
sensazioni passate; in senso stretto è la facoltà di croare delle nuove
rappresentazioni concrete. Il primo significato è il più antico; così Hobbes
dico che imaginatio nihil aliud est re vera quam propter obieoti remotionem
languoscena vel debilitata sensio ; Cr. Wolf: faoultas producendi perceptiones
rerum sensibilium absentium faoultates imaginandi seu imaginatio appellatur;
Galluppi: l'imaginazione è In potenza dello spirito di avere nell’assenza di un
oggetto sensibilo la sua idea ». Il Reid restringeva ancor più il significato
del vocabolo, ritenendo che soltanto le sensazioni visive potessero servire di
materia alla imaginazione. Per 1’ Hamilton l' imaginazione, nel suo più largo
significato, è la facoltà rappresentativa dei fenomeni sia del mondo esterno
sia dell’ interno »; egli nota giustumente cho imaginazione è parola ambigua,
in quanto esprime sia 1’ alto dell’ imaginare, sia il prodotto dell’ atto
medesimo, ciod 1’ imagine imaginata ». La stessa osservazione fa James Mill: L'imaginazione
ha due significati. Essa designa sia una certa attività, sia la potenzialità di
una attività. Sono due significati che è assai necessario non confondere ». Per
materia 0 contenuto dell’ imaginazione si intende l’insieme delle sensazioni
che entrano a costituirla; por forma dell’ imaginazione si intendono invece lo
operazioni di accrescimento, diminuziono, sostituzione, dissociazione e
associazione con cui lo spirito trasforma le imagini. Quasi tutti i psicologi
moderni sono concordi nel distinguere due forme fondamentali di imaginazione :
l'una, detta riproduttita ο rappresentativa, è quella che consisto nella
semplice riproduzione delle imagini passate; l’altra, detta oreatrice,
novatrice, incentiva, produttiva, costruttica è quella che si vale del
materiale offerto dall’ esperienza per oreare imagini nuove, medianto le
operazioni psicologiche dell’ astrazione, della determina zione e della
combinazione. Tra questo due forme princi pali, alcuni pongono una forma
intermedia, detta com! natrice, che consiste nel decomporre e ricomporre, più o
meno coscientemente, le rappresentazioni, in modo da 80stituire al reale il
fantastico. Le ricerche della moderna psicologia dimostrano che I’ imnginaziono
non crea nessun nuovo contenuto; così il cieco nato non può avere imagini
visivo; anzi il Jastrow ha provato che se la vista si perdo fra il quinto e il settimo
anno, i centri visivi subiscono un regresso funzionale, per cui la facoltà
della imaginazione visiva si perde gradatamente. Molti psicologi unificano
l’imaginazione riproduttiva alla memoria, riserbando alla creatrice il nome di
imaginazione: altri invece la voglion distinta dalla memoria in quanto montre
in quella è assente ogni idea del passato, e la rappresentazione dell’oggotto è
talmente viva e distinta da sembraro cosa presente, nella memoria è essenziale
ο caratteristico il riforimento al Ima 524 passato. Il Wundt distingue invece 1)
imaginaziono in attira © passiva: l’attiva è quella in cui la volontà opera una
scelta fra le varie rappresontazioni che si offrono alla oocasione di una
uguale dissociazione, e per tal modo compara, conforme a un piano, il
particolare per convertirlo in un tutto; è passiva quando noi ci abbandoniamo
al gioco delle rappresentazioni eccitate nel nostro spirito da una
rappresentazione generale qualunque. Analoga a questa, è la distinzione dell’
imaginazione in rolontaria ο anlomatica, oppure quella in sensitiva ο
intelletlica ο riflessa. Altra divisione comunissima è quella dell’
imaginaziono in viviva, uditica ο motrice: essa si fonda sul fatto che lo
imagini dotate di maggior chiarezza o precisione sono quelle provenienti dalla
vista, dall’ udito e dal senso muscolare, o che individuo prevale quella di
queste tre forme di imaginazione, che corrisponde alla maggiore finezza d’ uno
dei suoi sensi. Ricordiamo infine che, rispetto all’ oggetto cui si applica,
l’imaginazione inventiva à stata distinta nello tro varietà di artistica,
scientifica ο pratica, ciascuna delle quali comprende tante speoie quanti sono
i gruppi di arti, di scienze ο di attività in cui si estrinseen In vita dello
spirito. Cfr. Hobbes, De corp., ο. 25 ; Crist. Wolf, Payohol. empirica, 1738,
692; Galluppi, El. di filosofia, 1820, vol. I, p. 181; Hamilton, Reid's Works,
1863, p. 291, 809; J. Mill, «Anal. of the hum. mind, 1871, II, 239; Wundt,
Grundzüge à. phys. paychol., 1893, vol. II, p. 1 segg.; Ribot, Kesai eur
l'imagination creatrice, 1900; L. Dugas, L'imagination, 1903; A. Schöppa,
L’imagination, sa nature et son importance pour la vie mentale, 1909; G. A.
Colozza, 1 imaginazione nella scienza, 1900; A. Murchesini, 1? imaginazione
creatrice nella filosofia, cd. Paravia (v. imagine, fantasia, dissociazione).
Imagine. T. Bild, Vorstellung; I. Image; F. Image. In senso ristretto è il
contenuto d’una presentazione ο rappresentazione, specialmente visiva. In senso
generale è sinonimo di rappresentazione e di percezione mediata, © indica il 525 Ins
fatto del riprodursi di sensazioni passate senza lo stimolo diretto dell’
oggetto sensibile. Il sorgere delle imagini è determinato non da uno stimolo
esterno o interno, ma da ımo stimolo intorcerebrale, e condizionato al
persistere dello impressioni sensibili. Le sensazioni che più facilmento si riproducono
sono quelle della vista e dell’ udito; ma si hanno anche imagini tattili,
olfattive, termiche, muscolari, occ. Dicosi imagine retinica quella proiettata
dagli oggetti culla retina; imaginé postume quelle prodotte da un oggetto in
movimento, la oni velocità è tale che, prima che sia esanrita l'eccitazione
prodotta da una località dell'oggetto medesimo, sorge I’ eccitazione della
località vicina; imagini ipnagogicke quella serie di imagini allucinatorie ο
illusorio che costituiscono il sogno; imagini entoptiche le sensazioni visive
prodotte da una eccitazione della retina, detorminata «a un qualunque stimolo
che non siano le vibrazioni Inminose, come l'alterazione dei tessuti, l’
applicazione di sostanze chimiche, la pressione, ecc.; fmagini conecoutire
quelle che persistono nell’ occhio quando è cessato lo stimolo diretto dell’
oggetto esterno. Lo imagini consecutiv dovuto forse ni processi chimici della
retina, per i quali si ha la visione, sono dapprima negatire ο complementari,
per divenire poi positire ο di ugnal colore; vale a diro cho da prima gli oggetti
chiari appaiono neri, i nori chiari, i colorati del colore contrario o
complementare ; poi le im gini sia eromatiche che acromatiche tornano a
comparire colle stosso proprietà di colore e di chiarezza degli oggetti reali.
Cfr. J. Philippe, L'image mentale, 1903 ; E. Peillanbe, Les images, 1911 (v.
contrasto, stroboncopio, stimolo, imaginazione). Imbecillità. T. Schwachsinn;
I. Imbecillity, Mental weachness; F. Imbécillité, Appartione al gruppo delle
frenastenie o arresti di sviluppo psichico, ¢ presenta una grande varietà sin
di formo cho di gradi. Vi è l’imbecillità morale, in cni, rimanendo intatta o
quasi l'intelligenza, è profondamente Im 526 turbata l’affettività, scarso e quasi nullo il
senso morale, debole V inibizione; l’imbecillità geniale, in cui, fra mezzo al
turbamento di alenne attività psichiche, altre presentano un grado anormale di
sviluppo, come la memoria, specie musicale, e ’ attitudine a determinati lavori
manuali; 1’ imbecillità parziale, che colpisce solo una sfera della vita
psichica; l’imbecillità totale che la colpisce tntta. Si può dire che tante
sono le forme d’imbecillità quanti i caratteri umani ο che gli elementi comuni
a quasi tutte sono I’ instabilità dell’ attenzione, la debolezza delle capacità
logiche, la mancanza d'iniziativa ragionata e l'irregolarità della condotta. Cfr. Sollier, Payohologie
de l’idiot et de Vimbécile, 1891 (v. ebafrenia, idiotiemo). Imitazione. T. Nachahmung; I. Imitation; F.
Imitation. Psicologieamente indica ogni fenomeno psichico, cosciente © no, che
ha per carattere di riprodurre un fenomeno psichico anteriore. Nell’ estetica,
1’ imitazione della natura fu considerata per lungo tempo, cominciando da
Platone e da ‘Aristotele per venire fino al Batteux, come l'essenza delParte.
Così per Aristotele la radice psicologica dell’ arto sta nel piacero che si
prova nell’ imitazione, piacere che, in ultima analisi, non è che un effetto
dell'impulso a conoscore, in quanto noi riconosciamo nell’ imagine 1’ oggetto
rappresentato ; 1’ imaginazione artistica ai elova al di sopra dell’imitazione
comune in quanto Jo sue imagini non ritraggono gid le cose e le azioni, offerte
dalla realtà, come pure copie o riproduzioni, ma come rappresentazioni della
vera essenza di esse, non come sono, ma come potrebbero ο dovrebbero essere,
ola ἄν γένοιτο; in tal modo l'imitazione estetica ottiene che i sentimenti,
suscitati dall'opera d’arte secondo la sua particolare natura, abbiano nello
spettatore un’ eco di purità e di pienezza. La teoria dell’arte como imitazione
è ancora accettata da molti, a malgrado delle gravi obiezioni rivolto contro di
essa in ogni tempo; si è detto infatti che l'imitazione della natura è non solo
una inntile 527 Im ripetizione di ciò che la natura stessa
offre spontaneamente, ma è anche umiliante per l’uomo, che di fronte ad essa
sento tutta la propria inferiorità; 1) imitazione è tanto più fredda quanto più
vicina all’ originale, e, come ha fatto notare Kant, il canto dell’usignuolo,
imitato dall’uomo, ci dispiace non appena ci accorgiamo che è opera di un uomo;
limitazione può forse giustificarsi nella pittara ο nella scultura, ma come
sarebbe possibile nell’architettura, nella musica, nella poesia? Si è osservato
ancora che nella natura 0’ anche del brutto, e che, come scrisse lo Schelling gli
imitutori hanno l'abitudine di appropriarsi i difetti dei loro modelli
piuttosto e più facilmente delle loro bellezze, perchd i primi sono più facili
a cogliersi, più evidenti, più afferrabili; perciò noi vediamo che, in tal
senso, gli imitatori della natura imitano più spesso il brutto che il bello ed
hanno persino una notevole predilezione verso il primo ». Hegel ha osservato
che il vero piacere dell’uomo è nel creare non nell’imitare, e che l’arte
risponde anzi al bisogno di sorpassare la realtà, idealizzandola: Il principio
dell’ imitazione, essendo puramente esteriore e superficiale, è distrutto
«quando si spieghi dandogli per fine l'imitazione del dello quale esiste negli
oggetti. Limitazione deve essere fedele e nulla più. Parlare d’ una differenza
tra gli oggetti come belli o brutti, è introdurre nel principio una distinzione
che non contiene... La missione dell’ arte è di rappresentare, sotto forme
sensibili, lo sviluppo libero della vita, e specialmento dello spirito. La
verità nell’ arte non può dunque essere In semplioe fedeltà, a cui si limita
quella che dicesi l’ imitazione della natura ». Tra le argomentazioni dei
moderni segnaci dolls teoria della imitazione, rtporteremo soltanto questa d'un
psicologo contemporaneo, l’Höffding: La forma più semplice dell’ imaginazione
artistica, è l’imifazione della natura, e, in un certo senso, non la sorpassa
mai. Ben cogliere ο ben rendere il roale in tutta la sua ricchezza ο la sua
individualità è un compito che non si può assolvero IMM 528 se
non a condizione che l’intuizione e |’ imaginazione abbinno raggiunto il loro
più alto sviluppo. È questa la parte di realismo contenuta in ogni arte e che
si manifesta ora come studio del dato, freddo ed imparziale, ora come una
cenriosità simpatica e desiderosa di ben comprenderlo. Senza questa parte di realismo,
l’arte vaga nel vuoto ». Nella
sociologia l’ imaginazione ha assunto una grande importanza col Tarde, per il
qualo la legge dell’ imitarione à il principio fondamentale su oui la vita
sociale si regge: come il fotto meccanico elementare è la comunicazione e la modificazione
di un movimento determinato dall’azione di una molecola ο di una massa sopra
un’ altra, così il fatto sociale elementare è la comunicazione e la
modificazione di uno stato di coscienza per l’azione di un essere cosciente
esercitata sopra un altro ». I} Baldwin, che in parte concorda con le idee del
Tarde, distinguo queste forme di imitazione: imitazione cosciente, in cui quello
che imita sa che imita; suggestione imitativa, in cui chi imita non ha
coscienza d’ imitare; imitazione plastica, ossia la conforinità subcosciente a
tipi di pensiero e di azione, come avviene nelle folle; autoimitazione, o
imitazione di sò stesso con sò stesso; imitazione semplice e i. persistente, la
prima delle quali si compie rapidamente, mentre la seconda richiede una serie
di sforzi per riusciro; imitazione istintiva ο i. volontaria, determinate da un
atto di volontà o da un istinto. Cfr. Siebock, Arietotele. trad. it. Sandron,
p. 140 segg.; Hegel, Système des beauzarts, trad. franc. Bénard, t. I;
Höffding, Psychologie, trad. frane. 1900, p. 240 segg.; Battenux, Les beauz-arte réduits à un
même principe, 1747; Tarde, Les lois de l'imitation, 1890-95; Id., La logique
sociale, 1895; Baldwin, Mental derelopment in the child and the race, 1895;
Id., Social and ethical interpr. in mental development, 1897; G. Pistolesi,
L’imitazione, 1909. Immanente. T.
Immanent; I. Immanent: F. Immanont. Si oppone n trascendente ο n transitiro,
qualche volta anche a esterno, e designa in generale ciò che risiede nell’
essere, 529 Imm l’azione per cui essere produce degli
effetti in ed stosso. In un significato metafisico si applica a Dio,
considerato como la causa sostanziale ed immanente di tutte le cose (panteismo);
quindi tra Dio e il mondo non v’ ha alcuna distinzione. In senso psicologico si
applica alle azioni umane, ο precisamente a quelle che non escono dai limiti
della coscienza, che non si manifestano con effetti esteriori : così è immanente
il pensiero, transitiva la volontà, almeno quando muove il corpo. L’ilozoismo
consiste nel considerare In vita come una proprietà della materia ο quindi
immanente alle cose; il dinamismo considera invece la forza come immanente
all’essere. Gli scolastici contrapponevano l’aotio immanens all’actio transiens
; le azioni immanenti sono quelle, dice Goclenio, per quas passim, id est,
subiectum non trasmutatur. Spinoza dice che Dio è la causa immanente e non transitiva
di tutte lo cose. Tutte le cose che eslstono, esistono in Dio e devono essere
concepite da Dio. Dunque Dio è la causa delle cose che esistono in lui;...
inoltre fuori di Dio non esiste alcuna sostanza, alcuna cosa che esista in
sè;... dunque Dio è la causa immanente di tutte le cose e non la loro causa
transitiva ». Per Kant sono immanenti i principî la cui applicazione è
strettamente racchiusa nei limiti dell'esperienza possibile; e l’uso di questi
principi nel mondo dell'esperienza si chiama uso 4mmanente. Cfr. Goelenio,
Lezicon phil., 1613, p. 1125 ; Spinoza, Ethica, 1. I, teor. 18; Kant, Proleg.,
§ 40 (v. immanentismo, immanenza). Immanentismo. T. Immanentimus; I.
Immanentiem : F. Immanentisme. Quell’ indirizzo della filosofa religiosa
contemporanea, che considera la religione come nn risultato spontaneo di
esigenze inestinguibili dello spirito umano, esigenze che trovano la loro
soddisfazione nell'esperienza tima e affettiva della presenza del divino in noi
; esso perciò rigetta come convenzionale la rappresentazione astratta ©
frazionaria del reale, e non ammette le prove concettuali e discorsive dell’
esistenza di Dio. Esso si proclama in per34 RanzoLi, Dizion. di si ‚nze filosofiche. Imm 530 fetto accordo con la tradizione, sia
patristica, sia acolnstien: la prima infatti, considerando Varistotelismo como
esizialo alla professione dell’ortodossia cristiana, ritenne la fede suftìciente
a sd stessa; la seconda, pur caratterizzata dal sopravvento preso dal realismo
logico sull’intuizionismo mistico, non dimenticò mai l'argomento morale quando
volle provare le realtà dello spirito, i loro valori e i loro destini. Tuttavia
V immanentismo fu condannato dall’ enciclica Pascendi dominioi gregis, che ne
fissa così i due errori caratteristici : a) l'opinione che il sentimento
religioso sorge per immanonza ritale dalle profondità della subcoscienza, e cho
in tale immanenza sta il germe di ogni religione; b) l'opinione cho Dio è
immanente nell’uomo, il che implica logicamente cho l’azione di Dio si confonde
con quella della natura ο che non csiste sovrannaturale. Contro queste acense
gli immanentisti obbiottano che esse falsano In loro dottrina, la qualo non è
quel grosso errore che 1’ enciclica sembra credere, ma anzi è la via seguita
per giungere al divino da tutta la migliore tradiziono cristiana. Cfr. E.
Thamiry, Les deux aspeots de Vimmanence et le problème religieux, 1908; Laberthonnière,
Saggi di filosofia religiosa, trad. it. 1907; It programma dei modernisti,
1908, p. 97-112 (v. agnosticiamo, credenza, fode, fideiemo, immanensa,
modernismo). Immanenza. T. Immanens ; I. Immanence; F. Immanence. Carattere di
ogni attività che risiede nell’ essere, e trova nell’ essere stesso il suo
principio e il sno fine. Si può considerare sotto due aspetti : quello dell’
immanenza assoluta, che esolude la possibilità di qualsiasi influenza esteriore
snl soggetto dell'attività immanente, il quale sarebbe come un sistema chiuso
in sè, indipendente, sufficiente a sò stesso; quello dell’immanenza relativa,
per cni l’attività immanente nel soggetto ha bisogno, per esplicarsi, di
arriochirsi di dati esteriori ο implica per ciò stesso l’ esistenza di un
trascendente. Dicesi filosofia dell’
immanenza (Immanensphilosophie), l'indirizzo rnppresentnto da W. Schuppe,
Rehmke, 581 Imm Leclair, Schubert-Soldern, eeo., sorto
nella seconda metà del secolo scorso in Germania, secondo il quale l’ universo
è immanente nella coscienza dell'individuo, non essendovi altro realtà che la
percezione immediata della coscienza personale. Per esso non è quindi vera
scienza se non quella del fatto, cioè della sensazione pura; l'oggetto non è conosciuto
che come contenuto della coscienza e il soggetto non è che il centro delle
relazioni degli oggetti; i concetti sono di origine sensibile e la loro
obiettività non è altro che la permanente possibilità di certi gruppi di sensazioni,
di fronte al variare di tutto il resto: Per la teoria della conoscenza, dice lo
Schubert-Soldern, il mondo non è altro che ciò che è dato immediatamente nel
complesso della coscienza (Betrusstecinezusammentang).... È vuota pretesa
quella di poter andare oltre.... La coscienza è rilevabile soltanto per il suo
contenuto; nulla è per sì, nd come cosa nd come proprietà... ciod come la cosa
atta ad avere corcienza di altre cose, als die Fähigkeit dieses Dinges sich
anderer Dinge bewusst zu sein oder zu werden ». Questa dottrina ha stretta
affinità col fenomenismo e con l'empirismo radicale ο empiriocriticismo : tutte
queste dottrine tendono infatti a ridurre tutta la realtà a quella sperimentale,
identificando poi l’esperienza col complesso dei fatti e stati di coscienza, ed
escludendo sia la trascendenza dell'oggetto rispetto alla coscienza
individuale, sia la trascendenza di esseri ο cause sottostanti all’ insieme dei
fenomeni costituenti l’universo. Dicesi
principio d’immanenza la proposizione che sta a base dell’immanentismo; essa è
espressa in modi differenti dal Le Roy e dal Blondel. Secondo il primo, essa
esprime che la realtà non è fatta di porzioni distinte, sovrapposte; tutto è
interiore a tutto ; nei minimi dettagli della natura o della scienza, l’analisi
ritrova tntta la natura e tutta la scienza; ciascuno dei nostri stati e dei
nostri atti involge la nostra anima intera e la totalità dello sue potenzo; in
una parola, il pensiero s'implica totalmento in ciasenno Imm 532 dei
suoi momenti ο gradi »; quindi per noi non esistono mai dei dati puramente
esterni, ο l’esperienza, anzichè un’acquisizione di cose a noi straniere, è
invece un passaggio dall’implicito all’ esplicito, un movimento in profondità
che rivela ricchezze latenti nel sistema dol sapere. Per il Blondel il
principio d’immanenzs consiste in questa affermazione, cho N. Tommaso enuncia
senza alcuna restrizione, gisechd lu formula persino a proposito dell’ ordine
sovrannaturale : Nihil potest ordinari in finem aliquem, nisi pracezistat in
ipso quaedam proportio ad finem. Io non ho fatto altro, dice il Blondel, che
tradurre codesta verità essenziale ed universale, ricordando che nulla infatti
può entrare nell’ uomo se non corrisponde in qualche modo αἱ suo bisogno d’
espa sione, qualunque sia del resto l’origine e la natura di desto appetito ».
Cfr. Le Roy, Dogme et oritique, p. 9-10; Blondel, Lettre eur l’apologetique, p.
28; Bulletin de la Société française de phil., agosto 1908, p. 325 segg.;
Schubert-Soldern, Grundl. d. Erkenntnistkeorie, 1884, p. 64-67; Schuppe,
Erkenntnistheoretische Logik, 1878, p. 63-69; Lans, Idealiemus und
Positiviemus, 1879, vol. I, p. 183; A. Polazza, Guglielmo Schuppe e la
filosofia dell’ immanenza. 1914. Immaterialismo.T. Immaterialiemus; I.
Immaterialiem ; F. Immaterialisme. Termine erento da Berkeley per opposizione a
materialismo. Si dice di tutte quelle dottrine gnoscologiche e metafisiche, che
considerano 1’ osistenza della inatoria come una semplice parvenza, una
illusione dei nostri sensi; l’esistonza dei corpi si riduce al loro esser porcopiti:
esse est percipi. È immatorialiamo la dottrina di Platone, per il quale la
realtà superiore dell’ essere, la ver essenza (οὐσία) conosciuta dal pensiero,
è il mondo immnterinle delle idee; montre il mondo materiale costitaisee uns
sfera inferiore, la sfera del divenire (Ὑάνεσις), oggetto della percezione @
della opinione. Anche l’idealismo metnfisico del Berkeley è un vero o proprio
immaterialismo. Cr. Berkeley, Dialogues betwen Hylas and Philonous, 1713, 533 IMM
d. 111; B. Croce, L’immaterialismo del Berkeley, La Critica», 1909, p. 77-81.
Immediato. 1. Unmittelbar ; I. Immediate; F. Immédiat. Ciò che si realizza
senza bisogno di intermediari. Perciò dicesi inferenza immediata l'operazione
logica con cui da un giu termedi ; conoscenza immediata o intui alla discorsiva,
dicesi quella che lo atto unico © non con una successione di atti; successione
immediata quella in cui il finire del primo fenomeno è l’istauto stesso in cui
il secondo comincia ; contatto immediato quello che osiste fra due corpi
sovrapposti che coincidono gevmotricamente per una superficie, una linea o un
punto. Immediazione. Lat. Immediatio. Nel realismo ontolugico si designa con
questo termine la conoscenza immeiliata, cioè l'identità del soggetto e dell’
oggetto. Immediatio virtatin, nel linguaggio scolastico, si ha quando V’ agente
si congiuuge al paziente nell’operare per virtù ed energie propria, senza
intervento di altra virtù intermediaria, Immensitä. T. ('nermesslichkeit ; I.
Immensity; F. Immensité. Uno degli attributi di Dio, che consiste nol trovarsi
egli presente in ogni luogo per la sua potenza, senza tuttavia essere esteso
nello spazio, e nell’ agiro sopra tutti i punti dello spazio, senza trovarsi
sostanzialmente in alcenno. Secondo altri tilosofi 1’ immensità divina non
sarebbe che lo spazio infinito, che è puro un attributo di Dio (v. elernità).
Immoralismo. T. Immoralismus; I. Immoraliem ; F. Immoralismo. Termine creato
dal Nietzsche, che con esso vuleva intitolare la terza parte del suo libro
sopra La rolontà di potenza. Ora si applica sia alla dottrina dol Nietzsche
stesso, sia ad ogni dottrina che sostenga che la moralità, nel significato
comune della parola, debba essere sostituita da una scala di valori affatto
diversa, e anche opposta nella maggior parte dei punti, In questo senso il
termine jo se ne ricava un altro senza il sussidio di giudizi ina, per
opposizione Imm 534 immoralismo non sembra usato adeguatamente,
giacchè tali dottrine, anzichò sopprimere la moralità, vogliono sostituirla con
una nuova, Il Fouillée distingue l’ immoralismo dalV amoraliemo ; questo non
ammette che giudizi di fatto, negundo i giudizi di valoro, e în tal modo nega
esplicitamente la morale; quello, invece, non solo noga l’esistenza della
morale, ma pretende che la condotta debba essere regolata da valori che sono én
opposizione con la morale, che sono antimorali. È chiaro, ad ogni modo, che il
significato del termine amoralismo à relativo al senso attribuito alla purola
moralità. Cfr. A. W. Benn, The morale of a immoraliat, «Int. jurnal of Ethics
», gennaio 1909; A. Fouillée, Nietzsche et Pimmoralisme, 2° ed. 1902.
Immortalità. T. Unsterblichkeit; I. Immortality ; F. Immortalité. Crodenza
antichissima, che si congiungo a quella dell'esistenza di Dio, ο che fu esposta
per la prima volta in tutta la sua purezza da Platone. Essa osprime la proprietà
essenziale dell’ anima umana di non vivero una vita legata alle leggi del
tempo, di non avere ciod nd principio nè fine. Si riconnotte alle altre
proprietà essenziali dell’anima, che sono l’unicità, l'identità, 1’
inestensione, V immaterialità. Le prove principali per dimostrarla sono tre: 1.
prova ontologica o metafisica: l’anima principio inesteso della vita
intellettiva distinto del corpo, non potrebbe esser fatta perire nd da Dio,
come dimostra la teodicea, ne da un’ intima corruzione, perchè semplice, ud
dagli agenti naturali, perchd l’atto, con cui essa è unita al corpo, è immodiato
© nulla potrobbe frapporvisi ; 2. prova pricologica : essondo la natura di un
ossere appropriata al suo destino, © la brevità o gli ostacoli della vita non
permettondo di raggiungere quello sviluppo per il quale ogni funzione psichiea
sembra csser fatta, bisogna ammettere una nuova vita sovrasensibile ο infinita
în oui s’attui codesto ideale di perfezione; 3. prova morale: la logge morale
ci obbliga a praticare la virtù: prima delle virtù è la giustizia, che 535 Imm
dev’ essero osservata non solo nei rapporti recipruci degli nomini, ma ancho
dallo stesso autore della legge morale verso tutti; ora, siccome in questa vita
non sempre la virtà è premiata © il vizio è punito, è forza ammettere
l'esistenza di un’ altra vita in cui si attui l'ideale di giustizia. Quanto al
modo come 1’ immortalità è stata intesa dai principali filosofi, Socrate si
comportò da scettico di fronte alla fede nell’immortalità personale, come
appure doll’ Apologia platonica. La dottrina filosofica dell’ immortalità
personale è prosentata per la prima volta da Platone, per il quale.l’ anima, se
appartiene al mondo inferiore del divenire come principio della vita e del
movimento, mediante la vera conoscenza partecipa anche delle idee della realtà
superiore, dell'essere permanente: essa ha quindi uns posizione intermedia, ο
cioè non l'essenza infinitamente immutata delle idee, ma una vitalità che
sopravvive al cangiamento, vale a dire l'immortalità, le cui prove più efficaci
Platone deduce appunto, nel Fedone, dallo parentela dell’ anima con I’ eterno
per la conoscenza che essa ha delle idee. Per Aristotele è immortale solo una parte
» dell'anima, cioè l'intelletto attivo, che rappresenta l’unità pura, comune »
tutti gli nomini, della ragione, e, in quanto non divenuto, è imperituro;
invece l'intelletto passivo, in quanto è il modo fenomenico individuale dato
nella disposizione naturale dell'individuo © determinato dalle circostanze
della aus esperienza personale, passa con gli individni stessi. Por gli stoici
l’anima individuale, non ossendo che una parte dell’ anima generale del mondo,
ha una autonomia limitata nel tempo e la sua ultima sorte è di essero
riassorbita, nell’ eepirosi finale, nello spirito divino univoreale ; quanto
alla durata dell'immortalità individuale, alcuni stoici Pattribuirono a tutte
le anime fino alla conflagrazione finale del mondo, altri la riserbarono solo
ai sapienti. Per gli apologeti cristiani 1’ immortalità dell’ anima è una
grazia divina, per 8. Agostino è una conseguenza della sua partecipazione Inn 536 alle verità eterno, per Alberto Magno deriva
dall’ casero Vanima ex se ipsa causa, indipendente dal corpo, per 8. Tommaso
dall'essere l’anima una forma separata, cioè una intelligenza pura,
immateriale. Per Spinoza l’anima umana è oterna perchò v’ ha necessariamente,
in Dio, un concetto o un’ idea cho esprime l'essenza del corpo umano, e codesta
idea è perciò nocessariamente qualcho cosa che si riferisce all'essenza
dell'anima; poichè ciò che è concepito dall’essenza di Dio con una necessità
eterna è qualche cosa, questo qualche cosa che si riferisce all'essenza
dell’anima, è neccssariamonte oterno ». Per Leibnitz non v’ha mai genorazior
intra nd morte porfetta, consistente cioè nella separazi dell’ anima, 0 cid che
noi diciamo generazioni sono sviluppi © acerescimenti, cid che diciamo morti
sono involuzioni ο diminuzioni; perciò si può dire che non solo l’anima,
specchio d’ un universo indistruttibile, è indistruttibile, ma tale è anche
l’animale, sebbene la sua macchina perisca sovente in parte ο lasci o prenda
delle spoglio organiche ». Por Kant è un postulato della ragion pura pratica,
della possibilità ciod, per un essere finito, di realizzare la perfezione
moralo, sotto la forma di un progresso indefinito vorso la santità: La
conformità della volontà alla legge moralo, ossia la santità, è una perfezione
di cui nessun ossere ragionevole è capace nel mondo sensibile, in nessun
momento della sua esistenza. E poichò casa è tuttavia una osigenza praticamente
necessaria, bisogna dunque cercarla in un progresso indefinitamente continuo
verso codosta perfotta conformità; 0, secondo i principi della ragion pura
pratica, è necessario ammettere codesto progresso pratico come l'oggetto reale
della nostra volontà. Ora, codesto progresso indefinito non è possibile che
supponendo una esistenza 9 una personalità dell'essere ragionevole persistenti
indefinitamente, ossia ciò che si chiama immortalità dell’anima, Il sommo bene
non è dunque praticamente possibile che con la supposizione dell'immortalità
dell'anima, 537 | Ina la qualo, essendo quindi
inseparabilmente legata alla leggo morale, è una possibilità della ragion pura
pratica ». Per lo Schopenhauer solo l'individuo muore, mentre la specie è
immortale; l’ individuo è 1’ espressione nel tempo della specie, che è fuori
del tempo: La specie rappresenta uno degli aspetti della volontà come cosa in
sd; essa rappresenta, a tal riguardo, cid che v’ ha d’ indistruttibile nell’
individuo, vivente;... essa contiene tutto ciò che è, tutto ciò che fu, tatto
cid che sarà ». Per Lotze |’ immortalità non può essere teoreticamente
dimostrata; solo si può ritenere come universalmente valido il principio, che
tutto ciò che una volta è nato, devo durare eternamente, finchè ha uu immatabile
valore per rapporto all’ universo. L’ immortalita dell’ anima è naturalmente
negata da tutti quei sistemi che funno dell’ anima una funzione del corpo; è
ammessa, ma nel senso di una sopravvivenza impersonale, dal panteismo; non è
negnta nd affermata dal fenomenismo, dal parallelismo psico-fisico © da tutti
quei sistemi di psicologia scientifica, che dell’ anima studiano soltanto le
manifestazioni, abbandonando alla metafisica il problema della sua origino,
della sua essenza ed immortalità. Vi sono però due fatti positivi, ammessi dai
segusci della psicologia empirica (Spencer, Ribot, Wundt, ecc.) che possono
corrispondere al concetto religioso e metafisico dell'immortalità dell’ anima:
uno è l’oredità psicologica per cui l'individuo, insiemo al sistema nervoso,
erodita anche l'attitudine a riprodurre certi stati di coscienza acquisiti
dalla specie. L'altro, ben più importanto, è che ogni coscienza individuale,
passando sulla terra, lascia di sò una traccia sia pur lieve, la quale si
concatenn con tutta la serie dei processi psicologici della storia; si ha così
una trama psicologica, cho, passando da una generazione all’altre, abbraccia
tutta la storia dell'umanità, costituendo una vera ed eterna continuità morale.
Cfr. Platone,
Fed., 84 C-95, 78-80, 62 segg.; Mon., 80 sogg.; Aristotele, De an.. IH, 5, 430
a, 22 segg.; Ogereau, Le syat. phil. des stoiciens, Inv 538 1885, cap. IV; Haruach, Dogmengesohiohte,
1894, I, 493 vegg.; Kant, Krit, d. prakt. Vern., dialect., 2* parte, IV; Lotze,
Grundsüge d. Peychol., 1894, p. 74; W. James, Human immortality, 1898; J.
Frazer, The belief in immortality and the worship of the dead, 1913; O. Lodge,
La survivance humaine, 1912; F. H. Myers, La personalità umana ο la sua sopravvivenza, trad. it. 1908; Fournier d’Albe,
L'immortalità escondo la scienza moderna, trad. 18. 1909; Chambers-Janni, La nostra vita dopo la morte,
1910; A. Crespi, Il concetto dell’ immortalità ; stato attuale del problema, Il
Rinnovamento », IV, p. 229 sogg.; F. De Sarlo, Il problema dell’ immortalità, Cult.
filosofica », marzo 1910 (v. anima, coscienza, materialismo, spiritualiamo,
ecc.). . Impenetrabilitä. T. Undurohdringlichkeit; I. Impenetrability; F.
Impendirabilité. Una delle proprietà fondamentali ed essenziali della materia,
per cui due corpi non possono occupare nello stesso tempo un medesimo spazio.
Si distingue dalla resistenza, che è una nozione d’origine sperimentale,
derivando, secondo le analisi del Condillac, Bonnot, Maine de Biran, dall’
esercizio del nostro potere motore. Alcuni filosofi, in Inogo della nozione di
impenetrabilità, adottano quella della resistenza nello spazio per
l’espressione dell'essonza della materia, in quanto essa non pregiudica la
soluzione di un altro grande problema riguardante la materia: se cioò gli
elementi della materia hanno una grandezzu fissa o se la loro estensione è
puramente virtuale. Una moderna dottrina considera infatti gli elementi della
materia como semplici centri di forza, comprossibili fino ad essere ridotti ad
un punto materiale, vale a dire ad unu sfera il oui raggio è zero: però
l’annientumento del volume non toglierebbe ad essi il loro potero d'espansione,
cosicchè, diminuita la compressione, la loro forma, rimasta virtuale, potrebbe
attuarsi. Cfr. Uphues, Paychol. der Erkennens, 1893, I, p. 84; Condillac,
Traité des sensations, 1886, p. 15, 45 (v. dinamismo, energismo, meccanismo,
materia). 539 Imr Imperativo. T. Imperatir ; I. Imperative;
F. Impératif. Una proposizione che esprime una determinazione della volontà sia
mediante una formula (tu deri), sia per mezzo dol modo imperativo di un verbo,
I comandi-o imperativi sono per Kant di due specie: ipotetici, quando
consigliano un'azione come mezzo per ottenere un dato fine: categorici, quando
enunciano un’ azione buona per sè stessa, che ha cioè un valore intrinseco e
deve quindi compiersi indipendentemonto da qualsiasi altra considerazione. Gli
imperativi ipotetici possono poi alla lor volta essore problematici ©
axsertori: i primi sono delle regole, che esprimono nn fino che può essere
proposto, ma non necessariamente, i s0condi non sono che consigli, ed enunciano
un fine che non è necessario ma che tutti si propongono. L’imperativo
categorico, in cui la leggo morale si esprime, non è nè una regola nò un
consiglio ma un ordine, quindi è apodittico, vale a dire incondizionato 0
assoluto; esso nou nasce dall'esperienza, ma è un fatto della ragiono, è I’ elemento
a priori della moralità, la forma che tutte le nostre azioni debbono rivestire
perchè abbiano il nome di morali; la sua formola è: opera in modo che la
massima della tua azione possa diventare una norma universalo di condotta. Ma
l'esistenza d’ una legge assoluta implica nella natura l'esistenza di un
qualche cosa di valore pure assoluto, che cioè 8’ imponga sempre come fine; ora
questo qualche cosa à appunto l’uomo, come l’unico essere ragionevole della
natura, o quindi la forma dell’ imperativo categorico si può modificaro così:
agisci in maniera da trattar sempre l'umanità como fine, e di non servirtene
mai como mezzo 0 strumento. Ma perchè la volontà non accetti la legge spintavi
da alcun altro interesse, occorre che tale leggo essa stessa la dia a sè, che
sia cioè autonoma; da ciò la terza forma dell’ imperativo categorico : agiaci
in maniera che la tua volontà possa considerarsi da νὸ come dettatrice di leggi
naturali. Por Fichte l'essenza dell’ Lo è l'atto Imp 540 rivolto in sò stesso ο determinato da sò
stesso empirica con tutti i suoi oggetti nou è che il materiale per l’attività
della ragion pratica, è l'Io che esplica la sua tendenza n crearsi un limite,
che esso supera, per obbiettivarsi; quindi l'essenza dell’ Io è l autonomia
della ragione pratieu ο culmina noll’imperativo categorico, in quanto tntto ciò
che esiste non può concepirsi che per ciò cho deve essere, è il materiale
sensibilo del dovere: Non appena Io è posto, tutta la realtà è posta; tutto
devo osser posto nell’ Io; l'Io deve ossero assolutamento indipendente, ma ogni
cosa deve da lui dipendero. E dunque richiesto l’accordo degli oggetti con
l'Io; o l’assoluto Io, appunto per il suo assoluto casero, è cid che esso
richiede, l'imperativo categorico di Kant ». Quindi Fichte accetta l'imperativo
catogorico kantiano nolls formula opera secondo la tua coscienza », come punto
di partenza per una dottrina morale, cho deduco i doveri dal contrasto dell’ impulso
naturale e di quello morale, che si presenta in ogni lo. Cfr. Kant, rit. d. prakt. Vern.,
1898, p. 22; Fichte, Grundlage d. ges. Wissonackafislehre,.1802, p. 240;
Cresson, La morale de Kant, 1897, p. 1-50. Impersonale. I. Unpersönlich; I. Impersonal; F. Impersonel,
Obbiettivo, imparziale, non individuale. Dicosi teoria della ragione
impersomale, quella cho ammetto che la ragione d’ ogni individuo non è che il
riffesso di una Ragiono univorsale alla quale esso partecipa; questa Ragione
può essero intesa como trascendente, ο in tal caso è la stessa Di nella quale
lo verità eterno sono sempro sussistonti, o como immanente in quanto è In
stossa in tutti e non è propria di ciascuno, ossia è in ciascuno,
ossenzialmente, In concezione dell’ infinito, dell’ universale, dell’
immutabile. Impersonalismo. 'T. Impersonaliemus; I. Impersonaliom; F.
Impersonalisme. Dottrina che nega ο distrugge la personalità. Alcuni filosofi,
fra cui il Renouvier, danno 541 Imp questo epiteto alla filosofia
evoluzionistica, la quale nega la personalità ponendola come transitiva (v.
personaliamo). Implicito. T. Mitinbegrifen; I. Implicit; F. Implicite. Si
oppone a eeplicito © a formale, e designo una noziono © un giudizio che sono
contenuti in un’altra nozione e giudizio, senza essere formalmente espressi. I
giudizi impliciti ο complessi, detti anche esponibili perchè si possono rendere
espliciti, possono assumero varie forme: esclusivi, ecoottuativi, comparativi,
redaplicativi, determinativi e esornativi. Dicesi contraddizione implicita
quella che si riconosce deducendo dalle proposizioni formulate una contraddizione
nei termini. Nella terminologia scolastica impliite © explicite valgono quanto
confuse © distincte: così le note essenziali dell’uomo si conoscono implicite
nel definito homo, ed explicite nella detinizione animale ragionerole; negli
atti della volontà le due stesse parole equivalgono a directe e indirecte: chi
vuole bere troppo vuole 1’ ubriachezza implicite, chi vnol bere per ubriacarsi
vuole l’ubriachezza stessa explicit Impossibilita v. possibile. Impressione, T.
Eindruck, Reiz; I. Impression, Feeling: F. Impression. Si snol distinguero 1’
impressione dalla sensazione: quella è il semplice fatto fisiologico della
eccitazione di un organo di senso in seguito all’azione dello atimolo, «esta è
Il fatto di coscienza che aogne all’ eccitazione modesima. Talvolta si usa
invece di cocitazione: tal’ altra, specie nel linguaggio comune, si usa per
opposizione a riflessione ο a giudizio, per indicare uno stato complessivo di
coscienza, presentante un tono affettivo caratteristico, che risponde a una azione
esteriore: n questo uso si ricollegano i termini imprersioniemo ©
impressionista. In un senso analogo, per impressione #’ intende qualche volta
I’ impronta fatta dagli oggetti esteriori sulla coscienza: Corpus Aumanum, dice
in tal senso Spinoza, multa pati potent mutationes, et nihilo minus relinere
obiectorum Impressionen veu Imp 542 vestigia el consequenter casdem rerum
imagines, Hume oppone l’impressione, considerata como presentazione, alla idea,
considerata come rappresentazione: la prima d il fatto di coscienza che si
presenta per la prima volta, la seconda è il riprodursi dol fatto medesimo: Sono
improssioni, egli dice, tutte lo nostre sensazioni, passioni ed emozioni,
quando fanno la loro prima comparsa nello spirito ». Tutte le rappresentazioni
derivano dalle impressioni, dalle quali ei distinguono soltanto per un minor
grado di vivacità; perd le impressioni possono essere di due specie, ciod
originali ο riftessive, a seconda che sono impressioni di sensazioni o
impressioni di passioni : Le impressioni originali ο impressioni di sensazioni
sorgono nello spirito senza nessuna percezione autecodente, dalla costituzione
del corpo, dagli spiriti animali ο dalla applicazione degli oggetti agli organi
esterni. Lo impressioni secondario ο riffessite derivano da alcune di codeste
impressioni originali o immediatamente per l’interposizione della loro idea ». Cfr. Spinoza, Ethica, 1. III,
post. II; Hume, Treatise on human nature, 1874, I, sez. I. Impulso. T. Trib, Impuls; I. Impulse; F. Impulsion, In
un senso generale, il Destutt de Tracy lo definisco como «la proprietà per cui
i corpi, quando sono in movimento, comunicano il proprio movimento ogli altri
corpi che incontrano ». In senso psicologico, per impulso s' intendo comunemento
una spinta irriflessa ο irrefrenabile ad agire: in questo senso si parla di
atti impulsivi, caratteri impuleiri, ecc. In un senso più ristretto, l’impulso
è l’inizio d’ ogni atto volontario positivo, il comando volontario onde l’idea
si traduce in movimento. Se esso è in eccesso ο in difetto si hanno, secondo il
Ribot, due forme anomale del volere: nel primo caso le forme d’ impulsività
irresistibile, cosciente © incosciente, nelle quali l'individuo è como
trascinato da un volero diverso dal suo, e al qualo, in taluni casi, vorrebbe,
ma non può resistere; nel secondo caso le varie forme doll’ abulia, dell’
agorafobin, della follin del dubbio, 543
Txp-Inc in cui l'individuo è incapace di
mnovere la propria volontà. Cfr. Ribot, Les maladies de la volonté, 1901, p. 35
segg., 71 segg. Imputabilità. T.
Zurechendarkeit; I. Imputability; F. Imputabilité, Si confondono spesso la
colpabilità © la responcon In imputabilità. Questa pnd essero intesa in due
modi: 1° ciò che permette di stabilire il conto d’un agente; la responsabilità
si riferisce, in questo senso, al carattere dell’agente, l’imputabilità implica
in più la considerazione dell’atto © quella dell’ intenzione; 2° ciò che
costituisce pro-priamento il rapporto dell’ atto all’ agente, astrazion fatta,
un lato, del valore morale di questo, e, per l’altro, della sanzione che può
seguirno. Cfr.
J. Hoffe, Die Zurechnung., 1877; Landry, La responsabilité pénale, p. 118 ogg. (v. delitto, pena, responsabilità). In adjeoto.
Termine della scolastica, con oui nella logica ai designa quella forma di
contraddiziono, cho esiste fra il sostantivo e la qualità che gli viene
attribuita. Corì, secondo alcuni filosofi, la dottrina che sostiene l’
esistenza dei fatti psichici incoscienti è una contraddizione in adjeoto, poichè
ogni fenomeno psichico, in quanto tale, à necessariamento avvertito dal
soggetto, ossia è cosciente. Cfr. (ioelenio, Lezicon phil., 1613, p. 983.
Inane. In Lucrezio significa vuoto, ed è, come in Epieuro, sinonimo di spazio e
di luogo. Infatti secondo gli atomisti lo spazio à, come la materia, un reale:
à il puro luogo o l'estensione pura dove i corpi materiali, che sono estesi,
possono trovar posto, ciod possono estendersi. Vuoto © materia sono due realtà
fondamentali opposte : I’ essonzu del primo consiste nella penetrabilità, nella
intangibilità, l’essenza della seconda nella impenetrabilità e nella tangibilità
(v. epieuroismo, vuoto). Incertessa. T. Ungewissheit; I. Unoertainty; F. Incertitude.
Non bisogna confonderla col dubbio © colla probabilità. L'incertezza è quello
stato mentale in eni trovasi Inc 54 la mente quando ragioni contrarie si disputano
l’ assenso, © quando l’assenso stesso non è che provvisorio ο accompagnato da
timore di sbagliare. Se fra queste ragioı contrarie esiste perfetto equilibrio,
allora si ha il dubbio; se una ha qualche preponderanza sulle altre, si ha la
probabilità (v. oertessa). Incettive (proposizioni). F. Propositions
inoeptives. Quelle proposizioni composte, implicite o esplicite, le quali affermano
che un dato predicato appartiene ad un dato sug‘getto, © che esso ha cominciato
ad appartenergli ad un termina o spiega il significato, ο si può ο non si può
tosi può togliere l’ inciso diconsi determinatire; quelle che gliere diconsi
esornatice. . T. Neigung; I. Inclination; F. Inclina. Si può definire come la
tendenza spontanea ο costante la definisce: determinatio generalis appetitus ab
aliquie zioni: le egoistiche, o personali ο individuali, che mirano soltanto
all’appagamento dei propri desideri; lo altruiatiche, rivolte al bene altrui;
le superiori, cho hanno per oggetto dei fini impersonali, © possono essero
estetiche, scientifiche, morali, religiose. Malebranche no distinguo tre
specio, cho αἱ trovano più o meno in ogni uomo: 1° I clinazione per il bene in
generale, che costituisce il principio di tutto lo nostre inclinazioni
naturali, di tutte nostre passioni ο persino di tutti gli amori liberi della nostra
anima, perchè da questa inclinazione per il bene in generale ricaviamo In forza
per sospendere il nostro consenso riguardo a beni particolari »; 2° 1’
inclinazione per 545 Inc la conservazione del nostro essere; 3°
l’inclinazione per le altre creature, che sono utili a noi stessi o a quelli
che amiumo. Kant distingue l'inclinazione «dalla propensione (Hang): questa è
la possibilità soggettiva del sorgere di un dato desiderio, che precede la
rappresentazione del suo oggetto; quella è il desiderio che abitualmente occupa
un individuo; in altre parole, la propensione è la predisposizione a desiderare
un piacere, che, dopochà è stato sperimentato dal soggetto, produce 1’
inclinazione. Analoga distinzione si fa tra inclinazione e istinto : questo
consiste nella immediata suggestione di atti o di sentimenti determinati, anche
senza la coscienza del fine a oni mirano; quella pone un fine, in modo più o
meno determinato, senza che vi sia necessariamente la rappresenta zione dei
mezzi da impiegare per raggiungerlo. Si distingue infine l'inclinazione dalla
passione, in quanto questa è una delle forme intense di quella, ed è
caratterizzata dalla rottara dell'equilibrio che esiste normalmente nell’
insieme delle inclinazioni umane. Cfr. Wolff, Phil. practica, 1739, vol. II, $
985; Malebranche, Rech. de la rerité, IMI, 11; Kant, Anthropologie, 1800, v. 78
(v. attitudine, tendenza). Incommensurabile. T. /ncommensurabel ; 1. Incommensurable;
F. Incommensurable. Due grandezze diconsi incommensurabili quando non hanno una
misura comune, quando non possono essere espresse in funzione della stessa
unità, quando non esiste alcun numero, nè intero nè frazionario, il quale,
essendo contenuto un numero intero di volte nelluna, sia contenuto un numero
intero di volte anche nell'altra. Siccome quanto più l’unità presa a misura è
piccola tanto maggiormente essi s'accosta alle quantità incommensurabili, così
si può dire che due quantità incommensurabili hanno per comune misura una
quantità infinitamente piccola (v. infinitesimale, integrale). Inconcepibile.
T. Unbegreifbar: I. Inconceivable; Inconcerable. Termine usato specialmente dal
Reid, da 35 RavzoLI, Dizion. scienze
filosofiche. Ixc 546 l Hamilton e dallo Stuart Mill; indica in
generale ciò che la mente non può rappresentarsi. Si distingue dall’inintelligibile,
che è ciò che non soddisfa la ragione, quantunque sia perfettamente
concepibile, e dall’ inconoscibile, che è ciò che, per sna natura, trovasi
fuori della sfera d’ ogni conoscenza possibile. Alcuni filosofi intendono per
incomprensibile ο inconcepibile cid che è ultimo, quindi irreduoibile ; così i
concetti supremi della scienza, essendo ultimi, resistendo cioè ad ogni
ulteriore analisi, riduzione ο ragionamento, sarebbero per sè inconcepibili,
quantunque mediante essi ogni cosa si renda concepibile. Quanto alla
distinzione dell’ irreducibile ο inconcepibile dall’ inconoseibile, essa non è
adottata da tutti i filosofi; mentre per V Hegel, ad es. l'essere è l'assoluto
incomprensibile in quanto è presuppostò da tutti i concetti (da tutte le
determinazioni logiche) ma non presuppone nessun altro concetto, è poi = lo
stesso essere -l’ assolutamente oonoscibile come risultato dell’ assoluto
processo logico, analitico e sintetico: per lo Spencer, invece, i concetti
ultimi delle scienze (spazio, tempo, materia, forza, coscienza) sono
inconoscibili perchè inconcepibili, e non costituiscono che dei simboli o segni
di un quid, che non si sa che cosa sia. Cfr. J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. VI;
Spencer, Prine. of paychol., 1881, vol. II, p. 406 seg. (v. assoluto, agnosticixmo, inconoscibile, noumeno).
Incondizionato. T. Unbedingt: I. Unconditional, Unconditioned; F.
Inconditionné. Ciò che non è soggetto ad alcuna condizione, e che quindi ha in
sè stesso le ragioni di essere, © di essere ciò che è, Tuttavia il termine che
fu introdotto nel linguaggio filosofico dell’ Hamilton, come comprendente i
significati di infinito e d’ assoluto è anche usato in senso relativo, per
designare il rapporto di condizione a condizionato esistente fra due fenomeni,
che non sono poi condizionati da un altro fenomeno, di cui siano effetti
collaterali. Per I’ Hamilton invece I incondizionato 547 Inc
oppone ul condizionato, ο condizionalmente limitato, il cui contradditorio,
cioè l’incondizionalmente limitato, inchinde evidentemente due casi : 1’
incondizionalmente limitato ossia l'assoluto, e l’ incondizionalmente
illimitato ossia V infinito: Quattro opinioni, dice l’ Hamilton, si possono
enumerare riguardo all’ incondizionato come oggetto immediato di conoscenza e
di pensiero: 1° L'incondizionato è inconoscibile ed inconcepibile, essendo la
sna nozione puramente negativa del condizionato, il quale soltanto può essere
in modo positivo concepito ο conosciuto. 2° Esso non è oggetto di conoscenza,
ma la sua nozione, come un principio regolativo della mente stessa, è più di
una mera negazione del condizionato. 3.° Esso è conoscibile ma non concepibile;
può essere conosciuto mediante uno sprofondarsi nell’identitä dell’ assoluto,
ma è incomprensibile per la coscienza e per la riflessione, che sono soltanto
del relativo ο del differente. 4° Esso è conoscibile e concepibile dalla
coscienza e dalla riflessione, sotto la relazione, la di ferenza ο In pluralità
». L’ Hamilton afferma la prima di queste quattro opinioni, considerando
l'infinito e l’ assoluto, cioè Dio, come impensabili e oggetto solo della certezza
morale, che dà la credenza; pensare è infatti condizionare, il pensiero non può
trascendere la coscienza, la è possibile soltanto sotto le antitesi di un
soggetto e di un oggetto del pensiero, conosciuti solo in correlazione e
limitantisi a vicenda; poichè tutto ciò che noi conosciamo del soggetto e dell’
oggetto è solo, in ciascuno la conoscenza del differente, del modificato, del
fenomenale ». Perciò la filosofia non può essere che una filorofia del
condizionato. la quale nega all’ uomo la conoscenza sia dell’ assoluto sia
dell’ infinito, © sostiene che tutto ciò che noi immediatamente conosciamo, ο
possiamo conoscere. è soltanto il condizionato e il relativo, il fenomenico, il
. La dottrina del condizionato è una filosofia che professa la relntività della
conoscenza, ma confessa I’ assoluta Inc 548 ignoranza ». Questo agnosticismo dell’
Hamilton fu messo poi a servizio della teoria della rivelazione dal Mansel, che
considerò i dogmi come affatto inconcepibili per la mente umana; ed esercitò In
sua efficacia anche in altri indirizzi filosofici dell’ Inghilterra, per
esempio sulla dottrina dello Spencer e sui rappresentanti del positivismo. Cfr. Hamilton, Discussions
on philosophy, 1852, p. 12-14; Stuart Mill, La philosophie de Hamilton, trad.
franc. 1869, p. 4
sogg.; Monk, Sir W. Hamilton, 1881, p. 83 segg.; Mansel, The limite of
religious thought, 1858 (v. condizione). Inconoscibile. T. Unerkennbar ; I. Unknowable; F. Inconnaissable. Ciò
che per sun natura non può essere oggetto di conoscenza. Si distingue dall’
ignoto, che è lo sconosciuto © può sempre divenire oggetto di conoscenza; dall’
inintelligibile, che è ciò che non soddisfa In ragione ; dall’ inconcepibile,
che è ciò che non si può nemmeno pensare. L’ inconoscibile è invece ciò che,
pur essendo reale, sfuggirebbe per ipotesi a tutti i modi della conoscenza, sia
intuitiva, sia discorsiva, sia immediata, sia mediata, sia fondata sulla
coscienza e sull'esperienza, sia fondata sul ragionamento. Per alcuni l’affermazione
della realtà dell’ inconoscibile è assurda, tale affermazione racchiudendo già
una qualche conoscenza di ciò che è dichiarato inconoseibile; altri ne
ammettono la legittimità, osservando che, allorchè si afdi non veder nulla
nella notte completa o nella luce accecante, si sa pure che la notte e lu luce
esistono ; altri, come l’Ardigò, lo respingono sia perchè ricavato da una
errata concezione della relatività della conoscenza (ogni stato di coscionza
essendo per sd stesso una cognizione, che non diventa relativa se non a
posteriori, ciod dopo che l'esperienza associatrico ha costituito i due
concetti opposti del me e del non-me) sia perchè il preteso inconoscibile si
risolve nell’ iguoto, ossia nel generico mentale dato dalla owervazione e
ricorrente per associazione colla rappresentazione della realtà; altri infine,
come il Berg 549 Isc son, sostengono che
essendo l’ universo della stessa natura dell’Io, è possibile conoscerlo
mediante uno sprofondamento sempre più completo in sò stessi, cioè con una
conoscenza che coglie il suo oggetto dal di dentro, che l’appercepisce tal
quale ϱ) appercepirebbe esso stesso ne c la sua esistenza non facessero che una
sola ο medesima cosa, © che è quindi una conoscenza nssoluta, una conoscenza
d’assoluto ». Lo Spencer pone a base del suo sistema l’inconoscibile, che egli
considera come una realtà, ricavandolo dai quattro modi della relatività del
pensiero: 1° la cognizione di un dato consiste nel suo riferimento ad un genere
superiore; ora, perchè possiamo conoscere il dato del genere massimo al qualo
arriviamo, è necessario cho tale genere non sia riferibile ad uno superiore,
sia cioè inconoscibile; 2° la cognizione di un dato implica che se ne pensi la
relazione, la difterenza e la somiglianza con altri dati; ora, siccome In causa,
l'infinito e 1’ assoluto non possono essere comparati ad altro perchè unici,
così sono inoonoscibili ; 3° la cognizione di un dato implica il riferimento di
un soggetto ad un oggetto, quindi, se la manifestazione soggettiva appare
relativa alla oggettiva, © questa a una condizione sua non conoscibile, ne
segue che I’ inconoscibile è la condizione della conoscenza; 4° le sensazioni
non sono che un semplice relativo ad un diverso che ne è causa; ne viene la
conseguenza che tale diverso, del quale non possiamo conoscere che 1’ effetto
in noi, è un inconoscibile. Cfr. Spencer, First principles, 1900, cap. IV; Id., Princ. of poychology,
1881, cap. XIX;
W. James, À world of pure experience, Journal of philosophy », sett.-ott. 1904;
Bergson, Introd. à la métaphysique, Revue de métaph. >, gennaio 1903 ; J. Laminne, La philos. de
Vinconnatssable, 1908 : 8. De Dominiois, La dottrina dell'evoluzione, 1881, p.
56 segg.; Mor-, I conostti ultimi della rel. e della fil. secondo E. Spencer, Riv.
di fil. scientifica », genn. 1884 ; G. Carini, II problema Inc 550 dell inconosoibile nella fil. scientifica, Id.
», dic. 1891; Ardigò, L'inconoscibilo di H. Spencer, in Op. fil., II, p. 239
segg.; Id., La dottrina spenceriana doll’ inconoscibile, Ibid., VIII, p. 18
segg.; Id., It noumeno di Kant ο U inoomoscibile di H. Spencer, Ibid., p. 117
segg.; C. Ranzoli, La fortuna H. Spencer in Italia, 1904, p. 41-60 (v.
agnostioiemo, inconcepibile, incondizionato). Incosciente. T. Unberwsst; I.
Unconscious; F. Inooseient. Parola di valore molto vario, tantochd Willy Hellpach
ne enumera otto significati. Nel suo senso più generale si dice d’ogni essere
che non possiede alcuna coscienza, ad es: gli stomi materiali, i vegetali, ecc.
In senso morale si dice d’un uomo incapace di riflettere, di ripiegarsi su sè
stesso, di rendersi conto di ciò che fa © delle conseguenze dei propri atti. In
senso scientifico si dice di quei fatti psicologici che, come i sociali, i
giuridici, gli estetici, eec., possono essere studiati al di fuori della coscienza,
come cose, perchè s’ impongono alla coscienza di ciascuno e sono soggetti ad un
determinismo. In senso psicologico s’applica a quei fenomeni ο processi
psichici, non sono avvertiti dall’ individuo in cui si svolgono; questi
processi molti psicologi contemporanei attribuiscono una grande importanza,
spiegando con essi la telepatia, il medianismo, l’sutomatismo, i sogni, le
dissociazioni della personalità, ecc. Si confonde spesso l incosciente col
suboosciente, generando non pochi equivoci : il subeoseiente è propriamente ciò
che è oggetto di coscienza debole e perciò sfugge, oppure ciò che attualmente
non è avvertito dal soggetto, ma che il soggetto stesso può affermare come tale
che fu cosciente nel passato, sia perchè diviene chiaramente cosciente in
séguito, sia perchè riconosciuto come la condizione di fatti successivi
chiaramente coscienti ; Vincosciente è invece ciò che sfugge interamente alla
coscienza, che è radicalmente inconscio, anche quando il soggetto cerca di
coglierlo © vi applica la propria attenzione. 551 Inc
Così inteso, possiamo distinguere con il Dwelshauvers sei grappi di fatti
psichici ai quali si applica l'appellativo di incoscienti: 1° L’inconsciente
nell’ atto del pensiero (ad es. l’attività sintetica che trasforma le
sensazioni in rappresentazioni, e queste in concetti); 2° L’ incosciente della
memoria nella percezione ; 3° L’ incosciente della memoria per impressioni e
sentimenti latenti (ad ex. il motivo che fa apparire un dato ricordo e non un
altro, rimane incosciente); 4° L’ incosciente dell’ abitudine ; 5° L’
incosciente della vocazione (disposizione a un’arte, a un mestiere, manifestantesi
imperiosamente nell’ infanzia); 6° L’ incosciente nella vita affettiva. Ma
altri psicologi, sia fenomenisti sia spiritualisti, ammettono che ogni fatto
psichico, anche della natura più elevata, può sussistere allo stato
incosciente; i primi però, dal Carpenter in poi, cercano di ricondurli al fatto
fisiologico, al chimismo nervoso, alla cerebrazione incosciente. I fenomenisti
si fondano, in generale, su questi fatti: 1° alcune volte ci sentiamo o tristi
o lieti senza avvertirne il motivo; riflettendo, scopriamo poi codesto motivo,
che esisteva dunqne anche prima di essero avvertito allo stato incosciente; 2°
la soluzione d’ nn problema o @’ una questione è apparsa alcune volte
improvvisamente al pensiero degli scienziati; ciò vuol dire che tale soluzione
è scaturita da un lavoro mentale incosciente; 3° alcune volte, discorrendo o
pensando, si giange a conclusioni di cui non si avvertono le premesse; ciò
significa che codeste premesse esistono, ma allo stato incosciente; 4° nn’
idea, presente, al sopraggiungere di altre idee scompare per poi ricomparire
nuovamente: non avrebbe potato se in tutto questo tempo non avesse continuato
ad esistere allo stato incosciente. A ciò si suole rispondere genericamente che
la coscienza non è gid un epifenomeno, un qualche cosa che s’agginnge al fatto
psichico ο pnd anche mancare, ma è il carattere essenziale dei fatti psichici,
cosicchè fatto psichico vuol dire fatto cosciente: porInc 552 ciò
l’espressione fatti psichici incoscienti » è assurda come quella di vita morta,
movimento fermo, ecc. Questa opinione è ammessa anche dagli spiritualisti, i
quali però negano che la coscienza sia il carattere distintivo di tutto ciò che
è psichico; infatti l’ anima, secondo essi, esiste al di fuori dei fenomeni,
come principio non solo dei fatti psichici ma anche di tutta la vita animale,
cosicchè le operazioni profonde dell’ anima, essendo pur sempre di natura
psichica, dovranno sfuggire alla coscienza, Il Leibnitz, con la sua teorin
delle petites perceptions incoscientes fu il primo a impostare nella tilosotia
il problema dell’ incosciente. Bisogna considerare, egli dice, che noi
pensiamo, tutto in un tempo, ad una grande quantità di cose, ma non porgiamo
attenzione sc non ui pensieri più distinti; nè potrebbe essere altrimenti, chè
se tenessimo conto di tutto, dovremmo pensare attentamente ad una infinità di
cose nello stesso tempo, che seutiauo ugualmente e fanno impressione sui nostri
sensi. E non basta: qualcosa rimane di tutti i nostri pensieri passati, e nessuno
di essi potrebbe mai venire cancellato completamente. Ora, quando dormiamo
senza aver sogni, o quando siamo storditi da qualche colpo, da una caduta o da
qualche altro accidente, si forma in noi una quantità di piccole percezioni
confuse; e la morte stessa non potrebbe avere effotto diverso sulle anime degli
ani-, le quali debbono senza dubbio prima o poi ripigliare percezione distiuta
». Tutte le impressioni hanno il loro effetto, ma non tutti gli effetti son
sempre osservabili ; così, quando mi volto da un lato piuttosto che da un
altro, è xpesso a cagione di un complesso di piccole impressioni, di cui nou ho
coscienza, le quali rendono un movimento un po' più malagevole di un altro.
Tutte le nostre azioni indeliberate resultano da un concorso di piccole
percezioni, dalle quali anche procedono le nostre abitudini e passioni, che
hanno tanta influenza sulle nostre deliberazioni; queste disposizioni
percettibili si formano a poco a poco, e senza 558 Inc
le piccole percezioni inafferrabili non le avremmo in nessun siero privo d’ogni
coscienza: è così assolutamente inintelligibile dire che un corpo è esteso
senza parti, come dire che qualche cosa pensa senza averne coscienza ». Anche
per Kant avere delle rappresentazioni e non averne coscienza, sembra una
contraddizione, perchè come sappiamo di averle senza esserne coscienti ? » Però
egli ammette che possiamo avere una coscienza indiretta di certe rappresentazioni;
egli le chiama rappresentazioni osoure. Per 1 Herbart esistono delle
rappresentazioni assolutamente in-, sprofondate sotto la soglia della
coscienza. Per V Hartmann 1’ Incosciente è una vera realtà, anzi 1 essenza
della realtà, il principio unico comune, attivo ed intelli gente insieme, che
si manifesta nella materia e di cui gli non sono che l'apparenza; per rapporto
a noi esso è incosciente, in sè è supracosciente. Del resto, con V espressione Incosciente
» l’ Hartmann intende anzitutto l’attività psichica in genere, in quanto resta
fuori della sfera della, coscienza, ο più propriamente 1) unità del rappresentare
© del volere (alle quali due attività si riducono secondo lui le funzioni
psichiche) in quanto sono inconsapevoli, e perciò anche I’ unico soggetto degli
atti psi chici inconsapevoli; ma questo soggetto, essendo uno solo non pure per
ciascun individuo, rua anche per tutti gli individui, ne viene che I’ Inconscio
» da ultimo risulta essere non tanto I’ astratto di tutti i soggetti psichici
inconsapevoli e il nome collettivo di questi, quanto piuttosto l’unico
principio sostanziale di cui i singoli non sono se non manifestazioni
fenomeniche. Secondo il Paulsen V essenza delle rappresentazioni incoscienti
sta nella possibilità di divenire coscienti. Sono potenzialmente percezioni
interne, proprio come i momenti fisici che sono peresterne potenziali >.
Secondo l’Ardigò, fatto psichico essendo sinonimo di fatto cosciente, poichè il
fatto psichico IND 554 è l’avvertimento di una modifienzione, dire
fatto psichico incosciente val quanto dire vita morta 0 movimento fermo. Anche
W. James si schiera contro i sostenitori dell’ incosciente, combattendo i dieci
presunti argomenti o gruppi di argomenti che sono stati addotti in sostegno di
esso. Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, I, p. 77, 80; Locke, Essay,
1. II, cap. I,
sez. 19; Kant, introp., I, $ 5; Hartmann, rit. Grundlegung d. transo.
Realismus, 1886, p. 70; Id., Philosophie de l'incoscient, trad. franc. 1877,
vol. II, p. 287 segg.; A. Faggi, Filosofia dell’ incosciente, 1900; F.
Bonatelli, La filosofia dell’ inconscio di E. von Hartmann, 1876; Paulsen,
Einleitung in die Philos., 1896, Ρ. 127 segg.; Willy Hellpach,
Unberousstes oder Wechaelioirkung, Zeitzchr. für Paychol. », XLVIII, p. 238;
Patini, Coscienza, nubooscienza, incoscienza, Riv. di psicol. applicata », VI,
1910, p. 24; W. James, Prine. of Payohol., I, cap. VI; Dwelshanvers, La ayntése mentale, 1908, p. 78-1145
Ardigò, Op. fil., V, p. 56 segg. (v. automatismo, dissociazione, subcosoienza,
subminimale). Indefinibile. T. Unerklärlich, unbestimmbar ; I. Undefinable; F.
Indéfinissable. Un’ idea, una nozione, un oggetto possono essere indefinibili
in senso assoluto e in senso relativo. Sono assolutamente indefinibili i dati
della sensibilità, perchd del tutto soggettivi e incomunicabili ; le idee più
generali ed astratte, che si possono spiegare soltanto per mezzo delle idee
opposte ο degli esempi; i concetti astratti semplici, che non includono nè
genere nè differenza. Sono indefinibili in senso relativo quegli oggetti delle
scienze sperimentali, che, allo stato attuale del sapere, non sono ancora
conosciuti in modo sicuro e preciso, © quelle nozioni che posseggono un numero
grandissimo di note di uguale importanza, cosicchè riesce impossibile
enunciarle nel definiente in modo da individuare il definiendo (v.
definizione). Indefinito. T. Unbegrenzt, unendlich; I. Indefinite; F. Indifini.
Si oppone a finito e si distingue da infinito. In 555 Inp fatti da Cartesio in poi per indefinito si
intende ciò che non ha limiti assegnabili, sia relativamente a noi, sia nella
natura delle cose stesse; ciò che col pensiero si può moltiplicare o dividere,
estendere o restringere, senza trovar mai alcun ostacolo cho possa arrestare
tali operazioni; quindi il definito è ciò di cui il limite © la forma sono ο
possono essere fissati. Per infinito si intende invece ciò che manca affatto di
termine, di fine, ciò di cui non solo non si possono assegnare i limiti, ma che
ha appunto per carattere ο natura di non soffrire limitazioni. Distinguo inter
indofinitum οἱ infinitum, dico Cartesio, iludque tantum proprie infinitum
appello, in quo nulla ex parte limites inveniuntur, quo sensus solus Deus est
infinitun; illa autem, in quibus sub aliqua tantum rationem finem non agnosco,
ut ertensio epatit imaginarii, multitudo numerorum, divieibilitas partium, quantitatia
ct similia, indefinita quidem appello, non autem finita. quia non omni ex parte
fine carent. L' indetinito di Cartesio è dunque un infinito parziale e
relativo, che si contrappone alla infinità totale ed assoluta di Dio. Una
distinzione in parte analoga si trova in Spinoza, che tra l’assoluta infinità
di Dio e il finito pone come termini intermedi, che li colleghino, i modi
infiniti, che partecipano dell’ infinito e del finito ad un tempo; questi modi,
ad es. lo spazio, sono infiniti solo sotto un certo aspetto, mentre Dio è
infinito sotto tutti gli aspetti, in tutti i suoi attriDuti, ene absolute
infinitum, hoo est eubetantia constane infinitie attributie, quorum unnmquodque
aelernam et infinitam cesentiam exprimit. Secondo il Renouvier, 1’ indefinito è
V infinito in potenza e in quanto tale s’ oppone all’ infinito in atto: Per
opposizione all'infinito attuale, 7’ infinite dei possibili è ciò che si chiama
indefinito ». Lo spazio, sccondo alcuni, è infinito, perchè non si potrebbe
concepirlo come limitato; la serio dei numeri è invece indefinita, perchè
l'operazione mediante la quale formiamo un nuovo numero, cioè l’aggianta di una
unità, è sempre identica Inp 556 a sò stessa; e pure indefinita è la
divisibilità matematica, giacchè non sono concepibili le parti d’ una grandezza
senza grandezza, nè che sia indivisibile ciò che ha una grandezza. Cfr.
Cartesio, Resp. ad I obi., $ 10; Id., Prinoipia phil., I, 26, 27; Spinoza,
Æthioa, def. VI; Pillon, Année philos., 1890, p. 112; Ardigò, Infinito ο
indefinito, Riv. di filosofia », genn., marzo 1909; R. Menasci, Infinito ο
indefinito in Cartesio, Ibid. », maggio 1911 (v. infinito, indeterminato,
numero). Indeterminato. T. Unbetimmt; I. Indeterminate: F. Indéterminé. Ciò che
può assumere un numero indefinito di determinazioni differenti. Non va confuso
con I’ indefinito, che si dice in special modo della quantità, mentre P indeterminato
si riferisce alla qualità. Un problema è indeterminato quando le soluzioni
soddisfacenti alle condizioni sue sono in numero indefinito. Un numero è
indeterminato quando si sa che è un numero, senza sapere quale numero. Il
Rosmini chiama sofiemi dell indeterminato quelle fallacie che derivano dalla indeterminazione
del soggetto. Tali sono, ad esempio i sofismi che si formano sulla divisibilità
dello spazio, del quale si conclude che è composto di punti semplici perchè è
divisibile all’ infinito; ora, è erroneo supporre che la divisione indefinita
dello spazio debba essere di necessità finita ο infinita, come è erronea la
supposizione che esso sia veramente divisibile, poichè le parti gliele dà
l’uomo con 1’ imaginazione, e con I’ imaginazione può presentarsi un numero
indeterminato di queste parti, cioè un numero finito ma sempre aumentabile,
perohè dopo ogni atto d’imaginazione se ne può fare un altro. Cfr. Rosmini,
Logica, 1853, $ 71T (v. indefinito). Indeterminismo. T. Indeterminiemus; I.
Indeterminism ; F. Indéterminisme. La dottrina che considera l’atto volontario
come assolutamente spontaneo, come un fenomeno senza causa. Si oppone al
determinismo, che è In dottrina che considera ogni fatto, compresa la volontà,
come legato ai suoi antecedenti da una legge necessaria e costante. Si
distingue, secondo alcuni, dal libertismo, che è la dottrina che non considera
l’atto volontario come un fenomeno senza causa, ma sostiene essere la volontà
stessa una causa prima. Dicesi indeterminiemo idealistico 1’ indirizzo,
rappresentato in Francis dal Bontroux e dal Bergson, che estende la libertà e
la spontaneità anche si fenomeni del mondo fisico, considerando la necessità
naturale e il determinismo scientifico come illusioni della mente, © riducendo
gli stessi principi logioi ad un semplice stromento soggettivo, col quale cerchiamo
di rendere intelligibile la realtà, ponendo in essa un ordine che corrisponde
alle nostre esigenze conoscitive: se si ammettesse l'impero della causa sn
tutto il reale, non si potrebbero spiegare la varietà, la novità, i processi
ascendenti dell’ evoluzione, tutto si ridurrebbe a combinazioni meccaniche di
elementi identici preesistenti; nella realtà si verificano dunque sintesi
creative, produzioni originali, la vita sussiste per sè, per sò sussiste lo
spirito ο l'uno e l’altro principio si attuano spontaneamente, per un dinamismo
che è a loro intrinseco. Cfr. Boutroux, La contingence des lois de la nature,
1899; Bergson, 1) érolution créatrice, 1907; A. Levi, L’indeterminismo nella
filosofia JSranoese contemporanea, 1904 ; F. Masci, L’ideatinno indeterminista,
1898; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1918, I, p. 423 sogg. (v.
autonomia, contingenza, determiniamo, libero arbitrio, nocessitiemo).
Indifferensa. T. Gleichgültigkeit : I. Indifference ; F. Indifférence. Questo
vocabolo ba valori differenti nella psicologia, nella morale e nella
metafisica. Nella psicologia diconsi stati indifferenti quegli stati psichici
che non contengono nè piacere, nd dolore, nd una mescolanza dell’uno e
dell’altro. 19 esistenza di simili stati è ancora discussa tra i psicologi. Secondo
il Reid oltre le sensazioni che sono gradevoli o sgradevoli, esistono ancora un
gran numero di sensazioni indifferenti. A queste noi prestiamo sì scaraa
attenzione, che Inn 558 non hanno nome e sono immediatamente
dimenticate, come se esse non fossero mai avvenute; occorre molta attenzione ai
propri stati mentali per essere convinti della loro esistenza». Anche il Bain
ne ammette l’esistenza, considerando come tipico in proposito il sentimento di
sorpresa: Uno stato affettivo può avere una considerevole intensità, senza
essere nè piacevole nè doloroso; tali stati sono nentri ο indifferenti. La
sorpresa è un esempio familiare. Ci sono sorprese che ci rallegrano, altre che
οἱ addolorano; molte sorprese non producono nè l’una cosa nè l’altra ». Quasi
tutte le sensazioni ed emozioni passano, secondo il Bain, traverso un momento
d’indifferenza; fra le emozioni sgradevoli, l’amore e la gioia del potere hanno
delle fasi di puro eccitamento ; l’amore della madre per il suo bambino è per
lungo tempo un puro stimolante, che assorbe l’attenzione di lei senza arrivare
al piacere. L’Hamilton e il Sully pongono in dubbio l esistenza di tali stati;
il Ribot, dopo aver analizzata la questione, conclude io inelino verso In tesi
degli stati d’indifferenza »; PHöffding invece, dopo aver confutata la tesi,
conclude: La supposizione di stati neutri proviene non solo dal negligere gli
stati più deboli di piacere 9 dolore, ma anche dal confondere uno stato
generale di spirito con l’ effetto prodotto da alcune rappresentazioni ed
esperienze particolari. Molte impressioni e rappresentazioni vanno 9 vengono
senza suscitare sentimenti valutabili © senza avere una influenza ben netta sul
nostro stato affettivo generale, ma questo stato generale è ugualmente
determinato in ogni istante dal predominio sia del piacere, sia del dolore ». Secondo i moralisti antichi esiste una
categoria di cose, che stanno fra le buone e le cattive, lo quali si possono
fare o non fare con uguale sicurezza di coscienza: tali cose indifferenti gli
stoici chiamavano adiafora, 9 designavano col nome di adiaforia lo stato di
indifferenza dell’ anima del saggio, che non prova nè desiderio nd avversione.
Lo stesso stato era anche designato col 559 Ixp
nome di apatia e di ataraseia. Con |’
espressione libertà di indifferenza si sono intese, nella storia della
filosofia, cose ben diverse: che la volontà è libera di determinarsi senza
alcun motivo o ragione; che la volontà, avendo presenti due beni commensurabili
tra loro, può rimanere indifferente al maggiore o minor valore di essi ed
operare senza tenerne conto: che la volontà ha la libertà di scegliere tra due
beni fra loro uguali, ossia non differenti; che, infine, la volontà posta tra i
due ordini incommensurabili, s’ appiglia all’ uno pur potendo operare
differentemente da quello che fa. Col vocabolo indifferentismo ο dottrina doll’
indifferente (nel senso di non differente) 8’ intende quella forma attenuata di
realismo scolastico, rappresentata specialmente da Abelardo di Barth, il quale
ammetteva come veramente esistente soltanto il singolo, ma, al tempo stesso,
sosteneva che ogni singolo porta in sè, come determinazioni della sua propria
natura, certe proprietà o gruppi di proprietà, che ha comuni con altri; questa
somiglianza reale, consimilitudo, è 1’ indifferente in tutti questi individui;
ο così pure il geuere si trova indiferenter nella sua specie, e la specie
indifferenter nei suoi esemplari. Nella
filosofia dell’ identità dello Schelling, 1’ indifferenza è il pri cipio comune
per la natura 9 per lo spirito, per l’ oggetto e per il soggetto, vale a dire
per la ragione obbiettiva e per la ragione soggettiva; esso è perciò la ragione
assoluta, che, essendo il principio più alto, non può essere determinata nò
realmente nò idealmente, e in essa devono cessare tutti quei contrasti, che nel
mondo dei fenomeni hunno origine dal preponderare nei singoli individui del
fattore reale o di quello ideale: Il primo passo alla filosofia, dice Jo
Schelling, e la condizione, senza la quale non si può penetrare in essa nemmeno
una volta, è la veduta, che I’ assoluto Ideale è anche l’assoluto Reale». Cfr.
Diogene L., VI, 104; Seneca, Ep., 13, 10; S. Agostino, De 140. arb., 1; Alberto
Magno, Sum. theol., II, qu. 58; Leibnitz, Theodiode, Inp I, $46; Reid, Intel.
powers, 1863, p. 311; Schelling, Säm. Werke, vol. V, p. 353 segg.; Prantl,
Geschichte d. Logik, 1855-70, vol. II, p. 188 segg.; Bain, The emotions and the will,
1865, p. 13: Sully Peyoology, 1885, p. 449; Ribot, Peychol. des sentiments, 63
ed. 1906, I parte, cap. V;
Héfiding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 380 segg. (v. libertà, libero
arbitrio, indeterminiemo, determinismo). Indiscernibile. T. Ununterscheidbar;
I. Indisoernible : F. Indiscernable. Sono indiscernibili due oggetti del pensiero
quando non si distinguono I’ uno dall’ altro per nessun carattere intrinseco.
Secondo il Leibnitz due esseri reali differiscono sempre per qualità
intrinseche, non possono mai essere totalmente simili, perchè la qualità d’un
essere non essendo altra cosa che la sua essenza, questa perfetta somiglianza
non sarebbe altra cosa, che l'identità; in altre parole, due cose
indiscernibili non sono che una: due cose, per esser due, debbono avere qualche
differenza di qualità: Bisogna sempre che, oltre la differenza di tempo e di
luogo, v'abbia un principio interno di distinzione, ο, sebbene v’ abbiano
parecchie cose della medesima specie, è pur sempre vero che non se ne danno mai
perfettamente simili; perciò, nonostante il tempo e il luogo (cioè a dire la
relazione esterna) ci servano a distinguer le cose che non distinguiamo
sufficientemente per sò medesime, esse non sono meno distinguibili in sò ». In
ciò consiste il principio identitatis indincernibilium, al quale Kant obbietta
che due cose, anche perfettamente simili, non possono confondersi quando non
esistano nè nel medesimo Inogo nd nello stesso istante; la differenza numerica,
cioè la ditferenza temporale e spaziale, basta alla distinzione degli esseri, e
senza di essa tutte le altre non contano nulla. Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi,
trad. it. 1909, p. 208 segg.; /d., Monadologia, 9; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
ed. Reclami, p. 253 segg. (v. identità). Individuale. T. Individuelle; I.
Individual; F. Individuel. Cid che appartiene all’individuo. Dicesi individuale
561 Inn il termine che non si può predicare che
d’un solo soggetto; si oppone al termine collettiro, che designa un tatto
composto d’un numero determinato di individui, considerato come indiviso.
Dicesi individuale fl gindizio, in cui il concetto del soggetto è preso nel
senso di unità indivisibile: questo À è B. Può essere tanto singolare che σοῖlettiro:
questo afferma che il prodicato conviene al soggetto solo in quanto è una
totalità numericamente indeterminata © determinata di parti ad es. tutti gli
scolari sono la scolaresca quello che il predicato conviene al soggetto come
unità indivisibile, che non può esser posto nella forma quantitativa discreta,
ad es.: Garibaldi fn il più grande condottiero italiano (v. generale,
universale). Individualismo. T. Individualiomus; I. Individualiem ; F.
Individualisme. Indica in generale ogni dottrina e ogni tendenza che afferma il
valore irreducibile dell’ individualità, sin fisica sia morale, In sua
autonomia intrinseca, sin di fronte ai gruppi sociali sia nell’ordine naturale
sia in quello esplicativo. Come tendenza pratica 1’ individualismo può essero
sin manifestazione del carattere personale (ad es. le grandi personalità
dell’arte, della scienza, della politica, eoc.), sia impronta di tutto un
popolo (ad es. i popoli latini) ο di un’ opoca storica (ad es. il
Rinascimento). Come dottrina l’individualismo può essere metafisico, metodologico,
sociologico ed etico. Il primo consiste nello spiegare la realtà come un
insieme di elementi eterogenei, ausaistenti per sè; è sinonimo di pluralismo.
Il secondo è la dottrina che spiega i fonomoni sociali e storici con le leggi
della psicologia individuale, con gli effetti risultanti dalla attività
cosciente degli individui; tale ad es. la dottrina del Tarde, che considera
come fatto sociale elementare limitazione, ossia la comunicazione di uno stato
di coscienza per l’azione di un individuo cosciento sopra un altro. L’
individualismo sociologico è la dottrina per la quale In società non è fine a
ad stossa, nd atromento d’un fine 36 RANZOLI. Dirion. di scienze Alosofiche. Inn 562 superiore agli individui che la compongono, ma
ha per oggetto il bene di questi, la loro felicità ο il loro perfezionamento:
non dunque gli individui per la società, ma la società per gli individui.
L’individualismo etico ο politico si oppone al comunismo, al socialismo, al
collettiviemo, e designa ogni dottrina sociale e politica che propugnn una
maggioro libertà dell’ individuo, una limitazione all’azione dello Stato nella
tntela ο nella protezione dell’ individuo. Condotto alle sue estreme
conseguenze, acquista la forma dell’ individualismo anarchico. Cfr. E. Fournier, Essai
sur Vindividwalieme, 1901; A. Schatz, L’individualismo économique et social,
1908; G. Palante, Combat pour Pindividu, 1904; G. Calò, 1? individualiemo etico
nel oc. XIX, 1906; G. Vidari, 1?
individuatiemo nelle dottrine morali del seo. XIX, 1909. Individuazione
(principio di). Lat. Prinoipium indiciduationis. Il fattore doterminante dell’
individualita, il carattere intrinseco che costituisce 1’ esistenza
individuale. La determinazione del principio d’ individuazione fa uno dei
problemi più discussi, specialmente nelle scuole realistiche del tredicesimo
secolo. Aristotele, per il quale le cose tutte constano di materia © di forma,
fa consistere anche l individuo nell'unità dell’ una ο dell’ altra, nel ei
nolo, com’ egli diceva, dei duo universali. Però il problema non era in tal modo
risolto, e risorgova sotto altra forma : se l'individuo risulta dall’ intreocio
della materia e della forma, quale dei due fattori è il determinante © quale il
determinato, quale, insomma, il prinoipium individuationie? Per Alberto Magno
prima, e per S. Tommaso poi il principio individuante è la materia, che è
incomnnicabile e deve csistere in un dato tempo e Inogo, mentre la forma è comunicabilo
a più individui; ma non la materia indefinita, bens quella determinata in un
luogo ο in un istante (hic et nunc). Inveco per Duna Scoto ο gli scotisti
l’individunlità non pnd consistere nella materia, come quella che ο 563 Inp
è indefinita, o non può distinguere un individuo da un altro, o è definita per
la quantità che ha, e in tal caso V individuazione è fondata sopra una
dimensione accidentale ο mutabile; le vere sorgenti dell’individuazione stanno
nel profondo stesso della essenza, in un’ ultima realitas, che è indefinibile ©
che per ciò con parola intraducibile dissero hacocoitas ο ecceitas. Questa fu
contrapposta alla quiddità dei tomisti, che si può inveco definire. Quanto alla
persona umana, mentre il fondamento della sua individualità è, per i tomisti,
nell’intelletto, per gli scotisti invece è nella volontà, concepita come
affatto indipendente sin da motivi esterni, sia da quelli dell’ intelletto, sia
dalla stessa azione divina. Per Npinoza il principio dell’ individuazione è una
limitazione dell’ infinito: omnis determinatio est negatio. Per Leibnitz
consiste nell’ esistenza stessa, che fissa ciascun essere a un tempo
particolare, in un luogo incomunicabile a due esseri della medesima specie: Il
principio d’indiriduasione si riduco negli individui al principio di distinzione...
Se due individui fossero perfettamente simili ed ugnali, e, in una parola,
indistinguibili per sò medesim non ai avrebbe principio di individuazione; ed
oso pur dire che non si avrebbe differenza individuale o distinzione a’ individui,
posta quella distinzione ». Per Schopenhauer i principt d’ individuazione sono
il tempo e lo spazio grazie ni quali ciò che è simile ed identico nolla sua
essenza e nel suo concetto appare tuttavia come diverso, come multiplo, l'uno
accanto all’ altro © l’uno dopo l’altro: easi sono dunque il principio d’
individuazione ». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 8, 1074 ο, 33; S. Tommaso,
Summa theol., I, + qu. 86, 1; Id., De principio indiriduationie, opp., Romac,
1750, t. XVII; Duns Scoto, In Hb. sent., 2, dist. 8, qu. 6, 11; Leibnitz, Nuovi
saggi, trad. it. 1909, I, p. 209; Schopenhaner, Die Welt, 1, § 23. Individuo.
Gr. "Atopoy; Lat. Individuum
Eingelding, Etnsehoesen ; I. Individual; F. In Indiridunm, du, Nel xuo Inp 564 senso più generalo è individuo ogni essere
distinto da un altro e persistente il medesimo. Quaedam separari a quibuadam
non possunt, cohaerent, individua sunt, dice Senoca. Che esistano individualità
assolute, cioè esseri aventi ognuno in sè la ragiono del proprio sussistere e
persistenti lo medesime eternamente, è ammesso da alcune dottrine, ad es.
l’atomismo, il pluralismo, οσο.’ ed è negato invece dal monismo, per il quale
ogni individnalità è una coordinazione più ο meno unitaria e sempre transitoria
di parti, il cui sussistero ο il cui operare è un riflesso dell’ ossere e dell’
agire universale. In senso strotto per individuo #’ intende ciò che vive per sè
stesso, ed ha un tale accentramento e coordinamento di fanzioni, che non può
essere diviso in parti senza perdere il suo nome e lo sue qualità distintivo.
Si sogliono distinguere lo condizioni generali dell’ individualità, ossia i
limiti oltre i quali nessuna esistenza individuale è possibile, da ciò che
costituisce il principio stesso della individuazione detto dagli scolastici
principio d’ individuazione © haccceitas 0 quidditas ciò insomma che distingue
l’individuo d’ una specie da tutti gli altri individui della medesima specie.
Tale principio d’individuazione varia col variare delle categorie degli esseri.
Infatti, se negli esseri intelligenti esso consiste nella coscienza della
propria persona distinta da qualunque altra, negli esseri incoscienti è
costituito essenzialmente dal punto che essi occupano nello spazio ©
dall’istante in cui hanno cominciato nel tempo. Alle differenze di spazio e di
tempo, dette anche difforonze numeriche, si aggiungono poi le diversità di
forma € di natura, onde le condizion generali della vita ο dell'organismo si
realizzano negli individui di una med specio. Nella biologia la nozione di
individuo, che si riconnette ad altri importanti problemi della biologia gonerale,
fu distinta dall'Ilaeckel in tre spocie: 1. individuo morfologico 0 formale,
dato da ogni manifestaziono unitaria di forma che costituisce un tutto, i eni
clementi costituonti Inp 565 non possono
separarsi, nè dividersi in parti, senza sopprimerne il carattere essenziale; 2.
individuo fisiologico o funzionale, detto anche bion, consistento in quella
manifestazione unitaria di forma, che può, per un tempo più o meno lungo, avere
in modo perfettamente indipendente nna esistenza propria, esternata in ogni
caso colla più generale di tutte le funzioni, la conservazione di sè stesso; 3.
individuo genealogico, che non è più, come questi dne, una unità di-spazio ma
di tempo, ed è costituito dalle serie chiusa delle sue variazioni spaziali.
Cfr. Ardigd, Opere fil., IT, 233 segg.; VI, 139 segg.; F. Puglia, L’indiriduo
in nociologia, Riv. di filosofia», sett. 1902; G. Brunelli, ZI concetto di
individuo in biologia, Ibid. », nov. 1904; Do Sarlo, La nozione d'individuo. Cultura
filosofica », genn. 1908 (v. individuazione, indiscernibili, personalità).
Indivisibile. T. Untheildar; I. Indivisible; F. Indivisible, Nella filosofia
aristotelica sono chiamati indérisibili gli oggetti della cognizione diretta ο
sintetica, i quali si presentano come un tutto senza divisione d’una parte dall’altra;
l'intelligenza è appunto la facoltà di conoscere gli indivisibili. S. Tommaso,
seguendo le traccie di Aristotele, distinguo due scienze: la prima degli
indivisibili, che è poi la cognizione diretta delle essenze © nella quale non
ο) è mai errore, poichè non può esistere il falso nella conoscenza di ciò che è
semplice; la seconda delle cose divise ο composto dall’ intendimento, ed è la
scienza riflessa, poicl V intelligenza riflettendo sulle prime sue percezioni ο
ideo, le analizza 9 compone, ¢ in tali operazioni cade in orrore. Gli
scolastici chiamavano indirisibile quantitatie quello che manea di corpo; i.
secundum quid quello che manca di corpo quanto ad una o ad un’altra dimensione,
come la linen © la superficie; i. simpliciter quello che manca di corpo sin in
sè, sia quanto ad ogni division; i. negatire quello che non ha parti nd può
averle, e é. priratire quello che non ha parti ma può o deve averle. 566 Indusione. Gr. Ἐπαγωγή: Lat. Induotio; T.
Induction ; 1. Induotion; F. Induction. Nel suo significato più ampio è quel
procedimento di riduzione dalle conseguenze al principio © dagli effetti alla
causa, il quale mira a scoprire e formulare le premesse dallo quali le
conseguenze e i casi singoli si possono dedurre ; è dunque l’operagione inversa
della deduzione. Ma nella storia della filosofia l’induzione fu intesa in modi
diversi. Per Socrate è il processo con cui, mediante il confronto delle idee
particolari e delle rappresentazioni sensibili individuali, si ginnge ad una
determinazione generale astratta, che si possa applicare al problema speciale
proposto. Per Aristotele è il ragionamento che procedo dal particolare all’
universale, che afferma d’ un genere ciò che si a appartenere a ciascuna delle
specie di questo genere ; ossa sta in rapporto inverso alla deduzione, perchè
per Aristotele cid che secondo la natura della cosa è l'originario, quindi il
generale, appare per la conoscenza umana come P elemento posteriore, da
acquisire, mentre il particolare, l'elemento che è più vicino a noi, è, secondo
la vera ossenza, l’elemento derivato, I’ elemento posteriore. Bacone criticò
questa dottrina, mostrando come codesta induzione per onumerationem simplicem
non sia scientifica e non possa mai escludere completamente la possibilità d’un
caso particolare che la distrugga. Egli concepisce invece l’ induzione come il
procedimento che va dal fatto alla legge, da ciò che fu osservato in un tempo e
in un luogo a ciò che è vero sempre od ovunque: Poichè quella induzione che
segue ad ima semplice enumerazione è alquanto puerile; conchiudo così come può
da quei pochi particolari, che lo vion fatto di avere alle mani, sempre in
pericolo che un caso contrario la distrugge. Ma quella induzione, che farà a
dimostrare lo acienzo e le arti, deve disgregare le qualità collo necessarie
eccezioni ed esclusioni, e, fatta la conveniente separazione delle negative,
giudicare a tenore delle affermative ». L’induzione baconiana è anche dotta
soien 567 Inv tifica, quella
aristotelica formale. Più tardi Hume la ridusse ad un semplice procedimento
psicologico, fondato sulla tendenza della nostra mente a credere, anche sulla
testimonianza di un caso solo, che i casi futuri saranno simili a quelli
sperimentati ; tendenza giustificata, a sua volta, dalla nostra esperienza del
passato: Esiste nua specie di armonia prestabilita tra il corso della natura ο
la successione delle nostre idee; e quantanque le potenze e le forze onde la
prima è governata ci siano del tutto sconosciute, i nostri pensieri e le nostre
concezioni non cessano, alla fine, d’aver sempre seguìto lo stesso cammino
delle altre opere della natura. L’ abitudine è il principio con cui tale
corrispondonza è stata effettuata ». Infine lo Stuart Mill, persuaso che
l’induzione completa non ha altro valore che quello dell’ induzione per
semplice enumerazione, diede la teoria logicu dell’ induzione, mostrando come
il suo fondamento sul quale si accese una discussione non ancor chiusa sis il
postulato dell’ uniformità delle leggi di natura, fondato a sua volta su quella
formula del principio di causalità, la quale esprime che cause simili in
condizioni simili producono effetti simili. Egli distingue quattro forme che
sembrano di induzione ma non sono tali: l’ induzione descrittiva, che è la
semplice ricostruzione di nna imagine complessiva da iniagini parziali ; I’
induzione per enumerationem simplicem, che è una semplice raccolta di
osservazioni; 1’ induzione completa, che constata una pura uniformità di fatto;
infine l’induzione dal modo attuale d’azione di una causa sl suo modo d’nzione
in altro tempo, che è piuttosto l’applicane deduttiva di unu legge nota a un
caso particolare. Esclusi tutti questi procedimenti, rimane |) induzione incompleta,
quella cioè che non scopre il fatto soltanto, ma che da un certo numero di
fatti osservati trae una logge, la quale ui estende a tutti i casi omogenei
possibili. Cfr. Senofonte, Mem., IV, 6, 13 segg.; Aristotele, Anal. pr., II,
23, 25; Bacone, Novum org., 104 sogg.; Hume, Essais, Ink 568 1790, t. II, 89, 69; J. 8. Mill, Syst. of logic, 1865, 1. III, cap. 2; Galluppi, Lesioni di logica ο
metaf., 1854, I, pagg. 190-205; F. Enriquez, Problemi della scienza, p. 201 (v.
enumerazione, epagoge, metodi indullivi). Ineffabile. Gr. "Abbnoc; Lat.
Ineffabilio. Nell’ emana zionismo filosofico proprio dello gnosticismo e della
scnola d’ Alessandria, è ordinarismente designata in questo modo perchè non può
essere definita, non possedendo alcun attributo determinato la sostanza unica
dalla quale sortono l’essere e il non essere, lo spirito © la materia, il
principio di inerzia e quello della vita. Lo stesso vocabolo passò poi nella
Patristica e nella teologia cattolica por esprimere l’innominabilità divina.
Così per Β. Clemente, Dio è indimostrabile e incomprensibile perchè ineffabile,
où è ineffabile perchè non è nd genere, nè differenza, nd specie, nd individuo,
nè accidente, nd ciò in cui qualche cosa accada; ora, poichè per nominare una
cosa qualsiasi è necessario che essa appartenga a uno di questi predicati, così
Dio non può essere nominato, Cfr. 8. Clemente, Strom., 1, cop. XXIX. Inerensa.
T. Lukdrenz; I. Inherence; F. Inhérence. Lu relazione che passa tra il fenomeno
e la sostanza, fra la qualità e il soggetto. Inhaerero est existere in aliquo,
dice Goclenio, ut in subjeoto, a quo habet actualem dependentiam inhaositam ;
aocidens ease in subieoto per intimam prassentiam. Perciò l’ inerenza del
fonomeno ο accidente si oppone alla sussistenza della sostanza. Kant: Quando si
attribuisce un'esistenza separata a codeste determinazioni reali della sostanza
(agli accidenti), per esempio al movimento in quanto accidente della materin,
si chiaina questa esistenza inerensa, per opposizione all’ esistenza della
sostanza, che si chiama sussistenza. Ma da ciò nascono molti malintesi e si
parla con maggiore esattezza se non si designa I’ accidente che come il modo
onde l’esistenza d’una sostanza è determinata positivamente ». Si dicono quindi
giudii 569 Inn @ inerenza tutti quelli che affermano 1’
appartenenza di una qualità ad un soggetto, ad es.: Tizio è buono. Cfr.
Goclenio, Lezioon philos., 1613, p. 244 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vorn., ed.
Reclam, p. 178 (v. giudizio). Inerzia. T. Trigheit, Beharrungecermigen ; 1.
Inertia; F. Inertio. La legge dell’ inerzia della materia, che à il centro di
tutte le concezioni della fisica moderna. L’ espressione risale a Keplero, il
quale pose il principio che un corpo non può passare da sè stesso dall’
immobilita al movimento. Galileo lo complet, aggiungendo che un corpo non può
modificare da sò stesso il proprio movimento nd passare dal movimento alla
immobilità. Un movimento, dice Galileo nei Discorsi, non può crescere che se
gli si comunica ana forza novella, nd può diminuire che se gli si oppone un
ostacolo, in entrambi i casi, quindi, sotto l’azione di cause esterne; se
queste cause sono tolte (dum externas causas tollantur), il movimento
continuerà con la velocità acquisita. E ciò si riconduce, per Galileo, ad un
principio più generale, il principio delle semplicità, per il quale «la natura
non opera con molte cose quello che può operar con poche ». La legge dell’
inerzia fu formulata dal Newton nel modo seguente: ogni corpo persevera nello
stato di riposo o di movimento uniforme in linea retta nel quale si trova, a
meno che qualche forza non agisca eu lui e lo costringa a cambiare stato.
Tuttavia, non esistendo nella natura il riposo assoluto, essa può essere più
brevemente esposta così: nessun corpo ha il potere di modificaro il proprio
movimento. Per inertiam materiae ft, dico Newton, ut corpus omne de statu suo
vel quiescendi vel movendi difloulter deturbetur; unde etiam vie incita nomino
significantisrimo vis inortiae dici possit. Perd, anche formulate in questo
modo, è sempre una ipotesi indimostrabilo, gincchè l’ esperienza non può
offrirci il movimento senza fine d’un corpo sottratto all’azione d’ ogni causa
straniera. Ma essa ha grande importanza filosofica, giaochè esclude nella Ink 570 materia l’esistenza di alcun elomento
psichico, di alcuna possibilità di produrre dei fonomeni psichici, ο d’alenua
spontaneità. D'altro canto essa costringe a ridurre la concezione dei corpi a
degli clementi meccanici, e quindi è lu base dell’unità della materia, della
trasformazione e conservazione della forza © dell’ esplicazione matematica dei
fenomeni. Non tutti gli scienziati accettano questa leggo, che rende impossibile
la spiegazione meccanica della vita © della coscienza; così per il Moleschott uno
dei caratteri più generali della materia è di potere, in circostanze propizie,
mettersi in movimento da sd stessa ». Nella filosofia contemporanea il
principio dell’ inerzia è stato trasportato dai fenomeni naturali ai procossi
mentali, ο considerato come uns vera 9 propria legge generale della coscienza.
Così por il Mach la storia del processo scientifico è uno svolgimento razionale
e continuo di un processo permanente di semplificazione © di abbreviazione, che
permette in ultimo di condensare tutto il sapere riguardante il mondo naturale
nelle poche formule della meccanica, la quale scienza segnerebbe il massimo
della semplicità e dell’ armonis meutale. Per l’Avenarius tutto lo sviluppo
della filosofia e della conoscenza si riduce al principio dell’ inersia, cioè
alla tendenza dell’ anima al risparmio di forza: l’anima non impiega in una
percezione più forza di quella che sin necessaria, e, quando si trova di fronte
ad una molteplicità di appercezioni, dà la preferenza a quella che con uno
sforzo minore produce lo stesso effetto, 0 con uno sforzo uguale produce un
effetto maggiore. Per l'Ardigò la legge d'inerzia ο del laroro abbreriato, che
rendo possibile lu scienza, si attua nel mondo delle idee, in quanto ogni idea
“« à un segno di operazioni già eseguite ο di formazioni giù ottenute, © quindi
è il mezzo del lavoro mentale abbrevinto; onde gli abiti mentali in genere ο la
scienza propriamente detta ». L'idea può infatti richiamarsi come un semplice
niews, come un semplice sentimento vago di un 57 In
ritmo rappresentativo, senza la coscienza distinta dei moltissimi dati in esso
e con esbo associati e dei quali contiene quindi la virtualità; tale sentimento
può dunque considerarsi, dice l’Ardigò, come la formula mentale cho indica in
modo abbreviatissimo il lavoro ripetuto, lungo e faticoso, onde si ottenne, e
che per essa può rifarsi in modo agevole e pronto ogni volta che si voglia.
Cfr. Galileo, Opere, ed. Firenze 1842, XIII, p. 200 segg.; Nowton, Nat. phil,
principia math., 1687, Introd., def. III; Moleschott, La ciroulation de la rie,
1870, lett. 17; E. Naville, La phyrique moderne, 1890, p. 199 segg.; Wohlwill,
Die Entdookung dos Beharrungagesetzee, Zeitschr. f. Vülkerpaychologio »,
XIV-XV; Avenarius, Philosophie ala Denken der Welt gemase dem Princip des
kleisten Kraftmaavees, 1876; Höffding, Philosophes contemporains, 190%, p.
93-122; Ardigi, Opere filosofiche, vol. V, pag. 327-361 (v. empirioeritioiemo).
Infantilismo. Termine generico, con cui si desiguano quegli stati di deficienza
ο insufficienza intellettuale ο affettiva, che dipendono da arresto ο
involuzione di sviluppo psichico, e si manifestano nelle forme © nei modi di
sentire, di pensare e di agiro propri dell'infanzia. Quindi l'incapacità di
raccogliere ed elaborare le esperienze della vita, la mancanza di continuità
nelle rappresentazioni mentali ο΄ di legame logico nelle idee, il difetto di
inibizione © di impulsi sociali, che può esistere accanto ad una perfetta
conoscenza delle leggi della morale, Ad un grado più pronunciato si hanno le
vere e proprio frenasteuie, che possono assumere le forme dell’ imbecillità ο
dell’ idiotismo (v. ebefrenia). Inferensa. Lat. Illatio; T. Inferiren: 1.
Inference, Illation; F. Inférence, O raziocinio, è 1’ operazione mentale per
cui si passa da uno ο più giudizi dati ad un nuovo giudizio che ne risulta. La
maggior parte dello proposizioni, dice lo Stuart Mill, nelle quali noi
crediamo, siano Inv 572 esse afformative o negative, universali,
particolari ο singolari, non sono eredute per la loro propria evidenza, ma sul
fondamento di altre allo quali abbiamo già dato l’ussonso e dalle quali si dice
che esse sono inferite. Inferire una proposizione da una ο più proposizioni
precedenti; prestare ad essa credenza o esigerla come conclusione da qualche
altra; è ragionare nel senso più generale del termino ». ; più precisamente I’
intendimento è la facoltà posseduta dallo spirito di conoscere gli oggetti
esterni senza formarne imagini corporee nel cervollo per rappresentarseli ».
Per Locke si chiama intondimento In capacità di pensare ». Per Leibnitz l’intendimento
corrispondo a quello che presso i latini è dotto inteleotus, e l'esercizio di
questa facoltà si china intellezione; consistento in una percezione distinta,
congiunta n quella facoltà di riflettere cho manca alle bestie ». Per il
Robinet «à la facoltà d’ appercepire un oggetto, di averne P idea, mediante la
vibraziono d’ una fibra intellettuale ». Por il Reid I’ intendimento comprende
i nostri poteri contemplativi, per cui percepiamo gli oggetti, li concepiamo o
ricordiamo, li analizziamo ο li associamo, giudichiamo e ragioniamo intorno ad
essi ». Dopo di Kant il significato del vocabolo torna di nuovo ad oscillare.
Per Fichte è una enpacità station, in quanto è la fissazione dei prodotti della
imaginazione; per Schopenhaner è la facoltà di legare tra loro le
rappresentazioni intuitivo conformemente al principio di ragion sufficiente,
montre la ragione è la facoltà di formare dei concetti astratti ο di combinarli
in giudizi e ragionamenti; per Herbart è la capacità dell’ nomo, di 601 Int
collegare il suo pensiero con la proprietà del ponsato ». Per il Rosmini P
intendimento è la sola facoltà che ha per termine un oggetto; intendendo per
oggetto un termine veduto o intuito per modo, che non abbia alenna relazione
con l’intuente in modo assoluto. Per questa sua proprietà l’intondimento si
distingue specialmente dalla sensibilità, che involge una relazione immediata
del sentito col senziente, di maniera che non si può concepire che quello stia
senza questo. Cfr. Malebranche, Rech. de la vérité, 1712, 1. III, cap. I, ὁ 3; Locke, Ess., II, cap. VI, § 2; Leibnitz, Nuovi saggi,
trad. it. 1909, p. 145; Robinet, De la nat., 1766, I, p. 288; Reid, Works,
1863, p. 242; Kant, Ærit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 76 eegg., 129 segg. ;
Fichte, Grundlage d. ges. Wiss., 1802, p. 201 segg.; Schopenhauer, Die Welt,
1,$ 4 ο 8; Herbart, Peyohologic ale
Wiss., IT, $ 117; Rosmini, Nuoto saggio, 1830, II, p. 73; Id., Logica, 1853, p.
78 segg. (v. intelletto,
intelligenza, intuizione). Intensità. T. Intensitàt; I. Intonsity ; F.
Intensité. Ogni quantità che non è la durata, nd l’ estensione, nd la qu tità
discreta, ο che quindi non può essere nd misurata, mediante unità omogenee, nd
numerata, Nella psicologia dicosì quantità della sensazione la sua maggiore o
minore intensità: ma tale quantità non è traducibile o misurabile essendo, come
la sensazione, affatto soggettiva. Essn nta in rapporto con l'intensità degli
stimoli, e varia da un grado minimo, dotto soglia della coscienza, a un grado
massimo, detto vertice ο cima della coscienza. I,’ intensità della sensazione
sta in rapporto inverso con l’intonsità del sentimento: più è forte l’ elemento
affettivo e più svanisce l’elemento di percezione sensibile o di conoscenza.
L'intensità della volontà, cioè il suo grado di energia, sta in rapporto
inverso dell'estensione dei motivi, ciod del loro numero. Secondo alcuni
psicologici, non si pnd parlaro di intensità degli stati di coscienza, e quelle
che sembrano differenze di intensità non sono che differenze di Int 602 qualità; così il Brentano, F. A. Müller,
Bons, ecc. s0stengono che l'apparente intensità delle sensazioni non è che una
certa loro qualità, mediante la quale apprezziamo le quantità degli stimoli, e
che il carattere quantitativo delle sensazioni è una ripercussione del loro uso
sulla loro natura. Con maggior vigore quosta tesi è sostenuta dal Bergson, per
il quale i fatti psichici sono delle pure qualità, che mancano quindi di
granderza; se a noi sombra di percepirne la varia intensità è perchè le
riferiamo ad una quantità esteriore, cioò ad una estensione, quasi di uno
spazio compresso che si dilati ; così la luce di due candele è una sensazione
qualitativamente diversa dn quella di una, ma noi, ponendo la causa nell’
offetto, diamo a questa differenza, che è solo qualitativa, un carattere quantitativo;
lo stesso si verifica anche nolle afere più alte della vita psichica, nelle
emozioni estetiche e morali, che la nostra coscienza, rivolta all’esterno,
traduce erroneamente in termini di spazio. Altri psicologi, come il Fouillée,
sostengono per contro che ogni atto o stato di coscienza è dotato
essenzialmente d’un grado d’intensità irreducibile sia all’ estensione, sia
alla qualità, benchè sia sempro accompagnalo da variazioni estensive e
qualitative. Cfr. Wundt, Grundriss d. Paychol., 1896, p. 36 segg. ; Fouilléo,
Psychol. des iddes-foroes, 1893 t. I, cap. I, $ 2; Bergson, Essai sur les
donneds imm. de la conscience, 1904, p. 1-55; Masci, Quantità e misura nei
fenomeni psichici, Atti della R. Aoc. di Napoli », 1915 (v. estensivo,
intenaivo). Intensivo. T. Intensiv; I. Intensive; F. Intensif. Si oppone a
estensivo © designa ciò che non ha estensione ma soltanto una intensità, e che
quindi non può essere numerato, uè misurato con quantità omogenee.
Intenzionale. T. Absichtlich ; I. Intentional; F. Intentionnel. Si oppone a
involontario, casuale, ecc., 9 designa l'azione determinata da una intenzione,
vale a dire preconcepita e voluta, Nel linguaggio scolastico intentionaliter 608 Int
significa il modo con cui la cosa conosciuta trovasi nel conoscente; l'i. primo
si ha quando la cosa conosciuta si considera direttamente come è in natura, ad
es. il cavallo è animale; l’i. seoundo quando la cosa si considera non secondo
il modo di essere in natura, ma secondo qualche rapporto attribuitogli dall’
intelletto, ad es. il cavallo è specie. Intenzione, T. Intention, .ibsicht; I.
Intention; F. Intention. L'insieme dei motivi psichici determinanti 1’ individuo
ad un atto, Consiste nell’ associare all’ idea dell'atto, concepito come fine,
le idee che vi si riferiscono che riguardano non solo i mezzi necessari per
compierlo, ma anche i motivi per cui si compie, i quali sono spesso una sola
cosa con le conseguenze dell'atto. Nell’ apprezzamento morale di un'azione non
basta quindi la considerazione della sus natura esteriore, ma è essenziale la
valutazione dei motivi psichici che l’hanno determinata nel quali è il primo
fondamento della responsabilità. Un solo pensiero che baleni nel concerto
mentale disponente ad un atto, può alterare il grado della responsabilità pro ο
contro il soggetto operante. Alcuni filosofi, ad es. il Bentham, distinguono
tra intenzione e motivi : quella comprende tutta la preparazione psicologica
dell’ atto, le ragioni pro e contro, questi soltanto le prime, ossia le cause
che ci inducono all’ atto. Il problema dell’ intenzione consiste nel sapere se,
per giudicare il valore morale di un atto, si deve fondarsi esclusivamente
sopra l'intenzione che l’ha promosso, oppure se si deve tener conto ugualmente
delle conseguenze che l’atto ha avuto © del suo carattere specifico; la
dottrina che sostiene la prima soluzione dicesi intenzionalismo. Nel linguaggio della scolastica intenzione,
intentio, valo quanto cognizione ; intenzione formale si diceva l’ applicazione
dello spirito ad un oggetto di conoscenza, intenzione obbiettiva il contenuto
stesso del pensiero al quale lo spirito si applica; intenInt 604 zione roluntatis l'atto della volontà che
presuppone |’ ordino della ragione ordinante alcunchè ad un fine; intenzione
intellootus il concetto con cui l’ intelletto conosce una cosa; prime
intenzioni quelle qualità concepite nelle cose, per le quali le coso stesse si
distinguono, e che consistono © in relazioni della sostanza con qualche cosa di
diverso © sono concepite in una sostanza sola; lo studio delle prime intenzioni
appartiene alla metafisica, Si dicevano invece seconde intenzioni le qualità o
denominazioni esteriori, ricavato non dai rapporti tra le cose, ma da qualche
maniera di concepirle ; il loro studio appartiene alla logica. Cir. Martineau, Types of
ethioal theory, 1866, vol. Il, p. 252 sogg.; Prantl, Geschichte d. Logik, 1870,
III, p. 149, 293 segg. (v.
responsabilità). Interesse. T. Interesse; I. Interest; F. Intérét. La sua
formula più comune è: procurarsi la più grande somma di piacere possibile per
il tempo maggiore possibile. Secondo alcuni filosofi, esso è il fine supremo di
tutto le azioni umane, il criterio col quale si misurano il bene ο il male, il
giusto © l’ingiusto, il vizio e la virth : Se l’ universo fisico è soggetto
alle leggi del movimento, dice 1’ Helvetius, l'universo morale è soggetto del
pari allo leggi dell’intoresse. L’ interesse è sulla terra il potente incantatore,
che trasforma davanti agli occhi d’ ogni crentura la forma di tutti gli oggetti
». Non bisogna confondere però l'interesse col piacere, ϱ la morale dell’
interesse ο utilitarismo con la morale del piacere o edonismo. Questo,
rappresentato specialmente da Aristippo o dalla scuola cirenaica, pone come
unico bene per l'uomo, e quindi come principio supremo della morale, il piacere
attuale e presento, il piacere più vivo © immediato. Quello, rappresentato da
Epicuro, Bentham, Stuart Mill, ecc., pure non separando il bene dal re, insegna
che talora bi sogna sapersi privare d’un piacero immediato e sottomettero ad un
dolore attuale, in vista d’ un piacere più grande 605 Int
© d’un dolore minore; e che nei piaceri bisogna saper distinguere non solo la
quantità ma anche la qualità, preferendo ai pinceri del senso quelli dello
spirito e del cuore, più nobili e duraturi quantunque meno intensi. Per raggiungere
l'interesse è quindi necessario saper frenare le proprie inclinazioni naturali,
apprezzare le conseguenze dei propri atti e fore un calcolo razionale dei fini;
per rnggiungere il piacere basta abbandonarsi all'impulso dei propri istinti
animali. La formula completa dell’ interesse è dunque questa: cercare il
pincere seguito dal minor dolore, ο il dolore seguito dal maggior piacere;
fuggire il pincere seguito da un maggior dolore o il dolore seguito da un minor
piacere. Cfr. Diogene L., X, 129, 141: Helvetins, De V Esprit, 1758, 11; Bentham,
Deontology, 1834; J. S. Mill, Utilitarianism, 1863 (v. aritmetica, egoismo,
eudemonimo, utilitarismo, ecc.). Intermediariste. Si designano così tutte
quelle dottrine realistiche, proprie della filosofia antica e medioovale, che
fanno della percezione l'intermediario fra due realtà distinte: le cose da un
lato ο lo spirito dall’ altro. Tali sono la teoria degli idoli, sostenuta da
Democrito ο dagli epicurei, © la dottrina delle apeci sensibili, assai diffusa
nelVevo medio. Le dottrine intermediariste si dicono anche della percezione
mediata, per opposizione alle dottrine percezionistiche, o della percezione
immediata (v. conoscenza, concesionismo). Intermondi. Gr. Metaxéopta ; Lat.
Intermundia; T. Intermundien. Così chiamavano gli epicurei latini gli spazi
noti, o spazi intercosmici, che separano gli infiniti’ mondi tra di loro.
Questi mondi erano abitati dagli dei, in numero pure infinito, ο formati di
atomi finissimi, ma imimutabili, scevri di bisogni, di cure ο di pericoli, così
du porgere al saggio 1’ ideale della felicità compiutamente attuato. Cfr.
Diogone L., X, 89; Luorezio, De rer. nat., V, 146 segg. INT 606 Intimo. T. Innern, Innig; I. Internal, Inmost;
F. Intime. Essendo il superlativo
del comparativo interior, indien sempre ciò che v’ha di più intimo in una data
cosa © fatto. Per senso infimo il Maine do Biran e ia maggior parte degli
eclettici francesi intendevano la coscienza, ossia la conoscenza immediata che
ciasenno ha dei propri fatti psichici. Secondo il Maine de Biran, noi non
apprendiamo mai negli oggotti esterni direttamente 1’ essere, ma soltanto le
parvenze di questo; mentre di noi stessi apprendiamo in qualche modo 1’ essere
in quanto ci sentiamo atti lonti, in quanto abbiamo il sentimento immediato di
fare uno sforzo per vincere non solo la resistenza dei corpi esterni, ma del
nostro corpo stesso: Questo fatto è primitivo, perchè non possiamo ammetterne
nessun altro prima di esso nell’ ordine della conoscenza, ο i nostri stessi
sensi esterni, per divenire gli stromenti delle nostre prime conoscenze, devono
osser messi in azione dalla atessa forza che crea lo sforzo. Questo sforzo
priniitivo à di più nn fatto di senso intimo; poichd si constata interiormento
dn sè stesso senza uscire dal termine della sua applicazione immediata © senza
ammettere alcun elemento estraneo all’ inerzia stessa dei nostri organi ».
Anche per il Galluppi, senso intimo equivale a senso interno, e consiste tanto
nel sentimento involontario dell’ io, quanto nella riflessione volontaria sul’
io; esso ci dà la verità primitiva io penso, cioè io sono esistente allo stato
di pensiero, principio d’ evidenza immodiata e perciò indimostrabile. Cfr.
Maine de Biran, Fondements de la peyohol., 1859, p. 49; Galluppi, Lezioni di
logioa ο metaf., 1854, I, p. 84 segg. Intrinseco. Ί. Innerlich, eigen; I.
Intrinsical; F. Intrinsèque. Si dice che una cosa ha un valore intrinseco
quando por sè stessa è un fine, non un mezzo per altra cosa; si dico
dimostrazione dall’ intrinseco quella che dimostra la convenienza dei termini
estremi della tesi, e analizzandola col mettere a fronte lo parti, no fa
sortire la verità dal 607 Int suo stesso contenuto, mentre la
dimostrazione dall’ estrinseco dimostra che la proposizione è vera con
argomenti estranei al suo contenuto, come ad esempio l'autorità altrui; si
dicono denominazioni intrinseche o interne quelle qualità della cosa che le
sono essenziali e cho vengono concepite in una sostanza soln, ed estrinseohe
quelle che, pur essendo essenziali, consistono in relazioni della sostanza con
alcunchè di diverso. Introspezione. T. Selbstbeobachtung ; I. Introspection ;
E. Introspection. Nella psicologia designa 1’ osservazione di sè stessi
mediante la riflessione. Il metodo introspettito, ο soggettivo, ο diretto
consiste appunto nel valersi della ossorvazione interna per lo studio dei
fenomeni psichici. Fu specialmente il Wolf, la cui scuola dominò in Germania
per tutto il secolo diciottesimo, che avviò In psicologia per la strada del
metodo introspettivo; egli infatti eredeva che solo osservando sè atesso
l'individuo può arrivare a cogliere la natura intima dei fatti della propria
coscienza, e tale principio derivava direttamente dalla distinzione tra senso
interno od esterno, per cui solo al primo spettava la conoscenza dei fatti
dello spirito, mentre il secondo apriva all’ uomo la conoscenza della natura
esterna. Poi furono elevate molte obiezioni contro la legittimità del motodo
introspettivo: 1° Ogni osservazione richiede una dunlità di osservante e di
osservato, mentre nell’ introspezione la coscienza dovrebbe essere ad un tempo
ossorvanto ed osservata; il Comte insiste sulla profonde abrurdité, que
présente la roule suppowition ni évidemment contradictoire de l’homme se regardant
penser. 2° L'osservazione introspettiva è limitata agli stati di media
intensità, giacchè quelli troppo deboli le sfuggono, quelli troppo intensi
assorbono tutta la nostra energia psichica, 3° I fatti psichici non esistendo
che nel tempo, cioè come pura successione, non possono mai essore osservati che
come riproduzione, come ricordo: Non è in poter nostro, dice lo Stnart Mill, di
neINT 608 certaro, con qualsiasi diretto processo, ciò
che la coscionza ci dice quando le sue rivelazioni sono nella loro pristina
purezza, Essa si offre alla nostra ispezione soltanto come esiste ora, quando
codeste rivelazioni originali sono soverchiate © sepolte sotto una montagna di
nozioni acquisite © di percezioni ». 4° L'osservazione introspettiva, essendo
racchiusa nel soggetto, non può avere valore scientifico, cioè universale: A
cagione delle differenze individuali degli osservatori, dice 1’ Höffding, nulla
ci garantisce che essi veggano realmente una sola e medesima cosa; poichè, qui,
l'oggetto non è situato fuori di loro nè dentro di loro, ma ciascuno lo porta
in sè stesso ». 5° La coscienza è soggetta ad nn gran numero di illusioni di
lacune, che la rendono uno stromento assai imperfetto : La coscionza, nostro
principale stromento, dico il Taine, non è sufficiente, nel suo stato ordinario
; non è più sufficiente nelle ricerche psicologiche di quello che sia I’ occhio
nudo nelle ricerche ottiche. Poichè la sus sfera non è grande; le sue illusioni
sono molte e invincibili ; è necessario provare e correggere continuamente la
sua evidenza, assisterla sempre da vicino, presentarle gli oggetti in una luce
vivida, ingrandirli, e costruire per suo uso una specie di microscopio e di
telescopio ». A malgrado di ciò, la maggior parte dei psicologi ammette il
valore dell’ introspezione, che sola ci dà il fatto psichico in sè stesso,
riconoscendo però che essa dove essere completata e integrata dalla
osservazione esterna. Cfr. Ch. Wolff, Philos. rationalie, 1872, § 31; Id., Peyohologia empirica,
1738; A. Comte, Cours de phil. pos., 1830, III, p. 766 segg.; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton, 1867,
p. 171; Taine, On intelligence, trad. ingl. 1871, p. X; Höffding, Prychologie, trad. frane. 1900,
p. 20 © sogg.; A. Padoa, Legittimità e importanza del metodo introspettivo, Riv.
di filosofia », aprile 1913 (v. osservazione, riflessione, ppicologia).
Intuitivo. T. Jntuitir, anschaulich ; I. Intuitive; F. Intuitif. Kant chiama
intuitiva ogni cognizione cho si basa 609 INT
sopra la intuizione, che ciod è ottenuta immodiatamente ; discorsiva quella che
è formata dal passaggio da un’ idea ad un’altra, o che risulta dalla
comparazione di più nozioni ο termini. La prima è simultanea, la seconda snccossiva;
con questa conosciamo i rapporti degli oggetti tra di loro, con quella cogliamo
gli oggetti stessi. Dicosi ragionamento intuitivo quello in cui la conolusione
è ottenuta immediatamente, senza bisogno di ricavarla dalle premesse; si
ammette da alcuni che in tal caso la conclusione sia preparata da nn lavoro
cerebrale incosciente, che, dal lato fisiologico, corrisponde a ciò che
sarebbero le premesse dal lato psicologico. Gli assiomi matematici non sono
ragionamenti intuitivi; se in essi manca la dimostrazione, non è perchè questa
non sia necessaria, ma perch’ non è possibile (v. incosciente, intuisione).
Intuizione. Lat. Fntuitus, Intuitio; T. Anschauung; I. Intuition; F. Intuition.
Una delle parole dal significato più vago e fluttuante, sebbene essa esprima
sempre ed essenzialmente un atto psicologico immediato, una manifesta zione
subitanea e indubitabile di cui il processo sfugge. Intuizione è adoperata,
dice l’ Hamilton, a denotare l’apprensione che noi abbiamo delle verità
evidenti per sè stosse, l'immediata coscienza di un oggetto, una conoscenza
intima ». Noi possiamo distinguere quattro accezioni diverse di questo
vocabolo, volgare o pratica, artistica, teologica e filosofica. Nel senso
rolgare l’ intuizione è una disposiziono naturale a cogliere subito e bene il
lato pratico © vero di nna cosa, a comprendere ciò che è da farsi © da
evitarsi. Nol senso ardstioo non è se non cid che dicesi anche creazione
geniale, estro, © che tradotto nell'opera d’arte la rende tanto più suggestiva
quanto meglio riesce ad essere dagli altri evocata. Nel senso feologico, che è
l'originario, esprime una conoscenza immodiata di Dio ottenuta non mediante I’
intelligenza ma por virtù dolla grazia divina, prima ο dopo la morte. Nel senso
‚flo39 Ranzoti, Dizion. di scienze
filosofiche. Int 610 sofico, infine, pur esprimendo sempre un atto
immediato di conoscenza, ha assunto aspetti cd importanza diversa nei vari
sistemi. Per Cartesio è intuizione ogni atto per mezzo del quale lo spirito
considera un’ idea, comprendendola non successivamento ma in un medesimo
momento e tutta intera; quindi l'opposto dell’ intuizione è la deduzione, nella
quale lo spirito inferisce successivamente un dato da un altro. Hz quibus
omnibus colligitur.... nullas vian hominibus patere ad cognitionem certam
veritatis preter eridentem intuitum et necessariam deductionem : item etiam,
quid sint nature illa simplices de quibus in octava propositione. Atque
perspiouum cat intuitum mentis tum ad illas omnes ertendi, tum ad necessaria
illarum inter se conneriones cognoscendas, tum denique ad reliqua omnia qua
intellectun pracine, vel in ne ipro, rel in phantasia esse experitu. Locke ©
Leibnitz danno all’intuizione il significato cartesiano : Talvolta, dico il
Locke, lo spirito coglie la somiglianza o l’incongruenza di due idee
immediatamente e per sd stesse, senza l'intervento di null’ altro; e ciò io
penso che possiamo chiamare conoscenza intuitiva. Perchè in essa lo spirito non
fatica a provare o a esaminare, ma percepisco la verità come gli occhi
percepiscono un punto Inminoso soltanto con I’ essere diretti verso esso. Così
Ja mente percepisce che il bianco non è nero, che un circolo non è un
triangolo, che tre ὃ più di dne ed uguale ad uno più due. Da queste intuizioni
dipendo ogni certezza ed evidenza di tutta la nostra conoscenza ». Por In
scuola scozzese, 9 così puro per l’eclettismo francese, è una credenza che si
prosenta in modo spontaneo al nostro spirito, anteriormente a qualsiasi
riflessione ο ragionamento, che anzi la presnppongono; sono conoscenze
intuitive la nostra credenza incrollabile nella renltà degli oggetti ostoriori
e della nostra cristonza, o la nostra spontanen partecipazione allo verità
supreme, che dominano regolano I’ esperienza. L'anima doll’ umanità, dice il
Cousin, è un’ anima poctica che scopre 611 Int
in sè stessa i segreti degli esseri, e li esprime con canti profetici che
echeggiano d’ età in età. Allato dell’ umanità è la filosofia, che ascolta con
attenzione, raccoglie le sue parole e, per così dire, le nota; e quando il
momento delV ispirazione è passato, le presenta con rispetto al mirabile
artista, che non aveva la coscienza del proprio genio © che spesso non
riconosce la propria opera ». Per Kant à intniziono ogni conoscenza che si
riporta immediatamente a degli oggetti, quindi è sempre uno stato passivo della
coscienza, intuitus nompe mentin nostre semper est passirun. Egli distingue due
specie di intuizioni: lo empiriche, che si riportano agli oggetti per mezzo
delle sensazioni, sia interne che esterne, e quelle pure che sono la forma
delle empiriche, e rispondono alle nozioni dello spazio e del tempo. Kant nega
l’esistenza di ana intuizione intcllettuale vale a diro di una intuizione di
natura tale, da daro l’esistenza stessa dell’ oggetto, ο che, per quanto noi
possiamo comprenderlo, non può appartenere se' non all’ Essere supremo ». Le
intuizioni sensibili non dànno vera cognizione; anzi lo forme dello spazio ο
del tempo, in esse contenute, non hanno valore necessario ed universale se non
quando diventano materia di una sintesi superioro tellettualo, facendo in
queste la parte modesima che in esse fanno le sensazioni. Fichte e Schelling
ammettono invoce delle intuizioni intellettuali; ma per Fichte tali intuizioni
non sono quelle negate da Kant, ciod intuizioni doll’ essere, delle cose in ad,
bens) intuizioni degli atti: To non posso fare un passo, nd nn movimento della
mano ο del piedo, senza l'intuizione intellettuale della coscienza di me stesso
in queste azioni. Non è che mediauto V’ intuizione che io so di agiro; mediante
essa soltanto distinguo la mia azione ο, in questa, mi distinguo dall’ oggotto
proposto alla mia aziono ». Talo intuizione è il fondamento della vita
cosciente, in quanto ci fa comprendere che questa, in ad modosima, non è cho
atto puro. Schelling atInt 612 tribuisce, al contrario di Kant, la massima
importanza nel proprio sistema alla intuizione intellettuale. La quale egli
considera come un atto indefinibile, trascendente, mediante il quale
l'intelletto coglie, nella sua identità, l'assoluto, nella cui natura
assolutamente semplice ed ina ‘riunisce tutti i contrari, como spirito e
materia, reale ed idealo, libertà e necessità: Una intuizion è una produzione
libera e nella quale sono identici ciò che produce e ciò che è prodotto. Una
tale intuizione sarà detta intuizione intellettuale, in opposizione con l’
intuizione sensibile, che non appare come producente il suo oggetto e nella
quale perciò il fatto d’ applicare l'intuizione è differente da ciò sn cui
codesta intuizione porta. All’ intuizione intellettuale corrisponde l’io,
poichd non è se non mediante la conoscenza dell’ io per sè stesso che l’ io
medesimo come oggetto è posto.... L’ intuizione intellettuale è l’ organo di
ogni pensiero trascendentale. Poichè il pensiero trascendentale consiste nel *
darsi liberamente un oggetto che, altrimenti, non è oggetto ». Anche per
Schopenhauer ο) è una intuizione intellettuale; anzi ogni intuizione è
intellettuale, valo a dire ci mette in presenza della realtà, facendocela
cogliere di colpo © senza concetti : L’ intendimento solo conosce intuitivamente,
il modo immediato e perfetto, la maniera d’ agire di una leva, di una
carrucola, ecc. ». La forma più perfetta delV intuizione è la contemplazione
estetica, nella quale colni che contempla lascia momentaneamente tuttociò che
fa la sua individualità, e non agisce più che come nn puro soggetto conoscente,
nello stesso tempo che coglie la natura metafisica dell’ oggetto contemplato,
vale a dire la sua Idea. Per Rosmini e Gioberti |’ intuito intellettuale è un
atto © visione immanente del nostro spirito, e oggetto suo è per il primo 1’
Ente possibile, da cui traggono realtà tutti gli oggetti, per il secondo lo
stesso Ente che crea gli oggetti particolari, cioè Dio. L’atto della
intelligenza è duplice, dice il Rosmini, cioè |’ atto primo che ha per sno 613 termine I’ essere indeterminato e gli atti
secondi. Coll’atto primo, col quale è costituita l’ intelligenza, il soggetto
non fa che ricevere irredistibilmente, cioò aver presente l’essere... In tutti
gli atti secondi, opera il soggetto già costitnito intelligente. Se dunque per
cognizione si intendono quelle notizie che gli vengono dalle sue proprie
operazioni mentali, non si può dare il nome di cognizione alla notizia dell’
essere indeterminato, quale sta presente nell’ intuito. Pare che anche il
comune degli nomini riserbi a questo solo (atto implicante il giudizio) il nome
di cognizione: chè certo il comune degli uomini non pensa alla prima intuizione
e però del tutto non ne parla. Comeochessia importa distinguere bene la prima
intuizione dalle intellezioni che vengono approsso, nelle quali solo si ravvisa
movimento intellettuale ». Por il Bradley V’ intuiziono à un’ esporienzs
spirituale dell’ assoluto, un’ esperienza immediata © conoreta nella quale
tntti gli elementi dell’ univorso sensazione, emozione, pensiero, volere sono
fusi in un sentimento comprensivo; però di questa intuizione noi non possiamo
avero che un'idea astratta, perchè è impossibile ad esseri finiti vivere
pienamente la vita dell'assoluto; a noi è dato soltanto formarcene una certu
idea, risalendo a quel sentimento primitivo ο diffuso, in cui non è ancora
sopravvenuta nessuna distinzione di soggetto e oggetto e nessuna
differenziazione di elementi. Infine il Bergson dà all’ intuizione un valore
analogo all’ istinto ο al senso artistico, in quanto ci rivela ciò che gli
esseri sono in sò stessi, per opposizione all'analisi ο alla conoscenza scorsiva
che ce li rivela dal di fuori: Si chiama intuizione quella specie di simpatia
intellettuale per cui οἱ si trasporta all’ interno di un oggetto, per
coincidere con ciò cho bn di unico 9 per conseguenza d’inesprimibile. Al
contrario. P analisi è l’operazione che riporta l'oggetto a elementi già noti,
cioè comuni a questo oggetto ο ad altri. Anulizzare consiste dunque nell’
esprimere una cosa in funInt 614 ziono di cid cho essa non è ». La funzione
abituale della scienza positiva è V analisi, mentre la metafisica deve fondarsi
sull’ intuiziono; ora c'è una realtà che noi after riamo tutti dal di dentro,
per intuizione e non per semplice analisi: è la nostra propria persona nel suo
scorrere attraverso il tempo è il nostro io che dura. Noi possiamo non
simpatizzare intellettualmente con nessuna altra cosa, ma simpatizziamo di
certo con noi stessi ». Cfr. Descartes, Regule, XII; Locke, Kes., IV, 11, 1; Leibnitz, Nowe. Ees.,
IV, cap. 2, $ 2; V. Cousin, Frag. de phil. contemp., p. 34; Kant, De mund.
sens, son. I, $
10; Krit. d. reinen Vern., od. Reclam, p. 76, 88; Fichte, Thatsachen und
Bewusstseins, in 8. IP., 1845, vol. IL, p. 541 segg. ; Schelling, Säm. Werke,
1856, I, p. 316 seg.; III, 369; Hamilton, Lect. on logic, 1860, I, p. 127; II,
p. 73; Rosmini, Psicologia, II, pag. 275 s0gg.; Teosofia, IV, p. 388-391;
Sistema filos., $ 16, 17; Bradley, Appearance and reality, 1883, p. 159 segg.;
Bergson, La fil. dell’ intuizione, trad. it. 1909, p. 17-19; Me Cosh, The
intuitions of the mind, 1882; C. Pint, Insufficence des philos. de l'intuition,
1908; M. Winter, Note sur Pint. en mathématique, Rev. de metaph. », nov. 1908;
E. Lugaro, La base anatomica dell’ intuizione, Riv. filosofica », 1908, p. 465
sogg.; P. Carabellese, Intuito e sinteri primitiva in 4. Rosmini, Riv. di fil. », genn. 1911, genn. 1912.
Intuisionismo. T. Intuitionismus; I. Intuitionalieme ; F. Intuitionisme. Ogni
dottrina che si fonda sopra l’ intuizione, nei vari significati che questa
parola può assumere © nelle diverse sue applicazioni sia alla teoria della conoscenza,
sia all'etica, all’ estetica, alla religione. Si oppone à razionalismo,
intellettualinmo, empirismo. Storicamente si applica all'indirizzo
rappresentato dalla scuola scozzese e dall’ eclettismo francese, indirizzo
detto anche filosofia delP intuizione, in quanto fonda la conoscenza sopra I’
intuinmediata delle verità razionali e superiori all’esperienza, e considera V’
esistenza della realtà materiale come zione 615 Inv
direttamente conosciuta, non inferita o costruita. Oggi l’intuizionismo è
rappresentato, nella religione, da alcuni indirizzi del modernismo cattolico e
protestante, nella filosofia dalla maggior parte delle dottrine
neo-idealistiche. Cfr.
E. H. Schmitt, Kritik d. Philon. rom Standpunkt der intuitiven Erkenntnis,
1908; J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. XIV, $ 1; F.C. 3. Schiller, Humanism and intuitioninn,. Riguardo
all’origine e alla natura dell’ Io, per gli spiritualisti in genere esso è un
principio sostanziale, assolutamente nnico e identico, è l’anima in quanto
percepisce sò medesima percipiente come identica a νὰ percepita. Dice Cartesio:
Eraminantes enim, quinam simus nos, qui omnia, quae a nobis diversa sunt,
supponimus falsa esse, perspisque videmus, nullam eriensionem, neo figuram, nec
motum looalem, nec quid simile, quod corpori tribuendum, ad naturam noatram
pertinere, sed cogitationem solam. Per gli empiristi invece non è un primum ma
un poi, che risulta dal connettersi dei fatti psichici successivi, ed è quindi
nello stesso tempo uno © molteplice. Così, secondo il Condillac l'Io non è che
la collezione delle sensazioni; per il Taine la proprietà, comune a tutti i
fatti di coscienza, di appurirei come interni, astratta da questi fatti o
trasformata dsl lingnaggio in sostanza; per il Ribot è il sentimento complesso
e confuso del nostro organismo individuale. Nel sistema di Fichte e di Hegel,
l'Io ha un significato particolare. Con esso il Fichte non intende l'Io
individuale, ma lo stesso essere assoluto, che non è originato da altra cosa ma
pone originariamente sò stesso, ο quindi per determinarsi pone il non-Io;
determinatosi così, ne resta Io 618 determinato anche il non-Io, cosicchè l'Io e
il non-Io si determinano reciprocamente; per tal modo dal seno dell’ Io ο del
pensiero hanno origine lo spirito ο la materia, l’anima ο il corpo, l'umanità e
la natura, L’Io al pari del non-Io sono prodotti entrambi dall’ attività
originaria dell'Io... L' lo come intelligenza in generale dipende da un non-Io
indeterminato, ὁ solo mediante e in virtù di tale non-Io è intelligenza...
L’Io, considerato come abbracciante lu sfora totale, assolutamente
«determinata, delle relazioni, è sostanza ». Per I’ Hegel l’Io è quella
estrinsecazione dell’assoluto per cui esso, raccogliendosi nella umanità depo @
essersi sparso nella natura, si rivela a sè medesimo: Il pensiero come soggotto
rappresentato è pensante, e l’esprossione semplice del soggetto esistente come
pensante è I’ Io. Ma } Io astratto come tale è il puro rapporto con sì stesso,
in cui si fa astrazione dal rappresentare, dal sentire, da ogni situazione,
come da ogni particolarità della natura, del talonto, dell'esperienza, vce. ».
Schopenhauer distingue l'Io teoretico dall’ Io rolitivo ο pratico : il primo
consiste nel punto unitario della coscienza e non è che la funzione conoscitiva
del secondo: «Il volere rappresenta la radice, l'intelletto la corona dei rami,
mentre la ceppaia, punto di indifferenza di entrambe, sarebbe 1’ 1ο, che, come
punto finale comune, appartiene così al volere come alla intelligonza. Questo
Io è il soggetto identico pro tempore del conoscere e del volere... Esso è il
punto temporale d’inizio e di collegamento della totalità dei fenomeni, vale u
dire della obbiettivazione del volere ». Secondo il Galluppi Posistenza dell'Io
è una verità primitiva di fatto, che no: si può dedurre o dimostrare per razi i
Plo, cioè il mio essere, il soggetto di ciò che sento in mo, fa parte dello
stesso atto semplice per il quale ho coscienza delle mic modificazioni ; solo
in séguito V analisi separa il soggetto dalle modific la sintesi riconduce
questo a quello, e le diverse verità primitive doll’ intellettuale ο del 619 lo
morale dell’ uomo si mostrano ». Secondo il Rosmini, gli atti mentali con cui
l’anima giunge ad esprimersi nell’ Io, sono anzitutto una percezione
intellettiva che il soggotto ha della sua propria anima, in secondo luogo, le
varie operazioni di cui l’anima è principio; infine, la coscienza che ha
l’anima della propria identità fra sè percipiento ο sè operante ο atteggiata a
operare. Per I’ Ardigd I’ lo e il non-Io sono un punto d'arrivo non uu punto di
partenza, sono cioè una distinzione operatasi per 1’ esporienza nel medesimo
indistinto primitivo, la sensazione: il primo risulta dal raccogliersi e
riprodursi in un ritmo comune delle sensazioni costanti prodotte dall'attività
organica, il secondo dal raccogliersi delle sensazioni accidentali o
discontinuo prodotte dagli stimoli esterni. Ancho per i seguaci della dottrina
economica o biologica dolla conoscenza la distinzione tra Io © non-lo è uno
sdoppin mento che la coscienza, per i suoi fini pratici, opera sugli elementi
sonsibili, che per sè non sono nö oggettivi nè soggettivi: Non I’ Io è
primario, dice il Mach, bens) gli elementi (sensazioni). Gli elementi formano
l'Io. Io sperimento sensibilmente del verde, significa che l’elemonto verde si
manifesta in un certo complesso di altri elemonti (sensazioni, ricordi) ». 11
Bergson distinguo 1’ lo superficiale © simbolico dull’ Io profondo : questo è
durata reale, libera creazione di qualità sempre nuove, quello una soprastruttura
artificiale imposta dallo esigenze della vita pratica: «ΛΙ disotto della durata
omogones, simbolo ostensivo della durata vera, una psicologia attenta scopre
una durata i cui elomenti si componetrano; al disotto della molteplicità numorica
degli stati coscienti, una molteplicità qualitativa ; al disotto doll’ Io a
stati ben definiti, un Io in cui successione implica fusione ο organizzazione.
Ma noi ci contentiamo il più spesso del primo, cioè dell'ombra dell’ Io
proiettata nello spazio omogeneo ». Molti psicologi contemporanei chiamano Io
subliminale l'insieme delle sensazioni interne Ive 620 oscure ο dei motivi subeoseienti, che
costuiscono in noi una personalità sotterranea la quale influisce continuamente
sopra 1’ Jo eupraliminale, costituito dall'insieme dei pensieri, delle
sensazioni ο dei motivi coscienti; socondo il Myors ο i suoi soguaci, P Io
subliminale è il nucleo fondamentale ο il motore della personalità umana,
tantochè da esso deriverebbero in massima parte le tendenze abituali ο
istintive, gli impulsi delle nostre azioni, i prodotti spontanei del genio, ©
con esso si spiegherebbero i fenomeni di disintegrazione della personalità, di
sdoppiamento della coscienza, di suggestione ipnotica, di telepatia. In senso
analogo si distingue nella psicologia patologica l'Io primario, normale ©
costituito di stati di coscienza lucid dall' Jo secondario, anormale ϱ
subcosciente; questi duo Io covsistono nell’ individuo ignorandosi totalmente,
come si verifica nella così detta scrittura automatica e nei casi di
personalità alternante. Cfr. Cartesio, Prino. phil., I, 7; Kant, Krit. d.
reinen Vern., ed. Reclam,
p. 294, 302; Fichte, Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 110 segg.; Grund. d. ges.
Wissenschaftslehre, 1802, p. 9-11; Hegel, Enoyol., $ 20; Schopenhauer, Die
Welt, vol. II, ο. 19, 20; Galluppi, Lezioni di
logica e metafisica, 1854, II, p. 617 segg.; Rosmini, Psicologia, 1846, I, p.
52 segg.; Bergson, Essai eur le données, 1904, p. 96 segg. ; Ardigò, Op. fil,
I. 144-50; V, 161 segg.; Mach, Beit. z. Anal, d. Empfindungen, 1886, p. 17;
Myors, The human personality, 1902; G. Geley, L’étro suboosciente, 1905; M.
Princo, The dissoolation of a personality, 1906; P. Janet, L'automatiome
peychologiguo, 1910; A. Aliotta, Atti del V Congr. intern. di pric. a Roma,
1906 (v. essere. soggetto, oggetto, dualismo, coscienza, spirito,
spiritualismo, monismo, parallelismo, ecc.). Iperalgesia. T. Hyperalgesie: I. Hyperalgesia; F. Hyperalgosio.
Sovreccitazione della sensibilità dolorifica. Secondo aleuni psico-fisiologi
esistono nella superficie della cute delle zone o arco iperalgesiohe, le quali
non corrispon 621 Ire dono ai territori
di distribuzione periferica dei nervi cutanei, © la cui sensibilità si desta
quando gli stimoli dolorifici ragiscono in aree, ad esse congiunte
centralmente, di minore sensibilità; ciò dimostrerebbe I’ esistenza di nervi ed
organi specifici del dolore, cosicchè la sensibilità dolorifien sarebbe un
quarto senso, che insieme a quelli del caldo, del freddo e del contatto,
costituisce la sensibilità cutanoa generale. Cfr. Kiesow, Arok. it, de Biol.,
vol. XXXVI, 1901; Alrutz, Atti del V Congr. int. di peiool. a Roma, 1906.
Iperestesia. T. Hyporüsthesie ; I. Hyporacstesia; F. Hyperesthésie.
Sovreceitazione anormale della sensibilità di un organo o di una regione; essa
prende dei nomi diversi a seconda degli organi sensori nei quali appare: così
dicesi iperormia l’iperestesia del senso olfattivo, iperacusia quella del senso
acustico, ipergeusia quella del senso gustativo, iperafia quella del senso
tattile. Si manifesta 80litamente con una grande intensità delle sensazioni,
che le rende moleste al soggetto. Il Myers chiama iperesteria della visione
cerebrale l’esasperata attività delle sfere visive corticali, promossa da
stimoli interni di ignota natura, che agiscono durante il sonno incompleto
risvegliando dei #ogni costituiti da visioni subbiettive vivaci, nette,
colorate. Cr. Myers, The human personality, 1902 (v. anestesia, sogno).
Ipermetafisica. T. Hypermotaphysik. Il Kant oppone alla vera metafisica, che
conosce i limiti della ragione umana, l’ipermetafisica che tali limiti vuol
sorpassare vagando nel campo delle imaginazioni senza fondamento. Un senso
analogo ha la parola metempirica, oggi più usata, proposta dal Lewes. Cfr. Kant, W. W., t. VIII, p.
576 seg. Lewes, Probl, of life and mind, 1875, t. II, pag. 17. Ipermetropia. T. Übereightigkeit. Difetto della
visione, che consiste in cid che i raggi paralleli dell’ asse ottico non fanno
foco sulla retina, come nell’ occhio normale, ma al di quo di essa. Quindi il
punto di lontananza, che per l'occhio normale si trova all'infinito, per I’
ipermetropico si trova al Ing 622 di là dell'infinito, cioè non esiste, perchè
solamente i raggi convergenti possono fare foco sulla lente senza sforzo di
accomodazione. L’ipermotropis è prodotta da poca enrvatura dello superfici di
rifrazione e da eccessiva cortezza dell’ asso ottico. Cfr. G. Abelsdorff, Das
Auge des Menschen, 1907, p. 59 segg. (v. aocomodamento, emmetropia, presbitiemo,
punto). i Ipermnesia. T. Hypermnesie; I. Hypermnesia; F. Hypermuésie. È il
contrario di amnesia, e designa uno stato di sovreccitazione anormale della
memoria. Può essere gonerale o parziale: quella consiste nel subitanco e passeggero
ritorno di un gran numero di ricordi, dipendente dalla maggior rapidità della
circolazione cerebrale; si verifica frequentemente noi casi di febbre acuta,
nell’ eccitazione maniaca, nell’ estasi, nell’ipnotismo e talvolta anche nelV
isterismo e nel periodo d’incubazione di certe malattie mentali. Lo ipermnesie
parziali consistono nel ritorno di alcune categorie di ricordi, ad es. di un
fatto, di una lingua dimenticata, © risultano quasi sompre da cause morbose. Cfr. Ch. Bastian, Le
oeroeveau, trad. franc. 1888, vol. IT, Pp. 220 segg.; Ribot, Les maladies de la
memoire, 313 ed. 1909 (v. amnesia). Iperorganico.
I. Hyperorganical; F. Hyperorganique. Alcuni sociologi della scuola
analogico-organica, fra i quali lo Spencer, chiamano la società iperorganismo o
auperorganismo, in quanto travano in essa un legame di analogia con l'organismo
individuale e in quanto essa continua l'evoluzione organien. Generalmente
iperorganismo desigua ciò che è superioro all'organismo; così nel dualismo
spiritualistico, l’anima, lo spirito, è un principio iperorganico, in quanto
domina il corpo (v. analogico-organico). Iperpiano v. iperspazio. Iperspazio.
I. Hyperspace; F. Hyperespace. Spazio ipotetico, superioro a quello
tridimensionalo che i aqusi rivolano, e che ha proprietà diverse dello spazio
ancliden. 623 Ipr-Ipn Date » variabili, ogni gruppo di
valori particolari di queste varinbili è nn elemento (punto) in uno spazio a n
dimensioni (6 κ). Invece di considerare » variabili, se ne possono considerare
n + I, © i rapporti di n di esse all’ ultima; il punto di 6 n resta determinato
dai valori di tali rapporti © i valori corrispondenti della n + 1 variabili
possono chiamarsi coordinate omogenee del punto: ora, una equa zione lineare
omogenen fra queste coordinate dicesi iperpiano ed 8 n iperspazio. Cir. Klein, Vorlesungen über
nichteuclidischen geometrie, 1893; Russel, An essay on the foundation of
geometry, 1897; Halstead, Bibliografy of hyperspace, Amorican journ. of math.
», vol. I, p. 261 segg.; II, p. 65
segg.; Veronese, Fondamenti» di geometria a più dimensioni, 1891; Vonola, La
geometria non-suclidea, 1905; M. Boucher, Essai sur Vhyperespace, 1903 (v.
metageometria, non-euclideo). Ipertrofia. T. Uobernährung; I. Hypertrophy; F.
Hypertrophie. L'aumento della nutrizione, ο quindi della dimensione degli
organi, in seguito all’ attivo esercizio di ossi. Ipertrofia dimensionale: la
legge stabilita dal Roux, secondo oni l’anmentata attività di un organo
determina nm ingrandimento di esso in quella ο quelle direzioni, nelle quali
avviene l'aumento di lavoro; ad es, nelle ossa lunghe la sostanza ossea si
concentra alla periferia che deve sostenere lo sforzo maggiore, ritirandosi dal
centro dove } eceitamento fanzionale è minimo, per cui l'osso diventa tubolare.
Nel senso contrario agisce la leggo dell’ atrofia dimensionale (v.
biomeccanica). Ipnotismo.T. Hypnotiemus; I. Hypnotism; X. Hypnotisme. Vocabolo
creato dal Braid, che fra i primi lo studiò, vorso la seconda metà dol secolo
scorso. Designa l’ insieme di quoi fenomeni che si riattaocano al sonno
artificiale 0 provocato nei nevropatici. Il merito di aver sottomesso codesti
fonomeni ad una accurata analisi sperimentale spetta allo Charcot ο alla ana
scnola. Egli distinguo nel sonno ipnotico due stati, il grande ο il piccolo
ipuotismo. Ἡ grande Ipo 626 Ipostasi (ὑπό = sotto, στάσις = dimora). T.
Hypostase; I. Hypostasis; F. Hypostase. Nella filosofia, specie in quella
alessandrina, e nella teologia, si usa per designare la sostanza che sta sotto
i fenomeni, ciò di cui i fenomeni non sono che la manifestazione esteriore.
Infatti la parola latina sub-stantia è la traduzione letterale della parola
greca ipostasi, Così secondo i teologi, nella SS. Trinità vi sono tre ipostasi
distinte, mentre la divinità di Gesù Cristo è l’unità ipostasica, sotto la
dualità delle nature divina ed umana, Nel linguaggio filosofico corrente, fare un’
ipostasi o ipostatizsare, significa dare concretezza ο realtà esteriore ad un
dato, che è proprio soltanto del pensiero, che è una pura astrazione. Cfr.
Alberto Magno, Summa theol., I, qu. 43, 2; S. Tommaso, Summa theol., I, 29, 1
ο. (v. κοatanza, essenza, astrazione). Ipotesi. Gr. Ynößeoıs; Lat. Hypothesie;
T. Hypothese ; I. Hypothesis; F. Hypothèse. Secondo Platone l’ ipotesi è la
supposizione di un principio universale, che si mette a fondamento di un altro.
Per Aristotele è un ragionamento che riposa sopra l'assunto che, se 4 è vero, B
deve essere ammesso in conseguenza; se dunque À è vero, B à ricavato per
ipotesi. Secondo Cartesio l'ipotesi è una proposizione accolta senza
constatarne la verità o la falsità, come principio da cui ricavare un insieme
di proposizioni : Affinchè ciascuno sia libero di pensare ciò che gli piacerà,
desidero che quello che scriverò sia preso solo come ipotesi, molto lontana
forse dalla verità; ma anche se ciò fosse, crederei aver fatto molto se tutte
le cose che ne sono dedotte sono interamente conformi alle esperienze ». E
contro questo metodo che Newton protesta, rifiutando di usare di simili
ipotesi: Rationem vero harum gravitatis proprietatum ex phanomenis nondum potui
deduoere, et hypotheses non fingo. Quicquid enim ex phanomenis non deducitur,
hypothesis vocanda est; et hypotheses seu metaphysioæ, seu physica, scu
qualitatum occultarum, seu mechanicæ in philosophia 627 Ipo
N experimentali locum non habent. Secondo il Turgot invece, lo ipotesi sono una
condizione del progresso intellettuale; se ve ne sono di false e di arbitrarie,
si distruggono da sè medesimo: Tutte le volte che si tratta di trovare la causa
di un effetto, non è se non per via d’ipotesi che si può giungervi, quando
l’effetto solo è conosciuto. Si risale, come si può, dall’ effetto alla causa
per cercare di conchiudere a ciò che è fuori di noi. Ora, per divinare la cansa
di un effetto, quando le nostre idee non ce la prosentano, bisogna imaginarne
una; bisogna verificare più ipotesi ο provarle ». Secondo A. Comte le ipotesi
veramente filosofiche devono presentare costantemente il carattere di semplici
anticipazioni su ciò che l’esperienza e il ragionamento avrebbero potuto
svelare immediatamente se le circostanze del problema fossero state più
favorevoli ». Secondo il Lotze l'ipotesi è una congettura con cui cerchiamo di
indovinare un dato di fatto non contenuto nella percezione, ma che erediamo
debba esistere in realtà perchè la perceziono co lo presenta come possibile. Secondo
la definizione del Mill, l'ipotesi è una supposizione imaginata senza prove o
con prove insufficienti, în vista di «dedurre delle conclusioni che siano d’
accordo coi fatti reali. Constatato questo accordo I’ ipotesi è verificata. Si
sogliono distinguere lo ipotesi «peoiali ο ideo direttrici, dallo grandi
ipotesi ο ipotesi esplicative: quello stanno al principio dello scienze, in
quanto servono come idea direttiva delle investigazioni, queste stanno al
culmine della scienza e sono una interpretazione generalo delle esperienze. Infatti
le conclusioni ultime di molte scienze, come I’ unità delle forze fisiche, I’
unità della materia, la formazione del sistema solare ο del nostro pianeta, |’
atomiamo, l’ evoluzione, ecc. non sono che grandi ipotesi, più o meno probabili
ed alcune affatto inverificabili. Molti scienziati si mostrano contrari all’
uso dell'ipotesi, in quanto introducono nello sperimentalismo scientifico un
elemento arbiIo. 628 trario ed a priori; va però notato che, mentre
l’a priori della pura ragione è, ο pretende di essere, immutabile © assoluto,
quello dell’ ipotesi è di sus natura mutabile, provvisorio, relativo, e non ha
valore se non in quanto può essere direttamente o indirettamente comprovato
dall’esperienza. Quindi non ogni ipotesi è legittima, e la sua introduzione è
sottomessa a leggi rigorose, che costituiscono lo condizioni d' ammissibilità
dell’ ipotesi. Le principali di queste condizioni sono: che l'ipotesi non
inchiuda contraddizione nè in sè stessa, nd con altri principt noti ¢ certi, nd
coi fatti che deve spiegare; che sia semplice, scelta tra quelle che hanno più
diretta attinenza coi fatti: che riguardi possibilmente una causa reale, non
agenti imaginari, o non abbia una forma troppo affermativa. Quanto alla sua
verificazione, essa varia, secondo il Naville, a seconda che l'ipotesi è
razionale, sperimentale ο esplicativa : nel primo caso si deve far concordare
logicamente il principio razionale supposto coi principi già stabiliti; nel secondo
non si deve che constatare la realtà del fatto prima imaginato ; nel terzo si
devo dedurre le conseguenze © conıparare queste coi fatti. Secondo il Poincaré
vi sono ipotesi verificabili con l'indagine matematica e sperimentale, ipotesi
valide solo come mezzi per fissare le nostre conoscenze, ο ipotesi che non sono
vere ipotesi, ma definizioni o convenzioni mascherate. È da queste ultime che
le acionze traggono il loro massimo vigore; noi non concepiamo il numero, la
grandezza, lo spazio, la materia, se non traverso ipotesi le quali sembrano
avere dell’ arbitrario e che sono accettate, non già come la rappresentaziono
della realtà, bensì come un mezzo comodo, naturale, logico (per la logica
umana) di rappresentarei la realtà; non è la realtà che ci dà quei concetti,
senza dei quali nulla sapremmo, siamo noi che ce li creiamo © li usiamo per
convenzione. In generale, l’oggettività della conoscenza è in ragione inversa
della sua universalità; il fatto bruto è il più og 629 Ipo gettivo, ma da questo in là l’oggettività
diminuisce gradatamente a misura che cresce la generalizzazione; il fatto
stientifico è già meno oggettivo e più ipotetico del primo, e dal fatto
scientifico alla legge, ο da questa ai principt è un procedimento continuo
verso il soggettivismo © verso il convenzionalisno. Questi concetti del
Poincaré sono condivisi ed anche accentnati dai rappresentanti dell’ empirismo
radicale, dell’ empiriocriticiemo ο dell’ energismo. Così per l’Ostwald non si
può ragginngere il fondo vero delle cose se non attenendosi alla pura
constatazione dei fatti offerti dall'esperienza, e costruendo una scienza
libera da ipotesi, eine Aypothesenfreio Wissenschaft; le ipotesi sono, infatti,
delle semplici imagini con cui arbitrariamente si aggiungono ni fenomeni dei
caratteri che non ci sono dati dall’ esperienza ο non potranno mai dimostrarsi
oggettivamente, imagini scelte in guisa da rappresentare con le loro proprietà
le proprietà analoghe dei fenomeni; ora, il solo modo adeguato di rappresentare
completamente un fenomeno à il fenomeno stesso ; ogni rappresentazione per
mezzo di altri fenomeni, più o meno analoghi, contiene necessariamente elementi
estranei. Cfr. Platone, Fed., 100 A segg.; Kep., VI, 510 B; Aristotele, Anal.
post., I, 2; Anal. prior., I, 10, 30 b, 32; Cartesio, Prino. phil., 11, 44, 45;
IV, 204206; Newton, Philos. mat. prino. math., 1687, ad finem; Comte, Cours de
phil. pos., I, lez. 28; Lotzo, (irundsiige d. Logik, 1891, p. 84; Stuart Mill,
Syst. of logic, 1865, II, 17; È. Naville, La logique de l'hypothèse, 1895;
Ostwald, Porlesungen über Naturphilosophie, 1902; Id., Die Uberwindung des
wissenehohaft. Materialismus, 1895 ; Poincaré, La valeur de la science, 1908;
Id., La science et l'hypothèse, 1909; C. Ranzoli, Leggo, principio, ipotesi, in
Linguaggio dei filosofi », 1913, p. 228-244. Ipotetico. T. Hypothetisch; I.
Hypothetical; F. Hypothétique. In generale si riferisce a tutto ciò che è
supposto arbitrariamente, che ha bisogno di essere dimostrato con Ips 630 prove. I giudizi sono ipotetici quando esprimono che
la posizione del predicato è condizionata ο dipendente dalla posizione del
soggetto. La loro formula è : se 4 à, è (non è) B. in cui la prima parte, che
contiene la posizione del soggetto, dicesi ipotesi, la seconda, che contiene
quella del predicato, tesi. Il giudizio ipotetico, insieme al categorico e al
disgiuntivo, appartiene alla forma dei giudizi di relazione. Diconsi ipotetici puri quei sillogismi in cui
In maggiore, la minore e la conclusione sono giudizi ipotetici: essi hanno,
teorioamente, tanto figure © modi quanti il gindizio categorico, ma sono
praticamente d’uso assai limitato. Diconsi ipotetico-categorici, quei
sillogismi di eni la maggiore è un giudizio ipotetico, la minore un gindizio
categorico che afferma l’antecedente o nega il consegnente della maggiore, e la
conclusione un giudizio categorico che afferma il conseguente o nega
l’antecedente della maggiore; esso ha quindi due modi fondamentali: il ponente
(ponendo ponens), che seguo il tipo della prima figura del sillogismo
categorico, © il tollente (tollendo tollens) che segue il tipo della seconda. Nella matematica si di cono ipotetici quei
problemi la cui validità dipende dal-" l’analisi necessaria a risolverli,
ed assoluti quelli che sono indipendenti dall’analisi. Kant chiama ipotetici quegli imperativi che
sono subordinati ad una condizione, ed enuncinno che un atto è un mezzo
relativamente ad un certo fine. Cfr. Kant, Logik, 1800, p. 163; Wundt, Logik.
1893, I, p. 182. Ipsedicitismo. Vocabolo creato dalla espressione ipre dizit,
adoperato per designare In tendenza a jurare in verba magistri, nd ammettere in
tutta la sua estensione il principio di autorità (v. testimonianza). Ipse
dixit. Durante il medio evo, Aristotele era riguardato como giudice
inappellabilo del vero, perchè si credeva che egli nvesse raggiunto il limite
massimo della sapienza, conoscendo tutto quanto all’ nomo è dato co 631 Iro noscere. Quindi il criterio assoluto della
verità d’ ogni dottrina era 1’ essere contenuta nelle opere d’ Aristotele,
l'essere stata detta da lui: ipse dixit, egli disse. Questa espressione fu
creata forse dal più grande commentatore arabo d’ Aristotele, Ibn Roschd
conosciuto sotto il nome di Averroè, il quale faceva precedere ai propri
commenti un compendio del testo d’ Aristotele, preceduto sempre dalla parola
Κάῑ = disse. Col Risorgimento ο col decadere della scolastica finisce codesta
cieca sottomissione all’autorità del filosofo greco, 9 si comprende che la verità
va cercata, come disse il Galilei, non nei libri d’Aristotele, ma nel gran
libro sempre aperto della natura. La inza moderna non esclude del tutto il
valore della testimonianza, ossia del principio di autorità, perohè se chi
coltiva una data disciplina dovesse rifare da capo tutto ciò che prima di lui è
stato fatto, sarebbe impossibile il progresso scientifico; tuttavia essa si
uniforma pur sempre alla massima di Bacono: veritas filia temporis non auotoritatie
(v. aristoteliamo). Ironia. Gr. Εϊρώνεια; T. Ironie, Ferepottung ; I. Irony; F.
Ironie. Si definisce come quella forma del comico, nella quale inaspettatamente
ci compiacciamo di trovar celato il biasimo sotto la lode o sotto la
rappresentazione oggettiva, oppure l’ incredulità sotto la credenza, ο,
viceversa, la lode sotto il biasimo e la credenza sotto la credulità. In ogni
forma d’ironie (pura, satirica, benevola, ecc.) è infatti essenziale un
compiacimento più o meno esagerato, col quale si rileva un difetto o un
contrasto, ο che, nella sua esagerazione, cela un compiacimento affatto opposto
a quello rivelato dall’ironista. Nella
storia della filosofia la parola ironia è usata ad indicare il processo
metodico confatativo, ο negativo, adoperato da Socrate nelle sue dispute. Esso
consisteva nel fingersi ignorante davanti a persone che godevano fama di essere
sapienti o si presumevano tali ; tale ignoranza egli la sapeva sostenere per i
tratti stessi del suo viso e Ink 632 con la semplicità delle domande, ingenue in
apparenza ma così sottilmente incalzanti nella sostanza, da far cadere infine
l'interlocutore in un viluppo di assurdità manifeste ο da costringerlo a negare
quanto prima aveva asserito. Così gli avversari vedevano rovinare la loro
pretesa scienza, smantellata sotto i colpi della dialettica socratica. E tale
era l'intento che Socrate proponevasi col suo metodo critico dell’ ironia:
comunicare agli altri quel dubbio che era anche in lui intorno alla verità
delle proprie ed altrui opinioni. Credi tu, dice Socrate a Menone, a proposito
dello schiavo che aveva preso a catechizzare, ch’ei si sarebbe messo a cercare
ed imparare ciò che si credeva di sapere pur nol sapendo, se prima non fosse
caduto nel dubbio, accorgendosi di non sapere e sentendo desiderio di saper
veramente? Pon mente adesso come egli, movendo da questo dubbio e facendo la
ricerca con me, ei ritroverà il vero, non altro che io l’interroghi, non già
che gli insegni >. Nei dialoghi socratici di Platone è l’ironin che prevale;
in quelli di Senofonte è invece il metodo positivo o maieutica, Cfr. Senofonte,
Mem., I, 3, 8; Acad., II, 15; Platone, Menone, XVIII, 84 CD; Zuccante, Metodo
di filosofare di Socrate, in Saggi filosofici, 1902; Paulhan, La morale de P
ironie, 1909, p. 142 segg.; G. Palante, 2’ ironie, Revue philos. », feb. 1906;
A. Momigliano, L'origine del comico, Cultura filosofica », sett. 1909 (v.
agonistica, anatreptica, endiotica, eristica, ecc.). Irraggiamento v.
emanazione. Irrazionalismo. T. Irrationalismus ; I. Irrationalism ; F.
Irrationalisme. Nella filosofia religiosa è quell’ indirizzo che considera la
ragione impotente a penetrare nelle cose divine ed estrasensibili, e può avere
tante forme quanti sono i mezzi o stromenti che esso ritiene idonei alla conoscenza
religiosa, siano essi la fede fiduciale o giustificante (fideismo), la
tradizione (tradizionalismo), il sentimento (sentimentalismo), ecc.: si oppone
sia al razionalismo as 633 Iur soluto,
che ritiene la ragione capace di costruire, con le sole sue forze, un sistema
di conoscenze che ha valore non solo di scienza © di filosofia, ma anche di
religione; sia al semi-razionaliemo, che riconosce due stromenti ο fonti della
verità, la ragione e la fede, e quindi due ordini di verità, le verità di
ragione ο le verità di fede. Nella metafisica l’irrazionalismo è dottrina per
la quale l'universo è irrazionale, ossia tale che non pud essere ridotto ngli
schemi logici della ragione ; si oppone specialmente al panlogiemo, per il
quale invece tutto ciò che è razionale è reale, © tutto ciò che è reale è
razionale. Forme di irrazionalismo sono l’ idealismo oggettivo dello Schelling,
il rolontarismo dello Schopenhaner ο il mobiliemo contemporaneo. Cfr. C.
Ranzoli, I! linguaggio dei filosofi, 1913, p. 217 segg.; Windelband, Storia
della filosofia, trad. it., vol. II, Ρ. 343-351. Irritabilità. F. Irritabilit.
Questo vocabolo fu introdotto nel linguaggio filosofico dall’ Haller, per
designare ‘quella proprietà dei muscoli che oggi dicesi contrattilità, © cio
l'attitudine dei muscoli stessi di reagire allo stimolo con uns contrazione.
Poscia passò a designare I’ attitudine del muscolo a reagire allo stimolo,
attitudine che con la contrattilità non costituisce che due forme di un’unica
proprietà: il muscolo non si contrae se non è irritabile, © non si può dire che
sia irritabile se non si contrae. Presentemente per irritabilità si intende la
proprietà fondamentale della materia organica di reagire ad eccitamenti, per
rispondere con una reazione propria agli stimoli. La reazione di ogni tessuto è
il risultato delle reazioni minime dei singoli elementi di cui il tessuto si
compone: Virritabilita è dunque la proprietà fondamentale delle cellule
viventi. Variando le reazioni minime, varia anche la reazione complessiva: così
|’ irritabilità del tessuto muscolare consiste nel contrarsi, quella del
tessuto vascolare nel necernere, quella del tessuto nervoso nel sentire. La
natura Iso-Ist 634 specifica della reazione della cellula non
dipende dalla natura dello stimolo, ma da quella della cellula stessa. L’attività
delle cellule ο dei tessuti è sempre determinata da uno stimolo. Tuttavia gli
organismi hanno la proprietà di muoversi da sd stessi, senza In eccitazione
immediata del di fuori: questa proprietà dicesi «pontaneità ed è costituita
dalla scarica della forza muscolare immagazzinata, in seguito all’azione di
modificazioni interne, che costituiscono lo stimolo. La spontaneità è dunque
relativa non assoluta ; essa differisce dall’irritabilità non qualitativamente
ma quantitativamente. Cfr. Werworn, Fisiologia generale, trad. it. 1907, p. 50
segg. (v. protoplasma, rita, vitalismo, eccitazione). Isostenia. Vocabolo
dell’antico scetticismo, ancora usato per indicare il bilanciarsi delle ragioni
pro e contro in un dato argomento. La conclusione ultima cui giunse tutta
l’antica scuola scettica, da Pirrone d’Elide a Sesto Empirico, fu infatti che
lo ragioni pro ο contro, intorno a qualsiasi oggetto, si equilibrano ed hanno
forza uguale; ‘Timone di Flio, discepolo di Pirrone, disse ciò isostenia delle
ragioni (ἰσοσθένια τῶν λόγων), 9 tale vocabolo è rimasto nel linguaggio
filosofico. Cfr. C. Wachsmnth, De Timone phliasio, 1859. Istante. Gr. Τὸ viv;
T. Augenblick ; I. Instant; F. Instant. L'attimo attuale, il punto determinato
e indivisibile della durata, © che quindi sfugge ad ogni misurazione: esso è il
limite comuno tra due durate successive. Il presente è un istante, che sta fra
il passato, che è già un non-essere, © il futuro, che è il possibile pensato in
relnzione alla nostra esperienza. Tra tutti i filosofi, Aristotele è senza
dubbio quello che ha analizzato con maggiore acutezza il problema dell'istante,
nel quale #’ accentra il problema del tempo. Per Aristotele l'istante è sempre
diverso per la sua forma, perchè ora è in questo punto ora in altro punto
diverso del tempo, ma è sempre lo stesso per la sua 635 Ist
materia, cioè in quanto istante, perchè implica sempre un anteriore e un
posteriore, o, in altre parole, perchè è sempre ugualmente fine del passato e
principio del futuro. Così si spiega come il tempo, al pari del movimento, sia
sempre diverso e sempre lo stesso. Se l'istante non fosse il tempo non sarebbe,
come se fl tempo non fosse l'istante non sarebbe; non solo, ma è per l'istante
che il tempo è continuo ed eterno. Tempo ed istante si implicano a vicenda come
il movimento e il corpo mosso; infatti sono entrambi simultanei; © come il
movimento e il corpo mosso sono simultanei, tali sono anche il numero del corpo
mosso € il numero del movimento; poichè il tempo è il numero del movimento, e
1) istante, come il corpo mosso, è in certo modo l’unità del numero, μονὰς
᾽αριθμοῦ ». L’ istante è ul tempo come il punto alla linea: come I’ istante
dete nina U’ anteriorità e lu posteriorit del movimento, e quindi divide il
prima e il dopo, così il punto divide la linea essendone il principio e l’
estremità; come l'istante non è una porzione del tempo, quantunque determini il
tempo, così il punto non è una parte della linea, quantunque generi la linea.
Da ciò si comprende come Aristotele chiami l’istante un semplice accidente del
tempo; infatti sotto un certo rapporto esso non è numero, ossia non è tempo,
perchè mentre il numero serve a numerare le cose più disparate, l’istante serve
solo a limitare cid di eni è limite; ma sotto un altro rapporto esso pure è numero,
perchè può applicarsi indifferentemente a tutti i movimenti e a tutti i corpi.
Cfr. Aristotele, Phys. IV. 10-12; Covotti, Le teorie dello spazio ο del tempo
nella fil. greca, Annali della R. Scuola Norm. di Pisa », 1897, vol. XII (v.
fempo). Istanza. Lat. Instantia; T. Instanz; I. Instance; F. Instance. Cartesio
dava questo nome al nuovo argomento che si aggiunge alla risposta ad una
obiezione : Ho traseurato di rispondere al grosso libro d’ istanze che 1’
autore Ist 686 delle quinte obbiezioni ha prodotto contro le
mie risposte... ». L'istanza, così intesa, può consistere sia in una nuova
obbiezione, sia in una confutazione della replica. Bacone dà a questa parola il
valore di fatto osservato ed accertato, caso particolare, esempio. Egli divide
le istanze in positive, negative e prerogative; le prime sono quelle che danno
luogo ad una induzione per enumerationem simplicem, le seconde sono i casi o il
caso particolare contrario, che la distruggono; le ultime il fatto o i fatti di
tal natura, che bastano a garantirla. L'istanza prerogativa, che à il
fondamento della legge, può offrirsi da sola alla osservazione; ma per lo più
lo scienziato deve andarla a cercare, e tale ricerca si opera per mezzo dello
esperimento. Cfr. Descartes, Lettre à Clerselier, ed. Ad. et Tannery, IX, 202; Bacone,
Nor. Org., Il, 21 segg. ; De Augmentis, V, 2 (v. istantie, induzione,
experimentum cruoie). Isterismo.
T. Hysterismus; I. Hysteriem, Hysteria; F. Hystérieme. Forma di malattia
nervosa, ricca dei più svariati fenomeni psichici, che si manifesta
specialmente nella gioventù, più nelle donne che negli uomini, e colpisce profondamente
la personalità. Secondo gli studi più recenti, esso sarebbe determinato da una
specie di intorpidimento, diffuso o localizzato, passeggero o permanente, dei
centri cerebrali, che si traduce con manifestazioni trofiche, viscerali,
sensitive © sensoriali, motrici © psichiche, a seconda dei centri colpiti; ο
con crisi transitorie, con stimmate permanenti o con accidenti parossistici, a
seconda delle sue variazioni, del sno grado e della sua durata. Si distingue il
grande isterismo dal carattere isterico; questo si rivela nella grande mobilità
dell’ umore, nella forma vacillante © instabile della volontà, nella leggerezza
dei giudizi ο degli affetti, nella incostanza dei propositi, nella facile
distraibilità ed emotività, nella tendenza alla bugia e all’inganno. Il grande
isterismo è caratterizzato da oscuramento della coscienza, idee deliranti,
illusioni ed allucinazioni, muta 637 Ist
bilità massima dell’nmore, convulsioni, nevralgie, anestesie e iperestesie
locali e generali, insonnia, vertigini, ece. In tutte le forme di isterismo si
osservano poi : le lesioni più © meno gravi della personalità, la grande
attitudine a ricevere la suggestione (che agisce nella subcoscienza) e il
sonnambulismo naturale. Tuttavia gli autori che in questi ultimi tempi hanno
tentato di definire I’ isterismo, cercarono di raccogliere tutti codesti
sintomi intorno ad un fenomeno morale; Moebius e Stritmpell considerano come
isteiche le modificazioni patologiche del corpo determinate da idee, da
rappresentazioni, e lo definiscono un insieme di malattie da idea, da
rappresentazione mentale » ; altri insistono sullo sdoppiamento della
personalità, sui fenomeni di dissociazione mentale, sull’ ufficio delle idee
subcoscienti, ecc. Si può dire con Pierre Janet che l’isterismo è una psicosi appartenente
al gruppo delle malattie mentali da insufficienza cerebrale, ed è specialmente
enratterizzata da sintomi morali, il principalo dei quali è un indebolimento
della facoltà di sintesi psicologica ». Ne viene che un certo numero di
fenomeni elementari, sonsazioni ed imagini, cessano di essere percepite e
sembrano escluse dalla percezione personale, donde una tendenza alla scissione
permanente e completa della personalità, alla formazione di parecchi gruppi
indipendenti gli uni dagli altri: questo stato favorisce la formazione di idee
parassitarie, che si sviluppano isolatamente all’ infuori della coscienza
personale e si manifestano coi disturbi più svariati d’apparenza fisica. Cfr. Ribot, Les maladies
de la volonté, 1901, pag. 115 segg.; Moebius, Ueber d. Begriff d. Hysterie,
1888 : Pierre Janet, L'automatisme psychologique, 1889; Id., Anesthesie et
dissociation, Revue philos. », 1887 (x. autncosoienza, autosoopia,
suggestibilità). Istinto. Τ.
Instinkt; I. Instinct; F. Instinct, È un insieme di abitudini protettive,
formatesi lentamente a traverso l'evoluzione della specie e fissatesi
progressivamente negli Ist 688 individui della specie medesima. Il Reid lo
definisce un impulso naturale a certe azioni senza avere nessuna nozione del
fine, senza deliberazione e assai spesso senza nessun concetto di ciò che si fa
». Kant: la necessità interiore della facoltà di desiderare il possesso di un
oggetto prima di conoscerlo; ossia un bisogno affettivo di fare o godere
qualche cosa, di cni tuttavia non si ha alcun concetto ». Bain: il nome dato a
ciò che si fa anteriormente all'esperienza e all’educazione ». Spencer: un’
azione riflessa appropriata; esso può essere più descritto che definito, perchè
non si può tracciare una linea netta di demarcazione tra esso © la semplice
azione riflessa ». Romanes: termine generico comprendente tutte quelle facoltà
psichiche le quali conducono alla esecuzione cosciente di azioni che sono
adattative nel carattere, ma sono perseguite senza necessaria conoscenza delle
relazioni tra i mezzi impiegati 9 il fine raggiunto »; egli chiama istinti
primitivi quelli che risultano direttamente dalla struttura primitiva
dell’essere vivente, o che non sono dovuti che alla selezione, e istinti
secondari quelli che costituiscono un automatismo derivato, acquisito mediante
adattamenti intelligenti, Il Bastian invece raggruppa gli istinti in tre grandi
classi, a seconda «he dipendono da stimoli provenienti direttamente o in«direttamente
dal canale alimentare (ad es. il modo di ricercare © catturare la preda), ο
dagli organi generatori (ad es. la costruzione dei nidi, I’ incubazione, ece.),
0 da tutto intero l'organismo, sia nella parte esterna che nell’ interna (ad
es. lo svernamento e |’ emigrazione). Carattere essenziale dell’ istinto è
l'utilità, sia per l'individuo che per la specie; un istinto nocivo non è più
un vero istinto. secondo il Bergson questo carattere di utilità (che però è
uegato da alcuni biologi, che citano esempi di istinti inutili © addirittura nocivi)
consiste nell’ uso degli organi, laddove il carattere della intelligenza sta
nella capacità di fabbricare degli stromenti artificiali: 7’ istinto compiuto è
una fa 639 Ist coltà di utilizzare e
anche di costruire degli atromenti organizzati, l'intelligenza compiuta è la
facoltà di fabbricare e impiegare degli stromenti inorganici. Il carattere
meccanico dell'istinto è apparso così prevalente, che per lungo tempo è
prevalso il concetto, elevato a legge, che I’ istinto fosse in ragione inversa
dell’ intelligenza; oggi però la maggior parte dei psicologi e dei naturalisti
conviene col Romanes nel respingere codesta legge, e nell’ ammettere invece che
V istinto s’ accompagna a quel grado d’ intelligenza che procede per singoli
casi, e che è in continua cooperazione con la scelta naturale © col meccanismo.
L’ atto istintivo si distingue dal riflesso, perchè mentre questo è puramente
fisiologico e riguarda solitamente un solo organo, quello ha anche un fattore
psichico, ciod il sentimento, e implica l’impiego di più organi; si distingue
dal volontario perchè è d’ ordinario uniforme e non snppone la netta
rappresentazione del fino; si distingue infine dall’ abitudine perchd questa è
acquisita quello è innato. Tuttavia è indubitabile che 1’ istinto, oltre che
fatto ereditario, è anche fatto d’ acquisizione, nd si potrebbe comprenderne
l’origine ammettendo la sola trasmissione ereditaria: infatti l'eredità non
crea, ma soltanto conserva ciò che già esisto; 1’ eredità soffre numerose
eccezioni, mentre l’ istinto non ne soffre alcuna; l'eredità trasmette anche le
tendenze nocive, mentre l’istinto è sempre utile. Dol resto, che l’istinto
possa ossere acquisito è dimostrato, oltrechè dalle modificazioni che esso
subisce per gli adattamenti locali, anche dall’ efficacia dell’
addomesticamento, che può deprimero o distruggere istinti esistenti ο crearne
di nuovi. Ora, i principali fattori che concorrono a formare l’istinto sarebbero:
l'imitazione, l'adattamento, l’intelligenza e l’esperienza individuale, intesa,
quest’ ultima, come qualche cosa di più semplice dell’ esperienza riflessa e
pienamente cosciente, che è propria soltanto dei vertebrati superiori ©
dell’uomo. Cfr.
Reid, On the intell. powers of man, 1785, MI, 2; Kant, Anthropologie, 1872, I,
$ 78; Bain, Menta? Isı-Ira 640 and moral science, 1884, p. 68; Spencer,
Prino. of psychology, 1881, I, p. 482 segg.; Romanes, L’évol. ment. chez los
animauz, cap. XII; Bastian, The brain as an organ of mind, 1884, p. 227 ;
Bergson, L’évol. ordatrice, 1912, cap. IL: G. Bohn, La nouvelle peychol. animale, 1911; T. Wasmann, Istinto e
intelligenza nel regno animale, trad. it. 1908; F. Mi sci, La formazione
naturale del? intinto, Atti della R. Acc. di Napoli », 1898. Istologia. T.
Hystologie; I. Hystology; F. Hystologie. L’anatomia microscopica, che studia
gli organi del corpo umano nei loro elementi componenti e stabilisce i rapporti
dei vari tessuti (hista ο tela). L’ istologia moderna si fonda sulla teoria
cellulare, per la quale sia nell’ uomo che nell’animale, sia nell’ organismo
sano che nell’ammalato, tutti i tessuti si compongono degli stessi elementi
morfologici microscopici, le cellule, le quali nascono tutte per una divisione
ripetuta spesse volte, da una cellula unica, semplice, dalla cellula stipite o
dalla cellula ovo fecondata (v. cellula, cellulari teorie, vita, generazione).
Istorismo. O storicismo. T. Historiemus; F. Historisme. Scuola filosofica ο
suciologica, che gli avvenimenti della storia, il diritto, i costumi, le azioni
umane, le diverse dottrine, vuole siano giudicate non nel loro valore intrinseco,
ma nel loro clima storico, vale a dire in rapporto all’ ambiente sociale, di
cui esse sono il prodotto. In questo senso l’istorisno si oppone al
razionalismo; ma essendo talvolta usato anche a indicare la concezione
hegeliana, per cui l’accadere è un processo essenzialmente storico spirituale,
si oppone a naturalismo. Cfr. Andler, Les origines du socialisme d’État en
Allemagne, 1. I, c. I, $ 2-4 (v.
eatetiomo, storicità). Italica (scuola). Talvolta si chiama così la scuola pitagorica
perchè fiorì nella Magna Grecia, e specialmente a Crotone, colonia
dorico-achea. 641 Lav-LecL Lavoro. T. Arbeit; I. Work; F.
Travail. In senso generale è ogni attività legata ad uno sforzo ο diretta ad
uno scopo utile, oggettivo o soggettivo; in senso meccanico il prodotto di una
forza costante per il cammino che percorre il suo punto d’applicazione nella
direzione di quosta forza. Dicesi lavoro elementare il prodotto di questa forza
per il cammino che percorre il suo punto d’applicazione e per il coseno
dell’angolo che la direzione della forza fa con la direzione del cammino.
Dicesi lavoro virtuale il lavoro elementare d’una forza in un movimento
virtuale ο ipotetico; il principio del lavoro virtuale, usato nella statica e
già intravvisto da Galileo, consiste in ciò, che quando un sistema di pnnti
materiali è in equilibrio, se gli si imprime un movimento virtuale compatibile
con i legami stabiliti tra i suoi differenti punti, la somma algobrica dei
lavori virtuali di tutte le forzo al quale è sottomesso è uguale a zero.
Diconsiipotesidi lavoro o idee di lavoro (working ideas) quelle ipotesi e quei
concetti scientifici, che non rappresentano la vera natura delle cose, non
corrispondono a nulla di reale, ma hanno il semplice valore di finzioni utili,
di simboli artificialmente costruiti per agire sulla realtà; secondo alconi
indirizzi filosofici contemporanei, tutte le leggi scientifiche e persino le
categorie intellettuali (causalità, sostanza, forza, spazio, tempo, ecc.) non
sarebbero che ipotesi di lavoro. Cfr. Bradley, Appearance and reality, 1893, p.
284 (v. economica concezione, empirioeriticiemo, ipotesi). Legalità. T.
Gesetzlichkeit, Genetemässigkeit; I. Legality; F. Légalité. In senso generale,
conformità alle leggi positive. Per rapporto alla legge morale, Kant distingue
In legalità dalla moralità: questa è la conformità soggettiva ο volontaria
dell’atto con la legge morale, quella la con41 Rawzout, Dirion. di scienze filosofiche, Lea 642 formità oggettiva dell’ atto alla legge
stessa, in quanto cioè l’atto compiuto è quale appunto doveva compiersi. Può
dunque aversi nello azioni la moralità senza la legalità ο viceversa: si ha il
primo caso quando in buona fede si fa ciò che essa proibisce di fare, il
secondo quando si fa ciò che la legge comanda per un motivo diverso che l’obbedienza
dovuta alla legge. Cfr.
Kant, Krit. d. pr. Vernunft, D 126 segg.; Id.,The monist, gennaio 1910. Legge.
Gr. Nönog; Lat. Lez; T. Gesetz; I. Law; F. Loi. Il concetto di legge ha subito molte variazioni nella
storia del pensiero umano, le quali tutte permangono como gnificazioni diverse
dello stesso vocabolo. Agli albori della speculazione filosofica, la leggo era
considerata come un comando impartito ai fatti naturali da virtà divine occulte
© dirpotiche; poscia prevalse il concetto etico-giuridico, per cui si
considerarono le leggi naturali come norme impartito ai fatti da una volontà
sovrannaturale, alla stessa guisa che il legislatore impone ai cittadini, con
regola immutabile, i propri voleri. Con gli stoici, l’idea di legge è
trasportata per la prima volta dai fatti morali si naturali, con la scuola
epicurea essa cominciò a considerarsi come la manifestazione spontanen della
realtà intima dei fenomeni. Ma il concetto naturale di legge nel senso moderno
non comincia che verso il seicento; allora per loggo #' intese il rapporto
costante fra termini, che sono rispettivamente condizionati e condizionanti. Ai
nostri giorni la nozione di legge ha assunto una generalità anche maggiore, ο
significa uniformità di rapporto, o anche solo di posizione, tra più cose,
fatti, proprietà. La logge non è altro, per la acienza modorna, che la
concordanza dei fatti in una medesima condizione, vale a diro il fatto stesso
portato allasuamassima goneralitä. Così l’Ardigò definisce la logge ; 648 Lee
il De Greef il rapporto necessario esistente fra ogni fenomeno e le condizioni
nelle quali esso apparisce >; il Vignoli «l’ invariabilità nell’ evoluzione
© molteplicità dei fenomeni », eoo. Però non tutti i filosofi concordano nel
dare alle leggi naturali un valore rappresentativo della realtà; secondo alcuni
indirizzi filosofici contemporanei (contingentismo, empiriooriticiemo,
prammatiemo, ecc.) esse sarebbero delle semplici ipotesi, dello idee di lavoro,
senza alcuna correlazione con una realtà per sò stante e costruite solo per
ordinare în modo semplice ed economico le esperienze © per servire si bisogni
dell’azione. Si sogliono distinguere: leggi etico-giuridicho, naturali,
matematiche e storiche. Le prime non sono causali come le leggi naturali, ma
riguardano un’ azione possibile © sopportano la contraddizione; le leggi
matematiche non sono causali ο quindi non soffrono eccezioni; le leggi storiche
sono causali come le naturali (per chi considera la storia come scienza), ma
assai più complesso e meno precise per il maggior intreccio © la maggior dipendenza
dei fatti storici tra di loro. Secondo alcuni pensatori, le leggi sociali, che
appartengono al gruppo delle leggi storiche, non sarebbero assolute, fisse ο
immutabili come le leggi fisiche, ma soltanto empiriche, di tendenza © di
gruppo ; empiriche perchè non fondate su un numero sufficiente di fatti; di
tendenza perchè esprimono soltanto la direzione generale delle forze socinli,
sonza poter affermare se la loro direzione perdurerà ο inuterà, ο in qual modo
muterà; di gruppo perch? possono essero appliente soltanto a masse o aggregati
di individui. Cfr. Kant, Krit d. pr. Vernunft, 1. I, ch. I, § 1; Wundt, Logik,
33 ed., 1. II, p. 22; E. Boirac, L'idée de phénomène, 1894, p. 198 s0gg. ; L.
Weber, Sur diverses acoeptions du mot loi, in Revue philosophique, maggio ο
giugno 1894; A. Pagano, Vicende del termine e del concetto di legge nella
filosofia naturale, Riv. filosofica», sett. 1905 (v. diritto, determinismo,
empiriocriticiemo, ipotesi. Lem-Lis 644 Lemma. Gr. Λῆμμα = proposizione; T. Lehnsats,
Hüdfssate; I. Lemma; F. Lemme. Proposizione che si ammette come dimostrata in
quanto serve a preparare la dimostrazione di un'altra proposizione, che bisogna
provare e con la quale tuttavia non ha alcun rapporto diretto. Quest’uso della
parola sembra risalire a Euclide; mu già Aristotele Vadoperava per indicare le
premesse del sillogismo, τὰ AFppara τοῦ συλλογισμοῦ. Oggi si usa anche ad
indicare una proposizione press a prestito da un’altra scienza o da un’altra
parte dello stesso sistema, dove ha la propria dimostrazione. Cfr. Aristotele,
Top., VIII, 1, 156 b, 21; Fries, System der Logik, 8 Auf. 1837, p. 294 (v. dilemma,
dimostrazione). Letargia. Gr. Ληθαργία, da λήθη = oblio, ἁργία inazione; T.
Lethargie, Schlafeucht; I. Lethargy, Trance; F. Léthargie. Una delle fasi del
sonno ipnotico, la seconda stando alla teoria dol grande ipnotiemo, sostenuta
dallo Charcot ο dalla sun scuola. Lo stato letargico è caratterizzato da
ancatesin quasi generale, esagerazione dei riflessi © risoInzione muscolare
completa, cosicchè ogni più debole eccitazione meccanica determina la
contrazione (v. ipnotiemo, catalessia, sonnambuliemo, suggestione, 900.).
Levirato. Mac Lennan chiama così quel sistema di matrimonio praticato dalle
antiche tribù a famiglia poliandrica esogamica, secondo il quale un uomo doveva
sposare In vedova del suo fratello morto senza prole, per assicurargli una
posterità. Il levirnto segna un passo notevole nell'evoluzione della famiglia,
in quanto un gruppo di uomini prima nomici © poi succossivamente tra loro fratelli,
coabitano con uno stessa donna, stringendosi al patto prima detto. Cfr. Mac
Lennan, Studies in ancient history. 1878 (v. esogamia, endogamia, matriarcato,
famiglia, cco.). Liberalismo. T. Liberalismus; I. Liberalism; F. Liberalisme.
In senso politico-roligioso è la dottrina compendiata nella nota formula
cavonriana «libera Chiesa in libero 645 Lis Stato ». In senso strettamente politico,
la dottrina secondo la quale ai cittadini dev'essere garantita libertà di pensiero
e di parola, sicurezza da ogni arbitrio governativo; il che significa che il
potere legislativo e giudiziario debbono essere indipendenti quanto è possibile
dall’esecutivo. In senso economico, la dottrina che sostiene non dover lo Stuto
intervenire nelle relazioni economiche tra cittadini, grappi sociali, nazioni
(mediante premi, dazi protettivi, ecc.), le sue funzioni non essendo nd
industriali nd commerciali. Cfr. Royce, Psiohol. Rev., V, 1898, 188; © una
serie di art. di vari autori in Reo. de metaph. et de morale, 1892-1893. Libero arbitrio. Lat. Liberum
arbitrium indifferentia ; T. Willenafretheit; I. Freewill; F. "Libre
arbitro. La libertà del volere,
ossia la possibilità conoreta che l’uomo posscderebbe di determinarsi in modi
svariatissimi ο indifferentemente, vale a dire senza legami con la necessaria
azione delle cause determinanti. In altre parole, libero arbitrio vuol dire che
la decisiono tra duo possibilità opposte appartiene esclusivamente alla volontà
dell'individuo, senza che per nulla possano influire su tale docisione la
pressiono multiforme ο continua dell'ambiente esteriore © la lotta interna dei
diversi motivi e mobili. Arditrium, dice Pietro Lombardo, quia sino coatione et
necessitate valet appetere vel eligero, quod ex rations decreverit. È Malobrancho : la puissanoe
do vouloir ou de ne pas rouloir, ou bien de voulvir le contraire. E Bossuet:
plus je recherche en moi-mémo la raison qui me détermine, plus je sens quo je
n’en ai auoune autre que ma soule volonté; je sens par là clairement ma
liberté, qui consinte uniquement dans un tel choiz. Libero arbitrio significa adunquo spontaneità, assenza
di causalità ; ogni dottrina che ammette nell’ uomo il libero arbitrio dicesi
indeterminiemo, contingentismo, 0 libertiemo. Anche i deterministi ammettono lu
libertà del volere, ma semplicemento come una possibilità astratta: infatti
essendo In libertà la possibilità di coordinaro i mezzi al compimento del fine,
ed essendo la Lis 646 volontà non altro che la possibilità di una
simile coordinazione cosciente, è chiaro che senza libertà non ο) ὃ nemmeno
volontà non essendoci possibilità di coordinazione. Ma tale possibilità è
puramente astratta, perchè nel caso conereto una data decisiono è l’effetto
necessario di determinati motivi: astrattamente io posso ora scrivere e non
sorivere, ma in realtà perchè smetta di scrivere occorre si verifichino quelle
condizioni che non si verificano mentre scrivo. Oltre la maniera tradizionale
di intendere il libero arbitrio ciod quale assoluta spontaneità, quale
libertà@indifferenza,quale eocezione del principio di causalità ve n’ha una più
moderna che lo intende come autonomia della ragione, dalla quale la volontà
dipende. Per Kant l'autonomia è la volontà che, indipendentemento da ogni
mobile, si determina da sò stessa ad agire, cioò in virtà della sola forma
univeraalo della legge morale, fuori da ogni motivo sensibile; come la nostra
conoscenza si regge sopra condizioni @ priori, così anche la nostra condotta
morale deve dipendere dalla volontà morale © dalla sua legge morale; quindi
drückt das moralische Gesetz nicht anderes aus ala die Autonomie der reinen
praktischen Vernunft, d. i. der Freiheit, ossia la legge morale non esprime che
l'autonomia della ragion pura pratica, vale a diro In libertà; l'autonomia del
volero è quella proprictà del voloro, por cui osso è una logge a sè modesimo
(indipondento da ogni propriotà dell’ oggetto del volere) ». Il principio
dell’autonomia è dunque: scegliere in modo, che le massime della propria scelta
siano nollo stesso tempo comprese nel volere medesimo conic legge nnivorsale.
Secondo l’Ardigò ogni attività specitica è un'autonomia in quanto è la
trasformazione della forza esteriore, dovuta alla proprietà di cui ogni essere
è dotato, cioè alla costituzione naturale dell’ essere stesso: è un’ autonomia
perchè la forza esteriorehadovutotrasformarsi secondo la proprietà dell’
essere, il quale per tal modo trova in sè 647 118
stesso la ragione e la possibilità di operare. L’autonomia del vegetale è la
vita, del bruto è la priche, dell’uomo è l’idea, che è l’autonomia massima,
perchè è la formazione naturale più complessa, che si sovrappone, in quanto
tale, alle formazioni inferiori, dominandole, e rappresenta la maggiore
specializzazione ο indeterminatezzs di azioni. L'autonomia è dunque libero
arbitrio, pur non negando la legge universale della causalità: è arbitrio, in
quanto è la forma speciale di attività, che ha in sò stessa la ragione di
essere e domina le sottoposte, è libertà perchè non è la possibilità unica
della eteronomis, ma è un numero svariatissimo di possibilità. Per il Bergson,
invece, la libertà è lo stesso potere onde il fondo individunlo ο inesprimibile
dell’ essere si manifesta © si crea nei propri atti, potere di oui noi abbiamo
coscienza come d’una realtà immedintamente sentita, © che caratterizza un
ordine di fatti in cui i concetti doll’ intelligenza, in special modo l’idea di
determinazione, pordono ogni significato: si chiama libertà il rapporto dell’
io concreto con l'atto che osso compie. Questo rapporto à indefinibile,
precisamente perchè noi siamo liberi: si analizza infatti una cosa, ma non un
progresso; si decompone l'estensione, ma non la durata... Per ciò ogni
definizione della libertà darà ragione al doterminismo ». Cfr. P. Lombardo, Opera omnia,
1855, t. II, d. 25, 5; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, I, p. 1;
Bossuet, Traité du libre arbitre, 1872, e. II; Kant, Arit. d. prakt. Vorn., 1878, 1, $8, e Grundl. 2. Met. d. Sitt.,
1882, p. 67; Fonsegrive, Eseat sur le libro arbitre, sa théorie et son
histoire, 1889; G. Biuso, Del libero arbitrio, 1900; Ardigò, La morale dei
positivisti, 1892, p. 118 sogg.; Bergson, Essai sur les données imm. do la
conscience, 1904, p. 167 (v. determinismo, indelerminismo, libertà, epontaneità,
fatalismo, scionza media, motivi, causalità, ecc.). Libero esame. È una delle
forme della libertà di coscienza, e consiste nella facoltà di costruire da sè
stesso Lis 648 il sistema delle proprie credenze, o nello
scogliere quelle tra le credenze già costituite cho più talentano, senza che
alcuna autorità le imponga con violenza sia fisica che morale. Libertà. T.
Freiheit; 1. Liberty, Freedom; F. Liberté. Designs, in generale, l'assenza di
ostacoli al compimento di un fine: siccome poi all’ assenza di ostacoli
corrisponde la possibilità di coordinare i mezzi al fine, così per libertà si
può anche intendere la possibilità di coordinare i mezzi necessari al
compimento di un fine. Quando però à attribuita agli esseri incoscienti, non
essendo quivi possibile la concezione del fine, designa soltanto l'assenza d’
ostacoli al compimento d’una azione: ad es. un corpo dicesi libero quando
nessun ostacolo si oppone al suo movimento. Kant chiama libertà intelligibile,
0 nowmenica, ο trascendentale, quella che consiste in ciò, che l’esplicazione
d’ogni fonomeno dato è duplice: a) in quanto questo fenomeno appare nel tempo,
si deve collegarlo a fenomeni anteriori dai quali risulta, secondo leggi che lo
determinano rigorosamente in rapporto a questi; b) i fenomeni così collegati
non essendo cose in sà ma semplici rappresentazioni, hanno inoltre delle cause
non temporali che non sono fenomeni, © il loro rapporto a codeste cause
costituisce la libertà. Riguardo alla libertà umana si suol distinguere: 1° la
libertà psicologica ο libertà morale, che non è altro che la libertà del
volere, ossia la possibilità di determinarsi senza motivo o di scegliere
liberamente fra motivi di egual forza; 2° la libertà fisica che non è se non la
semplice possibilità dei movimenti del corpo; ne è privo chi è colpito du paralisi,
atassia locomotrice, acinesia, eco.; 3° libertà personalo che è la stessa cosa
della precedente, ma dipendo da cause esteriori all’individuo; manca di essa
chi è in carcero; 4° libertà cirile cioò la possibilità di esercitare i diritti
civili; 5° libertà politica che consiste nella facoltà dei cittadini di
governarsi con proprie leggi. Alla libertà politica, 649 Lis-Lin intesa in senso largo, cioò quale
facoltà concessa come tto universale agli individui di esercitare la propria
uttività con la maggior sicurezza, appartengono: la libertà di coscienza 0 di
pensiefd, che è la libertà degli individui di manifestare le proprie opinioni,
di difenderle, propagarle criticando le contrarie, tenendosi lo Stato
assolutamente neutro, specie in materia religiosa; la Ubertà di stampa, che è
la forma più alta ο più moderna della libertà di coscienza; la Ubertd di
parola, la libertà d’ associazione, 900., che sono tutte forme della libertà di
pensiero. Cfr.
Spiποσα, Ethica, IV, 68, ο tutto il 1. V De liberiate; A. Comte, Catéohieme,
positiviste, 4e entretien; Déolaration dee droite de l'homme, 1879 art. 11;
Kant, Krit. d. prakt. Vernunft,
Kritische Beleuchtung, dal $ 7 alla fine; A. Fonillée, Liberté et determinisme,
5° ed. 1907; F. Masci, Coscienza, volontà, libertà, 1884. Libertismo. I.
Libertarianiom ; F. Libertieme. Si adopera talvolta invece di indeterminiemo,
per designare tutte quelle dottrine che ammettono la libertà del volere. Fn
usato dal Bergson per designare la categoria di dottrine di cni fa parte il suo
sistema. Cfr.
Revue de métaph. et de morale, vol. VIII, p. 661 (v. necessitiemo). Linguaggio. T. Sprache; I. Language; F.
Langage. Iu senso generale è linguaggio ogni espressione degli stati interni di
un essere vivente ad un altro, mediante sogni o movimenti. In senso più stretto
è un sistema di segni, adeguato a significare i pensieri che i membri d’una società
vogliono comunicarsi; codesti segni, essendo sempre uguali, servono appunto a
legare e rievocare gli elementi sempre diversi delle rappresentazioni, da cui
si formano le idee generali: Ciò cho la natura, dice l Ebbinghaus, non offre
all’uomo, cioò dei segni costantemente simili, congiunti regolarmente alle
percezioni per metà identiche e per metà variabili, egli l’ha creato
ricavandolo da sè stesso. L'uomo ha trovato così il mezzo per estendere il Lin 650 pensiero astratto e condurlo al più alto punto
di perfezione imaginabile. Codesta creazione è il linguaggio ». Porò secondo la
dottrina religiosa il linguaggio non sarebbe già una creazione dell’uomo, bensì
ffn dono immediato fatto da Dio all'uomo; secondo un’altra dottrina il
linguaggio sarebbe una scoperta ο una invenzione fatta da principio da un uomo
di genio; invece per la moderna psicologia il linguaggio è un prodotto
psicologicamente necessario ed evolutivo della coscienza collettiva. I
linguaggi si distinguono in naturali © artificiali ο convenzionali: nei primi
l'associazione tra il segno e l’idea è spontanea, involontaria, tanto per colui
che significa, quanto per quello cui vien significato ; nei secondi invece
questa doppia associazione è arbitraria. Sono linguaggi naturali la mimics,
l’onomatopea, e, in genere, i segni emosionali o patognomici, che esprimono al
di fuori le emozioni dell’animo; sono artificiali tutti gli algoritmi e i
linguaggi articolati evoluti. Secondo 1 ipotosi di Darwin e Spencer, il
linguaggio convenzionale ha origine dal naturale: dapprima gli uomini si
servivano del gosto indicativo ο imitutivo, poi nd esso accompagnarono il suono
pure imitativo (onomatopea), infine, utilizzati più largamente i movimenti del
gesto e dell’ articolazione, sorso il linguaggio a forma fonetica, in oui
ciascun carattere è il segno d’un suono. La forma fonetica fu preceduta dulV
ideografica, in cui ogni carattere osprime direttamento un’ idea, o dalla
mimica cioò dal gesto. Si distinguono anche tro tipi fondamentali di linguo: le
monosillabiche composte di sillabe ciascuna delle quali rappresenta un’ idea
ustratta; lo agglutinanti composte di radici ciascuna delle quali esprime o una
idea generale o una accessoria; lo lingue a flesione composte di parole
ciascuna delle quali esprime un’ iden principale modificata da una accessoria.
Dicesi linguaggio emozionale quell'insieme di modificazioni organiche e di
movimenti istintivi, che costituiscono l’aspetto fisico delle emozioni, ο, in
quanto appaiono este 651 Lim riormente,
servono a indicare le corrispondenti emozioni, per l’esperienza che ne abbiamo.
Dicesi linguaggio interiore la successione dello imagini verbali, con cui si
suole esprimere una serie di pensieri, ma che rimangono allo stato psicologico,
senza dar luogo ai movimenti vocali, quando tali movimenti importerebbero una
perdita di tempo e di forza. Cfr. Marty, Uber den Ursprung der Sprache, 1896; H. Paul,
Prinzipien der Sprachgeschichte, 3* ed. 1898; Renan, L'origine du langage,
1858; Saint-Paul, Étude sur le langage intérieur, 1892; H. Bachs, Cerveau et
langage, 1905; Ebbinghaus, Psychologie, trad. franc. 1912; H. Piéron, La nuova concesione dell afasia, Rivista
di scienza », 1909, VI, 420 segg. (v. grammatica, emosionale, grafo-motore,
amnesia). Limitativi (giudizi). T. Beschränkonde Urthcile. Sotto il rispetto
della qualità il Kant distingue i giudizi in affermativi, negativi, e
limitativi ο indefiniti, la cui formula è: .4 è un non B. Questi giudizi hanno
il predicato negativo a differenza dei negativi che hanno la negazione nel
verbo; perciò il soggetto è pensato nell’ estensione di un concetto
indeterminato, che ha la sola determinazione negativa di essere al di fuori di
un concetto positivo e determinato. Quindi tali giudizi sono limitativi in
quanto limitano l’estonsione del predicato possibile di 4, essendo enso
predicuto posto al di fuori della estensionedi 8; ο sono indefiniti in quanto
non determinano a quale nozione, posta fuori dell'estensione di B, si riferisca
il soggetto .1. Ora, siccome l’includere una nozione nella sfera, sia pure
indefinita, degli esclusi dall’estensione di un’altra no: costituisce un atto
positivo del pensiero, così il giudizio limitativo non può confondersi col
negativo. l’erò questa dottrina fu molto combattuta e per molti logici il
giudizio indefinito è la stessa cosa del negativo. Cfr. Kant, Krit. d. rei.
Vernunft, ed. Reclam, Osservazioni sulla tavola delle forme del giudizio, $ 1.
Lim-Loc * 652 Limitazione. T. Beschränkung, Limitation; I.
Limitation; F. Limitation. Una delle categorie di Kant; essa si subordina,
insieme alla realtà e alla negazione, alla categoria della qualità. Limite. T.
Grenze; I. Limit; F. Limite. Originariamente il punto, la linea o la superficie
assunta a determinare la separazione tra due porzioni di spazio; esteso poi per
metafora al tempo, all’azione, alla conoscenza, 900. Terminus sive limes est
id, dice Chr. Wolff, ultra quod nihil amplius iure conoipere licet ad candom
pertinens. Nella psicologia dicesi
limite dell? eccitamento il grado minimo d’ intensità dell’ eccitazione al
quale corrisponde l'intensità minima della modificazione di coscienza, e sotto
il quale la sensazione non ha più luogo; d’uso più comune è l’espressione
soglia della coscienza, proposto dall’ Herbart. Nella gnoseologia dicesi limite della
conoscenza, la determinazione della sfera del conoscibile. Perciò Kant chiama
il noumeno, e precisamente quello in senso negativo, un concetto limite, in
quanto, sebbene si presenti necessariamente al nostro pensiero, tuttavia è
affatto indeterminato, servendo a limitare le nostre cognizioni entro i
fenomeni: Der Begriff eines Noumenon ist bloss cin Grenzbegriff, um die Anmassung
der Sinnlichkeit einzuschränken, und also nur von negatirem Gebrauche. Nella matematica dicesi limite una grandezza
finita a cui una grandezza variabile può avvicinarsi indefinitamente senza
poterla mai superare. Cfr. Wolf, Philosophia prima site ontologia, 1836, $ 468;
Kant, Kr. d. rei. Vernunft, p. 235; Wundt, Physiol.-Paychol., 43 ed., I, }. 334
segg. (v. inconcepibile, inconoscibile, subminimali). Localizzazione. Ί.
Localisation ; I. Localisation ; F. Localisation. Processo psicologico con cui
ci rappresentiamo lo qualità sensibili, e quindi gli oggetti percepi occupanti
nel nostro corpo, o in rapporto ad esso, una posizione spaziale determinata. Dicesi looalizzazione nel passato il processo
psicologico mediante il quale si determina 653 Loc
il tempo relativo ai nostri ricordi. Nella logica dicesi localizzazione o looasione
quest’ operazione mentale, che consiste nel richiamare l’idea della classe alla
quale l’oggetto appartiene, o, in altre parole, nel collocare un’ idea in una
più generale in cui è compresa. È una delle indienzioni definienti, e viene
usata per quelle nozioni che in sò stesse sono indefinibili o che non sono
ancora sufficientemente conosciute per poter essero definite. Cfr. Ribot, Maladies de la
memoire, C. 1; Bain, The Senses and the Intelleot, 8° ed., p. 415 segg. Localizzazione cerebrale. T. Corticale
Localisationen ; I. Cerebral Localisations; F. Looalisations cérébrales.
Dottrina secondo la quale le diverse attività psicologiche, sensazione,
memoria, linguaggio, ece., corrispondono al fanzionamento di centri o zone
determinste della corteocia cerebrale. Il Gall fa il primo a considerare il
cervello come un’ insieme di organi distinti, in ciascuno dei quali ha sede una
determinata facoltà; ma la sua frenologia, fondata su eriteri * cervellotici,
non è più accettata da alcuno. Tuttavia, con la scoperta fatta in seguito’ del
centro della favella nella seconda circonvoluzione frontale sinistra, e cogli
ulteriori progressi dolla fisiologia sperimentale, il concetto delle
localizzazioni cerebrali è risorto: nel senso però che, so esistono gruppi
cellulari distinti con speciali fanzioni psichiche, ciò non esclude che a un
dato fatto psichico, specio fra i più elevati, non contribuiscano più centri,
essendo il cervello un'unità, una associazione di parti sinergiche, non già nn
mosaico di piccoli cervelli. Quanto alla determinazione locale dei vari centri
psichici, essa è ancora molto incerta, ο varin a seconda degli osperimentatori.
Cfr. Broea, Sur la siège de la faculté du langage articulé, 1861; Nothnagel u.
Nauyn, Ueber die Localisation d. Gehirnkrankheit, 1887; Ferrier, The Funotions
of the Brain, 1876; Mnnk, Ueber die Functionen der Grosshirnrinde, 2* ed. 1890
(v. frenologia, grafo-motore, centro). Loe 654 Logica. Gr. λογική; T. Logik; I. Logic; F.
Logique. Si può definire come la scienza delle forme del pensiero in quanto
sono ordinate alla conoscenza; oppure come la scienza che ha per oggetto di
determinare quali, tra le operazioni mentali dirette alla conoscenza del vero,
siano valido © quali no; è dunque una scienza normativa, o precettiva, o
dimostrativa. Altri la considerano come scienza ed arte ad un tempo, o come la
scienza dell’arte del pensare; scienza in quanto fissa dei principi, arte in
quanto insegna ad applicare delle norme. Secondo alcuni la logica è scienza
puramente formale, cioè considera soltanto la forma del pensiero, il modo come
gli elementi di questo sono fra loro combinati; secondo altri è anche
materiale, cioò riguarda anche il contenuto del pensiero. Forse l’opiniono più
ragionevole è quella di coloro che nella logica riconoscono entrambi questi
caratteri, inscindibili l’ uno dall'altro, e giudicano che una logion puramente
formale non servirebbe alla scienza, ο una logica puramente materiale si
confonderebbe col sapere obbiettivo, cioè con la scienza. Si suol distinguere
là logica naturale, ossia la logion spontanen che ciascun omo porta con sò,
dalla logien riflessa ο scientifica; la logica docens © la logica utens, In
prima dello quali à la scienza delle forme del ponsiero, la seconda l’arte
delle forme stesse in quanto praticata. Dicesi logica pura sia la logica
formale, sin la logica propriamento detta in quanto distinta dalla psicologia
delle funzioni mentali dirette alla conoscenza, sia, in senso kantiano,
l’analisi critica dei principî puri dell intendimento; login genetica lo studio
genetico della conoscenza, considerata come funzione psichica; logica reale il
modo di ragionare in quanto effettivamente #’asereita. Ordinarinmente la logica
è distinta in duo parti: Ja prima tratta dello forme logiche elementari, cioè
del concetto, del gindizio e del raziocinio, la seconda tratta dell’
applicazione dello forme logicho ni fini spociali delle scienze, e costitui 655
Loe sce la metodologia. Aristotelo è
considerato a buon diritto come I’ inventore della logica, la quale, tolti i
metodi inventivi, è rimasta fino ai nostri giorni quale egli la concepì ed
espose nei sei libri ad essa dedicati, che i suoi discepoli chiamarono poi
Organo. Prima di lui se ne ha soltanto qualche scarso accenno nei sofisti e
nella dialettica platonica; la logica indiana del Nyäya di Gotama, se fu
anteriore ad Aristotele, non fa certo da lui conosciuta, nè alcuna efficacia
ebbe sul movimento intellettuale europeo. Dopo di Aristotele, lo stndio della
logica continuò sia nei suoi discepoli ο continnatori, sia nelle scuolo contrario,
specialmente negli stoici, che per i primi le diedero il nome che poi ebbe
sempre; nel loro sistema essa contituiva la parto fondamentale, procedendo la
fisica ο l’etica. Attraverso tutto il mondo antico l’antorità della logica
aristotelica durò immutata; e si accrebbe ancor più durante Veta di mezzo,
specialmente dopo che Alberto Magno © S. Tommaso so no fecero commentatori,
valendosi degli importanti Invori degli Arabi. Col cadere del dispotismo
aristotelico, verso la fine del sccolo XV, anche 1’ Organo decadde. Bacone,
incolpandolo di aver arrestato fino allora il progredire della scienza, gli
contrappone un Nuoro Organo, una nnova logica, che si fonda non più sul
sillogismo ma sull’induzione. Per vero, la teoria dell’ induzione era
conosciuta anche da Aristotele, che l'aveva ancora applicata; Bacone non fece
che allargarno l'applicazione e fiasarne le regole, che più tardi furono
ridotto n forma più rigorosa ο precisa dallo Stuart Mill. Ancho la riforma del
metodo propugnata da Cartesio, o seguita poscia dai suoi fedeli discopoli di
Porto Reale, non intaccava la logica aristotelien, in quanto non facova cho
aggiungervi un metodo per scopriro la verità. Ma da allora in poi lo studio
della logica decaddo: ridotta a una semplice arte, fu confusa colla psicologia,
e soltanto la chiara distinzione fatta dal Kant tra la forma e la materia della
conoscenza, valse à Loc 656 ricondurla alla primitiva purezza di scienza
formale. Nel secolo XIX molti ed importanti lavori furono pubblicati sulla
logica, rimanendo pur sempre intatto il fondo aristotelico: basterà ricordare,
oltre quelli dello Stuart Mill, del Bain, del Wundt, Ia teoria della
quantificazione del predicato dell’Hamilton, e il tentativo di applicare alla
logica i metodi ο le formule della matematica. Questo tentativo ha dato origine
a un largo movimento di studi, in virtà dei quali la logics formale, prendendo
in prestito dall’algebra il metodo e il simbolismo, si è costituita sotto
la.doppia forma di calcolo delle classi e di calcolo delle proposizioni, ritrovando
tra i due rami sorprendenti anslogie ed estendendosi in modo da divenire una
logica genorale di tutte le relazioni; e siccome i rapporti più semplici © più
elementari si trovano nelle teorie matematiche, era naturale che si applicasse
ad analizzare ο verificare il concatenamento delle proposizioni e a dimostrare
gli assiomi matematici, riducendoli a principi puramente logici. Questa
parentela tra la logica 6 la matematica, già intuita dal Leibnitz, si converte
per alcuni in una vera e propria identità originaria; tale concetto è sostenuto
ad os. dal Russel, per il quale tutte le proposizioni matematiche ai fondano su
otto nozioni indefinibili e venti principi indimostrabili, che sono anche le
nozioni primitive ο i principt della logica. Altri filosofi contemporanei vanno
ancora più in là, facendo della logica la base non solo della matematica, ma
anche dell’otica e dell'estetica, e in generale d'ogni forma di cognizione;
così per il Cohen anche nel campo della moralità ο dell’arto vi sono conoscenze
pure, il cui fondamento deve ricercarsi nel pensiero e che solo nell’ idea
ritrovano la consapevolezza di sb medesimo, die Idee dat dar Selbstbewusstsein
des Begriffe. Un nuovo indirizzo della logica, opposto, în certo senso, a
quelli ora ricordati, è rappresentato dalla logica psicologica, che allo studio
astratto del pensiero puro vuol sostitnire l’ analisi della realtà 657 Loa
concreta e vivente del pensiero cho si svolge negli individui singoli, la
conoscenza della funzione conoscitiva nelle sue forme ascendenti di sviluppo, e
non solo nel momento strettamente logico o discorsivo, ma anche nelle suo forme
prelogiche. Questo concetto è sostenuto specialmente dai prammatisti, secondo i
quali la logica è stata finora una pseudoscienza di quel processo non esistente
e impossibile, che suol chiamarsi pensiero puro, in nome del quale ci si è
imposto di bandire dalla nostra mente la più piccola traccia d'interesse, di
desiderio, d’ emozione, come la più perniciosa causa d’errore; invece non v’ ha
ragionamento che non abbia origine da una interna passione dell’animo, che non
si fondi sopra una credenza più o meno sentimentale, sopra un bisogno
soggettivo. Anche per il Baldwin accanto alla logica formale ο aristotelica,
che si propone di riconoscere le leggi del ragionamento valido partendo da
alcuni presupposti psicologici, e alla logica deduttiva © dialettica, che cerca
d’identificare il pensiero e la realtà, anzi di dedurre uno dei due termini
dal’ altro, deve sorgere una logica induttiva, psicologica, genetica, che deve
considerare il pensiero come un principio vivente, attivo nel mondo, che compio
il lavoro che è destinato a fare, © costituisce uno sforzo nel movimento
dell'universo dello cose, che la scienza © la filosofia aspirano a conoscere
>. Cfr. J, Stuart Mill, A System of Logic, 63 od. 1865; A. Bain, Logic,
Deductive and Inductive, 1870; Hamilton, Lectures on Logic, 1860; Wundt, Logik,
33 ed. 1893-1895; Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, 1855-1870;
Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862; Rosmini, Logica, 1853 ; Galluppi,
Lezioni di logica e metafisica, 1854; Masci, Logica, 1899; Liard, Les logiciens
anglais contemporains, 1878; Dewey, Logioal conditions, 1903; Baldwin, Thought
and thing, vol. I, 1906; Russel, The principles of mathematics, vol. I, 1903;
B. Croce, Logica come acienza del concetto puro, 1909 ; P. Harmant et A. Van de
Waele, Les principales théories de la 42 RanzoLı, Dizion. di scienze filosofiche. Loa 658 Logique contemporaine, 1909 (v. oanonéoa,
geometria, logistica, dialettica). Logicismo. T. Logieismus; I. Logioism; F.
Logioieme. Dottrina che fa della logica il principio ο il fondamento @ ogni
filosofia; tale sarebbe, ad esempio, la dottrina del Cohen, per il quale la
logica è la base non solo della matematica, ma anche della morale,
dell'estetica ο di tutte la filosofia, perchè il pensiero puro è l’attività
generatrice @ ogni processo reale 6 d’ ogni suo fondamento. Però è termine
d’uso raro ed equivoco; 8’ applica talvolta, impropria» mente, al sistema
hegeliano. Non è da confondere con logiamo, vocabolo col quale ο) indica ogni
pensabile, in quanto promuove l’attività raziocinativa, deliberativa, riflessa
delV individuo: Un fenomeno psichico, dice l’Ardigò, è un eatema o un conscio
sotto un riguardo ; è un’ idea ο un tipo sotto un altro; od è un logiomo o una
cogitazione energetica sotto un altro ». Cfr. Cohen, Syst. d. Philosophie,
1902, I, p. 37 segg.; Ardigò, Estoma, idea, logismo, Riv. di filosofia »,
maggio 1911 (v. panlogiemo). Logico. T. Logisch; I. Logioal; F. Logique.
Qualcho volta si oppone a pricologico 9 a gnoseologioo, per indicare il
pensiero in quanto non lo si considera in sò stesso, come un'attività dello
spirito (psicologico) nd in rapporto all'oggetto (gnoseologico), ma come mezzo
delle conoscenze modiate, che condnco alla verità o all’ errore a seconda che è
adoperato bene o male. Si oppone anche a morale: In certenza logica è quella
che si fonda sopra dei ragionamenti dednttivi, la certerza morale invece quella
che non può essore dimostrata, fondandosi sul sentimento dell’ individno. In
generale dicesi logico tutto ciò che è conforme alle esigenre dolla ragione.
Logistica. T. Logistik; I. Logistic; F. Logistique. Nome proposto al Congresso
di filosofia di Ginevra, 1904, da Itelson, Lalande e Couturat, per indicare la
logica simbolica, Ὁ matematica, 0 algoritmica. Cfr. L. Conturat, Compte rondu 659 Loe
du deuxieme Congrès de philosophie, Revue de métaph. et de moral », 1904, p.
1042. Logorrea (λόγος == discorso,
péw = scorro). È un fenomeno che si avvera in varie malattie mentali o consiste
in una fuga di parole, determinata da questi tre fatti: 1° incapacità del
malato di tener ferma la propria attenzione sopra le singole immagini; 2°
seguirsi di idee associate tra loro soltanto da rapporti esterni; 3° eccessiva
facilità con cui queste idee si traducono nell’ espressione verbale. La
logorrea non è da confondere con la logoclonia, che indica quel disturbo del
linguaggio, che si osserva nella paralisi progressiva, e consiste nella
frequente ripetisione di parole come da una serie di movimenti clonici degli
organi della favells. Cfr. E. Kraepelin, Trattato di psichiaria, trad. it., p.
158 segg. (v.
ideorrea). Logos. Gr. Λόγος; T. Logos; I. Logos; F.
Logos. Significa, in greco, parola
e discorso; ora, siccome la parola è la. rivelazione del pensiero, e il
pensiero stesso è, come dice Platone, il discorso che la mente fa con sè
intorno alle coso che considera, così lo stesso termine passò a significare
l'intelligenza, la ragione: quod graece λόγος dicitur osserva S. Agostino -latine et rationem et
rerbum significat ». Eraclito chiama λόγος la ragione cosmica, in virtà della
quale tutto accade ο alla quale ogni cosa à sottomessa. Aristotele intende per
λόγος sia il concetto sia la ragione, e distinguo l’é£w dal ἔσω λόγος, che è
nel“l’anima; l'2pSòc λόγος è poi la retta ragione, il giusto senso morale.
Platone distingue nell’ anima umana tre parti: la ragione o Logos, che è la
signoreggiante ed abita nel capo; l’animo ο θυμός (l’animus dei latini) che ha
sede nel petto; infine la parte appetitiva, o ἀπιθυμία, che ha sede nella
regione addominale. Per gli Stoici il Logos è ad un tempo il principio attivo
intrinsecato nel mondo, Dio, e il fuoco artefice: esso raduna le ragioni
individuali © le ragioni seminali, perciò è Logos comune 9 Logos sperLor-Lum 660 matico. In Filone il concetto del Logos non è
ben definito, essendo ora una funzione di Dio, ora un’ ipostasi ; esso è Logos
inarticolato in quanto racchiude le potenze di Dio, Logos articolato in quanto
manifestazione particolare del mondo delle idee. Per Plotino, infine, il Logos
è l’immediata produzione dell’ Uno, l'intelligenza che rappresenta l’immagine o
la parola di Dio, Col cristianesimo il Logos diventa l’eterno figlio di Dio, in
cui la sapienza e il potere di Dio sono manifestati, e che s'incarna nella persona
del Gesù storico. Hegel chiama Logos il concetto, la cosa esistente in sè © per
sè, la ragione di ciò cho è: diean und für sich seiende Sache, die Vernunft
dessen, was ist. Cfr. Heinze, Die Lehre vom Logos in d. griech. Philos., 1872;
Eraclito, Fram. 2; Aristotele, Anal. post., I, 10, 76 ὃ, 24; Stein, Die
Psychologie d. Stoa, 1886-1888, t. I, 49 segg.: Harnach, Dogmengeschiohte, 3°
ed. 1894, I, 488, 491 segg. (v. omanatiemo, demiurgo, noo). Lotta per la vita.
Con tale espressione (struggle for life) il Darwin designava la concorrenza per
le condizioni necessarie d’esistenza, che si verifica tanto tra gli animali
come tra i vegetali, e che, determinando la selezione naturale, è fattore
essenziale dell'evoluzione tanto in un regno che nell’ altro. Infatti in
codesta lotta per l’esistenza soccombono i meno adatti, i quali perciò muoiono
senza lasciare discendenti, mentre vincono, sopravvivono ο si riproducono i più
adatti: ne sortiranno quindi delle generazioni che recheranno, sempre più
rafforzati per l’eredità, quei caratteri per cui i loro antenati riportarono la
vittoria sui loro competitori. Darwin, On the origin of Species by means of
natural Selection, 1859; De Lanesson, La lutte pour l’ezistence et l’évolution
des sociétés, 1903 (v. adattamento, selezione, variabilità, darwinismo, ecc.). Lume naturale. Lat. Lumen
naturale; T. Natürliches Licht; I. Natural light; F. Lumière naturelle. Sinonimo di ragione, in quanto insieme di
verità evidenti per sò stesse ; 661 Luo si oppone al lumen gratia, che ha origine
dalla rivelazione largita da Dio agli nomini; quella è detta anche lumen
inferins, quosta lumen superius. L'espressione è di largo uso presso gli
sorittori cristiani dei primi secoli, e rimase poi sempre, sia nel linguaggio
teologico che in quello filosofico. Così Cartesio chiama lumen naturale la
capacità di aver ideo chiare ed evidenti delle verità teoretiche, anche indipendentemente
dall’osperienza. Fénelon: cette lumière ait, que les objecte sont vrais; il ne faut point la
chercher au dehors de soi: chacun la troure en soi-même. Leibnitz: pour revenir
au vérités neossaires, il cat généralement vrai, quo nous ne le connoissone que
par cette lumière naturelle, ot nullement par les expériences des sons. Cfr. Β. Agostino, De baptismo parv., I, 25; Cartesio, Medit.,
III; Fénelon, De Vexistence ot des attribute de Dieu, 1861, p. 152 segg.; Leibnitz,
Nouveau essais, 1704. Luoghi comuni. Gr. Τόποι:
Lat. Loot communes; T. Gemeinplätze; I. Commonplace topics; F. Lieux commune. Nella logioa si designano con questo nome i
titoli generali sotto cui possono essere riportati i differenti modi d’argomentazione
che si usano nelle discussioni. L’ espressione di luogo comune è propria dei
latini (loci communes) ; con essa infatti Cornificio tradusse per la prima
volta, secondo V Encken, la parola topica che Aristotele aveva adoperato per
intitolare un suo libro, nel quale sono appunto indicati i Inoghi ove si
trovano gli argomenti, che si adoperano nella ricerca non del vero, ma del
verosimile. I luoghi comuni onumerati da Aristotele, ciod la definizione, il genere,
il particolare, 1’ accidente, eco., furono poi detti intrinsoci, ai quali si
aggiunsero gli estrinseci, cioè le leggi, i titoli, il giuramento, la
testimonianza, eco. Cfr. Logique do Port-Royal, parte 93, cap. XVII; R. Eucken, Gesohichte d.
philosophisoen Terminologie, 1879, p. 51. Luogo. Gr. Τόπος! T. Ort; I. Place; F. Liew. Indica in
generale In situazione, il posto occupato dai corpi; si Luo-Mac 662 distingue quindi dallo spazio e
dall’estensione. Per gli atomisti invece, luogo è sinonimo di vuoto ο di
spazio, essendo da essi lo spazio concepito come un reale, al pari della
materia, ciod il puro luogo, l'estensione pura. Cartesio distingue il luogo
esteriore dal luogo interiore: questo è lo spazio occupato da un corpo, vale a
dire il corpo stesso in quanto ha per attributo l’estensione, quello è la semplice
situazione di tale spazio, determinata dallo relazioni che ha con gli altri
corpi. Cfr.
Cartesio, Principes de la philosophie, II, 14 (v. estensione, inane). M M. Nolla notaziono usuale dei sillogismi
designa il tormine medio. Nei versi mnemonici i cui termini designano i modi
validi delle quattro figure del sillogismo, è adoperata per designare che la
ridnzione d’un modo delle tre ultime figure ad uno della prima, deve essere
fatta medinnte la metatesi delle promesso. Ad es. il modo inCalemes della
quarta figura deve in tal guisa essere ridotto al modo in Celarent della prima
(v. sillogismo, modo, premessa, termini, conversione). Macrocosmo.Gr. paxpò; =
grande, κόσμος = universo ; T. Macrocosmus; I. Maorocosm ; F. Macrocosme.
Questa parola si trova da principio nei medici greci e fu popolarizzata in
Occidente da Boezio, secondo 1’ Eucken. Si usa solitamente per designare 1’
universo, in corrispondenza al microcosmo, che è }’ essere individuale, il
quale considerato isolatamento presenta un tutto sistematico, come un colo
universo. Il concetto della corrispondenza tra V individuo ο il tutto trovasi
già in Platone, in Aristotele, negli Stoici, poi in Boezio, Cusano, G. Bruno,
Leibnitz. Così per Bruno, non solo l’uomo ma ogni monade o sostanza individuale
è una manifestazione immediata dello vita infinita: l’universo ha in ed tutto
l'essere ο tutti i modi di ca 663 Mac
sere;... ed ogni cosa dell’ universo comprende in suo modo tutta l'anima del
mondo, la quale è tutta in qualsivoglia parte di quello. Ugualmente per
Leibnitz ogni monade individuale riflette in sò come uno specchio tutto }
universo, Cfr. Stein, Die Psyohol. d. Stoa, 1886-1888, I, 207, 441; G. Bruno,
De la causa, principio e uno, in Dialoghi metafisici, 1907, p. 242, 244;
Leibnitz, La monadologia, 1714. Maggiore. T. Oberiegrif, Maior; I. Major term;
F. Majeur. Nel sillogismo dicesi maggiore il termine che ha l'estensione
maggiore, © maggiore la premessa che contiene, come soggetto o come predicato,
il termine maggiore. Nei sillogismi ipotetici o disgiuntivi la maggiore è
quella delle due premesse cho contiene l'ipotesi o la diagiunzione. Nella
conclusione il termine maggiore fü sempro da predicato (v. termini). T. Magie;
I. Magic; F. Magie. Nollo religioni primitive è un insieme di pratiche
(incanti), che conferiscono ad un individuo o ad un gruppo di individui il potere
eccezionale di operare miracoli e prodigi, sia nell’ interesse dell’ individuo
sia in quello della comunità. Secondo una dottrina ormai caduta, la religione
sarebbe derivata dalla magia e non ne rappresenterebbe che una specio ; secondo
un concetto più scientifico, i riti magici non sono che una degenerazione dei
riti roligiosi, operatasi, in virtù di cause particolari, solo in alcuni popoli
orientali. Nel Rinascimento la magia assunse carattere di dottrina filosofica e
religiosa, e si diffuso nel mondo occidentale specie por opora di Cornelio
Agrippa; essa era un insieme di principi o di norme pratiche tendenti a
sviscerare o dominare lo forze divine che si occultano nella natura. Si
distingueva in: elementare, cho scrutava lo forze occulto degli elementi
corporci ; celeste, che ricorcava l’ influsso dello stello; dirina, cho si
valeva della fede e delle cerimonie religiose. Alla prima ricerca era di
sussidio l’ alchimia, alla seconda l'astrologia, alla terza la tenrgia. Magia
naturale dosignò per lungo . MAG-Mar 664
tempo la fisica sperimentale; Bacone
indicava con tale espressione delle operazioni che dipendono dalla conoscenza
della causa formale, in opposizione a quelle che non richiedono che la
conoscenza d’ una causa efficiente, mentro il meccanismo intimo del fenomeno da
produrre resta οὐculto, Cfr. M. del Rio, Disquisitionee magice, 1599, 1. I,
cap. 2; Porta, Magia naturalis, 1558; Bacone, De dignitate οἱ augmentis
scientiarum, 1829, 1. III, ο. 5; Frazer, The Golden Bough, 2* ed. vol. I, p. 62 segg., 220 segg.;
C. Fossoy, La magie assyrienne, 1902; A. Lang, Magic and religion, 1901; Hubert
et Mauss, Faquisse d’une théorie générale de la Magie, Année sociologique, VII,
1902-1903. Magnetismo animale. T.
Thierischer magnetismus; I. Animal magnetism ; F. Magnetismo animal. Fluido che
si credeva emanare dal sistema nervoso di certe persone, e inediante il quale
si cercavano spiegare i fenomeni detti oggi di ipnotismo, di suggestiono © di
telepatia. Ἡ nome ο l’idea di questo fluido, causa pretesa dell’ azione del
pensiero a distanza, fu tolta per analogia del fluido magnetico, cui si
attribuiva l’azione a distanza dei corpi elottrizzati. Cfr. Sallis, Der
thierischo Magnetismus, 1887. Maieutica. Gr. Μαιευτική; T. Maieutik; I.
Maieutios ; F. Maieutique. Nelle sue conversazioni filosofiche, Socrate usava
due metodi o procossi: quello negativo dell’ ironia © quello positivo della
maieutica, detta poi anche ostetricia. Dopo aver distrutto, col primo, le
ragioni degli avversari, o averli convinti della loro ignoranza, egli li
conduceva, per mezzo di opportune interrogazioni, a scoprire i vori che tenevano
nascosti nelle profondità dello stesso loro spirito, li aiutava, insomma, a
partorire (yatebopat) quelle idee che esistevano latenti in loro medesimi.
Perciò l’ arto di Socrate non è di infondere in altri le idee proprie, ma di
risvegliare nogli altri le loro stesse idee; |’ arte sua 80miglia dunque a
quella di sua madre, la levatrice Fenarote, anzi è senz'altro un’ arte di
lovatrice. Come le le 665 Mar vatrici
aiutano a partorire le donne, dice Platono nel Teeteto, così egli gli uomini,
con questa differenza però che egli non fa da levatrice ai loro corpi, ma alle
loro anime partorienti ». E ciò prova come Socrate non avesse dottrine
filosofiche determinate, che potesse ϱ volesse comunicare come maestro; aveva
invoce vivissimo il sentimento della necessità del sapere, e questo voleva
formaro ad ogni costo, facendo per ciò assegnamento sopra la suaabilità dialettica
e sulla spoutaneità naturale, sulla primigenia attività dello spirito umano,
che appunto con quella sua abilità si proponeva di secondare e di svolgere.
Cfr. Platone, Teeteto, VI, 148 E segg.; Senofonte, Memor., IV, 4, 5-52; G.
Zuccante, Intorno al principio informatore ο al metodo della filosofia di
Socrate, Riv. di fil. ο scienzo af. », fobbraio 1902 (v. agonistica, eristioa,
endeictioa, elenotica). Male. T. Uebel, Böse; I. Evil, Wrong; F. Mal. In senso
genorico è tutto ciò che è oggetto di biasimo o di disapprovazione, tuttociò a
cui la volontà ha diritto di opporsi per reprimerlo o modificarlo. In senso
astratto, o metafisico, il male non è che una negazione, una imperfezione, una
mancanza, 1’ opposto cioò del bene che è la perfezione, l'accordo tra il fine
degli esseri e il loro sviluppo. Così per Plotino il male non è per sò stesso
qualche cosa di esistente positivamente, ma è l'assenza del bene, il non
essere; il non essere a sua volta è la materia priva di proprietà, lo spazio
vuoto e oscuro. Anche per S. Agostino solo il bene ha una esistenza reale nel
mondo, e il male nelle creature è una caduta, una mancanza, una privazione del
bene; dottrina accettata poi da S. Tommaso, che considera il malo come la
perdita di quel beno che un essere dovrebbe possedere, remotio boni privative
aocepta malum dicitur, out privatio visue cavitas dicitur. Furono distinte due
specie di mali: il male fisico, cioè il dolore, derivante sia da una
alterazione del corpo, sia dai bisogni non soddisfatti della intelligenza e
dell’affettività, ο il male moMax il 666
rale, che fa inteso in vari modi, o come
trasgressione volontaria della legge prescritta dalla coscienza, o come il
demerito, cioè il diritto al castigo come conseguenza dell’azione immorale
compiuta, ο come l’ abbassamento della dignità individuale in seguito
all’azione stessa, Nelle religioni dualistiche il male è concepito come un
principio necessario, eterno ed assoluto come il principio del bene, © gli
avvenimenti del mondo attribuiti alla lotta dei due principi contrari. La
teodicea è quella parte della teologia che cerca scagionare la divinità
dell’esistenza del male. Già con Platone o con gli stoici il problema della
toodicen comincia ad essere trattato: si Deus est, unde malum? si non est, unde
bonum? La soluzione più celebre di questo problema è dovuta al Leibnitz, che,
raccogliendo ο coordinando gli argomenti svolti in precedenza dagli altri pensatori,
sostiene casere il male una conditio sine qua non del bene: Il male, egli dice,
si può intendere metafisicamente, fisicamente ο moralmente. Il male metafisico
consiste nella somplice imperfezione, il male fisico nella sofferenza, il male
morale nel peccato. Ora, quantunque il male fisico e il male morale non siano
necessari, basta che in virt delle vorità sterne siano possibili. E poichè
codesta immensa regione di verità contiene tutte le possibilità, è nocessario
ci una infinità di mondi possibili, che il male entri in molti di ossi, ο che
persino il migliore di tutti ne contenga; è ciò che ha determinato Dio n
permettere il male ». Cfr. 8. Agostino, De civit. Dei, XI, 22; 8. Tommaso, S.,
I, q. XLVIII, art. 3; Chr. Wolff, Verniinftige Ged. v. Gott, 1733, I, § 1056;
Leibnitz, Fesais de Théodicee, 1710, I, $ 23, 25 (v. ottimismo, pessimismo,
dolore, sentimento). Mania. Gr. Mavia; T. Manie; 1. Mania; F. Manie. Per quanto
sia vario il significato di questa parola, tuttavia la maggior parte degli
alienisti la considerano ormai come una sindrome di malattie mentali, che può
anche non aocompagnarsi a disturbi di coscienza, ed è caratterizzata da 667 Max
grande varietà di umore, agitazione motoria, facile distraibilità, logorrea,
esaltamento. Può essere oronica e transitoria; nel primo caso può durare non
ostante lievi oscillazioni qualche anno, nel secondo caso poche settimane
soltanto ο anche pochi giorni. Alcuni psico-patologi amnfettono anche una mania
idiopatica, come psicosi autonoma caratterizzata da un accesso di stato
maniaco, stabile ο “permanente, e la distinguono in due ‘gruppi: ipomania, ο
eccitazione maniaca, consistente in una semplice esaltazione delle funzioni
cerebrali e soprattutto del tono sentimentale, senza incoerenza, senza delirio,
senza allucinazioni; delirio aouto, caratterizzato da grande agitazione,
obnubilazione intellettuale, incoerenza caotica delle parole ο degli atti.
Dicesi mania ragionanta quell’anomalia mentale, che si rivela con una
sovrattività delle funzioni in-tellettnali, bisogno imperioso di agire e di
muoversi, continua concezione di nuovi progetti in gran parte assurdi ©
ridicoli, prodigalità senza limiti, mendacio; mania degenerativa una psicosi
degenerativa, caratterizzata specialmente da perdita più o meno completa del
senso morale, idee ambiziose, tendenze distruttive. Cfr. Mendel, Die Manie, 1881;
Krafft-Ebing, Die Melancholie, 1874; Magnan, Leçons oliniques sur les maladies
mentales, 1899, p. 379 segg.; Campagne, Traité de la manie raisonnante, 1869;
J. Finzi, Compendio di psichiatria, 1899, p. 149-78. Manicheismo.T. Manichäismus; I. Manicheirm; F. Manichéieme.
Dottrina filosofica e religiosa, insegnata nel terzo secolo dell’ dra nostra da
Mauicheo, sacerdote cristiano. Il fondamento di questa dottrina è il dualismo,
per cui tatti i fenomeni dell’ universo sono attribuiti alla lotta fra due
principî ugnalmente primitivi, eterni ed assoluti, il bene e il male; perciò
dicesi anche manicheismo ogni dottrina filosofica che ammette due principi
cosmici eoeterni, l'uno del bene, l’altro del male. Sembra però che nel
manicheismo genuino il principio del male non fosse altro che la Man-Mas 668 materia, considerata come eterna, ma concepita
come la negazione (privazione) opposta all’ affermazione, conformemente ad idee
filosofiche già diffuse nel mondo antico. Cfr. 8. Agostino, Confese., VII, 3;
F.C. Bauer, Manichälsches Religionssystom, 1881 (v. catari, dualismo, maedeiemo).
Mantica (Μαντεύομαι --profetizzo). L’ arte di prevedere il futuro, arte che
negli stadi inferiori della religiosità : è tutt'uno con la magia. Nella
filosofia stoica ha grande importanza e costituisce una parte della fisica:
secondo gli stoici, una causalità ineluttabile collega nel mondo tutte Je cose
e gli avvenimenti, © tutti li conduce ad una causa prima, che è la causa delle
cause, ciod Dio ο la necessità; dato questo legame, ogni avvenimento è segno di
quello cho gli succede, lo preindica; ora l’anima umana, essendo una parte
dell’ anima del mondo, della divinità, è capace di questa preindicazione o
predizione, nella quale può essere anche affinata dallo studio ο dalla
osservazione. Cicerone, nei libri De divinatione, ci ha lasciato molte notizie
intorno a codesta arte. Cfr. F. Ogereau, Le systéme philosophique des Stoiciens, 1885, cap. IX (v. magia, profetismo). Marginale. T. Grens;
I. Marginal; F. Marginale. Ciò che trovasi ai confini d’una regione, sia essa
la coscienza, lu personalità, eco. In questo senso usansi anche in economia le
espressioni utilità marginale, margine di coltivazione, eco. Cfr. F. Myers, Human
Personality, 1903, I, Introd. $ 14; Fawcott, Manual of political theory, 1863,
L II ο. IL. Massa. T. Masse; I. Mass; F. Masse. Nol linguaggio
comune designa la quantità di materia contenute in un corpo, © questo fu anche
il significato attribuitole dalla scienza. Però, siccome gli stati della
materia sono molteplici, codesta quantità non può essero misurata dal volume
dei corpi, che è mutabile, ma soltanto dal loro peso (p). Anche il pesa varia
col variare del luogo ovo è valutato, 669 Mas-Mar mentre la quantità di materia rimane
costante; ma siccome col variare del peso varia, e nello stesso rapporto, anche
l’ accelerazione (9) dovuta alla pesantezza, e quindi il quoziente del peso d’
un corpo dovuto all’ accelerazione è una quantità costante, così nella
meccanica razionale per massa si intendo: il quoziente che si ottiene dividendo
il peso di un corpo per l'accelerazione dovuta alla pesantezza, essendo il peso
e 1’ accelerazione misurati in un medesimo luogo: + = m. Però le nuove dottrine
sulla costituzione elettronica della materia vengono modificando sempre più la
nozione classica di massa; gli elementi degli atomi che si dissociano perdono
non solo le qualità specifiche dei corpi da cui provengono, ma anche la massa,
misurata dal peso, cosicchè ogni distinzione tra ponderabile © imponderabile
viene a scomparire. Cfr. G. Le Bon, L'evolution de la matière, 1905, p. 14-15.
Massimizzazione della volontà. È la formola suprems della morale utilitaria di
Geremia Bentham. Ogni tomo è spinto ad agire dalla ricerca del massimo
interesse proprio; ma siocome l'interesse di cisseuno è legato n quello di
tutti per ls simpatia © la sanzione, così procacciando la felicità nostra noi
sumentiamo la somma totale della felicità umana; perciò si diranno morali
quegli atti che mirano a procacciare la massima felicità del massimo numero. Cfr. J. Bentham, Deontology,
1834. Matematica. Gr. Μαθηματική; T. Mathematio; I. Mathematics;
F. Mathématique. La scienza delle
relazioni astratte. I pitagorici, che usarono primi questo nome, designavano
con esso tutto il conoscibile, tutta la scienza da loro possednta; e ciò è
naturale, poichè essi consideravano il numero come l’ essenza stessa della
cosa, e tutte le cose ed i fenomeni riducevano si numeri, alle combinazioni ο
proprietà dei numeri. Mutati poi 1 criteri scientifici, ο sérte, con
Aristotele, le scienze natnrali, l'oggetto della mateMar 670 matica fu ridotto ai numeri, alle figure, alle
grandezze in genere, © alla determinazione dei loro rapporti. Tale è rimasto
poi sempre l’oggetto della matematica, il cui o6mpito consiste, secondo il
Comte, nella misura indiretta dei valori: tutti i calcoli matematici consistono
nella risolazione di alcuni valori sconosciuti ο ricercati in altri conosoiuti
ο dati; tra questi ultimi ο i primi deve esistere un rapporto reale o supposto
». Essa si differenzia da ogni altra scienza non tanto perchè si occupa
soltanto della quantità, come perchè è scienza non causale, essendo lo sue
verità fuori del tempo e indipendenti dalla nozione di forza. Nelle matematiche
si distinguono: la matematica propriamente detta e la fisico-matematica,
formata di elementi di matematica pura e di fisico, come la meccanica ο
l'astronomia. La matematica propriamente detta si divido a sua volta in due
gruppi, il primo dei quali comprende 1’ aritmetica, 1’ algebra elementare, 1’
algebra superiore, e riguarda soltanto le idee di quantità, di numero e di
rapporto, senza supporle in alcun oggetto particolare © senza riferirsi alle
nozioni di forma o di grandezza concreta; il secondo è costituito dalla
geometria, che è la scienza delle proprietà dell’ estensione. Il metodo proprio
dello scienze matematiche è quello deduttivo; 1’ induzione non ha in esse che
rado applicazioni di cui 1’ esompio più importante è quello del Bernouilli,
detto della conclusione da n ad n + 1. L'importanza della matematica tra le
altro scienze va sempre più crescendo, 9 sempre più generale si va facendo l’
applicazione dei suoi metodi agli altri campi del sapere. Ciò massimamente
perchè la quantità è una proprietà essenziale della realtà, © le qualità doi
fenomeni sono quasi sempre dipendenti dalla quantità. Ciò non toglie che non
sia arbitraria 1’ applicazione universale delle matematiche da alcuni tentata,
poichè, osserva il Masci, non esistendo la quantità a sò, ma come quantità di
qnalche cosa, la spiegazione quantitativa delle qualità deve 671 Mar
arrestarsi ad un punto in eui le qualità devono essere supposte
indipendentemente da ogni ragione quantitativa. Cfr. Comte, Cours de
philosophie positive, 1830-1842; Poi caré, articoli in Revue de métaph. et de
mor. », 18981901; Masci, Logica, 1899, p. 474-484; Cohen, Logik der reinen
Erkenntnis, 1903, p. 102 segg.; A. Lalande, Letturo nella filosofia delle
scienze, 1901, p. 66 segg. (v. funzione, geometria, integrale, iperspario,
numero, problema). Mateologia (µάταιος = vano; inutile). Significa scienza
vana, che non ha fondamento nella realtà, come l’ alchimia, la magia,
l'astrologia, la mantica, eco. Dicesi anche matoosofia. Materia. Gr. fry; T.
Materie, Stoff; I. Matter; F. Mafière. Questo termine hs due significati
affatto distinti, a seconda che si contrappone a forma o a spirito. La contrapposizione
di materia a forma è propria della filosofia antica, specialmente aristotelica;
in essa per materia ϱ) intende non una sostanza in generale, ma una certa
specie di sostanza, οἱοὸ la sostanza materiale, quella che si manifesta ai
nostri sensi, in contrasto con la nostra attività cosciente: in altre parole,
1’ oggetto in quanto lo si oppone al soggetto. La contrapposizione di materia a
forma è rimasta tuttavia anche nella filosofia moderna, ma con diverso
significato : trasportate, specie dopo Kant, dall’ essere al conoscere, per
materia della conoscenza si intende ora tutto il contenuto oggettivo di essa,
vale a dire lo sensazioni, le percezioni sensibili e intellettuali, i concetti,
ece.; per forma della conoscenza #’ intende poi, nel senso logico, il modo
dell’ attività del pensiero che si fissa come prodotto logico, e nel senso
gnoseologico, la funzione formatrice della sensibilità e del pensiero. Tornando
ora alla filosofia antica, la materia è dunque per ossa 1’ essere indeterminato
in generale, che la forma poi determina, è il fondo comune delle cose, da cui
tutte sortono e in cni tutte riposano: tale fondo comune per gli ionici
primitivi Mar 672 è l’acqua, l’aria, ο il fuoco, per
Anassimandro l’ infinito miscuglio primitivo, per Democrito un composto di
pieno © di vuoto, d’ atomi e di spazio. Platone fa della materia l'opposto
dell’ idea: questa è 1’ essere, quella il non-essere, questa à il medesimo,
quella 1’ altro. Aristotele la considera come I’ ente in potenza, mentre la
forma è l’ente in atto: l’attuale è dunque la materia determinata ο configurata
mediante la forma. Codesto dualismo posto da Aristotelo tra forma © materia non
fu mai superato dalle filosofie auccessive; ma con lo schiudersi dei tempi
moderni, il problema assume una orientazione diversa, e la materia, contrapposta
allo spirito, non designa più che 1’ insieme dei corpi, ciò di cui i corpi sono
fatti, l'essere ο la sostanza alla quale attribuiamo le qualità sensibili. Per
Cartesio materia © spirito sono realtà ugualmente sostanziali, ma essenzialmente
distinte per natura; 1’ essenza della prima à P estensione, della seconda il
pensiero. Sorse quindi il problema se noi possiamo conoscere realmente le
qualità di codesta materia. Esso fu risolto dai cartesiani con la distinzione
delle qualità della materia in primarie o assolute, e secondarie o relative: le
prime, cioè l’ estensione, la figura, la divisibilità, il movimento, sono
inerenti si corpi stessi e quindi indipendenti dai sensi; le seconde come i
colori, i sapori, gli odori, sono variabili e semplici modi della nostra
sensibilità. Questa distinzione fu accettata anche dal Locke ο dalla scuola
scozzese: il Leibnit la completò, aggiungendo all'estensione l’antitipia come
complemento necessario dell’ essenza della materia. Ad entrambe queste
soluzioni si oppone la filosofia critica: l’ estensione non è che una forma
della sensibilità; la conoscenza della materia in sò stessa è irraggiungibile;
i fenomeni materiali da noi conosciuti sono puramente soggettivi e dipendenti
dalla natura ο dalle forme della nostra sensibilità. Kant distinse infatti la
materia come fenomeno, dalla materia come nowmeno, ossia la materia in sò:
questa è nasoluta 618 Mar mente
inaccessibile alla nostra conoscenza, rimane fuori dal campo delle nostre idee;
il nostro spirito non coglie che il fenomeno relativo e variabile, e completa
la conoscenza imponendogli le forme assoluto della sensibilità. 11
neo-criticiemo ha accettato i risultati generali del criticismo: la materia non
è che una nostra supposizione necessaria per spiegare i fenomeni cho si
manifestano ai nostri sensi, ma non ci è direttamente conosciuta nella sua
realtà; noi non potremo mai concepirla quale à in ed, ma solo in rapporto alle
nostre sensazioni e alla necessità del nostro pensiero. Ma oltre al problema
gnoseologico ο metafisico, la materia involge anche un problems fisico,
riguardante la natura di codesta materia. La scienza moderna risolve il
problema in tre modi principali: con l’atomismo, ciod la dottrina che
concepisce la materia como composta di sostanze realmente distinte,
infinitamente piccole, indivisibili e tuttavia estese, separate da intervalli
vuoti, impenetrabili le une alle altre, incapaci di movimento spontaneo e
capaci soltanto di trasmetterlo, influenzandosi reciprocamente con forze
attrattive e repulsive; col mecoaniemo, che nega l’ esistenza degli stomi
materiali e riduce la materia al movimento, ad un finido cioè continuo,
omogeneo, nel quale il movimento determinerebbe delle unità apparenti, dei
vortici, degli anelli turbinanti ; col dinamiemo, la dottrina ciod che pone
come ultimg elemento della materia, non l'atomo ma il centro di forza, ossia un
punto invisibile intorno a oui irraggiano in tutte le direzioni delle linee di
forza, per mezzo delle quali ogni punto è in relazione con tutti gli altri
punti dell’ universo. Cfr. Platone, Timeo, 48 E, 49 A, 50 C, D; Aristotelo, Metaph.,
VII e VIII; Cartesio, Prino. phil., II, 23; Locke, An essay conc. hum.
understanding, 1877, 1. III, c. 10, $ 10 ο 15; Leibnitz, Nouv. Essais, 1704,
IV, ο. III; Kant, ΚΙ. d. r. Vernunft, od. Reclam, p. 31 segg.; Ostwald, Ch ache
energie, 1893, p. 5 segg.; Le Bon, L’evolution de la ma43 RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche. Mar 674 tière, 1905; E. Naville, La matière, 1908 ;
Ardigò, Opere filosofiche, I, Ρ. 103 segg., II, p. 49 segg. (v. energismo, materialiemo,
dualismo, monismo, spiritualismo, inerzia, energia, impenetrabilità, massa,
essenza, sostanza, ecc.). Materiale. Τ. Stoflich, körperlich; I. Material; F.
Matériel. Tutto ciò che riguarda la materia, che è della natura della materia;
può essere contrapposto tanto a formale quanto a spirituale, con signiflcasioni
naturalmente diverse. Così nei sistemi filosofici dell’antichità il principio
materiale è la materia prima e originaria delle cose; ad 98. per Anassagora il
principio materiale sono le omeomerte, il principio formale il vodg ο
l'intelligenza; per Parmenide i fenomeni fisici si spiegano con due principj
materiali, la Ίμοο e le tenebre, e un principio formale che li combina in
differenti rapporti, l’amore. Si dice poi verità materiale la conformità del
pensiero con la cosa a cui si riferisce, ϱ verità formale l'armonia del
pensiero con sò stesso ; logioa materiale quella che riguarda la materia o il
contenuto del pensiero, ο logica formale quella che ne considera esclusivamente
la forma, cioò il modo come i suoi elementi sono fra loro combinati. Nella
meccanica dicesi punto materiale il corpo di cui le dimensioni sono supposte
infinitamente piccole, restando tuttavia dotato delle proprietà generali della
materia, quali l’impenetrabilità ο il peso. Materialismo. T. Moterialienas ; I.
Materialiem; F. Matérialieme. Il termine compare per la prima volta all’epoca
di Roberto Boyle. È la dottrina che nega l’esistenza di sostanze spirituali e
non ammette altra sostanza che la materia, concepita in vari modi nei vari
sistemi materislistici, ma che ha sempre per carattere fondamentale d’essere un
insiemo di oggetti individuali, rappresentabili mobili, figurati, occupanti
ciascuno un luogo dello spazio. Matertaliste dicuntur philosophi, dico il
Wolff, qui taniummodo enti a materialia sive corpora eziatero affirmant. E Baumgarten:
Qui negat erisientiam monadum cat materialista uni 675 Ματ versalis. Qui negat eziatontiam monadum
universi, e. g. huiue partium est materialista cormologione. Questa dottrina,
como mostra il Lange, si incontra tra i più antichi tentativi d’una concezione
filosofica del mondo. Si distingnono perd nel materialismo due forme o fasi: il
primitivo, che potrebbe anche dirsi dualistico, il quale, pur distinguendo il
corpo dall'anima, considerava sì l'uno che l’altra come sostanze materiali;
esso si trova nella filosofia presocratica, nello stoicismo, nell’epicureismo e
persino nei 88. Padri anteriori a S. Agostino; il moderno o monfstico, che
sopprime codesta dualità tra materia e spirito, tra corpo ed anima, riguardando
la seconda come una funzione ο un aspetto del primo. Con estensione forse
illegittima del vocabolo, molti filosofi moderni chiamano materialismo ogni
dottrina che, pur riconoscendo l’irreducibilità del fatto psichico al fatto
fisico, considera tuttavia la nature, il mondo esteriore în genere, come
sprovvisto di coscienza ο retto da leggi puramente meccaniche. Così per lo Schopeuhauer
ogni controversis sopra l ideale si riferisco all esistenza della materia,
perchè, in fondo, è la realtà ο l’idealità di questa che è disoussa: La
materia, come tale, esisto puramente nella nostra rappresentazione, ο è
indipendente da essa? In quest’ultimo caso sarebbe la materia la cosa in sò, e
chi ammette una materia esistente in sò, deve essere, per conseguenza,
materialista, ciod deve fare della materia il principio di esplicazione di
tutte le cose ». Con l’espressione materialismo peloofisico, si intendono sia
le dottrine che, basandosi sull constatazione empirica del parallelismo
esistente tra la serio dei fatti psichici e la serie dei fatti fisiologici o
fisici, considerano però i primi come semplici epifenomeni; sia le dottrine
che, pur ammettendo la perfetta originalità delle due serie, la psichica e la
fisica, © considerando quindi la prima come irreducibile alla seconda, dà però
la preferenza dal lato teorico o scientifico alla serie fisica. Il materialismo
si Mar 676 basa, in generale, su due argomenti
fondamentali: 1° sui rapporti tra corpo ed anima, ossia tra sistema nervoso ο
coscienza; ovunque si abbia sistema nervoso αἱ ha coscienza. mancando il
sistema nervoso manca la coscienza, variando il sistema nervoso varia la
coscienza; dunque il sistema nervoso è causa della coscienza; 2° sulla dottrina
della conservaziono della materia e dell’ energia; nella natura nulla si crea e
nulla si distrugge; ogni fenomeno non è che In trasformazione di un’altra forza
prima in altro modo esistente; il fenomeno psichico non sorge quindi dal nulla,
ai riconduco esso pure ad una trasformazione di materia ο di forza. Oltre a
questi argomenti positivi, ve ne hanno due negativi: 1° l'impossibilità di una
rappresentazione spaziale in un’ anima semplice ο inestesa; 2° l’ inconcepibilità
di una azione reciproca fra due sostanze oterogenee. Cfr. Chr. Wolff, Peychol.
rationalis, 1738, § 33; Baumgarten, Metaphyrica, 1739, $ 395; Büchner, Kraft
und Stoff, 1883; Schopenhauer, Die Welt ale W. und Vorst., ed. Reclam, II, p.
30 segg.; Eucken, Geschiokte, d. philon. Terminologie, 1879, p. 132, n. 3;
Höffding, Peyohologie, 1900, p. 11-15, 75 segg.; Lange, Geschichte der
Materialismue, 1896; A. Faggi, I! ma_terialiemo peicofisico, 1901; F. Masci, Il
materialismo peioofisico, Atti della R. Acc. di Napoli », 1901; Ardigd, Opere
fil., I, 209 segg., IX, 306 (v. anima, coscienza, spirito, monismo, dualismo,
parallelismo, influsso fisico, ecc.). Materialismo storico. Espressione creata
dall’ Engels per designare la dottrina di Carlo Marx. Oggi si applica ad ogni
indirizzo sociologico, che considera tutti i fenomeni sociali come produzioni
scaturenti dal sottosuolo dei rapporti economici (rapporti di produzione, di
distribuzione e di circolazione della ricchezza). Per dimostrare la cansalità
dei fenomeni sociali, esso si fonda principalmente su queste tre condizioni: il
fatto economico è di sua natura esclusivamente umano; è il più somplice di ogni
altro fatto sociale; precede cronologicamente tutti gli altri 677 Mar
fenomeni della convivenza umana. Conseguenza immediate di tale dottrina, è che
l’espandersi continuo dell’ energie produttivo determina coi rapporti sociali
esistenti molteplici contrasti, i quali, divenuti a poco a poco irreconciliabili,
erompono in un conflitto che si enuncia in un cangiamento dello forme
politiche, religiose, artistiche, scientifiche, filosofiche © si compie collo
spostarsi dei rapporti economici. In tal modo procederebbe il cammino
ascendènte della storia e della civiltà. Va notato però che, oltre coloro che
sostengono rigidamente codesta causalità diretta ο immediata del fenomeno
economico (Loris, Lafargue, ecc.), vi sono altri che la concepiscono come un
rapporto di interdipendenza, ammettendo che i fenomeni giuridici, politici,
religiosi, ecc. si svolgano sì in funzione del fenomeno economico fondamentale,
ma che, una volta prodotti, possano per reazione esercitare una efficacia determinatrice
sopra il fenomeno onde hanno tratto I’ origine (Engels, Labriola). All’
espressione impropria di materialismo storico, dovuta al fatto che esso sorse
come opposizione all’ idealismo storico, alcuni vorrebbero che si sostituiasero
lo altro: determinismo sconomico, sconomiemo atorico, concezione materialistica
della storia, ecc. Il Croce, ad es., sconsiglia questa denominazione di
materialismo, che non ba ragione d’ essere nel caso presente, © che fa nascere
tanti malintesi », mentre potrebbe utilmente sostituirsi con quella di
concezione realistica della storia. Il Labriola trova invece ln denominazione
opportuna, in quanto compendia l’origine storico-psicologica della dottrina,
nata nol pensiero di Marx e di Engels quando trovarono che il matorialismo
tradizionale sino al Feuerbach non spiegava la storia; dal panto di vista della
crisi interna, che subirono il Marx e P’Engels, il nome dunque non è secondo il
Labriola indifferente, anzi rileva 1’ origine della dottrina e la sua posizione
di fronte # quelle contemporanee, che si sforzarono disuperare i limiti delMat-Maz
678 V idealismo. Cfr. Engels, Horn Eugen Dühring’s
Umwalsung dor Wissenschaft, 83 ed., p. 12; Marx, Zur Kritik der politi schen
Oekonomie, 1859, pref.; P. Lafarguo, Le dsterminisme économique de K. Marz,
1909; E. Rignano, Le matérialieme Mstorique, Riv. di scienza », 1908, V, p. 114
segg.; A. Loria, La sociologia, 1901, p. 192; B. Croce, Materialismo storico ed
econ, marz., p. 34 seg.; Ant. Labriola, Soritt di filos. ο di politica, ed.
Croce, p. 242-6; A. Asturaro, 1 mat, storico ¢ la sociologia, 2° ed. 1910; E.
Fabietti, Il mat. storico, 1910; R. Mondolfo, Il mat. storico in F. Engels,
1912, cap. X. Matriarcato. Dal Bachofen în poi fu chismata così dai sociologi
quella fase primitiva dell'evoluzione sociale, in cui la famiglia fa centro non
al padre ma alla madro, cho ha nell’organiszazione domestica l'autorità
suprema, governa essa sola la casa, adempie le funzioni religiose ed impera
nelle deliberazioni della comunità. Il matriaroato, che vive ancora tra le
tribù Irochesi dei Seneca, e le oui reminiscenze si trovano in tutti i miti, le
leggende e le letterature primitivo, sarebbe dovuto, secondo alcuni, alla
promiscuità primitiva, che rende impossibile la ricerca della paternità,
secondo altri alla struttura organica dell’economia primitiva, in cui la
produzione, che si riassume tutta nell’ agricoltura, rimane affidata
esclusivamente alle donne. Cfr. J. J. Bachofen, Das Mutterreoht, 1861; Starke,
La famille primitive, 1891; Westermark, Lo matriarkat, in Annales d. l’Inst.
int. de Sociologie, t. II, 1895; G. Mazzarella, La condizione giuridica del
marito nella famiglia matriaroale, 1899 (v. famiglia). Masdeismo. 0 religione
di Zorosstro ο dell’ Iran. E un politoismo mitologico, dominato dal principio
del duatismo, in cui il Dio che comanda le divinità buone è Ormurd, quello che
comanda le onttive è Arimane. L’obbligazione morale consiste nel dovero
dell’uomo di allearei alla divinità buona nella sua lotta continua contro la
divinità cattiva (v. dualismo, manicheismo). 679 Μκ-Μκο Meo v. D. Meccanica. T. Mechanik; I.
Mechanics; F. Mecanique. La scienza che ba per oggetto lo studio dei movimenti
e delle forze che li producono. Si divide in meccanica rasionale ed applicata:
la prima non è che la teoria astratta delle leggi dei moti e delle forze, la
seconda è la teoria delle macchine. Lo studio del moto indipendentemente dalle
cause che lo producono (forze) costituisce la cinematica. La meccanica
razionale si divide poi in statica e dinamioa: la prima studia la composizione
delle forze considerate come grandezze riferite ad una unità di misura della
medesima specie, la seconda studia la composizione dei movimenti cui dan luogo
le forze motrici. La dinamica si divide a sua volta in cinetica, che studia la
composizione dei moti relativamente alla traiettoria che essi determinano nello
spazio, e in energetica, che studia la composizione dei moti delle masse che
nel loro cammino sono capaci di produrre lavoro. Cfr. Hertz, Die Prinsipien der
M. in neuem Zusammenhage dargestellt, 1894; Mach, Die M. in ihrer Entwickelung,
1883; Dühring, Kritische Geschichte der allgemeinen Prinsipion der M., 8"
ed. 1887 (v. energiemo, massa, movimento). Meccanico. T. Meohanisch; I.
Mechanical; F. Mécanique. Opposto a telcologioo indica ciò che si attua indipondentemente
da ogni finalità, per virtù di leggi necessarie. Opposto a dinamico © a
energetico, cid che escludo dalle cose la nozione di forza, considerata come un
residuo di nozioni antropomorfiche. Si dicono sensi meccanici, per distinguerli
dai chimici, quei sensi sopra i quali gli stimoli esercitano un’azione
puramente meccanica: tali sono il tatto e l'udito. Cfr. A. Rey, L’énergetigue et lo
mécaniene au point de vue de la connaissance, 1907. . Meccanismo. T. Mechanismus,
Mechanistische Weltan‘echauung; I. Meoanism ; F. Méoanieme. In senso metaforico, ogni processo nel quale si
può determinare, con l’analisi, Mec 680 una serio di fasi subordinate ο dipendenti
l’una dall'altra; così dicesi meccanismo della coscienza, meccanismo della
memoria, meccanismo dell’ imaginazione. Dicesi anche meccanismo o meccanioismo
la dottrina fisica © filosofica, che escludendo ogni potenza occulta, ogni
finalità, ripone nel solo movimento la natura intima della materia ο tutti i
fenomeni dell’ universo riconduce al movimento: omnis materiao variatio, sive
omnium eins formarum diversitas pendet a motu (Cartesio). Il meccanismo
concepisce la materia 0 come un composto di atomi, o come un fluido continuo e
omogeneo; tutte le modificazioni che avvengono in essa, tutti i cambiamenti, la
diversità dei corpi e dei fenomeni, non sono dovuti che a diversità di
movimento. Si oppone, in questo senso, al dinamismo, che identifica la materia
con la forza, © spioga ogni fenomeno naturale con le leggi della forza; si
oppone anche all’energiemo, che tutto riconduce a manifestazioni di un’ unica
energia. Nella filosofia antica il meccanismo à rappresentato nella sua forma
più precisa dall’atomismo di Democrito © di Epicuro; nei tempi moderni dalla
fisica © fisiologia di Cartesio, che poteva affermare: terram totumque huno
mundum instar machinae descripsi. Dicesi
mecoaniemo vitale ο iatromeocaniemo la dottrina fisiologica che riconduce pure
i fenomeni biologici al movimento, considerandoli come il semplice risultato
delle stesse leggi che governano il mondo inorganico: questa dottrina, che
forma la base della moderna fisiologia, opponendosi all’ antico e al nuovo
vitaliemo, fu intravvista già nel seicento dal nostro Borelli, per il quale animalium
operationes fiunt a causis et instrumentia et rationibus mechanicis ». Quando
poi anche i fenomeni psichici sono considerati como semplici movimenti
molecolari della sostanza nervosa, come pura funzione organica, si ha il
materialiemo. Cfr. Cartesio, Prinoipia phil., parte II, art. 3; Lamettrie,
L'homme machine, 1848; J. Ward, Naturalism and agnosticism, 1903; A. Rey, La
philosophie moderne, 1908, p. 173 segg.; 681 Mep
J. Loeb, The mechanistic conception of life, 1912; C. Guastella, Filosofia
della metafisica, 1905, t. II, p. LXXXVI segg. Modiato. T. Mittelbar,
vermittelt; I. Mediated; ¥. Μέdiat. Ciò che si compie con qualche
intermediario. La nostra conoscenza del mondo esteriore è mediata, perchè si
compie per mezzo della sensazione; la coscienza è invece la conoscenza
immediata dello modificazioni che avvengono in noi. Il sillogismo dicesi
inferenza mediata, perchè si compie con |’ intermediario di una proposizione
che esprime la constatazione della natura di ciò cui il principio generale,
espresso nella maggiore, si applica. La rappresentazione dicesi anche
percezione mediata, perchè, a differenza della percezione sensibile, si rinnova
nell’ assenza di uno stimolo esterno che direttamente la provochi. Mediatore
plastico o natura plastica. F. Médiateur plastique. È il principio col quale il
Cudworth, opponendosi tanto alle dottrine meccaniste quanto a quelle che fanno
intervenire la divinità in ogni fenomeno naturale, spiega i movimenti dei
corpi, la forma di cui essi sono snscettibili, i fenomeni della generazione e
della vita. Codesto principio, intermedio tra Dio e il mondo, è di natura
spirituale ma privo di libertà, di sensibilità e d'intelligenza; esso penetra
in tutte le parti della materia e lavora senza posa sotto la guida della di a
realizzaro l’ordine del mondo. Il Le Clere lo definisco come un essere, il
quale ha in sò stesso un principio di attività, e che può agire per sò stesso
egualmente sull’anima che sul corpo; un essere, il quale avverte l’anima di ciò
che accade nel proprio corpo per mezzo delle sensazioni che esso vi produce, ο
che muove il corpo agli ordini dell’ anima senza nondimeno sapere il fine dello
sue azioni ». Questa dottrina, dopo aver suscitato gran numero di discussioni,
è caduta da tempo, per la sua stessa contradditorietà; come già notava il Galluppi,
codesta sostanza media, che non è nè semplice nò Mxp-Mra 683 composta, nd spirito nd corpo, si risolve in
un assurdo; non vi è mezzo tra due proposizioni contradditorie, ο perciò il
mediatore plastico deve necessariamente essere semplice o non semplice, ma in
qualunque dei due casi la difficoltà di spiegare il commercio tra l’anima e il
corpo rinasce. Cfr. P. Janet, De plastica natura vi apud Cudworthum, 1848; Id.,
Essai sur le médiateur plastique de Cudwort, 1860 ; Le Clero, Bibliothèque
choisie, t. II, art. 2, n. XII; Galluppi, Lesioni di logica 6 metafisica, 1854,
vol. II, p. 606-609 (v. demiurgo, meccanismo, vita). Medio. T. Mittel (Begrif);
I. Middle (term); F. Moyen (terme). Nel sillogismo dicesi medio il termine che
ha la estensione media e serve come termine di confronto tra il termine
maggiore e il minore. Esso si trova tanto nella premessa maggiore che nella
minore, ed è escluso nella conclusione. Tutto il valore del sillogismo dipende
dalla scelta del termine medio (v. termini). Megacosmo v. macrocosmo. Mogalomania.
Gr. μέγας = grande, pavla = follia; T. Mogalomanie; I. Megalomania; F.
Mégalomanie. Detta anche delirio di grandezza, o delirio ambizioso. E
costituita da una specie di ipertrofia della personalità, per cui l’ammalato,
in grazia dell’ aumentata attività psichica, si ritiene di alta nascita, di
elevata posizione sociale, provvisto di grandi ricchezze, capace di riuscire in
ogni più difficile impresa. In molti casi si trova associato al delirio di persecuzione.
Cfr. Kraepelin, Trattato di psichiatria, trad. it., p. 182 segg.; T. Regis,
Précis de psychiatrie, 1909, p. 434. jopsichia. Vocabolo usato già da
Aristotele per designare quel giusto sentimento di sò stessi, del proprio
valore e delle proprie attitudini, che è condizione indispensabile per lo
sviluppo delle virtualità contenute nella propria natura; è vocabolo poco in
uso, quantunque serva et designare assai moglio della parola orgoglio quel
retto apprezzamento della propria capacità, il quale suppone non 688 Mel
soltanto che l’individuo si giudichi degno di grandi cose, ma che lo sia in
effetto. Col vocabolo mioropsichia lo stesso filosofo designava il sentimento
opposto, ciod la sfiducia in sò stessi, per cui l'individuo non compie tutto il
bene e le belle azioni che egli avrebbe potuto compiere, giudicandosene
incapace. La megalopsichia non è da confondere con la megalopsia, anomalia del
senso della visione, per cui gli oggetti sono peroepiti di dimensioni più
grandi del reale. Cfr. Parinaud, Ancsthéste de la rétine, 1886; G. Marchesini,
Il dominio dello epirito ο il diritto all'orgoglio, 1903. Melanconia. T.
Melancholie, Ticfrinn, Molina; I. Molanoholia; F. Mélancolie. Psicosi che si
manifesta ad accessi, talora improvvisamente in seguito ad un grave dispiacere
© ad una viva emozione, talora dopo un graduale aumento di impressionabilità ©
di depressione affettiva. Essa può assumere varie forme, ma in tutte il
carattere fondamentale consiste nell’ esistenza morbosa di una emozione spiacevole,
di un senso vago più o meno cosciente di oppressione, di ansietà, di tristezza,
d’impotensa; è dunque una malattia della sensibilità morale, iniziantesi con
una alterazione dél tono sentimentale, e che non diventa se non in via
secondaria ο episodica ung malattia della intelligenza. Gli antichi 18
chiamarono così perchè credettero che fosse determinata da un annerimento della
bile (µέλας =: nero, χολή = bile). Da Esquirol in poi è chiamata anche lipemania
(λύπη =tristezza); però molti psicopatologi distinguono le due forme, in quanto
nella melanconia i disturbi mentali sono appunto derivati, mentre nella
lipemania sono primari. La melanconia semplice è costituita dal rallentamento
dei processi psicomotori, e quindi dalla lentezza dello azioni, dalla fatica
che esse importano, per cui il soggetto è assalito da un senso generale di impotenza
che lo abbatte 6 ne rende triste l’umore. Nella melanoonia allucinatoria a
questi fenomeni si aggiangono idee deliranti ο specialmente allucinazioni
cenestetiche di vaoto, Mem 684 © dolls mancanza di qualche organo. Nella
melanconia ausiosa ο agitata lo allucinazioni conestetiche determinano uno
stato di ansia, idee ipocondriache di negazione, di piccolezza ο
d’auto-rimprovero; l’ammalato credo d’ essere perseguitato, rovinato nei propri
interessi, tradito nei propri affetti, colpevole dei maggiori delitti e
meritevole dei più grandi castighi ο della eterna dannazione. Infine nella
melanconia stupida la difficoltà delle espressioni motorie determina gli stati
stuporosi. Cfr. Krafft-Ebing, Die Molanoholie, eine klinische Studie, 1874;
Christian, Etude sur la mélancolie, 1876; Roubinowitech et Toulouse, La mélancolic,
1897; Morselli, Manuale di somejotios, II, 210 segg. Momoria. T. Gedächtnis,
Erinnerung ; I. Memory; F. Mémoire. Nel suo significato più elevato, che è
anche il più comune, designa la funzione o la facoltà per oui si conservano, si
riproducono, si riconoscono e si localiszano gli stati psichici passati; per
generalizzazione, ogni conservazione del passato d’un essere vivente nel suo
organismo. Gli psicologi distinguono però varie forme di memoria; la memoria
organioa o muscolare, la memoria affettiva ο la memoria propriamente detta ο
intellettiva. La memoria organica, che è più semplice, consiste nella proprietà
appartenente ai tessuti dell'organismo, specialmente al muscolare © al nervoso,
di conservare e riprodurre automaticamente dei movimenti già eseguiti; questa
proprietà è generalmente spiegata con l’ammettere nell'elemento nervoso la
persistenza della modificazione avvenuta, sia dinamica, fisica ο chimica. La
memoria affettiva consiste nel riprodursi, insieme agli stati intellettuali,
degli stati affettivi (omozioni ο sentimenti) coi quali erano primitivamente
associati; si ossorva però che è più facile l’evocaziono degli stati intellettuali
che non quella dei sentimenti associätivi, ο che, in ogni caso, gli stati
affettivi ricordati hanno sempre minore intensità degli attuali; altra logge
generale è che i sentimenti associati ai sensi della vista © dell'udito, alla 685 Μαν
rappresentazione libera e all’attività libera del pensiero, sono più facili a
riprodurre che quelli che οἱ vengono dai sensi inferiori © specialmente
dall'esercizio delle nostre fanzioni vegetativo. La memoria propriamente detta
è un fatto assai complesso, quantunque presupponga la stesss baso fisiologica
della memoria organica, ο si risolve, come vedemmo, nelle operazioni della
conservazione, riproduzione, riconoscimento © localissazione; condizioni
generali delle due prime sono la durata e l'intensità degli stati psichici, per
cui questi tanto più facilmente persistono e rivivono quanto maggiormente e più
a lungo hanno agito; il riconoscimento è il confronto e il rapporto d’identità
stabilito tra lo stato psichico attuale e lo stato psichico analogo cho fa
attuale nel passato; la localizzazione è il riferimento dello stato psichico ad
un punto preciso del passato, rievocandone il luogo, I’ ora, le circostanze.
Nella memoria intellettuale si distinguono anche in vari tipi: il tipo visivo,
nel quale si fissano © si riproducono più facilmente le imagini visive, quali
il colore, l’aspetto, In forma estel tipo uditivo meno frequente, in cni tutto
ciò a cui si pensa è rappresentato nella lingua dei suoni; il tipo motore, in
oui la memoria è prevalentemente costituita da imagini di movimenti. Per
Aristotele la memoria nasce dalla sensazione al pari della fantasia, © si
spiega come questa mediante il movimento che la sensazione lascia nell’anima e
che dura un certo tempo; si distingue dalla rappresentazione sensibile, in
quanto è accompagnata dal sentimento che la rappresentazione stessa è esistita
già prima nel nostro spirito, il che spiega come la memoria non esista che
negli animali che posseggono il senso del tempo. Per S. Tommaso la memoria è
una facoltà dell’anima, e serve al giudizio come la fantasia ai sensi: la
fantasia raccoglie le sensazioni ο le raggruppa man mano che si presentano, la
memoria riunisce ο conserva gli atti stabiliti dal giudizio, per riprodurli o
spontaneamente o Mau 686 per mezzo della riflessione. Per Spinoza la
memoria non è altra cosa che una certa concatenazione delle idee, che involgono
in 68 stesse la natura delle coso esistenti fuori del corpo umano,
concatenazione che si produce nell'anima secondo l’ordine e il legame delle
modificazioni del corpo umano ». Per Locke la ‘memoria è una specie di retentiVità
(refentivenese), 9 consiste in una forza particolare posseduta dalla coscienza,
di risvegliare le rappresentazioni già possedute, ma poscia svanite ο poste in
disparte; perciò le idee che sono più spesso rinfrescate da un frequente
ritorno degli oggetti ο delle azioni che le producono, si fissano meglio nella
memoria e vi rimangono più chiaramente e più lungamente ». Per Kant la memoria
può essere meccanica, consistente nella semplice ripetizione letterale,
ingegnosa, consistente nel fissare mediante l’associazione certe
rappresentazioni con altre, che non hanno con le prime alcuna parentela
intellettiva, © giudiziosa, che non è se non la tavola d’una disposizione
sistematica nel pensiero; in generale la memoria si distingue dalla semplice
imaginazione riproduttiva, in quanto, potendo riprodurre spontaneamente le
rappresentazioni passate, l’anima non è con ciò un puro gioco di esse ». Per
James Mill la memoria è un’ ides, formata mediante l'associazione di
particolari in un certo ordine: quando penso a qualsiasi caso di memoria, trovo
sempre che l’idea o la sensazione, precedente il ricordo, era una di quelle
destinate, secondo la legge dell’associazione, a richiamare l’idea involta nel
caso di memoria; ο che appunto per l’idea ϱ sensazione precedente,
l’idea-ricordo è stata realmente portata nella coscienza >. Per l’ Hamilton
la memoria è la conoscenza immediata di un pensiero presente, conoscenza che
implica una credenza sssoluta, che questo pensiero rappresenta un altro atto di
conoscenza che è stato ». Anche per J. 8. Mill l'atto della memoria implica una
simile credenza più una speciale aspettazione: la rimembranza di una
sensazione, 687 Mem anche se non riferita a nessuna data
particolare, involge la suggestione e la credenza che una sensazione, di cui
quella è una copia o rappresentazione, esistette attualmente nel passato; ©
l’aspettasione involge la credenza, più ο meno positiva, che una sensazione o
un altro sentimento, a cui direttamente si riferisce, esisterà nel futuro ».
Per il Galluppi, il riferimento al passato, o riconoscimento, ottenuto mediante
l'associazione del ricordo con un altro stato di coscienza, è l’unico carattere
per cui la memoria si distingue dall’ imaginazione: Chiamo memoria la facoltà
di riprodurre le percezioni degli oggetti, che sono stati altra volta sentiti,
e che nel momento attuale sono assenti, © di riconoscerle. La memoria non è
dunque una facoltà diversa dall’ imaginasione, ma è la stessa imaginarione, la
quale nel suo esercizio eseguisce esattamente la legge dell’ associazione delle
idee ». Per l’Ardigd la memoria è un fatto fisico-psichico, consistente nel
ridestarai delle impressioni per il rinnovarsi in una data ares cerebrale di un
ritmo fisiologico; ogni atto memorativo è una totalità di parti concorrenti, di
eccitamenti cerebrali che confiniscono, e il ridestarei di un’ idea consiste
nel riprodursi di questi moti sinergioi ; il riconoscimento, essenziale nella
memoria, nasce dal sovrapporsi di due atti psichici, ed ha esso pure la sua
base fisiologica nella persistenza delle disposizioni cerobrali. Cfr.
Aristotele, De an., I, 4, 408 b, 17; 8. Tommaso, Summa theol., I, qu. 79, 6;
Spinoza, Ethioa, Ἱ. II, teor. 18, scol.; Locke, Eas., II, ο. 10, $ 2; Kant, Antrop., I, $
32; James Mill, The hum. mind, 1871, p. 821; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton,
1867, p. 241; Galluppi, Lezioni, 1854, II, p. 744 segg.; Wundt, Grundriee der
Peyohologie, 1896, p. 290 segg.; Höffding, Esquisee d’ une ‚psychologie, 1900,
p. 186 segg.; Ardigò, Opere fil., V, p. 212 segg., VI, 23 segg., VII, 252
segg.; G. Dandolo, La dottrina della momoria nella psicologia inglese, 1891; H.
Bergson, Matière οἱ mémoire, 2° od.; W. F.
Colegrave, Memory, an Men 688 induotice
study, 1899; Van Biervliet, La memoire, 1902; P. Sollier, Le problème de ta
memoire, 1900 (v. amnesia, automnesia, automatismo, punti di ritroro,
riconoscimento, riproduzione delle sensazioni, eco.). Mentale. T. Seclisoh, psychisch; I. Mental; F. Mental.
Termine vago, che si contrappone ad organico, fisico, sensibile, eco., per
designare tutto ciò che concerne lo spirito, o appartiene allo spirito, mentre
alcune altre volte si riforisce all’ intelligenza, come distinta dalla attività
psichica in generale. Mentalità. T. Mentalität, Geistesriohtung; I. Mentality;
F. Méntalité. Qualsiasi fenomeno ο atto della mente. Però si adopera quasi
sempre por indicare soltanto le produzioni della intelligenza più lontane dalla
sensibilità ο più complesse, quali la rappresentazione, l’idea, il concetto. Ha
quindi un’estensione minore del termine prichicità. Spesso si usa anche ad
indicare l’insieme delle disposizioni intellettuali, delle tendenze affettive ο
delle credenze fondamentali di un individuo o di ün popolo; ad cs. la mentalità
di Mazzini, la mentalità tedesca. Mensogna. T. Lüge; I. Lie, Falsehood; F.
Mensonge. Si definisce come un fatto psicologico, di suggestione o nou (si può
mentire con gesti, lacrime, ecc.), con cui si tende più o meno intenzionalmente
a introdurre nello spirito degli altri una credenza, positiva o negativa, che
non sia in armonia con ciò che l’autore suppone essere una verità. Vi sono due
specie di menzogne: le negative, che consistono nella dissimulazione di ciò che
può fornire un indice della realtà; lo positive, che consistono nella crearione
di finzioni intercalate dall’immaginazione della realtà. La menzogna, che è
quasi fenomeno normale nella prima infanzia, pnd assumere aspetto patologico in
alcune malattie mentali, come I isterismo e la mania ragionaute : 1) ammalato
prova una vera voluttà nel dire bugie, ο questo bisogno è in lui tanto
radicato, che spesso diventa e si 689 Mer-MRT serba bugiardo anche contro il proprio
interesse. Cfr. Heinrot, Die Lüge, 1834; Max Nordau, Die konventionellen Lügen
der Gegenwart, 1893; Delbrück, Die pathologische Lüge und die psychische
abnormen Schwindler, 1891; G. Marchesini, Le finzioni dell'anima, 1905. Merito.
T. Verdienst; I. Merit; F. Mérite. E, in senso largo, il diritto ad una
ricompensa, che compete all’ agente in seguito ad un’ azione buona compiuta. In
senso teologico è ciò che sorpassa lo stretto dovere, e costituisce una specie
di eredità morale dell’ individuo. Siccome esso implica il libero arbitrio © la
responsabilità, così le dottrine deterministiche al concetto di merito
sostituiscono quello di accrescimento nella dignità, che l’azione morale compiuta
conferisce all'agente, e che, accrescendo il suo valore sociale, allarga la
sfera de’ suoi diritti e quindi della sua libertà. Mosologia. T. Mesologie; I.
Mesology; F. Mesologie. Scienza che studia i rapporti e le reciproche influenze
che uniscono gli esseri all’ ambiente tellurico, climatico, fisico, ecc., in
cui vivono. Metafisica. T. Metaphysik; I. Metaphysics; F. Métaphysique. Questa
parola fa usata primitivamente da Andronico di Rodi, per designare quelli dei
libri di Aristotele, da lui ordinati, che vengono dopo i libri fisici: τὰ μετὰ
τὰ φυσικά. Nel medio evo l’ espressione fu adoperata per indicare la σοφία o
φιλοσοφία πρώτη di Aristotele, che ha per oggetto τὸ By 7 ὄν, ο che egli stosso
definisce ἡ τῶν πρῶτων ἀρχῶν xal αἰτιῶν θεωρητική. Perciò In parola metafisica
rimase ad indicare in generale quella parte eccelsa del sapere umano, che
tratta dell’ essenza ultima delle cose, © cerca spiegare il mondo ο l’esistenza
valendosi del metodo aprioristico, partendo cioè dall’ essere in sò, dall’ ente
necessario © perfetto, e quindi reale. Ma il suo significato è ben lungi dall’
essere fisso : ora indica la conoscenza degli esseri che non cadono sotto i
sensi, come Dio e l’ anima; 44 RanzoLt,
Dizion. di scienze filosofiche. Mer 690 ora lo studio delle cose in sò stesse, per
opposizione alle apparenze che esse presentano; ora la conoscenza delle verità
morali, dell’ ideale, del dover essere, considerati come costituente un ordine
di realtà superiore a quello dei fatti © contenenti la loro ragion d’ essere;
spesso per metafisica β΄ intende la conoscenza sssoluta che si ottiene con I’
intuizione diretta delle cose, per opposizione al pensiero discorsivo, oppure
la conoscenza mediante la ragione, considerata come l’ unica capace di
raggiungere il fondo stesso delle cose. Alcune volte è adoperata per designare
il complesso delle questioni filosofiche più generali e più difficili, altre
volte per indicare la tendenza a sillogizzare, sd astrarre, a cavare delle
conclusioni da premesse arbitrarie. Così per 8. Tommaso la metafisica è la
scienza di tutto ciò che manifesta il sovrannaturale, ossia le cose divine:
Aliqua scientia adquisita est circa res divinas, soilicet scientia metaphysica.
Per Bayle à la soience spéoulative de l’étre. Per Platner essa ricerca non ciò
che è reale secondo U esperienza, ma soltanto ciò che è possibile e necessario
secondo la pura ragione. Per l’ Herbart è invece la dottrina dell
intelligibilita dell’ esperienza; per Galluppi la scienza delle sotenze; per
Schopenhauer ogni conoscere che si presenta come sorpassante la possibilità
dell’ esperienza, 6 quindi la natura, o V apparenza delle cose quale οἱ è data,
per apriroi uno spiraglio su ciò da cui questa è condizionata; per il
Trendelenburg à la scienza che considera ciò che v' ha di universale negli
oggetti di ogni ceperienza; per il Mo Cosh è la scienza che investiga le
intuizioni originali ο intuitive della mente, per esprimerle, generalissarle, 6
determinaro quindi che cosa sono gli oggetti rivelati da esse; per il Ribot è
una collesione di verità poste al di fuori e al di sopra di ogni dimostrazione,
perchè sono il fondamento di ogni dimostrazione ; per il Ferrier è la
sostitusione delle idee vere cioè delle verità neosssarie di ragione agli errori dal. l'opinione popolare; per il
Liard è la determinazione dell’as- soluto che sta sotto ai fenomeni, la
scoperta della ragione del- 691 Ματ V osistenza; per W. James un ostinato
tentative di pensare ohlaramente e coerentemente; per il Bergson è la scienza
ohe non si ferma al relativo, oggetto doll'intelligenza, ma raggiunge
l'assoluto mediante l'intuizione. Nella storia della filosofia mo- derna furono
molte le obbiezioni mosse alla metafisica ο vari i modi onde fu considerata:
Bacone ne fece una parte della scienza della natura, separandola dalla
filosofia prima ο ri- ducendols alla conoscenza sperimentale delle cause
astratte ; Locke e Hume ne dimostrarono la nullità, in quanto si occupa di
problemi che trascendono l'intelletto umano ; Kant la ridusse alla cognizione
filosofica dei concetti în unità sistematica, mostrando come la cosmologia, la
psi- cologia e la teologia razionale non facessero che aggirarei in continue
contraddizioni, ο come l’ ontologia fosse di- stratta dalla relatività della
conoscenza: Tutti i nostri ragionamenti che pretendono uscire dal campo dell’
espe- rienza sono illusor! ο senza fondamento... Non solo l’idea di un Essere
supremo, ma anche i concetti di realtà, di sostanza, di causalità, quelli di
necessità nell’ esistenza, perdono ogni significato, 6 non sono più che dei
vani titoli di concetti, senza contenuto alcuno, quando ci arriechiamo 8 uscire
con essi dal campo delle cose sensibi L'in- tendimento, quindi, non può fare
de’ suoi principt a priori, © persino di tutti i*suoi concetti, che un uso
empirico, © mai un uso trascendentale.... L’uso empirico d’un con- cetto
s’applica semplicemente ai fenomeni, cioò a degli oggetti dell’ esperienza...
Tutti i concetti, e con essi tutti i principî, per quanto a priori, si
riferiscono dunque a delle intuizioni empiriche, vale a dire si dati d’una
espe- rienza possibile ». Più tardi la metafisica fa combattute dalle scienze
naturali, dal materialismo tedesco e dal po- sitivismo, specie da Augusto
Comte, il quale la conside- rava come un semplice stadio storico, ormai
sorpassato, della conoscenza umana. Tra i positivisti posteriori manifestò
tuttavia una spiccata tendenza a ridonare alla Mer 692 metafisica il suo valore: alcuni infatti,
specialmente i po- sitivisti italiani (Angiulli, Villari, Ardigò, ecc.),
credono possibile una nuova metafisica, la quale, abbandonato il vecchio
apriorismo, stia o come critica logios della cono- scenza, 0 come
investigazione ‘degli elementi primitivi, o come coordinazione totale dello
scienze; altri, come i neo- kantiani, la considerano come un bisogno inerente
alla ragione di completare il mondo reale con un mondo ideale, © la collocano
quindi tra la religione e la poesia. Un ten- tativo di trasformare la
metafisica compì il positivista in- glese Lewes. Egli distingue nella cosidetta
metafisica due parti: la empirica, che è la sistemazione ultima dei risul- tati
delle scienze, e la metempirica, che designa ciò che sta oltre i limiti dell’
esperienza. La prima è legittima, ed ha nn valore simile alle scienze, poichè
se queste hanno per oggetto le leggi dei fenomeni, quella ha per oggetto le
leggi delle leggi; la seconda, cioò la metempirica, è ille- gittima perchè non
ha alcuna base e dev’ essere esclusa dal dominio della filosofia, lasciandole
soltanto un valore soggettivo psioologico-estetico. Perciò non è vero che i
problemi metafsici siano insolubili : essi sono solubili, pur- chè in essi si
separi la parto metempirica dalla empirica, © s’applichi a questa il metodo
scientifico o positivo. Oggi si può dire ormai scomparso il senso dispregiativo
della parola metafisica, conferitole dalle critiche di Kant e del positivismo
primitivo; essa è infatti adoperata comune- mente per indicare la filosofia
propriamente detta, la filo- sofia în quanto non si identifica nò con la
psicologia, nò con la logica, nd con l'etica, ma è una riflessione sui problemi
generali relativi ai somni principi dell’ interpre- tazione del mondo e all’
intuizione universale della realtà che su di essi si fonda. Cfr. Aristotelo,
Metaph., III, 1, 982 b, 9-10; 8. Tommaso, Contr. gent., I, 4; Bayle, Système de
philosophie, 1875, p. 149; Platner, Philosophische Aphori- amen, 1790, I, $
817; Herbart, Allgemeine Metaphysik, 1828, 693 Mer
I, 215; Galluppi, Elementi di filosofia, 1820-27, II, 5; Scho- ponhauer, Die
Welt a. W. u. Vorst; ed. Reclam, I, suppl. cap. XVII; Liard, La soîenoo positiro
et la métaphyeique, 3° p., cap. VII; W. James, Textbook of peychology, 1906,
epilogo; Bacone, Do dignilate et augmentis soientiarum, 1829, 11, 4; Kant,
Krit. d. r. Vernunft, 1% ο 2" pref. e Metodol.
trascend. ; Fouilléo, L'avenir de la métaphysique, 1889; Vol- kelt, Über die
Möglichkeit der M., 1884; Ardigd, La peico- logia come scienza positiva, 1882,
p. 130; Id., Il rero, 1891, p. 10 segg.; Id., La ragione, 1894, p. 465 segg.;
A. Comte, Cours de philos. positive, 1877, I, p. 15 segg.; Angiulli, La
Alosofia ο la ricerca positiva, 1869; Lowes,
Problemes of life and Mind, 1875, I, p. 5 segg.; Bergson, Introd. à la mé-
taph., in Revue de métaph. », 1903, p. 4 segg.; F. De Sarlo, I diritti della
metafirica, Cultura filosofica », lu- glio 1913 (v. assoluto, filosofia,
metodologia, ipermetafisica, poritiviemo). Metafisico. Dicesi argomento metafisico quella prova
dell’ esistenza di Dio, che consiste nel partire dalla consta- tazione
dell’esistenza di qualche cosa, del mondo ο di noi stessi, per concludere all’
esistenza dell’ Essere necessario, cioè di Dio. Infatti, se questo qualche cosa
che esisto è contingente, dovrà la sua esistenza ad un altro essere, ο questo
ad un altro, finchè perverremo a dover ammettere P esistenza di un Essere
necessario; se questo qualche cosa è necessario, allora è Dio stesso. Che 1’
Essere necessario, sia Dio, si prova col fatto che essendo necessario, cioè in
sd stesso e in modo assoluto, è anche perfetto;. non pnd quindi essero il
mondo, cho è imperfetto e contingente; dunque sarà Dio. Punti metafisici chiamò
il Leibnitz lo monadi, perchè, a differenza dei punti fisici, sono inesteso. Il
Comte chiama metafisico il secondo doi tre stadi successivi attravorso i quali
passa l'intelligenza umana; in esso i fonomeni non sono attribuiti, como nel
primitivo stadio teologico, alla volontà di esseri sovrannaturali. imaginari,
Mer 694 ina sono spiegati mediante entità astratte,
cioò cause, forze, sostanze. Bisogno metafisico dicesi |’ aspirazione dell’anima
umana verso l'invisibile, il sovrannaturale, il trascendente, aspirazione che,
secondo alcuni pensatori, non può essere distrutta dalla scienza o dalla
ragione, perchè si muove in un’orbita che alla ragione non è dato ponetrare: L'uomo
à il solo essere, dice lo Schopenhauer, che si meraviglia della sua propria
esistenza; 1’ animale vive nel suo riposo e non’ si meraviglia di nulla.
Codesta meraviglia, che si produce specialmente in faccia alla morte, © alla
vista della distruzione e della sparizione di tutti gli esseri, è la sorgente
dei nostri bisogni metafisici; è per essa che l’uomo è un animale metafisico ».
Cfr.
Leibnitz, Die philos. Schriften, ed. Gerhardt, IV, 398; Comte, Cours de phil.
positive, 1889-42, vol. I;
Schopenhauer, Die Welt, vol. II, ο. 17 (v. gli argomenti ontologico,
ideologico, morale, fisico, cosmologico, storico). Metageometria. T.
Metageometrie e Metamathematik; I. Metageomeiry; F. Métageometrie. La geometria
che, considerando falso il postulato di Euclide delle parallele, concepisce
diversi spazi possibili, che non hanno le proprietà dello spazio euclideo. Il
postulato euclideo ai enuncia così: 11 giugno 1910; Th. Flournoy, Archives de
Psychologie, V, 1906, p. 298 (v. dissociazione, incosciente). Metempirico. T.
Metempirisok ; I. Metempirical; F. Métempirique. Indica etimologicamente ciò
che è al di là della natura, © quindi tatto ciò che sorpassa i limiti d’ ogni
esperienza possibile. Altro volte si oppone a metafisica empirica, © designa
quella parte della metafisica cho tratta i ciò che sta oltre i limiti dell’
esperienza, e non ha quindi un valore scientifico, ma soltanto estetico e
psicologico. Il termine fu proposto appunto con questo significato dal Lewes,
che alla motafisica empirica ascrive lo studio degli oggetti ο delle loro
relazioni in quanto ci sono conosciuto ed esistono nel nostro universo; alla
metafisica metempirica le costruzioni ideali dell’imaginazione. Cfr. G. H. Lewes, Problemes of
life and mind, 1875, I serio, I, p. 5, 10, 17 (v. ipermetafisica). Motempsicosi. T. Scelenwanderung,
Metempaychose; I. Metempsyohoses; F. Métempeychose. Dottrina secondo la quale
l’anima, dopo la morte del corpo, trasmigra succossivamente a rivestire altri
corpi 6 a dar vita ad essi. Questa dottrina, che nella eua forma rudimentaria
fa propria di tutti i popoli primitivi, si trova specialmente nelle antiche
religioni filosofiche dell’ Egitto, dell’ India © della Grecia, in ciascuna delle
quali assumo aspetti differenti. Secondo gli Egiziani l’anima umana, dopo la
morte, entra suceossivamente e per il corso di tre millenni in tutti gli animali
che vivono sia nell’ aria, sia nell’ acqua, sia nella terra; alla fine del
terzo millennio ritorna a vivificare un corpo umano, per poi ricominciare lo
suc trasmigrazioni attraverso il rogno animale, e così via via all’ infinito.
Secondo gli Indiani, inveco, l’anima umana passa da un corpo ad un altro finchè
non s'è del tutto purificata, così da poter ritornare a componetrarsi con la
divinità da cui è 697 Mer discesa; se durante queste successive
esistenze essa pratica la penitenza e segue la scienza, passa in corpi sempre
più perfetti e quindi torna più presto a Dio; se invece segue il male, al
contrario. Nella Grecia la dottrina della metempsicosi fu insegnata da Pitagora
e nei misteri, od esposta anche da Platone: l’ anima umana, dopo la morte del
corpo che la racchiude, va nei regni d’ oltretomba per ritornare poi, dopo
mille anni di purgazione, a rivestire un nuovo corpo in armonia con la vita
precedentemente trascorsa; soltanto l’anima pura del saggio non compie queste
trasmigrazioni, ma vola ad abitare con gli Dei per tutta l’ eternità. Verso la
metà del secolo scorso la dottrina della metempsicosi fu rimessa in onore da
tre pensatori di idee assai diverse: Pietro Leroux, che sostenne la rinascenza
eterna delle stesse generazioni ο quindi dellostesse anime umane in diversi
individui ; Carlo Fourier cho allargò la cerchia delle trasmigrazioni dell’
anima oltro i confini del mondo, in una sfera sovramondana ove ogni essere
avrebbe natura più sottile e sensi più delicati; AllanKardec, il fondatore
dello spiritismo metafisico, che pone la metempsicosi a base delle sue
invenzioni sul mondo degli spiriti. Cfr. Platone, Timeo, 90 E segg.; Diogene
Laerzio, VIII, 1, 31 segg.; Schlosser, Über die Seelenwanderung, 1781; P.
Leroux, De l'humanité, de son principe et de son avenir, 1840; Fourier, Théorie
de l'unité universelle, 1841; G. Athius, Idea vera dello epiritiemo, 1895, p.
65 segg. (v. apoteosi, catarsi, nirvana, immortalità). Metessi. Partecipazione.
La usò Platone per esprimero che le cose sono una partecipazione (µέθεξις)
delle Ideo. Ai tempi nostri questa parola fu adoperata, con lo stesso
significato, dal Gioberti (v. mimesi). Metodi induttivi. Quei metodi che
conducono alla determinazione delle leggi causali doi fatti. Allo Stuart Mill
si deve la dimostrazione più precisa di codesti metodi, che prima di lui erano
gid stati intuiti da Bacone, Mer 698 ο che altri, come ad es. l’ Herschel, avevano
esposto con molto minor precisione. Quattro sono i metodi suggeriti ed
illustrati dal Mill per la ricerca della causa dei fenomeni: metodo di
concordanza, di differenza, dello variazioni concomitanti ο dei residui, ai
quali si aggiunge un quinto metodo complementare, detto della concordanza nella
difSerenza. Tutti questi metodi si fondano sull’ eliminazione: infatti per essi
è causa ciò che non può essere eliminato senza che sia pure abolito l’effetto,
non è causa ciò che può essore eliminato senza che 1’ effetto sia abolito. Da
ciò appaiono le lacune dei metodi induttivi, poichò non sempre la causa è
capace di produrre I’ effetto. D’ altro canto ossi hanno il difetto di
presupporre che ad ogni effetto corrisponda una sola causa, © che possano
essere distinti nettamente gli effetti di ciasonna causa da quelli di tutto le
altro. Perciò nella ricerca scientifica i quattro metodi del Mill vogliono
ossere integrati da norme complementari d’indagine e dal metodo deduttivo. Cfr.
J. Stuart Mill, A System of Logio, 1865, I, o. VIII segg.; Masci, Logica, 1899,
p. 410 segg. Metodo (µετά ο 626ç in via). T. Methodo; I. Method; F. Méthode. La
direzione che si imprime ai propri pensieri per giungero ad un risultato
determinato, ο specialmente alla scoperta della verità e alla sistemazione
delle conoscenzo. Methodus nihil aliud esse videtur, dice lo Zabarella, quam
habitus intelleotualis instrumentalis nobis inserviens ad rerum cognitionem
adipiscendam. E la Logica di Porto Reale: ars bene disponendi seriem plurimarum
oogitationum. Vi è il motodo naturale, che è quello che vien suggcrito a
ciascuno nei singoli casi dalla propria intelligenza, © il motodo riflesso 0
scientifico che è una parte della logica. Questo si divide in sistematico ©
inrentivo: il primo studia le forme mediante le quali si ottiene I’ ordinamento
più utile delle conoscenze, il secondo studia i procedimenti per cui questo
conosconze si possono ostendere, passando 699 Mer
dal noto all’ ignoto. Il primo, oltre alla coordinazione delle conoscenze, ha
anche il cémpito di determinare le prove della dimostrazione, di analizzarne i
procedimenti, studiarne il valore: ciò costituisce il metodo dimostrativo. Il
secondo può exsore analitioo 0 sintetico : quello consiste nel sopararo, in un
complesso di relazioni note tra il noto ο Y ignoto, le relazioni ignote che vi
sono dissimulate ; quello nel ricercarle al di fuori delle relazioni note ©
comporro con queste. Dicesi didascalico il metodo che à volto a comunicare ©
insegnare altrui la verità; deontologico quello che guida lo studioso alla
ricerca del perfetto esemplare delle cose; apologetico quello che insegna a
difendere la vorità contro le obiezioni, © elenctico quello che insegna a
confutare gli errori. Dicesi metodo maieutico quello adoperato da Socrate,
consistente nel condurre gli uomini, per mezzo di opportune interrogazioni, a
scoprire i veri che tengono nascosti nelle profondità del loro stesso spirito,
a risvegliare le loro stesse idee; metodo risolutivo © compositivo i due
momenti del metodo galileano, il primo dei quali consiste nell’investigare i
processi più semplici matematicamente determinabili e ricavarne un'ipotesi, il
secondo nel mostraro deduttivamente che l’ipotesi posta concorda con altre
esperienze; metodo geometrico l'applicazione ai problemi filosofici del
processo dimostrativo euclideo procedente per definizioni, assiomi, teoremi,
corollari, applicazione fatta specialmente dallo Spinoza nell’ Etica; metodo
oritioo 0 trascendentale, per opposizione al dogmatico, quello adoperato da
Kant, consistente nell’ assumere come punto di partenza l'indagine della forma
sotto la quale i principi razionali si prosentano di fatto, ed esaminarne il
valore secondo la capacità, che essi posseggono in sè, di essere applicati
universalmente e necessariamente all’esperienza; metodo dialettico, sin l’arte
polomica che, movendo dalle opinioni comuni intorno ad un dato oggetto, le
prova al martello della oritica, ne mostra gli errori, in modo da Mer . 700 preparare il terreno all’ indagine
soiontifica, sia il metodo usato da Fichto e da Hegel, consistente nel
procedere per tre momenti, tesi, antitesi ο sintesi, ossia nel convertire ogni
concetto nel suo opposto ο derivare dalla loro contraddizione il concetto più
elevato, il qualo poi trova un’altra antitesi, che richiedo una sintesi ancora
più alta, così di seguito. Metodo dei rapporti chiama 1’ Herbart il proprio
metodo di eliminazione delle contraddizioni, che sono nel fondo dei nostri
concetti più generali; siccome la contraddizione deriva sempre dall’esseroi
dati come unici dei concetti i cui elementi opposti non possono realmente pensarsi
come uno, così il metodo dei rapporti consiste nel considerare il soggetto non
come uno, ma come un insieme, cioò come un sistema di rapporti; esso si
compondia in questa regola: quando una cosa deve essere pensata, © non può
essere ponsata come una, si pensi come molte. Cfr. Zabarella, Opera
philosophica, 1623, De meth., I, ο. 2; Logique d. P. Royal, IV, 2; Cartesio,
Discorso sul metodo, trad. it. 1912; Fries, System der Logik, 1837, p. 508
segg.; B. Erdmann, Logik, 1892, I, 11 segg.; Rosmini, Logica, 1853, $ 749
segg.; Masci, Logica, 1899, p. 410 sogg. (v. agonistica, dia lettica, eristica,
maieutica). Metodologia. T. Methodenlehro; I. Methodology ; F. Méthodologie.
Quella parte della logica che studia le regole generali per mezzo delle quali
le varie discipline estendono ed ordinano le proprio conoscenze. La metodologia
si divide dunque in due parti; la parte ordinativa ο sistematica, che fissa lo
norme della definizione, della divisione, della classificazione, della prova
induttiva ο dodattiva, diretta © indiretta, e la parte estensiva o inventiva,
che fissa lo norme doi metodi di ricerca, induttivi e deduttivi, propri @ ogni
scienza, Per metodologia trascendentale Kant intende la determinazione dello
condizioni formali di un sistema perfetto di ragion pura; © per metodologia
della ragion pura pratica l’arte con cui le leggi dolla ragion pratica pura 701 Mer-Mrz possono entrare nell’ animo umano e
influire sulle sue massime, ossia l’arte onde la ragion pratica obbiettiva può
anche diventare ragion pratica soggettiva. Nel sistema dell’ Herbart, la metodologia è la
prima delle quattro parti in cui distinguesi la metafisica: ossa tratta del
metodo dei rapporti, col quale si possono togliere le contraddizioni che
viziano i nostri concetti fondainentali della natura. Le altre tre parti sono
l’ontologia, la sinecologia ο 1’ idolologia. Dalla metodologia distinguesi la metodica, che
è quella parte della pedagogia che tratta in generale del metodo d’
insegnamento ; l'applicazione della metodica alle singole materio da insegnarsi
costituisce la didattioa. Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p.
544; Krit. d. prakt. Vernunft, 1878, p. 181; Herbart, Einleit. in die Philos., 1834, $ 13;
Bain, Eduo. as. a science, 1% ed., p. 230-357; E. Wagner, Darstellung d. Lehre
Herbarts, 1896, $ 30 segg.; Wundt, Logik, II, 1881; Sigwart, Logik, 1890, IL. Metriopatia. La misura del piacere mediante la
ragione. Nella morale platonica la natura del bene è fatta consistere nella
metriopatia : la felicità non consiste infatti nè nel solo piacere nè nella
sola ragione. Porfirio contrappone la metriopatia all’ apatia ο alla teoria: la
prima è il cémpito delle virtù politiche, ed è propria dell’ uomo giusto, la
seconda è lo scopo delle virtù catartiche e propria dell’uomo demoniaco; la
terza è il mezzo per oui l’anima si rivolge al Noo ed è propria di Dio. Cfr.
Porfirio, Ieagoge, 1887 (v. catarsi, edoniemo, eudemoniemo, morale). Mezzo. T.
Mitte, Umgebung; I. Mean; F. Milieu. Cid che è collocato tra due o più cose, e
in special modo ciò che è ad ugual distanza tra duo estremi; tale, nol senso
aristotelico, è la virtù: µεσότης τις ἄρα ἐστιν ἡ denti. Due secoli prima
Confucio aveva detto: L’ uomo superiore si conforma alle circostanze per
seguire il mezzo... L'uomo volgare non teme di seguirlo temerariamento in tutto
e per tutto. » Talvolta adoperasi anche, in modo improprio, per Merz 702 ambiente, ad indicare 1’ insieme delle
condizioni e dei fattori tra i quali un fenomeno si produce o un essere vive.
In un processo di finalità, il mezzo è il termine intermedio o la serie dei
termini intermedi, che sta fra il termine iniziale, con cui il processo stesso
comincia, ο il finale, con cui finisce. Cfr. Confucio, Tokoung-young, trad.
franc. Remusat, 1817, XI, 3, II, 2; Aristotele, Etica a Nicomaoo, II, 5, 1106
b, 27. Mezzo escluso (principio del). Lat. Prinoipium eziusi tertii; T. Satz
des ausgeschlossenen Dritten ; I. Principle of excluded middle; F. Prinoipe de
milieu ezolu. O anche principio del terzo escluso, è uno del principî logici
fondamentali © principî supremi di ragione. La sua formula è: 4 è ο non è B;
cioè tra questi due giudizi uno deve esser vero, perchè essendo essi
contradditori, non vi ha una via di mezzo, una terza possibilità, Secondo il
Fries esso si esprimo così: ad ogni oggetto appartiene un conoetto ο il suo
contradditorio. Secondo Hegel: di due prodicati contradditori uno soltanto
appartiene a un qualche cosa, 9 non si dà un terzo. Secondo B. Erdmann: quando
un giudizio affermativo è dato come vero, il suo contradditorio negativo è
falso, ο viceversa. Secondo il Rosmini: tra due note contraddittorio non c'à
alown mezzo. Contro questo principio furono mosse molte obbiezioni. Si disse,
ad esempio, che alcune volte è possibile la vis di mezzo; così se si dicesse
che un oggetto può essere © bianco ο nero, si può rispondere che può anche
esser grigio. In questo caso però le due idee sono contrarie non
contradditorie, essendo non-bianco il contradditorio di bianco, 9 non è
possibile che un oggetto colorato, se non è bianco, sia neppure non-bianco. Fu
obbiettato ancora che due giudizi contradditori possono essere entrambi falsi
quando il soggetto non esiste (es. Garibaldi passeggia Garibaldi non passeggia) ma un giudizio è
sempre formulato nell’ ipotesi che al soggetto si attribuisca una qualche forma
di realtà, anche puramente imaginativa. Cfr. Fries, 708 Mic-Mia System der Logik, 1837, p. 176; Hegel,
Enoyklopädie, 1870, $ 119; B. Erdmann, Logik, 1892, I, 366 ; Rosmini, Logica,
1853, § 345; Masci, Logica, 1899, p. 56 segg.; Herbart, De principio logico
exlusi medii, 1842. Microcosmo. T. Mikrocosmos; I. Microcosm; F. Mioroccsme. Si
usa generalmente in opposizione a macrocosmo (universo) per designare l’uomo,
che, considerato in sò stesso, presenta un tutto organizzato, un piccolo
universo. 1) espressione trovasi per la prima volta in Aristotele: ἂν μικρῷ
κόσμφ ylvetat, καὶ dv neydAp. Per il Leibnitz ogni individuo è un microcosmo,
in quanto ha per sò un valore universale, contiene tutto l'universo; in ogni
individuo si ha continuità di stati, come in tutto l'universo si ha una
continuità di monadi: Codesto legame di tutte le cose create con ciascuna, e di
ciascuna con tutte, fa sì che ogni sostanza semplice ha dei rapporti che
esprimono tutte le altre, © che essa è quindi un perpetuo specchio vivente
dell’ universo.... Ogni corpo risente dunque tutto ciò che si fa nell'universo;
talmente, che colui che vede tutto potrebbe leggere in ciascnno ciò che si fa
dovunque, e persino ciò che s'è fatto ο si farà, osservando nel presente ciò
che è lontano sia secondo i tempi sia secondo i luoghi ». Cfr. Aristotele,
PAys., VIII, 2, 252 b, 26; Leibnitz, Philos. Schriften, ed. Gerhardt, III, 349;
Lotze, Microcosmo, trad. it. 1911 (v. maorocosmo, monade, monadismo).
Micropsia. Alterazione patologica del senso della visione, per eni gli oggetti
sono percepiti con dimensioni minori del vero. È il contrario della megalopsia,
in cui gli oggetti sono percepiti di dimensioni maggiori del vero. Si verifica
talvolta nell’ isterismo. Cfr. Pierre Janet, Nevroses et idées fixes, 3"
od. 1904, I, 277 segg. Migliorismo. T. Meliorismus; I. Melioriom ; F. Méliorieme.
O ottimismo relativo, è la dottrina che non considera il mondo come il migliore
dei mondi possibili, alla maniera dell’ ottémismo assoluto (Leibnitz), ma
sostiene che il Mir 704 mondo, pur potendo contenere un po’ meno di
male, è tuttavia buono, Il vocabolo sembra dovuto a Giorgio Eliot; fu adoperato
in senso analogo dallo Spencer (the melioriat tiew.... that life... is on the
way to become such that it will vela mor pleausure than pain) © diffuso da
James Sully : con questo io intendo la fede che afferma non solo il nostro
potero di diminuire il male, ma anche la capacità di acorescere la somma del
bene positivo. Si contrappone al pejoriemo ο pessimismo relativo del? Hartmann,
il quale sostiene che il mondo val meno che niente, l’ordine vi è continuamente
turbato dalla volontà, ma vi è un potere incosciente che tenta di ristabilirlo
© vi riesce eliminandone la coscienza; si distinguo quindi dal pessimismo
assoluto (Schopenhaner) per il quale il mondo è il peggiore dei mondi possibili
e la vita non è che un pianto continuo, essendo 1’ uno e l’altra opera di una
volontà assurda. Cfr.
Spencer, in Contemporary Review, luglio 1884, p. 39; I. Sully, Pessimism, a
History and Criticiem, 1877, p. 399. Millenarismo. T. Milleniumslehre; I. Millenarianiem, millenarian
doctrine; F. Doctrine millénariste. Dottrina cho, fondandosi sulla predizione
dell'Apocalisse, insegnava che Gesù Cristo doveva regnare temporaneamente sulla
terra, insieme ai santi, durante un periodo di mille anni, che si sarebbe
chinso col giudizio universalo. L'origine di questa credenza nel millenium, che
sorse nei primi secoli del Cristianesimo e trovò seguaci in molti Padri della
Chiesa, è in parte ebraica e in parte cristiana. Già le profezio contenute
nelle sacre scritture, promettovano agli Ebrei che Dio, dopo averlì dispersi
tra le varie nazioni, li riunirebbe un giorno di nuovo in un regno di pace e di
felicità; ora, avvicinando queste previsioni alle parole con cui Cristo
annunciava il suo ritorno e il suo regno glorioso, molti ebrei, convertiti al
cristianesimo, fondarono il millenarismo. Il quale, sebbene combattuto dai
Padri che fondarono il dogma, non scomparve mai del tutto; esso risorse verso 706 ΜΙΝ-ΜΙΟ la fine del secolo IX dell’era nostra,
predicando la fine imminente del mondo, e, più tardi, alleatosi col oomunismo,
preparò, insieme con altre sètte di esaltati, la rivoluzione inglese del 1648.
In tempi ancora più vicini a noi, il millenarismo risorge specialmente nella
società inglese, ove scrittori come Worthington, Bellamy, Towers profetizzarono
per l’anno 2000 l’inizio del nuovo millennio di felicità © di giustizia,
annunziato dall’Apocalisse. Cfr. Apooaliese, XX, 1-3; Schürer, Lehrbuch d. nontestamentlichen
Zeit-Geeoh., 1881, $ 28, 29; Towers, Illustrations of profecy, 1796, t. II,
cap. I; A.
Sudre, Histoire du communisme, 1850, p. 182 segg. Mimesi. T. Nachahmung, Naohiffung
; I. Mimetiem ; F. Mimétisme. Imitazione,
Platone adopera questa parola per indicare che le cose sono un’imitazione
(µίμησις) delle idee; anche il Gioberti usò lo stesso vocabolo nello stesso
significato. Per i pitagorici invece le cose erano una imitazione dei numeri. Per mimesi o mimetismo s'intende nelle scienze
biologiche il fenomeno per cui certi animali rivestono, sia temporaneamente sia
stabilmente, il colore dell’ ambiente nel quale vivono; o anche la somiglianza
superficiale tra animali anatomicamente diversi gli uni dagli altri, dovuta sia
alle medesime condizioni d’esistenza sia ad altre cause. Cfr. Platone, Parmen.,
132 d.; Sesto Emp., Pyrr. ip, III, 18; Gioberti, Protol., 1858, II, p. 3 segg. (v. idea). Minore. T.
Unterbegrif, Untersats, Minor; I. Minor; F. Mineur, Mineure. Nel sillogismo dicesi minore il termine che ha
l'estensione minore, e minore la premessa che contiene, come soggetto ο come
predicato, il termine minoro. Nella conolusione il termine minore fa sempre da
soggetto © viene perciò designato con la letters 8. Nel sillogismi disgiuntivi
la minore è quella delle due premesse che esclude uno dei membri disgiunti; nei
sillogismi ipotetici quella che afferma la condizione o nega il condizionato.
Miopia. T. Kurssiohtigkeit; I. Myopia; F. Myopie. Difetto della vista,
determinato da eccessiva curvatura dello 45 Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche.
Mie-Mis 706 superfici di rifrazione, o da maggior densità
dei mersi diottriei, per oui i raggi paralleli fanno foco non sulla retina,
come nell’ occhio normale, ma al disopra della retina. Quindi il punto di
lontananza, anzichè all'infinito, si trova poco lontano dall’ occhio, cosicchè
riesce impossibile distinguere gli oggetti lontani. Cfr. I. 8. Wells, Dis. of the
Eye, 1883, p. 629 (v. accomodamento, emmetropia, punto). Miracolo. T. Wunder; I. Miracle, Wonder; F. Miracle.
Originariamente, tutto ciò di cui l’uomo si meraviglia, ogni fatto che desta
sorpresa; poscia, un fenomeno che è considerato, per il suo carattere,
superiore ai poteri della natura o dell’uomo, e perciò manifestazione di una
volontà sovrannaturale, della quale è segno ο testimonianza. Que prater ordinom
communitor statutum in rebus quandoque divinitus flunt, dico 8. Tommaso. David
Hume lo definisco: la trasgressione d' una legge di natura, eseguita per una tolizione
particolare della divinità ο per la mediazione di qualche agonte invisibile.
Secondo il Le Roy la nozione di miracolo s'appoggia su questi quattro punti: 1°
non si dà il nome di miracolo che a un fatto sensibile, e a un fatto eccezionale,
straordinario; 2° non si dà il nome di miracolo che a un fatto significativo
nell’ ordine religioso; 8° perchd un fatto sia detto miracolo deve essere
inserito nella sorio fenomenica ordinaria, pur facendo contrasto con essa; 4°
perchè un fatto sia detto miracolo, bisogna che non sia nè prevedibile nè
ripetibile a volontà. Cfr. 8. Tommaso, Contra gentiles, III, 101; Hume, Eeeaia,
1790, II, p. 234 n; Le Roy, in Annales de philosophie chrétienne, ottobre 1906
; Μο Cosh, The Supernatural in relation to the Natural, 1872 ; R.
Schiattarella, Miracoli e profeste, 1899. Mistero. Gr. Μιστήριον; T. Mysterium;
I. Mystery; F. Mystère. Nello religioni antiche i misteri erano un insieme di
pratiche, di riti ο di dottrine di natura segreta ο riservate agli iniziati.
Nella teologia cristiana i misteri sono 707 Mis
verità indimostrabili ο incomprensibili, rivelato da Dio © come tali imposte
direttamente dalla Chiesa ai fedeli. Anche nella scienza si parla talvolta di
misteri, ma in senso relativo; nel senso cioè di un ignoto qualsiasi, che può
venir conosciuto © spiegato, e non è quindi contrario alla ragione; 1’
introduzione del mistero assoluto ο religioso nella sclensa costituisce il
misticismo. Tuttavia i teologi sostengono che i misteri della religione non
sono contrari alla ragione, ma al disopra della ragione, ciod ad essa trascendenti:
la ragione non vede, con le sole sue forze, la verità che essi esprimono, ma
non vede per questo l’impossibilità di tale verità. Il concetto del mistero
cominciò infatti a determinarsi nella teologia, quando si rese palese il dualismo
tra la soienza ellenistica ο la tradizione religiosa, tra la filosofia
d’Aristotele e le dottrine specifiche del cristianosimo. Con piena coscienza di
questo dualismo, Alberto Magno cercò di dimostrare, che tutto ciò che in
filosofia si conosce mediante il lumen naturale è valido anche in teologia; ma
che l’anima umana non può conoscere pienamente se non ciò, i cui principî porta
in sò stessa, e che perciò in quei casi in cui la conoscenza filosofica non è
in grado d’arrivare a una decisione definitiva © deve restare indecisa davanti
a possibilità diverse, decide la rivelazione. Duns Scoto, andando più in là,
pose una separazione netta fra filosofia © teologia, allargò la cerchia dei
misteri della teologia, inchiudendovi persino il principio della creazione ©
quello dell’ immortalità dell’ anima. Cfr. Maywald, Die Lehre von der
zweifachen Wahrheit, 1871; Sainte-Croix, Recherches hist. ot orit. eur les
myslöree du paganieme, 1817; Le Roy, Dogme et critique, 1907; I. A. Pioton, The
mystery of matter, 1873; A. D'Ancona, Le origini del teatro italiano, 1891;
Chiappelli, La dottrina della doppia verità ο i suoi riflessi recenti, Atti
della R. Acc. di Napoli >, 1902. Mistica. Scnola filosofica e teologica
sorta, sotto I’ influsso delle idee neo-platoniche, nel seno della Scolasticn
Mis 708 del secondo periodo, e importantissima perchd
diede luogo, per puro zelo religioso, alla separazione e al contrasto tra le
verità di ragione e le verità di fode, che prima si fondevano in un’ unica
verità. Per la Scolastica la rivelazione è fissata come autorità storica, per
la Mistica è invece un tuffarsi, libero da ogni mediazione esterna, dell’
individuo ‘umano nel primitivo principio divino. La Mi distingue nella fede due
elementi: la cognizione, ossia il contenuto (fides quae oreditur) © l’affetto,
ossia l’atto soggettivo del credere (fides qua oreditur). Ora, nella fede è
importante soltanto questo secondo elemento, quindi si rende affatto inutile
ogni ricerca razionale sul contenuto della fede stessa. Tuttavia non è da
disprezzare anche la cognizione, che passa per tro gradi: cogitatio, meditatio,
contemplatio; la prima guarda il mondo con 1’ occhio del corpo, la secondn
guarda in noi stessi, la terza, che è la cognizione vera, lo affissa in Dio;
questi tre gradi corrispondono rispettivamente alla materia, all’ anima, a Dio.
Sotto tal rapporto può dirsi che la Mistica ο la Scolastica si integrano a vicenda:
come la contemplazione mistica può benissimo diventare un capitolo della
dottrina del sistema scolastico, così anche 1’ estasi mistica può presupporre
I’ edificio dottrinale como suo sfondo teorico. Cfr. H. Router, Geschichte d.
religiosen Aufklirung im Mittelalter, 1875; Helfforich, Die christliche Mystik
in ihrer Entwickelung und ihren Denkmalen, 1842; H. Delacroix, Études
d'histoire et de psychologie du mystioieme, 1908; R. Steiner, Il oristianesimo
quale fatto mistico, trad. it. 1909 (v. conoscenza, credenza, fideiemo),
Misticismo. T. Mystik, Mysticismus; I. Mysticiem; F. Mysticisme. Nel suo
significato più generale è la credenza nella possibilità di conoscere Dio,
l'infinito, la verità assoluta immedistamente, senza il sussidio dell’
intelligenza, con un puro impeto di sentimento o con uno sforzo di volontà. Il
termino fu diffuso nel linguaggio religioso ο filosofico dallo pseudo Dionigi
l’Areopagita, cho, nol trat 709 Mir tato
eni nomi divini, dopo aver dimostrato che per raggiungere 1’ essere in sò
stesso bisogna sorpassare le imagini sensibili, le concezioni e i ragionamenti
dell'intelletto, afferma che codesta perfetta conoscenza di Dio risulta da una
sublime ignoranza ο si compio in virtà di una incomprensibile uniono;...
codesta assoluta ο felice ignoranza non è dunque una privazione, ma una
superiorità di scienza. Tale scienza Dionigi chiama la dottrina mistica che
spinge verso Dio e unisco a lui pev una specio d’inisiazione che nessun masstro
può insegnare. Il punto culminante del misticismo è l’estasi, stato nel quale,
essendo interrotta ogni comunicazione col mondo esteriore, l’anima ha
l'impressione di comunicare con un oggetto interno, che è l’essere infinito,
Dio. Tale fenomeno, che i teologi considerano come un effetto della grazia
divina, è spiegato dalla scienza come uno stato di monoideismo, analogo al
sonno ipnotico, ottenuto mediante la concentrazione dell’ attenzione in un
unico pensiero © spiegabile mediante la leggo psicologica notissima che: uno
stato completamente uniforme e sempre uguale conduce alla soppressione della
coscienza. Per estensione dicosi
misticismo ogni dottrina, sia filosofica che scientifica, cho si ispiri più al
sentimento e all’intuizione che alla osservazione e al ragionamento; e
misticismo ancora ogni credenza a forze, influssi © azioni impercettibili ai
sensi ο tuttavia reali. Cfr. Heppe, Geschichte der quietistischon Mistik in der
katholisohen Kirche, 1875; R. A. Vaughan, Hours with the Mystics, 3° ed.; E.
Boutroux, Le mysticieme, Bulletin do PInst. psychologique, gennaio 1902; J.
Pachen, Peychologio des mystiques chrétiens, 1909; E. Troilo, Il misticiemo
moderno, 1899; Ernesto Lattes, II misticismo nelle tendenze individuali ο nelle
manifestazioni sociali, 1908; C. Ranzoli, L' agnosticiemo nella filosofia
religiosa, 1912, p. 177 segg. (v. comoscenza). Mito. Gr. Müdoc; T. Mythus; I.
Myth; F. Mythe. IL Vignoli lo definisce come la spontanea e fantastica forma
Mir 710 nella quale ’ umana intelligenza e le umane
emozioni raffigurano sè, © lo cose tutte; © l’ obbiettivazione psico-fisica
dell’uomo nei fenomeni tutti, che egli può apprendere e percepire ». Per il
Simrock il mito è la forma più antica nella quale lo spirito popolare pagano
conosce il mondo © le cose divine». In senso generale è mito ogni racconto
favoloso, d’origine popolare e non riflessa, in cui gli agenti impersonali sono
rappresentati sotto forma d’ esseri personali; in senso stretto è la
descrizione d’un fenomeno naturale considerato come l’espressione di un dramma
divino, ο P incorporazione d’una idea morale in un racconto drammatico. Nei due
casi, ciò che è permanente ο frequente nella natura o nell’umanità, è
ricondotto ad un avvenimento compiuto una volta per tutte, e il dramma, sebbene
inventato, è ritenuto come reale. Questo carattere d’ingenua credulità, per oui
si tengono come reali dei fatti puramente immaginari, è essenziale nel mito, e
lo distingue nettamente dalla favola, dall’allegoria © dalla parabola. In
queste si ha pure un’ idea morale racchiusa in un racconto drammatico; ma esse
sono opera di riflessione metodica, e non pretendono di essere credute reali,
Il mito si distingue anche dalla leggenda, che non ha per carattere necessario
l’interpretazione d’un fenomeno naturale ο l’incorporazione d’un’ idea morale,
Nolla scienza contemporanea, del mito sono date tre spiegazioni diverse:
sociologica, psicologioa, psico-sociologica. La prima, sostenuta dal Durkheim ο
dalla sua scuola, si fonda sul principio metodico fondamentale che i fatti
religiosi, al pari dei fatti giuridici, morali, economici, non sono che fatti
sociali, prodotti di stati d’ anima collettiva, spiogabili quindi non in base
alla natura umana in generale, bensì in base alla natura delle società allo
quali vengono riferiti; ogni gruppo sociale pensa, sente, agisce diversamente
da quel che farebbero i suoi membri isolati ; diotro il mito si scorge sempre
il gruppo sociale che sogna, desidera e vuole; il mondo dei miti ο degli dei
non è cho l’obbiettivazione m1 Mir del pensiero collettivo, la proiezione al
di fuori che la coscienza del gruppo sociale fa delle rappresentazioni, che
essa stessa si è formata sotto lo stimolo dei suoi desideri e delle sue
esigenze. La dottrina psicologica, sostenuta dal Tarde, sostiene invece che i
miti, al pari di tutte le altre produ» zioni sociali, sono di origine
individuale e si sono diffusi per imitazione dapprima esclusiva, poi espansiva
© proselitistica; i miti e le religioni non si compongono di altri elementi che
non siano desiderii ο credenze: il bisogno di certezza, il bisogno di sicurezza
costituiscono la duplice fonte della religiosità, il cui fine è quello di
stabilire negli individui © nei popoli un’ immense convinzione », quella
dell’esistenza di Dio, e un’ immensa speranza », quella dell'immortalità dell’
anima. Tra queste due opposte dottrine sta la dottrina intermedia, o
psico-sociologica, del Wundt, per il quale mito, linguaggio e costume sono prodotti
della psiche collettiva e ripetono, in forma più ampia ed elevata, gli elementi
tutti della vita psichica individuale; il linguaggio infatti contiene la forma
generale delle rappresentazioni viventi nell’ anima sociale, © le leggi delle
loro connessioni; il mito racchiude in sò il contenuto originario di quelle
rappresentazioni, costituito dalla concezione complessiva dell’ universo, quale
la coscienza del popolo se I’ è formata sotto l’azione dei suoi sentimenti e
impulsi; il costume contiene le direzioni generali della volontà collettiva
risultanti da tali rappresentazioni ο sentimenti. Ciò che contraddistingue il
pensiero mitico è la facoltà personificatrice, che proviene, secondo il Wundt,
dalla fantasia, la quale hu due fattori essenziali : l’appercezione animatrice
», per cui si proietta nell’ oggetto la coscienza del soggetto, sì che questi
si sente uno con quello, e la forza intensificatrice del sentimento propria
dell'illusione, forza per la quale tra tutti gli elementi di cui risulta
P’intuisione di un oggetto, non quelli obbiettivi, bene) quelli subbiettivi
determinano il grado d’ intensità delle impressioni emotive Mix-MNE 713 che
accompagnano I’ intuizione dell'oggetto. Ciò spiega quel carattere
importantissimo delle rappresentazioni mitologiche, per cui gli oggetti di essi
appaiono come realtà immediatamente date; caraitere che dimostrerebbe, secondo
il Wundt, l'infondatezza delle teorie che considerano i miti © come simboli o
come tentativi di spiegazione dei fenomeni. Un secondo carattere del pensiero
mitologico è la sconfinata facoltà associatrice, derivante dalla mancanza di
impedimenti, che la riflessione poi oppone. Cfr. Wundt, Grundriss der
Psychologie, 1889, p. 356 segg.; Id., Fölkerpsyohologie, 1900-1909, t. Il;
Simrock, Handbuch d. deutschen Mythologie, 1869; Tardo, Les lois de
l’imitation, 1890; Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, 1895; 1d.,
De la definition des phénomènes religieux, in Année sociologique », anno II, p.
1 segg.; Saussure, Lehrbuch d. Religiongesch., 1887-89; Bréal, Mélanges de
mythologie et de linguistique, 1877; E. Vignoli, Mito e soiensa, 1879; Edward
Clodd, Mito e sogni, trad. it. 1905; 8. Reinach, Cultes, mythes ot religions, 1905-12; E. Lamanna, Mito e
religione nelle dottrine socio-prichiohe contemporanee, Cultura filosofica »,
gennaio 1912. Mixoteismo. L’Hasckel chiama così tutte quelle formo della
credenza in Dio, che contengono mescolanze di rappresentazioni religiose di
specie diversa ed in parte direttamente contradditorie. Più che una forms di
religione teorica, il mixoteismo è una forma pratica che risulta dalle varie
influenze di natura diversa cui va soggetta la psiche religiosa dell’individuo.
Cfr. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1913, p. 389 segg. Mneme, T.
Mneme; F. Mnème. Termine proposto dal Semon per indicare la proprietà inerente
alla sostanza vivente di conservare, come tali ο nelle loro relazioni, I’ insieme
delle eccitazioni ricevute dal mondo esteriore. Il Loeb «9 l’Ardigò adoperano
invece il termine isteresi per indicare la traccia lasciata nel protoplasma
dalle eccitazioni anteriori. Cfr. Semon, Die Mneme, 1904; Id., Die mnemischen 13 Mxe-Mos Empfindungen, 1909; Loeb, Fisiologia
comparata del cervello, trad. it., p. 967; Ardigò, L’inoosciente, Riv. di
filosofia », maggio 1908. Mnemonica. T. Mnemonik, Gedächtnisskunst; I. Mnemonice;
F. Mnémoteohnie. L’ arte della memoria: essa consta di un insieme di norme
pratiche e processi artificiali, diretti a rendere integra, pronta, tenace la
memoria delle cose e si fonda essenzialmente sopra le leggi dell’associazione
delle idee. Il primo dei metodi mnemonici conosciuti, inventato da Simonide,
dicesi topologico : esso consiste nell’associare le idee astratte ad altre
idee, i cui modelli sono oggetti sensibili o presenti in un medesimo tempo.
Cfr. Plebani, 1) arte della memoria, 1899. Mnemotecnia. Lo stesso che
mnemonica. Mobile.
T. Bewegliohes, Boweggrund; I. Moveable body, Mover; F. Mobile. Ciò che può esser mosso. Aristotele chiama ogni
cosa mobile, xivobpevoy, in quanto cangia, e motore, κινοῦν, in quanto è causa
del cangiamento. Nella psicologia
diconai mobili tutti quei fenomeni affettivi -desideri, predisposizioni,
istinti, abitudini che entrano nella deliberazione volontaria, esercitando la
loro influenza nella determinazione all’atto; si distinguono dai motivi, che
sono i fenomeni intellettuali (rappresentazioni) i quali entrano tra loro in
conflitto al momento della deliberazione. Oltrechd nell’atto volontario, il
mobile entra anche negli atti compiuti per tendenza, ed è costituito, secondo
P’Höffding, dal sentimento provocato dall’idea del fine, non dal sentimento
provocato dall'idea che la realizzazione sarà seguita per noi da un piacere. Nell’ astronomia antica dicevasi primo mobile
la volta celeste, che credevasi solida e recante incastrate le stelle: essa si
moveva intorno alla terra, quindi nel suo giro portava seco gli astri. Cfr. Aristotele, Περὶ φυχῆς, III, 10; Höffding,
Psychologie, 1900, p. 424; P. Janet, Traité de philosophie, 4° ed.,
Psychologie, o. IV, p. 311. Mos-Mop TU Mobilismo. F. Mobiliene. Termine proposto dal Chide e accolto
dalla Società francese di filosofia, per indicare la dottrina secondo la quale
il fondo delle cose è non soltanto individuale e multiplo (pluralismo), ma in
continuo movimento, in continua via di trasformazione e senza leggi fisse, così
da rendere inefficace ogni tentativo d’organizzazione razionale. Il Chide
considera tale dottrina come la conclusione necessaria di tutta la filosofia
moderna, tendente a esoludere dal reale ogni unità, immutabilitä e razionalità,
a fare della realtà stessa una creazione continua non diretta ad uno scopo
determinato, ma avente valore per sè, e a porre quindi la durata, il
cangiamento, come la sostanza stessa delle cose. Tre dottrine avrebbero
condotto specialmente, secondo i mobilisti, a tale posizione: la dottrina
hegeliana, che colloca il movimento nel senso stesso dell’ universo, il quale
si sviluppa perciò in sintesi sempre nuove e con leggi che forse non
raggiungeranno mai la loro formula definitiva; la dottrina darwiniana, che
toglie dal cangiamento ogni finalità e pone l’irrazionale ovo prima imperava la
ragione; la dottrina bergsoniana, che libera infine il cangiamento dalla sun
ultima crosta deterministica e meccanica, facendo della contingenza, della
durata pura, la stoffa stessa del reale. Ad ogni modo tale concetto è già espresso
nel πάντα ptt di Eraclito. Cfr. Chide, Lo mobilieme moderne, 1908; Do Sarlo, I
diritti della metafisica, Cultura filosofica », luglio 1912, p. 450 segg. (v.
attiniemo, attività, asione, cangiamento, encrgismo, vitaliemo). Modali
(proposizioni). T. Modal; I. Modal; F. Modales. Quelle proposizioni che
osprimono la modalità, ossia i punti di vista più generali sotto cui possono
presentarsi alla nostra intelligenza gli oggetti del pensiero. Tali punti di
vista essendo quattro, cioè la possibilità, l'impossibilità, la contingenza ©
la necessità, le proposizioni modali fondamentali, quali Aristotele stesso le
definì, sono quattro. Siccome poi ogni modo per esser affermato o negato, ad
ogni pro 715 Mop porzione modificata può
ugualmente essere affermativa ο negativa, così vi sono sedici specie di
proposizioni modali, che gli Scolastici espressero in quattro termini mnemonici
di convenzione: purpurea, iliaco, amabimus, odentuli. Le quattro proposizioni
espresse in ciascuno di questi termini sono equivalenti ed hanno lo stesso
significato: nei termini stessi A indica l'affermazione del modo e quella del
diotum; U la negazione di entrambi; ZV’ affermazione del modo e la negazione
del dictum; I viceversa. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 2, 24 b, 31; Logique de
Port-Royal, 2 p., o. VIII; Hamilton, Leotures on Logic, 1860, ο. XIV. Modalità.
T. Modalitàt; I. Modality; F. Modalité. Una delle categorie di Kant, sotto la
quale si comprendono le tre categorie subordinate della realtà, della necessità
ο della possibilità. Questa classificazione fu tojta da Kant dalla classificazione
dei giudizi, che rispetto alla modalità, cioò al modo onde è affermata o negata
la relazione tra predicato e soggetto, si distinguono in assertori (4 è B),
apodittioi (A deve esser B) © problematici (A può essere B). Gli assortori
esprimono dunque la realtà della relazione tra predicato © soggetto, i
problematici la possibilità, gli apodittici la necessità. Ora la realtà non è
altro che il contenuto dell’ osperienza; la necessità, logicamente, è V
inconcepibilità del contradditorio, obbiettivamente 1’ unità delle condizioni
non impedite; la possibilità dal puuto di vista logico è la conoepibilità dei
contradditori in quanto manca a noi la ragione per decidere quale di esai sia
vero, e dal punto di vista obbiettivo è la presenza di parte soltanto delle
condizioni necessarie perchè una cosa sia. La classi ficazione dei giudizi
secondo la modalità risale ad Aristotele, ma egli non usò tal nome e nemmeno i
suoi commentatori. Avendo poi i grammatici detti modi del verbi le
significazioni di realtà, possibilità e necessità ottenute mediante
modificazioni dei verbi stessi, i logici, da Boezio in poi, tradussero con la
stessa parola 1) espressione sopra Mop 716 riferita dei commentatori aristotelici. Nella psicologia, per modalità della
sensazione #’ intende, dall’ Helmholtz in poi, la natura irreducibile delle
sensazioni date dai diversi organi, per cui non è possibile il passaggio dall’
una all’altra, nd è possibile col confronto di stabilire tra loro una maggiore
o minore somiglianza, e anche un semplice rapporto di intensità. La gualità è
invece una differenza meno profonda, cosicchè le differenze qualitative tra sensazioni
della stessa modalità non esoludono il passaggio dall’ una all’ sltra nè il
confronto per giudicare della loro maggiore o minore somiglianza e intensità
(ad es. tra i colori dello spettro). Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 92, 202-3; Wundt,
Logik, 1893, I, 199; Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1864, II, 156
segg.; Helmholtz, Physiol. Optik,
2* ed., p. 778 segg., 372 segg.; Wundt, Physiol. Poycologie, 3* ed. I, p. 491
segg. (v. intensità, qualità). ‘Modelli (teoria dei). La dottrina, sostenuta
specialmente dai fisici inglesi (Faraday, Thomson, Lodge, Maxwell) e implicante
gravi problemi gnoseologici, secondo la quale non è possibile comprendere i
fenomeni, la natura delle cose materiali, senza formarsene una rappresentazione
concreta, senza costruire un modello meccanico che la imiti. Si oppone alla
dottrina sostenuta dal Rankine, Mach, Ostwald, Duhem, che vorrebbe invece
bandire qualsiasi imagine concreta per ridurre le teorie fisicho ad un puro
sistema di nozioni astratte ο di rapporti matematici. Il mio oggetto, dice il
Thomson, è di mostrare come si possa in ogni categoria di fenomeni fisici, che
dobbiamo considerare, ο qualunque siano questi fenomeni, costruire un modello
meceanico che soddisfi alle condizioni richieste. Quando noi consideriamo i
fonomeni d’ elasticità dei solidi, sentiamo il bisogno di presentare un modello
di questi fenomeni... Io non sono mai soddisfatto finchò non ho potuto
costruire un modello meccanico dell’ oggetto che studio; se ho po 717 Mop tuto fare un modello meccanico, comprendo;
finchè non ho potuto fare un modello meccanico non comprendo; ed è per questo
che io non intendo la teoria elettromagnetica della luce». Però, secondo altri
soguaoi della stessa dottrina, il modello non consiste in un meccanismo vero e
proprio, che simula in qualche modo i fenomeni, copianfoli, ma in una imagine
simbolica del fenomeno, tale che le conseguenze logiche di essa siano sempre le
imagini delle conseguenze necessario del fenomeno nell’ ordine naturalo; cosa
possibile, questa, appunto perchè esiste una certa armonia tra la natura e il
nostro spirito, come l’esperienza di tanti secoli oi dimostra. Da noi il
Pastore, applicando queste vedute alla logica, dà loro un più largo significato
filosofico: egli considera In ragione umana come un modello tra gli altri
modelli, che fanziona deducendo da certi principî tutte le consoguenze
possibili, allo stesso modo come il fisico mette in funzione il proprio modello
per scoprirne le proprietà; i modelli, una volta costruiti ragionano, come la
mente umana, sempre © solo in una maniera, dandoci quella stessa evidenza di
verità che il nostro pensiero riconosce al calcolo © alla dimostrazione logica
astratta. Cfr. Hortz, Die Princ. der Mechanik, 1899, Einl., p. 133 segg.;
Thomson, Notes of lectures on molecular dynamics, 1884, p. 131; Duhem, Les
théories modernes de l'électricité, 1891, p. 16; A. Pastore, Logica formale
dedotta dalla considerazione dei modelli meccanioi, 1906 ; Id., Del nuovo
spirito della scienza e della filosofia, 1907 (v. concetto, imagine,
empiriocritioimo). Modernismo. T. Modernismun; I. Modernism; F. Modernieme.
Quell’ insieme di tendenze ο di dottrine, filosofiche, teologiche © sociali,
che sono venute svolgendosi in questi ultimi anni dal seno del cristianesimo
cattolico ο protestante, mirando a porlo in armonia coi bisogni della vita ©
del pensiero moderno. Dal punto di vista filosofico ο teologico molte sono le
dottrine comprese sotto questa denoΜου 718 minazione (immanentismo, fideismo,
sentimentalismo, ecc.), derivate però quasi tutte dall’ idea fondamentale del
card. Enrico Newman del primato della coscienza ». L’enciclica Pascendi
dominioi grogis (8 sett. 1907) le condannò tutte in blooco, additandole come
sintesi di tutte le eresio, come prodotto di superbia e d’ignoranza, e
riassumendone gli errori in due fondamentali, I’ agnosticismo e l’
immanenz& vitale. Per il primo la ragione umana è ristretta interamente nel
campo dei fenomeni; .... per la qual cosa non è dato a lei d’innalzarsi a Dio,
nd di conoscerne }’ esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili. E da oid
si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto
diretto; riguardo alla storia, non deve mai reputarsi oggetto storico ». Negata
così la teologia naturale, i motivi di credibilità, la rivelazione esterna, la
religione non può trovarsi che nella vita, nel cuore dell’uomo; di qui l’immanenza
vitale: il bisogno del divino, senza verun atto previo della mente, secondo che
vuolo il fideismo, fa scattare nell’ animo già inclinato alla religione un
certo particolar sentimento ; il quale sia come oggetto sia come causa interna,
ha implicata in sò la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con
Dio: A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo
ritengono quale inizio di religione ». Cfr. Ritschl, Reokifertiguag und
Versöhnung, 3° ed. 1888; C. Ranzoli, L’ agnosticismo nella filosofia religiosa,
1912; R. Murri, La filosofia nuova e l’enciolica contro il modernismo, 1908 ;
*** Il programma dei modernisti, risposta all’ enciclica, 1908; Tyrrel,
Modiosvalismo, 1909; Id., II cristianesimo al bivio, 1910; Laberthonnière,
Saggi di filosofia religions, trad. it. 1907; *"* Lettere di un prete
modernista, 1908; E. Newman, Lo sviluppo del dogma oristiano, trad. it. 1908.
Modificazione. T. Zustandsänderung, Modification; I. Modification; F.
Modification. In senso proprio, dicesi modificazione ogni modo che ha la sua
causa non nella natura 19 Mop essenziale del soggetto, ma è l’effetto d’
uns causa esteriore o distinta dal soggetto medesimo. Perciò la modificarione
non va confusa col cambiamento, in quanto essa non cambia nd distrugge la
natura specifica della cosa, che non cos di essere quello che è. Modo. T.
Modus, Sohlusemodue; I. Mood, Modo; F. Mode. I modi ο aocidenti d’un essere
sono le qualità non essenziali ο mutabili, quelle che possono esistere, non
esistero e variare senza che per questo l'essere scompaia 0 cessi di essere
quello che è; le qualità essenziali si dicono invece attributi. L'estensione è
un attributo della materia; P aver essa una forma 0 un’altra è un modo. In
senso più generale per modo s'intende qualsiasi modificazione d’un soggetto.
Così Goclenio lo definisce come roi quadam determinatio; © Spinoza: substantia
affectiones, sive id quod in alio est, per quod etiam concipitur. Dicesi modo del'sillogismo la forma che egli
ha riguardo alla quantità ο alla qualità dolle due premesse e della
conclusione. Ora, le combinazioni della qualità e della quantità nei giudizi
dànno quattro specie di giudizi, indicati con le vocali 4, E, I, 0; queste
quattro specie dànno sedici combinazioni binarie; essendo quattro le figure del
sillogismo, si avranno sessantaquattro modi per tutte lo figure. Ma di questi,
quarantuno sono contrari alle regole del sillogismo e non dànno conclusione:
quindi i modi coneludenti ο cioè validi si riducono 8 diciannove, dei quali
quattro appartengono alla prima figara, quattro alla seconda, sei alla terza,
cinque alla quarta. Tali modi validi sono enunciati nei seguenti versi
mnemonici, che, con qualche variante, si trovano per la prima volta nelle Summulæ
logicales di Pietro Ispano: Barbara, Celarent, Darii, Ferioque, Priors Cesare, Camestres, Festino, Baroco Seounde Tertia, Darapti, Disamis, Datisi, Felapton Bocardo, Ferison habet. Quarta insuper addidit
Bramantip, Camenes, Dimaris, Fesapo,
Fresison, L’artifizio di questi versi sta in ciò, che le voMor 720 cali di ciascun vocabolo denotante un modo
indicano la qualità e la quantità delle premesse © della conclusione ; le
consonanti meno nella prima indicano, se sono iniziali, a qual modo della prima
figura quel dato modo si deve ridurre per dimostrarne la validità (così
l'iniziale di Calomes indica che deve esser ridotto a Celarent), se non
iniziali (e, m, p, ο) con quale operazione logica la riduzione relativa deve
esser fatta: e cioò, 4 per conversione semplice, m per metatesi delle premesse,
p per conversione accidentale, ο per proposizione contradditoria. Cfr.
Goclenio, Lezioon philosophioum, 1613, p. 694 segg.; Spinoza, Ελίσα, def. V}
Locke, Essays, 1877, 1. II, ο. XII, $4 (v. figura, premesse, termini,
conclusione e le vocali 6 consonanti indicate). Molecola. T. Moleküle; I.
Molecule; F. Molécule. La più piccola porzione di materia costituita di atomi,
alla quale’ si concepisce poter giungere nella divisione d’un corpo omogeneo,
semplice o composto, senza alterarne In natura. Secondo 1’ Eucken, la molecola
fa distinta nettamente dall’ atomo per la prima volta dal Gassendi. Da Avogadro
in poi si sogliono distinguere le molecole éntegranti, che constano di atomi,
dalle molecole costituenti, cho sono gli atomi stessi; nei corpi composti le
molecole integranti constano di molecole costituenti eterogenee, nei corpi
semplici di molecole costituenti della stessa specie. Nella chimica dicesi
molecola la quantità più piccola di un corpo che possa esistere allo stato
libero, © che è chimicamente divisibile. Il Buffon chiamava molecole organiche
i complessi atomici possedenti la capacità della conservazione ο della
riproduzione; con questo presupposto, egli considerava tutta la vita organica
come una attività di tali molecole, sviluppata per contatto col mondo esterno.
Più tardi il Lamarck, elaborando questo principio, tentò di spiegare la
trasformazione degli organismi dalle forme inferiori alle superiori con la sola
azione meccanica del mondo esterno, mediante l’ adattamento all’ ambiente. Con
significato ana 721 MoL-Mom logo il
Verworn chiama molecole biogene le particelle dotate di attività vitali
elementari, cioè di assimilazione, dissimilazione e riproduzione ; nella
concezione monistico meocanica della vita esse rappresenterebbero un ipotetico
stadio di transizione tra il formarsi delle sostanze proteiche, la cui molecola
complessa si costituisce attorno ad un atomo di carbonio, e il formarsi dei
primissimi organismi, costituiti appunto da una aggregazione di molecole
biogene. Cfr.
Eucken, Geschichte der philos, Terminologie, 1879, p. 86; Nanmann, Über
Moleküle, 1872; Würtz, Histoire des doctrines chimiques, 1872; Th. Fechner,
Über die physikal. und philosophische Athomenlehre, 1864; Svedberg, Die
Existenz der Molekille, 1912 (v. atomica, vita, vitalismo, cellulari teorie). Molteplicità. T. Vielheit, Mannigfaltigkeit; I.
Multiplicity; F. Multiplioité. Carattere di ciò che comprende elementi diversi
e separabili. È il correlativo di unéfa, senza la quale sarebbe inconcepibile,
la molteplicità non essendo altro che il complesso di più unità, Secondo alcuni
filosofi la molteplicità è 1’ essenza della natura corporea; altri invece
distinguono la molteplicità reale dalla potenziale: la prima è accidentale,
essendo il semplice rapporto di coesistenza di più oggetti, e non è proprietà
reale della natura corporea se non quand’ è possibile imaginarla nell’estensione
continus di cui il corpo è fornito (v. pluralismo, unità, quantità). Momento.
T. Moment, Augenblick; I. Moment; F. Moment. Non è che l'abbreviazione di
movimento; e siccome la durata si misura per mezzo del movimento, così nel
linguaggio comune il momento è quella parte di durata, che si misura per mezzo
del più piccolo movimento percepibile. Però questo momento si concepisce spesso
come qualche cosa di provvisoriamente statico, che rimane per un istante fermo:
quindi l’ idea comune di momento è contradditoria. Nella meccanica il momento
di una forza rispetto ad un punto è il prodotto della stessa forra per la 46 RANZOLI, Dizion: di scienza Alosofichs. Mon 722 distanza da quel punto. Nella filosofia fa
nsato spesso come sinonimo di stadio, fase, periodo di una successione o processo
di fenomeni: con ciò il vocabolo fa condotto al suo significato etimologico.
Nel sistema dell’ Hegel gli elementi ο le esistenze diverso non sono che
momenti o forme transitorie del movimento universale dell’ Idea, la quale ha
tro momenti fondamentali: idea in sò, idea per sò o natura, idea che torna in
ed o spirito. Lo spirito a sua volts ha tre momenti: soggettivo ο individuale,
oggettivo o universale, assoluto ο divino. Cfr. Locke, Essay, 1877, 1. II, ο
XIV, $ 10; Hegel, Enoyolopädie, 1870, $ 145 (v. dialettica, istante, idea,
pantetemo). Monade. Gr. Μονάς unità; T.
Monade; I. Monade; F. Monade. Termine antichissimo, già usato da Pitagora, che
nell’ unità fa consistere il principio e l’ essenza d'ogni cosa: ἀρχήν μὲν
ἁπάντων µονάδα. Platone lo applioò poi alle idee, Sinesio e Sabellio a Dio,
monado delle monadi ; Giordano Bruno fa della monade il minimum indivisibile
della sostanza, monas rationaliter in numoris, essentialiter in omnibue. Ma il
termine fa reso celebre dal Leibnitz. Questo filosofo, opponendosi al dualismo
di Cartesio e al monismo di Spinoza, sostenne che le sostanze sono più d’una e
tutte attive, cioò forze, che l'estensione non è l'essenza del corpo ma un
qualche cosa di derivato e suppone quindi gli elementi dalla cui opposizione si
forms. Se anche questi elementi sono estesi, bisogna dividerli in altri, e così
via via finchè si arrivi ai punti non più fisici ma metafisici, agli elementi
primi delle cose, alle monadi. La monade, dice il Leibnitz, non è altra cosa
che una sostanza semplice, che entra nei composti; semplice, cioè senza parti.
Ed è necessario esistano delle sostanze semplici, poichè ci sono dei composti;
infatti il composto non è che un ammasso 0 aggregatum di semplici. Ora, là dove
non ci sono parti, non ο) è nd estensione, nè figura, nd divisibilità possibile;
© codeste monadi sono i veri atomi della natura e 723 Mon
in una parola gli olementi delle cose.... Non c'è mezzo per spiegare come una
monado possa essere alterata 0 cangiata nel suo interno da qualche altra
creatura, perchè non si potrebbe trasportarvi nulla, nd concepire in essa alcun
movimento interno che possa ossoro eccitato, diretto, aumentato ο diminuito là
dentro, come può avveniro nei composti dove c’è cangiamento tra lo parti. Le
monadi non hanno finestro attraverso le quali qualche cosa possa entrare in
osse © uscire. Gli accidenti non potrebbero staccarsi nd girare fuori delle
sostanze, come facevano nel passato lo specio sensibili degli scolastici. Così,
nd sostanza nè accidento può entrare dal di fuori in una monade. Bisogna che
ciascuna monade sia differente da ogni altra; poichd non si danno mai nella
natura due essori cho siano l’uno porfettamente como l’altro, ο dove non sia
possibile trovaro una differenza interna o fondata sopra una denominazione
intrinseca ». La monade è danque una forza semplice, originaria, differenziata
in sò stessa, ο non dal di faori ; quindi noi non possiamo sapere per
esperienza quale sia questa determinazione interna di ciascuna monade, ma
soltanto indurlo per analogia, attribuendo alle monadi ciò che troviamo nell’
anima nostra. E siccome nell’ anima noi troviamo la percezione ο rappresentazione
(vocaboli che per il Leibnitz sono sinonimi) così ogni monade avrà una forza
rappresentativa. Che cosa rappresenta? Sè, © tutte le monadi. Sè, in quanto
attiva, e tutte lo monadi in quanto limitata. Cfr. Diogene Laer., VIII, 25;
Stobeo, Kol., I, 2, 58; Goclenio, Lezicon phil., 1613, p. 707; G. Bruno, De
tripl. minimo, 1591, I, 2, 4; Leibnitz, Monadologie, 1714; Id., Discourse de
métaphysique, 1686. Monadismo. T. Monadismue; I. Monadiem; F. Monadieme. La
dottrina leibnitziana delle monadi. Essendo la monade, cioè 1’ elemento primo
delle cose, un punto metafisico inesteso, una forza semplice, originaria,
differenziata in sè stessa, consogue dal monadismo il dinamismo ; Mon 724 essendo invece I’ atomo il punto fisico,
dotato di proprietà meccaniche, la conseguenza dell’ atomismo à il meccanismo.
Per monadologia «’ intende invece qualunque trattato ο dottrina sulle monadi;
tale nome fu dato dall’ Erdmann al libro del Leibnitz nel quale era esposta la
dottrina delle monadi. Mondo. Gr. Késyog; Lat. Mundus, Orbie; T. Welt; I. World; F. Monde. In senso generalissimo V’ insieme di cid che è,
la totalità delle cose e dei fatti. Primitivamente, il sistema ordinato
costituito dalle terra ο dagli astri. Nella teologia, la vita sociale degli
uomini, contrapposta alla vita spirituale ο religiosa, considerata come il
dominio degli appetiti carnali, della dissipazione e del peccato. Mondo
sensibile dicesi 1’ insieme delle cose che sono 0 possono essore oggetto di
percezione, quale 1’ individuo se le rappresenta anteriormente ad ogni critica;
mondo intelligibile è invece l insieme delle realtà ο essenzo corrispondenti
alle apparenze sonsibili, e quali 1’ esperienza scientifica ο filosofica
conduce a pensarle. Anima del mondo dicesi il principio dell’ unità e
dell'ordine del mondo, concepito per analogia con l’ anima individuale ; fu
ammessa da Platone, dagli stoici, da Plotino. Monera. Il più semplice degli
organismi viventi, s00perto e descritto dall’ Haeckel. Le monere hanno forma
sferica, mobile, © risultano costituite di una piccola masss mobile di plasma
senza struttura, ο protoplasma. Si distinguono in fitomonere, vegetali, e
soomonere, animali; queste, secondo 1’ Haeckel, deriverebbero da quelle, le
quali alla lor volta sarebbero nate per generazione spontanea. Cfr. Haeckel, I
problemi dell’ universo, trad. it. 1903, p. 506 (v. generazione spontanea,
cellula, cellulari teorie). Monismo (μόνος --solo). T. Monismus, Einkeitalehre,
Monistische Weltanschauung; I. Monism; F. Monieme. Termine molto vago, col
quale si sogliono designare in genere quel sistemi filosofici che ammettono una
unità o 725 Mon identità fondamentale, e spiegano quindi
tutti i fenomeni per mezzo d’un solo principio o d’ uns sola sostanza. Fu
introdotto nella terminologia filosofica da Cristiano Wolf, che con esso
designava quelle dottrine che pongono una essenza unica di tutte le cose, sia
lo spirito puro o la pura natura: moniste diountur philosophi, qui unum
tantummodo aubstantiæ genus admittunt. In generale si oppone a dualismo, e
spesso designa la dottrina panteistica, secondo la quale il tutto è uno. Si adopera anche, in special modo nella lingua
inglese, per designare quella moderna dottrina del parallelismo psicofisico,
secondo la quale l’anima e il corpo, la coscienza © il cervello, il mondo dello
spirito e quello dei corpi, si sviluppano come espressioni differenti di un
solo e med essere: dato, da un lato, il parallelismo © la proporzionalità
esistenti tra l’ attività cosciente e l’attività cerebrale, e riconosciuta,
dall’ altro, la differenza tra queste due forme di attività, si conchiude che
entrambe devono avere per base una identità fondamentale, che si esprime sotto
una duplice forma. Il monismo
psicofisico differisce dal moniemo materialistioo, secondo il quale lo spirito
non è che una forma o un prodotto del corpo, e dal moniemo spiritualistico,
secondo il quale il corpo non è che una forma o nn prodotto d’ uno ο più esseri
psichioi. Monismo concreto chiama 1’
Hartmann la propria dottrina, secondo la quale solo gli attributi dell’ essere
sono vari ο molteplici; © moniemo energetico 0 energiemo dicesi la dottrina
dell’ Ostwald, per la quale non v’ha che una sola realtà, l'energia, di cui
materia, gravitazione, calore, elettricità e pensiero non sono che modi. Moniemo meccanico è } espressione con cni
viene indicata la dottrina di Ernesto Haeckel, secondo il quale la forza e la
materia, in virtà della loro inseparabile unione, sono i due principi primitivi
di ogni esistenza; Dio è identico al mondo; nulla è superiore alla natura; ogni
atomo, come centro di forza, è dotato di un’ anima costante, di movimento e di
sensibiMon 726 lità: dai loro incontri fortuiti ο dallo loro
combinazioni si formano le anime-molecole (inorganiche) e le animo dei
protoplasmi molecolari (organiche) o da queste risultano le anime-cellule;
l’anima umana non è che la somma delle anime elementari delle cellule. Con l’ espressione di monismo concettuale vien
designata la dottrina del De Roberty, secondo il quale non v’ ha alcuna
distinzione fra spirito © materia, tra mondo esterno © mondo interno, uniti da
un rapporto di perfetta uguaglianza; il movimento non è che uno degli aspetti
dell’osistenza successiva © discontinua, è tempo oggettivato, coscienza
proicttata nello coso che riempiono il fuori di noi; il monismo meccanico non à
che una ripercussione del monismo logico. Il Fouillée e il Guyau chiamano il proprio
monismo immanente e naturalista, per distinguerlo da quello dello Spencer che
essi designano come trascendente © mistico: secondo il Fouillée, il pensiero e
il suo oggetto non sono che un’ unica entità; ogni cosa contiene già il germe
del pensiero o delle volontà che in noi si manifestano; la volontà dispersa in
tutto l’ universo non ha che da riflettersi progressivamente su sè stessa, ed
acquistare così una maggiore intensità di coscienza, per divenire in noi
sentimento e pensiero. hegeliana,
infine, la parola monismo è adoperata a designare quel sistema generale di
filosofia, che concilia le antitesi in una sintesi superiore. In senso analogo,
per opposizione a pluralismo, dicesi monismo I’ idealismo inglese d’origine
hegeliana, specio quello del Bradley, che afferma l’unità del mondo,
l’esistenza dell’ assoluto, 1 intelligibilità essenziale dell’ essere, il
carattere puramente apparente e superficiale della molteplicità sensibile,
dell’individualità e della durato. In un
senso molto più largo, in quanto designa non una dottrina ma una tendenza generale,
è inteso il monismo dalla rivista The Monist », fondata nel 1900 da Hegeler ο
da Paul Carus per sostenere questi concetti: 1° sopra ogni oggetto non esiste
che, una verità 727 Mox sols, determinata virtualmente dal
principio, intemporale, indipendente da ogni desiderio e da ogni azione
individuale; 2° tutte le verità concordano tra di loro, qualunque sia il loro
dominio e la loro origine ; 3° la conoscenza scientifica © la fede religiosa
possono essere conciliate integralmente senza nulla perdere del loro contenuto
essenziale. Cfr. Cr. Wolff, Peychologia rat., 1732, $ 32; F. Masci, It
materialismo psicofisico, 1901; Haeckel, Der Monismus ale Band swischen
Religion u. Wissenschaft, 1893; Eucken, Die geistige Sirömungen dor Gegenwart,
1909, sez. C, cap. I; Ostwald, Die ‚Energie, 1908; Id., Vorlesungen über
Naturalphilosophie, 1901; Güschel, Der Monismus des reinen Godankens, sur
Apologie der gegenwärtigen Philosophie, auf dem Grabe ihres Stifters, 1832;
Wartenberg, Die monistische Weltanschauung, 1900; A. Fouillée, La pensde et les
nouvelles écoles anti-intelleotalistes, 1911; Le volontarisme intelleotualiste
de M. Fouillée, in Rev. philosophique >, gennaio 1912; e in The Monist >,
Haeckel, Our monism, 1912; Morgan, Three aspects of monim, 1894; Woods
Hutchinson, The Holiness of instinct, 1896; R. Benzoni, Esame orit. del
concetto moniatico ο pluraliatico del mondo, 1888; G. Nicolosi, La psicologia
del monismo, 1899; Ardigd, Monismo metafisico e monismo scientifico, in Opere
fil., IX, p. 426 segg. (v. anima, assioma d’eterogenoità, ideo-forse,
materialiemo, spiritwalismo, 600.). Monofisiti. T. Monophyeiten; I.
Monophysites; F. Monophysites. Setta di eretici cristiani, che neguvano a Gesù
Cristo la duplice natura umana e divina, sostenendo aver posseduto soltanto la
seconda. Cfr. Dorner, Christliche Glaudenslehre, LI, 1880. Monogenismo. T.
Monogenismus; I. Monogenism; F. Monogénisme. Dicesi così, in opposizione a
poligenismo, la dottrina ortodossa che ammette che tutte le razze umane
derivano da un solo centro di produzione, e furono determinate dall’ influenza
dell'ambiente nel breve spazio di tempo trascorso dalla creazione del mondo,
conforme all’ attestaMox 728 zione della Bibbia (Genesi). Tutte lo razze
umane discenderebbero infatti da una sola coppia, Adamo ed Eva, e poi dalle tre
coppie salvate dal diluvio; ο tutte le specie animali discenderebbero pure da
un numero corrispondente di coppie salvate nello stesso tempo. Fra gli ultimi e
più autorevoli difensori dell’ unità della specie umana è da ricordare il De
Quatrefages, secondo il quale le specie zoologiche sono immutabili nel loro
tipo fisico © delimitate nelle loro circoscrizioni dal loro carattere
d’omogenesia nel proprio seno ο d’eterogenesia al di fuori; l’uomo sarobbe
stato creato, da principio, in condizioni sconosciute, per I’ intervento d’ una
volontà soprannaturale; le razze umane non sono che varietà dovute all’
influenza dell’ ambiente ο agli inoroci; per il loro posto elevato © la
religiosità che è soltanto loro propria, esse occupano nella serie zoologica un
posto a parte, il regno «mano. Col comparire successivo dolla dottrina del
trasformismo, il problema dell’ unità ο della molteplicità della specie ha
perduto ogni importanza, ο meglio, va posto in altri termini: dato che le
specie variano all'infinito passando dall’ una all’ altra per una infinità di
transizioni, © ammessa la derivazione dell’uomo da qualche forma animale
anteriore (scimmie), resta a vedere se i tipi umani elementari sono usciti da
più antenati pitecoidi o antropoidi, o derivano da un solo ceppo rappresentato
da un solo dei loro generi. I partigiani del moderno monogenismo sostengono
questa seconda ipotesi, che sembra però suffragata da ùn numero minore di prove
dell'ipotesi contraria. Col nome di monogenismo 0 monogonia si dosigna anche
quel modo di generazione animale, che consiste nella separazione dal corpo
dell'individuo generatore di una parte di esso, che si sviluppa poscia così da
dar luogo ad un nuovo individuo. Cfr. A. De Quatrefages, La spocie umana, trad. it. 1871;
Id., Rapport sur le progrès de Vanthropologie, 1867; Id., Leçons professées au
Muséum, Revue des cours scient. », 1864-1868 (v. poligenismo). 729
Mon Monoideismo. T. Monoideismus; I.
Monoideism; F. Momoïdeisme. Vocabolo cresto dall’ Horwiez, col quale si designa
quello stato psicologico, proprio del sogno, dell’ estasi € del sonno ipnotico,
in cui una sola idea ο rappresenta zione prevale, e quindi un solo ordine di
associazione mentale. Il Ribot lo adopera per indicare lo stato di concentra
zione e d’ organizzazione della coscienza intorno ad una idea dominante, che à
proprio dell’attensionc; ma si usa anche per indicare lo stato patologico dell’
ides fissa. Cfr. Pierre Janet, Nevroses ot idées fizes, 2° ed. 1904; Preyer,
Die Entdeckung des Hypnotismus, 1881, p. 14 segg., 81; A. Lehman, Die Hypnose,
1890, p. 44 segg. Monolatria. Secondo alcuni storici della religione, il
monoteismo sarobbe stato preceduto nell’ evoluzione del sentimento religioso
dalla monolatria, cio’ 1’ adorazione di un solo idolo. Monomania. T. Monomanie;
I. Monomania; F. Monomanie. Anomalia mentale, in cui l'intelligenza e |’
affottività sono alterate in un solo e determinato ordine di sentimenti e di
idee, rimanendo sane in tutti gli altri. La psichiatria moderna ha abbandonato
il nome e il concetto di monomania, dovuto dall’ Esquirol; essa la considera
come un semplice gruppo di sintomi della follia degenerativa, comprendendoli
tutti sotto il nome di passia impulsiva, o, come vorrebbe il Morselli, di
parabulie costitusionali coatte. Tra le forme più comuni sono da ricordarsi la
cleptomania, ο tendenza morbosa e irresistibile al furto; la dipsomania,
impulso a bere specialmente bevande forti od alcoliche; l’onomatomania, bisogno
imperioso di ripetere una parola sempre presente alla monte, o tendenza ad attribuire
a certe parole un significato funesto ο una influenza preservatrice ; la
piromania, impulso ad appiccare incendi; la olastomania, impulso a compiere
atti di distrazione; la monomania suicida, quasi sempre ereditaria e manifestantesi
alla stessa età nei vari individui della stossa famiglia; Mon 730 1a
monomania omicida, che si attua con la mancanza di qualsiasi motivo per spiegar
l’atto ο alla quale l’ammalato, che ne comprende tutta l’orridezza, non sempre
è capace di resistere; costituite tutte da impulsi irresistibili a fare qualche
cosa senza averne chiaro motivo. Cfr. Esquirol, Des maladies mentales, 1839;
Prichard, Treat. on Insan., 1836, p. 26 segg.; Krafft-Ebing, Psychiatrie, 1883;
Ribot, Le maladies de la volonté, 1888; Morselli, Manwale di som., t. II, p.
635; Tamburini, Monomania impulsiva, Riv. di freniatria >, 1877. Monoteismo.
Gr. μόνος = solo, $aög--Dio; T. Monotheismus ; I. Monotheiem; F. Monothéieme.
La credenza in un Dio unico e solo; non è da confondersi con l’enofeirmo, che è
quel primissimo stadio della religione in oui si adorano oggetti diversi presi
a volta a volta isolatamente come rappresentazioni di un Dio. Si oppone al
dualismo orientale, che è la credenza în due principi supremi, ugualmente
primitivi e irreducibili, il principio del bene © quello del male; © al
politeismo, cioè la credenza in più divinità. Becondo aleuni il monoteismo
conterrebbe come sue spocie il panteismo, il teiemo.e il deismo; però,
quantunque la parola monoteismo non implichi nd escluda V idea della
personalità, contiene almeno l’idea di unità, e la forma più alta e più reale
di unità di cui noi abbiamo esperienza è la personalità; quindi, allorchè si
parla di monoteismo sì pensa sempre, e con ragione, a un solo Dio personale. L'
Haeckel distinguo un monoteismo naturalistico e un monoteismo antropistioo: il
primo consiste nell’ incarnazione di Dio in un fenomeno della natura solenne,
dominante su tutto (sole, luna); il secondo consiste nell’ umanizzazione dell’
ente supremo, al quale, sia pure in forma altissima, sono attribuiti
sentimenti, pensieri e attività come ul? uomo. Cfr. P. D’ Ercole, II toismo,
1884; Haeckel, I problemi dell’ unicerao, trad. it. 1908, p. 384 segg.;
Höffding, Filosofia della religione, trad. it. 1909, p. 148 sogg. (v. elioteismo,
monolatria, mosaiciemo). 731 Mon-Mor Montanismo. T. Montanismus ; I.
Montanism; F. Montanisme. Setta cristiana del secondo secolo, fondata da Montano,
che combinsva la credenza nella continuità dei doni miracolosi degli Apostoli e
nella ispirazione personale di Montano, con l'attesa della prossima seconda
venuta di Cristo e la pratica di un rigoroso ascetismo. Cfr. Bonwetsch, Geschichte d.
Montaniemus, 1881. Morale. Gr. Ἠθικός: Lat. Moralis; T. Sittlich,
ethisch, moralisch; I. Moral, ethical; F. Moral. Può significare tanto ciò cho è conforme alla morale,
quanto ciò che riguarda sia i costumi, sia le norme d’ azione ammesse in una
data epoca in una doterminata società. Opposto a fisico, materiale, corporale,
indica ciò che è relativo allo spirito e alla coscienza; opposto a logico o a
intellettuale ciò che riguarda l’ azione e il sentimento. Dicesi giudizio
morale quello che si pronunzia sopra il valore etico d’una azione; argomento
morale quelle provo tradizionali del libero arbitrio © dell’esistenza di Dio
che si ricavano dall’ esigenza morale; senso morale il particolare sentimento
che fa distinguere il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto; statistica
morale quel ramo della statistica che si occupa delle azioni volontarie
dell’uomo; pazzia morale una perversione patologica della coscienza e del
carattero morale, senza alterazione notevole delle funzioni intellettuali ο
specialmente senza illusioni o allucinazioni. Cfr. Cabanis, Rapports du physique
et du moral de l'homme, 1802 ; Kant, Krit. d. prakt. Fernunft, ed. Reclam, p.
149 segg.; Quetelet, Physique s0ciale, 1869; Drobisch, Die moraliste Statistik,
1867; F. Hutcheson, Inquiry into the original of our ideas of beauty and
virtue, 1725; Delbrück, Die pathologische Lüge, 1891; Bleuler, Über moralische
Idiotie, Vtljsch. fur gerichtl. Med.
», 1898. Morale. T. Sittenlehre, Hthio; I. Ethice; F. Morale. O filosofia
morale o etica, è quella parte della filosofia che determina le leggi della
condotta umana; essa infatti ha per oggetto di stabilire il fine verso il quale
devono rivolgersi Mor 782 le azioni degli individui, ο di giudicare in
qual rapporto stiano le azioni stesse col conseguimento di quel fine. Si
definisce anche la teoria razionale del bene ο del male; oppure la scienza
della volontà e della condotta morale. Si sogliono distinguere: la morale pura,
o toorioa, 0 generale, che tratta dei principî generali, della natura ed
essenza del bene morale; la morale pratica, o speciale, o applicata, che è
l'applicazione dei principi generali ai casi partico lari, lo studio dei mezzi
atti a raggiungere il bone morale, a mantenerlo e a svolgerlo; la morale
eudemonologica, che tratta della folicità che consegue al bene morale; la morale
psicologica, che studia l’azione morale nel suo moccanismo interno, nelle suo
basi psichiche, e cioè la coscienza morale, il sentimento morale, la volontà,
il carattere e In personalità morale ; la morale sociale, che studia l’ azione
stessa nelle sno basi e nei suoi fattori esterni o sociologioi, il costume, la
famiglia, le classi sociali, lo stato, eoc. Si suole infine distinguere la
morale individuale, che tratta dei doveri verso sò stessi, dalla morale sociale
che tratta dei doveri verso gli altri, e dalla morale religiosa che tratta dei
doveri verso Dio; questa parte della morale che tratta dei doveri dicesi anche
morale deontologica ο deontologia. Quanto alla classificazione dei diversi
sistemi di filosofia morale, ricorderemo anzitutto quella acutissima del nostro
Rosmini, cho partendo dal principio che la moralità risiede nel rapporto di
convenienza che passa tra l'ordine razionale e l'ordine fisico, divide tutti i
sistemi in soggettivi e oggettivi; alla prima categoria appartengono quei
sistemi che traggono comunque il principio della morale dagli elementi
costitutivi della natura umana, siano questi le forzo fisiche, le tendenze
sensitivo-animali o le inclinazioni ο affezioni razionali (edonismo,
materialismo, sensismo, sentimentaliamo, associazionismo, utilitariemo,
eudemonismo, ecc.); alla seconda categoria appartengono quei sistemi che
pongono l'imperativo della moralità, la forza obbligante del prin 133 Mor cipio morale in qualche cosa di estraneo e
superiore all’ uomo (ontologismo, morale teologica, legiemo, ecc.). Una
classifica zione meno minuta, ma fatta con uno spirito sasai più eritico e
positivo, è quella del Wundt, che, ponendosi dal punto di vista del fine
imposto alla condotta umana, dietingue i sistemi morali in eferonomi ο
autoritativi, nei qnali il fine della condotta è imposto da un comando
esteriore, © in autonomi nei quali il fine stesso soaturisce dalle disposizioni
originarie e da condizioni materiali di sviluppo; gli autonomi si dividono alla
lor volta in evolusionistici ο eudemonistici, a seconda che 1’ azione morale fa
parte di una evoluzione il cui termine ultimo è lo scopo veramente supremo
dell’ attività, ο ba invece per scopo il possedimento di beni immediati che 1’
individuo stesso ο i suoi compagni devono godere; infine ambidue questi sistemi
si dividono in individualisti © universalisti, a seconda che i beni o la
perfezione da conseguire si restrihgono all’agente ο si estendono a tutti i
soci e all’ umanità. In questi ultimi tempi una geniale e comprensiva
classificazione fu proposta da Giovanni Vidari che, distinte le dottrine morali
in metafisiche © scientifiche, a seconda che poggiano la morale sopra una
concezione filosofica del mondo e della vita o sullo studio dei fatti, divide
le prime in materialistiche, pantetatiche © teistiche, le seconde in
individualietiche-psicologiche © sociologiche; la concezione materialistica dà
luogo all’edonismo individuale (Epicuro, D’Holbach), la panteistica all’ edonismo
universale se il panteismo è materialistico (stoici, Spinota) all’ odonirmo
universale se è idealistico (Hegel), la teistica al perfarioniemo (Leibnitz) ο
all’ edonismo individuale (Paley); le concezioni individualiste psicologiche
(Bentham, 8. Mill, Bain) hanno per carattere comune di proporsi la ricerca non
della natura del bene, ma degli impulsi e dei processi dai quali la moralità
deriva; le concezioni sociologiche, allargando I’ indagine dall’ individuo alla
specto e alla società, danno Inogo al biologiemo (Spencer, Stephen) Mor 734 al
determiniemo economico (Marx, Loria) e alle dottrine storico-psicologiche
(Ardigd, Wundt, Höffding, Baldwin, Paulson, 000.) che sono oggi le prevalenti ο
cercano di stabiliro le basi scientifiche della morale dallo studio delle condizioni
storiche di sviluppo della vita associata, considerata sotto l'aspetto
psicologico. Cfr. Ständlin, Gesch. 4. Moralphilosophie; Sidgwick, Outlines of
the history of Etichs, 1886; Id., The methods of ethics, 2* od. 1877; Lecky,
History of european morale, 2* ed. 1869; Wundt, Ethic, 2° ed. 1892; Paulsen,
System der Ethio, 3" ed. 1893; Rosmini, Principî della scienza morale,
1857; Id., Storia comparativa e critica dei sistemi intorno alla morale, 1837;
Ardigd, La morale dei positivisti, 1892; L. Friso, Filosofia morale, 1893;
Vidari, Etica, 1902 ; Marchesini, La dottrina positiva delle idealità, 1913.
Moralismo. T. Moralismus ; I. Moraliem; F. Moraliame. Opposto a immoraliemo, il
riconoscimento d’ una legge morale obbligatoria. In senso generale, ogni
dottrina o tendenza etica, che considera la perfezione morale non soltanto come
l’idealo supremo, ma anche come la suprema renltà. Questa dottrina proviene
forso dalla influenza esercitata dalla filosofia di Kant, il quale elevò per
primo la perfezione morale al di sopra di tutte lo realtà possibili e di tutte
le nozioni concepibili, ponendola come irreducibile a tutto il resto e come
fondamento di tutto il resto. Fichte chiama la propria dottrina moralismo puro,
in quanto pono a fondamento supremo della filosofia una legge dell’ azione ο
non dell’ essore. In quest’ ultimo senso il moralismo coincide, nella
speculazione contemporanea, con 1’ cnergismo, l’attivismo, l’ idealismo etico;
una delle sue forme più caratteristiche è il moralismo umanistico, il quale
parte dal concetto che l’uomo, essendo un essere sociale e morale, deve
subordinare al dovere sia il conoscere che l’agiro, pur riconoscendo la
distinzione tra la verità e la virtù, tra l’ essere e il dovere. Cfr. Krug,
Handbuch. d. Philos., 1832, p. 271; Fichte, Darstellung der Wissenschaftslehre,
1801, 735 Mor $ 26; A. Fouillée, Le moralismo de Kant et
l'amoralieme contemporain, 1905; Id., Nietzsche οἱ Vimmoralieme, 2° ed. 1902
(v. attivismo, energiemo, prammatiemo). Moralità. T. Sittliohkeit; I. Morality;
F. Moralité. Si può definire come la conformità soggettiva © spontanen all’
ideale morale; si distingue © in parte si contrappone alla legalità, che è In
conformità oggettiva alla logge giuridica. La determinazione dei caratteri
della moralità, ο In sua distinzione dal diritto, costitnisco una dello
questioni più importanti e più discusse dalla filosofia etico-ginridica.
Secondo la dottrina di Kant, che forse è ancor oggi la più aocettata, si è nel
dominio della moralità quando si ubbidisce alla legge per un sentimento
interno, che ci spinge a compiere il dovere per il dovore, si è inveco nel
campo del diritto quando si compie nn dovere non per un impellente motivo
psicologico, ma per la coazione propria delln legge ο per altre cause. Secondo
il Romagnosi la moralità non mira, come il diritto, a rafforzare la colleganza
ma a santificare la umanità; ha una maggiore estensiono del diritto,
contemplando l’uomo in tutte le sue posizioni e relazioni; considera
soprattytto gli eterni motivi doi volori umani gli effetti buoni o cattivi che
ne derivano. Secondo lo Spencer, nella sfera della moralità impera la beneficenza
positiva ο negativa, mentre in quella del diritto domina la giustizia, che
impone doveri esclusivamente nogativi; la beneficenza, che è sempre libera e
spontanen, rappresenta una leggo secondaria e deve rimanere una funzione
privata, in quanto mira ad aumentare la prosperità sociale, mentre la giustizia
rappresenta la legge primaria dell’ armonica cooperazione sociale, e viene
perciò imposta coattivamente dallo Stato. Secondo l’Ardigò, infine, tanto ‘ la
moralità cho il diritto germogliano dallo idenlitä socia] ma mentre la
giustizia propriamente detta (cioò quella esercitata dallo Stato, con sanzione
punitiva e responsabilità corrispondente) importa nell’ individuo subordinato
P’idenMor-Mos 736 lità corrispondente al dorere giuridico, la
giustizia impropriamente detta (cioò quella delle reazioni della convenienza,
con sanzioni indefinite e responsabilità morale) importa negli individui
coordinati lo idealità corrispondenti al dovere morale. Cfr. Kant, Krit. d. pr.
Vern., 1878, p. 37, 39 segg.; Spencer, The data of ethics, 1879; Romagnosi,
Gemosi del diritto pubblico, 1805; Ardigd, Opere fl., I, 211 segg., IV, 18
segg. Morfinismo. T. Morphiumsucht; I. Morphiniem ; F. Morphinisme.
Intossicazione cronica, accompagnata da disturbi psichici 6 determinata dall’
uso continuato della morfina. L'azione paralizzante di codesto veleno sull’
apparato neuromuscolare, modifica profondamente il carattere dei malati,
indebolendone la memoria e la volontà, rendendoli proclivi all’ ozio ο alla
fantasticheria, ο determinando talora il sorgere di allucinazioni tattili e
cenestetiche ; anche la sfera affettiva viene alterata, i sentimenti familiari
ο morali si ottundono, fino a condurre talvolta ad azioni delittuose. Cfr.
Levinstein, Die Morphiumeucht, 3° ed. 1883; Pichon, Le morphinieme, 1890; J.
Finzi, Compendio di peiohiatria, 1899, p. 84, 87. Morfologia. T. Morphologie;
I. Morphology; F. Morphologie. Scienza che studia le forme degli animali e dei
vegetali, la loro struttura, il loro significato e la loro origine. Tali forme,
già spiegate o mediante una forse soprannaturale creatrice, o per mezzo della
forea vitale ο della causa finale, si considerano nella moderna biologia
evoluzionistica come somplici fenomeni naturali spiegabili per mezzo di leggi
meccaniche. Cfr. Haeckel, Gen. Morphologie, 1868. Mosaicismo. Il monoteismo
giudaico, quale fu fondato da Mosd sedici secoli avanti Cristo, © il oui valore
storico consiste nell’aver dato origine alle due grandi religioni mediterranee
che dominano il mondo: il cristianesimo e il maomettismo. Gli studi di storia
comparata delle religioni hanno ormai assodato che anche il monotelrmo giudaico
737 Mor è il prodotto d’ una lunga evoluzione, le
cui fasi pit importanti furono prima 1’ animismo poi il politeismo. Cfr. Gruenesein, Der
Ahnencultue n. die Urreligion Yeraels, 1900; Charles, 4 critical Aystory of the
doctrine of a future life in Israel, 1900; E. Ferrière, Paganisme des Hébreux
juequ'à la captivité de Babilone, 1890. Motivo. T. Motir, Beweggrund; I. Motive; F. Motif. In generale ciò che
muove; psicologicamente ogni impulso che produca ο tenda a produrre un'azione.
Negli antecedenti della volizione, si dicono motiri, per distinguerli dai moDili,
i fenomeni intellettivi (rappresentazioni) che entrano in conflitto e
determinano quindi l'atto volontario ; i moDili sono invece i fenomeni
affettivi, che s’ accompagnano sempre, secondo alcuni psicologi, agli
intellettivi. Cr. Wolf definisco i motivi come ratio suffioiene volitionis ao
nolitionis. Per Holbach sono motivi gli oggetti esteriori o le idee interiori
che fanno nascere codesta disposizione (di volere) nel nostro cervello ». Per
il Bentham sono motivi in senso largo tutte le cose che possono contribuire a
far sorgere qualsiasi specie d'azione, o anche a presentarla »; în senso
stretto qualunque cosa che, influenzando la volontà di un essere sensitivo, è
supposta servire come mezzo por determinarlo ad agire, o per trattenerlo
volontariamente dalVagire in qualsiasi ocensione ». L’ Hüffding distinguo il
motivo come forza determinante differente da noi e dalla nostra natura, dal
vero e proprio motivo volontario, che non è che noi stessi presi sotto una
forma o sotto una faccia detorminata: I nostri motivi sono delle parti di noi
stessi, che appartengono ora al nostro io reale, ora al lato del nostro essere
più vicino alla periferia ». Il Wundt distingue i motivi attuali dai
potenziali: Noi chiamiamo attuali tutti quei motivi che raggiungono
concretamente una efficacia nel volere, potenziali invece quelli che, in quanto
elementi della coscienza poveri di sentimento, rimangono inefficaci ». Il Sergi
definisce i motivi come gli stimolanti della vo47 Raxzout, Dizion. di scienze filosofiche. Mor 738 lizione, quando sono passati nella coscienza
dell’ agente sotto una forma psichica ». Cfr. Wolff, Psyohologia empirica, 1738, $ 887
;eBentham, Introd. to the prino. of moral, 1823, p. 161 segg.; Höffding,
Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 450; Wandt, Etik, 1892, p. 440; Sergi, La
psyohol. physiologique, trad. frano. 1887, p. 419. Motore. T. Beweger, Bewegend ; I. Mover,
Motor; F. Moteur. In generale, ciò
che muove. Come sostantivo si usa quasi solamente per tradurre I’ espressione
aristotelica: τὸ πρῶτον κινοῦν, τὸ κινοῦν ἀκίνητον, il primo motore, il motore
immobile, cioò Dio, che è causa d’ogni mutamento ο d’ogni divenire nel mondo,
senza essero egli stesso s0ggetto ad alcun mutamento: C’ ὃ qualche cosa che
muove eternamente;... è un essere che muove sonza esser mosso, essere eterno,
essenza pura, © attualità pura. Ora, ecco come esso muove. Il desiderabile ο l’
intelligibile muovono senza esser mossi; e il primo desiderabile è identico al
primo intelligibile. Poichè l'oggetto del desiderio è ciò che par buono, e
l’oggetto primo della volontà è ciò che è buono, Noi desideriamo nna cosa
perchò ci sembra buona, piuttostochò ci sembri tale perchè la desideriamo. II
principio, qui, è dunque il pensiero; ora, il pensiero è messo in movimento
dall’ intelligibile... L'oggetto immobile muove come oggetto dell’amore, e ciò
ch’ esso muove imprime il movimento a tutto il resto. Ora, per ogni essere che
si muove ο) ὃ possibilità di cangiamento. 1 essere che imprime questo
cangiamento è il motore immobile. Il motore immobile è dunque un essere
necessario; ο, in quanto necessario, è il bene ». Diconsi centri ρείσο-πιοίογέ, o semplicemente
centri motori, o sono motrici, quelle regioni della corteccia cerebrale che
presiedono ai movimenti diversi del corpo. La loro esportazione o distruzione
determina delle paralisi, la cui estensione corrisponde all’estensione della
zona corticale distrutta. Sul’ esistenza di zone motrici distinte dalle
sensorie, sembrano concordare i fisio 739 Mor-Mov logi, i quali però discordano circa l’
ubicazione delle zone stesse. Diconsi
fibre motrici ο efferenti quelle che trasmettono l’impulsione nervosa
centrifuga ai muscoli e alle ghiandole; sensazioni motrici ο cinestetiche le
sensazioni che accompagnano i movimenti del corpo, dovuti alla contrazione dei
muscoli o alla trazione esercitata sni legamenti muscolari ; imagini motrici le
sensazioni stesse che si riproducono senza lo stimolo periferico che
direttamente le provochi; memoria motrice la memoria dei movimenti ; imaginazione
motrice, quel tipo d’imaginazione che consiste nel predominio delle imagini di
movimento ed è specialmente caratterizzata, per quanto riguards le parole, dal
fatto che l'individuo le rappresenta sotto la forma dei movimenti
d’articolazione con cui le pronuncerebbe. Cfr. Aristotele, Metaph., III, 8; XI,
6-7; Albertoni ο Stefani, Fisiologia umana, ed. Vallardi, p. 590 segg.; Ribot,
Maladies de la colonté, 153 ed., cap. III; Haffding, Peychologio, 1900, p. 235
segg. (v. localizzazione). Motorium commune. Per analogia al sensorium commune,
alcuni psicologi designano così quell’ insieme di centri motori cerebrali, che
si troverebbero nella parte parietale © nella posteriore della corteccia
corebrale, ο la cui stimolazione per parte dei centri percottivi ο ideativi,
posti nella parte anteriore del cervello, dà luogo ad uns corrente centrifaga,
che determina i movimenti volontari. Il motorium commune sarebbe quindi un
magazzino di movimenti virtnali organizzati. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de
la pensee, trad. franc. 1888, vol. II, p. 169-200. Movimento. T. Bewegung; I. Morement, Motion; F. Mourement. Cambiamento
di posizione nello spazio considerato in funzione del tempo e possedente quindi
una velocità definita, Si sogliono distinguere tre specie di movimenti : quelli
dei corpi formanti una massa più o meno coerente, che è trasportata da un luogo
dello spazio ad un altro; quelli che si prodncono nell’ interno di un corpo Mov
740 di cui l'insieme continua ad occupare
relativamente lo stesso luogo di spazio, ma di cui le molecole e gli atomi si
muovono; quelli del fiuido (etere) che si suppone riempiro gli intervalli che
separano i corpi gli uni dagli altri, e le molecole o gli atomi di ogni corpo.
Il movimento è di sua natura continuo, poichè se un punto materiale è trasportato
da una posizione ad un’altra, deve passare necessariamento per tutti i ponti
della linea che unisce le due posizioni considerate. Il movimento dicesi
assoluto quando è riferito a degli oggetti realmente fissi nello spazio; è
rélatiro se è riportato ad oggetti considerati come fissi dall'osservatore, ma
trasportati con lui in un movimento comune. Questa distinzione è però affatto
teorica, non essendo il movimento assoluto cho un’ astrazione: infatti nell’
universo quale ci è dato dall’ esperienza non esiste un punto realmente fisso
οὗ al quale si possa riportare In posizione degli altri punti. Dicesi movimento
istantaneo quello compiuto da un corpo solido durante un tempo infinitamente
piccolo; uniforme quello in cui gli spazi percorsi sono proporzionali ai tempi
impiegati a percorrerli ; uniformemente rariato quello in cui la velocità
cresce ο decresce di quantità proporzionale ai tempi. Il concetto del movimento comincia ad assumere
importanza nell’ esplicazione della natura già con i primi filosofi greci, con
Eraclito che lo pone come essenziale della realtà, con la scuola eleatien ο con
Zenone, che lo nega mediante argomenti ancor oggi discussi, con Democrito, che
lo considera una proprietà originaria dell’atomo, con Platone che lo distingue
dal cangiamento, infine con Aristotele, che lo introduco a spiegare il momento
del passaggio dalla potenza all’energia. Per Aristotele il movimento non è il
puro cangiamento esterno di Inogo, ma ogni processo di passaggio dalla materia
alla forma, che presuppone però sempre, nell'incontro del fattore attivo col
passivo, un mutamento anche spaziale, cosiechè in questo senso il movimento
consiste alla nl Mov fine nell’attività
della forma che è nella materia; è il movimento che fa passare 1’ essenza ο il
contenuto della materia dallo stadio della pura possibilità alla realtà. Il
movimento, quindi, è già energia, essendo il processo d’ attuazione di ciò che
nella materia esisto come disposizione ; ed è anche, per lo stesso motivo, il
passaggio da uno stato al sno opposto. Aristotele distingue poi queste specie
di movimento © cangiamento: il quantitativo, 0 d’ accrescimento e diminuzione;
il qualitativo, ο di trasformazione d’ una sostanza © d’uno stato in un altro;
e lo apasiale; ο di traslazione, che è continuo (συνεχής) © può essere
rettilineo, circolare e misto. Gli scolastici accettarono quasi tutti la
concezione aristotelica del movimento: Movers est ezistere do potentia in
actum, dice Β. Tommaso; movens dat id quod habet mobili, inquantum facit ipsum
esse in actu. Cartesio non ammetto invece altro movimento che quello di
traslazione, come proprietà della materia sia animata sia inanimata, e lo definisce
: actio qua corpus aliquod ex uno loco in alium migrat. Egli vuol costruire con
figura 6 movimento tutta la realtà fisica, considerando quest’ultimo come il
fenomeno che contiene la spiegazione di tutti gli altri; ammettere invece delle,
novembre 1899. Neutri (stati). Gli stati psichiei caratterizzati dalla indifferenza
del sentimento, e ciod privi di qualsiasi stato di piacere o di dolore. Molti
psicologi negano l’esistenza di tali stati, poichè, secondo essi, ciò
condurrebbe ad ammettere implicitamente la discontinuità della vita psichica,
la quale è invece costituita da un flusso continuo di piaceri e di dolori. Fra
coloro che ammettono l’esistenza degli stati neutri si possono distinguere due
indirizzi diversi: gli uni sostengono col Wundt che essendo il piacere e il
dolore i due poli opposti della coscienza, si dovrà andare dall’ uno all’altro
passando per uno stadio di assoluta indifferenza; gli altri, come il Bain, si
appoggiano sull’esperienza interna, che ci attesta l’ esistenza di molti stati
privi affatto di tono e colorito sentimentale. Cfr. Reid, Intellectual Powers,
1863, p. 311; Wundt, Grundzüge der physiologischen Psychologie, 1893; Höffding,
Psychologie, trad. franc. 1900, p. 380 segg.; Horwiez, Psychol. Analysen, 1878, II, 2, p. 26; A.
Bain, The emotions and the will, 1865, p. 13. Nevroglia o cemento nervoso. È un tessuto di sostegno
che tiene fermi gli elementi nervosi centrali e degli organi di senso. Consta
di cellule speciali molto ramificate: codeste ramificazioni, a forma appiattita
ο filiforme, entrano fra gli elementi nervosi ed hanno varia disposizione nelle
varie porzioni del sistema nervoso centrale o degli organi di senso. Cfr. E. W. Taylor, A
contribution to the study of human nerroglia, in J. of exper. med. », 1897, II.
Nihilismo. T. Nichilismus; I.
Nihiliem; F. Nihilisme. In generale qualunque dottrina conchiuda all’ annientamento,
alla negazione, al nulla. Così si dice nihiliemo moNir 760 rale la dottrina dell’antico buddismo, che
predicava la soppressione della sensibilità, il disperdersi della persona. lità
per gli infiniti abissi dell’essere; nihilismo logico quello di Hegel, che
nelle prime categorie della Logica afferma V identità dialettica dell’ essere e
del non-essere; nihilismo gnoseologico quello che nega la possibilità della
conoscenza e della verità. L’ Hamilton dico nihiliete, per opposizione a
realiste, quelle dottrine che non ammettono una realtà sostanzialo
corrispondente alle percezioni esteriori ; in questo senso equivale perciò a
solipriemo ο idealiemo soggettivo. Nel linguaggio comune per nihilismo si suol
intendere il comunismo anarchico dei rivoluzionari russi, Cfr. W. Hamilton,
Leotures on metaphysics, 1859, I, p. 293-294; Nietzsche, Wille zur Macht, 1. I,
cop. I. Nirvana. Dottrina propria della religione buddistica; secondo le parole
di Buddha stesso, il nirvana à l’esistenza spogliata di ogni attributo corporeo
e considerata come la suprema ed eterna beatitudine ». Il nirvana non à dunque
l’ annientamento, ma 1’ identificazione dell’ io individualo col principio
supremo dell’ universo, lo sprofondarsi © il confondersi della personalità
nell’ esistenza universale. Questo è il fine supremo ο la suprema felicità cui
l’uomo deve aspirare: egli non la raggiunge subito dopo la morte, ma dopo un
periodo di trasmigrazioni successive dell’ anima sua in altri corpi, periodo
che è tanto più breve quanto più esso si sottopone alla penitenza, quanto più
pratica la virtà, la carità, l'umiltà, la rassegnazione. Il vocabolo nirrana fu
popolarizzato nei linguaggi occidentali dallo Schopenhaner, che lo usò per
esprimere il nulla del mondo: «I buddisti impiegano con molta ragione, egli
scrive, il termine puramente negativo di nirevîna, che è la negazione di questo
mondo (sansira). Se il nirvana è definito come niente, ciò non significa se non
che questo mondo © sansira non contiene alcun elemento proprio, che possa
servire alla definizione o alla costruzione del nirvana... 761 NoL-Nom Noi riconosciamo volentieri, che ciò
che rimane dopo l’abolizione completa della volontà non è assolutamente nulla
per quelli che sono ancora pieni di volontà di vivere. Ma per quelli nei quali
la volontà s’ è negata, il nostro mondo, questo mondo reale con i suoi soli e
con la sua via lattea, che cos'è? Nalla ». Cfr. Max Müller, Die Bedeutung von
Nirwana, in Essays >, 1869, vol. I, p. 242 segg.; Obry, De nirvana
bouddhique, 1863; R. Davids, Buddhiem (William and Norgate), p. 170 segg.; G.
Lo Forte, Budda, 1904, p. 50 segg.; Schopenhauer, Die Welt ale IV. und. Vorat.,
ed. Reclam, 1. IV, suppl. cap. XLI (v. catarsi, metempsioosi). Nolontà. Lat.
Noluntas (Ennio, 8. Agostino, 8. Tommaso); T. Noluntas, Nolentia, Nolitia ; I.
Nolition; F. lonté. Termine poco in uso, ma proposto da alcuni filosoti moderni
per indicare non la mancanza di volontà, ma la volontaria resistenza ad una
impulsione, l'arresto d’un atto in via di compiersi se la volontà non |’
ostacolasse. Chr. Wolff: nolitio et aversio sensitiva non sunt actiones priratiræ,
sed positive. Il Renouvier la contrappone alla rertigine normale, che nel
meccanismo volitivo è l’attività spontanea sorgente del movimento muscolare,
attività diretta dall’ uomo con un’ azione di arresto, analoga a quella @ un
regolatore che apra o chiuda I’ uscita ad una energia che esso non crea. Molti però non approvano l’ uso di questo
termine, anzitutto perchò è un duplicato inutile di inibizione, poi perchè si
oppone per la sua forma a volontà, mentre impulsione © inibizione sono i due
fattori da cui la volontà risulta. Cfr. Chr. Wolff, Philos. pratica universalis, 1738, I, $
38; Renouvier et Prat, Nourelle monadologie, 5* parte, art. 91. Nominalismo. T. Nominalismus; I. Nominalism; F.
Nominalisme. Si oppone a realiemo, e designa quella dottrina secondo la quale
gli universali, cioò i generi e le specie, non hanno alcuna esistenza nella
realtà, © soli reali sono gli oggetti individuali e particolari. Vi ha un
nominalismo Nom 762 medievale o scolastico, e un nominalismo
moderno. Il nominalismo scolastico, che trasse origine da un passo dell’Isagogo
di Porfirio, è di due specie: P uno, che è il nominaliemo in senso stretto,
considera le idee generali come semplici flatue vocis, ciod nomi coi quali ci
riferiamo ai vari ordini di cose, sebbene in realtà noi non possiamo mai
rappresentarci che degli individui; l’altro, che prende il nome di concettualiemo,
sostiene che gli universali, pur essendo nomi tomuni designanti qualità che non
esistono che negli individui, hanno tuttavia, in quanto concetti, una realtà
nello spirito di chi li pensa. Entrambi però si oppongono al realismo, ed hanno
per motto: unitersalia post rem. Il campione più risoluto del nominalismo fa
Roscelline, del concettualismo Abelardo. Nella filosofia moderna il problema
della realtà delle idee generali si è spostato: infatti i nominalisti moderni
sostengono che il significato del nome generale non è che un sapere virtuale,
essendo la possibilità dei singoli conoreti dalla rappresentazione dei quali
risulta, e con ciò s’ oppongono ai concettualisti, pei quali il significato del
termine generale è un concetto tuale. Fra il numero indefinito dei singoli
conereti di cui il nome richisma l’imagino, esso deve essere, secondo i
nominalisti, affermato degli uni e negato degli altri; per tal modo il suo
significato non consiste che in tendenze e ripugnauze, che risultano da una
moltitudine di associazioni anteriori. Una forma radicale di nominalismo è sostenuta
oggi in Italia dal Guastella; per esso non esistono concetti; noi non possiamo
avere altro che rappresentazioni di oggetti o fatti particolari, determinati
nello spazio © nel tempo; ciò che chiamiamo idea generale ο concetto è
semplicemente un nome che può riferirsi a più oggetti individuali simili, un
nome di classe, col corteggio delle rappresentazioni associate, pronunciato ο
inteso mentalmente ». Dicesi nominalismo
scientifico 1’ insieme delle dottrine contemporanee che, nella teoria della
scienza, 763 Nom sostituiscono le idee di convenzione, di
comodità, di abbreviazione del lavoro mentale, a quelle di verità e conoscenza
del reale; con l'antico nominalismo logico esso non ha in comune che di
rifiutare ogni valore obbiettivo ai nostri concetti, e quindi alle leggi
scientifiche. Dicesi nominalismo
sociologico non già, come potrebbe sembrare, la teoria che definisoe la società
come una somma d'individui accidentalmente avvicinati, ma quella dottrina che
riconduce analiticamente il fatto sociale alla relazione inter“ personale,
reciproca e consolidata. Essa fa poggiare la sociologia comparata sulla
psicologia interpersonale. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik im Abendiando,
1855-70, II, 78 segg.; Haureu, Histoire de la phil. soolastique, 1872-80, I,
260 segg.; Exner, Über Nominalismus und Realismus, 1841; Köhler, Realismus und
Nominalismus in ihrem Einfluss auf die dogmatischen Systeme der Mittolalters,
1858; Woodworth, Imagelees thought, Journal of philos., psychol. and 8. meth.
», 1906, n.° 26; Hoernlé, Image, idea and meaning, « Mind », gennaio 1907;
Binet, La pensée sans images, nel vol. L'étude exp. do l'intelligence, 1903; Le
Roy, Soience ot philosophie, « Revue de métaph, », nov. 1899; Sur la valeur
objeotire den lois physiques, « Bulletin de la Soc. de philosophie », 1901; C.
Guastella, Saggi eulla teoria della conoscenza, 1907, I, p. 78; A. Levi, La
resurrezione del nominalismo, « Cultura filos. », aprile 1907 (v. concetto,
imagine, universali, terminiemo). Nomogonia. L’Ardigd chiama così quella parte
della scienza positiva delle leggi morali, che studia la formazione storica,
graduale e progressiva, delle idealità umane. La parte puramente descrittiva, o
delle forme osservate nel presente, dicesi nomografia; la parte che studia le
loro trasformazioni relative al tempo © al luogo, dicesi nomologia. La
nomografia si divide poi in geografica e etnografica, in quanto studia la
distribuzione delle diversità nomografiche per le varietà dei luoghi e delle
razze umane. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 162 segg. "
Nox 764 Non-essere. T. Nichtseiendes, Nicht-sein ; I.
Non-being ; F. Non-être. Sinonimo
di nulla, non-ente, non-reale, Inteso in senso assoluto, è impensabile e
indefinibile come non è definibile 1’ Essere assoluto. Il nostro Bertini lo
comprendeva fra le sue quattordici categorie; altri ancora lo considerano come
la categoria suprema, superiore all’ Essere. Gli eleatici, ammettendo che ogni
pensare si riferisce ad un ente, che forma il suo contenuto, consideravano il
non-essere o non-ente, τὸ μὴ éév, come tale che non può essere © non può essere
pensato; siccome però per ente essi intendevano la materialità, lo spazio
pieno, così per non-ente intendevano lo spazio vuoto, τὸ xevév, e la loro
proposizione equivaleva a ciò che lo epasio vuoto non può essere. Gli atomisti,
da Democrito a Lucrezio, ammettevano inveco l’esistenza tanto del reale,
dell’essere inteso materialisticamente come il pieno, il solido, quanto del
non-essere, cioè il vuoto, che è indefinito, e nel cui seno turbinano gli
atomi; le cose risultano da una mescolanza del reale e del non-reale. Kant
analizzd il concetto del non-essere, distinguendone quattro specie, a seconda
che rappresenta la negazione di una delle sue quattro categorie: nell’ordine
della quantità, si ha il nessuno, l’ons rationis; nella qualità la privazione,
il nihil privativum; nella relazione il vuoto, ene imaginarium; nella modalità
il contradditorio, cio il nihil κοgaticum. Per Hegel 1’ essere puro è identico
al non essere, perchè di esso non si può nulla affermare senza con ciò negarlo,
« quindi I’ essere puro è 1’ essere assolutamente indeterminato. Ma l’essere
assolutamente indeterminato è l'essere che non è nulla, è l'essere e altra cosa
che l’eswere, l’essore e ciò che non è 1’ essere, è in una parola Vessere e la
sua negazione, il non-essere ». Nel divenire, Vessere come tutt’ uno col nulla,
il nulla come tutt’ uno con l'essere, sono soltanto evanescenti
(rerachwindende); il divenire coincide, mediante la sua contradizione in sò,
con l’unità nella quale entrambi sono tolti : il suo risultato à 765 quindi l'essere determinato. Cir. Hegel,
Logique, trad. franc. Vera, $ 87 sogg.; Encykl., $ 89; Ormond, Basal concepts
in philosophy, 1896 (v. dialettica, essere, divenire, inane, nulla).
Non-euclideo. La geometria euclidea è fondata sul postalato di Euclide delle
parallele, postulato che si enuncia così: se una retta ne incontra due altre,
contenute in uno stesso piano, e forma con queste angoli interni da una stessa
parte la cui somma è minore di due retti, tali due rette prolungate indefinitamente
#’ incontreranno da quella parte ove la somma dei due angoli è inferiore a due
retti La geometria detta non-enclidea presenta idee nuove sulla teoria delle
parallele, assumendo per principio fondamentale che il postulato di Euclide non
è, in quanto tale, una verità che possa dedursi logicamente dalle altre, ma ne
è indipendente; esso quindi si può supporre falso, e da tale supposizione si
può venire alla concezione di diversi spazi possiDili, che non hanno le
proprietà dello spazio euclideo. Ctr. Helmholtz, Urprung u. Bedeutung d. geom.
Ariome, 1876; Gino Fano, La geometria non euclidea, « Rivista di scienza »,
vol. IV, 1908 (v. iperapazio). Non-io v. Io. Non-me v. Io. Noo ο Nous. È I italianizzazione
del greco νοῦς. che signitica intelletto, pensiero. Fu usato da alcuni, ad es.
da Platone, indifferentemente con Logo; tuttavia quest’ ultimo designa più
specialmente il pensiero in quanto è unito alla sua espressione verbale. Per
Anassagora il vodg è il principio ordinatore e moderatore del mondo; esso è un
elemento corporeo, omogeneo in sè, increato, imperituro, jaso in una fine
distribuzione in tutto il mondo, ma diverso da tutte le altre materie non solo
per grado, essendo la più fine, la più leggiera, la più mobile, ma anche per
sostanza, essendo materia pensante, che si muove da sù e muove gli altri
elementi nel modo che si dà a conoscere nell’ ordine del mondo. Per Platone il
νοῦς (ο λογιστιχὀν). Noo-Nor 766 © è quella delle due parti dell’anima che
corrisponde al mondo dell» idee, quindi l'elemento razionale, la sede del
sapere e della virtù corrispondente. Per Aristolele il vo5ç è l’intelletto, che
può essere attivo © passito ; il primo è la pura attività intellettuale,
l’unità pura, comune a tutti gli nomini © fondamentale, della ragione ; il
secondo invece è il materiale della percezione, che deriva dall’ esistenza
corporea dei singoli uomini, varia col variare delle loro esperienze, e
fornisce alla ragione le passibilità ο le circostanze della sua funzione, Cfr.
Platone, Fed., 97 B; Aristotele, Met., I, 3, 984 b; Simplicio, Phys., D., 38
(v. emanazione, intelletto). Noologia. Trattato intorno alla mente; per il
Crusius noologia è la psicologia, per l’ Hamilton la solenza della ragion pura,
per 1’ Eucken la scienza della vita creatrice dello spirito, per il Mentré l’analisi
ο la classificazione dei differenti tipi di spirito, la ricerca dei loro legami
e dello loro interazioni. Noologico dicesi di tutto ciò che si riferisce al
pensiero, alla intelligenza, alla ragione. Ampère distingueva le scienze in due
categorie fondamentali : noologiohe, che trattano delle cose spirituali e di
tutto ciò che ha rapporto con lo spirito; cosmologiche, che trattano delle
leggi della materia. Cfr. Reid, Works edited by sir W. Hamilton, 1848, nota A,
$ V; Mentré, Lo Spectateur, giugno 1911, p. 284; Ampère, Philosophie des
scionoes, 1834. Normale. T. Normal, gewöhnlich ; I. Normal, Customary; F.
Normal. In senso rigoroso, è normale ciò che à quale dev’ essore, cid che è
conforme alla regola, In generale è normale ciò che si verifica più
frequentemente, ciò che si presenta abitualmente col presentarsi di determinate
circostanze. Nella biologia dicesi normale un organo, una funzione, una
struttura, quando, pur rappresentando una eccezione, sia tuttavia protettiva
per l'individuo ο per la specie, risultando dall’ adattamento dell’ essere
vivente all’ ambiente e alle condizioni d’esistenza (v. anomalia, toratologia).
767 Nor Normativo, Norma. T. Vormatir, normgebend
; I. Normative; F. Normatif. Dicesi normatiro tutto ciò che concerne una norma,
o che corrisponde et una norma, Si adopera talvolta come sinonimo di imperativo
e di obbligatorio, ma erroneamente, perchè la norma non ha di necessità
carattere obbligatorio. La norma si distingue infatti dalla legge, che esprime
ed esaurisce la natura propria della cosa, e dalla regola, che è l'enunciazione
del rapporto espresso dalla legge, ma colla trasformazione della causa in mezzo
e dell'effetto in fine, quindi col riferimento ad una attività che può
intervenire rendendo attuale il rapporto espresso dalla legge; la norma
rappresenta invece la modificazione possibile di un soggetto, la quale è
avvertita come una esigenza, come un qualche cosa di desiderabile, ma la cui
assenza non implios per sè stessa la non esistenza del soggetto alla cui
attività essa si riferisce. La norma implica, secondo il Liebmann, la libertà
del volere, ossia una potenza capace di elevarsi al di sopra del meccanismo naturale;
le stesse leggi logiche ed estetiche intanto si trasformano in legge, in quanto
il pensiero e la fantasia sono considerate in dipendenza della volontà, che si
propone di raggiungere i fini propri del pensiero e delle funzioni estetiche. Il Wundt designa con questo nome quelle
scienze le quali, come la logica, la morale e l'estetica, stabiliscono al
pensiero o all’azione una norma suprema, che è la verità per la logica, il bene
per la morale, il bello per 1’ estetica. Si distinguono dalle altre, dette
naturali ο esplicative, perchè non ricercano la causa dei fenomeni ma indagano
il fine degli avvenimenti e non hanno una applicazione che nella sfera umana,
nella quale soltanto codesti fini possono essere concepiti e raggiunti. Si
distinguono anche dalle scienze pratiche, perchò queste non si occupano tanto
di stabilire una norma suprema, quanto di dettare i mezzi per raggiungere un
determinato stato ο abilità. Cfr. W. Wundt, Ethio, 1886, $ 1 dell’ Introd.;
Id., Logik, 1893, II, 513 segg.; Nor 768
Liebinann, Gedanken und Thatsachen,
1899; De Sarlo, Causa ο legge naturale, « Cultura filosofica », aprile 1908.
Nota o determinazione. Gr. Texuyptov; T. Merkmal ; I. Notion, Nota; F. Notion,
Nota. Dicesi di ogni elemento che serve a costituire il concetto. Questo
infatti si definisce come la sintesi ideale o tipica d’una cosa o d’un fatto,
ottenuta mediante il confronto delle rappresentazioni e l’astrazione delle note
identiche. L'insieme delle note di un concetto costituisce, secondo il Mill,
quella che noi diciamo I’ essenza della cosa; secondo altri |’ essenza à data
soltanto dalle note permanenti dell'oggetto; per altri ancora 1’ essenza è il
complesso delle qualità primarie della cosa, che indica quello che la cosa è
nell’ordine delle altre cose e in relazione nd esse. Fra le note del concetto
si dicono comuni quello che si trovano in più altri concetti, proprie quelle
che lo distinguono dagli altri con cui ha note comuni, disparate quelle che se
si riducono a concetti a sò non presentano alcun elemento comuno, disgiunte
quelle che importano reciproca negazione. Riguardo al valore dello singole note
rispetto al concetto, si dice genere quel complesso dello note di un concetto,
che sono considerate come sostanziali rispetto a tutte le altre; differensa la
nota primaria costitutiva ed esclusiva di un concetto; proprietà quella che non
è primaria ma costitutiva ed esclusiva; attributo quella che è soltanto
esclusiva; modo quella che è costitutiva soltanto di una particolare
specificazione del concetto ; accidente quella che può essere e non essere, contenendo
il concetto soltanto la possibilità indeterminata di essa. Ad es., nel concetto
di triangolo, il genere è la nota essere una figura chiusn rettilinea; la
differenza è d'avere tre lati e tre angoli; la proprietà è che i suoi angoli interni
sommati sono uguali a due retti ; 1’ attributo che gli angoli esterni presi
insieme sono uguali a quattro retti; il modo la proprietà pitagorica; l’
accidente l'essere grande © piccolo, disegnato ο reale. Dicesi deferminazione
1’ ope 769 Not-Nou razione con cui si
aggiunge una nota ad un concetto, acerescendone la comprensione e diminuendone
1’ estensione; astrazione l operazione inversa. Cfr. Aristotele, Rethor., I, 2,
1357 b, 14; Fries, System der Logik, 1837, p. 120 segg.; Masci, Logica, 1899,
p. 105 segg. Nota notae est nota rei ipsius. Formula esposta in più luoghi da
Aristotele come principio generale del sillogismo. Alcuni filosofi, come Kant ο
Hamilton, la opposero al principio scolastico espresso nella formula: diotum de
omni aut de nullo. Tuttavia la formula kantiana si riduce facilmente a quella
scolastica, che ciod: ciò che si dice del predicato si predica pure del
soggetto, pradicatum pradicati est pradicatum subieoti. Cfr. Aristotele,
Kateg., 3, 1 b, 10; Hamilton, Leotures on Logik, 1860, app. VI, 11; Kant, Krit.
d. r. Vern., ed. Kehrbach, 253. Noumeno (τὸ νοούμανον = ciò che è concepito
dall’ intelligenza). Vocabolo reso comune dal Kant e già adoperato da Platone
parlando delle idee (voobpeva). Se io ammetto, dice Kant, delle cose che siano
dei puri oggetti dell’intendimento (Verstand) ¢ che tuttavia possono, in quanto
tali, esser dati ad una intuizione, quantunque non intuizione sensibile,...
tali cose sarebbero chiamate noumeni (Intelligibilia). Il noumeno è dunque
l’intelligibile, la cosa in sè, l'oggetto quale noi supponiamo che esista in sò
stesso, senza alcuna relazione con noi; si oppone al fenomeno, che è la parvenza,
l’oggetto quale è formato per mezzo della esperienza © quale possiamo
rappresentarcelo mediante le impressioni del senso. Però Kant distingue due
specie di noumeni: nowmeni in senso positivo, cioè gli oggetti di una possibile
intuizione intellettuale, che 1’ uomo non solo non ha, ma di cui non può vedere
nemmeno la possibilità; noumeni in senso negativo, ciod tutte le cose non
percepibili coi sensi, quali sarebbero appunto gli oggetti cui noi riferiamo le
nostre parvenze. Nè la prima nd la seconda specie di noumeni sono conoscibili,
poichè di essi non v’ ha 49 RaxzoLI,
Dizion. di scienze filosofiche. Noz 770 nd intuizione intellettuale nd intuizione
sensibile; chd sebbene il concetto del noumeno negativo si presenti necessariamente
al nostro pensiero (in quanto |’ apparenza della cosa presuppone la cosa) esso
tuttavia è affatto indeterminato, è un concetto che serve a limitare le nostre
cognizioni nella cerchia dei fonomeni. È da notare però che Kant ed è questo il
punto oscuro della sus dottrina concepisce la cosa in sò come tale, che si
trova in relazione necessaria col fenomeno, di cui è il sostrato intelligibile;
nella Critica della rag. pura egli afferma spesso « che le cose hanno una
duplice esistenza, fenomenica e noumenica; che esso esistono prima in sò
stesse, poi nei loro rapporti con noi; e che la loro esistenza noumenica è il
fondamento doi fenomeni che ce le rivelano ». Ora, ciò è fare più che un uso
limitativo del concetto di noumeno; infatti, fenomeno e nonmeno sono così
posti, in un certo senso, come una sola e medesima cosa còlta sotto due
aspetti, ora quale è in sò, ora quale appare alla sensibilità ο al pensiero.
Cfr. Kant, Krit, der rein. Vern., A 248, 287; B 334, 307; Krit. d. prakt.
Vern., ed. Kirchmann, « Beleucht. der Anal. », 114-115; Platone, Timeo, 51 D
(v. agnosticiemo, conoscenza, limite). ‘Nozione. Lat. Noscere conoscere; T. Gedanke, Voretellung, Begriff;
I. Notion; F. Notion. Ha un significato molto vasto 9 molto vago; forse per
questo è frequentemente usato in filosofia. Può infatti adoperarsi come
sinonimo di iden, di oggetto presente nel nostro pensiero, ma del quale nulla
affermiamo o neghiamo; e come sinonimo di principio supremo di ragione, cioò di
concetto esprimente una verità universale © necessaria. Qualche volta indica l
insieme delle conoscenze elementari che si hanno intorno à un fenomeno o
insieme di fenomeni. Nella logica si adopera per designare gli elementi che
costituiscono la materia del giudizio, e che si esprimono nel linguaggio per
mezzo dei termini, come il giudizio stesso per mezzo della ΤΠ -Ne. proposizione. L’ Helmholtz distingue
nel senso della vista la intuizione ο la nozione (Anschauung), che è la
percezione accompagnata dalle sensazioni corrispondenti, dall’ impressione
(Perception), che è una nozione che non contiene nulla di ciò che non proviene
immediatamente dalle impressioni del momento, ossia una nozione tale che
potrebbe formarsi senza alcun ricordo di ciò che prima si avrebbe veduto, e
dalla rappresentazione (Vorstellung), che è l’imagine che la memoria ci
presenta di un oggetto assente; quindi una sola e medesima nozione può essere
accompagnata da sensazioni corrispondenti a gradazioni diversisnime; 9 per
conseguenza la rappresentazione e l’impressione possono combinarsi in rapporti
molto differenti per formare una nozione, Cfr. Helmholtz, Physiolog. Optik, 1867; Wundt, Grundriss
d. Payohol., 1896, $ 17 B; Berkeley, Princ. of Human Knowledge, 1871, part. I, $ 142. Nulla. Lat. Nihil; T. Niohte,
Nicht-sein; I. Nothing, Non-being; F. Rien, Néant. O'non-essere; fu ammesso da
alcuni filosofi e negato da altri. Gli elesti, che primi formularono i
principii d’identità e di contraddizione, dettero a tali principii un valore
ontologico, obbiettivo, cercando di determinare con essi la natara del reale;
perciò sostennero che l’essere soltanto è, che il nulla non è possibile, © che
quindi è impossibile il mutamento e il diventare, i quali implicano la realtà
del nulla. Gli atomisti identificarono il nulla col vuoto, cioè il puro luogo ο
l'estensione pura; Platone, come ammette il correlativo oggettivo di idea, così
ammette anche la realtà del nulla (non = materia) come correlativo della idea
del nulla; gli eraclitei, infine, opponendosi agli eleati, considerano il nulla
come principio del diventare. L'antica disputa tra gli elenti © gli eraclitei
si rinnovò nei tempi moderni tra 1’ Herbart, che nega il divenire in quanto
implica In realtà del nulla, © 1’ Hegel che identifica l'essere affatto indeterminato
col nulla, « Il puro essere, dico 1’ Hegel, forma il NUM 772 cominciamento, perchè esso è così pensiero
puro, come è, insieme, l'elemento immediato, semplice © indeterminato; ο il
primo cominciamento non può essere niente di mediato e di più precisamente
determinato. Ora, questo puro essere è la pura astrazione, o, per conseguenza,
è l’ assolutamente negativo, il quale, preso anche immediatamente, è il nulla,
Reciprocamente, il nulla, considerato come codesto immediato eguale a sò
stesso, è il medesimo che l'essere. La verità dell’ essere come del nulla è
perciò l’unità d’entrambi. Questa unità è il divenire ». Ad ogni modo, si può
osservare contro la teoria eleatico-herbartiana, che il principio di continuità
elimina dal divenire la nozione del nulla introducendovi quella del
differenziale, e cho d’altro canto la realtà del divenire senza il nulla è
provata dai princi, della persistenza della forza, della indistruttibilita
della materia, ece.; contro 1’ Hegel, che il correlativo oggettivo del nulla è
la negazione, e che l'essere affatto indeterminato è una negazione satratta, la
quale non si pensa nel divenire reale, ove ogni negazione (della realtà
preesistente) è un nuovo essere e una nuova determinazione. Cfr. Sesto Empirico,
Adv. Math., VI, 65, 77 sogg.; Diogene Laerzio, IX, 44; C. Wolff, Vernitnftige
Gedanken, 1738, I, $ 28; Hegel, Eneyklopädie d. philos. Wissensoh., 1870, $
86-88; Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I, p. 274-75; Masci, Logica, 1889, p. 54
segg. (v. essere, divenire, inane, negazione, non-essere). Numero, T. Zahl; I.
Number; F. Nombre. Data l'idea di unità © la proprietà che essa possiede di
poter essere aggiunta a sò stessa, da questa successiva addiziono si ottiene
una serie di quantità determinate, che è il numero. Numerus est acervus ex
unitatibus profueus, dice Boezio. La serie dei numeri è #llimitata ©
discontinna o disoreta: illimitata perchè l'operazione mediante la quale
formiamo un nuovo numero, cioò l'aggiunta di una unità, è sempre identica a sè
stessa; discreta perchè si passa da una unità a un’altra senza transizione, per
quanto il passaggio possa 773 Num essere impiccolito mediante numeri
frazionari; questo passaggio non potrebbe sparire se non nel caso in cui
l’unità su cui si opera fosse nulla, ma ciò è contro l'ipotesi. Il numero è
quindi una quantità discreta, ο perciò da principio il numero è concepito come
avente un carattere essenzialmente conoreto; solo più tardi si concepirono numeri
astratti, i cui elementi, se sono semplici unità senza comprensione, mantengono
però il loro carattere di unità, cioè d’individualità distinta da tutte le
altre. Soltanto nel calcolo differenziale il numero è concepito come una quantità
continua, colla supposizione arbitraria d’una quantità infinitamente piccola,
minore d’ogni quantità data senza però essere nulla. Nella storia della filosofis al numero fa
‘attribuita una importanza metafisica, specie nei sistemi di Pitagora, di
Platone e di Giordano Bruno. Peri pitagorici i numeri non sono soltanto la
forma secondo cui son fatte le cose, ma costituiscono la vera essenza delle
cose stesse, talchò tutto in sostanza è numero; il numero dispari ο illimitato
è l’imperfetto, cioè il male, il numero pari ο limitato è la perfezione, cioè
il bene; l’arinonia, cioè l'unione dei contrari, forma le singole cose ο il
mondo intero. In Platone la teoria dei numeri non è che la traduzione della
teoria delle idee; egli distinguo i numeri sensibili, cioè le coso reali ©
contingenti, i numeri matematici, immobili ed eterni, propri del mondo
intellettuale, ο i numeri ideali, ciascuno dei quali è essenza e corrisponde ad
una determinata classe di esseri; i numeri ideali generano quindi i sensibili
ed i matematici, ed essendo concreti non possono-dar luogo ai calcoli. Giordano
Bruno, infine, considera l’universo come un sistema di numeri; l’ ui verso è
uno, sebbene sia infinito © consti d’infinite parti, in ciascuna delle quali
abita la forza infinita, la quale si presenta come triade: Potenza, Sapienza,
Bontà. In ciò Bruno riflette lo spirito del Rinascimento, nel quale, per P
intlusso delle antiche dottrine platoniche ο neo-platoniNum T4 che,
i numeri @ il loro ordinamento si ripresentano come elementi essenziali del
mondo fisico, contro la dottrinn aristotelico-stoica delle forze
qualitativamente determinate, delle forme interne degli oggetti, dello qualità
occulte. Il libro della natura appare scritto in cifre ο I’ armonia dello cose
quella del sistema dei numeri; tutto è ordinuto da Dio secondo la misura ο il
numero, ogni vita è uno sviluppo di rapporti matematici. Questo matematicismo
rasionalistico -che diventa una fantastica mistica dei numeri in Bouillée, in
Cardano, in Pico, in Reuchlin non mancò di continuatori nei secoli successivi;
ancor oggi Ermanno Cohen proclama che « il’detto profondo di Pitagora, fl numoro
è la misura di tutte le cose, rimane sempre V’ eterna guida del pensiero,
perchè il numero è il principio della produzione del contenuto, è la sorgente
perenne onde scaturisce l'oggetto ». Ma nel pensiero moderno e contemporaneo,
il problema del numero è un problema essenzialmente gnoseologico, la cui
soluzione è cercata ora nel razionalismo leibniziano, ora nell’ intuizionismo
kantiano. Per il Wundt il vero sostegno dell’ idea di unità, da cni ha origine
il concetto del numero, è il singolo atto del pensiero, der einselne Denkact ;
la funzione del numero non è che una particolare manifestazione della funzione
logica del pensiero, che collega i singoli utti mentali, astraendo totalmente
dal loro contenuto ; ogni cifra rappresenta quindi una serio di atti mentali di
qualsivoglia contenuto, o che si sono realmente succeduti, 0 la cui successione
si indica come un problema, la cui soluziono deve avvenire nella stessa maniera
onde il nostro pensiero riunisce continuamente rappresentazioni singole in una
aggregazione di unità: « Il concetto di numero è ciò che rimane come costante
dopo l'eliminazione di tutti gli elementi variabili, il legame dei singoli atti
di pensiero in quanto tali, astrazion fatta da ogni contenuto ». Per il
Jerusalem l’origine del concetto di numero sta da un lato nelle proprietà ob 1%
Num biettive delle cose, dal’ altro
nella funzione del giudizio; gruppi di oggetti somiglianti debbono prima
attrarre la nostra attenzione; l'osservazione di tali gruppi ci obbliga poi a
ripetere un identico giudizio denominativo; ma la ripetizione non è arbitraria,
bensì è determinata dal numero degli individui compresi nel grappo: « Ogni
numero è una sintesi. Esso consiste di unità, ma è un tutto che riunisce in sè
i singoli oggetti ο mediante tale riunione diventa un nuovo centro dinamico,
nel quale sono immanenti le forze create primitivamente con tale riunione. Ma
tale sintesi raggiunge sufficiente stabilità solo a condizione che il gruppo
permanga sempre riunito e con la ripetizione dei singoli atti giudicativi venga
di nuovo intuito ο concepito insieme come una totalità ». Per il Masci il
numero non è una intuizione ma una epicategoria, in quanto è una forma generale
della quantità senza individualità propria, una determinazione implicita nell’
idea di qualsivoglia ente reale come tale: « Tutto ciò che è reale è
numerabile, e insieme il namerare è la forma pid generale e più estrinseca
della funzione di sintesi e di analisi in cui consiste il pensare. Ma come
sintesi ed analisi estrinseca è indifferente alla qualità ¢ alla natura della
realtà. In questo carattere estrinseco, aggregativo, che distingue quel pensare
che è numerare, sta la differenza tra l’idea di numero e le altre due categorie
(di sostanze e di causa), e per questo si può dire che il numero sia una
categoria avventizia, una epicategoria ». Cfr. Aristotelo, Metaph., XIII, XIV; Alb. Magn., Summa
thool., I, qu. 42, 1; Kant, Arit. d. rei. Fern, A 143, 147, B 182, 186;
Michaëlis, Über Kants Zahlbegrif, 1884; Id., Über Stuart Mille Zahlbegriff. 1888; Helmholtz, Zahlen und Messen, in Philos.
Aufaiitze, E. Zeller gewidmet, 1887; Wundt, Logik, 1898, I, 468; Jerusalem, ie
Urteilafunotion, 1895, p. 254; Couturat, Je l'infini mathématique, 1896 ; Id.,
art. in Revue de Métaphysique, 1898, 1899, 1910; Whitehead et B. Russel,
Principia Num-0BB 776 mathomatica, 1910; A. Lalande, Letture sulla
filosofia delle scienze, trad. it. 1901, p. 66 segg.; F. Masci, Sulla natura
logica dello conoscenze matematiche, 1885 (v. infinitesimale, matematica,
quantità). ο O. Nella logica formale designa le proposizioni particolari
negative (qualche 4 non è B); nella logica dell’ Hamilton designa le
proposizioni parti-totali negative (qualche 4 non è nessun B). Obbiettivare. T.
Objektiviren; I. To objective; F. Obiectiver. Considerare il soggettivo come
oggettivo, porre fuori di noi ciò che è in noi. Obbiettivare il dato della
sensazione (percezione) significa proiettare al di fuori della coscienza le
modificazioni prodotte dai sensi sulla coscienza medesima; o in altre parole,
riferire la sensazione ad una causa oggettiva. L’allucinazione consiste
nell’obbiettivare falsamente le modificazioni della propria coscienza, nel riferire
il dato soggettivo ad una causa oggettiva che non esiste. Schopenhauer chiama
il mondo un obiettivarsi del volere, e il mondo la sua obbiettità. Cfr. Riehl,
Der philosophisohe Kriticiemus, 1876, II, 2, p. 56; Ardigò, 1 fatto psicologico
della percezione, in Opere fil., IV, 1907, p. 357 segg.; Schopenhauer, Die Welt
a. W. u. Vorst, ed. Reclam, I, $ 45, 30 (v. oggetto). Obbiettivismo v.
oggettivismo. Obbiettività. T. Objektivität; I. Objectivity; F. Objecticité.
Carattere di ciò che è obbiettivo. Designa comunemente l'attitudine a cogliere
il significato reale delle cose ο dei fatti, a giudicare gli uomini ο gli
avvenimenti indipendentemente dalle proprie attitudini mentali, dai propri
sentimenti, inclinazioni e passioni. Nella psicologia per obbiettività della
percezione s'intende il suo riferimento della modificazione organica
(sensazione) alla causa che T7 Ons VP ha prodotta, per cui si pone come
esterna al soggetto senziente la realtà di un oggetto che agisce come stimolo.
Cfr. Ardigò, Il fatto psicologico della percesione, Op. til., IV, 1907, p. 357
segg.; Laas, Idealismus und Positiviemus, 1884, III, p. 45-68. Obbiettivo v.
oggettivo. Obbietto v. oggetto. x u Obbiezione. T. Einwurf, Einwand; I.
Obieotion; F. Objection. Argomento che si pone innanzi per abbattere una
opinione, una dottrina, ο per dimostrarne la parziale falsità. Del suo uso
nelle discussioni, dice il Rosmini: « Chi obietta deve produrre un’ obiezione
alla volta, e non passare ad una seconda fino che la prima non è chiarita
efficace ο inefficace ». Cfr. Rosmini, Logica, 1858, $ 856. Obbligasione. T.
Verpflichtung ; I. Obligation; F. Obligation. Da principio l'obbligazione è un
legame di diritto, in virtù del quale una persona è costretta verso un’altra a
fare o non fare qualche cosa: vinoulum jurie quo necessitate adstringimur
alicujus rei solvende. Dal punto di vista morale l'obbligazione è la coscienza
che l’uomo, in quanto essere capsce di scelta tra il bene e il male, ha di
dover obbedire a una norma; si suol definire come una restrizione della libertà
naturale, prodotta dalla ragione, i cui consigli sono altrettanti motivi che
determinano gli uomini ad agire in un modo piuttosto che in un altro. L’obbligazione
è dunque la necessità propria delle leggi morali, e della massima fra tutte, la
giustizia. L’obbligatorietà propria della giustizia, è la giustizia interiore,
che non differisce sostanzialmente dalla esteriore o sociale; il rispetto che
si ha dentro di sò per la giustizia, non è infatti che un’eco del rispetto che
si ha per ogni idealità sociale che la rappresenti. Ora tale rispetto s’ impone
tanto, che la giustizia è, nell’ uomo morale, obbligatoria per sè stessa, cioò
acquista un’ etticacia morale direttiva nel dominio stesso dello pure
intenzioni. È, dice l’Ardigò, Occ 778 un senso di tensione, un’espansione interna,
invincibile, un bisogno di compiere le nostre ideo mediante gli atti, senza di
che il senso di obbligazione non è perfetto e non è propriamente completo il
pensiero; la sua origine sta nella ricordanza assommata e indistinta del dolore
provato eseguendo atti che riescono di danno ai consoci, cosicchè il dovefe
morale, in ultima analisi, nasce dal dovere giuridico fino a diventare una
forma costituzionale della psiche dell’individuo. Cfr. Planiol, Traité de droit
civil, 3* ed., I, p. 678; Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 122
segg.; R. Bianchi, L’obbligasione morale, 1903; G. Fulliquet, Essai sur
Vobligation morale, 1898; Fred Bon, Über das Sollen und das Gute, 1898.
Occasionali (cause) v. cause occasionali. Occasionalismo. T. Ocoasionaliemus ;
I. Oocasionalism ; F. Ocoasionalisme. La dottrina delle cause occasionali, secondo
la quale causa vera e prima d’ogni accadere è Dio, mentre i singoli eventi sono
soltanto occasioni per altri eventi, ma non li producono; con essa specialmente
si ceroò di risolvere il dualismo posto da Cartesio tra l’anima e il corpo.
Questa dottrina, sostenuta dal Clanberg, Geuliner e Malebranche, si oppone a
quella cartesiana delVinflusso fisico, fondandosi specialmente sopra la ragione
che, non essendo possibile che operi chi non ha la coscienza di operare, un
influsso reciproco tra anima e corpo è impossibile, perchè I’ uomo non può
averne coscienza. D'altro canto, nessun corpo ha la forza di muovere sè stesso,
e uno spirito finito non può col mezzo della propria volontà muovere nessun
corpo. Tra spirito e corpo non c'è dunque alcun rapporto. Essi soffrono ed
operano quei cangiamenti, che in loro avvengono, ognuno da sè, nell’ambito
proprio e secondo leggi proprie. Eum, qui corpus et mentem unire roluit, simul
debuisse statuere et menti dare cogitationes, quas obsercamus in ipsa ex
oocasione motuum sui corporis esse, el determinare corporis eius ad eum 779 Occ
modum, qui requiritur ad eos mentis voluntati subiciendos. Davanti al mondo lo
spirito è un inerme spettatore ; ma Dio fa sì che quando succede un cambiamento
nello spirito, cioè nel pensiero, ne succeda uno di corrispondente nel corpo,
cioè nell’estensione, e viceversa; i due orologi costruiti allo stesso modo
dallo stesso artefite ~ secondo l’imagine del Geulinox, che più tardi Leibnitz
volle rivendicare a sò 8’ accordano perfettamente ma non per virtù loro, absque
nulla oawsalitate, qua alterum hoo in altero causat, sed propter meram
depentiam, qua utrumque ab cadem arte et simili industria constitutum est. Cfr.
Clauberg, Opera philosophioa, 1691, p. 219, 221; Pfleiderer, Leibnitz und Geulinez,
1884; La Forge, Traité de Vesprit de l'homme, 1674, Pp. 129; Geulinox, Opera
philosopkioa, 1891, I, sez. Il, § 2; Malebranche, De la recherche de la verità,
1712, II, 6, 7, III; L. Stein, Antike und mittelalterliche Vorläufer des
Ocoasionaliemus, 1899 (v. occasione, cause occasionali). Occasione. T.
Gelegenheit, Veranlassung; I. Oocasion: F. Oocarion. Nel linguaggio comune è il
concorso fortuito di circostanze favorevoli alla produzione di un avvenimento.
Si distingue dalla condisione, che è una circostanza senza la quale l’effetto
non si sarebbe prodotto, e dalla causa, considerata come la produttrice diretta
e necessaria dell'effetto. Il Malebranche per occasione intendeva semplicemente
l’antecedente costante di un fatto, non la causu efficiente del fatto. L'unica
causa efficiente è Dio; nel mondo sensibile o materialo non vi sono nè forze,
nè forme, nd capacità, nd vere qualità da cui possa risultare l’effetto; vi
sono soltanto occasioni che Dio fa succedere affine di operare in questa o
quella materia. Cfr. Malebranche, Entretione métaphysiques, 1871, VII, 159
segg. Occulto. T. (ieheim, Occult; I. Ucoult; F. Ocenlte. Si dicono occulte le
scienze, o pretese scienze, che hanno per oggetto la conoscenza del futuro, la
sua predizione, e il compimento di azioni che escono dalle leggi ordinarie
della Occ 780 natura. Si distinguono in dirinatorie, che
cercano scoprire l'avvenire mediante }’ interpretazione di certi segni ο avvenimenti,
e tali sono la mantica, la chiromanzia, l’astromanzia, ecc.; e in
taumaturgiche, quali la cabbala, la magia, l’ermetica, la demonologia, che
hanno lo scopo di allontanare il male e procurare il bene, mediante regole e
pratiche speciali. Diconsi potense ocoulte gli esseri imaginari e nascosti con
cui si spiegarono i fenomeni naturali, qualità ooculte quelle che si presentano
allo spirito come una proprietà data, irreducibile © inesplicabile, cause occulte
quelle forze inosservabili, sia sovrannaturali che naturali, con cui, nella
filosofia medievale, si credeva spiegare la natura delle cose. Ls dottrina
delle qualità occulte, delle forze qualitativamente determinate, è caduta nel
Rinasci mento, il quale, sotto l'influsso della letteratura antico, specialmente
delle opere neo-pitagoriche, sostituisce ad essa il concetto quantitativo ο
numerico : il libro della natura è seritto con cifre, l'armonia delle cose
d'quella del sistema numerico, tutto è ordinato da Dio secondo la misura e il
numero, ogni vita è uno sviluppo di rapporti matematici. Questo principio,
liberato dallo strano simbolismo che raggiunge il vertice in Bouillé, Cardano,
Pico, ece., costituirà poi la base metodica della scienza moderna. Tuttavia, V
espressione qualità ooculte è sopravvissuta per molto tempo, e fu adoperata
anche dal desismo agnostico per indicare le forze prime e sconosciute dei
fenomeni: On dest moqué fort longtemps, dice il Voltaire, des qualités oooultes
; on doit se moquer de ceux qui n'y croient pas. Répetons cent fois que tout
principe, tont premier resnort de quelque autre que ce puisse être du grand
Demiourgor, est occulte et caché pour jamais au mortels. Ce plomb ne deviendra
jamais argent; cet argent ne sera jamais or ; cet or ne sera jamais diamant
Quelle physique corpusoulaire, quels atomer déterminent ainsi leur nature? Voun
n’en sarez rien; la cause sera éternellement occulte. Tout ce qui vous entoure,
tout ce qui est dana vous, 781 Ori-OG& est un énigme dont il went pas
donné à l’homme de deriner le mot ». Cfr. Voltaire, Œurres complètes, 1817, t.
II, par. II, p. 1471; Schopenhauer, Satz rom Grunde, 1878, $ 20; Nettesheim,
Philosophia occulta, 1510. Ofiti.
Uno dei nomi col quale fu indicata la Gnosi nel primo nascimento, e col quale
si alludeva al culto del serpente, la cui dialettica aveva talmente intrecciato
il bene col male, che l'uno non poteva distinguersi dall’altro. Dicesi offolatria una specie della zoolatria,
ο adorazione degli animali, propria di alcune religioni dei popoli primitivi e
selvaggi; essa consiste nel culto dei serpenti, e si riscontra nell'antica
religione egiziana e nelle religioni di alcuni popoli selvaggi dell’Africa.
Cfr. Honig, Die Ophiten, 1889. Oggetti (teoria degli). 'T. Gegenstandtheorie.
Espressione usata primitivamente dal Meinong, e adottata poi dalla sua scuola,
per indicare quella forma contemporanea di razionalismo, che sostiene la
necessità dello stadio dei puri oggetti del pensiero, come le somiglianze, le
uguaglianze, le diversità, i complessi, le relazioni matematiche; ossia di
quelle essenze razionali, che si possono elaborare a priori, indipendentemente
da ogni considerazione d’esistenza obbiettiva, e che non possono quindi essere
oggetto delle scienze empiriche, le quali trattano invece della realtà
esistente obbiettivamente. La teoria degli oggetti non esistenti (tra i quali
il Meinong include persino gli oggetti impossibili, come il quadrato rotondo,
la materia inestesa, ece.) ha una sfera propria, che, tende ad allargarsi
sempre più, fino a raccogliere tutte le conoscenze a priori; queste non stanno
in antagonismo con le conoscenze empiriche, ma le integrano, come mostra la
matematica applicata; ma per quanto le due forme di conoscenza in pratica
possano compenetrarsi, si devono tener distinte teoricamente le due afere, per
poter meglio elaborare e raffinare i mezzi di ricerca, tenendo presenti i loro
caratteri Oa 782 distintivi. Cfr. Meinong, Ameseder, Mally,
ecc., Untersuchungen sur Gegonstandtheorie und Psychologie, 1904; 8. Tedeschi,
Un’ equivalente aprioristica della metafisica, « Riv. filosofica », 1908, vol.
XI, p. 289 segg.; Losacco, La teoria degli obietti ο il rasionalismo, « Cultura
filosofica », 1910, fasc. IV, p. 184 segg.; Aliotta, La reazione idealistica
contro la soienza, 1912, p. 372-385. Oggettivismo. T. Objektiviemus; I. Objoctiviem
; F. Obiecticieme. Dati i vari © spesso opposti significati della parola
oggetto, anche il termine oggettirismo può essere variamente applicato. In
generale designa quei sistemi filosofici che identificano la cognizione con
l’Essere, e pongono quindi come unica la verità e la scienza nell’oggetto ο nel
soggetto; e quelle dottrine morali che ammettono che la moralità ha una esistenza
propria, al di fuori e al di sopra delle opinioni, della condotta e della
coscienza degi individui. Nel linguaggio comune, l’oggettivismo è l’attitudine
a vedere le cose come sono, a giudicarle serennmente, a non deformarle per
partito preso o per ristrettezza di spirito. Oggettivo. T. Objektiv; I.
Objective; F. Objectif. Si oppone a soggettiro © designa tutto ciò che riguarda
I’ oggetto ο che esiste come oggetto. Avendo il termine oggetto mutato
radicalmente di signifiesto, anche il termine oggettivo assunse significazioni
diverse. Nella lingua della scolastica, da Duns Scoto in poi, per oggettivo #’
intende non una realtà sussistente in sò stessa, bensì ciò che costituisco una
rappresentazione della coscienza; questo significato rimane fino al Baumgarten,
ma alcuni, come il Renouvier, vorrebbero continuar a chiamare oggettivo « ciò
che si offre come oggetto, ciod viene rappresentativamente nella coscienza, e
soggettivo ciò che è della natura del soggetto, sia d’un rappresentato
qualunque in quanto la conoscenza vi scorge qualche cosa di distinto dal suo
atto proprio, e d’un supposto dato în qualche 783 Oca
modo fuori di essa, senza di essa ». In generale però oggi dicesi oggettivo ciò
che è esteriore alla coscienza, che è al di fuori del pensiero, che esiste
indipendentemente dal pensiero. Il metodo oggettiro nella psicologia, si
contrappone al soggettivo ο introspettico, e consiste nello studio dei fatti
psichici quali si manifestano negli altri uomini, negli animali, nell’individuo
normale e nell’anormale, nel fanciullo ο nell'adulto. Cfr. Eucken, Geschichte d. phil.
Terminologie, 1879, p. 68, 203, 134; Renouvier, Essais de Critique gen.,
Logique, cap. I; Bechterew, Les problèmes et les méthodes de la peychologie
objective, « Journal de Peychologie », nov. 1909; Kostyleff, Les travaux de
l’école peychologique russe, « Revue philosophique », nov. 1910; Liard, La
science positive οἱ la métaphysique, 1879, 1.
II, cap. I, II.
Oggetto. T. Gegenstand, Objekt; I. Objeot ; F. Objet. Si oppone a soggetto, ed è la traduzione latina del
greco ävzıxelpevoy, usato dla Aristotele. Però lo Stagirita usava questo
termine in un senso affatto opposto al nostro e ciod per designare ciò che è
pensato, ciò che è rappresentato © nella coscienza; usava invece il termine
5xoxelpevoy (che i latini tradussero subiectum) per indicare ciò che è reale,
la sostanza che è il sostrato dell’azione, l'essere unico © identico che si
manifesta nei fenomeni multipli ο mutabili. Tale siguificato si mantenne
durante tutto il medicevo ο si trova ancora in Cartesio e Spinoza. Così per
Cartesio la realtà oggettiva è quella dell’iden sola, ο della cosa in quanto
non è considerata che nel pensiero; egli chiama poi realtà formale ο attuale
quella dell'oggetto stesso delle nostre idee © realtà eminente quella che è superiore
sia all'idea che all'oggetto, e contiene in potenza ciò che in essi è di fatto.
Spinoza l’ usa nello stesso significato: « Un'idea vera deve corrispondero
esattamente all'oggetto che essa esprime, ossin (e ciò facilmento si comprende
da sè) che ciò che è contenuto oggettivamente nell’ intelligenza deve
necessariamente esistero nella naOcc * 784 tara ». E anche il Berkeley: « I fenomeni
naturali non sono che apparenze naturali, ο son dunque quali li vediamo e li
percepiamo. La loro natura reale e la loro natura oggettiva sono dunque
identiche ». Ma nel sec. XVIII ο al principio del XIX, il significato dei due
termini mutò radicalmente, ο d’allora in poi per oggetto si intese ciò che è
reale, che esist in sè, indipendentemente dal pensiero, © per soggetto l'io che
pensa, che rimane uno © identico attraverso i suoi fenomeni mutevoli e
multipli. Questo cambiamento nel significato assunto dai due termini, è dovuto
principalmente a Kant e a Fichte, col primo dei quali assunse tanta importanza
il problema della conoscenza, ossin dei rapporti tra il pensiero e la realtä. «
Spatium non est aliquid obiectivi, seu realise, dice ad es. Kant, sed eubjectioum et
ideale, et natura mentis stabili lege proficiscens ». Però la distinzione tra soggetto © oggetto deve essere
intesa come una distinzione di diritto; ossia l'oggetto non può essere, in
senso assoluto, cid che è in sò stesso, fuori del nostro spirito e d’ogni
spirito, perchè un'esistenza che non è affermata da una coscienza ο spirito è
inconcepibile; © nemmeno ciò che è rappresentato in comune da tutti gli
spiriti, perchè tale accordo può anche verificarsi per ciò che è falso; bensì,
ciò che è il fondamento stesso dell’accordo degli spiriti, ciò che è in «2
nella nostra coscienza © in tutte le coscienze, per opposizione non a ciò che è
fuori d’ogni coscienza, ma a ciò che, in una coscienza qualunque, è pura
rappresentazione contingente e passeggera. Cfr. Aristotele, De an., III, 2, 426 b, 8; Id.,
Metaph., IV. 5, 1010 b, 33 segg.; Encken, Gesch. d. phil. Terminologie, 1879, p. 134, 204; Cartesio, Medit.,
1685, III, 11; Spinoza, Ethica, 1677, 1. I, teor. xxx, dimostrazione; Berkeley,
Siri, $ 292; Kant, De mundi sensibili atque intelligibilio forma et principiie,
$ 15: Id.. Krit.
d. rein. Vern., A 780, B 808; Fichte, Grundlage d. ger. Wissenschaftelehre, 1802, p. 20-40, 131 segg.; Bulletin
de la 1785 ους soc. française de phil., giugno 1912 (ν.
conoscenza, coscienza, criticiemo, io). Olfattive (sensazioni). T. Geruchsempfindungen; I. Sensations of emell; F.
Sensations olfaotives. Hanno per organo la regione superiore delle cavità
nasali, per stimolo le particelle delle sostanze odorose trasportate dalla
corrente aerea a contatto con le superfici olfattive, per contenuto l’odore. Le
qualità degli odori sono, a differenza dei sapori, in numero straordinariamente
grande, tantochè non solo manca una vera classificazione scientifica e una
scala degli odori (la classificazione più accettata è ancora quella di Linneo)
ms non siamo neanche capaci di segnalare con appellat diversi le qualità differenti
degli odori, e per esprimerci dobbiamo servirei dei nomi delle sostanze
vegetali ο animali che li emanano. Si suol distinguere la finezza dell'olfatto,
ossia la cnpacità di distinguere le piccole differenze d’intensità degli odori,
dall’acuità olfattiva, ossia la capacità di percepire minime quantità di
sostanze odorose; quest’ultima si misura per mezzo dell’olfattometro, determinando
i valori liminali dell’eccitamento olfattivo rispetto ai singoli odori. Dicesi
ogfresologia (ὄσφρεσηις = odorato) quella parte della psicologia che ha per
oggetto lo studio delle sensazioni olfattive; anosmia (ὀσμή =. odore) l’incapacith,
congenita o aequisita, di percepire gli odori; paraosmia le sensazioni
olfattive allucinatorie; iperosmia l'abbassamento abnorme della soglia della
sensibilità dell'olfatto, per cui possono essere avvertiti odori che normalmente
non si avvertono. Una caratteristica delle sensazioni olfattive, sta nel loro
legame con la sfera dei sentimenti; tutti gli odori che funzionano come stimoli
determinanti riflessi nella sfera della vita vegetativa e riproduttiva determinano
costantemente un sentimento di piacere. Un’altra caratteristica sta nella loro
capacità di rievocare per associazione l’imagine visiva di Inoghi e di
avvenimenti. Cfr. Cloquet, Osfresologie, 2° ediz. 1821; Zwardemaker, 50 RanzotI, Dizion. di scienze filosofiche. OLI-OnE 786 Physiologie des Geruches, 1895; Nagel, Revue
scientifique, 8 « 15 maggio 1897. Oligarchia (ὀλίγος = pooo). Forma
di governo, in cui il potere supremo risiede nelle mani di pochi individui
appartenenti all’aristocrazia. Platone la distingueva però dall’aristoorasia,
perchè mentre in questa una classe governa nell’ interesse comune,
nell’oligarchia governa invece nell'interesse proprio. Cfr. Platone,
Repubblica, V ο VI (v. aristocrazia, demoorasia). Omeomeria (ὁμοιομέρεια).
Elementi primitivi non percettibili, divisibili all’ infinito e
qualitativamente differenziati, con la cui aggregazione Anassagora spiegava la
formazione dei vari esseri. Le omeomerie sono dunque verse dagli atomi di
Democrito, indivisibili e privi di ogni differenza qualitativa, e diverse pure
dagli elementi di Empedocle, differenziati in quattro sole qualità primitive.
Per Anassagors ogni qualità è originariamente sostantiva: il ferro, il legno,
le ossa, il sangue, ecc., sono composti di particelle similari ed
originariamente costituite così. Da principio queste particelle erano mescolate
tutte insieme, in una specie di caos universale; perchè le diverse cose
potessero formarsi, era necessario che il movimento si introducesse nella massa
infinita e indifferenziata, distinguendo ciò che era confuso e producendo le
forme diverse; ora, la causa di questo movimento è, per Anassagora, un’altra
materia speciale e singola, più leggera e più fina degli elementi, capace di
muoversi da sè e quindi di natura peichica, autrice della bellezza e
dell’ordine del cosmo e quindi intelligente: tale materia pensante Anassagora
chiama ragiona ο intelligenza, vodg. Dal momento in cui essa penetrò nel caos,
il turbine della vita si estese in successive spirali in tutte le regioni del
mondo, continua ancora, come indica la rotazione del cielo, ο continuerà senza
interruzione. Il nome di omeomerie fu dato alle qualità primitive da
Aristotele; Anassagora le chiamava invece semi (σπέρ 787 OMN para). Cfr. Aristotele, De gen. et corr.,
I, 1; Simplicio, In Phys. Arist., {. 38; Lucrezio, De rer. nat., I, 890.
Omniscienza. T. Allwissenheit ; I. Omniscience ; F. Omniscience. Uno degli
attributi della natura divina. Si deve intendere nel senso che Dio conosce non
solo ciò che è accaduto nel passato e che socade nel presente, mn anche ciò che
accadrà nell’avvenire; e che codesta conoscenza è diretta, immediata, perchò
Dio non vede gli avvenimenti del mondo fuori di lui, come uno spettatore, ma li
conosce in sò stesso, perchè egli n'è l’autore. L’omniscienze si basa sal
principio della perfezione divina. Aristotele, infatti, aveva già detto: « Dio
non è altro che l’attualità dell’i telligenza; tale attualità presa in sò
stessa ne costituisce la vita perfetta ed eterna ». E 8. Tommaso: « Intendero e
conoscere è la essenza medesima di Dio, éntelligere Dei est sua essentia ». E
da notare però, che la concezione aristotelica di Dio come pensiero che pensa
sò stesso, come pensiero del pensiero, era stata sviluppata da alcuni suoi discepoli
nel senso, che Dio non conosce nessun altro oggetto che non sia il suo stesso
pensiero, e quindi non conosce il mondo. Contro questa illazione insorsero
prima i Padri, poi S. Tommaso, per il quale Dio, che ha distinta coscienza di
sè medesimo e delle sue perfezioni, conosce anche le cose create e periture,
vedendole però nella sua infinita essenza. L’uomo non può conoscere i corpi se
non fanno impressione sopra i suoi sensi; ma a Dio basta contemplare ln propria
illimitata potenza, perchò in lui, fonte prima ed sesoluta della vita, tutti
gli esseri si concentrano come offetti nella loro causa, unde cum virtus divina
ne estendat ad alio, eo quod ipse est prima oausa effectiva omnium entium,
necense est quod Deus alia a #2 cognoncat. Analogamente dice il Bossuet: « Dio
non intende che sò stesso, e tutto intende in sè stesso, perchè tutto quello
che egli è, ο da lui si distingue, si ritrova in lui come nella propria causa
». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 9; Gerson, De consol. theologie, in Omo 188 Opera omnia, 1706, t.1; 8. Tommaso, 8. Yheol.,
I, q. 22, a. 2; Leibnitz, Essais de Théodioée, 1710, © la Corrispondance aveo
Clarke, 1715-16; Bossnet, De la connaissance de Dieu, ο. IV, art. 8 (v.
prescienza). Omogeneo. T. Gleichartig ; I. Homogeneous; F. Homogène. Cid che è
composto di parti ο elementi qualitativa mente identici ; si oppone ad
eterogeneo, che è ciò le cui parti sono di natura differente. Lo spazio ed il
tempo sono, secondo alcuni filosofi, essenzialmente omogenei, perchè la differenza
delle loro parti può essere nella grandezza non nella qualità. Secondo lo
Spencer il processo evolutivo, sia 00smologico che biologico e sociologico,
consiste in un passaggio dall’omogeneo all’eterogeneo, mediante un processo
continuo di differenziazione e quindi di specificazione. Cfr. Spencer, First
principles, 1884, cap. XIV-XVIII (v. eroluzioniemo). Omogenesia. F.
Homogenesie. Il Broca chiamò così, in opposizione a eterogenesia, quella
proprietà organica in virtù della quale due germi di sesso opposto tendono a
fecondarsi reciprocamente, dato che tra di loro non intercorra una distanza
zoologica troppo pronunciata. L’ omogenesia è abortira quando la fecondazione
avviene, senza però che il feto giunga a maturità; agenesica quando dà luogo a
prodotti, i quali però sono sterili tra di loro o con gli individui dell'una ο
dell’altra razza madre; disgenerica quando i prodotti sono infecondi tra di
loro, ma fecondi con individui del’ una o dell’altra razza madre, dando luogo a
prodotti pure sterili; paragenesica quando i prodotti sono sterili tra di loro,
ma fecondi con individui dell’ una o dell’ altra razza madre, dando luogo a
nuovi prodotti indefinitamente fecondi, così da originare una nuova razza;
eugenssioa quando i prodotti sono indefinitivamente fertili, cosicchè la nuova
razza si produce direttamente. Cfr. Topinard, L’anthropologie, 1884, pag. 382
segg. (v. ibridiemo, dimorfismo sessuale, razza, pecie, varietà). 789 Omo-Ont Omonimia. Uno dei sofismi verbali, che
si fonda sopra l'ambiguità dei termini. Consiste infatti nell’ adoperare una
parola in più significati senza distinguerli. Tale sarebbe il ragionamento per
cui il Berkeley, basandosi sulla constatazione che una medesima idea può
sparire dalla mente ο poi tornarvi, concludeva alla esistenza di uno spirito
universale in oui tutte le idee avessero la loro sede permanente; qui è confuso
evidentemente il medesimo in quanto numero, col medesimo in quanto specie. Cfr.
Aristotele, Metaph., IV, 4; Id., Categ., 1 (v. incosciente). Onirologia. T.
Onirologie; I. Onirologg; F. Onirologie. Può designare tanto quella parte della
psicologia che si oocupa dei sogni, quanto il discorrere che si fa sognando.
Viene usata comunemente nel primo significato, nel quale non vuol essere
confusa colla omérocrisia o oniroorifica, che è la pretesa arte di interpretare
i sogni. L’onirologia, come stadio psicologico dei sogni, si basa
essenzialmente sull’osservazione introspettiva; il suo metodo classico,
divenuto tale dal Maury in poi, è quello della notazione immediata, che
consiste nel trascrivere immediatamente, essendosi risvegliati all'improvviso,
le imagini del sogno che sono ancora fresche nello spirito. Altro metodo è
quello della notasione ripetuta, che consiste nel constatare l'evoluzione
subita dal sogno nella memoria, traserivendo il medesimo sogno a diversi
intervalli di tempo. Si sono infine proposti dei metodi che sembrano scostarsi
dai precedenti, in prima linea Vexperimento: il soggetto che si addormenta in
condizioni speciali (sottoposto alla pressione di guanti ο di nastri, ο dopo
una viva impressione ottica, οσο.) deve riempire, al risvegliarsi, un apposito
questionario. Altri ha raccomandato le inchieste; ma i risultati sono sempre
scarsi, perchè i questionari comportano solo un numero limitato di domande
assai semplici, Cfr. Tissié, Les révee, 1890; 5. Freund, Die Traumdentung, 1900; J. Bigelow, The
mystery of sleep, 1897; Jastrow, Le subcoscient, trad. franc. 1908; Vascide, ONT 790 Le
sommeil οἱ les réres, 1911; M. Foucault, Le
rêve, études et observations, 1906; De Sanctie, I sogni, studi prie. e clinici,
1899. Ontogenesi. T. Ontogenesis;
I. Ontogenesis, Untogeny : F. Ontogénèse, Ontogénie. Si adopera per opposizione
a filogenesi, ο indica lo sviluppo dell’ individuo vivente dalla sun primitiva
forma embrionaria allo stato adulto. Tale sviluppo non sarebbe altro, secondo
l’ Haeckel, che una ricapitolazione, una ripetizione abbreviata dello sviluppo
della specie, ciod della filogenesi. Cfr. Haeckel, I'problemi delV universo,
trad. it. 1904, p. 81 segg.; Vialleton, Un problème de l'évolution, 1908 (v.
embriologia). Ontologia (tv, ἔντος + ciò che è, ente). T. Ontologie: I.
Ontology; F. Ontologie. La scienza che studia 1’ essere come tale, P essere
considerato in sè stesso, indipenden-temente dai suoi modi di manifestarsi. Fu
detta anche ontosofia ο filosofia prima. Il Clauberg la definisce quale
soientia que contemplatur ens quatenus ens est, hoo est, in quantum communem
quamdam intelligitur habere naturam.... (qua) omnibua οἱ singulis entibus suo
modo inest. Cristiano Wolff, più brevemente, scientia entis in genere, seu
quatenus ens est ; suo cômpito è di dimostrare que entibus omnibus sive
absolute, sito eub data quadam conatitutione oonveniunt. Spesso ontologia è
sinonimo di metafisica, quando si considera 1’ essere in sè come principio di
tutte le cose; ma per 1’ Herbart, ad es., essa non costituisce che una delle
parti della metafisica, la quale ha il cömpito generale di liberare i concetti
dalle contraddizioni. Al nome ontologia il Galluppi vuol sostituito quello di
ideologia, perchè la stessa nozione di essere, nonchè quella di esistenza, di
possibilità, di sostanza, di attributo, ecc., sono idee essenziali dello
spirito umano, delle quali si deve esaminare l’origine e il valore, per vedere
con qual diritto noi affermiamo la loro oggettivit «L'ideologia dunque non è
che l’ontologia ragionata e filosofica. È un'ontologia foggiata sopra una base
solida ». Al 791 ONT tri filosofi
soppressero l’ontologia, incorporandola nella teologia, altri ancora ridussero
la prima alla seconda. Il Rosmini, opponendosi ad entrambi, ne distingue i
domini, definendo l’ontologia la teoria dell’ essere comune, oppure la teoria
dell’ essere in tutta l'ampiezza della sua possibilità, e la teologia la teoria
dell’ essere proprio, cioè Dio stesso. Egli formula il problema ontologico in
questi cinque modi: trovare la conciliazione delle manifestazioni dell’ ente
col concetto dell’ ente ; trovare una ragione sufficiente delle diverse
manifestazioni dell’ente; trovare la equazione tra la cognizione intuitiva e
quella di predicazione; conciliare le antinomie che appariscono nel pensiero
umano: che cosa sia ente e che cosa sia non ente. L’ontologis, secondo lo
stesso filosofo, precede la cosmologia, che è la scienza dell’ ente finito, il
quale è possibile soltanto dopo la conoscenza dell’ essere in universale,
oggetto della ontologia, e si distingue dall’ ideologia, che si riferisce pure
all’ essere, ma lo considera come pura ed assoluta idea, nella quale tutte le
altre si contengono. Cfr. Clauberg, Motaphysica, 1646, cap. I, 1-2; Cr. Wolff,
Philosophia prima sive ontologia, 1736, $ 1, 8; Baumgarten, Metaphysica, 1739;
$ 41; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854, vol. III, p. 982 segg.;
Rosmini, Nuovo saggio aull’origino delle idee, 1830, vol. II, p. 1 segg.; Id.,
Logica, 1853, $ 847 (v. essere, ente, assoluto, anoetico, possibile, filosofia,
metafisica, metodologia, eco.). Ontologico (argomento). Una delle prove a
priori dell'esistenza di Dio. Essa fu enuncista la prima volta da 8. Anselmo
d’Aosta in questo modo: quando lo stesso ateo pronuncia la parola Dio, se sa
quello che dice deve avere il concetto di nn essere del quale îl maggiore non
si può pensare (quo nihil maius cogitari potest); ma questo essere non sarebbe
tale, non sarebbe il massimo degli esseri, se fosse solamente pensato, se
mancasse di esistenza, poichè in tal caso noi potremmo pensarne un altro
esistente, ed ONT 792 esso sarebbe certo maggiore; dunque non si può
supporre che Dio non esista: « Se dunque codesto oggetto al disopra del quale
non ο) ὃ nulla, fosse solamente nell’ intelligenza, sarebbe tuttavia tale, che
avrebbe qualche cosa al di sopra di lui; conclusione che non potrebbe essore
legittima. Esiste dunque certamente un essere al di sopra del quale non si può
nulla imaginare, πὸ nel pensiero, nd nella realtà ». Descartes diede più tardi
un’evidenza matematica a questo argomento, partendo dalla nozione che abbiamo
di un Essere perfetto: come nell’ idea di triangolo è conte nuta l’idea che la
somma dei suoi angoli valga due retti, così nell’ idea d’un essere perfetto è
contenuta l’idea di esistenza, essendo l’esistenza una perfezione. Spinoza
prende l'argomento ontologico come base e proposizione iniziale del suo
sistema: Per oausam sui intelligo id, ouiue cssentia involvit existentiam, sive
id, ouius natura non potest concipi nisi eziatone. Deus sive substantia neosssario existit,
perchè posso existere potentia est; quindi de nullius rei exiatentia entis
absolute infiniti seu perfeoti, hoo est Dei. Infine il Leibnitz formulò
l'argomento così: Dio è per definizione Vessere necessario; ora l'essere
necessario esiste perchè il suo concetto racchiude necessariamente 1’ esistenza
; dunque Dio esiste. Infine l’ argomento ontologico fu criticato da Kant, il
quale, pur riconoscendolo il migliore di tutti, negò ad esso qualsiasi valore
oggettivo. L'esistenza, dice Kant, non fa parte del contenuto del pensiero, ma
bens? lo controlla © lo necessita; il possibile non contiene nulla più del
reale, e cento talleri reali nulla più di cento talleri possibili, hundert
wirkliche Thaler enthalten nicht das Mindesto mehr als hundert mögliche; se jo
penso un essere come la massima realtà, rimane pur sempre da chiedere se esso
esista 0 no: « Il concetto di un essere supremo, conchiude Kant, è un’ ides
utilissima per molti riguardi; ma appunto perchò non è che un'idea, è del tutto
incapace di estendere da sola la nostra conoscenza per rap 793 ONT-Orı porto a ciò che esiste.... Codesta
prova ontologica tanto vantats, che pretende dimostrare per via di concetti
l’esistenza di un essere supremo, perde dunque tutta la sua fatica, e non si
diventerà più ricchi in conoscenze con delle semplici idee, di quello che
diventerebbe ricco in denaro un mercante se, nel pensiero d’aumentare la sua
fortuna, aggiungesse alcuni zero al suo libro di cassa ». Cfr. 8. Anselmo,
Proslog., 2, 3; Cartesio, Medit., V; Spinoza, Ethica, 1. 1 def. I, teor. XI,
scol. ; Leibnitz, Mém. de Trévour, 1701; Kant, Krit. d. rei. Vern., ed.
Kehrbach, p. 468-475; C. Guastella, Filosofia della metafisica, 1905, vol. I,
app. al cap. VI, $ 6 (v. gli argomenti cosmologico, fisico, ideologico, morale,
storico). Ontologismo. T. Ontologismus ; I. Ontologiem; F. Ontologisme. Non
deve confondersi con ontologia, che ha un significato più generale. Designa
talvolta quella scuola filosotica, che vuol far precedere l'ordine reale all’
ordine psicologico delle conoscenze, ossia che i metodi e i principt della
filosofia vuole siano cercati nell’ oggetto ο non nel soggetto. Ma più
comunemente il vocabolo è adoperato a denominare la filosofia del Gioberti,
che, opponendosi allo psioologismo iniziato da Cartesio e continuato dalla filosofia
moderna, sostiene che noi dobbiamo cominciare con la suprema ed obbiettiva
intuizione della mente: Ens oreat existentias ; il prendere come punto di
partenza |’ esame della coscienza ο dei processi del conoscere, trasporta la
filosofia al di là della sua sfera e conduce logicamente al sensismo, al
protestantismo, all’ ateismo, Cfr. UeberwegHeinze, Grund. d. Gesch. d. Phil.,
83 ed., II, p. 328; Cournot, Essai sur les fond. de nos conn., 1851, t. I, p.
307; Gioberti, Introduzione allo studio della filosofia, 1850, t. I, p. 272
segg. (v. ente, psicologismo). Ontosofia. Sinonimo poco usato di ontologia.
Opinare. T. Meinen, Vermuthen; I. To opine; F. Opiner. Consiste nel ritenere
per vero ciò che si presume soltanto Orr 794 probabile, cid di cui non si possiedono le
ragioni per essere perfettamente certi. È quindi un atto soggettivo, che si
distingue dal sapere, che consiste nella certezza di una verità o di un ordine
di verità, basste sulla ragione o sulla esperienza; © dal credere, che consiste
nell'accettare come vero ciò che è indimostrato ο ciò che l’ autorità altrui ci
impone di considerare come vero. Quindi si hanno due forme del credere: quella
scientifica, in cui l’indimostrabilità di un dato proviene dall’ essere esso
fondamento di ogni dimostrazione (assiomi, postulati), e quella religiosa, in
cui il dato manos di ogni prova e non si accetta che per l'autorità altrni. E
falso dunque voler porre questa seconda come base della prima (v. critica,
dubbio, fede). Opinione. Gr. Δόξα; Lat. Opinio; T. Meinung; I. Opimion; F.
Opinion. Non bisogna confonderla con la conoscenza, con la oredenza, con la
conrinsione. La conoscenza è determinata da motivi sufficienti; la credenza da
motivi insufficienti, che però non tolgono la persuasione di possedere la
verità; la convinzione è una credenza spiccatamente tenace e sicura; l'opinione
infine non è che una credenza incompleta, in quanto si fonda su motivi che sono
insufficienti e si riconoscono come tali. « L’ opinione, dice Kant, è il fatto
di ritenere qualche cosa come vero, con la coscienza d’ una insufficienza
soggettiva e obbiettiva di tale giudizio ». Già prima Cicerone l’ aveva
definita imbecillam assensionem, 8. Bonaventura assenzio anime generata ex
rationibus probabilibue, ο Cristiano Wolff propositio inaufficienter probata.
L'antica sofistica aveva ridotto ogni pensiero ad opinione; se la verità è
l'opinione individuale, ogni cosa prende norma e valore dal soggetto; da ciò il
detto di Protagora: « l’uomo è la misura di tutte le cose ». A codesto scetticismo
6’ oppose da prima Socrate, che foce consistere il vero sapere non nell’
opinione, ma nel conoscere i concetti delle cose; poscia Platone, che, mantenendo
il divario tra l'opinione (δόξα) che deriva dai sensi 1795 OPP-ORD € la cognizione (ἐπιστήμη) che è data
dai concetti, feco corrispondere all’ opinione i fenomeni mutevoli, ai concetti
ciò che v' ha di costante nell’ avvicendarsi dei fenomeni, cioè la realtà, 1’
essenza, l’ Idea. Cfr. Platone, Zepubl., V, 477 B, 478 B, Meno 97 E;
Aristotele, Met., VII, 15, 1039 b, 33; Cicerone, Tusc. disp., IV, 7; 8.
Bonaventura, In lib. sontent., 3, d. 24, art. 2, 2; Cr. Wolff, Philosophia
rationalis, 1732, $ 602; Kant, Krit. d. r. Vern., A 822, B 850 (v. antropometrismo,
concetto). Opposizione. T. Gegensatz, Gegensetzung, Opposition; I. Opposition;
F. Opposition. Una delle tre specie principali di relazioni immediate tra le
proposizioni ; essa ha luogo tra le proposizioni identiche di contenuto, ma
diverse di qualità, o diverse di qualità e modalità insieme, potendo essere
identica ο diversa la quantità. L'opposizione può essere contraria,
contradditoria ο suboontraria. Sono opposte contrarie le proposizioni
universali d’identico contenuto ma di qualità opposta, e le proposizioni
apodittica negativa e apodittica affermativa. Sono opposte subcontrarie le
proposizioni particolari d’identico contenuto e di qualità opposta, e
ngualmente le problematiche affermative e le problematiche negative. Sono
opposte contradditorie quelle d’identico contenuto ma diverse di qualità e
quantità, e ugualmente l’apodittica negativa e la problematica negativa, Si
dicono infine opposte subalterne le proposizioni d’ identico contenuto e
qualità ma di diversa quantità, e ugualmente le apodittiche e le problematiche
della stessa qualità e contenuto. Cfr. Ueberweg, System d. Logik, 1874, $ 97;
Masci, Logica, 1899, p. 201 segg. (v. contrappoxizione, conversione). Ordine,
T. Oränung; I. Order ; F. Ordre. Una delle idee fondamentali della
intelligenza. Si pnd definire come la nozione o la comprensione d'una coerenza
qualsiasi, fondata sopra un rapporto quantitativo, qualitativo, meccanico o
teleologico. Il Cournot ha distinto I’
ordine logico dall'ordine razionale: il primo consiste nell’ incatenare i ORG 796 fatti secondo I’ ordine lineare, che è quello
del discorso; il secondo nel mettere in luce la relazione secondo la quale i
fatti, le leggi e i rapporti, oggetto della nostra conoscenza, si concatenano e
procedono gli uni dagli altri. Nella
logica matematica l’ ordine seriale è l’ esistenza tra più termini d’ una
relazione transitiva asimmetrica. L’ordine
della natura è l’ insieme delle ripetizioni manifestate sotto forma di tipi o
di leggi dagli oggetti percepiti. 1)
ordine sociale è l'insieme delle regole alle quali i cittadini debbono
conformarsi, e la sottomissione dei citta dini a codeste regole. I giuristi
distinguono l’ordine giuridico dall’ ordine pubblico, considerando questo come
un fine rispetto al quale il primo è un mezzo; mentre, infatti, l'ordine
giuridico è un sistema di condizioni che non possono non esistere in ogni
società, l'ordine pubblico è un bene, che si ottiene © si mantiene solo a patto
di osservare certe determinate condizioni, è quello stato di cose che
rappresenta la normalità della vita collettiva di una determinata società. Cfr. Cournot, Essai sur le
fond. de n. connais., 1851, $ 17, 24, 247; L. Couturat, Les principes des
mathématiques, cap. II; Bergson, L’évolution oréatrice, 1912, cap. III, Le
désordre et les deux ordres; A. Levi, La société et l'ordre juridique, 1911; Ardigd,
Opere fil., I, 88-91; II, 263-265, 269-277. . Organicismo. T. Organicismus; I. Organicism; F. Organioisme.
Sistema o dottrina che spiega i fatti della vita, della sensibilità ο del
pensiero come pure funzioni organiche, senza ammettere l'intervento nd del
principio spirituale, nè del principio vitale. Gli organicisti non riconoscono
che l’esistenza della materia organizzata, provvista però di forze e proprietà
che non esistono negli esseri inorganici; ogni organo è animato da una forza
particolare che, componendosi con tutte le forze simili, mantiene la vita
totale: la vita è U’ insieme delle forze che resistono alla morte, dice il
Bichat. Questa dottrina ebbe ed ha illustri 1797 ORG sostenitori, fra oni it Bichat, Robin,
Broussais © Claudio Bernard. Nella
sociologia dicesi organicismo la dottrina secondo la quale le società sono
organismi analoghi agli esseri viventi, e la sociologia un ramo della biologia.
Platone ο Aristotele tra gli antichi, Spinoza, Herder, Schelling ed altri
filosofi della storia, raffigurarono la società come « an corpo vivente »
sottoposto alle leggi indeclinabili della nascita, della crescita e della
morte; il Comte e lo Spencer cercarono di dare una consistenza scientifica a
codesto concetto, determinando le analogie e le somiglianze tra l’organismo
individuale e quello sociale; lo Schüfie spinse l’analisi ancora più in là, e
trattò addirittura della anatomia, fisiologia, psicologia, patologia e terapia
del corpo sociale. Cfr. Snisset, Recherches nouvelles sur l’dme, « Rev. d.
denx-mondes », 15 agosto 1862; Espinas, Les sooistés animales, 1878, Introd. ;
Comte, Cours de phil. pos., 1877, t. IV, p. 172 segg.; Schüfle, ita ο struttura
del corpo sociale, « Biblioteca degli economisti », serie IIT, vol. VII; A.
Rey, La philosophie moderne, 1908, p. 177-78; Novicow, Les castes et la
sociologie biologique, « Rev. philos. », 1900, II, 373 segg.; Bouglé, Le proods
de la sociologia biologique, Ibid., 1901, Il (v. anima, materialismo, moniemo,
paralloliamo, ritalirmo, meccanismo, organico). Organico. T. Organisch,
Organisirt; I. Organio; F. Organique. Tutto ciò che appartiene all’ organismo;
si oppone 3 inorganico, psichico, intellettuale, eco. Ad es., una malattia
mentale presenta delle alterazioni organiche, come l’atrofia d’un organo o la
distribuzione d’un tessuto, e dei fenomeni psichici corrispondenti, come le
idee deliranti, le alIneinazioni, 900, Il concetto di organico si contrappone a
quello di inorganico: infatti, sebbene i corpi inorganici e gli organici siano
soggetti alle stesse leggi generali della materia, tuttavia gli elementi
costitutivi dei primi o sono mescolati meceanicamente 0 entrano in combinazioni
chimiche binarie, i secondi contengono principalmente comORG 798 binazioni ternarie e quaternarie con carbonio;
le particelle ultime dei primi si attengono reciprocamente sia per forza di
attrazione che per affinità chimica, quelle dei secondi sembrano invece
combinate, sostenute, elaborate, consumate, trasformate da un agente di natura
diversa di quelle inorganiche, agenti che alcuni chiamano forza organica o vitale,
pure considerandola come un semplice concetto astratto, ipotetico e
provvisorio. Organico si distingue infine da organizzato 9 da aggregato: sono
organiche tutte le sostanze prodotte dalla vita di qualche organismo e che non
esistono nel mondo inorganico (linfa, albumins, proteina, siero del sangue,
ecc.); tuttavia possono essere omogenee, indivisibili, giacenti 1’ una accanto
all’ altra, cioò non organizzate ο amorfe. I muscoli, i nervi, le glandole sono
invece sostanze organiche e organizzate insieme, perchè in essi si ha la
riunione di sostanze eterogenee in un tutto, la cui ragione sta in un tipo
razionale. Infine, le particelle aggregate di un corpo inorganico esistono
semplicemente le une accanto alle altre, senza cercare di riunirsi a vicenda, ©
senza cessare d’ essere quello che sono se separate. Cfr. Cournot, Essai sur le
fond. de nos connaissances, 1851, t. I, p. 269 segg.; Eucken, Geistige Strömungen
der Gegenwart, 1909, sez. B, $ 2 (v. fisiologia, generazione, cellulari teorie,
duodinamismo, meccanismo, organioismo, vita, vitaliemo). Organo. T. Organ,
Werkzeug ; I. Organ; F. Organe. Una doterminata unione di tessuti per una
determinata funzione, della quale sono strumento; la riunione di tessuti uguali
per una funzione più elevata costituisce il sistema: così si ha il teseuto
nervoso, degli organi nervosi (es. il cervello) e il sistema nervoso. Quando un
organo è formato di un solo tessuto dicesi semplice (es. alcune glandole)
quando di più tessuti composto (es. il fegato). La riunione di tutti gli organi
in un tutto, capace di vita, dicesi organismo; ora, nessun organo ha in sò la
ragione della propria esistenza, ma la trae dal tutto al quale appartiene, 799 ORI
perciò il fine ultimo dell’ organo non è la sussistenza propria, ma quella di
concorrere al mantenimento dell’ intero organismo. Nella logica il termine organo o organum
significa trattato di logica. Gli antichi commentatori diedero questo nome ai
libri logici d’Aristotele, intendendo con ciò di significare che la logica è lo
strumento (ὄργανον = stromento) per la ricerca della verità. Bacone intitolò la
propris opera principale Novum Organon appunto per signiticare che egli vuol
contrapporre una nuova logica a quella aristotelica; oggetto di questa nuova
logica è, come dice il sottotitolo, I’ interpretazione della natura ossia del
regno dell’uomo (de interpretations naturae, sive de regno hominis). Kant
distinse l'organo, ossia il metodo di ogni disciplina in particolare, dai
canoni del pensiero in generale. Cfr. Kant, Krit. d. rei. Vern., ed. Kehrbach, p. 43;
Fries, System der Logik, 1837, p. 13. Orientazione. T. Urientirung ; I. Orientation; F. Orientation. In
generale, la coscienza delle relazioni spaziali del nostro corpo con gli
oggetti che lo circondano, coscienza dovuta sia alle sensazioni visive, sia
alle tattili, muscolari, uditive, eco. Dicesi senso della orientasione la coscienza
che hanno molti animali e alcune razze umane inferiori, della direzione da
seguire per recarsi attraverso luoghi sconosciuti ad un punto noto. Questo
senso avrebbe sede nei canali semicircolari dell’ orecchio, e funzionerebbe
mediante avvertimenti dati dalla differenza di pressione dell’ endolinfa contenuta
nei canali stessi. Dicesi ilusione della
orientasione quell’ anomalia della coscienza normale della direzione, che
consiste nel mutarsi dei punti dello spazio circondante il soggetto, in modo da
esser cambiato tutto il suo ambiente fisico, ma senza che sia alterata la
nozione dei rapporti spaziali degli oggetti gli uni rispetto agli altri. Cfr. Cyon, Recherches sur
len fonct. des oanaux »emioiroulaires, 1878; Peychol. Rer., 1897, IV, 341, 463;
Hüfiding, Esquisse d’une paychologie, 1900, p. 256 ORI-ORO 800 segg.; Grasset, Les maladies do l'orientation
et de Vequilibre, 1902. Origine.
T. Ursprung; 1. Origin; F. Origine. In generale cominciamento, prima
manifestazione d’ un fatto, qualche cosa che 6’ inizia nel tempo; talvolta però
significa la ragion d’ essere di un avvenimento, il fatto elementare che ne
spiega un altro. Tra i problemi tradizionali riguardanti l'origine sono da
ricordarsi i seguenti: Problema dell’ ori gine delle idee: sono esse un
prodotto di esperienza sensibile ο, le fondamentali almeno, fanno parte della
costituzione stessa del nostro spirito e, in quanto tali, esistono a priori?
Problema dell'origine della oosoiensa: è essa un attributo dello spirito, o una
proprietà dell’ organizzazione evolntiva della materia organizzata, o la
concentrazione d'una coscienza diffusa in tutto l’ universo? Problema del.
l'origine del male: se Dio esiste, donde ha origine il male? Problema dell'origine
della vita: è la vita il prodotto del semplice gioco di reazioni
fisico-chimiche, o di un principio che ha natura e leggi proprie, diverse da
quelle meocaniche? Problema dell'origine della specie: le specie viventi,
animali ο vegetali, furono prodotte tali e quali da una creazione, e restano
immutabili, ο ei trasformano in modo che rin’ unica specie sia passata
storicamente dalle une alle altre? (v. idea, oosoiensa, male, vita, specie,
innatismo, empiriemo, 600.). Orismologia (ὡρισμός definizione). Trattato intorno ai vocaboli
tecnici e alle espressioni proprie d’una data scienza ο arte. È sinonimo di
terminologia. Orottero. La linea o il punto che congiunge i punti dello spazio
che fanno imagine su punti identici delle due retine, in una data posizione
dell’ occhio. L’ esistenza dei punti identici si ammette per spiegare la
visione semplice degli oggetti, benchè le loro immagini si formino su ambedue
le retine, ed è provata dal fatto che, se si sposta l'occhio con un dito mentre
si guarda un oggetto, l’og 801 Osc-0ss
getto è visto doppio. L’ orottero varia perciò a seconda della posizione degli
occhi: così quando gli assi visuali si trovano sul piano orizzontale e sono
convergenti, 1’ orottero è rappresentato da un circolo che passa per il punto
fissato e i due centri ottici; quando invece gli assi visuali si trovano nel
piano orizzontale e sono fra di loro paralleli (come allorchè si guarda il
lontano orizzonte) l’orottero è rappresentato dal piano che passa per i
medesimi. Cfr. Tschering, Optique physiologique, 1898 (v. binoowlare, campo,
emianopsia, diplopia). Oscuro. T. Dunkel; I. Obscure; F. Obsour. Nel linguaggio
cartesiano oscuro si oppone a chiaro e si distingue da confuso: un’ idea è
oscura quando per essa non riusciamo a differenziare un oggetto dagli altri, è
confusa quando per ossa differenziamo un oggetto dagli altri, ma non abbiamo la
conoscenza degli elementi di ouf è composto. « Dico che una idea è chiara, scrive
il Leibnitz, quando è sufficiente a distinguere la cosa e riconoscerla; così,
se avrò un’ idea ben chiara di un colore, non mi avverrà di prendere un altro
colore per quello che cerco, e, se avrò l’idea chiara di una pianta, la
discernerò dalle piante consimili; e, se ciò non è, l’idea è oscura ». Gli scolastici designavano con l’espressione
obscurum per obscurius quella forma di petizione di principio, che consiste nel
dimostrare ciò che è oscuro per sè con ciò che è ancora più oscuro. Cfr. Leibnitz, Nouveaux
essais, 1704, 1. II, cap. 29, $ 2; Peirce, Comment rendre nos idées olaires, «
Rev. philosoph. », genn. 1879.
Osservazione. T. Beobachtung; I. Observation ; F. Observation. È l'atto
mediante il quale lo spirito si applica a un fatto o a un insieme di fatti,
allo scopo di conoscerli e di spiegarli. Si distingue dallo sperimento in
quanto questo è attivo, perchè sperimentando si interviene nei fatti producendoli
o modificandoli, mentre |’ osservazione è passiva, in quanto consiste nella
semplice constatazione dei fatti; la distinzione però non è assoluta. Si
diversifica anche dal51 Raxzorı, Dizion.
di acienze filosofiche. Oss 802 l’attensione, perchè mentre in questa può
mancare in quella è essenziale il desiderio di una esplicazione ulteriore del
fatto osservato. Si distinguono due
forme d’osservazione: la comune, abbandonata all'esercizio degli organi di
senso individuali, © la metodica, assistita da speciali mozzi che ne accrescono
la portata, integrata da ragionamenti che ne svolgono il valore, conformata a
regole costanti per la scelta degli oggetti e delle condizioni opportune d’ esame,
controllata dai risultati ottenuti da diversi osservatori. L'osservazione può anche essere esterna e
interiore © psicologica. L'osservazione esterna è la base delle scienze fisiche
ο naturali, ed è essenziale in alcune di esse, come ad es., nell’ astronomia.
L'osservazione esterna deve essere metodica, cioè procedere regolarmente da nA
oggetto all’altro, precisa ciod fare un giusto calcolo della quantità dei
fatti, esatta ciod nulla trascurare. L'osservazione interiore © introspezione
fu adoperata nello studio dei fenomeni psichiei, primamente dalla sonola
scozzese, indi dagli eclettici francesi ο dagli associazionisti inglesi, ma fa
combattuta da A. Comte, il quale sostenne essere assurdo che si possa nello
stesso tempo essere il soggetto osservante e l'oggetto osservato. Con ciò il
Comte veniva a negare la possibilità di ogni conoscenza dello spirito per mezzo
della coscienza. Tuttavia codesta conoscenza à un fatto d’esperienza comune, ed
oggi il metodo introspettivo, aiutato fin dove è possibile dall’ esterno, è
ancora il metodo proprio della psicologia. Cfr. Senebier, L'art d'observer,
1802; Ribot, Contemporary english psychology, 1873, p. 84, 323; Sully, Outlines
of peyohology, 2° ed. 1885, p. 6, 7; C. Bernard, Introd. à V étude de la med.
ezpor., 1865, 1. I, cap. 1; Masci, Logica, 1899, p. 402 segg.; A. Padon,
Legittimità € importanza del metodo introspettivo, « Riv. di filosofia »,
aprile 1913 (v. introspezione, riflessione, psicologia). Ossessione. T. Besessenheit;
I. Obsession; F. Obsession. La presenza nello spirito di una rappresentazione,
o d’una 803 Orr associazione d'idee, che la volontà non
riesce ad allontanare se non momentaneamente, che impedisce agli stati
antagonistici di presentarsi e intorno alla quale vengono a raccogliersi tutte
le associazioni. Si verifica spesso nella malinconia religiosa, caratterizzata
da un delirio di onsessione o di possessione, in cui l'individuo si sente
circondato da demoni o tutt’ nno con essi. Secondo il Régis e il Tamburini
tutte le varietà di ossessione si riferiscono ad un disturbo della volontà e si
possono raccogliere in due gruppi: 1° ossessioni impuleive, in cui la volontà è
lesa nella sua forza di arresto; 2° ossessioni abuliche, in oui la volontà è
less nella sua energia generale di attività. Cfr. Pitres et Régis, Les
obsessions οἱ les impulsions, 1902; Raymond et
Janet, Les obsessions αἱ la peychasthénio, 1903;
Régis, Manuel de méd. ment., 3" ed., p. 257-296; Tamburini, Riv. aper. di
Fren., IX, 1883, p. 74 ο 297; Pierre Janet,
Névroses οἱ idées fixes, 2* ed. 1904, cap. I. ο Ottimismo. T. Optimismus; I. Optimiem ; F.
Optimieme. Vocabolo usato per la prima volta dai padri gesuiti di Trevoux nel
render conto della teodicea del Leibnitz, e reso più tardi popolare dal
Voltaire col suo Candide ou Poptimismo (1758). Vi ha un ottimismo naturale © un
ottimismo filosofico. Il primo si può definire come là disposizione, quasi
sempre innata, dovuta allo stesso temperamento, a cogliere il lato buono delle
cose, a giudicare benevolmente degli uomini e degli avvenimenti. Il secondo,
che ha forse le sue intime radici nel primo, è la dottrina secondo la quale
sull'universo tutto va per il meglio e noi viviamo nel migliore dei mondi
possibili. Esso ha una data relativamente recente nella storia del pensiero, ed
è più che altro una dottrina teologica e metafisica; esso infatti consiste
nello scagionare la divinità, creatrico del mondo, dell’esistenza del male nel
mondo e nel dimostrare Ja necessità del male medesimo. Noi troviamo accennato,
è vero, il problema dell’ottimismo in alcuni filosofi antichi e Orr 804 dell’ eta di mezzo. Così, già Platone
insegnava che il Demiurgo non ha potuto creare che ciò che è più bello e più
buono; Plotino che il male e il dolore non sono che specie negativo e conducono
ancor meglio al bene; 8. Clemente che il male è solo azione, non sostanza
(οὐσία), e che il mondo quale Dio l’ha creato è perciò originariamente buono;
8. Agostino che in quantum est, quidquid est, bonum est. Ma una trattazione
compiuta del problema sotto tutti i suoi aspetti, nelle sue relazioni con
l’idea di Dio, di Grazia e di Provvidenza divina ο di libertà umana non si ha
che col Leibnitz. Secondo il filosofo tedesco, la continuità e l'armonia che si
osservano nel mondo sono prestabilite da Dio, il quale, nell’ opera sua
creativa, non ha agito a caso, ma ha scelto tra le creature possibili quelle
che corrispondevano meglio al suo fine: « Dalla perfezione suprema di Dio
consegue che, producendo l'universo, egli ha scelto il miglior piano possibile,
nel quale esista la più grande varietà col più grande ordine; il terreno, il
luogo e il tempo meglio governati; il maggior effetto prodotto coi mezzi più
semplici; la maggior potenza, la maggior conoscenza, la maggior felicità e bontà
nelle creatare che l'universo potesse comportare. Poichè tatti i possibili pretendendo
all'esistenza nell’ intelletto divino, in proporzione delle loro perfezioni, il
risultato di queste pretese deve essere il mondo attuale il più perfetto che
sia possibile. E senza di ciò non sarebbe possibile spiegare perchè le cose
siano avvenute così piuttostochè altrimenti ». Ma se Dio ha scelto il miglior
mondo possibile, perchè esiste il male? Il male, risponde il Leibnitz, può
essere metafisico, fisico o morale. Il male metafisico è la limitazione, che
non può non esistere perchè ogni monade creata deve averla. Il male fisico è il
dolore, che è pure necessario perchè senza di esso non csisterebbe il piacere;
infatti il dolore nasce dallo sforzo per passare da uno stato all’altro, e
senza questo sforzo non ci sarebbe azione © quindi nemmeno piacere, 805 Orr-P che consiste appunto nella coscienza
dell’ azione. Infine il male morale è il peccato, ed è esso pure una condizione
indispensabile: il peccato nasco da una rappresentazione oscura; dalla
rappresentazione oscura si sviluppa la conoscenza chiara, la quale è la
condizione prima della morslità; dunque, senza il peccato non esisterebbe la
moralità, e quindi neanche il bene. Così Dio è pienamente giustificato. Oggi il
problema dell’ottimismo ο del pessimismo ha perduto il suo primitivo
significato: si è infatti riconosciuto che il bene e il male, il piacere e il
dolore sono condizioni necessarie l'uno dell’ altro; che il dolore ha un
officio biologico, in quanto ci avverte dell’alterazione degli organi, e ci è
di stimolo al perfezionamento fisico e morale. Ad ogni modo si pud dire che la
scienza moderna, essendo a base evoluzionistica, ammettendo οἱοὸ un perfezionamento
indefinito della specie e della società, è essenzialmente ottimistica. Cfr.
Platone, Zimeo, 30 A; Plotino, Enn., III, 2, 5; 8. Clemente, Strom., IV, 13,
605; 8. Agostino, De vera relig., 21; Id., Confess., VI, 12; Leibnitz,
Prinoipes de la nat. et de la grâce, 1879; Id., Theodioea, 1710, $ 416; I.
Duboc, Der Uptimiemus ala Weltanschauung, 1881;Sully, Pessimism, 1877, p. 399
segg. (v. dolore, piacere, migliorismo, pereimiemo, bene, male, armonia,
teodicea). P. Nei versi mnemonici delle tre ultime figure del sillogismo
categorico, questa lettera indica che la riduzione al modo della prima figura
deve essere fatta mediante conversione per accidente di una delle due premesse
o della conolusione ; ad es.: Darapti della terza figura si converte nel Darii
della prima mediante la conversione per accidente della minore. La stessa
lettera si usa nello espressioni simboliche delle proposizioni per indicare il
predicato, e nelle espressioni simboliche del sillogismo per PAG-PAL 806 indicare il termine maggiore, che nella
conclusione fa appunto da predicato (v. figura, modo, termini, sillogismo).
Paganesimo. T. Paganismus; I. Paganism; F. Paganisme. Termine generico per
indicare tutte le religi teriori al cristianesimo, o diverse dal cristianesimo,
fatta eocezione però del giudaismo e dell’ islamismo. Esso ebbe origine nei
primi secoli del cristianesimo, per il fatto che il politeismo romano conservava
i suoi più tenaci difensori tra gli abitanti delle campagne. Ancor oggi il termine
è usato spesso in senso dispregiativo, applicandosi a tutte le forme più basse
della religiosità, Paleontologia. T. Palsontologie; I. Paleontology; F.
Paléontologie. La scienza dei fossili. Essa ha origini recenti, da quando cioè
col Convier e col Lamarck, si cominciò a riconoscere che le impronte e le
reliquie di animali © vegetali estinti conservateci in stato pietrificato sono
veri e propri documenti per la storia degli organismi: essi infatti ci dànno
notizia della forma ο della struttura di piante e di animali, che sono gli
antenati o i precursori degli organismi ora viventi, oppure linee laterali
estinte. Prima invece s'era creduto che le pietrificazioni di piante ο di
animali non fossero che scherzi di natura (ludus naturae) o prodotto di uno
sforzo creativo (vis plastica), «ο modelli inorganici di cui si servì il
Creatore prima di creare gli esseri organici. Cfr. K. A. Zittel, Geschichte d.
Paläontologie, 1899 (v. cosmogonia, geologia). Palingenesi. Gr. πάλιν = di nuovo,
γένεσις = generazione; T. Palingenese; I. Palingenesis; F. Palingenèse. E
vocabolo proprio della filosofia religiosa e vale rinascimento, rigenerazione.
Si applica tanto all'individuo, come all’umanità e all'universo. L'idea della
palingenesi si trova nel fondo di quasi tutte le religioni filosofiche. Così
nel bramanismo il mondo passa attraverso continue alternative di creazione e di
distruzione, corrispondenti alla veglia ¢ al sonno di Brahma; in esso Vichnou
rappresenta il prin 807 Par cipio della
palingenesi universale, in quanto interviene in certe epoche per salvare il
mondo da Civa, principio della distruzione: « Mentre Brahma veglia il mondo
vive e si muove; ma quando il Dio dorme, quando il suo spirito è in riposo, l’
universo svanisce; tutti gli esseri cadono nell’inersia; essi sono dissolti
nell’ anima suprema, perchè colui che è la vita di tutto l'essere sonnecchia
dolcemente, privato della sua energia. Così, passando a volta a volta dal sonno
alla veglia e dalla veglia sl sonno, esso fa nascere costantemente alla vita
tutto ciò che ha il movimento ο tutto ciò che non l’ha; poi esso lo annienta e
rimane immobile ». Nel cristianesimo l’ umanità risorge dalla sua caduta per
opera di Gesù Cristo, © risorgerà tutta intera alla fine dei tempi, sotto nuovi
cieli e in una nuova terra; nelle antiche religioni orientali, il male fa
discendere l’nomo, dopo morto, nel corpo di nn animale irragionevole, mentre il
bene può farlo in seguito salire nelle sfere luminose della felicità. L’ idea
della palingenesi si trova anche nel sistema di Pitagora e più in quello degli
Stoici: « L'anima razionale, dice Marco Aurelio, vaga sull’ali della speonlazione
per l’ universo intero, comprende e vede che nulla di nuovo vedranno quelli che
verranno dopo di noi e che nulla di nuovo videro mai i nostri maggiori, ma
bensì che in un certo qual modo chi è giunto alla età di cinquant’anni, per
poco ingegno che abbia, può dire di avere già visto tutte le cose passate e
future, poichè esse saranno della medesima sorte ». Nei tempi moderni, Scho.
penhauer ha sostenuto la rinascita degli stessi individui nell’ umanità. In
Federico Nietzsche la palingenesi eterna costituisce ad un tempo la base e il
coronamento della filosofia del superuomo, la grande idea che Zarathoustra
annuncia da prima ai discepoli raccolti intorno a lui davanti alla caverna
della montagna, e che poi rivela alle masse convocate in festa: « Tutti gli
stati che questo mondo può raggiungere, esso li ha già raggiunti, e. non Par-Pa
808 solamente una volta, ma un numero infinito di
volte ». Alcuni scienziati moderni, ispirandosi al principio fonda mentale
della termodinamica, concepiscono la storia dell'universo come un processo
ciclico di degradazioni ο di rigenerazioni della materia e dell’ energia,
processo nel quale le identiche fasi si ripeterebbero eternamente a distanze
immense di tempo: «Se i mondi muoiono, dice il Becquerel, è sempre per far
posto a dei nuovi mondi. Diventa così possibile all'evoluzione dell’ energia,
della materia, e dei mondi, di percorrere un ciclo perpetuo, un ciclo nel quale
noi non vediamo nè cominciamento nd fine ». Cfr. M. Aurelio, I ricordi, 1. XI, 1; Schopenhauer,
Die Welt als W. und Vorst., Reclam, suppl. VI, cap. LXI; Nietzsche, Werke, 1895-97,
VII, p. 80, XII, p.122; G. Beoquerel, L’évoIution de la matière et des mondes,
« Rev. scientifique», 25 nov. 1911; 8. Arrhönius, L'évolution des mondes, 1910,
p. 218, 223; G. Le Bon, L'évolution des forces, 1907, p. 99 segg.: ©. Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella vita,
1913, p. 169-1 (v. anamnesi, metempsicosi, nirvana, palingenetici).
Palingenetici (caratteri). Fra i caratteri ereditari, alcuni sono dovuti alle
condizioni di sviluppo o all’adattamento all'ambiente esterno, che si
manifestano negli individui di una data specie; altri invece sono dovuti ad una
trasmissione abbreviata o semplificata, e partecipano delV intima
organizzazione dell'individuo e della specie: i primi si dicono cenogenetici, i
secondi palingenetici. La denominazione è stata proposta dall’ Haeckel. Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 107, 193 (v. filogenesi,
variabilità). Pampsichismo. T. Panpeychismus; I. Panpsyohiem; F. Panpsychisme.
Ha due significati fondamentali. In senso stretto, è la dottrina filosofica
secondo la quale la coscienza o psiche non è proprietà dei soli organismi superiori,
ma è comune a tutta la materia. Fra i moderni, il principale sostenitore di
codesta dottrina è Ernesto Hae 809 Pam
ckel, il quale considera ogni atomo materiale come provvisto di un’anima
costante: dalle combinazioni multiple di questi atomi si formano le
anime-molecole, e le anime dei protoplasma molecolari, organiche, da cui
risultano le anime-cellule ; per tal modo tutta la natura è cosciente, sia
l’organica che l’inorganica. Questa forma di pampsichismo si riconnette all’
iloroismo dell’antica scuola ionica. In senso largo, ma con significato
polemico, si adopra come sinonimo di monismo epiritualistion ο idealiemo
realistico, 9 indica perciò tutti quei sistemi filosofici che considerano la
materia come un complesso di fenomeni psichici, sppoggiandosi sia sopra il
concetto della subbiettività delle qualità della materia, sia sopra 1’
impossibilità di concepire il mondo se non per analogia con noi stessi, cioè
col nostro spirito. Così il Guastella definisce come pampsichismo ogni sistema
« che afferma che la materia non esiste, ma che tutto è spirito; che ciò che ci
apparisco come mondo materiale non è in sò stesso che un mondo di esseri
psichici; che non vi hanno in realtà particole di materia e movimenti, ma in
luogo di essi spiriti e fenomeni psichici ». Inteso in questo senso, il
pampsichismo ha lo stesso punto di partenza dell’ilozcismo, in quanto entrambi
identificano la forza fisica con la psichica; ma mentre questo fa dello spirito
una proprietà costante della materia, il pampsichismo aggiunge che la materia è
una apparenza, e il realo non è che lo spirito. Si distingue anche dall’
idealismo soggettiro © dal fenomenismo, sppunto perchè, lasciando agli oggetti
materiali un’ esistenza indipendente, afferma che non sono materiali che in
apparenza, mentre in realtà non sono che spirito. Quests forma di pampsichismo
ha, a differenza della prima, un posto assai largo nella metafisica moderna,
sopra tutto nel periodo più recente, per la cresciuta coscienza delle
difficoltà del realiamo comune ; esso è ammesso da Leibnitz, Schopenhauer,
Maine de Biran, Rosmini, Gioberti (nella seconda forma della sua filoPan 810 sofia), Lotze, Want, Clifford, Wallace, Taine,
eco. Cfr.
Haeckel, Naturliche Sohopfungageschiohte, 1889, p. 20 segg.; in C. r. del
Congrès de Phil. de Genève, 1904, C. A. Strong, Quelques considérations sur le
panpeychieme, Th. Flournoy, Le
panpsychisme ; Guastella, Filosofia della metafisica, 1905, t. I, p. 144 segg.
(v. coscienza, anima, monismo, peicologia cellulare). Panenteismo. Gr. x2v=
tutto, iv = in, θεός = Dio; T. Panentheismus; I. Panentheiem ; F. Panenthéieme.
Vocabolo creato dal Krause per denominare la propria dottrina, che cercava di
conciliare il teismo col panteismo. Per il Krause il mondo non è che lo
svolgimento dell’ ossenza divina impressa nelle ideo; ma queste idee sono
l’autointuizione dalla più alta personalità, in quanto l’essere di Dio non è
ragione indifferente, ma il principio personale del mondo. Al pari dello
Schelling, egli considera tali anche le forme del complesso sociale ο il
cammino della storia. Oggi il termine panentoiemo si adopera per indicare in genere
quelle forme di panteismo, in cui la sostanza divina è concepita come
avvolgente il mondo, che ne è contenuto. Cfr. Krause, System der Philosophie,
1828. Pangenosi. T. Pangenesis ; I. Pangeneris; F. Pangenèse. L'ipotesi con cui
il Darwin spiega la trasmissione ereditaria ο eredità dei caratteri. Da tutte
le cellule dell’ organismo vivente, che sono unità biologiche, si staccano dei
granuli minutissimi, detti gemule, le quali, per la loro affinità reciproca, si
riuniscono e si accumulano negli elementi sessuali. Codeste gemule, trasmesse
alle generazioni immediate, si sviluppano e si evolvono così da costituire le
cellule, i tessuti, gli organi, o, in una parola, i nuovi individui; in tal
caso si ha l’eredità immediata. Se invece le gemule rimangono latenti per un
corso più o meno lungo di generazioni, nascoste, a così dire, nelle profondità
degli organismi, sviluppandosi poi nelle generazioni venture, si ha l’eredità
atavica o atavismo. Cfr. Darwin, 811 Pax Animals and Plants under Domestication, 1.
II, cap. XXVII; W.
K. Brooks, The law of heredity, 1883 (v. eredità, endogenesi, porigenesi,
panmizia, germiplasma). Panlogismo. T.
Panlogismus ; I. Panlogiem; F. Panlogisme. Appellativo dato a quei sistemi
filosofici, che identificano, come lo stoico e l’hegeliano, il pensiero con
l’essere, la ragione (λόγος) col tutto (πᾶν). Il vocabolo fu creato da J. E.
Erdmann per denominare appunto In dottrina di Hegel « che non pone nulla di
reale se non la ragione; all’ irrazionale non accords che una esistenza
transitoria, che si sopprime da sò stessa ». Cfr. Erdmann, Geschichte d. nou.
Philos., 1853, t. III, parte 2°, p. 858 (v. logos, noo, io, panteirmo).
Panteismo. T. Pantheismus; I. Pantheiem; F. Panthéime. Il termine panteisti fa
usato la prima volta da Toland nel 1705; il termine panteismo non si trova che
nel 1709, nel suo avversario Fay. Il panteismo è la dottrina filosofica che
identifica la divinità col mondo, e concepisce l'uno e il molteplice, il finito
ο l'infinito, la natura natarata ο la natura naturante come due aspetti
differenti ma inseparabili di un essere unico, dell’ essere divino. Però questa
identificazione di Dio col mondo sostenuta dal pantelsmo, non va intesa in
senso assoluto, come accade volgarmente. Il panteismo filosofico distingue Dio
dal mondo, in quanto il primo è uno, è il principio dell’ unità delV universo,
mentre il secondo è molteplice, è una totalità di elementi diversi; in altre
parole, quello è l'essenza, questo il fenomeno, quello l’ universale, questo la
collezione dei particolari. Della nozione volgare del panteismo scrisse Hegel:
« Comunemente si ha del panteismo questo concetto: che Dio sia tutte le cose,
il tutto, 1’ universo, codesta somma di tutte lo esistenze, codesta infinita
molteplicità delle cose finite, e si fa alla filosofia il: rimprovero di
affermare che ogni cosa è Dio, cioè 1’ infinita varietà delle cose singole, non
I’ universo in sò e per sè, ma le Pan 812 cose individuali nella loro esistenza
empirica, come esse sono immediatamente.... Ma questo fatto (ossia) che una
qualche religione abbia insegnato tale panteismo, è completamente falso; non è
mai capitato a nessun uomo di dire: tutto è Dio, cioè (Dio è) le cose nella
loro individualità e contingenza; tanto meno ciò è stato affermato in qualche
filosofia... Lo spinozismo stesso, come tale, © anche il panteismo orientale,
insegnano che in tutte lo cose il divino non è che I’ universale del loro
contenuto, l'essenza delle cose, ma in modo che questa essenza à rappresentata
come essenza determinata delle cose stesse >. Il panteismo si distingue
quindi tanto da quei sistemi che considerano la sostanza divina come distinta
dalla sostanza del mondo (ereasionismo, dualismo), quanto da quelli che pongono
una o più divinità personali (teismo, monoteismo, politeismo), quanto infine da
quelli che negano |’ esistenza della divinità (ateismo). Va notato però che,
storicamente, il panteismo si allea talvolta con qualcuna delle dottrine ora
nominate; così lo stoicismo, nella sua fase eclettica, accoglie il politeismo
della credenza popolare, ammettendo una schiera di divinità inferiori, emananti
dall’ unica forza divina universale, considerate como organi intermedi e che,
ciascuna nel proprio campo, rappresentavano la forza vitale ο la provvidenza
della ragione universale; e nel panteismo logico di Scoto Eriugena, il mondo è
Dio svoltosi nel particolare, con un processo degradante di universalità
logica, per cui da Dio procede anzitutto il mondo intelligibile come Natura,
che è creata © che crea, © il regno degli universali, delle idee, che formano
le forze attive nel mondo sensibile dei fenomeni. Il panteismo assume due
aspetti diversi: l’orientale, che immerge Dio nel mondo e lo concepisce come
riposo, come essere; l’occidentale, che im- merge il mondo in Dio e lo
concepisce come movimento, come processo. Si distinguono ancora: il panteismo
matertalistico, per il quale è la semplice materia dell'universo, con 813 Pax
le sue forze, la sua vita, il suo pensiero come prodotto dell'organismo, che
costituisce l’ Uno-Tutto, Dio; il panteismo idealistico, che risolve ogni cosa,
tempo, spazio, materia, forza, divinità, in oreazioni dello spirito; il
panteismo sostanzialistico, che afferma l’esistenza di un potere spirituale
operante nella forma materiale, potere infinito ed eterno che è la ragione di
tutto. Fra i più importanti sistemi panteistici, sono da annoverarsi: 1° lo
stoico, che considera 1’ universo come un vasto organismo penetrato în tutti i
sensi da una sostanza eterea finissima, che è ad un tempo la ragione seminale
da cui tutti gli esseri sono usciti, 1’ anima del mondo, la divinità; 2°
l’alessandrino, secondo il quale Dio, che è P’Ente primo e |’ Uno, genera la
mente, da cui emana l’Anima universale, che a sus volta produce le anime
individue in lei contenute, e tutte le parvenze del mondo materiale; 3° lo
spinosiano, in cui il pensiero e l'estensione non sono che due attributi di una
sola sostanza infinita, Dio, cosicchè le anime e i corpi, e ciascun fenomeno di
quelle e di questi, non sono che modi di codesti due infiniti attributi di Dio
e ne esprimono in diversi aspetti l'essenza; 4° l’Aegeliano, in cui l'assoluto,
il tutto, la divinità, è l’Idea, che per un processo di eterno divenire si
sviluppa prima come potenza o germe, poi come natura, infine come spirito
cosciente. Cfr. Eucken, Geschichte d. philos. Terminologie, 1879, p. 94; Hegel,
Vorlesungen über die Philos. d. Religion, 1840, p. 94; C. E. Luthardt, The
fundamental truths of Christianity, 1873, p. 65; R. I. Wilbeforce, The doctrine
of the Holg Eucharist, 1853, p. 423; J. M. Cosh, The intuitions of the mind,
1882, p. 449452; Jaesche, Der Pantheismus nach s. Hauptformen, 1826;
"Schuler, Der Pantheismus, 1884; F. Hoffmann, Theismus und Pantheismus,
1861; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, 1911, Ῥ. 155-174 (v. assoluto.
panenteismo, emanazione, panlogiemo). Pantelismo. T. Panthelismus; I.
Pantheliem; F. Panthélieme. Si adopera talvolta per designare la dottrina dello
Par 814 Schopenhauer, la quale considera la forza come
l’essenza dell’essere e identifica la forza stessa con la volontà; questa
volontà cosmica è da principio incosciente e cieca, ma obbiettivandosi via via
nelle gerarchie degli esseri sempre più perfetti, giunge infine alla piena
coscienza di ad, cioè all’uomo. Si può adunque dire che l’essere è un voler essere.
« La finalità, dice lo Schopenhauer, deriva essenzialmente dalla volontà, ©
poichè la volontà è il fondo d’ogni essere vivente, poichè ogni corpo
organizzato non è che la volontà divenuta visibile, ne viene che codesta
volontà è coestensiva all’ essere stesso, gli è interiore, immanente. La nostra
meraviglia alla vista della perfezione infinita e alla finalità delle opere
della natura, deriva da ciò, che noi le consideriamo come consideriumo le
nostre proprie opere.... Ma le opere della natura sono invece una
manifestazione immediata, e non mediata della volontà. Qui la volontà agisce
nella sua natura primitiva, senza conoscenza; la volontà e l’opera non sono
separate da alcuna rappresentazione intermedia; esse sono una cosa sola ». Il
Guyau propone di sostituire la parola panteliemo a quella di feticiemo per designare
quella fase psicologica della evoluzione del sentimento religioso, in cui 1’
uomo concepisce il mondo come una società simile alla sua, proiettando in esso
la propria volontà ed intenzioni. Cfr. Schopenhauer, La rolonté dans la nature, trad.
franc. 1836, p. 59; A. Guyau, Z’irreligion de l'avenir, 1887; F. De Sarlo,
Metafisica, scienza 6 moralità, 1898. Parabulia. Stato anormale della volontà, che si verifica in alcune
malattie mentali. Si distingue dall’abulia perchè il volere non è totalmente
abolito, ma incerto, vacillante, imperfetto. Però alcuni psicopatologi
preferiscono riunire sotto l’espressione di parabulie ooatte tutte le anomalie
del volere, distinguendole poi in due gruppi: 1° parabulie coatte impulsive,
costituite da impulsi irresistibili contro i quali l’individuo sente la propria
volontà impotente, e ai quali cede spesso a malincuore (dipsomania, clep 815 Par tomanis, onomatomania, ecc.); 2° perabulia
coatta inibitoria, costituita dall’impossibilità di decidersi ad una azione
volontaria ο ad eseguirla, pur volendola interiormente ο mentalmente. Cfr.
Kraft-Ebing, Lehrbuch d. gerichtlichen ‚Psychologie, 83 ed., 1892; Ribot,
Maladie de la personnalité, 2° ed., cap. II Paradigma (δείκνυµι mostrare). Si adopera talvolta come sinonimo
di arohetipo per designare le idee platoniche, esemplari o modelli immutabili e
perfetti di oui le cose singole non sono che imitazioni imperfette e transitorie.
Dicesi paradigma logico quella figura di cui si serve la didattica per
rappresentare in modo concreto e preciso un lavoro mentale, così da averne una
intuizione diretta altrimenti impossibile. Paradosso. Gr. παρά contrario a; δόξα opinione; T. Paradoze, Paradozon ; I. Paradox;
Y. Paradoze. Un’ affermazione 0 una negazione recisa e di solito indimostrata,
che contrasta colla verosimiglianza, colle credenze del maggior numero e col
così detto senso comune. Il paradosso può quindi racchiudere una verità; esso
si distingue dal sofiema, che è un ragionamento falso rivestito dei lenocini
dell’arte col fine di farlo accettare come vero; e dal paralogisma, che è un
ragionamento involontariamente scorretto e che può anche condurre ad una
conclusione vera. Dicesi paradosso del
Cournot la dottrina del caso del Cournot, in quanto essa, riducendo il caso ad
un incontro ο coincidenza di serie causali non solidali tra loro concilia la
necessità © la libertà, il determinismo e la contingenza. Nella psicologia dicesi eccifamento paradosso
il fenomeno consistente in ciò che, in alcune zone della pelle, il contatto dei
punti pel freddo coll’ estremità di un cono metallico riscaldato, produce
sempre non dubbie sensazioni di freddo, che aumentano con l’elevarsi della
temperatura del cono al di sopra della temperatura media del corpo; paradosso
ottico di estensione il fatto che, se le due metà perPar 816 fettamente uguali d’una linea retta
orizzontale sono divise da linee angolari rivolte all’esterno nella prima metà
della retta e all’interno nella seconda metà della stessa, la prima metà sembra
più lunga e la seconda più breve. Cfr. Kiesow, Archiv fur ges. Payohol., 1906;
Botti, R. Acc. delle scienze di Torino, 1908-909; A. Pegrassi, Illusioni
ottiche, 1904; P. Bellezza, Dell’uso della voce « paradosso » specialmente nol
linguaggio scientifico, « Riv. rosminiana », V, 1912; Max Nordau, Paradossi,
trad. it. 1913, Prefazione. Parafasia o paralalia. Si distingue dall’ afasia in
quanto la memoria motrice della parola non è perduta completamente ma soltanto
turbata, cosicchè l'individuo, pur potendo parlare, adopera i vocaboli
impropriamente, pronunziando a stento e interrompendosi frequentemente. Cfr. Ch. Bastian, Le
cerveau organo de la pensée, 1888, vol. II, p. 245 segg.; G. Saint-Paul, Le
langage intérieur et les paraphasies, 1904 (v. amnesia). Parallelismo psico-fisico. T. Peyohophysicher Paraltelismue ;
I. Psychophysioal Paralleliem ; F. Parallélieme peycho-phytique. Dottrina psicologica per cui si pongono in
relazione puntuale le due serie dei fatti psichici e fisici (fisiologici),
cosicchè ad ogni elemento della serie psichica corrisponde una
particolaremodalità di movimento. L'espressione sembra sia stata usata la prima
volta dal Fechner: der Paralleliemue des Geistigen und Körperlichen der in unteres
Ansicht begründet liegt (il parallelismo dello spirituale e del corporale che
trova il suo fondamento nella nostra visione delle cose). Del resto, il
concetto d’ una corrispondenza delle due funzioni c'è giù nell’occasionalismo,
quantunque fatto psichico © fatto psichico non siano causa Puno dell'altro, ma
pura occasione: Toute l'alliance de Vesprit οἱ du corps, dice Malebranche, qui
nous est connue, consiste dans une correspondance naturelle et mutuelle des pentes
de Véme aveo les traces du cerveau, οἱ des émotions de T'âme ateo les
mouremente des esprito animaux. Anche nella 811 Par
dottrina leibnitziana dell’armonia prestabilita è contenuto il concetto di un
parallelismo tra spirito e corpo: omne corpus est mons momentanea, seu carena
recordatione. Più osplicitamente tale concetto esisteva già nella filosofia di
Spinoza, che pensiero ed estensione, spirito e materia considera come due
attributi paralleli di una sola e medesima sostanza: sive naturam sub attributo
extensionis, sive sub alio quocumque concipiamus, unum oumdemque ordinem, sive
unam eandemque causarum connezionem, hoc est casdem res invicem sequi reporiens.
Questa relazione tra le due serio di fatti ο di realtà è un dato
dell'esperienza, la quale ci mostra che ovunque si abbia sistema nervoso si ha
coscienza, mancando il sistema nervoso manca la coscienza, sviluppandosi il
sistema nervoso si sviluppa la coscienza, variando o alterandosi il sistema
nervoso varia ο si altera la coscienza. Per questo suo carattere empirico, la
dottrina contemporanea del parallelismo psico-fisico si distingue dal
parallelismo metafisico, spinoziano, che importa non solo la concomitanza costante
tra i fenomeni psichici e certi fenomeni fisici, ma ancora: 1° che ogni fatto
fisico ha un concomitante psichico e viceversa; quindi non vi ha corpo senza
spirito nè spirito senza corpo, ma tutto è animato, ogni cosa vive, sente e
pensa; 2° che il fisico e il psichico sono, come dice Spinoza, due espressioni
differenti di una sola e stessa cosa, cosicchè la serie fisica e la serie psichica
non si corrispondono soltanto pei loro rapporti di concomitanza costante, ma
fra i termini delle due serie vi ha, insieme alla loro differenza, una identità
parziale, come se fossero modellati sovra un tipo comune, che entrambi
rappresentano, quantunque ciascuno in modo diverso. Invece l’attuale
parallelismo psico-fisico importa: 1° 1 wmilateralità del rapporto, per cui, se
al fatto psichico è concomitante sempre ¢ necessariamente il fatto fisico, al
fatto fisico non è sempre nè necessariamente concomitante il fatto psichico; 2°
il principio o assioma d’eterogeneitä, che si può 52 Ranzott, Dizion. di scienze filosofiche. Par 818 enunciare così: i corpi e lo spirito, la
coscienza e il movimento molecolare del cervello, il fatto psichico e il fatto
fisico, pure essendo simultanei, sono eterogenei, disparati, irreducibili,
invincibilmente due. Altre dottrine si hanno se invece si considera l’una o
l’altra delle due serie como funzione variabile indipendente o dipendente dell’
altra. Se la funzione indipendente è la fisica, la dottrina dicesi materialismo
psico-fisico, di cui i principali rappresentanti sono lo Ziehen e il Mach, ©
cui fanno anche adesione molti psico-fisiologi francesi e italiani. Si
distingue dal vecchio materialismo in quanto, a differenza di esso, ammette la
irreducibilità del fenomeno psichico al fenomeno fisico, nonostante la
dipendenza. In questi ultimi tempi molte e gravi critiche furono rivolte contro
il parallelismo, specie " da parto delle nuove scuole idealistiche. Uno
dei più importanti argomenti portati contro di esso è la discontinuità della
vita psichica e l'impossibilità di abbracciare causalmente il passaggio da
percezione a percezione, anche con la più larga applicazione delle
rappresentazioni inconsoie. Cfr. Fechner, Über die Seelenfrage, 1861, pag. 210; Id.,
ZendAvesta, 1. II, cap. XIX; Malebranche, De la rech. de la vérité, 1712, 4.
II, 5; Leibnitz, Theoria motus abetracti, 1671, IV, 230; Spinoza, Ethica, 1.
II, teor. VI, VII; Wundt, Grundries der Psychologie, 1896, p. 373 segg.; F.
Jodl, Lehrbuch d. Paychol., 1896, p. 57 segg.; Höffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 63-90; Bergson, Le
parallélisme prychophysique et la métaphysique positive, « Bulletin de In Soc.
frangaise de philos. », giugno 1911; Villa, La psicologia contemporanea, 1899;
C. Guastella, Filosofia della metafisica, 1905, t. II, p. 360 segg.; L. Chiesa,
Il parallelismo prico-fisico 9 de sue interpretazioni nelle diverse scuole
filosofiche, « Riv. stor. crit. scienze teolog. », 1908, p. 25-56; Eisler, Der
prycho-physioche Paralleliemus, 1894 (v. anima, dualismo, materialismo,
moniemo, spiritualiemo, psicologia, funzione, infuso fisico, ecc.). 819 Par
Paralogismo. T. Paralogismus; I. Paralogiem; F. Paralogisme. Ragionamento
scorretto, cho si usa talvolta como sinonimo di sofiema, ma che in realtà se ne
distingue perchè, mentre il sofisma consiste in un ragionamento falso a cui si
cerca dare l’ apparenza del vero, e di far accettare come tale, il paralogismo
è invece un errore involontario, che deriva da ignoranza, da difetto di
riflessione o di raziocinio, o semplicemente da distrazione. Questa distinzione
non esisteva in greco, dove παραλογισμός e παραλσγίζεσθαι sono usati spesso in
senso cattivo. Il Masci ritiene invece che la distinzione poteva avere
importanza pei Greci, presso i quali fiorì I’ arte del falso ragionamento
(Sofistica), ma non ne ha alcnna dal punto di vista logico; perciò egli adopera
la parola sofisma per indicare il genere, la parola paralogismo per indicare
quella specie di sofismi che dipendono non dalla falsità materiale dello
premesse, ma dal cangiamento del significato ο del valore dei termini nel
procedere da essi all’illazione. Kant, in quella parte della Critica della
ragion pura che tratta della Dialettica trascendentale, chiamò paralogismo
trascendentale quello per cui la psicologia razionale, dall'unità
dell’io-soggetto considerato come uno rispetto alla molteplicità dei propri
oggetti, conclude alla unità, considerata come reale ed assoluta, del1’
io-sostanza. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 365 n; Kant, Κι. d. reinen Vern., A
341-405, B 399-427 (v. dottrina). Paramnesia. T..Paramnesia; I. Paramnesia ; F.
Paramnesie. Anomalia della memoria, in cui 1’ ignoto appare noto e si riconosce
come già veduto ο sentito ciò che in realtà si vede e si sperimenta per la
prima volta. Consiste dunque in un falso riconoscimento ed è l'opposto dell’
oblio, in cui il noto appare ignoto. Essa può verificarsi tanto nello stato
anormale che nel normale: negli alienati, infatti, accade spesso che per
settimano, per mesi ed anche per anni persistono sempre nell’ idea di trovarsi
in circostanze nelle quali per l’addietro s'erano già trovati, e di Par 820 essere anzi in istato di poter predire ciò che
dovrà accadere. Ma anche nella vita normale, specie nella gioventù, avviene
spesso che in qualche congiuntura ci si imponga improvvisamente l’idea di
esserci già trovati nelle identiche circostanze, e a questa idea e’accompagni
il presentimento oscuro di ciò che forse accadrà. Codesti fenomeni furono
spiegati in vari modi: o che si confonda il simile con l’identico; o che si
ridesti una imagine da noi ricevuta durante uno stato di subcoscienza o di
incoscienza, la quale quindi non produsse in quel momento che una modificazione
fisiologica, o che l’imagine stessa si sia avuta nel sogno. Cfr. Ribot,
Maladies de la mémoire, 1885, p. 149153; Revue philosophique, serie di articoli
nel 1898, 1894 ; E. Bernard-Leroy, L’illusion de fausse reconnaissance, 1898;
G. Pontiggia, Ricerche intorno al fenomeno della paramnesia, 1899; G.
Fanciulli, Intorno al falso riconoscimento, in « Cultura filosofica », 1907 (v.
amnesia, incosciente, memoria, riconoscimento). Paranoia. T. Paranoia; I.
Paranoia; F. Paranoia. Termine creato dal Vogel (1772) e ripreso dal Kahlbaum
(1863), per denominare una forma di monomania affettante specialmente
l'intelligenza. Oggi, in grazia specialmente del Kraepelin, per paranoia
s'intende una psicosi costituzionale degenerativa, caratterizzata dal sorgere
lento e graduale di un sistema di idee deliranti e durature, senza passaggio a
demenza. Da essa si distinguono gli stati paranoidi, costituiti da deliri
simili ai precedenti ma accompagnati da allucinazioni e terminanti in demenza.
Sotto il nome generico di paranoia si comprendono dagli psichiatri numerose
forme di alienazione mentale, come la paranoia originaria, rudimentaria,
primaria e secondaria, cronica, erotica, religiosa, alcoolica, semplice,
allucinatoria, persecutoria, senile, ecc. Le idee deliranti del paranoico hanno
generalmente origine da fatti veri, da osservazioni reali, falsamente
interpretate e combinate dall’ ammalato. Cfr. Wer 821 Par ner, Die Paranoia, 1891; Kraft-Ebbing,
Lehrbuoh der Paychiatrie, 1879; Ziehen, Peyohiatrie, 1894, p. 341 segg.; Morselli
e Buocola, Paszia sistematiszata, 1883; Tanzi e Riva, Paranoia, 1884; Amadei e
Tonnini, La paranoia e le sue forme, « Archivio it. per le malattie nervose »,
1884. Parassitismo. Il significato di questa parola, alla quale alcuni
preferiscono l’espressione di simbiosi antagonistica, non è ancora ben
precisato nelle scienze biologiche. In generale, il fenomeno del parassitismo
può considerarsi come una specie di associazione forzata, vantaggiosa per uno
solo dei componenti, il paraesita, dannosa per l’altro, cioò l'ospite, alle
spese del quale il parassita vive, senza però determinarne la morte immediata.
Alcuni animali sono parassiti soltanto in qualche stadio della loro vita, altri
invece per tutta la vita; in questi ultimi si osserva sempre un degradamento
dell’ organismo in confronto degli animali liberi, appartenenti ai medesimi
gruppi. I parassiti che vono sulla superficie dell’ ospite diconsi
ectoparassiti, quelli che vivono nel sup interno endoparassiti. Cfr. Espinas,
Les societés animales, 1878 (v. mutualiemo). Parestesia. Stato anormale della sensibilità
(rapà = anormalmente), da non confondersi colla paresia (paralisi parziale).
Quando la parestesia riguarda i sensi specifici, prende nomi diversi: se
riguarda l’odorato dicesi parosmia, se il tatto parafia, se l’udito paracusia,
se il gusto parageusia. Parlamentari (sofismi). Nome dato dal Bentham ad una
specie di sofismi, che sono usati spesso nelle discussioni parlamentari, per
far trionfare interessi di partito. Tali sono i soflemi d’ autorità, di
confusione, di pericolo e di dilazione. Cfr. Bentham, Essai sur la taotique des assomblées
legislatives, 1815. Parola
interiore. T. Innere Rede; I. Inner Speech; F. Parole intérieure. Espressione
divenuta comune dopo il libro di Vittorio Egger, che reca appunto questo
titolo. Essa indica il fatto generale del pensiero che si presenta alla coPar 822 scienza sotto forma d’imagini uditive, o
uditivo-motorie, formante parole o frasi che la parola esteriore ripete con più
o meno fedeltà. La parola interiore è in tal modo una fase intermedia tra la
parola sonora e il pensiero mnto, e scorre ora più ora meno veloce. Secondo
l'Egger essa è propria di tutti gli uomini normali, ed è continuativa in
ciascuno d’essi; ma molti psicologi contemporanei sono d’opposto avviso. Cfr. V. Egger, La parole
intérieure, 1881: Ballet, Le langage intérieur, cap. V, 1886; Baldwin, Internal
speech and song, « Philos. Review », luglio 1893; G. SaintPaul, Le langage
intérieur et les paraphasies, 1904; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438
segg. (v. endofasia). Parsimonia
(legge di). T. Prinzip der Sparsamkeit; I. Law of parsimony; F. Loi de
paroimonie. Detta anche legge @economia, ο del minimo sforzo, o dell'azione
minore. Essa si verifica tanto nel mondo inorganico, come nell’ organico ο nel
superorganico. Tutti i fini della natura si attuano infatti coi mezzi più
semplici, con quelli che esigono cioè la minore quantità sia di materia che d’
energia, e quindi di tempo. La sua prima formulazione, con valore epistemologico,
si fa risalire a questa formula di Occam: entia non sunt multiplicanda praeter
necessitatem. Galileo ne fece largo uso e l’espresse con queste parole: « La
natura non opera con molte cose quello che può operare con poche ». Tra gli
scienziati contemporanei, il Mach le dà un valore fondamentale: « La scienza
può essere considerata come un problema del minimum, che consiste nell’
esprimere i fatti nel modo più perfetto possibile col più piccolo dispendio di
pensiero ». Ugual valore le attribuisce anche l’Avenarius, che riduce tutto lo
sviluppo della conoscenza al principio della parsimonia o del minimo consumo
d’energia, così formuluto: l’anima non impiega in una percezione più forza di
quella che kia necessaria, e, quando si trova innanzi a una pluralità di
percezioni, dà la preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo
stesso effetto, 823 Par © con uno sforzo uguale produce un effetto
maggiore. Nella psicologia comparata la legge di parsimonia dicesi anche
principio del Morgan: secondo esso non si devono spiegare le reazioni di un
animale con una facoltà psichica superiore (ad es. intelligenza, ragione),
quando per giustificarle basta riferirle ad una capacita psichica meno elevata
nella gerarchia delle funzioni mentali. Cfr. Galileo, Opere, VII, 143;
Leibnitz, Discours de métaphysique, 1686, $ VI; Avenarius, Philosophie als
Denken der Welt gemäss dem Princip des kleinsten Kraftmaasses, 1903, p. 3
segg.; E. Mach, Die Mechanich, 3% ed., p. 480; L. Morgan, dn introduction to
comparatire psychology, 1884, p. 53; E. Claparède, Arch. de psychologie,
giugno, 1905 (v. empiriocritioismo, tpotesi, leggo). Partenogenesi (παρθένος =
vergine, γένερις = generazione), Fenomeno assai raro, che consiste nel
riprodursi di certi animali per uova non fecondate, sia per accidente sia con
regolare periodicità. Certi artropodi, ad es., sono partenogenetici durante I’
estate, mentre nell’ autunno depongono uova fecondate. Cfr. Y. Delage, Structure du protoplasme,
Biol. gen.. 1895. Particolare. T. Partikulär, besonder; I. Particular; F.
Particulier. Ciò che conviene ad
alcuni individui o ad alcune cose. Si oppone a universale, che è ciò che
conviene senza eccezione a tutti gli individui o a tutte le persone. Si
distingue da individuale, che è ciò che appartiene ad un solo individuo, e da
speciale, che è ciò che appartiene ad una specie. Il giudizio particolare è
quello il cui soggetto è preso solo con una parte della sua estensione. Insieme
con I’ universale e con I’ individuale è contenuto sotto il rispetto della
quantità. Il suo valore muta a seconda che la parte di estensione in cui à preso
il soggetto è deterja (molti A sono B pochi À sono B) o indeterminata (alcuni 4 sono
B). Nel primo caso può essere un giudizio di limitazione, o di eccezione di un
giudizio universale (soltanto alcuni 4 sono B), oppure un giudizio induttivo
che prepara Par-Pas 824 un giudizio universale (almeno alouni 4 sono
B). Cfr. Eucken, Geschichte d. phil. Terminologie, 1879, p. 54; Masci, Logica,
1899, p. 175 segg. Parti-parziale. Nella dottrina di Hamilton sulla quantifleazione
del predicato, si dicono così quelle proposizioni in cui tento il soggetto come
il predicato sono presi in parte della loro estensione. Possono essere tanto
affermative es.: alcune figure equilatere sono (sleuni) triangoli -quanto
negative, ad es.: qualche triangolo non è (qualche) figura equilatera, Cfr.
Hamilton, Leotures on logio, 1860, Append. II, 283. Parti-totale. Nella
dottrina dell’ Hamilton sulla quantificazione del predicato, si dicono così
quelle proposizioni in cui il soggetto è preso in parte della sua estensione,
il predicato in tutta l'estensione. Possono essere tanto affermative es.:
alcune figure sono (tutti i) triangoli quanto negative, ad es.: qualche figura
equilatera non è (nessun) triangolo. Cfr. Hamilton, Lectures on logio, 1860, II, 283.
Parusia. Gr. παρεῖναί = essere presente; T.
Parusie ; I. Parousia; F. Parousie. Termine
usato da Platone per esprimere i rapporti tra I’ essere assoluto 0 essenza e il
mondo sensibile; esso sta in stretta relazione con la partecipazione ο metessi
(µάθεξις) © la coinonia (κοινωνία). Fu adoperato anche da Plotino per esprimere
le relazioni del‘Vanima col corpo: mediante la parusia l’ anima anima e pervade
il corpo senza confondersi con esso. Cfr. Platone, Polit., 509; Plotino,
Enneadi, VI, 4, 12. Pasigrafia. Lingua universale ed uniforme per tutte le
scienze, vagheggiata dal Leibnitz, che usava anche a tale riguardo l’
espressione di caratteristica unirersale © are combinatoria. In codesta lingua
scientifica ogni concetto doveva essere rappresentato da un simbolo grafico, ed
ogni flessione, relazione, particella da un segno. Cfr. Leibnitz, De arto
combinatoria, 1666, Nouveaux Essais, IV, cap. VI, $ 2. 825 Pas
io al limite, È un'applicazione particolare del metodo induttivo delle
rariazioni concominanti. Quando una lunga serie di esperienze intorno a
determinati fenomeni, che variano correlativamente in modo parallelo, ha
autorizzato a credere che tali variazioni non hanno limite, si può conchiudere
anche al di là dei limiti segnati dall esperienza. Così la legge d'inerzia si
considera come vera, quantunque I esperienza non ci dia esempio di nessun
movimento il quale, non incontrando alcun ostacolo, continui indefinitamente
nella stessa direzione e colla stessa velocità. Secondo il Mill si può
conchiudere col metodo del passaggio al limite solo quando si conoscono le
qualità assolute dei fenomeni che variano correlativamente, © si sappia che il
variare dell’ effetto dipende soltanto dal variare della causa. Cfr. J. Stuart Mill, À system
of logio, 1865, 1, ο. 8 segg. Passione. T. Leidenschaft, Affekt; 1. Passion; F.
Passion. Non è che una emozione divenuta irresistibile e persistente: ad es. la
panra non è che una emozione, l’ avarizia è una passione. Essa è costituita da
un’ idea predominante e da speciali movimenti organici. Così per Cartesio le
passioni si possono definire come « percezioni ο sentimenti o emozioni
dell’anima che si riferiscono particolarmente ad essa © che sono prodotte e
conservate e rafforzate da qualche movimento degli spiriti animali ». «
L'impressione che viene chiamata stato passivo dell’anima, dico Spinoza, è un’
idea confusa per la quale l’anima afferma la forza di esistere, vale a dire la
potenza di agire, maggiore o mirlore di prima, del proprio corpo o di una delle
sue parti, e che essendo data, determina l'anima a pensare una speciale cosa
piuttosto che un’altra ». Condillac la definisco un desir qui no permet pas d'en
avoir d'autres, ou qui du moine est le plus dominant. Helvetius: les passions sont dane la moral ce qui dans
lo physique est lo mouvement, Kant: « le passioni appartengonoalla facoltà del
desiderare (Begehrungerermigen) Pas 826 e sono delle tendenze che rendono difficile ο
impossibile ogni determinazione della volontà modiante principi ». Höffding:
«la passione, al contrario dell’ emozione, è il movimento affettivo radicatosi
mediante I’ abitudino e divenuto una seconda natura ». Malapert e Ribot: « la passion est
une inolination qui e'ezagère, surtout qui s'installe à demeure. se fait centre
de tout, se subordonne lee autres inclinations et les entraine à sa suite». Il sorgere della passione può essere
determinato sis da cause esterne, come l’ ambiente, limitazione, la
suggestione, sia da cause interne, che si riducono a una sola: il temperamento
e il carattere degli individui (passionali). Essendo esagerazioni di tendenze
elementari, tutte le pnssioni si possono teoricamente ricondurre, secondo il
Ribot, a queste tre tendenze: 1° tendenze che hanno per fine la conservazione
dell’ individuo, ad es. la gola, l’alcoolismo; 2° tendenze che si riferiscono
alla conservazione della specie, ad es. l’amore, la gelosia; 3° tendenze che
contribuiscono all’ espandersi dell’ individuo, alla affermazione della sus
volontà di potenza, ad es. l'ambizione, l’avarizia, la vendetta, la passione
per le avventure. Le passioni possono estinguersi per esaurimento, sia lento
sia improvviso, per trasformazione, per sostituzione, per follia, per morte.
Nella storia della filosofia molte sono le dottrine metafisiche sulla passione:
ma lo studio veramente scientifico non è stato fatto che dai psicologi moderni.
Per Platone, le passioni sono la forza che solleva il sensibile e lo conforma
all’ intelligibile : vi sono le passioni inferiofi, dovute alla parte più bassa
dell’ anima, l'inidopla, collocata nel ventre; le passioni nobili ο caste,
costituenti la seconda parte dell’ anima, il θυμός, che occupa il cuore; infine
il νοῦς, impassibile, che occupa il capo; la virtù consiste non nel distraggere
le passioni, che sono indistruttibili, ma nel rispettare l'armonia essenziale
delPanima, nel mantenere l'autorità del voie sul θυμός ο sulla ἐπιθυμία. Nella
sua parte essenziale la dottrina pla 827 Pas tonica è condivisa da Aristotele, mentre
invece sia gli stoici che gli epicurei negano, per vie diverse, che lo passioni
partecipino della essenza dell’ anima, considerandole come semplici turbamenti
accidentali: divengono quindi possibili nella pratica la felicità e
l’atarassia, ciod l’assenza d’ ogni turbamento, che soltanto 1’ esercizio dell’
intelligenza può procurare, 8. Tommaso, attenendosi alla dottrina aristotelica,
fa sorgere le passioni dall’ appetito, che è la facoltà dell’ anima per la
quale essa è portata verso gli oggetti esteriori come suoi propri fini; perciò
tutte le passioni si riconducono infine ad una sola, l’amore: « L'amore è
naturalmente il primo passo della volontà e dell’ appetito, conicchè da esso
hanno origine tutti gli altri atti della passione. Ognuno desidera il bene che
ama, gode di esso € si rallegra; il contrario della cosa amata produce I’ odio.
Lo stesso può dirsi della malinconia e delle altre pa tutto partono dall’amore
« possono in esso confondersi e riunirsi ». Bossuet, riepilogando più tardi la
dottrina di 8. Tommaso, dirà: « Sopprimete l’amore e tutte lo passioni
spariranno, rimettetelo al suo posto ed eccole apparire tutte di nuovo ». Nella
filosofia di Cartesio la passione ha un significato peculiare; essa è una
emozione dell’ anima originata dagli spiriti animali, © non nasce dagli oggetti
esterni ma dalla loro valutazione: « noi riferiamo all’ anima i movimenti del
nostro corpo, ma a codesto riferimento va unito il sentimento che questi moti
dell’ anima non sono voluti, ma subìti, ed è così che si forma l'idea della
passione. » Cartesio pone come c6mpito dell’ Etica il liberarsi delle passioni,
che contraddicono alle esigenze dello spirito. Tuttavia egli considera tutte le
passioni come date da natura, e tutte buone; per tal modo si contrappone per
primo al concetto ascetico e teologico, che tutte le passioni condannava come
nocive, e prepara la dottrina spinoziana e moderna sulla utilità delle passioni.
Ogni essere, secondo Spinoza, ha una tendenza n Pas 828 perseverare nel proprio stato; questa
tendenza, divenuta cosciente, dicesi oupidità, alla quale si associano due passioni,
© ciod la letizia per tutto ciò che è favorevole alla nostra esistenza, la
tristezza per tutto ciò che tendo a diminuirla. Non diversamente nella scienza
moderna è inteso l'ufficio biologico dell’ affettività in generale, ο quindi anche
della passione. La quale per di più ha il cémpito di fornire l’ eccitazione per
il funzionamento delle varie serie psichiche, così negli uomini come negli
animali ; e, quando non sia smoderata © patologica, di conferire energia © costanza
alla volontà, acutezza alla intelligenza, forza al compimento degli ideali
generosi. « Nulla di grande è mai stato compiuto nò potrà mai compiersi, dice
Hegel, senza la passione. È una moralità morta e persino troppo spesso una
moralità ipocrita quella che « eleva contro la passione per il solo fatto che è
passione ». Uguale valore attribuisce alle passioni il Galluppi, che le
considera come desideri violenti, riconducendole tutte a due fondamentali : |’
amore e V odio, di cui le varie passioni non sono che modifica zioni,
determinate da giudizi diversi sull’ esistenza dell’oggetto amato ο dell’
oggetto odiato; quando l’amore per l'oggetto della propria passione è maggiore
dell’ amor natarale della propria personalità, si hanno le passioni forti,
senza le quali nulla vi sarebbe di grande e di sublime nelle imprese degli
uomini. Per il Rosmini le passioni sono afSezioni che lasciano nell’ anima un’
abituale inclinazione a riprodursi ; a lor volta le affezioni sono
modificazioni generali dell’ anima, prodotte in questa dall’ associazione di
più sentimenti; nel? uomo si dànno passioni razionali e passioni animali: le
prime l’uomo ha in comune coi bruti, quantunque ne differisoano sia perchè si
associa }’ intelligenza a modificarle, sia perchè possono esser mosse da una _
causa razionale; le seconde sono proprie esclusivamente dell’uomo ed hanno per
unica causa l'intelligenza, quali la meraviglia, lo stupore, l'estasi, eco. Cfr. Platone, Polit., 829 IX;
Aristotele, Do An., I, 3, 407 b, II, 5, 417 segg.; 8. Tommaso, Summa theol., I,
qu. XX, art. 1; Cartesio, Des passions, 1649; Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. II, 1. V, teor.
III, VI, XVII, XX; Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. III, $ 3;
Helvetius, 1758, III, 4; L. Limentani, Le teorie psicologiohe di Helvetius,
1904, p. 33 segg.; Kant, Ærit. der Urteilskraft, 1878, p. 121 n; Héftding, Psychologie,
trad. franc. 1900, p. 376 segg.; P. Malapert, Les éléments du caractére, 1898,
p. 229; Hegel, Phänomen. des Geistes, 1832, consid. sul $ 474; Ribot, Essai sur
les passions, 1907 ; Boigey, Introd. à la medicine des passions, 1914; W.
James, Principi di psicologia, trad. it. 1909, ο. xxv; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854,
vol. II; Rosmini, Psioologia,
1848, vol. IT, p. 165 segg.; Ardigò, Opere fil., III, 84 segg., VI, 364 segg.;
A. Renda, Le passioni, 1905 (v. affettivi, emozione, sentimento,
sentimentalismo, intellettualiemo). Passività. T. Passivität; I. Passiveness;
F. Passivite. Opposto ad attività, designa lo stato dell’ essere che ricove V
azione, ossia le modificazioni prodotte in un essere da un altro essere che
agisce su lui. Il concetto di attività © passività sarebbe, secondo alcuni,
puramente psicologico, e quindi non applicabile alla realtà naturale. « Tra il
dare e il ricevere, tra l’attività ο la passività, dice il Jodl, non esiste
nella coscienza alcuna separazione (Trennung), ma soltanto una opposizione
(Gegensatz) logica e concettuale ». L'uomo avverte in sò stesso delle
sensazioni, che egli'riceve dalle cose, ο perciò sotto tal riguardo considera
sè come passivo e le cose come attive; nello stesso tempo avverte la propria
azione sulle cose, che rimangono da lui modificate, e sotto questo riguardo
considera sò come attivo e le cose come passive. Proiettando al di fuori questi
due concetti, l’uomo attribuisce alle relazioni delle cose tra loro le forme di
attività e passività che ritrova in sè stesso. Ciò è, secondo alcuni filosofi,
illegittimo, anzitutto perchè la sensibilità non è recettira ma attiva, in
quanto PAT 830 il fatto esterno rimane esterno, e quindi il
soggetto ha soltanto stati propri; in secondo luogo perchè la concezione della
realtà non può modellarsi sopra un fatto assolutamente psicologico. La realtà
naturale in quanto è divenire, în quanto è unità © continuità, esclude in sd
ogni sostanziale contrapposizione. Nella
teologia la passività designa non già uno stato di dolore opposto al piacere,
nè uno stato di inerzia o indolenza, ma bensì lo stato contemplativo dell’anima
sottomessa all’azione di Dio. L'anima si trova allo stato passivo quando Dio
agisce sopra le sue potenze -pensiero, sentimento, volontà le quali non fanno
che patire, ricevere V opera divina. Cfr. F. Jodl, Lehrbuch der Psychologie,
1896, p. 105; Marchesini, Il simbolismo nella conoscenza e nella morale, 1901,
p. 295 segg. (v. attività, azione, patire). Patarini Setta di novatori
cristiani, fiorita in Lombardia © così denominata dal luogo ove si radunavano
in Milano. Essi combattevano il matrimonio del clero, il lusso degli alti gradi
ecclesiastici, e predicavano il disprezzo delle ricchezze e della gloria
mondana. Non è improbabile, a giudizio del Tocco, che ad essi si sia moscolata
la setta eretica dei Catari, allofa molto diffusa in Lombardia. Cfr. F. Tocco,
Le eresie nel medioero, 1884. Patire. T. Leiden; 1. To be passive; F. Patir.
Ricevere un'azione. In Aristotele è una categoria (πάσχειν), che si assimila a
quella dell’ agiré (roteiv), in quanto sono fra loro nello stesso rapporto del
movente ο del mosso: il mosso è anche il movente, il secante è il secato. Come
termine d'una relazione sono distinti; ma la relasione è un’ unica categoria. Cfr. Aristotele, Top., I, 9;
Id., Metaph., IV, 28, 1024 b, 9, VIII, 1, 1045, ecc. (v. passione, azione). Patologia.
T. Pathologie; I. Pathology; F. Pathologie. La scienza che ha per oggetto la conoscenza delle
malattie. Si divide în generale e speciale; quest’ultima in interna 831 Par
ed esterna. Nella patologia speciale, Specht o Münsterberg hanno distinto la
patopsicologia, che studia i fatti psichici presentanti un carattere morboso, e
la psicopatologia che è propriamente quel ramo della patologia che studia le
malattie dello spirito. La patologia non divenne vera scienza che nel secolo
scorso, quanto cioè la malattia non venne più considerata come un ente
speciale, ma come un fenomeno naturale, sottomesso alle leggi di natura. A tale
risultato contribuirono specialmente gli studi sulla patologia cellulare del
Virchow, che trasportò per primo la teoria cellulare dall’organismo sano a
quello malato, dimostrando come la cansa delle malattie risiede nell’ alterazione,
più ο meno vasta, dei varii territori cellulari. Cfr. Münsterberg, Zeitschrift für
Pathopayohologie, 1° vol., 1911; G. Storring, Mental pathology, 1907; Lustig,
Patologia generale, 1901, vol. I,
p. 9 segg. Patristica. T. Patristik; I. Patristic; F. Philosophie patristique.
E il primo dei due grandi periodi in cui dividesi la filosofia del medio evo, e
comprende i primi otto secoli dell'era volgare; il secondo è rappresentato
dalla scolastica. La patristica si distacca profondamente dalla filosofia
precedente, e, in generale, da tutta la filosofia antica, in quanto vi prevale
la fede sulla ragione, ogni sforzo è ridotto alla elaborazione del dogma, e la
filosofia ha perduto il suo potere sovrano, non vi è più considerata che
un’umile ancella della religione. Si divide in tre periodi: al primo, detto
degli apologeti, appartengono principalmente 8. Giustino, Atenagora ο ‘Teofilo,
che dirigono ogni loro sforzo a difendere la dottrina cristiana contro la
filosofia e la religione pagana; il secondo, detto dei oontroversisti, è
principalmente occupato a difendere la religione cristiana contro gli assalti
della gnosi e delle ultre eresio; nel terzo periodo, detto dei sistematici, la
dottrina cristiana, che aveva vittoriosamente combattuto lo dottrine avverse, è
ridotta a sistema filosofico. QuePau 832
st’ ultimo periodo, che è il più
importante, si svolge da prima in Alessandria con Panteno e Clemente
Alessandrino, ed ha per cémpito principale di definire il dogma della Trinità;
passa di poi in Occidente, ove 8. Agostino, l’intelletto più robusto della
Chiesa occidentale, costituisce il sistema completo e definitivo della
filosofia cristiana. La patristica non
deve confondersi con la patrologis. La parola patrologia cominciò ad usarsi nel
secolo XVII, ο servì allora a designare la scienza della vita © degli scritti
dei Padri della Chiesa; poi il suo significato andò sempre più allargandosi, ed
oggi essa si occupa di tutti gli scrittori ecclesiastici, ne analizza gli
scritti con particolare riguardo alle loro opinioni dogmatiche, cosicchè può
dirai non esser altro che la storia dell’ antica letteratura oristiana. Nella
patrologia i protestanti comprendono anche i libri del Nuovo Testamento e
l'antica letteratura eretica; i cattolici invece lasciano i primi alla scienza
dell’introduzione biblica e non inoludono nella patrologia gli scritti eretici
se non in quanto è necessario alla intelligenza delle opere ecclesiastiche,
Cfr. Harnack, Lehrbuch d. Dogmengeschichte, 1890; Möhler, Patrologie, 1840;
Stökl, Geschichte d. Philos. d. patristischen Zeit, 1859; F. Chr. Baur,
Vorlesungen über die ohrist. Dogmengeschiohte, 1865; Ritter, Histoire de la
phil, chrétionne, 1843; Bardenhewer, Patrologia, trad. it. Mercati, 1903;
Rauschen, Manuale di patrologia, 1905; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo nella
filosofia religiosa, 1912, p. 125-192 (v. dommatica, domma, neotomismo,
scolastica). Paura. T. Furcht; I. Fear; F. Peur. Fu definita come la reazione
organica che succede alla rappresentazione viva di un pericolo reale o
possibile. Cicerone la definisce: reocssus ot fuga animi. S. Agostino:
perturbatio animi in exapeotatione mali. Hobbes: aversio cum opinione dammi
soouturi. Spinoza l’accosta alla speranza, che definisco una gioia instabile,
nata dall’ imagine d'una cosa futura ο passata, del cui realizzarsi noi
dubitiamo, mentre la paura è una fri 833 Pec atesza instabile, nata, del pari,
dall'imagine d'una cosa dubbia. Essa rappresenta la prima reazione emotiva
della vita, comparendo, secondo il Perez, al secondo mese di esistenza. Vi sono
due spocie fondamentali di paura: quella istintiva, che compare più spesso nei
bambini ο negli animali, e quella cosciente o riflessa, che è sempre posteriore
all’esperienza ο si fonds sopra il ricordo d’un pericolo ο d’un dolore provati
o evitati. Quando la paura è sproporzionata alla causa efficiente, cronica, 9
accompagnata da movimenti troppo intensi, diventa un fenomeno patologico e
dicesi fobia. Cfr. S. Agostino, De cir. Dei, Il; Spinoza, Ethica, 1. III, teor.
XVI, scol. 2;
Th. Ribot, Essai sur les passions, 1907; A. Mosso, La peur, trad. franc. 1888. Peccato. T. Sünde; I. Sin; F. Péché. Nel
suo senso generale ο primitivo, il peccato è il male morale; in senso
religioso, è la trasgressione volontaria della legge divina, © quindi l'offesa
alla divinità. Il dogma del peccato originale afferma che Dio creò l’uomo
morale, libero ϱ fallibile; che per un atto della sua libera volontà 1’ uomo
disobbedì al volere divino; che l’uomo, essendo libero, è responsabile delle
sue azioni, © che quindi la sua disobbedionza ha determinato il giusto castigo
di Dio; che, infine, 1a pena del fallo è ereditaria. Secondo l’Ardigò, il
concetto del peccato originale sorse come interpretazione dell’ esistenza del
dolore, considerato da principio quale vendetta d'una potenza superiore
inclemente e capricciosa, poi quale castigo inflitto da una divinità giusta: «
In pari tempo, per la osservazione che il dolore, ossia la punizione, si
verificava anche nei non colpevoli, si dovette, affine di liberare in qualche
modo il concetto religioso fondamentale dalla contraddizione, ricorrere allo
spediente, suggerito anch’ esso da una osservazione di fatto, del peccato originale».
Cfr. I. Müller, Christl. Lehre r. d. Sünde, δ3 ed. 1887; Ardigò, La morale doi
positieisti, 1892, p. 73-74 (v. male, ottimiemo, religione, teodicea). 58 RaNzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. PED 834 Pedagogia. T. Pädagogik; I. Podagogios; F.
Pédagogie. La scienza del fatto della educazione; vale a dire quel sistema di
cognizioni teoriche fra loro coordinate, da cui derivano le regole pratiche che
guidano 1’ educazione. Si deve dunque distinguere la scienza pedagogica, che è
un complesso di regole derivanti da principi, dall’arte pedugogica, che è la
semplice applicazione di norme suggerite dalla pratica ο tramandate per
tradizione, ο dalla dottrina pedagogica, che è un insieme di regole delle quali
non si spiegano le ragioni. La pedagogia nel sno primo significato è ad un
tempo scienza ed arte. Al pari di ogni altra scienza, essa è passata nella sua
evoluzione storica attraverso tre grandi periodi, empirico, precsttivo 9
organico ο ideale; nel primo periodo non è che una serie di tentativi,
governati dal bisogno; nel secondo un insieme di precetti, di aforiemi ο di
leggi parziali, dettate più che altro daluito pedagogico ; nel terzo, che è il
più perfetto, le cognizioni vengono logicamente organizzate in un tutto ideale.
La pedagogia è puro © grossolano empirismo nei popoli selvaggi © primitivi;
diventa precettiva nei popoli delY Oriente, della Grecia © di Roma, come
attestano le loro leggi, le loro letterature, i loro libri religiosi; si eleva
infine a vera organizzazione ideale coi grandi filosofi greci. Cfr. Herbart,
Pädagog. Schriften, her. O. Willman, 1880; Credaro, La pedagogia di F. Herbart,
1900; A. Angiulli, La pedagogia, 1882; A. Gabelli, La pedagogia, lo stato e la
famiglia, 1876; Ardigd, La scienza dell’ eduoasione, 1893; E. Celesia, Storia
della pedagogia italiana, 1893 (v. educazione, didattica, metodica, pedologia,
ccc.). Pedologia. T. Paidologio; I. Paidology; F. Pédologia. Vocabolo creato
dal Chrisman per designare In scienza completa del fanciullo, studiato così
sotto 1 aspetto fisiologico ed antropologico, come sotto quello psicologico e
psichiatrico. Essa quindi non sarebbe che una parte, per quanto fondamentale,
della Pedagogia. Per altri la Pedo 835 PEN logia designa invece la vera scienza
sperimentale della educazione, distinta nettamente dalla Pedagogia, che è
considerata come una speculazione puramente astratta e filosofica. Per altri
ancora la Pedologia non è che una parte della psicologia individuale: come
questa ricerca ed esamins le differenze che mostrano i singoli individui nelle
diverse funzioni psichiche, così In Pedologia non studia la vita psichica
generale dell’ infanzia, ma le differenze per mezzo delle quali un fanciullo si
distingue dagli altri, sia nelle funzioni inferiori psicofisiologiche e
sensoriali, sia nei processi superiori della memoria, del ragionamento, delV
emotività, eco. Cfr. O. Chrisman, Paidologio, Entwurf zu einer Wissenschaft des Kindes,
1894; E. Blum, La pédologie, Pidee, le mot, la chose, in « Année Paychologique
», 1899; Sur les divisione et la méthode de la pédologie, C. r. del Congrès de
phil. de Genève, 1904; G. Cesca, Pedagogia ο pedologia, « Riv. di fil. ο scienze aff. », sett. 1902. Pena. T. Strafe, Bestrafung; I. Punishment; F.
Peine, Punition. Ha tre significati distinti: in senso generale esprime
qualunque dolore, o qualunque male che cagiona dolore; in senso speciale indica
un mule che si soffre per causa propria, e comprende quindi tutte le pene dette
natwrali; in un senso ancora più speciale, indica la sanzione della legge,
ossia quel male che l’ autorità civile infligge ad un colpevole per causa del
suo delitto. Secondo la maggior parte dei criminalisti, la pena, intesa in
quest’ ultimo significato, ha origine dal sentimento della vendetta, che spinse
gli uomini primitivi a infliggere un male s chi aveva ad altri recato male, ©
che fu elevato all’ altezza di un diritto, ereditario, redimibile a piacere
dell’offeso ed esclusivo dell’ offeso stesso e dei suoi familiari. In seguito,
penetrata l’idea religiosa nella penalità, al concetto della vendetta privata
venne sostituendosi quello della vendetta divina, e il diritto di infliggere ©
misurare la pena affidato al sacerdozio. Sorta infine l’idea dello Stato, a
questo fu PEN 836 affidato l’ufficio di punire, riguardandosi il
delitto non più come offesa al privato o alla divinità, ma come offesa alla
società intera, e quindi la pena come vendetta della società offesa. Quanto al
fondamento e allo scopo della pena, molto diverse sono le dottrine dei filosofi
; però, secondo una classificazione generalmente accettata, tutte codeste
dottrine si possono distribuire in tre gruppi. Al primo appartengono le
dottrine assolute, che pongono lo scopo della pena unicamente nel principio
morale e quindi non al di là della pena stessa; si punisce quia peoatum est,
perchè la pena è giusta in sd; un simile concetto fu sostenuto in Italia dal
Mamiani, ed elaborato ulteriormente nell’ idea della retribuzione giuridica dal
Pessina. Al secondo appartengono le dottrine relative, che dànno tutte alla
pena uno scopo fuori della pena stessa, ma differiscono grandemente tra di loro
nella determinazione dello scopo stesso. Così, secondo la teoria del contratto
sociale (Hobbes, Rousseau, Beccaria, Fichte), scopo della pena è l'utilità: «
La sola necessità, dice il Beccaria, ha fatto nascere dall’ urto delle passioni
ο dalle opposizioni degli interessi l’ idea della utiUtd comune, che è la base
della giustizia umana... Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere
un essere sensibile nd di disfare un delitto già commesso... ma d’ impedire il
reo dal far nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere gli altri dal farne
uguali ». Secondo un’altra dottrina relativa, la pena ha per scopo tenere i
proclivi al reato; essa esercita, dice il Fenerbach, una cazione pricologioa,
ed è perciò necessario che il male della pena superi il vantaggio o il piacere
proveniente dal delitto. Analoghe alla precedente sono le teorie dette della
premonisione (la legge deve ammonire a non delinquere), della prevensione (la
legge deve distruggere la volontà inclinata al delitto), del risarcimento (il
colpevole deve risarcire, con 1’ espiazione della pena, i danni morali o ideali
prodotti col reato), del ravvedimento ο miglioramento (scopo 837 PEN
della pena è specialmente di far ravvedere il colpevole ο @ impedire quindi la
ricaduta nel delitto), e della difesa. Quest’ ultima dottrina ebbe un valido
sostenitore nel Romagnosi, per il quale il diritto penale non è che diritto di
difesa, ed ha il fondamento nel diritto che hanno tatti gli uomini di
conservare la loro felicità e nell’ uguaglianza legale naturale, che passa fra
uomo'e uomo; I’ uno e Paltro diritto sono posti in moto dalla considerazione di
un male derivante dsl facinoroso; fine immediato e proprio d’ogni pena, tanto
minacciata quanto eseguita, è d’incutere timore affinchè non si commettano
delitti. Al terzo ed ultimo gruppo appartengono le dottrine miste, che cercano
di conciliare le assolute e le relative, dando alla pena un fondamento nel
principio morale e uno nella dottrina sociale. Così secondo il Carrara, il
diritto di punire riposa su tre principi, dell’ utilità, della giustizia, della
simpatia, compresi tutti nella legge dell’ ordine prestabilita da Dio
all'umanità; il fondamento è nella necessità di difendere i diritti dell’uomo,
la giustizia è il limite, la simpatia il moderatore della sua forma; la forza
tutelatrice del diritto deve esercitarsi mediante la coazione morale, che
legittima la minaccia della pena; © poichè tale minaccia non raggiungerebbe il
suo scopo se non ne seguisse Vapplicuzione, così la necessità e la legittimità
della minaccia portano seco la necessità ¢ la legittimità dell’ applicazione
effettiva del castigo; non sono perciò punibili se non quei fatti, che abbiano
il doppio carattere di essere lesivi del diritto e siano riparabili mediante la
repressione. Secondo la nuova souola criminale positiva (Lombroso, Ferri,
Garofalo), essendo il delitto un prodotto di fattori antropologici, fisici e
sociali, la pena non ha carattere di colpa morale, di retribuzione morale, di
castigo; la scelta ο la misura della pena devono esser fatte in rapporto allo
speciale carattere del delinquente e alle peculiari condizioni dell’ ambiente;
lo Stato, adottato il magistero repressivo, deve agire in PEN 838 via
preventiva per eliminare o modificare e diminnire i fattori della delinquenza
(igiene sociale). Quanto allo scopo della pens, la scuola positiva accoglie il
concetto, proprio di altre scuole, della difesa sociale: la società è un organismo
che, come tale, deve vivere e conservarsi, respingendo e, ove è possibile,
prevenendo ogni lesione; si applicano le pene perchè i delinquenti siano posti,
temporaneamente ο perpetuamente, nell’ impossibilità di nuocere, per ottenerne
l’ ammenda, per trattenere altri dal delitto. Cfr. Beccaria, Dei delitti ο
delle pone, 1764; Romagnosi, Genesi del diritto penale, 1837; Carrara,
Programma di dir. oriminale, Parte generale, 1871; Feuerbach, Lehrbuch d. gem.
in Deutschland gült. peinlichen Rechte, 1874; H. Sidgwick, The elemente of
politics, 1897; Jhering, Der Zweok im Recht, 1899; Letournean, L'érolution
juridique, 1891; R. Saleilles, L'individuation de la peine, 1898; G. Tarde, La
philosophie pénale, 1890; Lombroso, L’ womo delinquente, 1896; Garofalo,
Criminologia, 1905; Ferri, La sootol. criminale, 1892: Antonini, Antropologia
criminale, 1906; Frassati, La nuora souola del diritto penale in Italia ο
all'estero, 1891; Aless. Levi, Delitto ¢ pena nel pensiero dei greci, 1903; C.
Picone Chiodo, I nuori orizzonti della soc. criminale, 1914 (v. delitto, libero
arbitrio, responsabilità). Pensiero. T. Gedanke, Denken ; I. Thought; F.
Pensée. In senso largo comprende tutti i fenomeni conoscitivi © intellettivi,
per opposizione a quelli affettivi ο volitivi. Nel suo significato proprio è
l’attività dello spirito che analizza e pono tra loro in relazione i dati
complessi della esperienza sia reale che possibile. AI pensiero è dunque da
riferire ogni maniera di conoscenza mediata, che si ottiene cioè mediante il
paragone e il riferimento cosciente de’ suoi termini; si oppone quindi alla
sensazione, alla quale si riferisce ogni maniera di conoscenza immediata. I
dati della esperienza sensibile costituiscono ciò che si dice In materia del
pensiero, mentre il modo della comprensione dei dati 839 PEN
stessi ne costituiscono la forma. Quando il pensiero è opposto all’ asione,
designa in genere l’attività ideale o psichica per opposizione alla volontaria;
quando è opposto alla realtà, alla cosa, designa il soggetto conoscente come
contrapposto all’oggetto conosciuto. Nel linguaggio di Cartesio © de’ suoi
seguaci, nel termine pensiero sono compresi tutti i fatti psichici; come
l'attributo o proprietà fondamentale dei corpi è l'estensione, cos) l’attributo
dello spirito è il pensiero, ο quindi tutti gli atti interni non sono che modi
del pensiero. « Tutti i modi di pensare che osserviamo in noi stessi, dice
Cartesio, possono essere riportati a due generali, l'uno dei quali consiste nel
percepire con l'intelletto, l’altro nel determinarsi con la volontà ». Così
sentire, imaginare e persino concepire delle cose puramente intelligibili, non
sono che modi differenti di percepire; ma desiderare, sentire avversione,
aaserire, negare, dubitare, sono modi differenti di volere. In seguito il
significato del vocabolo andò sempre più restringendosi e determinandosi.
Secondo Hobbes « ogni pensiero consiste in un combinare e separare, aggiungere
© togliere di rappresentazioni mentali; pensare è calcolare (to reokon) ». Per
Hume è « la facoltà di combinare, trasporre, aumentare o diminuire il materiale
fornito dai sensi ο dalla esperienza; tutti i materiali del pensiero ci sono
dati dall’ esperienza interna ο esterna, solo la loro combinazione è opera
dell’intelligensa ο del volere ». Per l’Holbach è la facoltà che ha l’uomo @appercevoir en
lui-même ou de sentir les difforentes modifications ον idées qu'il a rogues, do les combiner et de les δέparer, de les éteindre et de les restreindre, de les
comparer, de les renouveler. Kant
considera il pensiero come giudizio, come conoscenza mediante concetti, come
l’azione di riferire una data intuizione ad un oggetto (die Handlung, gegebene
Anschauung auf einem Gegenstand zu beziehen). Lotze considera il pensiero come
« una continua critica che lo spirito esercita sul materiale delle
rappresentazioni succedentisi PEN 840 (Vorstellungeverlauf), in quanto esso separa
le rappresentazioni, e le collega secondo un rapporto non collocato nella
natura del loro contenuto ». L’ Hamilton crede che Js peculiarità distintiva
del pensiero in generale sia che esso involge la cognizione d’ uns cosa
mediante la cognizione di un’altra; ogni pensiero è quindi una cognizione
mediata ». Per il Galluppi, come per Cartesio, col termine pensiero si indica
qualunque atto © qualunque modificazione dell’ anima umana, modificazione che
consiste nel sentire, nel conoscere, nel desiderare © nel volere; l’ attenzione
sul proprio pensiero costituisce la riflessione. Secondo il Rosmini il pensiero
è l'insieme degli atti delle facoltà intellettive, vale a dire dell'intelletto,
costituito dall’intuizione dell’ essere, ο della ragione, che è la potenza
generale d’ applicare l’essere; In legge suprema del pensiero è quindi: il
termine del pensiero à l'ente; il che equivale a dire « il pensiero è così
fatto che ha per leggo primitiva di sua natura di avere a termine l’ente, di
modo che o ha Vente a suo termine ovvero non è; l’ente considerato sotto questo
aspetto è dunque la condizione a cui è legata l’esistenza del pensiero ».
Secondo 1’ Ebbinghaus il pensiero si può considerare come un termine di mezzo
tra la fuga delle idee ϱ le idee fisse, © consiste « in una successione di
rappresentazioni, che non sono soltanto riunite per associazione le une alle
altre in elementi di una serie, ma che nel tempo stesso sono auche coordinate ο
subordinate ad un’altra rappresentazione direttrice; quindi esse hanno tutte
dei rapporti con una rappresentazione superiore, per il fatto stesso che vi
figurano come parti di un tutto ». Drobisch lo definisce brevemente come « il
compondio d’una pluralità e molteplicità in una unità >; il Wundt come un
appercepire attivo, come-« ogni rappresentare possedente un valore logico »;
l'Hüffding: « se noi cerchiamo una definizione generale del pensiero possiamo
dire: pensare è comparare, è trovaro della diversità o della 841 PER
somiglianza ». Cfr. Cartesio, Princ. phil., I, 9; Spinoza, Ethica, 1. II, teor.
I; Hume,
Essais, II, 27'segg.; Holbach, Syst. de la Nature, 1770, I, cap. VIII, p. 112; Kant, Krit. d. r. Vern., ed.
Kehrbach, p. 88, 89, 229; Lotze, Grundzüge d. Logik, 1891, p. 6, 552; Hamilton,
Lectures on Logis, 1860, t. II, p. 75; Drobisch, Neue Darstellung d. Logik,
1887, $ 4; Galluppi, Lesioni di logica 6 metafisica, 1854, vol. I, p. 18;
Rosmini, Logica, 1853, $ 36 segg., 64 segg.; Id., Peiovlogia, 1848, II, p. 272
segg.; Ebbinghaus, Paychologie, trad. franc. 1912, p. 199 segg.; Liepmann, Sur
la fuite d’idées, 1904; J. Dewoy, How we think, 1912; M. Stern, Das Denken w.
sein Gegenstand, 1909; Wnndt, Logik, 1898, I, 71; Hôffding, Peyokologie, trad.
franc. 1900,
p. 232; Id., La pensée humaine, ses formes et sea problèmes, trad. franc. 1911; A. Fouillée, La pensée et les nouvelles
éooles anti-intelleotwalistes, 1911; A. Faggi, Il pensiero, « Riv. di filosofia
», maggio 1912 (v. essenza, intelletto, intelligenza, noo, logos, ragione).
Percetto. T. Empirische Anschauung; I. Percept; F. Percept. Neologismo usato
talvolta, per analogia con concetto, per designare il contenuto della
percezione. Si stingue dalla percezione, in quanto questa designa 1’ atto © il
processo del percepire, mentre quello è il risultato del processo medesimo. Il
Romanes chiama percetto l’idea semplice, recetto l’idea composta o combinazione
di rappresentazioni, concetto l’idea generale ο astratta; i recetti derivano
dai percetti più o meno simili, e la loro associazione ha carattere passivo; le
somiglianze tra i percetti sono così distinte, così cospicue © così frequentenente
ripetute che, nel momento stesso della percezione, si classificano tra di loro
e, per così dire, cadono spontaneamente nelle loro appropriate classi, senza
uno sforzo cosciente da parte del soggetto che percepisce. Cfr. Romanes,
L'eroluzione mentale dell’ uomo, trad. italiana 1907, Ρ. 33 segg. PER
Percezione. T. Warknemung, Perception ; I. Peroeption ; F. Peroeption: Uno dei
vocaboli filosofici dal significato più vario ed oscillante. Spesso è usata
come sinonimo di sensazione, per designare il fenomeno psicologico provocato
dalla eccitazione d’un organo di senso; altre volte è distinta dalla sensazione
per il giudizio d’obbiettività che essa implica, in quanto cio’, mentre la
sensazione non è riferita ad un oggetto determinante, la percezione invece è
una sensazione integrata dall’ esplicito riferimento del soggetto all’ oggetto;
e vien distinta ancora dalla sensazione perchè, mentre in questa il fatto
psichico provocato dalla eccitazione di un organo di senso ha carattere
puramente afettivo, nella percezione ha carattere intellettuale. E usata ancora
come sinonimo di rappresentazione; ma da altri ne è distinta perch’, mentre la
rappresentazione è un fatto mentale, che si rinnova nell’ assenza d’ uno
stimolo esteriore che direttamente lo provochi, la percezione non si ha che
mediante l’azione su noi dell’ oggetto sensibile. Perciò alcuni chiamano la
rappresentazione percezione mediata. Alcuni distinguono la percezione semplice
dalla percezione esteriore: quella non è che la pura coscienza delle nostre
sensazioni, questa è la coscienza dell'oggetto, cioò la nostra sensazione
divenuta una qualità dell’ oggetto esteriore, Si soglion chiamare peroesioni
acquisite quelle percezioni di un senso, che risultano non dalla eccitazione immediata
che quel dato organo di senso ha dall’ oggetto (percezioni naturali), ma dalla
eccitazione di quell’organo avvenuta mediante un altro organo di senso. Nella
terminologia cartesiana per percezione #’ intende qualunque fatto intellettuale
; essa è opposta alla rolisione, che designa ogni atto di volontà ο di
desiderio; percezioni e volizioni costituiscono l’intero ambito dei fatti di
coscienza. Ommes modi cogitandi, quo in nobis experimur, dice Cartesio, ad duos
generales veferri possunt, quorum unus est poroeptio, sive operatio
intelleotua.... Nam sentire, imaginare ot pure intel 843 PER Ἱέροτο sunt tantum diversi modi
peroipiendi, Nella filosofia del Leibnitz la parola percezione ha un
significato pure anıplissimo, abbracciando ogni specie di pensieri: egli chiama
percezioni insensibili, o piocole percezioni, gli stati di coscienza esistenti
nel nostro spirito ma non attualmente pensati, ο in questo stato incosciente
suppone esistano tutte le idee delle cose, cosicchè lo sviluppo delle facoltà
intellettuali non consisterebbe che nel lavorio dell’ anima di rendere chiare ©
coscienti le idee che sono in essa quasi abbozzate. «In ogni momento, dice il
Leibnitz, esiste in noi una infinità di percezioni, ma senza appercesione ©
senza rifleesione, cioè dei cangiamenti dell’ anima stessa, dei quali non οἱ
accorgiamo; perchè queste impressioni sono ο troppo piccole e numerose, o
troppo unite; per modo che esse non hanno nulla di sufficientemente distintivo
separate, ma, unite ad altre, non mancano di fare il loro effetto, e di farsi
sentire nella riunione, almeno confusamente.... Queste piccole percezioni sono
assai più importanti che non si creda. Sono esse che formano quel non s0 che,
quei gusti, quelle imagini delle qualità dei sensi, chiare nell’insieme ma
confuse nelle parti; quelle impressioni, che i corpi che ci circondano fanno su
noi © che racchiudono l’infinito; quel legame che ogni essere ha con tutto il
resto dell'universo. Si può dire persino che, dunque, il presente di codeste
piccole percezioni è gravido dell’ avvenire carico del passato, che tutto
cospira © che degli occhi penetranti come quelli di Dio potrebbero leggere
nella più piccola delle sostanze tutta la serie delle cose dell'universo ».
Anche per Locke la percezione ha significato molto ampio, essendo « la prima
operazione di tutte le nostre facoltà intellettuali e Padito (the inlet) di
ogni conoscenza dentro la nostra mente ». Per Berkeley « avere un’ idea è la
stessa cosa che percepire ». Condillac: La peroeption et la conscience ne sont qu'une
même opération sous deux nome. En tant qu'on ne la considère que comme une
impresrion de l'âme, on PER 844 peut lui conserver celui de perception; en
tant qu'elle avertit Vame de sa présence, on peut lui donner celui de
conscience. Il Reid distingue la
percesione, che ci dà l’esistenza e la qualità dei corpi, dalla sensazione, che
sorge nel nostro spirito in seguito alla impressione fatta sugli organi di
senso dai reali esteriori; la percezione dell’esistenza dei corpi, quantunque sorga
in noi contemporaneamente alla sonsazione, pure non ne è l’effetto, ma è bensì
un giudizio istintivo della realtà dei corpi esteriori ο delle qualità di eni
ci si presentano forniti. Per Kant la prima cosa che ci è data è il fenomeno ©
sensazione, che, quando è legato alla coscienza, si chiama percezione ; quindi
« In percezione à la coscienza empirica, cioò la coscienza nella quale c’è
nello stesso tempo sensazione ». Per |’ Hamilton la percezione è soltanto una
specie di conoscenza, la sensazione una specie di sentimento: « la percezione è
propriamente la coscienza, attraverso il senso, delle qualità d’un oggetto
conosciuto come differente dall’ io; la sensazione è propriamente la coscienza
dell’ affezione subbiettiva del piacere o del dolore, che accompagna questo
atto di conoscenza ». La distinzione tra sensazione e percezione è ammessa, per
quanto in modi diversi, da quasi tutti i filosofi contemporanei. Cosi lo Ziehen
considera la sensazione come il materiale greggio, la percezione come lo stesso
materiale rielaborato : « noi indichiamo come percezioni quelle. sensazioni
sulle quali s'è esercitata la nostra attenzione ». Per questa rielaborazione le
percezioni si accostano al pensiero: « Poichè la percezione, dice 1’ Höffding,
riposa su un processo che si può chiamare un confronto involontario, si
presenta a noi come una funzione del pensiero, mediante la quale ci appropriamo
ciò che è dato nella sensazione, © incorporiamo la sensazione nel contenuto
della nostra coscienza. Se dunque una funzione del pensiero si manifesta nella
percezione sensibile, è chiaro che la percezione e il pensiero non possono
essere due funzioni affatto differenti della coscienza. Non 845 PER
c’è alcuna percezione sensibile che sia assolutamente passiva». Una distinzione
analoga fa il Sally: « nella sensazione la mente è, relativamente, passiva e
recipiente; nella percezione è non solo attenta alle sensazioni, discriminandole
ο identificandole, ma passa dalla impressione all’oggetto che esse indicano o
fanno conoscere ». Il Galluppi riteneva invece la distinzione tra percezione e
sensazione affatto arbitraria, una semplice astrazione che, se fosse reale, οἱ
trarrebbe allo scetticismo, in quanto condurrebbe seco la necessità di credere
ciecamente a tutto ciò che la percezione ci presenta. Egli quindi identificava
la percezione colla sensazione: ogni sensazione è di sua natura la percezione
di un oggetto esterno, © quindi la percezione dei corpi, anzichè distinta, è
inchiusa nella sensazione. Il Rosmini distingue la percezione in sensitiva ©
intellettiva: quella è la sensazione stessa ο un sentimento qualunque, in
quanto si considera unito a un termine reale, questa è un giudizio col quale lo
spirito afferına sussistente qualche oggetto percepito dai sensi, ὁ, in altre
parole, è la visione del rapporto che passa tra un sentito e l’idea di
esistenza. Egli distingue ancora nella percezione dei corpi la percezione
soggettiva, che si ha sia col sentimento corporeo, per sò stesso, sia collo sue
modificazioni, e la percezione estrasoggettiva, che è fondata sulla prima, è
fornita dai sensi e ci da il sentimento dell’azione ο l'estensione di un corpo
fuori di noi. L'Ardigò distingue la sensazione pura dalla percezione : quella è
la semplice osservasione, vale a dire l’atto psichico avvertito come proprio
della coscienza individuale nel presente della successione dei suoi atti,
questa invece è l'esperimento, cioè la sensazione stessa accompagnata da altre
sensazioni e verificata per mezzo di un altro senso: queste sono appunto le
circostanze oggettivanti, per cui il dato sensitivo è proiettato all’esterno,
ossia per cui l'oggetto ci è dato come esistente realmente fuori di noi. Il
Sergi ha cercato di spiegare fisiologicamente l’oggettività della PER 846 percezione, riconducendola ad un’onda nervea
di ritorno, cio’ alla riflessione dell’ onda centripeta che ha dato luogo alla
sensazione; mentre nella sensazione l’ onda nervosa, prodotta dallo stimolo, va
dall’organo periferico al cervello, nella percezione l’onda stessa è riflessa
dal cervello lungo la medesima fibra allo stesso organo; ciò darebbe ragione,
secondo il Sergi, della proiezione del dato sensibile e della sua
localizzazione nell'oggetto esteriore: come l’eccitaziono centripeta tende a
dare ad ogni mutazione che ne segue un carattere soggettivo, così l'eccitazione
centrifuga tende a far uscire dal soggetto la modificazione prodotta. Il Jerusalem
considera la percezione come la forma più semplice © primitiva del giudizio, in
quanto consiste nel dar forma e obbiettività al contenuto disordinato dejle
sensazioni. Il Wundt, infine, contrappone la percezione alla apperoesione :
questa è quel fatto psichico che è da noi percepito con uno sforzo particolare
di volontà, detto attenzione, quella è ogni fatto psichico che si trova, a così
dire, situato nello sfondo della nostra coscienza. Cfr. Cartesio, Principia, I,
32; Leibnitz, Monadologia, $ 14, 21; Id., Nouv. essais, I, passim ; Locke, An.
essay cono. hum. understanding, 1705, 11, cap. 15; Berkeley, Treatise on the
princ. of human knowledge, 1871, VIL; Condillao, Essai sur l’origine des
connaissances, 1746, I, sez. II, $4; Reid, Works, ed. by Hamilton, 1863, p. 876
segg.; Kant, Krit. d. rei. Vern., B 207; Hamilton, Leotures on Metaphysics, 1859, vol. II, p. 98
segg.; Th. Ziehen,
LeitSaden dor physiol. Peyohologie, 1893, p. 17, 170; Höffding, Peychologie,
trad. franc. 1900, p. 167; Sully,
Outlines of Psychology, 1892, p. 148; Galluppi, Elementi di filosofia, 1820;
Id., Lezioni di logioa 6 metafisica, 1854, vol. I, p. 166 segg.; Rosmini, Nuoro
saggio sull’ origine delle idee, 1830, $ 481 segg.; Id., Logica, 1853, $ 307
segg., 701 segg.; P. Carabellese, La teoria della percezione intellettiva di 4.
Rosmini, 1907; Ardigò, Il fatto psicologico della peroezione, Op. fil. IV,
1897, p. 347 segg.; G. Sergi, Teoria fisiologica della 847 PER
percezione, Milano, 1884; Jerusalem, Die Urtheilefunotion, 1895, p. 219 segg.;
Wundt, Grundriss d. Peychol., 1896, Ρ. 245 sogg. (v. distanza, integrazione,
rappresentazione, cateriorità, volontà, ecc.). Percezionismo. T.
Perceptionnismus ; I. Perceptionism; F. Perceptionnisme. La dottrina della
percezione immediata, che ebbe per principali sostenitori i filosofi della
scuola scozzese e dell’ eclettismo francese. Il percezionismo è una forma di
realismo. Esso consiste nell’ammettere come un fatto irreducibile il sentimento
d’ obbiettività contenuto nella sensazione e nell’ accordare a codesta credenza
un valore rappresentativo: la prova che esistono delle cose fuori di noi è data
dal fatto che la percezione ci mostra delle cose esistenti fuori di noi. Cfr.
Cousin, Fragments philosophiques, 1840, t. II, p. 30 segg.; Paul Janet, Victor
Cousin et son oeuvre, 1885, p. 73-81; Mao Cosh, The intuitions of the mind,
1882, p. 108 (v. intermediariste, concezioniemo, conoscenza, senso comune).
Perfezione. T. Volkommeheit; I. Perfection; F. Perfeotion. Il concetto di
perfezione ha subìto non pochi mutamenti nella storia del pensiero filosofico.
Per Platone è perfetto soltanto ciò che non contiene alcuna contraddizione,
alcuns mescolanza, ciò che è assolutamente uno pur comprendendo in sè gran
numero di attributi. Per Aristotele la perfezione consiste nel corrispondere
esattamente a un concetto, a un tipo, a una norma, nell’ esser tale che non si
potrebbe concepire nulla di migliore. S. Tommaso distingne due specie di
perfezione: prima, quae est ipsum esse rei, secunda vero est eius operatio et
haso est maior quam prima; illud igitur dieitur simplieiter pefectum, quod
pertingit ad perfeotam sus operationem. Per Cartesio invece la perfezione è
l'essenza stessa della divinità; Dio è, per definizione, |’ essere
assolutamente perfetto: La substance que nous entendons être souverainement
parfaite et dans laquelle nous ne conoevons rien qui enferme quelque defaut ou
PER 848 limitation de perfection, s'appelle Dieu.
Spinoza considera la perfezione © l’imperfezione come due semplici modi di
pensare « ciod delle nozioni che abbiamo l'abitudine di formulare perchè
confrontiamo, gli uni con gli altri, gli individui d’una stessa specie e d’uno
stesso genere >; perciò, egli aggiunge, io comprendo « per realtà e perfezione
la stessa cosa; noi abbiamo infatti 1 abitudine di ricondurre tutti gli
individui della natura sd un sol genere, che si chiama generalissimo; ciod alla
nozione delP Essere, che appartiene a tutti gli individui della natura senza
eccezione. Così, in quanto noi riconduciamo gli individui della natura a questo
genere e li confrontiamo tra loro e troviamo che gli uni hanno più di Essere e
di Realtà degli altri, diciamo che gli uni sono più perfetti degli altri....
Infine, per perfezione in un genere io comprenderò la realtà, ossia l'essenza
d’una cosa qualunque, in quanto questa cosa esiste ed agisce in un modo dato ο
determinato ». Il Leibnitz la concepisce quasi matematicamente come «la
grandezza della realtà positiva presa precisamente, mettendo da parte i limiti
nelle cose che ne hanno». Ad ogni modo, il concetto di perfezione è puramente
astratto ο relativo. Quando noi giudichiamo perfetto un oggetto qualsiasi, lo
facciamo riconoscendo che esso oorrisponde al fine per il quale esiste, o
realizza il tipo della specie cui appartiene; in altre parole, non facciamo che
istituire un rapporto fra due termini. Le perfezione non va confusa con la
perfettibilità: quella è statica, questa è dinamica, quella è una realtà, o è
assunta como tale, questa è una idenlitä. L'idea della perfettibilità, è, come
quella di evoluzione e di progresso, essenzialmente moderna; nell’antichità e
nell’evo medio era concetto comune che la natura delle cose è immutabile, ©
che, se in qualche coss muta, codesto mutamento è sempre peggioramento. Nè meno
estranea è l’idea di perfettibilità all’ ottimismo filosofico : se il nostro
mondo è il migliore dei possibili, cio’ 849 Per
il più perfetto, non vi ha possibilità di un miglioramento ulteriore, la
perfezione escludendo la perfettibilità. Il merito di aver introdotto il
concetto e la parola di perfettibilità spetta specialmente al Condorcet, che ne
fece 1’ essenza stessa dell’uomo. Secondo alcuni la perfettibilità è contenuta
anche nella dottrina della evoluzione; ma ciò può sembrare, secondo altri,
inesatto, inquantoch® la perfettibilità dell'essere non è illimitata, all’
evoluzione corrispondendo inevitabilmente la dissoluzione. Cfr. Aristotele, Met., V,
16, 1021 b, 12 segg.; S. Tommaso, Contra gent., II, 46, 2; Cartesio, Réponses
aux secondes objections, def. VIII; Spinoza, Ethica, Prefazione al 1. IV;
Leibnitz, Monadologie, $ 41, De rerum originatione radicali, $ 3; Condorcet,
Esquisse des progrès de l'esprit humain, 1794 (v. idea, progresso). Periferia, T. Peripherie; I. Periphery; F.
Peripherie. La superficie esteriore di un corpo solido. Sistema nervoso periferico,
dicesi quello costituito dai gangli e dalle fibre nervose, per opposizione al
centrale, costituito dall’ encefalo ο dal midollo spinale; perciò dicesi
periferico qualunque fenomeno nervoso, normale o patologico, che avvenga in un
punto qualunque della fibra che unisce l'organo esterno al suo centro
cerebrale. Sensazioni periferiche, per opposizione ad interne, diconsi quelle
determinate dagli stimoli esteriori. Perigenesi. T. Perigenese. L’ ipotesi con
cui 1’ Haeckel spiega la trasmissione ereditaria o eredità dei caratteri. Secondo
questa dottrina, in ogni atto riproduttivo una data quantità di protoplasma o
sostanza albuminoide viene trastuessa dal genitore al figlio, 9 nello stesso
tempo viene trasmesso al protoplasma il movimento molecolare individuale, che
gli era proprio. In altre parole, 1’ eredità consisterebbe nella trasmissione
del movimento dei plastiduli, che costi tuiscono il plasma. Cfr. Y. Delage, La
structure du protoplaame et les théories de l'érédité, 1895 (v. eredità,
endogenesi, germiplasma, pangenesi). 54 RanzoLi, Dizion. di acienze filosofiche. PER 850 Poripatetici. T. Peripatetiker; I.
Peripatetica; F. Péripatéticiens. I seguaci di Aristotele, così detti perchè
studiavano e insegnavano passeggiando al Liceo. Fondatore della scuola
peripatetica fu Teofrasto di Lesbo, che con l'insegnamento e con gli scritti
diffuse la dottrina aristotelica, non senza allargarla, specialmente nella
scienza della natura; mantenne la separazione dell’ intelletto fatta dal
maestro, ma lo vollo congenito all’ nomo (σύμφυτος), ed in generale piegò più
per la immanenza che per la trascendenza. Gli successe Stratone di Lampsaco,
che, più risoluto del predecessore, tolse di mezzo le antinomie aristoteliche,
negando l'intelletto separato ed il concorso di Dio nella produzione del mondo;
egli concepì il pensiero dell’ intelletto come un movimento, e fa quindi
condotto a negare l’esistenza d’un essere immobile, collocato al di fuori della
natura e origine d’ogni movimento. Meno importanti furono i successori di
Stratone, che seguirono a preferenza o le ricerche fisiche, o le trattazioni
morali in forma popolare (v. aristotelismo). Permanente. T. Bleibend,
beständig; I. Permanent; F. Permanent. Nella filosofia scolastica dicevasi quantità
pormanente lo spazio, per opposizione alla quantità successiva, cio il tempo.
Perseità. Lat. Perseitas; T. Perseität; I. Perseity; F. Perséité. Cid che
sussiste per se, καθ᾽ αὑτό. È quindi l’attributo della sostanza: aubstantia est
per ae, dice Goclenio, accidens per aliud. La parola perseità si adopera però
quasi esclusivamente ad indicaro la dottrina tomistica delle relazioni tra il
bene e il volere divino. Secondo S. Tommaso il volere, nella sua espressione
adeguata, è mosso essenzialmente dal concetto del bene come presente alla
ragione, © ciò sia nella natura umana che nella divina: la perseitas boni è
dunque la razionalità essenziale del bene. Per Duns Scoto invece il bene è
creazione arbitraria del volere divino, che al bene è superiore, Egli distingue
due 851 PER specie di perseità: uno modo pro esse
incommunicabili, et sic per se esse cat incommunicabiliter esse; alio modo...
pro esse subristontiae, et sic per sè esse est per sè subeistere. Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I,
2, q. XVIII segg.; Goolenio, Lez. philosophicum, 1613, p. 809. Persona. T. Person; I. Person; F. Personne.
Questo termine originariamente designava la maschera (πρόσωπον = viso, aspetto)
con eni nell’ antico teatro greco si rappresentava un dato personaggio. Quando
cadde l’uso della maschera, indicò il personaggio stesso, e così passò nell’uso
per indicare l’uomo, in quanto non è soltanto individuo, cioò unità organica di
parti solidali, ma è un essere cosciente ed intelligente, un’ unità
fondamentale di pensiero, di sentimento e d’azione. Perciò persona si oppone a
cosa; il vegetale, il minerale, l’animale, e, si può aggiungere, il demente e
l’idiota, sono cose, mentre l’nomo cosciente soltanto è persona. Dicesi persona
morale l’uomo in quanto, per le capacità del suo spirito, può partecipare della
80cietà morale e intellettuale degli spiriti; persona fisica 1’ organismo dell’
uomo, considerato come manifestazione della sua persona morale; persona
giuridica l’ uomo che possiede doveri ο diritti fissati dalla leggo. Cfr.
Trendelenburg, Zur Geschichte des Vorter Person, « Kant Studien », 1908; Eucken,
Geistige Strömungen der (Gegenwart, 1909, sez. D, § 5; C. Piat, La personne
humaine, 2* ed. 1912 (v. io, personalità). Personalismo. T. Personaliemus; I.
Personaliem; F. Personnalisme. Il Renouvier designa col nome di personalismo
relatiristico la propria dottrina della personalità, che si contrappone all’
impersonalismo della filosofia evoluzionistica. Origine della personalità umana
sarebbe, secondo il Renouvier, lo spirito personale di Dio, che è congiunto in
un sistema fisso di relazione universale con lo personalità umane. In un senso più generale dicesi personaliemo
ogni forma d’idealisnio metafisico, che pone la realtà ultima in una coscienza
unica, universale, eterna, fondandosi spePER 852 cialmente su queste due argomentazioni: 1°
esiste una stretta analogia tra il modo di comportarsi delle idee nella mente
individuale, ο la maniera onde ciascuna mente si connette con le altre menti;
2* il rapporto conoscitivo © pensativo por eni la mente è volta a questo o a
quell'oggetto, è un rapporto del tutto peculiare, che non si può identificare
nd col rapporto causale nd con quello di somiglianza, © che implica la
presenza, sia pure latente, dell'oggetto stesso nella coscienza. In un senso più generale ancora dicesi
personalismo, per opposizione a panteismo, ogni dottrina che ammette Dio come
persona. Cfr. Renouvier, Le personnalieme, 1903; Feuerbach, Das Wesen des
Christenthume, 1841, p. 185; De Sarlo, I diritti della metafisica, « Cult.
filosofica », luglio 1912 (v. fenomenismo, idealiemo). Personalità. T.
Persönlichkeit; I. Personality; F. Personnalité. È la coscienza della propria
individualità distinta da qualunque altra, « La personalità è V sutocoscienza,
dice l’Herbart, nella quale l’io considera sè stesso come uno © medesimo in
tutti i suoi molteplici stati ». E il Wundt: «Come I’ io è il volere interiore
nella sua separazione da tutti gli altri contenuti della coscienza, così la
personalità è Vio che si risente con la molteplicità di quei contenuti ο in tal
modo si eleva al grado dell’autocoscienza ». La personalità presuppone dunque la
individualità, ed il principio d’ individuazione è l'organismo. Infatti il
senso organico è V elomento fondamentale della personalità, la quale muta col
mutare di quello: così si spiegano i fenomeni patologici di sdoppiamento della
personalità fisica, in oui l’individuo crode d’avere due corpi, di cui uno
cammina © l’altro sta fermo, uno è sano e l’altro è malato. A costituire la
personalità entrano anche i sentimenti e lo tendenze, cho hanno pure sede nell’
organismo ; col mutarsi e V alterarsi di quelle si muta quindi e si altera
anche la personalità. L'identità della propria persona è data dalla 853 Per
continuità delle coscienze successive, dall’unificarsi dei ricordi in un’ unica
serie: Persona dicitur ens, quod memoriam sui conservat, hoc est, so esse idem
illud, quod ante in hoo vel isto fuit statu (Chr. Wolff). Se quindi le basi
organiche della memoria si alterano, può darsi che 1’ io passato scompaia dalla
memoria, e allora si hanno gli sdoppiamenti della coscienza, costituiti da due
io, da due persone distinte che s’alternano nello stesso organismo. Dicesi
appunto fenomeno delle personalità alternanti quello sdoppiamento della
personalità, nel quale all’ io primario si sostituisce un io secondario e
viceversa, in periodi successivi più ο meno durevoli; le due personalità che si
alternano sono del tntto separate rispetto alla memoria; la personalità 4 è
incapace di rievocare tutto ciò che è avvenuto durante il periodo in cui era
attiva la personalità B, ο viceversa; sono due personalità che s’ignorano
reciprocamente come se fossero separate da un diaframma impermeabile. Per personalità morale non s'intende soltanto
quella coscienza della propria individualità che ha per base 1’ organismo, ma
quella specialmente che deriva dalla propria capseità razionale, dalle qualità
che si sono acquistate con la forza del volere, che ci dànno il sentimento
della dignità nostra e ci fanno degli esseri superiori, autonomi, liberi. Il problema della personalità dirina è la
forma assunta nel pensiero contemporaneo dalla controversia tra teismo e
panteismo, Il teismo cristiano si regge essenzialmente sopra la credenza in un
Dio personale, © codesta personalità compete all’essere perfettissimo in quanto
essa rappresenta appunto la suprema perfezione; ma, d'altro canto, la
personalità è individuazione, e l'individuazione è limitazione nel tempo e
nello spazio; di più la persona è opposizione e relazione, in quanto è
coscienza del proprio io distinto da tutto ciò che è altro da lui e sussiste
come rapporto di vari stati ad un soggetto identico: come può dunque Dio essere
persona, se è eterno, infinito, atto puro PeR-PES 854 escludente ogni opposizione e relazione? Le
soluzioni proposte dai filosofi contemporanei sono varie, ma tutte oscillano
tra il panteismo, il teismo e l’agnosticismo. Cfr. Wundt, Ethic, 1892, p. 448;
Hamilton, Lectures on metaphysics, 1859, t. I, p. 166; Ribot, Les maladies de
la personnalité, 1885; P. Janet, Automatisme peyohologique, 1888 ; A. Binet,
Les altérations de la personnalité, 1892; Myers, The human personality, 1902;
Morton Prince, The dissociation of a personality, 1906; Dugas et Montier, La
dépersonalisation, 1911; Hébert, Études sur la personnalité divine, « Rov. de
métaphysique », giugno 1902 e marzo 1903; H. L. Mansel, The limits of religious
thought, 1858, p. 59 segg.; Mac Taggart, Studies in hegelian cosmology, 1901,
p. 76 segg.; Royce, Lo spirito della filosofia moderna, trad. it. 1910, e The
world and the individual, 1904, t. I, p. 425 segg., II, p. 419 seggi; Bradley,
Appearance and reality, 1902, p. 135, 531 segg.; A. Chiappelli, La critica
filosofica e il concetto del Dio virente, « Riv. di filosofia », anno I, n. 4;
C. Ranzoli, L’agnostioiemo nella filosofia religiosa, 1912, cap. IV (v.
dissooiazione, temperamento). Persuasione, T. Ueberzeugung; I. Persuasion; F.
Persuasion. Si suole da alcuni distinguerla dalla certezza, perchè mentre
questa è fondata su motivi adeguati e conformi al vero, la persuasione può
essere anche di cosa falsa, oppure di cosa vera ma fondata su ragioni false.
Dicesi naturale la persuasione spontanea che ogni uomo ha dei principi supremi
di ragione, e riflessa quella che consiste nel riposo della intelligenza in un
assenso dato volontariamente ad uns proposizionPessimismo. T. Pessimismus ; I.
Pessimism; F. Pessimieme. Vocabolo usato la prima volta dal Coleridge per
indicare « lo stato peggiore », adottato poi nel 1819 e reso comune dallo
Schopenhauer. Può essere, come l'ottimismo a cui s'oppone, tanto naturale o
intuitivo, quanto sistematico o filosofico. Il primo è una semplice
disposizione 855 Prs dovuta sia a cause organiche ed ereditarie
sia ad una dolorosa esperienza della vita a veder tutto nero nel mondo e
nell'esistenza, a giudicare ogni cosa per il suo lato triste. Il secondo è
invece una dottrina la quale sostiene © dimostra che tutto è male
nell’universo, e che noi viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Sebbene
questa seconda forma di pessimismo tragga spesso origine dalla prima, che è
antica quanto l'umanità, e sebbene essa esista più o meno latente nel fondo di
ogni religione in quanto l'aspirazione verso un'esistenza oltremondana è sempre
accompagnata dal malcontento dell’esistenza terrena tuttavia il pessimismo
filosofico non data che dal secolo appena scorso. Schopenhauer ne è il più
grande maestro, come Leibnitz può dirai il maestro dell’ottimiamo. Secondo
Schopenhauer, l'essenza del mondo è la volontà, la quale è stimolo di
oggettivarsi, forza cieca ed incosciente; perciò il mondo è pieno di mali; è il
peggiore dei mondi possibili. L'uomo è in sus balla, ed è, per conseguenza,
infelice: la sua vita oscilla come un pendolo tra il dolore e la noia. Nè egli
può liberarsi dalla vita, perchè la vita è volontà essa pure, cioè volontà di
vivere: « Volere è essenzialmente soffrire, e poichè vivere è volere, ogni vita
è nella sua essenza dolore. Più l’essere è elevato, più esso soffre... La vita
dell’uomo non à che una lotta per I’ esistenza, con la certezza d'esser
vinto.... La vita è una caccia incessante nella quale, ora cacciatori ora
cacciati, gli esseri si disputano i brandelli d’un orribile pasto; una specie
di storia naturale del dolore che si riassume così: volere senza motivo,
soffrire sempre, sempre lottare, poi morire, e così di seguito per i secoli dei
secoli, tinchè questo nostro pianeta si frantumi in piccoli frammenti ». Unico
rimedio è che l’ uomo cerchi di negare questa volontà, rintuzzando l'egoismo
sul quale si fonda lo stimolo di continuare a vivere, © ciò potrà ottenere non
già col suicidio, ma colla vita rigorosamente ascetica e contemplativa, che conPer
856 durrà al lento suicidio della specie umana. I
discepoli di Schopenhauer trasformarono ο alterarono il suo sistema. Il
Banhsen, più esagerato del maestro, esclude che la volontà di vivere possa in
alenn modo negare sò stessa; la volontà, essendo essenzialmente cieca, non pud
sottomettersi all’idea, e all’nomo non rimane quindi alcuna possibilità di
liberazione. Invece per l’Hartmann l’ incosciente è nello stesso tempo volontà
e idea, cosicchè, quando col tempo dominerà l’idea, quando la volontà di vivere
si sottometterà alla logica, essa rinuncerà volontariamente a sò stessa, Si
avrà allora il suicidio cosmico, dopo il quale regnerà la pace del nulla. Ai
nostri giorni il problema del pessimismo e dell’ottimismo, che è essenzialmente
metafisico, non ha più ragione di esistere: il dolore e il piacere sono la
condizione stessa della vita, la quale non è nd tutto dolore nè tutto piacere.
D’ altro canto, se questo mondo fosse davvero il peggiore dei mondi possibili,
esso non potrebbe continuare ad esistere; ma esso continua ad esistere, e la
ragione che rende la vita possibile è, dice il Gnyau, la medesima che la rende
desiderabile. Cfr. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Forstellung, ed.
Reclam, t. II, $ 162; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 1890; I.
Bahnsen, Der Widerspruch im Wissen und Wesen der Welt, 1880; Sully, Pessimiem,
1877; W. Thomson, Modern pessimism, 1878; G. Palante, Pessimieme et individualieme,
1913 (v. dolore, piacere, ottimismo, migliorismo, incosciente, sentimento). Petizione
di principio. Lat. Petitio prinoipii; T. I Ia.; F. Pétition de principe. E il
sofisma che Aristotelo designava con le frasi τὸ ἐξ ἀρχῆς, ovvero τὸ ἐν ἀρχῇ
altetoda:. Esso consiste nel prendere come principio di prova la tesi stessa da
provare. Aristotele ne distingue cinque specie: la prima, che si nasconde sotto
le sinonimie, si ha quando si assume come principio di prova la tesi stessa da
provare, sotto altra forma; la seconda si ha quando, dovendosi dimostrare una
tesi particolare, si ritiene dimostrata la tesi generale che la comprende; la
terza è l’inversa della pre cedente; la quarta non è che la terza estesa a
tutti i casi possibili; la quinta, che è la tipica, consiste nel provare una
proposizione mediante un’altra, la quale non può essere a sua volta provata che
mediante la prima. Aristotele stesso cadde in quest’ultima forma di petizione
di principio, quando volle provare che la terra è il centro del mondo, partendo
dalla premessa che la natura delle cose pesanti è di cadere al centro del
mondo. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 24, 41 b, 8; Id., Τορ., VII, 19. Piacere.
T. Vergnügen, Lust; I. Pleasure; F. Plaisir. Essondo un dato immediato della
coscienza, è in sò stesso indefinibile. Esso rappresenta uno dei due poli del
sentimento, il quale si manifesta sempre sotto le due forme opposte del piacere
e del dolore, collegate fra loro da un numero indefinito di stati intermedi. A
malgrado però di questa opposizione, alcune volte i dolori intensi sono a0compagnati
da un senso di piacere, dovnto alla vivacità dello stato affettivo. In
generale, il piacere è determinato dal funzionamento normale dei differenti
organi del nostro corpo, sia che appartengano alla vita psichica che a quella
vegetativa. La stessa eccitazione che produce dolore se eccessiva, può produrre
piacere se d’intensità moderata: questo fu detto piacero positivo, 9 piacere
negatiro quello che deriva dalla cessazione del dolore. Il piacere è sempre
accompagnato da aumento delle funzioni vitali: celerità nella circolazione del sangue
e nella respirazione, abbondanza nella assimilazione delle sostanze nutritive,
maggiore secrezione delle glandole, vivacità di movimenti, ecc.; a ciò devesi
forse il fatto, constatato dalla psicometria, che il tempo di reazione delle
sensazioni di piacere è minore di quello delle sensazioni di dolore. Si
distingne comunemente il piacere fisico (ad es, quello che si prova gustando un
cibo) dal morale (ad es. quello che si prova ammirando Pia 858 un’opera d’arte). Però la differonza tra I’
uno e l’altro non è di natura, in quanto entrambi implicano un fatto fisico ο
organico e un corrispondente fatto psichico, ma soltanto di complessità,
essendo il secondo associato ad un maggior numero di dati rappresentativi o
intellettuali. Per Aristippo il piacere, ἡδονή, #’accompagna al movimento calmo
dell'organismo, il dolore al movimento violento, l’ indifferenza al riposo;
esso importa il sentimento della soddisfazione, che deriva dall’appagamento del
desiderio; la difforenza tra i piaceri non sta nel loro oggetto, ma nella forza
del sentimento di soddisfazione, forza che si trova per lo più nel piacere
sensuale, corporco, che si riferisce all’ immediato presente. Per Aristotelo il
piacere è la conseguenza e il completamento dell’ atto, il che spiega come esso
sia fugace e cerchi la novità; esso completa anche la vita degli uomini « i
quali hanno dunque ragione di amare il piacere, poichè per ciascuno d’ essi è
il completamento di quella vita alla quale sono sì fortemente attaccati ». Per
Epicuro il vero piacere non si trova « nelle gioie dell’amore o nel lusso e
negli eccessi della buona tavola, como hanno voluto insinuare alcuni ignoranti
e i nemici della nostra scuola », ma nella tranquillità dello spirito libero da
agitazioni, e nella quiete del corpo esente dal dolore:, aprile 1905; A.
Lalande, Pragmatismo et pragmatioisme, « Revue philosophique », febbr. 1906; L.
Laberthonnière, Saggi di filosofia religiosa, trad. it. 1907; A. Schinz,
Anti-pragmatisme, 1909; R. Berthelot, Le romantieme utilitaire, 1911; W. James,
Lo pragmatismo, trad. frane. 1911; E. Boutroux, William James, 1911; F. Masci,
Intellettualiomo e pragmatismo, in « Atti della R. Accademia di Scienze m. e
pol. », Napoli, vol. XLI, parte 13, 1911 (v. azione, attivismo, attualismo,
antropocentrico, moralismo, umanismo). Prammatico (πραγματικός = che si
riferisco ad una azione). Ciò che si pratica per lunga consuetudine; oppure che
concerne l’azione, il successo, la vita, in opposizione sia alla conoscenza
astratta © speculativa, sia alla obbligazione morale. Dicesi anche di una
credenza che si accetta non perchè riconosciuta vera, ma perchè ritenuta utile.
In questo senso Kant chiama prammatioa una storia « quando rende pradenti, ciod
quando insegna al mondo d’ oggi come possa aver cura dei propri interessi
meglio o almeno tanto bene quanto il mondo passato »; prammatici gli imperativi
che consistono in consigli di prudenza riferentisi al benessere, distinti dai
tecnici ο regole d’abilità, e dai pratici o comandi morali. Kant chiama ancora
fede prammatica una credenza che si aunmette accidentalmente come 883 Pra
fondamento ai mezzi d’un fine determinato, e fede pratica una credenza che si
ammette perchè è postulata dalla legge morale: il precetto d’aspirare al sommo
bene è obbiettivo e la sua possibilità obiettivamente fondata, ma la credenza
nei postulati che ne derivano (divinità, libertà, immortalità) è soggettiva,
quindi una fede puramente pratica della ragione che in sò non è il dovere, ma
sorge prima del sentimento morale e può quindi diventare incertezza, ma non mai
degenerare in inoredulità. Il Blondel chiama prammatica la scienza dell’azione,
in quanto questa costituisco un ordine di realtà sui generis, l’atto, il
xp&ypa, nel quale s’ uniscono l'iniziativa dell’ agente, il concorso che
esso riceve, le reazioni che subisce. Il Windelband chiama fattore prammatico
della storia della filosofia quello pro- dotto dalla necessità interiore dei
pensieri ο dalla logica delle cose, per cui nella storia stessa si ripetono non
solo i problemi capitali ma anche le principali correnti della loro soluzione e
le dottrino germogliano incessantemente luna dall'altra. Cfr. Kant, Grundlegung
sur Met. der Sitten, 2 Absoh.; Krit. d. reinen Fernunft, Transc. Met., sez.
III; Blondel, L’Action, 1893, p. 206; Hermann, Der pragmatische Zusammenhang in
der Geschichte der Philosophie, 1836; Windelband, Storia della filosofia, trad.
it. Zaniboni, vol. I, D. 14 segg. (v. azione, attiviemo, pragmatismo). Pratica
(πρᾶξις azione). T. Praktisch, Ausübung;
I. Practical, Praotice; F. Pratique. Come dice I’ etimologia, pratico non
significa altro che attivo; si oppone perciò tanto a teorico, che a
speculativo, i quali derivano entrambi da radici che significano mirare,
guardare, e indicano quel lavoro indagativo e osservativo della intelligenza,
che sono l'operazione propria della scienza e della filosofia. La pratica ha
per fine l’azione, quindi il bene; essa è prodotta dalla volontà ο costituisce
la materia dell’ etica. Già in Aristotele troviamo la distinzione della
filosofia in teoretica, pratica e poetica; il Wolff la distinse pure in teoPra 884 retica e pratica, comprendendo sotto questa la
filosofia pratica generale, il diritto naturale, l'etica, la politica e
l'economia, e dandole per fine supremo il perfezionamento di sò stesso e degli
altri. In Kant la critica della ragion pratica ha per c6mpito di rispondere ai
due quesiti: che cosa io debbo fare? che cosa io posso sperare? Il primo
quesito è oggetto della analitica, il secondo della dialettica della ragion
pratica, Nell’analitica sono principî pratioi quei postulati, che contengono
una determinazione universale della volontà a cui sono subordinate regole
pratiche; essi sono soggettivi o massime, se la determinazione è riguardata dal
soggetto come obbligatoria per la volontà propria, oggettivi ο leggi pratiche
se è riconosciuta come obbligatoria per la volontà d’ogni essere ragionevole.
L’Hartmann pone come cémpito della filosofia pratica di portare a fini della
coscienza i fini dell'inconscio ; tali fini si riassumono tutti nella rinuncis
al volere, che porterà all’ annientamento dell’ universo. 11 Windelband chiama
problemi filosofici pratici quelli che hanno origine dall’ esame dell’ attività
umana rivolta ad uno scopo, problemi teorici tutti quelli che si riferiscono in
parte alla conoscenza della realtà, in parte allo studio della conoscenza; dei
pratici si ocoupano l’etica, la sociologia, l'estetica, la filosofig del
diritto, della storia e della religione. Comunemente, per sapienza pratica, o
filosofia pratica, o senso pratico della vita, 8” intende quella saggezza tutta
particolare che non si apprende studiando ma operando e riflettendo, che non
attinge alla sola ragione, ma al sentimento, alla fantasia e al raziocinio
insieme, che non è soltanto prudenza, ma, a volta a volta, prudenza ο coraggio,
ardire © cautela, temporeggiamento © decisione. In altre parole, savierza
pratica significa equilibrio, misura; essa dà quindi all’ imprevisto il posto
che gli compete nella preparazione del futuro, ma si comporta al tempo stesso
come se ogni cosa fosse esattamente prevedibile; sa quanto d’ inevitabile prema
sui destini umani, 885 PRE ma procede come se tutto dipendesse dai
decreti del nostro volere; riconosce tutta l’importanza che gli accidenti esteriori
hanno sulla nostra felicità, ma è ancora più convinte che ogni avventura
esterna si veste dei colori della nostra anima e che la pace interiore, bene
supremo, non dipende alla fin fine che da noi, Cfr. Aristotele, Met., II, 1,
998 b, 98, VI, 1, 1025 b, 18; Chr. Wolff, Philosophia praotica univerealie,
1738, $ 2; Kant, Krit. d. prakt. Vernunft, ed. Reclam, p. 15 segg.; Hartmann, Phil, dee
Unbewussten, 1890, III, 748; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. Zaniboni, I, p. 25 segg.; C. Ranzoli, It caso
nel pensiero ο nella vita, 1913, p. 218 segg. (v. dottrina, dotore, imperativo,
prammatico). Precisione. T. Präcision, Bestimmthoit; I. Precision; F.
Précision. Iu senso generale, ciò che non lascia adito ad alcuna indecisione
del pensiero; si oppone a vago e si distingue da esatto, che equivale a vero
sia nell’ ordine logico che in quello obbiettivo. Con questo termine gli
scolastici designavano l'operazione logica della astrazione orizsontale ©
verticale, che consiste nel diminuire la comprensione di un concetto, di una
nozione, togliendo alcune note per ritenere soltento quella o quelle che si
vogliono cont derare. Precoce. T. Frühzeitig, Voreilig; I. Precocious; F. Precoce.
Dicesi tale un fenomeno, fisico, fisiologico, psichico o sociale, che si
manifesta prima del momento comune e normale, o anteriormente alla previsione
basata sul tempo d'azione delle cause. Gli zoologi chiamano la prole degli
uecelli precoce 0 inetta secondochè può o non può provvedere subito da sò al
proprio sostentamento, Gli psichiatri, col nome di demenza precoce designano
quelle forme, sia catatoniche, che ebefreniche e paranoidi di debolezza mentale,
che derivano da arresto di aviluppo psichico. Predestinazione. Lat.
Praedestinatio ; T. Pridestination; I. Predestination; F. Prédestination.
Dottrina teoloPRE 886 gica, secondo la quale ogni individuo è
destinato, in modo infallibile ed eternamente vero, ad essere salvato o dannato.
Si collega alla dottrina della prescienza divina. Come riferisce S. Agostino,
secondo i Pelagiani presoiebat Deus. qui futuri cosent sanoti et immaculati per
libera roluntatis arbitrium et ideo eos ante mundi constitutionem in ipsa sua
prascientia, qua tale futuros esse prascivit, elegit. Leibnitz distingue la
predestinazione dalla destinazione, in quanto . Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I,
2, qu. X, a.
3, e q. XIII, 6, ecc.; Boursier, De l’action de Dieu aur les creatures, 1718,
Dise. prélim., I, 8; Malebranche, Réflerions sur la prémotion physique, 1715
(v. libero arbitrio). Predeterminismo.
T. Prädeterminismus; I. Predeterminism; F. Prédéterminisme. Dottrina teologica,
secondo la quale gli eventi sono considerati come risultanti dalla prescienza e
dalla onnipotenza divina. Si distingue dal determinismo perchd in questo, a
differenza di quello, la necessità è immanente agli stessi fenomeni. Però
secondo alcuni, ad es. il Renouvier, il determinismo ben compreso si identifica
col predeterminismo ed ha la sua vera espressione nell'equazione del mondo del
Léplace; data la ferrea necessità causale che lega i fenomeni del mondo, in
ogni momento della sua esistenza sono potenzialmente contenute tutte le sue
fasi successive, cosicchò una intelligenza infinita potrebbe agevolmente
calcolarle. Kant oppone il problema del
determinismo a quello del predeterminismo : il primo consiste nel domandare
come la volontà può essere libera, pur essendo determinata da una ragione sufticiente
interiore all'agente, il secondo nel ricercare in qual modo la determinazione
di ogni atto mediante ragioni anteriori e fatti che non sono più in nostro
potere, possa conciliarsi con la libertà, la quale esige che l’atto, nel
momento dell’azione, sia in potere del soggetto. Cfr. Ch. Renouvier, Histoire et
sol. des probl. métaph., 1*ed., p. 168-9; Kant, Religion inneralb der Grenzen
des blossen Vernunft, ed. Rosenkranz,
parte I, p. 57 (v. equazione del mondo, fataliamo, determinismo). Predicabile.
Gr. Kazyyopospevov; T. Praedicabile; I. Predicable; F. Prédicable. Tutto cid
che ad un dato soggetta può essere attribuito. Aristotele, oltre alle dieci
categorie (praedicamenta), diede anche una classificazione di cinque
categorumeni (praedicabilia), che sono i cinque PRE 888 universali, di cui i due primi, cioò il genere
e la specie Crévog e εἶδος) riguardano la estensione delle idee, gli altri,
cioè la differenza, il proprio e I’ accidente (διαφορά, Toy, συμβεβηκός)
riguardano la comprensione. Kant chiama
predioabili della ragion pura tutti i concetti a priori, ma derivati, che
possono essere ricavati dai predicamenti © categorie, come la forza, l’azione,
la passione, la presenza, la resistenza, l’origine, la distruzione, il
cangiamento. In un senso ancora più
lontano dal primitivo, Schopenhauer chiama praodioabilia a priori le
proposizioni generali che possono essere affermate 4 priori relativamente al
tempo, allo spazio, alla materia; esse sono diciassette per ciascuna di queste
tre categorie. La prima relativa al tempo è la seguente: non v’ha che un tempo
solo, e tutti i tempi diversi sono parti dello stesso; la seconda: tempi
diversi non sono contemporanei, ma successivi. Cfr. Aristotele, Top., I, cap. 4, 101 b, 17-25;
Porfirio, Isagoge, 1; Kant, Krit, d. reinen Vern,, A 82, B 108; Schopenhauer,
Die Welt als W. u. Vorst., ed. Reclam,
Ergänzungen z. ersten Buch, cap. IV; Rosmini, Logica, 1853, § 413-418 (v. oatogorie,
oategorumeni). Predicato. T. Prädioat ; I. Predicate; F. Prédioat. Ogni ides
che può essere predicata, negata o affermata di un’altra. Logicamente ha lo
stesso valore di attributo, giacchè i latini tradussero il greco κατηγόρηµα ο
κατηγοροὺµενον tanto con praedicatum quanto con attributum ; ma mentre il
predicato non ha che un valore logico, determinato dal posto che esso occupa nella
proposizione, l’attributo è adoperato anche in un senso metafisico, per
designare quelle qualità d’una sostanza, senza le quali essa non potrebbe
essere, mentre le qualità accidentali diconsi modi. Preesistente. T.
Prüeristent ; I. Preeristent; F. Preszistent. Ciò che esisto anteriormente ad
altra cosa. Platone, ispirandosi allo dottrine teologiche dei misteri
dionisiaci, estende l’esistenza immortale dell’ anima oltre i due limiti 889 ©
Pre della vita terrena, nella preesistenza e nella postesistenza; nella prima è
da cercare la colpa per cui l’anima è ricacciata nel mondo sensibile, nella
seconda la sua sorte dipende dal grado con cui, nella vita terrena, si è resa
libera dalla cupidigia del senso e si è rivolta alla sua missione più elevata,
alla conoscenza delle idee. Anche secondo alcuni dei primi Padri della Chiesa,
come Tertulliano, Ireneo e Gregorio di Nissa, l’anima è preesistente al corpo;
la materia è pure preesistente alla divinità cosicchd queste non la crea ma la
organizza. Nella tilosofin gmostica gli coni non sono altro che spiriti
preesistenti, che giungono alla vita terrena dopo una serie di crescenti
degenerazioni. Cfr.
Platone, Fedr., 246 vegg.; Id., Gorgia, 523 segg.; Id., Rep., 614 segg.; Id.,
Fedone, 107 segg.; 8. Ireneo, Adv.
haer., V, 12, 2. Preformasione dei germi. Dottrina ora abbandonata, secondo la
quale ogni individuo vivente conterrebbe attualmente preformati i germi di
tutti i nuovi individui che potranno sortire da lui. Codesti germi non
sarebbero che individui estremamente piccoli, ma già formati, cosicchè il loro
svilupparsi non sarebbe che un ingrandire. Ogni germe, per quanto piccolo,
contiene avviluppati in sò stesso altri germi ancor più piccoli, e questi altri
più piccoli ancora e così via via indefinitamente. Questa dottrina fu già
sostenuta da Malpighi, Haller, Bonnet. Nella sua Monadologia Leibnitz dice: « I
corpi organici della natura non sono mai prodotti de un caos o da una putrefazione,
ma sempre da sementi, in cui o'era senza dubbio qualche preformazione ». Oggi
il preformismo è sostenuto dal Weismann, nel senso però che gli organi e i
caratteri ereditari degli esseri viventi esistono nel germe allo stato di parti
differenziate, quantunque non simili agli organi e ai caratteri che
produrranno. La dottrina più accettata attualmente è quella dell’epigenesi, per
cui si ammette che lo sviluppo embrionale dell’ individuo consiste PRE © 890 in
una oatena di neoformazioni, che si presentano per gradi ο non preesistono già
formate nel germe. Cfr. C. Bonnet, Consideratione sur les corps organisés, 1776; Leibnitz,
Monadologia, $ 74; C. S. Wolff, Theoria generationis. 1774; A. Weismann, Das Keimplasma, eine neue Theorie d.
Vererbung, 1894; Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1902, p. 81 (v.
eredità, endogenesi, germiplasma, pangenesi, perigonesi). Premessa. Gr.
Πρότασις; Lat. Praemissa; T. Prämisse, Vordersatz; I. Premise; F. Prémisse. Le
due proposizioni del sillogismo, che contengono il medio e da cui risulta la
conclusione. Quella che contiene il termine maggiore dicesi premessa maggiore,
quella che contiene il minore premessa minore. Circa il modo di cavare dalle
premesse la conclusione si hanno cinque regole: 13 non si conchiude da premesse
negative, perchè posto che nd il termine maggiore nè il minore convengono col
medio, non si può conchiudere nd che convengano tra loro nd che disconvengano;
2* non si conchiude negativamente da premesse affermative, perchè in tal caso
la conclusione non deriverebbe, evidentemente, dalle premesse; 3° non si
conchiude da premesse particolari, perchè il sillogismo consiste invece nel
procedere dall’ universale ; 4* la conclusione segue sempre In parte più debole
delle premesse, intendendosi per debole la proposizione negativa rispetto all’
affermativa, ο la particolare rispetto all’ universale; 5* non si conchinde da
premesse delle queli la maggiore sia particolare e la minore negativa; tale
regola si basa essenzialmente sulle precedenti. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $
545 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 241 segg. (v. figura, modo, sillogiemo,
termini). Presciensa. T. Vorherwissen; I. Foreknowledge; F. Prescience. Uno
degli attributi della natura divina. Esso si basa sul principio dell’ assoluta
perfezione di Dio. Se Dio è perfetto, deve essere intelligente; alla sua
intelligenza nulla deve essere nascosto, nè il prosente, nd il passato, 891 Pre
nd l'avvenire. La prescienza di Dio deve essere sicura, perchè se fosse incerta
potrebbe farlo cadere nell'errore, e ciò è incompatibile colla sua perfezione;
e deve essere immediata, perchè se fosse ottenuta per mezzo di ragionamenti o
di intermediari, bisognerebbo supporre che egli, almeno per un istante,
ignorasse l'avvenire, non fosse presciente, cioè fosse imperfetto. La
prescienza divina non è infatti una previsione ma una visione : da tutta
l'eternità Dio contempla tutto ciò che dovrà accadere in tutto il tempo
avvenire. La sua prescieuza è dunque una omniscienza, che abbraccia tutte le
verità simultaneamente, e, insieme al presente, al passato, all’ avvenire,
anche ciò che non fu e non sarà mai; donde la distinzione, ammessa da tutti i
teologi, tra la scienza della visione, nella quale si comprendono i futuri
contingenti, e la scienza di pura intelligenza, che si riferisce agli esseri
che non verranno mai all'esistenza. Cfr. S. Agostino, Ootoginta trium quest.,
q. 24; S. Bonaventura, Opera omnia, t. I, p. 800 segi Tommaso, Summa theol., I,
qu. XIV, art. 5,
6; Id., C. Gentes, I, dist. 38, qu. I, art. 5, e spec. Quaest. de acientia Dei, art. 12. Presentazione. T.
Präsentation, Forstellung ; I. Presentation; F. Présentation. Per opposizione a
rappresentazione alcuni psicologi adoperano questo termine a designare tutti
quegli stati di coscienza in cui un dato oggetto è presentato allo spirito;
quando lo stesso oggetto si presenta di nuovo, si ha una ripresentasione o
rappresentazione. In tal senso V Hamilton denominava presentazionismo reale la
dottrina, propria del Locke e della scuola scozzese, secondo la quale le
qualità primarie delle cose, ad es. la resistenza e la forma, sono
immediatamente da noi percepite, quindi sono realmente nei corpi quali noi le
percepiamo. Sull’utilità del vocabolo presentazione, come opposto di
rappresentazione, si è molto discusso; secondo il Bergson la parola rappresentazione
è equivoca e, in base alla sua etimologia, non dovrebbe mai designare un
oggetto intellettuale presentato PRE-PRI 892 allo spirito per la prima volta: «
Bisognerebbe riserbarla alle idee o alle imagini che recano |’ impronta di un
lavoro anteriore effettuato dallo spirito. In tal caso si potrebbe introdurre
il vocabolo presentazione (ugualmente impiegato dalla psicologia inglese) per
designare in generale tuttociò che è puramente e semplicemente presentato all’
intelligenza ». Anche il Claparède crede all’ opportunità ‘di distinguere in
tal modo gli stati psichici a seconda che il loro contenuto è attuale ο
imaginatico. Si può osservare però che coi vocaboli sensazione 0 percezione si
indica abbastanza chiaramente l’attualità dei fatti psichici. Cfr. W. Hamilton, Dissertations
on Reid, 1860, p. 825; J. 8. Mill, An exam. of sir Hamilton'e philosophy, 3°
ed. 1867, cap. LIL; J. Ward, Psychology, Eneycl. Britannica, 1° sez.; Bergson, Bulletin de
la soc. frang. de phil., giugno 1901, p. 102; Ed. Claparède, Ibid., giugno 1913, p. 213; Lachelier,
Ibid., p. 214. Presentimento. T. {knung, Vorempfindung; I. Presentiment; F.
Pressontiment. La previsione oscura di un avvenimento che può accadere; non è
quindi da confondersi con la previsione scientifica, che è sicura in quanto è
fondata sulla costanza ο l'uniformità delle leggi naturali. Il Leibnits
intendeva per presentimento la facoltà di prevedere ragionando degli
avvenimenti; tale facoltà proveniva, secondo lui, dal possedere lo spirito
umano la rappresentazione di tutte le cose dell’universo, e quindi la
possibilità di trarre dal proprio fondo delle verità sia astratte che concrete.
Secondo Fries ο Jacobi il presentimento (Ahnung) è «la convinzione fondata sul
solo sentimento, senza concetti determinati » a cui corrisponde la credenza nel
divino. Cfr. Fries, System der Logik, 1837, p. 423 segg. (v. percezione).
Presenza v. Tarole di Bacone. Prestabilita (armonia) v. Armonia. Primario. T.
Erst, Elementar ; I. Primary; F. Primaire. In un sistema di classificazione per
ordine di generalità 893 Pri diconsi divisioni primarie sia le
divisioni che hanno l’estensione maggiore, sia le divisioni che hanno
l'estensione minore. Dicesi formazione
primaria, sia nell’ordine psicologico che in quello fisico, ciò che è più
antico, ο ciò che è composto del minor numero di elementi. Si dicono primarie o
originali quelle qualità dei corpi senza di cui i corpi stessi non possono
essere concepiti: tali |’ estensione, la figura, la resistenza. Secondarie
invece quelle che si possono sopprimere senza sopprimere al tempo stesso la
nozione della cosa: il colore, il sapore, l’odore, il suono, ecc. Delle qualità
primarie le nostre sensazioni sono, secondo il Locke, copie fedeli di cui le
cose sono gli originali: le qualità secondarie sono invece affatto relative. Il
Berkeley invece ridnce le qualità primarie alle secondarie, dimostrando che
quelle non sono meno relative di queste, entrambe derivando dai sensi ¢
risolvendosi tutto in stati del nostro spirito: « La volta rilucente del cielo,
1’ ornamento della terra, in una parola tutti i corpi che compongono questo
mondo, non esistono che in uno spirito che li percepisce; essi non hanno altra
esistenza che la possibilità d'essere percepiti; quindi tutte le idee esistono
attualmente in me o in qualche altro rpirito creato, 0, se non vi esistono, non
esistono affatto o esistono nello spirito divino ». Cfr. Locke, Ess., II, cap.
8, $ 8-15; Berkeley, Principl., I, VIII, XI (v. attributo, essenza). Primitivo.
T. Ur... Grund...; I. Primitive; F. Primitif. Si oppone tanto a secondario che
a derirato, e dicesi di ciò che sta all’origine di una serie di fatti, o che in
ana cosa ha il primo luogo, ο che si ottiene per primo. Dicesi senso primitivo
quello del tatto, perchè esso precede nella specie tutti gli altri sensi, i
quali si considerano come semplici differonziamenti subiti nel corso della
evoluzione biologica dalla sensibilità tattile, per effetto della varia natura
ο del vario modo di agire degli stimoli esterni. Il Rosmini chiama giudizi
primitiri quelli dati solamente dal senso e PRI 894 anteriori alla formazione del concetto; si
dicono primitivi appunto perchè sono i primi che noi facciamo sulle cose, e
mediante i quali delle cose stesse formiamo i concetti. Egli chiama poi sintesi
primitiva l’attività spiritnalo onde il senso fondamentale unisce la
sensibilità ο l’ intelletto e ne vede il rapporto; questa attività non è altro
che la ragione, sesi considera più generalmente l’attività nascente dall’unità
intima del sentimento fondamentale, in quanto cioò l'Io è atto a vedere i
rapporti in generale: quindi la sintesi primitiva è la prima funzione della
ragione. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 212 segg.; Id., Psicologia, 1848, t. II,
§ 452 segg. Primo o primum. T. Eret; I. First, Early; F. Premier. È tutto ciò
che non ammette alcun antecedente. Però il primo può essere anche relativo,
cioè un primo eupposto : ad es. il primo costitativo nella biologia è la
molecola οοstituente le cellule; nella fisica è I’ atomo, costituente le
molecole; nella chimica la monade eterea, componente dell’atomo stesso; e
questo primo della chimica è tale soltanto perchè esso è l’ultimo indistinto
del quale non occorre sapere in qual modo sussista, come il biologo si arresta
alla molecola organica, non occorrendogli indagarne la costituzione. Si
distingue poi il primo logico dal primo eronologioo : quello riguarda 1’ ordine
del tempo, questo l’ordine della relazione di principio a conseguenza; ad es.
nel penso dunque esisto di Cartesio, il penso è il primo logico Pesisto il
primo cronologico. Dicesi primo noto
quella nozione prima, dalla quale si deducono tutte le altre idee ο principi. Nel linguaggio aristotelico-tomistico primum e
pris differiscono, in quanto quello si dice per privazione di antecedente,
questo per confronto a posterius; dicesi poi primum alterans il primo cielo, il
cui moto era ritenuto come principio di alterazione © di corruzione degli enti
terrestri, e primum mobile il primo cielo in quanto per mezzo degli altri cieli
dava moto ai corpi celesti. Primo motore (πρῶτον κινοῦν) chiama Aristotele la
divinità, causa 895 Pri iniziale immobile del movimento; la
materia, il puro possibile, è ciò che è mosso senza muovere, mentre Dio, il
puro reale, è ciò che soltanto muove senza esser mosso e senza divenire: tra i
due termini v'è tutta la serie delle cose, che subiscono o suscitano il
movimento, e il oui insieme Aristotele chiama natura. Nell’ ontologismo ai distingue il primo
psicologico che è quella qualsiasi nozione, prodotto della intelligenza, dalla
quale ogni altra deriva, dal primo ontologico, che è l’essere in sò stesso come
distinto ed opposto alle intelligenze, e il primo ideologico che è il medesimo
essere assoluto in quanto è oggetto della intelligenza umana. Nell’ innatismo o razionalismo si distinguono
i primi universali, che il nostro spirito porta con sè stesso, © che sono
quindi anteriori ad ogni esperienza, dagli ultimi universali, o principi
scientifici, i quali risultano dall’esperienza sensibile ο si formano appunto
da ciò che nell’ esperienza vi è di costante e di comune. Filosofia prima (φιλοσοφία πρώτη) chiama
Aristotele la ricerca della realtà prima e dell’ essenza immutabile delle cose;
essa poi fu detta metafisica. Causa
prima (causa sui, causa causarum, 900.) dicesi quella che non è l’effetto d'una
causa antecedente e dalla quale procedono le altre cause, dette perciò seconde.
Verità prime, primi prinoipî, nozioni
prime, ecc., sono quelle che non sono ricavate deduttivamente da altre. Diconsi qualità prime della cosa quelle senza
di cui la cosa non potrebbe concepirei. Principio. Gr.'Apx#; Lat. Principium ;
T. Grund, Grundsatz; I. Principle; F. Principe. Ha tre significati fondamentali,
uno logico, uno normativo, l’altro metafisico ο obbiettivo. Nel primo indica
una proposizione generale dalla quale derivano e alla quale si subordinano
altre proposi zioni secondarie. Nel secondo designa una massima o regola
d’azione, chiaramente presentata allo spirito ed enunciata mediante una formala;
a seconda del loro contenuto, si hanno principi morali, religiosi, artistici,
politici, ecc. Nel PRI 896 terzo indica una realtà dalla quale dipendono
ο derivano altre realtà: in questo senso gli atomisti chismavano principia gli
atomi, i teologi chiamano Dio principio del mondo, e gli psicologi l’anima
principio dei fatti psichici. Una dottrina scientifica può essere allo stesso
tempo un principio logico, un'ipotesi e una legge. Così la conservazione della
materia e dell'energia è un principio, perchè in base ad esso noi cerchiamo
degli equivalenti ad ogni quanti di materia e d'energia che sembra nascere o
sparire; una ipotesi, perchè non è stato sperimentato e non potrà mai esser
sperimentato su tutti i corpi e su tutte le energie della natura; una legge,
per il gran numero di corpi e di energie riguardo a cui fu sperimentalmente
constatato. Diconsi principt logici ο
principî supremi di ragione, il principio d'identità, À è 4; il principio di
contradizione, 4 non è non-4; il principio del mezzo o terzo escluso, 4 è ο non
è B; il principio di ragion sufficiente, per cui nessuna verità esiste che non
sia giustificabile. Il principio di individuazione
è il fondamento della individualità, per cui essa è quello che è; il principio
degli indiscernibili è quello per cui due cose, per esser due, debbono avere
qualche differenza di qualità; il principio di causalità, per cui nulla vi ha
senza causa; il principio di finalità, per cui ogni essere ha un fine. Il principio della minima azione, o del minimo
mezzo, 0 di economia, o principio di semplicità, fa formulato in modi diversi;
così per Galileo « la natura non opera con molte cose quello che può operar con
poche »; per Voltaire «la natura agisce sempre per le vie più corte »; per
Maupertuis « quando nella natura avviene un mutamento, la quantità di azione
necessaria a produrlo è la più piccola possibile ». Nel linguaggio aristotelico-tomistico diconsi
prinoipia generationis quelli di cui tutte le cose sono fatte, mentre essi
stessi non sono fatti da altri, e sono la materia, la forma, la privazione;
principia compositionis ο della cosa generata, quelli dalla cui permanenza vien
generato 897 PRI il corpo naturale; principia metaphysica
quelli da cui si intende composta metafisicamente ed intellettualmente la cosa;
prinoipia in habitu quelli che regolano i sillogismi senza che ne faccian
parte, ad es. le coke che convengono ad una terza convengono tra di loro.
Dicesi ancora principium quod la persona ο il supposito oui si attribuisce V
operazione, o la denominazione dell’ operante (ls persona di Tizio è il
prinsipium quod delle sue volizioni); princi pium quo ciò onde viene elicita
immediatamente l’azione (la volontà di Tizio è il principium quo delle sue volizioni).
Cfr. Goclenio, Lerioon phil., 1613, p. 870; Chr. Wolf, Philos. prima sive
ontologia, 1736, $ 866-876; Kant, Krit, 4. reinen Vern., ed. Reclam, p. 265
segg. Privativo (termine). T. Privato; I. Privative; F. Privatif. La privazione
è, secondo Aristotele, una causa negativa che agisce per la sna stessa assenza,
Quindi il termine privativo si distingue dal positivo e dal negativo, in quanto
è l’una e l’altra cosa nello stesso tempo; è detto privativo perchè limito,
nega una qualità ο un attributo di cui il soggetto fu possessore, ο di cui è
naturalmente capace; ad es. analfabeta, cieco, anormale, ecc. Cfr. Stuart Mill,
Syetom of logio, 1865, 1. I, cap. II, $ 6 (v. negativo, negazione). Privazione.
T. Mangel; I. Privation, Want; F. Privation. E una qualità che consiste nella’
mancanza di una qualità positiva, ed agisce come una causa negativa per la sua
stessa mancanza : cieco, mortale, povero, ecc. Così il Wolff la definisce:
defeotus aliouiue realitatie, quae esse poterat. Secondo Aristotele la materia
è, sotto un certo rapporto, la privazione; ad es. l’uomo sarà musicista, ma non
è autor tale; in questo momento è il non musicista; il non-musicista non è una
materia senza forma, poichò è già un uomo, ma è una materia ancora privata
della sua qualità; codesta materia è dunque la privazione della qualità di
musicista. Anche il Leibnitz usò questo vocabolo 57 RaszoLI, Dizion, di acienze filosofiche. Pro 898 ma
nel senso di limitazione, imperfesione. Cfr. Aristotele, Metaph., X, 4, 1055 b;
Chr. Wolff, Ontologia, 1736, $ 273. Probabilismo. T. Probabiliemus; I.
Probabiliem ; F. Probabilisme. Nella morale il probabilismo à quella dottrina
casuistica, secondo la quale per non cadere in colpa basta agire conformemente
ad una opinione approtata, ossia che ha dei partigiani rispettabili e non è
contraria all’autorita. Nella
gnoseologia il probabilismo è una dottrina che sta di mezzo tra il dogmatismo e
lo scetticismo. Questo nega la possibilità di ogni conoscenza, quello invece
unifica verità e certezza, considerando la prima come una proprietà intrin*
seca delle cose e la seconda come un prodotto della verità sullo spirito. Il
probabilismo, sia antico che moderno, crede possibile il possesso della verità,
ma non di quella assoluta bensì della verità probabile, che è in noi e per noi,
della verità che nasce dell’ accordo durevole delle nostre rappresentazioni tra
di loro e con quelle degli altri. I probabilisti sostengono che il valore di
questa verità dipendente da noi è superiore a quello della verità in 88 © per
sè, poichè le cose che da noi dipendono valgono più di quelle che non dipendono,
Nella filosofia antica la teoria del probabilismo fu sviluppata specialmente da
Carneade, che distinse tre gradi della probabiltà: il grado più basso è quello
che conviene all’ idea singola, che non si trova in nessi più larghi; un grado
più alto sppartiene all’ idea che si può unire con altre, con cui si trova in
connessione; il terzo grado è raggiunto dove un intero sistema di idee in tal
modo connesse è riscontrato nella sua perfetta armonia e nella sua conferma
sperimentale. Nella filosofia moderna il probabilismo ricompare, con tinte più
o meno scettiche, prima nel Montaigne, poi in Hume, infine nel Cournot. Cfr. Mentré, Cournot et la
renaissance du probabilieme au XXe sidole, 1908 (π. oritioiemo, prammatismo, nominaliemo). Probabilità. T. Wahrsoheinlichkeit,
Probabilità; I. Probability; F. Probabilité. La certezza che una cosa si avveri
899 Pro è data dal suo avverarsi sempre, quando si
avverino determinate circostanze; la probabilità invece è data dal suo
avverarsi non sempre ma qualche volta. Questa dicesi probabilità qualitativa ο
filosofica, per distinguerla dalla quantitativa ο matematica, che si fonda sul
numero dei casi; si chiama anche soggettiva ο psicologica, in quanto è l’espressione
di un atteggiamento del pensiero e dell’azione, che appartiene allo stesso
dominio del dubbio, dell’ esitazione, dell'incertezza, In essa si possono
distinguere due gradi: il primo, che chiameremo probabilità volgare, è la
semplice fiducia nel verificarsi di un avvenimento, fiducia basata sa pure
impressioni e perciò indimostrabile; la seconda, che chiameremo probabilità
scientifica, è ugualmente soggettiva ma possiede un maggior fondamento
razionale. Esempio dei due gradi, il giudizio che un profano e nn medico
possono esprimere sulla probabilità che un ammalato guarisca. Matematicamente
la probabilità è espressa da una frazione, che ha per numeratore il numero dei
casi favorevoli, per denominatore il numero dei casi possibili; ciò costituisce
il calcolo delle probabilità ο teoria dei rischi Ware conieotandi degli
antichi) che si applica tanto alle questioni di pura possibilità, che sono di
natura oggettiva, quanto a quelle di probabilità, che dipendono dal non conoscere
tutte le circostanze del fatto supposto. Nella frazione che esprime la
probabilità, quanto maggiore è il denominatore rispetto al numeratore, tanto
maggiore è la probabilità ; se il denominatore è zero si ha la certezza; so è
zero il numeratore si ha l'impossibilità. Il calcolo delle probabilità non pnò
essere applicato alla probabilità filosofica, poichè essa non riguarda la
quantità ma la qualità, non il numero ma il valore dei casi. Si distingue
infine la probabilità atatietica, che sta di mezzo tra la probabilità
filosofica © la probabilità matematico ; essa è il rapporto del numero dei casi
avvenuti in passato con quelli che per estrema ipotesi avrebbero potuto
verificarsi, rapporto supPro 900 posto costante e applicabile ai casi futuri; è
quindi probabilità matematica, in quanto fondata sul rapporto dei casi reali ©
possibili; probabilità filosofica perchè implica la supposizione (soggettiva)
che detto rapporto si conservera invariato nel futuro, © che i singoli casi
siano possibili in ugual grado mentre in realtà non lo sono. Cfr. Moivre, Doctrine of
chances, 1718; Cournot, Essai sur les fondements de nos connaissances, 1851, $
31; Id., Exposition de la théorie dee chances et des probabilités, 1843;
Bertrand, Caloul des probabilités, 1907; Borel, Élémonts de la thdorie des probabilités,
1909; H. Poincaré, Calcul des probabilités, 1912. Problema (xp6 avanti; βάλλω =lanoio). T. Problem ; 1.
Problem; F. Problème. Significa originariamente una incognita da determinare,
la quale, benchè si trovi connessa dal rapporto di principio e di conseguenza
con uns conoscenza posseduta, difficilmente si può decifrare; si contrappone
quindi a teorema, che è il risultato chiaro e provato di una dimostrazione. In
senso largo, il problema è la necessità nella quale trovasi il nostro pensiero
di spiegare un fatto qualsiasi, realo o supposto. Se il fatto che si deve
spiegare è reale, il problema dicesi assoluto, in quanto esiste
indipendentemento dall’ analisi, che può risolverlo o non. Se il fatto è
supposto, il problema dicesi ipotetico, in quanto la sua validità dipende
dall’analisi che è necessaria per risolverlo. Alcuni dei problemi assoluti
possono essere anche antitetioi, quando cioè esiste opposizione tra
ragionamento e ragionamento, o tra effetto e causa. L’Avenarius considera il problema come il
segno d’un rapporto di tensione, d’una « differenza vitale » tra V individuo e
l’ambiente, determinate dalla sproporzione che esiste tra l’ energia
dell'individuo ο quella richiesta dalle eccitazioni dell’ ambiente. Se 1’
eccitazione (R) ο la energia (E) sono assolutamente corrispondenti (R = E) si
ha il massimo vitale di conservazione, l'individuo si sente a proprio agio e
pieno di fiducia nelle proprie percezioni 901 Pro
© rappresentazioni. Se invece, per variazioni dell'ambiente, si produce la
situazione R> E, allora appare un problema e l’individno trova delle
divergenze, delle eccezioni e delle contraddizioni nel dato, che gli danno I’
impressione d’essere straniero nel mondo; ogni vero problema è una nostalgia,
che fa tendere tutti i nostri sforzi a togliere codesta impressione.
Inversamente, se si produce la situazione E> R, un problema appare per là
ragione contraria: in questo caso esiste dell’energia che non è impiegata e
che, divenuta libera, esplode in direzioni insolite, non determinate dal dato;
si hanno allora le epoche d’emancipasione, d’effervescenza, d’idealinmo
pratico. Dicesi problema di Molyneux
quello esposto dal Leibnits nei Nouv. Essais (1. II, cup. IX, $ 8): « Supponete
un cieco dalla nascita, che sia ora uomo maturo, al quale siasi insegnato a
distinguere col tatto un tubo da una sfera dello stesso metallo e circa delle
stesse dimensioni... Supponete che codesto cieco venga a godere della vista. Si
domanda se, vedendoli senza toccarli, potrebbe distinguerli ο dire qual sia il
cubo e quale la sfera ». Cfr. R. Avenarius, Kritik der reinen Erfahrung,
1888-90; Id., Die menschliche Weltbegriff, 1891; B. Varisco, I massimi
problomi, 1909; Masci, Logioa, 1899, p. 451 segg. (v. economica teoria,
empiriocriticismo). Problematico (giudisio). T. Problematisch; I. Problematic;
F. Problématique. Nel linguaggio comune problematico equivale a incerto,
dubbio, affermato senza prove sufficienti e tale quindi che deve considerarsi
come rimanente in questione. Nella
logica dicesi problematico il giudizio che esprime la possibilità, cioè la
concepibilità dei contradditori per la mancanza di ragione di decidere quale
sia vero. Può essere affermativo e negativo; nel primo enso la sua formula è: 4
può esser B; nel secondo: A può non esser B. Il giudizio problematico negativo
nega infatti la necessità; la possibilità della affermazione è invece negata
Pro 902 dal giudizio apodittico negativo, la cui
formala è: 4 non può esser B. Nella classificazione kantiana i giudizi problematici
appartengono, insieme cogli assertori, 0 della realtà, © gli apodittici, o
della necessità, alla categoria della modalità. Nella metafisica dicesi problematica quella
forma di realismo, che partendo da un dualismo realistico di soggetto e
oggetto, pone tuttavia quest’ ultimo come incerto: «noi siamo uniformemente
certi, dice ad es. il Wenn, dell'esistenza dell'idea ο del concetto nei nostri
spiriti, e uniformemente incerti (da un punto di vista logico) che un fenomeno
vi corrisponda ». Alcune volte dicesi problematico anche il realismo che meglio
si direbbe ipotetico, e che lo Spencer definisce «come la dottrina secondo la
quale la realtà dell’oggetto non può essere affermata come un fatto, ma deve
essere accettata come un'ipotesi necessaria ». A questo tipo appartiene ad es,
la dottrina delV Hodgson, per il quale la materia, pur non essendo per noi che
un complesso di percezioni obbiettivate, presuppone tuttavia una condizione
reale, senza di cui le sensazioni non esisterebbero, e una condizione dell’
esistenza della materia, cioè Dio, la cui natura può essere inforita mediante
la ragion pratica dalla coscienza. Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, A
75-76; B 100-101; Wenn, Symbolic logic, 2* ed. 1894, p. 150; Spencer,
Principles of prychology, 3* ed. 1881, t. II, § 473; Hodgson, The metaphysio of
experience, 1898, t. I, p. 296; F. De Sarlo, La metafisica dell esperienza
dell’ Hodgson, 1900. Processo. T. Prozess; I. Process; F. Processus. Una
conentenazione o serie di fenomeni successivi, che presenta caratteristiche
particolari e determinate. Dicesi anche processo la serie dei mezzi che si
mettono in opera per arrivare al conseguimento di un fino; quando il fine è la
scoperta del vero scientifico, il processo è quasi la stessa cosa del metodo;
no differisce solo in quanto le specie del processo si desumono dalla diversità
del mezzo, quelle de 908 Pro metodo dalla diversità del fine. Perciò il
processo è subordinato e relativo al metodo. Nella metatisica alessandrina il processo o
processione è 1’ atto eterno con cui Dio produce il mondo, e l’atto pure eterno
con oui l’Uno produce il Noo e questo } anima, Nel linguaggio scolastico dicesi processus
resolutions quello per cui si dimostra la causa dall'effetto, processus
oompositivus l'inverso; l’espressione esprime la natura dell’ operazione
mentale, che nel primo caso consiste nel risolvere la causa nell’effetto, nel
secondo nel comporre l’effetto con la causa, Progresso. T. Fortschritt; I.
Progress; F. Progrès. Si usa generalmente come sinonimo di evoluzione, e
designa quindi un processo di differenziazione e specificazione. Alcuni però lo
adoperano soltanto per opporlo 8 regresso ο regressione, che è il processo
inverso, ossia il ritorno di un organo, di un individuo, di una specie, di una
società ad uno stato anteriore, meno differenziato © meno specificato. Peroiò
la regressione in un organo o in un individuo è un fenomeno degenerativo
d’atavismo. Il progresso, inteso come lo svolgersi di un processo di
perfezionamento, può essere sia meccanico, sia intellettuale, sia sociale o
civile; e, in ciascuna di queste forme, può esser concepito come possibile ο
impossibile, reale o spparente, continuo o per fasi, limitato o illimitato. Per
Ruggero Bacone, ed es., il progresso del sapere umano è non solo innegabile, ma
indefinito: « L’ avvenire saprà ciò che noi ignoriamo, e si meraviglierà che
noi abbiamo ignorato ciò che esso sa. Nulla è finito nelle invenzioni umane, e
nessuno ha l’ultima parola. Più gli uomini sono di recente venuti nel mondo,
più estese sono le loro cognizioni, perchè, ultimi eredi delle età passate,
entrano in possesso di tutti i beni che il lavoro dei secoli aveva per essi
accumulato ». Anche secondo il Leibnitz non esistono limiti nel miglioramento
progressivo dell’universo spirituale, perohè, sebbene la perfezione sia stata
raggiunta in alcuni suoi elementi, nelPro 904 l'abisso delle cose restano sempre delle parti
addormentate che devono risvegliarsi e svilupparsi: « È così che una parte del
nostro globo riceve oggi una cultura che sumenterà di giorno in giorno. E per
quanto sia vero, che talvolta certe parti ritornano selvagge ο si rovesciano e
si deprimono, tale rovesciamento e depressione concorrono a qualche fine più
grande, cosicchè noi profittiamo in certa guisa del danno medesimo ». Il Turgot
contrappone la stabilità della natura al progresso incessante dell’ umanità :
«1 fenomeni della natura, soggetti a leggi costanti, sono chiusi in un ciroolo
di rivoluzioni sempre uguali. Tutto rinasce, tutto perisce, e in queste
generazioni successive, onde i vegetali e gli animali si riproducono, il tempo
non fa che ricondurre ad ogni istante 1’ imagine di ciò che ha fatto sparire.
La successione degli nomini, al contrario, offre di secolo in secolo uno
spettacolo sempre diverso. La ragione, le passioni, la libertà producono senza
posa nuovi eventi. Tutte le età sono incatenate da una suocessione di cause e
d’ effetti che legano lo stato del mondo a tutti quelli che ’hanno preceduto. I
segni moltiplioati del linguaggio o della scrittura, dando agli uomini i mezzi
d’assicurarai il possesso delle loro idee e di comunicarle agli altri, hanno
formato di tutte le conoscenze particolari un tesoro comune, che una
generazione trasmette all'altra, come un’ eredità sempre accresciuta delle
scoperte di ogni secolo; © il genere umano, considerato dalla sua origine,
appare agli occhi del filosofo un tutto immenso, che ha, al pari d’ ogni
individuo, la sua infanzia ο il suo progresso >. 11 Condorcet considera il
progresso sociale e morale delV umanità come svolgentesi specialmente intorno a
questi tre punti : Ja distruzione dell’ ineguaglianza tra le nazioni, il
progresso dell’eguaglianza in un medesimo popolo, infine il perfezionamento
reale dell’uomo; quest’ ultimo sarà determinato « sia dalle nuove scoperte
nelle scienze © nelle arti, e, per necessaria conseguenza, nei mezzi di
benessore 905 Pro particolare e di prosperità comune, sia
dal progresso nei principî di condotta ο di morale pratica, sia infine dal
reale perfezionarsi delle facoltà intellettuali, morali ο fisiche, che pnd
essere ugualmente la conseguenza del perfe zionarsi degli stromenti che
aumentano l'intensità di codeste facoltà o ne dirigono l’impiego, ο del
perfezionarsi dell’ organizzazione naturale dell’ uomo ». Kant deduce la legge
storica del progresso nmano dall’ ipotesi del determinismo; in qualunque modo
si concepisca il libero arbitrio, è innegabile che le azioni umane sono
determinate dalle leggi universali della natura, al pari d’ogni altro fenomeno
naturale, 9 che si può, in certo modo, considerare la storia della razza umana
come il compimento d’un piano nascosto della natura, tendente a produrre uno
stato umano perfetto, così interiormente come esteriormente: « Come la specie
umana è in continuo progresso quanto alla cultura,. che è il fine naturale
dell’ umanità, ‘così deve essere in progresso verso il bene quanto al fine
morale della sua esistenza, © se questo progresso talvolta può subire
interruzioni, non può esser mai interamente arrestato ». Fichte ha tanta
fiducia nel progresso civile ο morale dell’ umanità, da profetare un giorno in
cui persino il pensiero del male si cancellerà dalla mente degli uomini, ©
tutte le potenze della loro anima graviteranno verso il bene: « Il momento
giungerà in cui il malvagio, nella sua patria, in paese straniero, sn tutta la
superficie della terra, non troverà a chi nuocere impunemente, e si troverà
quindi spogliato della libertà e della stessa volontà di fare il male; poichè
non possiamo supporre che continuerà a amare il male, se il male dovesse aver
sempre per lui delle conseguenze faneste ». Schelling invece, pur riconoscendo
che la nozione di storia implica quella d’ una progressività infinità, sostiene
che il progresso morale dell’ umanità non può essere per noi una certezza, non
potendo essere provato nd teoricamente nd con l’esperienza, ma Pro 906 soltanto una credenza «un eterno articolo di
fede dell'uomo, nel mondo dell’azione ». Per Hegel 1’ evoluzione universale si
compie col ritmo della dialettica speculativa, «ο questo ritmo si riproduoo in
tutti i dettagli, in tutte le sfere: tutto si riproduce, si determina, si
differenzia, e tutto ritorna alla identità primitiva. E uno sviluppo continuo,
che ritorna senza posa su sò stesso, con un più alto grado di realtà
determinata e di conoscenza, una esplicazione eterna, infinita, il oui fine,
per lo spirito che presiede senza coscienza a questo movimento, è la coscienza
esplicita della sua assoluta sovranità ». Per Comte il progresso sociale dell’
umanità si compie attraverso tre fasi : militare, giuridica e industriale,
corrispondenti ciascuna alle tre fasi intellettuali: teologica, metafisica ο
soientifica e positiva; è infatti il modo di pensare degli uomini che determina
il loro modo di essere sociale, « è per l’influenza sempre più forte
dell’intelligenza sopra la condotta generale dell’uomo e della società, che il
cammino graduale della nostra spocie ha potuto realmente acquistare quei
caratteri di costante regolarità e di continuità perseverante, che la
distinguono profondamente dal movimento vago, incoerente e sterile delle specie
animali più elevate». Anche per J. 8. Mill, la testimonianza della storia e
quella della natura umana concordano nel mostrare che, tra i fattori del
progresso sociale, quello che possiede 1’ efficacia preponderante è
l’intellettuale, ossia « lo stato delle facoltà speculative della razza umana,
stato manifestato nella natura delle credenze a oui essa è arrivata per
qualsiasi via riguardo sò stessa ο il mondo che la circonda »; perciò il
progresso sociale, per quanto lento, è illimitato, ο « di fronte alle cure ο
agli sforzi degli uomini tutte le principali cagioni della sofforenza umana
possono cedere in gran parte, molte possono cedere quasi completamente ». Dicesi progresso all’ infinito (progressus in
infinitum) il movimento dello spirito che, poste certe condizioni, passa
necessaria 901 Pro mente da ciascun
termine ad un termine nuovo; ad es. nella serie dei numeri o nella ricerca
delle cause efficienti. Gli scettici antichi, specialmente Carneade e Agrippa,
lo usarono come uno dei tropi o motivi di dubbio: ogni prova presuppone, per il
valore delle sue premesse, altre prove, ogni principio altri principi più
generali e così via senza poter mai raggiungere la certezza. Cfr. R. Bacone,
Opus majus, cap. VI; Turgot, Diso. sur les progrès du genre humain, 1750;
Condorcet, Esquisse des progrès de V esprit humain, 1804; H. Spencer, I!
progresso umano, trad. it. 1907; G. Sorel, Le illusioni del progresso, trad.
it. 1910; A. Matteucci, Il progresso umano nella sua più intima economia, 1910;
A. Loria, Che è il progresso? « Riv. it. di sociologia», 1911 (v. eredita,
teratologia). Proiezione. T. Projektion: I. Projection; F. Projection. L’atto
mentale con cui si riferisce il contenuto della sensazione ad una causa
oggettiva, localizzandolo in punti dello spazio diversi da quelli nei quali si
colloca in imaginazione lo spirito pensante. Spinoza lo esprime nel seguente
teorema: « Se il corpo umano è affettato da una modificazione che involge la
natura di un corpo esteriore, qualunque esso sia, l’anima umana si
rappresenterà codesto corpo come esistente in fatto o come presente per essa -finchè
il corpo umano sia affettato da un’altra modificazione che escluda l’esistenza
o la presenza del corpo in questione ». Condillac riferisce l’origine della
proiezione alle impressioni tattili: « Come il sentimento può estendersi al di
là dell’ organo che lo prova e che lo limita? Considerando le proprietà del
tatto, si riconobbe che esso è capace di scoprire codesto spazio e di insegnare
agli altri sensi a riferire le loro sensazioni a corpi che in codesto spazio
sono distribuiti ». Ugualmente il Riehl: « La proiezione dell’ imagine non è
altro che l’associazione della stessa con sensazioni contemporanee del senso
tattile ». Per l’Ardigò invece la proiezione è una forma d’ integraPro 908 zione d’inquadramento nello schema dell’
eterosintesi o non-Io; integrazione che si compie mediante un esperimento, il
quale a sua volta consiste sia nell’ accompagnamento di altre sensazioni, sia
nella verifica per mezzo di un secondo senso. Per il Sergi la proiezione è il
ripereuotersi psicologico di un fatto fisiologico, costituito dal fatto che
l'onda nervosa centripeta, che aveva prodotto la sensazione, torna indietro per
la medesima via percorsa prima; quindi, come l'eccitazione centripeta tende a
dare carattere soggettivo ad ogni mutazione psichica che ne segue, così }
eccitamento riflesso centrifugo tende a far uscire dal soggetto la mutazione
prodotta, perchè si spinge per le vie esterne. Cfr. Spinoza, Ethica, 1. II, teor.
XVII; Condillae, Traité des sensationis, 1886, IV, cap. 8, $ 2; A. Riehl, Der
philosoph. Kriticismus, 1879, II,
2, p. 58; Ardigò, Op. fll., IV, p. 343 segg.; G. Sergi, Teoria fisiologica
della percesione, 1884. Prolepsi v. anticipazione. Propedentica. T.
Propädeutik; I. Propaedeutica; F. Propédeutique. Quell’ insieme di nozioni che
sono necessarie per prepararsi allo studio di una scienza; così l’anstomia e la
fisiologia del sistema nervoso sono la propedeutica alla psicologia; la logica
generale e speciale è, ο dovrebbe essere, la propedentica di tutte le scienze.
Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, pref. della 2° ed., $ 3. Proporsione. T.
Proportion; I. Proportion: F. Proportion. Nella logica è quel modo d’
argomentazione per cui, date tre quantità, conoscendosi il rapporto che passa
tra due, si trova il rapporto che passa tra la terza ed una quarta incognita in
correlazione con esse. Il rapporto fra dette quantità è diretto, quando col
crescere di nna cresce proporzionatamente anche l’altra; ad es. il giovane deve
saper padroneggiare sò stesso, dunque tanto più l’ adulto (col crescere dell’
età cresce il dovere di padroneggiare sò stessi). Il rapporto è inrerso quando
col crescere d’ una 909 Pro delle due quantità l’altra decresce
proporzionalmente: ad es. il ricco non deve essere imprevidente, dungue tauto
meno deve esserlo il povero (il dovere di essere previdenti cresce col
diminuire della ricchezza). Gli scolastici chiamavano la prima argomentazione a
minori ad maius, la seconda @ maiori ad minus. Nel linguaggio scolastico dicesi
ancora proportio entitatis ο commensurationie 1’ ordino d’una cosa ad un’altra
per ragione del suo essere (ad es. la proporzione tra due uomini per ragione
dell'umanità); © proportio habitudinis l'ordine di una cosa all’ altra per
ragione della loro mutua convenienza (p. es. I’ intelletto all’ intelligibile).
Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 678-679 (v. analogia). Proposizione. Gr.
᾽Απόφανσις, πρότασις; Lat. Propositio; T. Sate, Proposition; I. Proposition; F.
Proposition. Non è altro che il giudizio espresso con parole; il giudizio è un
processo mentale, la proposizione un processo linguistico che l’esprime. Ora,
1’ espressione formale perfetta del giudizio consta di due termini, soggetto e
predicato, e del verbo o copula che esprime la loro relazione; quando è cost
costituita si ha la proposizione binaria. La quale però non è l'unica espressione
possibile di un giudizio, in quanto anche le parole si, no, gui, rado, ecc.
esprimono pure dei giudizi. Secondo alcuni logici qualsiasi parola esprimento
un concetto è, per sè stessa, un giudizio, e ciò sia perchò il concetto è
sempre il riferimento reciproco di due termini, sia perchè quando si pensa si
ha la coscienza di averlo, e quindi è implicitamente e necessariamente l’affermazione
di sò stesso. Del resto la proposizione binaria è propria specialmente delle
lingue a flessione; nelle lingue agglutinanti basta un termine solo, e nelle
monosillabiche ne sono necessari ben più di due. Cfr. Aristotele, Περὶ éppyy.,
4 ο 5, 17 a 1 segg.; Masci, Logica, 1899, P. 149 segg. (v. concetto, giudizio,
grammatica, linguaggio). Proprietà. T. Eingeschaft, Eingentum; I. Property; F.
Propriété. La proprietà non va confusa colla qualità. Pro 910 Vi
sono due specie di qualità: quelle che costituiscono l'essenza stessg della
cosa, come l’ estensione nei corpi, cosicchè non è possibile pensare quella
cosa astraendo da tali qualità; e quelle che derivano da queste, o che almeno
le suppongono, come la porosità dei corpi. Ora le prime diconsi più
propriamente attributi, le seconde proprietà. Così infatti C. Wolff definisce
le proprietà: attributa, quae per omnia essentialia simul determinantur,
diountur propristates. E il Wundt: «in senso esatto devono valere come
proprietà di un corpo solo quei predicati, che gli appartengono stabilmente
come caratteri suoi propri, non come effetti che il corpo produce ο riceve
quando sia posto in determinate condizioni ». La distinzione però non è osservata
nel linguaggio comune, e talvolta neanche in quello filosofico. Cfr. Chr.
Wolff, Philosophia rationalie, 1732, $ 66; Wundt, Phil. Stud, v. 13, p. 386 (v.
qualità, attributo, essenza, modo). Proprio. Gr. Ἴδιον; Lat. Proprium; T.
Eigene; I. Proper; F. Prope. Il carattere ο l'insieme dei caratteri appartenenti
a tutti gli esseri d’una classe, e ad essi solo; tali caratteri possono essere
tanto essenziali quanto accidentali. Il proprio è uno dei cinque categorumeni o
predicabili, enumerati da Aristotele. Esso designa il carattere accidentale ο
essenziale, fondamentale o derivato, che appartiene ad una specie o ad un
individuo. Gli altri predicabili sono il genere, la specie, la differenza ο
l’accidente; il proprio si distingue dalla differenza, perchè questa, oltrechè
un carattere proprio, è anche sempre essenzialo e fondamentale, e si distingue
dall’ accidente, che è sempre passeggero mentre il proprio può essere anche
permanente. Aristotele distingue cinque sensi del proprio: 1° ciò che, senza
esprimere l’essenza della cosa, le appartione tuttavia ο οἱ reciproca con essa;
ad es. l'essere medico è proprio solo dell’uomo, ο reciprocamente, solo un uomo
pud essere medico; 2° ciò che appartiene alla cosa sempre © per sò 911 Pro
stessa, ma non ad essa soltanto; ad es. I’ esser bipede all'uomo; 3° ciò che
appartiene alla cosa non per sò stessa, ma per il suo rapporto con un’altra; sd
es. per l’anima di comandare e per il corpo di servire; 4° ciò che appartiene
sempre alla cosa ma per rapporto ad altre cose dove si trova una parte del suo
stesso proprio; ad es. il proprio dell’uomo rispetto agli animali è d’essere
bipedo; 5° ciò che appartiene alla cosa, ma solo a un certo momento, e quindi
in relazione ad altri momenti 6 ad altri individui; ad es. per un uomo il
passeggiare nel ginnasio © nell’ agora. Porfirio le riassunse poi con qualche
differenza. Cfr. Aristotele, Topiei, 1. I e V; Porfirio, Isagoge, IV, 4 a 14
seg.; Logique de Port-Royal, parte I, cap. VII; Rosmini, Logica, 1853, $
408-416. Prosillogismo v. polisillogiemo. Prossimo. T. Nächst, Nächste; I.
Next, Neighbour ; F. Prochain. Il più vicino. Usato come sostantivo ha significato
morale, indicando l'insieme dei nostri simili considerati come fratelli;
infatti la parola prossimo (meus prozimus) è la traduzione della parola
biblica, che designa l’uomo della stessa famiglia o della stessa tribù: « Tu
non userai vendetta contro i figli del tuo popolo, ma amerui il tuo prossimo
come te stesso » (Levit., XIX, 18). Nella logica dicesi genero prossimo l’idea
che, in duo idee o in una serie di idee disposte in ordine discendente di estensione
e ascendente di comprensione, contiene un’altra idea (specie) che la segue
immediatamente in quanto meno estesa; causa prossima quella che precede
immediatamente l'effetto; effetto prossimo quello che segue immediatamente la
causa. Es.: 1° dovendosi definire la giustizia, il suo genere prossimo è virtù
non qualità morale, perchè virtà è immediatamente superiore a giustizia, mentre
qualità morale, essendo più estesa di virtù, le è superiore; 2° la causa
immediata del dolore prodotto dalla scottatura non è il calore del corpo che ha
scottato, ma la conseguonte Pro 912 irritazione delle terminazioni nervose e la
sus trasmissione ai centri spinali; 3° l’ effetto immediato dell’ azione della
luce sull’ occhio non è la visione, ma il processo fotochimico determinato
nella sostanza purpurea della retina, al quale segue poi la sensazione visiva.
Protasi. T. Fordersate ; I. Protasis; F. Protase. Aristotele chiamava così il
giudizio che serve nel sillogismo di fondamento alla dimostrazione. Tale
giudizio fu detto poi premessa. I grammatici, per analogia, dicono protasi la
prima proposizione di un periodo. Protensivo. Si adopera talvolta in
opposizione a estensiro ciò che ha una grandezza nello spazio per designare ciò che ha una grandezza
(durata) nel tempo. L’ uso filosofico di questo vocabolo risale a Kant: « La
felicità è la soddisfazione di tutte le nostre tendenze, sia estensive, quanto
alla loro molteplicità, che intensive, quanto al loro grado, che protensive,
quanto alla loro durata ». Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, Methodenlehre, vom Ideal des hchsten
Gute, A 805, B 833. Protoestemi
(xpHto¢ =primo, αἴσθσις = sensazione). Con questo nome l’Ardigò designa le
sensazioni minime o elementari, dalla cui somma ogni sensazione, che non è un
fatto semplice ma complesso, risulta. I protoestemi sono analoghi ai singoli
minimi da cui risultano per reduplicazione gli elementi delle altre formazioni
naturali: le molecole della biologia, gli atomi della fisica, le monadi eteree
della chimica. Come questi, i minimi protoestematici sono dati ipotetici,
perchè non sperimentabili direttamente; e come questi, sono unità relative,
perchè lo psicologo si ferma ad essi quale ultimo unico, non occorrendogli di
ricercare come sussistano e quale sia la loro costituzione. Così si avvera per
il pensiero ciò che avviene nella natura ‘universale, in cui nulla si trova
essere solamente un tutto, e nulla solamente una parte, ma ogni tutto per
quanto grande è sempre parte di un tutto maggiore, e ogni parte 913 Pro
Per quanto piccola è sempre un tutto di parti minori; in modo che, preso
dovunque un tutto, oltre di esso se ne trova un altro più grande, e poi un
altro più grande ancora, e così via all'infinito; e dentro di esso si trovano
delle parti componenti, poi delle parti di queste parti, ο così via
all'infinito. Cfr. Ardigd, Op. fil., VII, 34 segg., 62 segg., 80 segg. (v.
elementi psichici). Protologia. T. Protologie; I. Protology; F. Protologie.
Vocabolo ormai in disuso, che può designare tanto la scienza Prima o dei primi
principi, quanto il diritto di priorità a discorrere in una adunanza, quanto un
trattato intorno ai pit semplici organismi viventi. Nell’ ontologismo del Gioberti
la protologia è la scienza ο filosofia della prima attività del pensiero, vale
a dire dell'ente intelligibile intuito Per via del pensiero immanente; peroid
la protologia è scienza Pura, esclude ogni mescolanza di soggettivo e serve
anzi di regola per sceveraro nelle altre conoscenze gli elementi soggettivi
dagli oggettivi. Si differenzia dalla ontologia, che contempla I’ ente nell’
atto secondo, cioè come oggetto della riflessione e del pensiero successivo ; e
dalla pricologia, che analizza il pensiero successivo considerato soggettiva
mente, mentre la protologia contempla il pensiero nell’atto primo e come
principio creativo e costitutivo dello spirito, quindi nell’ intuito puro dell’
intelligibile. Cfr. V. Gioberti, Della protologia, 1857, t. I, p. 154 segg.; E.
Pini, Saggio sulla protologia, 1870. Protoplasma (πρῶτος = primo, πλάσσω formo). T. Protoplasma; 1. Protoplasm; F.
Protoplasme. Termine creato dal Mohl, e tosto largamente diffuso, per indicare
la materia viva fondamentale, che ha la proprietà di contrarsi. È costituito da
un insieme di sostanze organiche, chimicamente indefinibili perchà di
costituzione assai variabile. Quanto alla sua morfologia, queste sono le prin.cipali
teorie avanzate in proposito fino ad ora: che sia formato da un reticolato di
sostanza omogenea, che eser58 Raxzou,
Dizion, di scienze filosofiche. Pro 914 cita la fanzione fondamentale e contiene
grannlazioni non viventi; che tali granulazioni o microsomi siuno invece gli
organi elementari viventi costitutivi d’ogni protoplasma; che sia costituito da
un reticolato di sostanza ferma, ο da una sostanza amorfa e viscosa (sostanza
vitale) contenuta nelle maglie; che detto reticolato sia formato di fibrille
intrecciantisi; che il citoplasma sia composto di piccoli alveoli le cui
pareti, prementisi tra loro, formano il protoplasma. Cfr. Schwarz, Die
morphologische und chemische Zusammensetzung des Protoplasmas, 1887; E. B. Wilson,
The structure of protoplasm, 1899; Y. Delage, La structure du protoplasma et
les théories sur U’herddite, 1895 ; Luciani, Fisiol. dell’ uomo, 8" ed.
1908, vol. I, p. 16 segg. (v. generazione, cellula, vita, organismo, pionosi).
Protozoi. T. Protosoon, einzelliges Tier; I. Protosoon ; F. Protozoaire. Gli
animali dalla struttura più semplice, simili per la loro forma e per il loro
modo di vivere agli elementi costitutivi degli animali superiori. Essi sono costituiti
da una singola cellula o da un gruppo di cellule similari. Non dovrebbero
confondersi coi protisti, nome proposto dall’ Haeckel per designare gli
organismi costitaiti da protoplasma senza nucleo. Cfr. Haeckel, General.
Morphol., 1866; Calkins, The protozoa, 1901. Provvidenza. T. Vorsehung ; I.
Providence; F. Providence. La suprema saggezza e bontà di Dio, che si esercita
nella natura e nella storia; la sua azione permanente che governa il mondo e
l'umanità. Providentia totue mundus administratur, et ita nihil fit, quod non
pertineat ad opus providentiae. La Provvidenza però non esclude, secondo la
teologia cattolica, l’attività delle cose e la libertà del volere: « Secondo
certi filosofi, dice S. Tommaso, l’azione divina in ciascun essere si deve
intendere in questo senso, che cioò nessuna forza creata realmente agisca, ma
che ogni azione proceda immediatamente da Dio. E questa una teoria assurda;
prima perchè in tal caso la causalità delle 915 Pro
creature verrebbe ad essere distrutta, il che imprimerebbe alla potenza divina
il carattere di debolezza, giacchè è proprio di Dio produrre tali effetti, che
siano capaci di dare origine a degli altri; in secondo luogo perchè le facoltà
attive, di cui vediamo esser fornite le creature, invano sarebbero state a loro
concesse, se dovessero rimaner prive di ogni effetto vero e reale. Chè anzi le
creature stesse, prive di ogni operazione propria, diventerebbero inutili,
poichè il fine dell'esistenza di ogni essere è l’azione ». La Provvidenza si
collega strettamente agli altri attributi divini; infatti non è possibile
concepire in Dio una Provvidenza, se non si suppone in lui una conoscenza originaria
perfetta dell'avvenire © delle azioni libere degli uomini (prescienza); e Dio,
essendo per definizione l’essere assolutamente necessario ed esistente per ad,
non deve aver limiti nella sua potenza (onnipotenza) e tutti gli attributi
della sus essenza debbono essere assoluti o infiniti. In due modi si esercita
la Provvidenza divina: se non si considera che l’organizzazione permanente
delle cose, la costituzione di leggi fisse i cui benefici effetti sono stati
previsti ο in. ragione dei quali codeste leggi farono scelte, si ha la
provvidenza generale; l’ intervento personale nel corso degli avvenimenti
suocessivi, dicesi provvidenza particolare. Nel concetto cristiano i disegni ©
gli soopi della Provvidenza sono ignoti all’ uomo: « Dio, dice 8. Agostino,
distribuisce i beni della terra ai buoni e ai malvagi secondo l'ordine dei
tempi ο delle cose, ch’ egli solo conosce >. Tale concetto fu essgerato dal
Malebranche, © più ancora dal Bossuet, nel cui fataliamo mistico ogni
avvenimento è dovato ad un piano predeterminato da Dio, ad un ordine segreto
della Provvidenza; 1’ umanità, perfettamente cieca, cammina verso una meta che
non conosce, condotta da Dio che solo vede e solo sa. Asssi diversa ο più
geniale è, a tal proposito, la dottrina del nostro Vico, il quale, pur facendo
operare la Provvidenza sulla storia dell’umanità, ne esclude PRU 916 l’azione cieca ed arbitraria nei fatti
particolari degli uomini. Secondo il Vico, la Provvidenza opera sulla natura e
sulla storia per mezzo delle cause seconde (rebus ipsis dictantibus), create da
Dio stesso colla natura loro propria e colle proprie leggi, ch'egli lascia
svolgere liberamente; la sua Provvidenza consiste quindi nel mantenerle sempre
in questa loro natura. Cfr. Gerson, De consol: theologiae, 1706; 8. Tommaso, S.
theol., I, q. XVIII, art. 4, q. CII, art. 1; Malebranche, Méditations
chrétiennes, med. VII, $ 17; Vico, Principi di una scienza nuova, ed. P.
Viazzi, 1910, p. 59 segg. (v. omniscienza, prescienza, corsi ο ricorsi,
fatalismo). Prudensa. T. Klugheit; I. Prudence; F. Prudenoe. Nel suo
significato più comune indica quella capacità di riflettere e di prevedere, per
cui si ovitano i periooli della vita © si adoperano i mezzi più acconci per il
conseguimento dei propri fini: « La prudenza, dice il Martineau, è un affare di
previdenza (foresight): il giudizio morale à inveco una questione di conoscenza
intima (insight). L'una valuta ciò che sarà, l’altra ciò che immediatamente è;
l'una decide tra condizioni future desiderabili, l’altra fra intime e presenti
sollecitazioni ». Intesa invece come una delle quattro virtù cardinali, la
prudenza (φρένησις) consiste nella forza dello spirito © nella conoscenza della
verità; da essa derivano, secondo Β. Tommaso, i precetti morali. Per Kant
invece la prudenza è « l'abilità nella scelta dei mezzi d’ ottenere per sè
stessi il maggiore benessere »; © poichè la tendenza al proprio benessere non è
un bisogno della ragione, ma esiste solo empiricamente, una morale fondata su
ossa risolve le leggi morali in tanti precetti della prudenza. Por il Rosmini
la prudenza può essere tanto una virtù, quanto una semplice « abilità di
arrivare alla conoscenza di un fine qualsiasi >; ma al all’una come
all'altra 8’ applica la suprema regola della prudenza, che si può formulare
così: opera a tenore del pensare intero e complessivo, non a tenore del pensare
astratto e parziale. Cfr. 917 Psr-Psı 8. Tommaso, S. theol., I, 33, q. LX, art. 1 segg.; Martineau,
Types of ethioal theory, 1866, vol. I,
p. 65; Kant, Grundlegung sur Metaph. d. Sitten, 1882, IV; Rosmini, Pricologia,
1848, t. II, p. 342 segg.; Id., Filosofia della politica, 1837, t. I (v.
pratica, virtà). Psendoestesia. Falsa sensazione, che può essere generale
oppure specifica. In questo secondo caso assume nomi diversi: quando avviene
nella vista dicesi pseudoblepsia ο pseudopia, nell’ udito pseudaooe, nel gusto
pseudogeusia, nell’ olfatto peoudoemia, nel tatto peeudafia. In generale si
preferiscono lo espressioni di allucinazione o illusione tattile, uditiva,
cenestetica, gustativa, ecc. Psiche. Gr. Ψυχή; T. Peyohe; I. Psyche; F. Payohé.
Attualmente è usato come sinonimo di anima, spirito, ο talvolta anche di
coscienza, io, personalità. Presso i greci dei tempi omerici la psiche era
invece concepita come un’ ombra simile al corpo, un soffo di natura corporea ma
più tenue, più sottile, che funzionava come principio animatore della vita e
abbandonava quindi il corpo all’ istante della morte, uscendo dalla bocca o
dalla ferita, per vivere poi una vita indipendente e libera. In seguito,
codesta indipendenza della psiche dal corpo si afferma sempre più, fino ad
essere considerata come permanente nel corpo solo per un tempo determinato, ma
avente la sua vera patria oltre le stelle e capace di lasciare il corpo anche
per breve tempo, come nell’ estasi ο nel sogno. I filosofi cosmologi primitivi
1’ identificarono col principio animatore ο con I’ elemento originario dell’
universo : così per Anassimandro ὃ aria, per Eraclito e Parmenide fuoco, per
Diogene aria calda esalata dal sangue, per Anassagora una parte del nous
cosmico, per i pitagorici un numero, l’ armonia del corpo, da cui però è
separata, tantochd sopravvive alla sua morte © passa da corpo a corpo
(metempsicosi). Con Platone il concetto dell indipendenza della psiche, © del
suo valore etico-religioso, raggiunge la piena espressione: come principio del
penPst 918 siero la paiche è immortale nella sua ragione,
come principio del movimento è immortale nella sua attività, come principio
della virtù è immortale nella sus sensibilità. La pura essenza della psiche è,
per Platone, la ragione; la pura essenza degli oggetti le Idee; ragione e Idee
sono semplici, indissolubili, quindi immortali : noi siamo dunque immortali
nella nostra Idea e nella nostra ragione. Ma, osserva Simmia a Socrate, la
psiche non è simile all’armonia della lira, che svanisce quando la lira è
rotta? No, risponde Socrate; la psiche è piuttosto il musico invisibile che fa
vibrare la lira, alla quale preesiste, dalla quale è distinto, alla quale
sopravvive; è la sorgente e il principio del movimento; il movimento eterno
suppone quindi una psiche eterna, nella quale le nostre erano già contenute e
da cui non si sono staccate che per entrare nei corpi : la nostra psiche
partecipa dell’ eternità dell’ anima universale. Ma l’anima nostra deve anche
essere ricompensata © punita secondo il suo valore, che la giustizia umana è
incapace di giudicare; occorre dunque un’altra giustizia, occorre un’ anima che
si rivolga alla nostra faccia a faccia, e pronunci la saa sentenza con un
decreto infallibile: è l’anima divina, In qual modo si compirà l’espiazione ο
la ricompensa nell’ altra vita, Platone non determina in modo uniforme,
abbandonandosi alle ipotesi ο ai miti poetici; dai quali traspare però un’ idea
dominante, V idea della Provvidenza vigile, cho dà a ciascuno secondo le opere
e dispone tutte le parti dell’ universo nell’ ordine più proprio alla
perfezione dell’ insieme. Per Aristotele la psiche è la forma, che fa del corpo
ciò che esso è; la psiche è dunque la piena realtà del corpo, la sua
enteleohia, e, como tale, ciò che ne fa un corpo vivente, la possibilità permanente
dello funzioni vitali. Questo concetto aristotelico di psiche può anche
tradursi, secondo il Siebeck, in quello di forza vitale, se si considera quest’
ultima non come risultato della funzione organica nelle sue singole produzioni,
919 Pat ma come causa di essa, anzi causa nel
senso che non solo da ess dipendono gli effetti organico-corporali, ma anche
gli psichici © spirituali. Quindi per Aristotele le diverse specie di funzioni
vitali sono come diversi gradi della vita psichica, che, non ostante la loro
diversità, formano nell'organismo nn tutto unico: l’anima opera sempre nell’ organismo
come una determinata specie di funzione, come anima nutritiva, sensibile,
motrice, intellettiva, o come parecchie di esse insieme. Nel medio evo la
rappresentazione della psiche torna ad oscurarsi di nuovo, tantochè si ritrovano
tracce di rappresentazioni materialistiche anche nei Padri della Chiesa. Solo
con Cartesio 1’ ides della peiche come essenza puramente spirituale torna ad
acquistare la sua chiarezza: « Lo stesso rapporto che esisteva nell’antichità
tra Platone e Omero, dice 1’ Héffding, esiste nei tempi moderni tra Descartes,
che fa consistere l’ essenza dell’ anima nella coscienza, 9 la concezione dell’
età di mezzo ». E da questognomento cominciano a delinearsi © precisarsi lo
dottrine fondamentali intorno alla natura dell’ anima: materialismo,
spiritualismo monistico e dualistico, fenomenismo e attualismo. Cfr. Platone,
Fedone, 245; Id., Gorgia, 493; Id., Timeo, 41 E; Aristotele, De An., 1, 421 a,
27 segg.; Siebeck, Aristotele, trad. it., p. 84 segg.; Id., Geschichte d.
Peychol., 1880-84; Volkmann, Lehrbuch d. Pryohol., 43 ed. 1894, vol. I, p. 66
segg.; Chaignet, Histoire de la paychol. ohes les Grecs, 1887; Cravely, The
idea of tho soul, 1909; J. G. Frazer, Peyche’s task, 1909; Héffding,
Psychologie, trad. franc. 1910, p. 11; G. Sergi, La peiche nei fenomeni della
vita, 1901; Ardigd, Opere fi, III, 76 segg. (v. anima, animiemo, coscienza, io,
noo, ecc.). Psichiatria. T. Peyohiatrie; I. Psychiatry; F. Payohiatrie. La
scienza che ha per oggetto le malattie mentali, di cui ricerca le cause ο
stabilisco i rimedi. Il Morselli la definisce ampliamente : quella parte della
medicina che studia le deviazioni della mente umana, prodotte dalle anomalie
Psr 920 ο malattie primitive e secondarie del suo
fondamento (cervello), © che indica i mezzi per prevenirle e curarle. Una
definizione strettamente scientifica e materialistica è quella del Meynert:
clinica delle malattie del cervello anteriore (in quanto sembra ormai accertato
che le parti anteriori delPencefalo, e soprattutto il mantello degli emisferi,
siano la sede delle funzioni psichiche più elevate). Per lungo tempo essa si
abbandonò alle speculazioni filosofiche per cercare la natura dell’ anima
umana; oggi ha abbandonata tale ricerca alla metafisica, e, constatato il
rapporto e la proporzionalità esistente tra i fatti fisici (fisiologici) e i
fatti psichici, cerca invece di stabilire la sede dei fatti psichici stessi.
Essa quindi si ricongiunge da una parte alla fisiologia, dall’ altra alla psicologia.
Si distingue dalla psicologia patologica propriamente detta, in quanto questa
non si propone lo studio della prevenzione delle malattie mentali e dei loro
rimedi. Cfr. E. Morselli, Introdusione allo studio della peiool. patologies,
1881; Id., Manuale di somejotica delle malattie mentali, 1885-94; Meynert,
Peychiatrie, 1884; Kraepelin, Psychiatrie, 5° ed. 1896; Krafft-Ebing, Lehrbuch
der Psychiatrie, 5* ed. 1898: 8. Lugaro, I problemi della psichiatria, 1907.
Psichici (fatti). T. Psychische Erscheinungen ; I. Paydhical processes; F.
Phénomènes peyohiques. Essendo semplici © primitivi sono in sò stessi
indefinibili. Solo αἱ può dire che i fatti psichici sono i fatti di coscienza,
poichè ogni fatto psichico è necessariamente avvertito dal soggetto: come le
espressioni fatto fisico e fatto meccanico si equivalgono, così pure si
equivalgono le espressioni fatto paichico e fatto cosciente, Il loro primo
carattere è dunque di casero interni ο d’ essere conosciuti immediatamente ο direttamente;
con ciò si oppongono a tutti gli altri fatti, i quali, avvenendo fuori di noi,
sono esterni e non sono conosciuti che mediatamente, ciod per mezzo di un fatto
psichico, Il secondo carattere, che si ricollega al precedente, 921 Psi
è d’ essere conosciuti direttamente solo da colui in oui avtengono ; i fatti
psichici che si svolgono in altri non sono da noi conosciuti che mediante un
ragionamento d’analogia. Terzo carattere è di essere situati solo nel tempo e
non avere dimensioni spaziali; si possono quindi misurare nella loro durata e
intensità, non nella loro estensione. Altri caratteri secondari e derivati sono
i seguenti: non Possono ridursi a movimento, per quanto siano sempre
accompagnati da un movimento; sono reali solo quando sono attuali, presenti,
giacchè anche il ricordo del passato © il pensiero del futuro sono stati
presenti della coscienza ; valgono per sò stessi, laddove ogni fatto materiale
deve essere spiegato con un altro fatto materiale; costituiscono sempre un’
unità che non esclude la molteplicità, il cangiamento ο la diversità, ο,
inversamente, una molteplicità che non esclude l’unità; presentano un continuo
sumento qualitativo e una continua novità, mentre i fenomeni materiali sono
uniformi e regolati dal principio della conservazione della materia e della
forza; modificano il soggetto in cui si compiono, mentre i fatti esterni, in
quanto avvengono nella materia, modificano soltano le relazioni esterne degli
atomi componenti, non l’atomo in sò stesso; essendo inestesi non possono
localizzarsi, sebbene se ne possano localizzare le condizioni fisiologiche. Del
resto, il numero e la natura dei caratteri differenziali del fatto psichico,
nonchè la loro maggiore o minore importanza sono concepite diversamente nei
vari sistemi: materialismo, spiritualismo, dualismo, parallelismo, attualismo,
volontariemo, intellettualiemo, sensazionismo, monismo, incosciente, 900.
Quanto alla loro classificazione, la più comune è quella che li distribuisce
nelle categorie del sentimento, del pensiero ὁ della volontà; gli psicologi
antichi fecero di queste categorie delle potenze spirituali (facoltà) con le
quali vollero spiegare i fatti stessi; i moderni le considerano invece come
pure astrazioni. Cfr. Münsterberg, Grundzüge der PsyohoPsi 922 logie, 1900, cap. VII; Id., Psychology and
Life, 1899, cap. X; Spencer, Prinoiples of peychol., 1881, P. VIII, ο. 2; Baldwin,
The story of the mind, 1896, p. 6 segg.; Wundt, System der Philosophie, 2° ed.
1897, p. 305 segg.; G. Villa, La psicologia contemporanea, 1899; Id., 1)
idealismo moderno, 1905, p. 29 segg.; Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900,
p. 37 segg.; Ardigd, L'unità della cosoienea, in Opere fll., vol. VII, 1898, p.
39 n; M. Pilo, La olassificasione naturale dei fenomeni psichici, 1892; A.
Baratono, Sulla olassif. dei Jatti priohici, « Riv. di fil. », febbr. 1900 (v.
anima, coscienza, elemento, facoltà, sensazione, volontà, percezione, sostansialiemo,
600.). Psichicità. Termine generale con cui si sogliono designare tutti i
prodotti dell’ attività psichica dell’animale, dai più semplici ai più
complessi, sia dell’ ordine puramente intellettivo come di quello affettivo.
Esso ha quindi un'estensione maggiore dei termini mentalità, sensibilità,
affettività, eco. Psichico. T. Peyohiech ; I. Psyohical; F. Payohique. Che
concerne la psiche, lo spirito, inteso questo in senso empirico come sintesi
dei fenomeni mentali. Non dovrebbe mai confondersi con peicologico, che è ciò
che riguarda la psicologia, mentre psichico è ciò che riguarda la coscienza. Si
adopera anche, specialmente nel linguaggio anglo-americano, per indicare quell’
insiome di fenomeni spirituali ancora molto oscuri e che si presentano come una
manifestazione di facoltà nuove della coscienza (telepatia, medianiemo,
divinazione, eco.); tale è il senso del vocabolo nel nome della Society for
peychioal research di Londra, ο nel titolo dell’ opera di I. Maxwell, Les
phénomènes peyohiques, 1903. Psichismo. T. Psyohismus; I. Peyohiem; F.
Payohieme. Termine molto vago, che a’ adopera talvolta per indicare la vita
psichica totale, sia nelle sue forme più alte che nelle più basse, specialmente
però in queste ultime. Altre volte il termine psichismo è adoperato per denominare
le dottrine filosofiche, le quali trascrivono il mondo coi ca 923 Pst ratteri dell’ esperienza psichica, ossia
interpretano la realtà esterna mediante l’analogia con la realtà interna, psicologica
ed umana; in tal caso psichismo è quindi sinonimo di idealismo realistico : «
Per idealismo noi non designamo, dice il Fouillée, nd la negazione degli
oggetti esteriori, nd la rappresentazione puramente intellettualistica del
mondo; intendiamo la nozione di tutte le cose sul tipo psichico, sul modello
dei fatti di coscienza, concepiti come sola rivelazione diretta della realtà.
Da ciò, presso i filosofi contemporanei, codesto idealismo, il cui nome sarebbe
piuttosto psichismo ». È evidente però che, in questo caso, il termine
racchiude un apprezzamento critico e un’ intenzione polemica. Cfr. Grasset, Le peychieme
inférieur, 1906; G. Bohn, Le payohismo ches les animauz inférieurs, « Riv. di
scienza », 1909, vol. V, pp.
86-101; Fouillée, Le mouvement idéaliete, 1896, p. vi; C. Ranzoli, Il
linguaggio dei filosofi, 1913, p. 66-69. Psico-dinamica. T. Peychodynamisoh; F.
Peycho-dynamique. Quella parte della psicologia che studia gli effetti dinamici
dei fenomeni psichici. Già il Wundt aveva accennato alla possibilità di
misurare i fenomeni psichici per mezzo dei movimenti che eseguiamo; il Loeb per
primo ha tentato di farlo, cercando nella forza muscolare, determinata col
dinamometro, una misura dell’attività psichica; su questa via proseguirono poi
il Feré, il Lehmann, il Wolff, ece., estendendo le ricerche nel campo della memoria,
dell’ associazione, dell'attenzione, della stanchezza mentale, Cfr. Wundt,
Phys. Payo.,
I, p. 6; Loeb, Pflüger’s Archiv, XXXIX, 592; Feré, Sensation et mouvement,
1887, p. 33; Lehmann, Die Phys. Aequiv.
d. Bewusstseinserscheinungen, 1901; Aliotta, La misura in pic. sperimentale,
1905, p. 167-228, Psico-fisica. T. Peychophysik; I. Peychophysics; F. Paychophysigue.
Fechner designò in questo modo quel ramo della psicologia che studia
sperimentalmente i rapporti tra i fenomeni psichici e i fenomeni fisiologici.
Oggi si dice Ps 924 più comunemente peicologia sperimentale,
usando il termine psico-fisica soltanto per indicare i lavori del Fechner. Alcuni
però vorrebbero conservata la distinzione tra psicofisica © psico-fisiologica,
la prima delle quali studierebbe precisamente i rapporti che corrono tra i
fatti psichici © i fatti fisici nel senso stretto della parola, ad es. il grado
di eccitazione neoessario per avere una data sensazione, mentre la seconda
avrebbe per oggetto i rapporti dei fatti psichici con le modificazioni
fisiologiche dell’ organismo. Cfr. Fechner, Elemente der Peychopysik, 23 ed.,
1889; Id., Revision der Hauptpunkto der Peychophysik, 1882; Foucault, La
psychophysique, 1901; Tolouse, Technique de peyoh. experimentale, 1904; A.
Baratono, Elementi di peic. sperimentale, 1901; A. Aliotta, La misura in
psicologia sperimentale, 1905, p. 15-110. Psicofisiologia o psicologia
fisiologica v. peicofisica. Psicogenesi. T. Peychogencse, Seolenentwicklung ;
I. Peychogenesis; F. Peychogénèse. Origine e sviluppo della psiche, sia nell’
individuo che nella specie; questa dicesi psicogenesi filetica, quella
psicogenesi individuale ο diontioa. Secondo la legge biogenetica, stabilita
dall’ Haeckel, i due processi psicogenetici, individuale e specifico, si
oorrispondono, in quanto lo sviluppo della psiche individuale non à che una
ricapitolazione abbreviata di quello della specie. La psicogenesi filetica
sarebbe passata attraverso quattro gradi principali: 1° citopeioke ο anima
cellulare; 2° oenopsiche, o anima delle associazioni cellulari; 8° istopsiohe,
o anima dei tessuti così vegetali come animali; 4° neuropeiche, ο anima nervea,
che appare negli animali superiori e nell’uomo. Con l’espressione psioogonesi dell’ a priori
si suol indicare la dottrina dello Spencer e del Lewes, secondo la quale le
forme del pensiero sarebbero innate nell'individuo, acquisite nella specie:
tale dottrina presuppone 1) la legge generale dell’ intelligenza, la quale
implica l’ac 925 Pst cumulazione e
l’organizzazione dell’ esperienza; 2) l’eredità Psichica, la quale implica l’
esistenza di fenomeni psichici inconsci e la correlazione tra i fatti fisici ο
i psichici, Cfr. Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 207
segg.; Spencer, Principles of peyohol., 1881, vol. I, p. 467 segg.; Lewes, Probl.
of life and mind, 1879, III serie, vol. II, cap. X; Ribot, L’Aérédité, 1873, p. 72 segg., 122 segg.; F. Masci,
Le forme dell intuizione, 1881, p. 121-24 (v. biogenta). Psicografia. T.
Psychographie; I. Payohography; F. Psychographie. Termine introdotto
dall'Ampère per indicare quella parte della psicologia che descrive i fenomeni
della coscienza senza spiegarli. Oggi si adopera anche per indicare l’arte di
procedere alla descrizione psicologica di un individuo; pricogramma dicesi il
risultato della descrizione stessa. Dicesi pricografo uno stromento adoperato
nelle ricerche psico-fisiologiche. Ogni idea implica un movimento © tende a
continuarsi in un movimento, che si manifesta Spesso con una contrazione
debolissima dei muscoli periferici; lo psicografo è lo strumento che raccoglie
codesti movimenti esterni (delle mani, dei muscoli facciali, eco.)
corrispondenti al lavoro cogitativo interno, e li fissa con tracciati sopra la
carta affumicata distesa sopra un cilindro in movimento. Cfr. Ampère, Essai sur la
philosophie des sciences, P. LvI; Ostwald, Peychographische Studien, « Ann. der
Naturphilosophie», 1907; Baade e Stern, Uber Aufgale d. Payohographie, « Z. far
Angew. Paych. », III, 1909 (v. grafografo). Psicologia. T. Peychologie; I.
Psychology; F. Psychologie. Si
definisce comunemente come la scienza dell’ anima. Questa definizione è però
affatto provvisoria e vale solo in quanto designa la scienza di ciò che sente,
pensa e vuole, in opposizione alla fisica, che è la scienza di tutto ciò che si
muove nello spazio e lo riempie. E come la fisics non è obbligata a comineiare
collo spiegare che cosa è la materia, così la psicologia, osserva 1’ Höffding,
non è obbligata a spiegare che cosa è l’anima. Ma oltre Pst 926 la
definizione comune, accettata del resto anche da psicologi contemporanei di
grande valore, altre ve ne sono che ne differiscono sensibilmente. Così nei
trattati vecchi, e in quelli che seguono l'indirizzo del « senso interno », la
psicologia è definita come la dottrina dei fatti interni dell’uomo; per
Baumgarten è la scienza dei predicati generali dell’ anima; per Kant è la
metafisica della natura pensante; per Galluppi la scienza dello facoltà dello
spirito ; per Beneke lo studio di tutto ciò che conosciamo mediante V interna
percezione e sensazione; per Lotze 1’ oggetto della psicologia è l'insieme
delle condizioni e delle forze per le quali sorgono i singoli processi della
vita spirituale, il loro reciproco collegarsi e modificarsi così da costituire
la totalità dell’esistenza psichica; per Haeckel la psicologia non è che una
parte della fisiologia, ossia la dottrina delle funzioni e delle attività
vitali degli organismi; per Lewes è l’analisi © la classificazione delle
fanzioni e delle facoltà senzienti, rivelate dall’ osservazione e
dall’induzione, completata dalla loro riduzione alle loro condizioni d’
esistenza, biologica o sociologica; per William James la psicologia è la
scienza della vita mentale tanto nei suoi fenomeni quanto nelle sue condizioni;
per il Jodl è la scienza delle leggi e delle forme naturali del corso normale
dei fenomeni della coscienza; per il Sully è la scienza che mira a darci la
descrizione dei fenomeni mentali nelle loro molteplici varietà, e l'esposizione
delle leggi per cui possiamo spiegare tali fenomeni; per il Wundt è la scienza
della esperienza diretta, mentre le scienze naturali riguardano 1’ esperienza
indiretta; per Külpe è la scienza dell'esperienza soggettiva, ossia dell'esperienza
in quanto dipende dagli individui che sperimentano; per Schuppe è la scienza di
quei contenuti della coscienza che appartengono alla individualità; per il
Meunier la psicologia ha per oggetto lo studio di tutta la mentalità, sia
dinamica sia statica, valo a dire tanto degli stati di coscienza instabili con
cui l'organismo rea 927 Psr gisce all’
ambiente che lo circonda, quanto degli stati mentali estra-coscienti e più
stabili, che stanno in rapporto coi Primi; per Sergi 1’ oggetto della
psicologia è 1’ insieme dei fenomeni organici, che hanno per carattere
predominante la coscienza della funzione, i quali fenomeni si producono nei
centri di relazione, e nello stesso tempo degli antecedenti immediati dei
medesimi fenomeni coscienti. Il nome di psicologia sembra essere stato usato
per la prima volta dal Guelenius (1594) come titolo di un libro sulla
perfezione; ma soltanto con la scuola del Leibnitz il quale usava anche il
termine pneumatologia -esso comincia ad essere adoperato per desiguare la parte
della filosofia che riguarda |’ anima, Tuttavia, se la parola è relativamente
recente, la cosa ch’esaa designa, cioè lo studio dei fatti psichici, risale
molto addietro nella storia del pensiero filosofico, Cominciata con Socrate la
distizione tra il mondo interno e l'esterno, con Aristotele la filosofia è già
distinta in quattro grandi parti: logica, etica, fisica ο metafisica; la
psicologia non è nessuna di esse, ma fa parte di tutte, in quanto è lo studio
sia delle operazioni del pensiero, sia delle attività spirituali pratiche che
si estrinsecano nella condotta morale, sia dei rapporti che corrono tra anima e
corpo, sia infine dell’ essenza, dell’ origine e del destino dell’ anima umana.
Tale fu il posto e l’ufficio della psicologia fino a che durò l'impero della
filosofia aristotelica, vale a dire fino al Rinascimento. Con Cartesio e la sua
scuola essa si costituisce come una parte distinta della filosofia; con Hobbes
e Spinoza si afferma il principio della concomitanza dei processi organioi e
psichici, e la legge d’associazione è chiamata a ridurre la complessità della
vita spirituale ai suoi elementi componenti; con Hartley, James Mill,
Condillac, Herbart ο Beneke i problemi psicologici assumono gradualmente una
forma più definita e specifica, © si viene accumulando il materiale
sperimentale per la loro soluzione; infine coi positivieti dell’ultima metà del
secolo XIX diviene una scienza Pst 928 sperimentale a sò, come la filologia e la
fisica, senza alcuna dipendenza dalla filosofia, e senza speciali rapporti con
Ia metafisica, la logica e la morale. Questa dottrina però non è oggi condivisa
da tutti: molti considerano ancora la psicologis come una parte della filosofia
e le chiedono i dati necessari alla soluzione dei problemi logici, ontologici ο
morali; altri, pure negandole la dignità di scienza pura e riconoscendola come
parte della filosofia, credono tuttavia che essa sola possa risolvere quei
problemi che stanno alla base di tutte le scienze. Cristiano Wolff divise per
primo la psicologia in empirica e razionale, © questa rimase la divisione
classica della psicologia: l’empirica è quella che si limita a studiare i
fenomeni psichici e le loro leggi, la razionale quella che si occupa della
essenza stessa delP anima e attinge i suoi principi dall’ ontologia e dalla cosmologia.
Ma codesta partizione è combattuta oggi tanto dai positivisti, per i quali non
esiste che la prinia, quanto dai metafisici, i quali sostengono che nello
spirito fenomeni © sostanze sono indissolubilmente uniti. Gli psicologi moderni
s’accordeno nel distinguere una psicologia generale, che tratta dei fatti della
coscienza nelle loro forme più generali ed astratte, 9 una speciale, che si
applica a determinare le forme ο le leggi delle differenti combinazioni dei
fatti psichici. Questa psicologia speciale si distingue a sua volta in
psico-fisica © psicologia-fisiologica ; pricologia sociale ο collettiva;
psicologia patologioa ο oriminale; psicologia pedagogica ; psicologia storica
ed etnografica ; peicologia ontogenetica © filogenetica ; peicologia soologica
o comparata; psicologia segmentale; psicodinamica; psicometria ;
psicostatistioa; onirologia; ipnologia ; psicologia dei sensi. Da alcuni si
suole distinguere una psicologia descrittiva; che dei fatti psichici si limita
a descrivere la natura e il processo, © una psicologia esplicativa, che dei
fatti stessi rintraccia le leggi di produzione e di sviluppo. Altri distinguono
invece la psicologia soggettiva ο introspettica, che 929 Pst
studia i fatti psichici direttamente in sò stessi, dalla oggettiva (che
comprende la fisiologica, zoologica, sociale, ecc.) che si basa essenzialmente
sopra un ragionamento analogico. Cfr. Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900,
p. 1 segg.; Baumgarten, Metaphysica, 1739, $ 501; Kant, Krit. d. r. Vernunft,
ed. Kehrbach, p. 638 segg.; Galluppi, Elementi di fil, 1820-27, vol. I, p. 141;
Beneke, Lehrbuch d. Peyohol., 1861, $ 1, 12; Lotze, Grundeiige d. Peychol.,
1894, p. 5 segg.; Haeckel, Der Monismus, 1893, p. 22; Lewes, Problemes of life
and mind, 1874-1879, serie III, vol. I, p. 6; W. James, Principles of peyoh., 1890; Sully,
Outlines of peychol., 1885 ; Jodl, Lehrbuch d. Peychol., 1896, P. 5; Wundt,
Grandsüge d. physiol. Peychol., 1893, p. 1 segg.; Külpe, Grundriss d. Paychol., 1893, p. 3-4;
Sergi, La peychol. physiologique, trad. franc. 1888, p. 12; Cr. Wolf,
Psychologia empirica, 1738, § 1; Siebeck, Geschichte 4. Peyohol., 1880-84;
Windelband, Ueber den gegenwärtigen Stand der psychologischen Forschung, 1876 ;
H. Mtinsterberg, Ueber Aufgabe und Methoden der Peychol., 1891; Id., Grundsiige
der Peychol., vol. I, Die Prinzipien, 1900; Hartmann, Die moderne Pryohologie,
1901; Chaignet, Hist. de la peychol= chez les Grecs, 1887; R. Meunier, Les
soiences peychologiques, leurs méthodes et leurs applications, 1912; Ardigd, La
paicologia come scienza positiva, 1870; Id., L' unità della coscienza, 1898; G.
Villa, La psicologia contemporanea, 1911. Psicologia collettiva o sociale. T. Socialpsychologio,
Vilkerpsychologie; 1. Social peicology; F. Psychologie sociale, colleotire.
Quella parte della psicologia che ha per oggetto lo studio dei fenomeni
psichici collettivi, Il fatto psichico è essenzialmente individuale, quindi per
fatti psichici collettivi devono intendersi quelli che, pur avendo per tentro
la coscienza dell’ individuo, si collegano direttamente, in sò e nel loro
processo, con P’ ambiente sociale, fuori del quale riescono inconcepibili. Tali
fatti psichici possono essere sia normali che patologici; quindi la psi59 Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche. Psr 930 cologia collettiva αἱ divide in normale ο
patologica. Per molti autori le due
espressioni psic. sociale © psie. collettiva si equivalgono, designando
entrambe lo studio delle manifestazioni peichiche di un gruppo, di una
pluralità di individui viventi insieme. Altri invece le considerano come duo
scienze distinte. La psicologia sociale o demopsicologia ο psicologia dei
popoli ha per proprio oggetto lo studio del meccanismo o della tecnica
interiore dei processi 80ciopsichici; sorse in Germania intorno al 1860 col
Lazarus e lo Steinthal, che la concepirono come disciplina intermedia tra la
psicologia e la scienza morale, avente per scopo di spiegare i fenomeni
complessi che si producono nella società, mediante le leggi semplici della
psicologia individuale; dal Wundt è intesa invece come uno dei metodi di cui la
psicologia si vale per studiare nei suoi vari aspetti i prodotti dello spirito,
ο deve occuparsi esclusivamente dei prodotti primordiali che αἱ sviluppano
nelle condizioni più semplici della convivenza sociale (mito, linguaggio,
costume); per altri invece, come l’Ellwood, essa deve esaminare e spiegare
tutti i processi psichici di gruppo, dai più semplici ai più elevati, come le
istituzioni social le tradizioni, l’opinione pubblica, ecc. La psicologia collottiva
ο psicologia delle folle ha invece per oggetto lo studio delle riunioni di
individui avventizie, accidentali ο inorganiche; ne trattò per primo Enrico
Ferri, che la concepì come scienza intermedia tra la psicologia individualo ©
la sociale; fu poi sviluppata da Scipio Sighele, specie sotto l’aspetto
criminale, dal Tarde, dal Lo Bon, «co. Cfr. Lazarus-Steinthal, Einleitende
(edanken ii. Völkorpsych., « Zeitschrift f. Wölkerpsych. und.
Sprachwissenschaft », vol. I; Wundt, Pôlkerpeychologie, 1900, parte I, p. 1-31
dell’ Introd. ; Ellwood, Prolegomena to social Psychology, « Tho american
journal of sociology », marzo-rettembre 1899; Ferri, Soc. criminale, 1900, p.
374 segg.; Sighele, La folla delinquente, 1895; Id., La delinquenza settaria,
1897; 931 Psr Tarde, Études des peychol. sociale, 1898;
Le Bon, Peych. den Soules, 1896. Psicologia comparata. T. Ferglcichende, Psychologie ; I.
Comparative paychology ; F. Psychologie comparée. Si comprendono sotto questo nome la psicologia
zoologica, putologica, pedagogica, ccc., perchè ogni conoscenza sulla natura
psicologica dell'animale, dell’ammalato, del bambino, oce., è possibile
soltanto per mezzo della comparazione, del ragionamento analogico, I fenomeni
psichici non possono essere constatati direttamente, per mezzo
dell’osservazione intoriore, che dal? nomo adulto e civilizzato, dal psicologo
; ma stabilito il rapporto che corro tra codesti fenomeni con le struttnre
organiche cui corrispondono e con gli atti esteriori ondo si manifestano, si
può, dallo differenzo ox servate tra le strutture o gli atti negli altri esseri
(selvaggio, bambino, animale, ecc.) indurne ragionevolmente le differenze
psicologiche, Va notato però cho molti intendono por psicologia comparata
soltanto In psicologia z0ologica, altri soltanto la otnografica. Cfr, E. Claparède, La
prych. comparée est-elle légitime, « Arch. de paychol. >, giugno 1905; I. Locb,
Comparatire physiol. of brain and comparative prychology, 1902. Psicologia etnografica. Ί. Raseenprychologie; I. Race paychology: F. Psychologie
éthnographique, Paychologie des races. Per alcuni 9’ identifica con la demopsicologia ο con la psicologia
collettiva; per altri se no distingne, in quanto indien quella parte della
psicologia che ha per oggetto lo studio dei caratteri psichici dei diversi
popoli ¢ che, in quanto tale, sorve da fondamento della psicologia collettiva ο
della sociologia, 11 fatto paichico, per sè stesso, è eguale in tutti gli
uomini, in quanto tali: sensazioni, rappresentazioni, vol zioni, associazioni,
senti ece., si prodncono ο si avolgono con leggi generali identiche. Tuttavia
In vita paichic nella sua complessità ¢ nel ano dinamismo, #' intona vari Itre
parole, ogni popolo, ogni Psr 932 razza, ogni nazione, per la diversità delle
origini sue, della sua costituzione fisica, dell'ambiente geografico in cui
vive, delle vicende attraverso le quali è passato, ha un carattere © una
personalità propria, fissate nella psiche d’ogni individuo, che distinguono
tale popolo, meglio dei caratteri fisici, da tutti gli altri popoli, e che si
rivelano in ogni esplicazione della sua attività. Lo studio di tali caratteri è
l'oggetto della psicologia etnografica. Cfr. Worms, Paychol. collective et individuelle, «
Revue int. de sociol. », aprile 1899; Ch. Letourneau, La psychologie éthnique,
1901 (v. antroposociologia). Psicologia patologica o psicopatologia. T. Pathologische
Psychologie, Pathopsychologie; I. Pathological paychology; F. Psychologie
pathologique. Quel ramo della paicologia
che studia le affezioni morbose e le malattie mentali. Si distingue in
individuale e sociale, perchd le anomalie psichiche possono verificarsi così
nell'organismo individuale, come nell'organismo sociale (psicosi epidemiche,
folle delinquenti, ecc.). Una parte importante della psicopatologia è la
peicologia criminale. La psicopatologia non si confonde con la psichiatria, la
quale comprende, oltre lo studio delle malattie mentali, anche le norme per la
loro prevenzione, cura e guarigione. Si distingue anche dalla patologia mentale
in quanto questa ha per oggetto di costruire dei tipi clinici, di seguire
l’eziologia e il decorso, di prepararne la terapoutica, mentre lo scopo essenzialo
dolla psicologia patologica è di determinare tra i fenomeni delle leggi
elementari, che valgano così per gli stati normali come per quelli morbosi. Lo
Specht e il Miinsterberg distinguono anche la psicopatologia dalla patopri
cologia: questa ha per oggetto lo studio dei fatti psichici presentanti un
carattere morboso, quella è propriamente un ramo della patologia speciale, ed
ha per soggetto lo studio delle malattio dello apirito. Cfr. Miinsterborg, Zeitschrift fur
Pathopaychologie, 1° vol. 1911; A. Marie, Traité 933 Pst
international de paychologie pathologique, 1912; G. Storring, Mental pathology
in ite relation to normal peyohology, 1907. Psicologia pedagogica. T.
Pädagogische Peyohologie ; I. Pedagogical peychology; F. Peyohologie
pedagogique. Quel ramo della
psicologia che studia il modo come si vengono formando e svolgendo le diverse
attività psichiche nel bambino, allo scopo sia di conoscere la natura primitiva
della psiche umana e rieostruirne la lenta evoluzione, sia di trarre da tali
conoscenze le norme per contribuire più efficacemente allo sviluppo psichico,
intellettuale e morale del bambino. Cfr. Perez, Les trois premières années de L’enSant, 1878;
Baldwin, Le développement mental chez Ponfant et dans la race, trad. franc. 1897; Preyer, Die Seele des Kindes, 3° ed. (v.
pedagogia, pedologia). Psicologia segmentale. Quella nuovissima parte della
Psicologia, che fondandosi sopra l'anatomia e la fisiologia segmentalo, studia
i fenomeni abnormi, subnormali ο supernormali, della coscienza umana, L'uomo,
che à al vertice della scala animale, presenta la costituzione più profondamento
unitaria di tutti i viventi, rivelata dai fonomeni del suo io e basata
specialmente sulla centralizzazione dol sistema nervoso; tuttavia anche
nell’uomo la fusione dei sogmenti (metameri), da cui originariamente deriva
l’encefalo, è lungi dall’essero porfetta dal punto di vista fisiologico, como è
dimostrato dalla moderna dottrina dello localizzazioni corebrali, mentre,
d’altro canto, i fenomeni osservabili in soggetti isterici di disgregazione o
frazionamento della personalità, lo sdoppiamento della coscienza, la scrittura
automatica, l'ipnosi sperimentale, le pratiche dell’ occultismo, la
collaborazione continua che, nell’ tome normale, esiste tra cosciente ©
subcosciento, tra io sopraliminale © io subliminale, rivelerebbero l’
incompleta fusione © coordinazione dei presunti segmenti, che concorrono a
formare la personalità unitaria. Cfr. Max Dessoir, Das Doppelt-Ich, 1896;
Myers, The human personality, 1902; BoPst 984 ris
Sidis, Studies in mental dissociation, 1902; Morton Prince, The dissociation of
a personality, 1906; A. Binet, Les altérations de la personnalité, 1892.
Psicologia sociologica. Alcuni designano in questo modo, per opposizione a
fisiologica, quella parto della psicologia obiettiva che considera In vita
psichica in quanto si rivela col movimento ϱ con l’azione, colla parola e con
l’imagine. Essa ha per materia la vita degli animali, dei fanciulli, dei
solvaggi, la storia generale dell’ umanità, i poemi, le biografie. È quindi
affine a quella che altri chiamano pricologia comparata. Psicologia zoologica. T.
Tierpsychologie; I. Animal prychology; F. Paychologie zoologique. Quella parte della psicologia cho studia i
fenomeni psichici come si vengono manifestando negli animali bruti. Essa si
fonda sopra il concetto che la coscienza non è un privilegio escInsivamento
umano, ma esisto anche negli animali, sia superiori che inferiori, nei quali si
vorifica lo stesso fatto clementare che, negli esseri superiori, si complica
per nuovi processi. Essa presuppone anche che il modo di manifestazione
esteriore del fenomeno psichico sin analogo nell’animale ο nell’nomo. Cfr.
Wundt, Porlerungen über die Monschen-und Tiersecle, 2% ed. 1892; Lloyd Morgan,
Animal life and intelligence, 1890-91; Romanes, Mental erolution in animale,
1883; F. Franzolini, I’ intelligenza delle bestie, 1899 (v. coscienza,
automatismo). Psicologismo. T. Paychologiemus; I. Paychologiem; F. Peychologisme.
Vocabolo non privo di senso dispregiativo, col qualo*sì snol designare non
tanto una dottrina determi nata, quanto il metodo o la tendenza generale cho
consiste nell’ assumere il punto di vista psicologico come unico o
fondamentale, nel ridurre tutti i problemi filosofici a problemi psicologici e
quindi nell’ assorbire la filosofia nella psicologia. Così il Gioberti
denominava psicologismo la filosofia del Rosmini, in quanto ammetteva nella psi
935 Pst che umans la facoltà di produrre
I’ ente indeterminato presente allo spirito. Il De Sarlo lo definisce: « un
orientamento o atteggiamento dello spirito, per cui questo, rivolto su sò
stesso, crede di trovare nell'esperienza interna non soltanto le indicazioni
per pronunziarei su ciò che è reale, su ciò che è obbiettivo e su ciò che ha
valore, ma unche il fondamento, la giustificazione, la garanzia di qualsiasi
affermazione e credenza. Lo peicologinmo esprime la tendenza a cercare nella
coscienza e nei suoi fenomeni i princip! esplicativi e le norme direttive per
una comprensione piena, perfetta della realtà ». Così inteso, lo paicologismo
ha le sue origini prime da Socrate, che richiamò la mente umana a volgere lo
sguardo en sò stessa; ma non diventa un metodo che con la Rinascenza, nella
quale, per il rinnovarsi della cultura ο per il richiamo all'autorità della coscienza
individuale contenuto nella protesta di Lutero, si afferma saldamente la
tendenza a porre nell’ individuo la misura dei valori © nella coscienza umana
1’ espressione più completa ο genuina della realtà, Nel oogito ergo sum di
Cartesio lo pricologismo ha gettato lo sue salde basi; con Locke ο Berkeley
tende a ridurre le forme più elevato dell'attività dello spirito a quelle più
semplici ο ai dati sensoriali i prodotti più complessi, mirando a dimostrare
l’unità di composizione dei fatti psichici © la perfetta identità tra fl fatto
psichico ο il suo oggetto (esse --percipi); con Hume diventa scettico, negando
tutto ciò che non sia contenuto puntuale della cosoienza in un dato istante;
con la scuola scorzese cessa di essere fenomenistico e diventa intuizionistico
; con Kant, di fronte al sogKotto è aimmessa una cosa in sò, di fronto alla
forma si trova la materia, ma da un canto la cosa in sò è dichiarata
impenetrabile © dall’ altro la materia, riducendori a sensazioni, è pur sempre
qualche cosa di soggettivo, cosicchè anche per Kant la realtà e l’esperienza si
risolvono in fatti di coscienza. Si
possono distinguere due forme Psr 936 di psicologismo : uno, che possiam dire
relativo 0 temperato, si appoggia sulla constatazione innegabile della
posizione centrale che la coscienza umana occupa nel mondo, per affermare
l’importanza della psicologia nella soluzione dei problemi riflettenti lo
spirito e dei suoi principali prodotti; questa forma di psicologismo è parte
integrante di tutta la cultura del nostro tempo © figura come la premessa
necessaria di qualsiasi indagine sull'attività umana e gli oggetti a oni può
esser rivolta. L’ altro, che possiam dire assoluto o metafisico, 6 che si suol
anche denominare peichiemo, 0 pampsiohismo, o idealismo realistico, ecc.,
considera la psiche come la stessa realtà, come l’ unica realtà; l’universo si
risolve per esso in contenuti delle coscienze indivi-. duali els metafisica
nella psicologia del pensiero. Lo psicologismo assoluto ha poi aspetti diversi
a seconda del campo a cui s’ applica: psicologismo gnoseologico e logico, che
riduce tutta la conoscenza alle forme date dall’ esperienza paicologica, ogni
attività del pensiero alle leggi della vita psichica; morale, che fa oggetto
della sua ricerca il dato psicologico della coscienza morale, studiandolo come
un fatto tra gli altri fatti della natura, di oui si debbano studiare le cause
e lo leggi di sviluppo con gli stessi procedimenti delle scienze ompiriche;
religioso, che spiega la religiosità come un derivato di condizioni
psicologiche particolari (senso di debolezza, bisogno di protezione) o come un’
applicazione di leggi psicologiche generali (rapporto tra desiderio, speranza,
0 aspettazione © credenza nell’ oggetto corrispondente); estetico, che spiega
la natura propria della coscienza estetica con cause psicologiche come I’
abitudine, l’ associazione, lo influenze ataviche, ece., ο fonda il valore estotico
su necessità d'ordine biologico, ο riduco l’arte al bisogno di esplicare 1’
eccesso di energia, Cfr. Mikaltechow, Beitr. sur Kritik des modernen
Pychologiemus, 1908; Gioberti, Protologia, 1857, vol. I, p. 91 segg.; F. De
Sarlo, To psicologismo nelle sue principali forme, « Cult. filosofica », 937 Pst
marzo 1911; A. Levi, Lo paicologismo logico, « Ibi gennaio 1909. Psicometria.
T. Peychometrie; I. Peychometry; F. Peyohométrie. Nome dato dal Wolff alla
misurazione matemstica dei processi psichici, Oggi è usato per indicare sia la
psicologia sperimentale, sia i fenomeni detti parapsichici (previsione,
telepatia, eco.) sia quella parte o metodo della psicologia che misura i
fenomeni psichici nella loro intensità, frequenza, durata, eco. Quest’ ultimo
significato è il solo veramente legittimo. Secondo una classificazione dell’Aliotta
la psicometria si divide in: psicofisica, peicocronometria, psicodinamica ©
psicostatistica. La psicofisica ha per oggetto la misura delle sensazioni,
dell’esattezza dei giudizi sensoriali e della chiarezza delle sensazioni ; la
seconda la misura del tempo di reazione semplice e delle reazioni complesse
(tempo di ricognizione, di distinzione, di scelta, di associazione, di
giudizio); la terza la misura dinamogenica della memoria e della forza di
associazione, dell’attenzione, dell’arresto psichico, del lavoro e della stanchezza
mentale; la quarta le leggi di frequenza dei fenomeni della vita psichica, sia
normali che patologici, sia indivi duali che sociali. Cfr. A. Aliotta, La
misura in psicolo, sperimentale, 1905; Bucoola, La legge del tempo nei fenomeni
del pensiero, 1883; Münsterberg, οὐ. Aufgabe und Methoden à. Psychologie, 1891; Binet,
Introduction à la peychol. expérimentale, 1894; Duchatel, Enquéte sur des cas
de peychométrie, 1910; Clapardde, Classification et plan des méthodes
psychologiques, « Arch. de psych. », giugno 1908. Psicomonismo. Nome dato dall’ Hucckel a quella forma
estrema di idealiamo che si suol chiamare solipsismo ο semelipsismo. Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 315 segg.; B. Rutkiewiks,
Il psicomoniemo, trad. it. 1912. Paiconomia. T. Psyohonomik; I. Psychonomics ;
F. Paychonomique. Vocabolo poco usato; indica la dottrina delle Psi 938 leggi che governano l’anima, o anche quella
parto della scienza, che studia le relasioni della psiche individuale col suo
ambiente specialmente sociale. Talvolta infine è adoperata per denominare quel
ramo della sociologia che tratta dei fattori © delle leggi psicologiche
contenute nell’organizzazione e nell'evoluzione sociale (v. antroposcoiologia,
peicologia collettira). Psicosi. T. Peyohose; I. Peyohosia; F. Peychose. Si
nea, in senso generale, per designare qualsiasi malattia mentale, oppure in
senso ristretto per opposizione a nevrosi, per indicare quelle anomalie della
psiche di cui si ignorano le corrispondenti lesioni organiche. Alcuni però
riservano il nome di psicosi alle così dette forme degenerative, che sarobbero
specialmente le ereditarie e le costituzionali, comprese quelle create dalle
neurosi gravi; e chiamano perciò peicopatic tutte le malattie e anomalie
mentali in genere. Ad ogni modo l’uso di questo vocabolo è assai largo nella
psicopatologia, ο si trova quasi sempre unito ad altri che lo determinano :
così dicesi psicosi affottiva la malinconia; psicosi morale i pervortimenti del
senso morale; psicosi tossiche tutte le alienazioni mentali prodotte da intossicazione;
psicosi epidemiche i disturbi mentali collettivi. Cfr. G. Ballet, Le psicosi,
trad. it. 1897; G. Sergi, Psicosi epidemica, « Riv. di fil. sciontifica »,
marzo 1889. Psicostatistica. T. Peyohostatietik; I. Peyohontatistics ; F.
Payoo-statistique. Quella parte della psicologia sperimentale, 0, come vuole
l’Aliotta, della psioometria, che misura le proporzioni degli individui che
presentano nn fenomeno psicologico dato. Molti metodi della psicofisica e della
paicodinamica si fondano indirettamonte sulle determinazioni statisticho dei
casi veri ο falsi, dello sillabe appreso, degli errori commessi, delle cifre
calcolate, ecc. Un’ altra applicazione indiretta della statistica alla
psicologia, ha luogo quando dalle leggi di froquenza di alcuni fenomeni ctici ο
sociali (suicidi, omicidi, ecc.) si cerca di risalire alle interne 939 Psr
cause psicologiche. Applicazioni più dirette dello stesso metodo fece il
Fechner, studiando la frequenza della udizione colorata, il Kriipelin sul sonno
ο sui sogni, il Galton sulle associazioni e sull’eredità psicologica del genio.
Cfr. Galton, Brain, luglio 1879, p. 149; Ribot, Z’heredite, 1873, p. 268;
Aliotta, La misura in psicologia sperimentale, 1905, p. 233-237. Psicoterapia.
T. Psychotherapie; I. Psychotherapeutics; F. Psychothérapie. La cura nelle
malattie mentali fatta agendo direttamente sulla psiche dell’ individuo per
mezzo della suggestione ipnotica o allo stato di veglia. Essa è stata praticata
presso i diversi popoli fino dalle epoche più remote; secondo il Löwenfeld essa
è anzi « la forma prima © più originaria in cui fa praticata l’arte medica ».
Ma la psicoterapia scientifica non comincia propriamente che verso il 1884 con
la « seuola di Nanoy » per opera del Liégeois e del Bernheim; da allora ha
avuto uno sviluppo sempro più rigoglioso, e all’unico metodo originario, I’ ipnosi,
si aggiunsero la suggestione allo stato di veglia, la ginnastica della volontà,
la psicoanalisi del Freud, la psicosintesi del Bezzola, la psicocatarsi del
Frank, la persuasione del Dubois, la terapia associativa del Moll, ecc.; ο
infine una curiosa riapparizione in veste scientifica della psicoterapia
religiosa per opera dell’ Emmanuel movement, per non parlaro della mind-cure ο
di altri motodi estrascientifici in gran voga in questi ultimi anni in America.
Cfr. Bornheim, De la sugyestion, 1891; Liwenteld, Lehrbuch der gesammten
Psychotherapie, 1897; P. Dubois, Les psychonéeroses et leur traitement moral,
1909; A. Thomas, l’eyohothérapie, 1912; Portigliotti, Psicoterapia, 1903;
Assagioli, Paicologia ο psicoterapia, « Psiche », maggio 1913. Psittacismo. T.
Prittaciemus; 1. Psittaciam; F. Peitta«πο, Dal greco 4irtaxi; = pappagallo. Nel
linguaggio comune designa semplicemente l’abitudino di ciarlare a sproposito ο
ripetere le stesse parole dotte da altri. Nella Pux 940 filosofia questo vocabolo fa usato la prima
volta dal Leibnitz per designare quella forma esagerata di nominalismo, che
considera ogni idea generale ed astratta come una semplice parola, come un puro
flatus voois. Se così fosse in realtà, il linguaggio dell’uomo non differirebbe
da quello del pappagallo, il quale ripete meccanicamente una serie di suoni
insegnatigli, cho per Ini sono privi di ogni significato. Ora, se è vero che il
rapporto tra la parola e l’idea è puramente convenzionale, è anche vero che tra
una ο l’altra esiste una certa proporzionalità; la parola è infatti la
virtualità dell’ idea, ed è per meszo della parola che le idee complesse sono
fissate, illuminate ο richiamate. Ofr. Leibnitz, Nour. Essais, II, xxı, 31; M.
Dugas, Le peittaoieme et la pensée simbolique, 1896, Pref.; G. Marchesini, Il
simboliemo nella conoscenza 6 nella morale, 1901, p. 71 segg. (v. Unguaggio,
realiemo, universali). Panto. T. Punotum, Punkt; I. Point; F. Point. Dicesi
punto fisico il minimo di spazio percepibile; punto materiale il corpo le cui
dimensioni sono supposte infinitamente piccole, restando tuttavia dotato delle
proprietà generali della materia, quali il peso e l’impenctrabilità ; punto
matematico l’indivisibile avente una posizione nello spazio, oppuro P
intersezione di due linee. Punti
metafisici chiamò Leibnitz le monadi: « Essi hanno qualche cosa di vitale 6 una
specie di percezione, e i punti matematici sono i loro punti di vista per
esprimere l'universo; ma quando lo sostanze materiali sono rinserrate, tutti i
loro organi insiome non formano che un punto fisico a nostro riguardo ». Diconsi punti di ritrovo quei ricordi che,
essendo per la loro natura automaticamente localizzati nel tempo, servono poi à
localizzaro gli altri ricordi. Essi non sono scelti arbitra riamente ma
s’impongono a noi, in quanto per la loro intensità lottano meglio contro
l'oblio, ο per la loro complessità possono suscitare un maggior numero di
rapporti entare quindi la propria capacità di riviviscenza. 941 Pur Dicesi punto di vicinanza 0 punctum
prozimum il punto che segna il limite di accomodamento dell'occhio per la vicinanza;
negli occhi normali esso trovasi alla distanza di 100 a 120 mm. dall’ occhio.
Dicesi punto di lontananza ο punctum remotum la distanza da cui debbono venire
i raggi luminosi per far foco sulla retina senza nessun sforzo d’accomodazione;
negli occhi normali questo punto trovasi al infinito, nei miopi invece a pochi
metri dall’ occhio, negli ipermetropici al di là dell’ infinito e ciod non
osiste perchè soltanto i raggi convergenti possono far foco sulla retina senza
sforzo d’accomodazione. Punto cieco
dicesi Pareola circolare della retina, priva dello strato dei coni © dei
bastoncini, © affatto insensibile, formata dal nervo ottico dove esso sbocca
nell’ occhio. Diconsi punti di pressione
quelle piccole aree della cute, che sono la sede Periferica della sensibilità
tattile ; punti termici quelli della sensibilità pel caldo e pel freddo; punti
dolorifici quelli della sensibilità periferica dolorifica. Puro. T. Rein,
bloss; I. Pure; F. Pur. Nella filosofin con questo termine, da Kant în poi,
s'intende ciò cho è a priori, indipendente dall'esperienza, spoglio d’ogni elemento
dovuto alla esperienza. « Si chiama pura ogni nosconza cho non è mescolata con
nulla di eterogeneo. Ma si dice specialmente d’una conoscenza che è
assolutamente pura, quando, in modo generale, non vi si moscola alouna
esperienza o sensazione e che, per conseguenza, è possibile interamente a
priori ». Perciò per Kant l'intelletto puro è . Cfr. Leibnitz, Monadologia, $
60, 62; Cr. Wolff, Vernunftige Gedanken ron Gott, 1733, I, $ 774; Mendelssohn,
Morgenstunden, 1786, vol. I, 6; K. Ο, E. Schmid, Empirische Peychologie, 1791,
p. 172-179; Wundt, Grundsüge d. physiol. Psych., 3% ed., II, p. 1, 100, ecc.;
Sully, Outlines of peycho 968 Raz logy,
1885, p. 224, e 219 nota 2; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, pp.
156-242; O. Hamelin, Essai sur les élémente Princ. de la représentation, 1907;
P. Köhler, Der Begriff der Repr. bei Leibnitz, 1913 (v. percezione,
presentazione, riproduzione delle sensazioni). Razionale. T. Fernünftig,
Rational ; I. Rational; F. Rationnel. Ciò che fa parte della ragione. Si oppone
ad irrazionale, © talvolta anche ad affettivo, volontario, sensibile,
sperimentale, eco. Razionale si dice anche di ciò che è conforme alla ragione,
intesa come facoltà di ben gindicare, © di conoscere in modo diretto il reale e
l'assoluto, o anche come sistema di principi a priori la cui verità non dipende
dall’ esperienza. Numero razionale è quello che può esser messo sotto la forma
di un rapporto tra due numeri interi. Mecoanica rasionale è l'insieme di tutte
le questioni della meccanica, che sono trattate con metodo puramente deduttivo
partendo dalle nozioni di massa, forza, relazione, inerzia. Nel linguaggio scolastico dicesi rationale
materialiter ciò che ha in sè il principio di raziocinare, come luomo;
rationale formaliter il principio del raziocinare e la differenza costitutiva
dell’uomo, come la razionalità. Razionalismo. T. Rationalismus; I. Rationaliem;
F. Rationalisme. Ha significati molto vari. Alcune volte è usato in senso
dispregiativo, per designare V abuso che in certi sistemi filosofici si fa del
ragionamento puro, 1’ eccessiva fiducia concessa alla ragione, a scapito sia
dell'esperienza sia del sentimento e dell’ intuizione. I teologi applicano
questo nome a tutti quei sistemi nei quali è esoluso l’intervento della
rivelazione e della tradizione, e viene assunta la ragione come unico principio
di conoscenza. Nel suo significato più generale designa l’ impiego della
ragione nello studio dei problemi filosofici o religiosi; in questo senso non
si può dire che il razionalismo sia una dottrina ο un sistema, ma soltanto un
metodo, o meglio ancora, una tendenza, un indirizzo gonerale. Il razionalismo
religioso si Raz 964 contrappone al eupernaturaliemo 0
irrasionalismo, che ritiene la ragione incapace di penetrare nelle cose divine,
che po; giano essenzialmente sulla fede, unico fondamento di ogni religione:
tra lano e l’altro sta il semirasionalismo, per il quale le fonti della verità
sono due, la ragione e la fede, ma le verità di fede non sono contrarie alle
verità di ragione, bensì al di sopra di esse. L’ idealismo greco ο l’idealismo
assoluto della filosofia moderna sono razionalistiei; il cattolicismo, dopo la
sistemazione scolastico-aristotelica di S. Tommaso, è semirazionalistico; sono
irrazionalistioi tutti quei sistemi che, dentro e fuori dol cristianesimo,
credono di poter giungere alla possessione immediata del divino con altri mezzi
che non sieno la ragione, il pensiero, Y intelligenza (tradizionalismo,
autoritarismo, fideismo, ontologismo, immanentismo, sentimentalismo, ecc.). In
senso metafisico 0 ontologico, per razionalismo, ο idealismo rasionalistico, o
razionalismo panlogistico 8’ intende quella forma di spiritualismo assoluto,
che fa risultare il mondo esteriore dallo sviluppo sia di esseri pensanti, di
ragioni individuali, sia di una ragione cosciente universale, sia infine d’un
sistema di idee indipendenti dalle coscienze, incosciente almeno per le
coscienze umane, 9 che si pone come un oggetto per rapporto ad esse (Fichte,
Schelling, Hegel). Infine razionalismo si adopera per opposizione a sensiemo:
questo sostiene che le nostre percezioni, e persino le nostre idee universali ο
necessario e i principi costitutivi di ogni scienza non sono che lo sviluppo
dello nostre sensazioni ; il razionalismo invece considera i principî
fondamentali della ragione come innati e crede quindi la ragione irreducibilo
all'esperienza. Perciò opposti sono i metodi del razionalismo e del sensismo;
quello aprioristico, in quanto fa derivare da idee a priori le leggi supreme
dell’ essere e le spiegazioni ultime d’ogni scienza, questo sperimentale o
empirico in quanto si fonda sopra l'osservazione e l’esperienza, organizzandone
i materiali mediante l’induzione e la goncra 965 Raz lizzazione. Il razionalismo, come metodo
filosofico, assume nomi differenti a seconda del suo contenuto e della sua
Posizione di fronte agli altri indirizzi : così dicesi razionalismo matematico
quello dei pitagorici, per i quali le cose sono comprese solo quando è
conosciuta la determinaziono matematica che ne è il fondamento; razionalismo
teorico quello di Democrito, per il quale la conoscenza della vera realtà è
essenzialmente una rappresentazione dell’ essere costante, ma tale per cui la
realtà dedotta, conosciuta nella percezione, deve essere resa comprensibile;
razionalismo etico invece quello di Platone, per il quale la conoscenza della
vera realtà ha il suo scopo morale in sò stessa, e tale conoscenza deve essere
la virtù, che non ha col mondo dato dalla percezione se non un rapporto di
recisa limitazione; razionalismo pratico quello del Bayle, per il quale la
ragione umana, incapace di conoscere l'essenza delle cose, è provvista però
della coscienza del proprio dovere, ossia della conoscenza dei principi morali,
che sono verità eterne e immutabili. Cfr. Stäudlin, Geschiohte d. Ration. u.
Supranatur., 1816; Wundt, Einleitung in die Philosophie, 1901, Pp. 323 segg.;
F. Maugé, Le ration. comme hypothèse méthodo. logique, 1909; F. Enriques,
Scienza e razionalismo, 1912. ‘Razza. T. Rasse; I. Race; F. Race. Questo
vocabolo ha accezioni diverse, implicando la risoluzione che può farsi in modi
diversi -di altre complesse questioni della filosofia zoologica. Secondo alcuni
per razza deve intendersi un gruppo di individui nei quali si perpetua, per
eredità e indipendentemente dall’ azione attuale dell’ ambiente, un insieme di
caratteri biologici, psicologici e sociali che li distingue dagli individui
appartenenti ad altri gruppi ai loghi. « La razza, dice il Quatrefages, è l’
insieme degli individui somiglianti che appartengono ad una medesima specie ed
hanno ricevuto e trasmesso per via di generazione i caratteri d’una varietà
primitiva ». Ma la permanenza dei caratteri attribuiti all’eredità biologica, è
invece REA 966 riferita da altri alla educazione, alla
imitazione, all’ ambiente, ecc.; mentre altri ancora considerano lo varietà
come combinazioni di razze più elementari, caratterizzato da una eredità
semplice ο invariabile. La definizione più larga e nella quale tutte le scuole
possono accordarsi, è forse quella del Prichard: « sotto il nome di razza si
comprendono tutte le collezioni di individui presentanti un numero maggiore o
minore di caratteri comuni, trasmissibili per eredità, prescindendo affatto
dall’origine dei caratteri medesimi ». Cfr. Agassiz, De l'espèoe et de la classification
en zoologie, 1862; G. Pouchet, De la pluralité des races humaines, 1864; A. De
Quatrefages, La epecie umana, trad. it. 1871; P. Topinard, Anthropologie, 1884,
p. 199 segg. (v. monogenismo,
poligeninno, trasformismo, specie, varietà). Beale (rea = cosa). T. Wirklich,
real; I. Real; F. Reel. Si oppone a ideale © designa tutto ciò che è, e che per
sussistere non ha bisogno di essere pensato. Questo per ciò che riguarda il reale
oggettiro ; dal punto di vista logico e soggettivo, il reale si può definire
come il contenuto dell’esperienza. Reale si oppone anche a illusorio,
apparente, fenomenioo, e indica cid che concretamente è, ciò che agisce
effettivamente, Si opppone infine, nella conoscenza, et formale, e indien ciò
che della conoscenza stessa costituisce la materia, il contenuto. Diconsi definizioni reali, per opposizione
alle nominali ο terbali, quelle che si fanno per il genere prossimo e la
differenza specifica, ο si propongono per fine di individuare completamente il
concetto della cosa definita mediante l'indicazione del comune sostrato, che lo
collega con gli oggetti simili, e della differenza che da essi lo sopara (v.
idea, ideale, realismo, realtà). Realismo. T. Realismus; I. Realiem; F.
Realieme. Ha due diversi significati, socondochè si oppone a nominalismo 0 n
idealismo. Se si oppone a nominalismo designa quella dottrina scolastica
secondo la quale gli univereali ο ideo generali esistono realmente. Il realismo
è la prima soluzione 967 Rea data dalla scolastica al problema degli
universali, nato da un luogo dell’ Isagoge di Porfirio, nel quale erano
proposte ο non risolute queste tre questioni: gli universali hanno un’
esistenza propria o esistono soltanto nel pensiero? se hanno esistenza propria
sono corporali ο incorporali ? 66 sono incorporali sono accompagnati o
scompagnati da circostanze sensibili? Il realismo risponde che gli universali
hanno una esistenza propria; ma fra i realisti alcuni dicono, conforme alla
dottrina platonica, che gli universali preesistono alle cose individuali (ante
rem) come prototipi eterni di cui tali cose non sono che-imitazioni temporanee,
altri invece sostengono, conforme alla dottrina aristotelica, che esistono nelle
cose individuali (in re) come loro attività medesima. Quando il realismo si oppone all’ idealismo
designa tutte quelle dottrine, che ammettono la realtà obbiettiva del mondo
esteriore. Si possono distinguere in esso tre periodi ο fasi: 1° il realismo
primitico, proprio della filosofia antica, che considera lo spirito come uno
specchio sul quale si rifletta fedelmente l’imagine degli oggetti esteriori;
secondo esso vi è adunque lo spirito da una parte e la natura, il mondo esterno
dall’ altra; il problema da risolvere è quindi se entrambi siano costituiti in
tal modo, che il secondo possa essere oggetto di conoscenza per il primo; 2° il
realismo peroerionistico o naturale, proprio della scuola soozzese e
dell’eclettismo francese, secondo il quale noi abbiamo la percezione immediata
del mondo esteriore come tale; le cose esistono fuori di noi perch’ la
percezione ci mostra delle cose che esistono fuori di noi; in altre parole, il
realismo naturale pone il sentimento di obbiettività implicito nella percezione
come un fatto irreducibile, ο a tale credenza attribuisce un valore rappresentativo;
3° il realismo moderno, nel quale il problema è posto diversamente, în seguito
sovra tutto alla critica dello Stuart Mill sulla nozione di obbiettivita
fornitaci dalla coscienza. Codesta nozione si riduce alla obbiettivazione Rea 968 dell’ idea d’ una possibilità permanente di
sensazioni, obbiettivazione determinata anzitutto dal presentarcisi di codesti
gruppi di sensazioni possibili come permanenti, al contrario delle sensazioni
isolate che hanno un carattere fagace; secondarismente dall'azione che codesti
gruppi sembrano esercitare gli uni sugli altri secondo leggi costanti, che
appaiono indipendenti dalla nostra volontà. Sostituita così all’ idea di
sostanza quella di legge, il problema di cui il realismo ο l’idealismo
propongono due soluzioni opposte è il seguente: come spiegare la costanza 9 la
realtà di certi gruppi di sensazioni da una parte, e delle relazioni tra questi
gruppi dall'altra. ‘Tra le forme principali del realismo ricorderemo: il
realismo idealistico, che riconosce una realtà indipendente dalla conoscenza
che ne abbiamo, ma considera tale realtà di natura ideale, spiritnale; esso è
dunque una forma di moniemo epiritualistioo, ed ha il suo primo rappresentante
in Platone, che consi. dera le Idee come realtà eterne, universali, immutabili,
di cui le cose individuali non sono che il riflesso ο l’imagine. Il realismo
trascendentale, detto così perchè in esso la causalità, che ricollega la
rappresentazione alla cosa in sè, diviene una causalità trascendentale in
quanto permette appunto d’ inferire dalle rappresentazioni un oggetto che non è
oggetto di rappresentazione, l’ inconscio (Hartmann). 1 realismo
individualistico ο pluralistico, che afferma che l'essere è costituito da una
molteplicità di enti semplici ο primitivi, il cui numero è proporzionale al
numero delle nostre sensazioni, poichè ogni sensazione indica un essere
particolare (Herbart). Il realismo empirico, che pone la sostanza come distinta
dai fenomeni e da noi immediatamente conosciuta per uns intuizione positiva
(Ravaisson). Il realismo dialettico, che consiste nel realizzare le idee generali
e dedurre le une dalle altre, in modo che la catena logica continua delle idee
è anche una catena ontologica continua della realtà, 11 realismo ontologico ο
metafisico, che 969 Rra s’oppone al realismo gnoseologico, in
quanto questo afferma semplicemente l’esistenza d’una realtà esterna,
sussistente come oggetto del nostro pensiero, quello spiega la natura di
codesta realtà affermata come sussistente, e può essere tanto spirifualistico
quanto materialiatico e naturalistico. 11 realismo razionale, che ammette una
ragione assoluta la quale si manifesta così nell'esistenza delle cose come
nella coscienza dell’uomo, e per la quale all’ assoluto, che si manifesta nel
nostro pensiero, corrisponde perfettamente l'ordine esterno del vero essere
(Bardili). Il realismo ragionato (reasoned realism), che afferma la realtà di
ciò che è dato dal senso, e giustifica questa affermazione con l’indagine
filosofica o razionale dei fondamenti della conoscenza (Lewes). Il realismo
trasfigurato, che afferma |’ stenza dell’ oggetto separata e indipendente da
quella del soggetto, nonchè la corrispondenza tra i mutamenti del primo e
quelli del secondo, senza però affermare che alcun modo d’ esistenza oggettiva
«in in realtà quale a noi appare (Spencer). Il realismo problematico 0
ipotetico, che parte dall’ ipotesi che, se noi non conosciamo se non stati mentali
© soggettivi, ne inferiamo però qualche cosa di corporeo e di oggettivo. Fuori della sfera della filosofia, il realismo
significa: nella matematica l’ opinione secondo la quale le forme e le verità
matematiche non sono create dallo scienziato, ma da lui scoperte; nell’estetioa
la dottrina che all’arte impone di non idealizzare il reale, ma di esprimerne
soltanto i caratteri effettivi, oppure la tendenza artistica a rappresentare
nell’uomo specialmente i caratteri naturalistici, ancora se bratti o degradanti
; nel linguaggio comune il senso della realtà delle cose, la capacità di agire
conforme ai dettami dell’esperienza concreta e indipendentemente da ogni
vincolo del sentimento, della tradizione, dell’ imaginazione, dei principi
astratti. Cfr. E. von Hartmann, Kritische Grundlegung des transoendentalen
Realismus, 1875; J. H. Löwe, Der Kampf zwischen Nominalismus und Rea 970 Realismus, 1876; Holt, The new realiem, 1912;
C. Ranzoli, Le forme storiche del idealismo ο del realismo, in Linguaggio dei
filosofi, 1911, pp. 59-104 (v. arte, conoscenza, intermediariste, realtà,
materia, nominalismo, pluralismo, sostanza, essenza). Realtà. T. Realität,
Wirklichkeit; I. Reality; F. Réalité. Si oppone tanto a possibilità, quanto a
idealità e ad apparensa; designa tutto ciò che esiste, che permane fuori di noi
e indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiamo, La concezione della realtà
è passata per tre stadi principali. Da principio è identificata colla
sensibilità, ο non si concepiscono come reali che gli oggetti percepibili ed
estesi nello spazio, considerando pure come tali, ma più tenui e sottili, gli
oggetti © le cose che non cadono sotto i nostri sensi. In seguito, per
l'osservazione che i sensi ci ingannano spesso e che fra le qualità sensibili
degli oggetti alcune sono essenziali altre mutabili e faggitive, il reale si
concepisce come qualche cosa di diverso dal sensibile, e cioè come un quid
assolutamente identico a sò stesso e immutabile, che serve come di sostegno ultimo
alle qualità © che non può sparire senza che anche la cosa sparisca. Questo
quid è la sostanza, che per tal modo è considerata come la sola realtà. Per
alcuni codesta sostanza è ancora qualche cosa di conoscibile per mezzo dei
sensi (elementi, atomi, ecc.), dato che essi possano attraversare lo mutevoli
apparenze che la nascondono; per altri invece non può essere che l'oggetto di
un intuito razionale, in quanto, consistendo essa nell’ identità e nella
permanenza, tali caratteri non possono riscontrarsi nei rapporti. Si ha così,
accanto alla spaziale, un'esistenza intelligibile, che, obbiettivata,
costituisce la vera realtà (il Numero, le Idee, ecc.). Infine, col progredire
della rifiessione e col delinearsi del problema gnoseologico, le basi della
questione si spostano: si comprese che non era possibile parlare di una realtà
in sè, assolutamente fuori dello Rspirito, perchè tutto ciò che conosciamo è
interiore e non reale che in noi, e che quindi si trattava di risolvere non più
come si potesse passare dall’ apparente al reale, ma dal conosciuto al reale.
Le soluzioni date al problema sono molte e diverse: riducendosi tutto alle
sensazioni e alle loro leggi, per alcuni (Kant) queste leggi, superiori alle
nostre esperienze ed immanenti ad esse, si impongono alla materia sensibile e
multipla delle nostre impressioni come tante forme unificatrici, universali e
necessarie; per altri le leggi dei fenomeni sono esse stesse fenomeni. Per il
positiviemo non vi è altra realtà oltre quella determinata dalle scienze, e non
v'è realtà per le scienze oltre quella attinta all’esperienza diretta e
genuina, ossia all'esperienza sensoriale; sostanza, causa, efficienza,
soggetto, oggetto, essere, ecc., sono tutte aggiunte fatte dal pensiero n cui
nessuna realtà corrisponde. Due sono le forme principali assunte dalla conla
monistico-meccanica, cho risolve tutta la realtà in movimento e modalità di
movimento; la empirico-sensazionistica, che identifica la realtà ultima con la
così detta esperienza pura o radicale (sensazione), alla quale si arriva
mediante l'eliminazione di tutte le aggiunte del pensiero. Affine a quest’
ultima, anche la filosofia dell’immanenza riduce tutta la realtà
all'esperienza, identifica l’esperienza stessa col complesso degli stati di
coscienza, esclude ogni trascendenza, sia quella dell’oggetto rispetto alla
coscienza individunle, sia quella di esseri ο di cause sottostanti all’ insieme
dei fenomeni che costituiscono l’universo: essa non diversifica dall’empirismo
puro se non in quanto rileva ed accentua la cooperazione della coscienza nella
costituzione della realtà. 1 idealismo critico, che si ricollega a Kant, nega
pure ogni valore al concetto di realtà quale è posseduto dalla comune degli
uomini; le idee di essere, di sostanza, di ente sono pure escogitazioni mentali;
vi è il fare, il produrre, ma non vi è nè l'agente ο il producente e nemmeno il
prodotto come qualcosa di fisso Rea 972 e di solido. L’idealismo etico muove esso pure
dal concetto che non la realtà determina l’atto conoscitivo, ma questo mira a
costruir quella; di più spiega codesto atto costruttivo come un'esigenza
morale, affermando che non l'essere, ma il dover essere costituisce la
categoria fondamentale atta a serviroi di guida nella costruzione del mondo;
nulla esiste per sò, ma solo in quanto mezzo per l'attuazione del dovere.
Spingendosi ancora più innanzi su questa via, il prammatismo, eliminato il
correlato del dover essere, fa della realtà una costruzione pura della volontà,
un mezzo oreato per il raggiungimento di scopi pratici, i quali poi si
riassumono nella conservazione e nell’accrescimento dell’esistenza ; non è a
parlare di ‘una realtà per sè stante nd di una verità valida, ma solo di azioni
e dei loro effetti. Di fronte a questi indirizzi sta P idealismo metafisico,
che muove dal presupposto che ogni forma di realtà si risolve in fatti mentali,
appunto perchè per definirla © parlarne non si può fare a meno di ricorrere ad
elementi ideali: tali fatti mentali, che costituiscono l'essenza della realtà,
sono per alcuni la volontà, per altri il pensiero, per altri imaginazione, per altri ancora la rappresentazione,
Le ultime forme assunte dall’idealismo volontaristico sono: l’attualismo o
mobilismo, che risolve la realtà nell’agire, nell’energia, nel movimento,
nell'evoluzione, in un processo insomma che è libero e imprevedibile, ma che
attinge valore dall’ideale che è destinato ad attuare; il vitalismo metafisico,
che concepisce la realtà come vita, coscienza, cangiamento, durata e quindi
come uns creazione continua non diretta ad uno scopo determinato, ma avente
valore per sè, rispondente solo ad un impulso originario infinito. Cfr. Killpe,
Die Philos. d. Gegenwart in Deutschland, 3* ed. 1905; Eucken, Geistige
Strömungen der Gegenwart, 1909; G. Villa, L'idealiemo moderno, 1905; C.
Ranzoli, Sullo origini del moderno idealismo, « Riv. di fil. e scienze aff. »,
maggio 1906; F. De Sarlo, I diritti della metafisica, « La cultura 973 Rka-REc filosofica », luglio 1912; 8.
Mackenzie, The meaning of reality, «Mind », genn. 1914 (v. conoscenza, rerità,
dogmatismo. scetticismo, criticiemo, empiriooriticismo, fenomenismo, realiamo,
idealiomo, peroczioniemo, semetipsismo, soggetto, oggetto. valore, vita,
vitaliemo, eco.). Reazione. T. Reaktion, Gegenwirkung; I. Reaction; F.
Réaction. Forza uguale ο contraria all’azione, che un punto materiale dato
riceve da un altro punto materiale. Il principio d’eguaglianza tra azione e
reazione, divenuto un assioma di meccanica, fu esposto e dimostrato la prima
volta da Leibnitz nei suoi Prineipf matematici della filosofia naturale. Nella
biologia la proprietà fondamentale d’ogni cellula vivente di rispondere con una
reasione propria ad una eccitazione, costituisce l’irritabilità. Nella
psicologia è roazione ogni stato di coscienza determinato da uno stimolo sia
esterno sia interno. Recettività. T. Reoeptirität, Empfanglicket ; I. Receptirity;
F. Réceptivité. L’attitudine a ricevere delle impressioni, a provare delle
modificazioni per l’azione di uno stimolo esteriore. Questo vocabolo fu usato
specialmente da Kant: «La facoltà di ricevere delle rappresentazioni (recettività
delle impressioni); la facoltà di conoscere nn oggetto per mezzo di queste
rappresentazioni (spontaneità dei concetti) ». Reoettività è dunque sinonimo di
passiritd. Secondo alcuni filosofi la sensibilità è una recettività, perchd
consiste appunto nella facoltà del soggetto di ricevere delle impressioni. Tale
dottrina ha origine dall'antica teoria, che spiegava la sensazione col mezzo
degli idoli ο delle idee, che si portano o al cervello o all’ anima; teoria che
si fondava eu semplici analogie lontane, le quali, come mostrò il Reid, non
sono neppure di alcuna utilità nello spiegare il processo della sensazione. In
realtà, se gli stati della sensibilità si dicono passivi è perchò sono effetto
di una fazione causativa; ma non è escluso con questo che siano essi attività,
poichè ogni effetto è pure un fatto e ogni Rec 974 fatto è attivo. Cfr. Reid, Œuvres complètes, trad.
Jouffroy, 1829, t. III, cap. XIV; Kant, Krit. d. reinen Vernunft, A 50, B 74
(v. capacità). Becetto. Vocabolo
creato per analogia con concetto e percetto; designa ciò che il soggetto riceve
dall'esterno, ο, in altre parole, le modificazioni della coscienza in seguito
all’azione dello stimolo esteriore. Il Romanes dà questo nome all’ idea composta,
o combinazione di rappresenta zioni non ancora denominata ; essa deriverebbe
dalla ripetizione di percetti più o meno simili, che si associano insieme
spontaneamente, senza intenzione, tantochè si può considerare un’ astrazione
non peroepita ; il suo nome di recetto significa appunto che nel riceverlo la
mente è passiva, mentre nel concepire idee astratte ο concetti è attiva. Cfr.
Romanes, L'evoluzione mentale dell’uomo, trad. it. 1907, p. 33 segg., 376 segg.
Reciproche (teoria delle). T. Reciprok; I. Reciprocal, Converse; F. Reciprogue.
Nella logica si designa con questa espressione la teoria dei raziocinii
immediati per mutata posizione dei termini del giudizio. Il problema che tale
teoria si propone di risolvere è il seguente: dato che un soggetto abbia o non abbia
un predicato, trovare, senza bisogno di una dimostrazione speciale, entro quali
limiti si può ritenere che il predicato possa esser soggetto del suo soggetto.
Se il giudizio reciproco ha la stessa quantità del giudizio diretto, la
conversione si dico semplice: 98. tutti gli 4 sono B tutti i B sono 4; se ha quantità diversa la
conversione è accidentale: es. 4 è B qualche B è A. Cfr. Masci, Logica, 1899, p.
216 segg. + Reciprocità. T. Wechselseitgkeit, Wechselwirkung; I. Reciprocity ;
F. Réciprocité. O comunità, è uno dei termini della categoria della relazione,
secondo la classificazione kantiana. La reciprocità non è altro che l’azione di
due sostanze l’una sull’altra. Da essa il Kant fa derivare la terza delle
analogie dell'esperienza: tutte le sostanze, in quanto 975 Ren-Rec si possono percepire come simultanee
nello spazio, sono in una azione reciproca generale. Cfr. Kant, Ærit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 170-196 (v. analogia, relazione). Beduplicative
(proposizioni). Quelle proposizioni composte e implicite, in cui un termine,
solitamente il soggetto, è ripetuto con l’espressione in guanto: ad es. il
veleno, in quanto veleno, non produce necessariamente la morte. Si può rendere
esplicita; il veleno, in quanto è soltanto veJeno, non produce necessariamente
la morte. Registro fisiologico. Sull’orientazione del pensiero, del sentimento
e del volere di ogni individuo, intluiscono in vario modo anche le eccitazioni
che provengono dall’organismo, sia centrali che periferiche. L’insieme di
queste eccitazioni, dipendente dallo stato degli organi, fu detto dall’ Ardigò
registro fisiologico, per analogia del registro (pedali) che si trova in quel
grande stromento che è Porgano di una chiesa: in questo il suonatore, col fare
agire i pedali, può far suonare a piacere l’una o l’altra serie di canne, e
ottenere suoni diversissimi sempre adoperando gli stessi tasti. Nel registro
fisiologico le canne che suonano sono i centri cerebrali, i registri sono i
visceri, e a seconda che trovansi in attività piuttosto quelli che questi, a
seconda che agiscono in un modo piuttosto che in un altro, il concerto mentale
riesce diverso. Cfr. Ardigd, Op. filosofiche, V, 93-96, VII, 276-302 (v.
conestesi). Regola. T. Regel; I. Rule; F. Règle. Precetto pratico © specifico
di condotta, formula indicante o prescrivente ciò che si deve fare in un caso
determinato. Cr. Wolff la definisce come propositio enunoians determinationem
rationi conformem. Differisce dalla norma in quanto questa ha maggiore
estensione; infatti la norma, se vien riferita al giudizio dell'intelletto, è
il criterio secondo cui questo distingue e attribuisce agli oggetti suoi l’uno
o l’altro predicato, se viene invece riferita all’opera della volontà è la
regola secondo cui questa sceglie i snoi fini, o i meszi per Ree 976 il
conseguimento dei snoi fini. Nel linguaggio teologico dicesi regola di fede
(regula fidei) la norma finale e sufficiente per la determinazione della verità
in materia di dottrina e di fede religiosa. Con 1’ espressione regulas philosophandi,
rimasta famosa, il Newton designa, nella terza parte del suo trattato sui
Prinoipf matematici di filo sofia naturale, le quattro regole nelle quali
riassume tutto il metodo della filosofa naturale. Sono: 1° non bisogna
ammettere altre cause naturali che quelle che sono vere © sufficienti a
spiegare i fenomeni; 2° bisogna assegnare, per quanto è possibile, le stesse
canse agli effetti naturali dello stesso genere; 8° le proprietà che convengono
a tutti i corpi sui quali è possibile l'esperimento, devono essere riguardate
come proprietà generali dei corpi; 4° le proposizioni ricavate dalla
osservazione dei fatti devono, non ostante le ipotesi contrarie, esser ritenute
come vere o verosimili finchè non giungono altri fatti mediante i quali
divengono ο più esatte o soggette a eccezioni (v. legge, norma, principio).
Regressione. T. Regression, Rückgang, Zurüokgehen ; I. Regression; F. Regression.
Bi oppone a progresso ed equivale a ritorno all’indietro, trasformazione in
senso inverso al progresso. Nella logica indica il processo dello spirito, © il
metodo, che consiste nel risalire dalle conseguenze ai principi, dagli effetti
alle cause, dal composto sl semplice. Nella psicologia dicesi legge di
regressione il fatto che i ricordi, quando scompaiono in seguito a un
indebolirsi progressivo della memoria, si perdono nell’ordine inverso della
loro acquisizione, e cioè dal semplice al complesso, dal presente al passato,
dal vicino al lontano. Nella biologia diconsi regressioni ataviche il ritorno
di organi o di funzioni ad uno stato più rudimentario, corrispondente cioè à
fasi evolutive già trascorse; peroid la reversione è sempre un fatto di
atavismo e di degenerazione. Regresso v. circolo solido. 977 Rrei-ReL Beintegrazione, 1 T.
Wiederherstellung; I. Redintegration; F. Rédiniégration. Termine creato
dall’Hamilton per indicare quells legge della riproduzione mentale, che conSiste
in ciò, che intorno ad un elemento della nostra vita Psicologica anteriore,
quando sta per riprodursi, tutto l’insieme dello stato di coscienza di cui esso
faceva parte tende a riprodursi integralmente. Insieme allo leggi di associazione,
di ripetizione e di preferenza, essa costituisce Per l’Hamilton una delle
quattro leggi generali della successione mentale riproduttiva. La legge di
reintegrazione è detta anche legge di totalizzazione; secondo l'Hôffäing essa è
la legge fondamentale dell’associazione, dalla quale tutte le altre derivano. Cfr. Hamilton, Ed. of. Reid,
1863, II, nota D“; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 210 Segg. (v. associazione, associazionismo). Relative
(proposizioni). Specie di proposizioni composte, che esprimono una proporzione
o una comparazione ; ad es.: i caratteri ereditari si trasmettono tanto più
fedelmente quanto più sono antichi ; dove è virtà, ivi è felicità. La verità di
queste proposizioni dipende dalla esattezza della relazione da esse affermata. Cfr. Logique de
Port-Royal, ed. Aulard, p. 132. Belativismo. T. Relativismua; I. Relativiem; F. Relatitisme. Ogni
dottrina che considera la nostra conoscenza di sua natura relativa, in quanto è
la conoscenza di un rapporto, e nega quindi la possibilità della conoscenza
della cosa in sò, ciod indipendentemente da ogni relazione con un’altra cosa.
Il relativismo ha la sua prima formula nella celebre frase di Protagora: l’uomo
è la misura di tutte le cose. Per il sofista greco tutta la vita psichica non
consta che di sensazioni; ogni sensazione è determinata da un movimento della
cosa percepita e da un altro movimento dell’organo di senso; quindi la
sensazione, prodotto dell’incontro di due moti, non solo è diversa dall’
Sggetto sentito © dal soggetto senziente, ma è vera solo in quel 62 Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche.
momento, cosicchè l’uomo non conosce le cose come sono, ma come sono per lui
nel momento della sensazione, ed anche solo per lui. Il positivismo è pure
relativistico; per il sno fondatore, A. Comte, non soltanto la conoscenza umana
è indirizzata ai rapporti dei fenomeni tra loro, ma non v’ha nulla di assoluto
che ne formi la base ignota ; l’unico principio assoluto è che tutto è
relatiro; soltanto, questo relativismo (ο, come fu detto poi, correlativismo)
cede alla pretensione universalistica del pensiero naturalistico-matematico,
con l’assegnare alla scienza il cémpito di ridurre tutte le relazioni alla loro
uniformità spaziale e temporale. In un significato ancora più generale, o metafisico,
per relativismo s’ intende ogni dottrina che, negando un qualunque sostrato
permanente all’ accadere del mondo sia fisico, sia psichico, risolve la realtà
in relazioni più ο meno costanti tra i fenomeni, concependo tali relazioni come
realtà in sò stesse, distinte e indipendenti dalla conoscenza che ne abbiamo.
Cfr. Diogene Laerrio, IX, 51; A. Comte, Cours de phil. positine, 1839; C.
Ranzoli, Sul preteso agnosticismo dei presooratici, « Rend. del R. Ist. lombardo
di s. e lett. », vol. XLVII, faso. 19; A. Levi, Contributo ad una
interpretazione del pensiero di Protagora, 1906 (v. attualismo, fenomeniemo,
relazione, relatività della conoscenza). ‘Relatività della conoscenza. T. Relativitàt der ErKenntnis;
I. Relativity of knowledge; F. Relativité de la connaissance. Sebbene l’espressione sembri abbastanza chiara,
essa designa tuttavia dottrine diverse, che debbono essere distinte per evitare
equivoci dannosi. Nella sua portata generale, la dottrina della relatività
della conoscenza implica che tutti gli elementi della conoscenza estesa hanno
un valore soggettivo, non oggettivo, in quanto la sensazione non è considerata
che come un semplice segno della cosa esterna, la percezione come la posizione
di un rapporto tra questi segni, l’ides come un simbolo della sensazione, cioò 979 Rel
un simbolo convenzionale d’un segno. La relatività della conoscenza è intesa in
quattro modi principali: 1° ogni conoscenza è relativa al soggetto che conosce,
ne è possibile la conoscenza di alcuns cosa in sò, cioò indipendentemente dalle
nostre facoltà conoscitive; 2° ogni conoscenza consiste nello stabilire una
relazione fra due elementi © nell’appercezione della loro differenza; è dunquo
impossibile conoscere alcuna cosa in «è, cioò indipendentemente da ogni
relazione con un’altra cosa; 3° la conoscenza è relativa perchò ci dà solo il
finito, il limitato, non l’infnito, l'assoluto; 4° la conoscenza è relativa
perchè non adegua mai perfettamente la cosa, ma ne è un puro simbolo. Si può
dire che ciascuno di questi quattro modi di intendere la relatività della
conoscenza rispecchi, tolto forse Pultimo, un lato reale del processo
conoscitivo. Secondo l’Hamilton la conoscenza è relativa: 1° perchè l’esistenza
non è conoscibile assolutamente e in sò stessa, ma soltanto nei suoi modi ο
fenomeni; 2° perchè codesti modi possono essere conosciuti soltanto se stanno
in una particolare relazione con lo nostre facoltà; 3° perchè i modi, così
relativi alle nostre facoltà, sono presentati e conosciuti dalla mente solo con
modificazioni determinate dalle facoltà stesse. Lo Stuart Mill classifica in
modo an poco differente i motivi della relatività della conoscenza: 1° noi non
conosciamo una cosa se non in quanto distinta da un’altra cosa; 2° noi non
conosciamo In natura che per mezzo dei nostri stati di coscienza, il che
conduce a queste due tesi subordinate: a) non ci sono che stati di coscienza;
b) vi sono delle cose in sè, ma inconoscibili, sia nel senso di Kant e dei
razionalisti, sin nel senso degli empiristi. L’Ardigd enumera sei ragioni della
relatività della sensazione, e quindi dolla conoscenza, che è intessuta
esclusivamente di sensazioni : 13 l’oggetto stimolante è un esteso vibrante con
una certa ampiezza ο rapidità di oscillazioni delle parti componenti, mentre la
sensazione RRL 980 corrispondente è un quale assolutamente
diverso; 33 l'oggetto medesimo corrispondono forme di coscienza verse secondo
che esso stimola apparati sensitivi diversi; 83 la stessa forma specifica
propria di un dato senso si modifica, pure rimanendo identica la stimolazione,
per una alterazione che esso subisca; 4° codesta forma spocifica si può
produrre nel senso stesso anche senza la stimolazione operata da un oggetto, e
solo per irritazione endogena, il che prova che la forma stessa non proviene
dall'oggetto ma è solo il modo di funzionare dell’apparato sensibile, qualunque
sia la causa da cui dipenda; 5* le sensazioni prodotte per la stimolazione
dall’interno dell'animale sono fatti analoghi a quelle prodotte per la
stimolazione dall'esterno, cosicchè se è assurdo considerare una cosa in sè ad
es. la fame, lo è pure considerar tale ad es. il snono, © il caldo; 6° il
sensibile non è una forma apatica 6 statica, come dovrebbe essere il puro
ritratto dell’oggetto, ma è essenzialmente un certo sentimento, un certo agire,
© quindi essenzialmente una soggettività. Cfr. Hamilton, Lootures on Metaphysics, 1859, vol. I,
p. 148; Stuart Mill, Ezamination of Hamilton, 33 ed. 1867, p. 30-31; Ardigò,
Opere filosofiche, I, 160-162, II, 352-355, V, 546 segg., IX, 89 segg., 426
segg. (v. assoluto, agnosticismo,
antropometriamo, relativismo, inconoscibile, conoscenza, cosa, noumeno).
Relativo, T. Relatir, Verhältnissmässig ; I. Relative; F. Relatif. Ciò che non
sta per sè, ma dipendo da altro, esiste soltanto come relazione o in virtù
d’una relazione: si oppone ad assoluto, che è ciò che esiste per sè, che non ha
nd relazione, nd limitazione, nd dipendenza. ‘Relazione. T. Beziehung,
Relation; I. Relation; F. Relation. Essendo un’idea semplice, non è
propriamente definibile; si può dire soltanto che è quell'idea che nnisce ©
distinguo due altre idee, presentatosi simultaneamente al nostro pensiero. 11 Destutt de Tracy la
definisce cette vue de notre esprit, cet aote de notre faculté de penser par 981 Rei
lequel nous rapprochons wne idée d’une autre, par lequel nous les lions, les
comparons ensemble d'une manière quelconque. Nè sembri assurda la menzione di un rapporto che
disgiunge Poichè si tratta d’un rapporto pensativo, di natura affatto diversa
da ogni rapporto materiale. Si distinguono però delle relazioni essenziali ο
delle relazioni non essenziali ο accidentali. Le relazioni essenziali sono
costituite da elementi correlativi, tali, cioè, che a ciascuno è essenziale la
sua relazione con l’altro; ad es. bello e brutto, sopra © sotto, alto e basso,
maggiore e minore, ecc. Ora tali elementi non sono oggetti di cognizione ma
fatti di conoscenza, vale a dire concetti nostri, Invece le relazioni accidentali
sono condizionate agli elementi; ad es. questo libro è sopra il tavolo, ma il
tavolo può stare senza il libro, e il libro senza il tavolo, mentre il sopra
non può stare senza il sotto. Per Aristotele il rapporto o relazione (πρός τι)
è una categoria; tuttavia egli considera soltanto i rapporti fondati sulla
reciprocanza, e non il rapporto in sò stesso ma le cose tra le quali il
rapporto esiste. Hume distingue invece due significati diversi nella parola
relazione: l’uno designa il fattore per cui le rappresentazioni appsiono
collegate nell’imaginazione, cosicchd l’una trae seco l’altra; il secondo
indies i momenti riguardo ai quali, anche con arbitraria unificazione di due
rappresentazioni nella imaginazione, si confrontano casualmente l’una con
l’altra: il primo significato prevale nell’uso volgare, il secondo nel
filosofico; le fonti di ogni relazione filosofica sono la somigli4nza,
l'identità, lo spazio, il tempo, la quantità, la qualità, la contrarietà, la
causa, l’effetto. Per Kant l’idea di relazione è una delle categorie, ma egli
non considera che tre specie di relazione: quella della causa all’effetto,
quella della sostanza al fenomeno, quella di due cose agenti reciprocamente
l’uns sull’altra. Il Locke è forse il filosofo che ha dato la classificazione
più completa delle relazioni, ch’ egli distingue in: relazioni temporali, ReL 982 spaziali, causali, proporzionali, che
dipendono cioè dall’uguaglianza o dal più e dal meno, naturali, fondate cioè
sui leganıi stabiliti dalla natura stessa tra le cose, d’istituzione, stabilito
dall'accordo degli uomini tra di loro, e morali, fondate sulla conformità o non
delle azioni volontarie con la regola onde le stesse αἱ giudicano. Nella
filosofia moderna e contemporanea il problema delle relazioni è un problema
insieme gnoseologico e metafisico, la cui importanza appare da ciò, che le
leggi naturali sono generalmente concepito come semplici uniformità di
relazioni, e la realtà sia fisica, sia psichica è concepita da molti come un
puro tesunto di relazioni tra fenomeni, senza alcun sostrato permanente. Si
presenta quindi la domanda: le relazioni esistono come realtà in sò stesse,
indipendentemente dalla conoscenza che possiamo averne, o non sono che una
forma di conoscenza, una categoria che lo spirito, in virtà della sua
struttura, applica spontaneamente ni fenomeni? La soluzione realistica urta
contro gravi difficoltà : se si ammette che le relazioni sono in sd quali le
conosciamo, si cade nella contraddizione, in quanto le relazioni non sono tali
nel nostro pensiero che perchè noi le pensiamo ; se si ammotte che sono in sò
stesso divorse, si cade nell’ agnosticismo. La soluzione idealistica, a sua
volta, non riesco a spiegare come le relazioni, pure categorie del pensiero,
s’impongano a noi con la stessa forza © la stessa fissità dei fenomeni: se la
facoltà di giudicare del simile © del differente, del simultaneo ο del
successivo, è una legge costitutiva del nostro spirito, lo applicazioni
particolari di tale facoltà non sono regolate dagli oggetti stessif Una, terza
soluzione sembra evitare queste difficoltà, collocando le relazioni in Dio: «
Le relazioni hanno una realtà dipendente dallo spirito come la verità, dice il
Leibnitz, ma non dallo spirito degli uomini, poichè v’ ha una intelligenza suprema
che le determina tutte in ogni tempo ». Perd, anche a questa dottrina fu
obbiettato cho essa conduce al pan 983 Rew teismo e che, d'altro canto, colloca in
Dio la successione, il cangiamento e quindi 1’ imperfezione. Nel linguaggio scolastico dicesi relatio in, ο
relatio fundamentalis, quello su cui la relazione si fonda, in quanto è
inerente a quello solo, ad es. il verde d'una foglia in quanto è in quella
foglia; relatio formalis, quello stesso su cui si fonda la relazione riguardata
in quanto si riferisco ad altro, ad es, il verde d’una foglia riguardata in
confronto a quello di un’altra; relatio aoquiparantiae quella di somiglianza ο
di uguaglianza, relatio disquiparantiae quella che domina gli estremi in modi
diversi, ad es. maestro © scolaro; relatio proprie realis quella i oui termini
sono entrambi non solo realmente esistenti, ma hanno anche in sò qualche cosa
per cui si riferiscono a vicenda, ad es. la relazione tra causa ed effetto;
relatio rationis o logioa quella per cni un cosa si riferisce ad un’altra non
secondo la ragione di esistere, ma unicamente nell’ordine che |’ intelletto
pono tra i concetti delle cose. Cfr. Destutt de Tracy, Eléments d’ideologie, 1815, I, 4,
p. 51; Leibnitz, Nouveaux essays, 1. II, cup. XII, $ 3, e cap. XXX, $ 1; Locke, An essay
cono. hum. understanding, 1877, IL, cap. 12, 28, 30; Hume, Treatise on hum,
nature, 1874, I, sez. 5; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 96 segg.; Stuart Mill,
Syst. de logique, trad. franc. Peisse, 1. I, cap. III, $ 10; Boirac, L'idée du phénomène, 1894, p. 166
segg. (v. attualiemo, fenomenismo, sostanzialirmo). ‘Relazione (concetti,
sentimenti di), Il Drobisch chiama concetti di relazione quelli che si formano
mediante una sintesi dei singoli membri, che costruiseono un concetto. Con la
stessa espressione il Wundt designa quei concetti che hanno per contenuto lo
relazioni del pensiero logico, per essere poi trasferiti da esso all'oggetto
del pensiero ; essi costituiscono gli ultimi gradi della trasformazione logica
del contenuto delle rappresentazioni, che comincia con la costruzione dei
concotti empirici individnali. Diconsi sentimenti di relazione la paura (sent.
difensivo), la collera (sent. offensivo), la solidarietà (simpatia). Il Bain e
l'Hôftding chiamano emozioni di relazione ο di relatività lo stupore e la
sorpresa, il cui carattere essenziale è d’ essere determinate dall’opposizione
del nuovo all’abituale ο, se intervengono delle rappresentazioni,
dall’opposizione di ciò che accade a ciò che si attendeva. Cfr. Drobisch, Noue
Darstellung der Logik, 5° ed. 1887; Wundt, System d. Phil., 1897, p. 289;
Hôfding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 731 segg. ‘Relazione (legge di). La
legge psichica fondamentale, secondo molti psicologi contemporanei. Sostituito
al vecchio concetto della sostansialità quello dell’ attualità psichica, per
cui i fatti della coscienza valgono solo in quanto esistono in un dato momento
9 non si possono riferire ad alcun sostrato fisso di cui siano le
manifestazioni ο le modalità, la loro unità è spiegata mediante il rapporto che
li unisce: tutti i fatti psichici che formano la trama della coscienza sono in
relazione tra loro, relazione che lega i processi psichici in una connessione
ininterrotta nella coscienza individuale e conferisce loro un significato
particolare a secondadel posto che occupano e della relazione in cui stanno con
gli altri. Questa leggo di relazione, fissata già dal Leibnitz col suo
principio di continuità, è però variamente intesa dai moderni psicologi : così
per il Bain essa riguarda propriamente la parte soggettiva della coscienza,
ciod i sentimenti, ο si riconduce al carattere originario dello spirito, che è
quello di cogliere una differenza, di percepire un cambiamento ; l’Hôffding la
estende tanto alla sfera delle sensazioni come a quella del sentimento, ο
distingue una relazione simultanea, ciod fra le parti di uno stesso stato, e
una relazione suocessiva, cioè tra due stati che si determinano reciprocamente
; per lo Spencer anche la vita psichica, come la vita in genere, consiste in un
progressivo adattamento dello relazioni interne alle esterne; per il Wund la
relazione che intercede fra i processi psichici è di causa ed effetto
(osusalità peichica), © insieme alle leggi delle risultanti e dei contrasti
costituisce il gruppo delle leggi dei rapporti psichici. Cfr. Bain, The senses and the
intelloot, 3* ed. p. 8 segg.; Id., Les émotions et la volonté, trad. franc.
1885, P. II, ο. 13; Hòftding,
Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 145 segg., 367-393, 412; Wundt, Grundrisa d.
Psychologie, 1896, p. 294 segg.; Spencer, Prino. of Peyoology, 33 ed., $ 65 (v.
risultante, sintoi peichioa, attualiemo, sostanzialimo). Relazioni (problema delle). Uno dei problemi fondamentali
della gnoseologia ο della metafisica, che ha la aus origine dalla
constatazione: che funzione fondamentale del pensiero è quella di porre delle
relazioni, di riferire I’ uno all’altro gli elementi della realtà ο di
considerare in sò codeste relazioni. Ora, porre una relazione significa
definire un elemento o un aspetto della realtà per mezzo di un altro: in tal
caso la relazione trascende o non trascende la realtà delle cose tra le quali è
stabilita? La relazione sembra non abbia senso se non presupponendo la realtà
delle cose; ma a lor volta le cose sembrano non poter essere mai colte all’ infuori
di una relazione, cosicchè la loro realtà si esaurisce nol complesso delle
relazioni di cui possono essere termini e con cui possiamo definirlo. Tre sono
le principali soluzioni del problems: 1° le qualità delle cose si risolvono in
relazioni, perchè se le qualità 4 ο B sono quello che sono anche indipendentemente
dalla relazione che passa tra esse, la relazione medesima è arbitraria ο senza
significato per la realtà; 2* le cose si risolvono in complessi di relazioni,
cosicchè essere reale non significa altro che essere riferito; 3° la relazionalità
è il carattere della realtà fenomenics, ma al di sopra del pensiero comune
esiste una forma diversa di conoscenza, nella quale le relazioni non hanno più
senso, © che è la rivelazione della realtà metafisica. A queste si può
aggiungere una quarta soluzione, che consiste nel consiReL 986 derare la realtà come costituita di termini in
0 con relazioni, gli uni © le altre ugualmonte reali, sebbene in diverso senso.
Però anche quest’ ultima veduta ha suscitato, come le precedenti, gravi
obbiezioni. Il Bradley, ad es., dice che i concetti di materia, tempo, spazio,
energia, essendo concetti relativi, che caratterizzano le cose per rapporto le
une alle altre, non ci dicono nulla delle cose stesse, © conducono a delle
serie infinite; infatti si può sempre chiedere qual’ è la relazione dei membri
in rapporto alle relazioni nelle quali si trovano, e studiando i membri si vede
che essi possono collocarsi in ciascuna di codeste relazioni. Cfr. B. Russel, The principles
of mathematics, 1903, p. 218 segg.; Id., À oritioal exposition of the
philosophy of Leibnite, 1900, p. 12 segg.; Bradley, Appearance and reality,
1893, p. 25 segg.; Tailor, Elemente of metaphysio, 1903, 1. II, p. 120 segg.; G. Calò, L'intelligibilità
delle relazioni, « Riv. di fil. », aprile 1910; R. Heller, La dottrina delle
rel. nella critica della scienza contemp., « Cultura filosofica», marzo 1911;
Ladeväze, La loi d'universello relation, 1913. Religione (dal latino religio
che, secondo alcuni, ei riconduce al termine relegore = raccogliere di nuovo, e
se condo altri a religare rilegare,
secondo altri ancora ad un verbo scomparso religere, opposto a negligere. La
prima etimologia è sostenuta da Cicerone e dai moderni filologi, la seconda da
Servio, Lattanzio, Agostino, Max Müller). T. Religion; I. Religion; F.
Religion. Il merito di aver compreso che cosa sia in sò stessa la religione,
indipondentemento dalle suo forme storiche, spetta esclusivamente al pensiero
moderno. Soltanto nella suola platonica troviamo una nozione filosofica della
religione. Per Platone, infatti, l’essenza e il fino della religione à 1’
assimilazione a Dio, fondata sopra l’unità di essenza dell’ anima umana e della
divinità. Codesto concetto, intravisto già dai pitagorici e da Socrate, domina
in quasi tutta la filosofia antica si ritrova nello stoicismo, nel giudaiamo ©
nel oristianesimo 987 ReL alessandrino, e nel neo-platonismo. Ma, in
generale, il mondo antico non ebbe nè poteva avere una nozione sperimentale,
storica della religione in sè, poichè per esso la religione non aveva storia.
La vittoria del cristianesimo doveva perpetuare, per ben altri motivi, codesta
condizione di cose; © infatti, data la rigorosa ortodossia della Chiesa, non
era possibile alcuna distinzione tra religione in sò © cristianesimo cattolico.
Con l’aprirsi della età moderna ο collo svincolarsi del pensiero dalle catene
del dogina, cominciano infine ad accumularsi gli elementi che dovranno più
tardi servire alla storia delle religioni; ma è soltanto col Lessing, in
Germania, che #’inizia uno studio veramento soientifico del fenomeno religioso,
perchè il lavoro compiuto s tal riguardo dai filosofi francesi del diciottesimo
secolo, non esclusi il Voltaire © il Rousseau, è più che altro negativo. Per il
Lessing la storis religiosa non è che l'educazione dol genere umano, che si
eleva a nozioni sempre più puro della divinità © del dovere; tutte le religioni
hanno quindi una relativa legittimità. Dal Lessing in poi è continuo lo sforzo
dei pensatori per rendersi un concetto adeguato del complesso fenomeno
religioso ; noi non ricorderemo qui che alcuni dei tentativi più importanti.
Per Kant la religione è il riconoscimento dei nostri doveri come ordini divini
; soltanto la coscienza morale attesta l’universalità © la necessità nel
rapporto col sovrasensibile. Per 1’ Herbart è la credenza, teoreticamente
incontestabile, in una intelligenza suprema come fondamento dei rapporti fra
gli elementi reali da cui deriva il mondo fenomenico, la cui finalità non
sapremmo altrimenti spiegare. Per I’ Herder è 1’ appropriazione intorioro dell’
sttività divina ordinatrice delle cose, di modo che noi οἱ suVordiniamo
scientemente a codesto ordine divino. Per Schelling non è altra cosa che la
divinità che cerca sè stessa attraverso tutta la sorie degli intermedi, che
vanno dalla materia brata allo spirito. Per Schleiermadher si riconduce Ret. 988 al
sentimento, che tutti abbiamo, della nostra dipendenza assoluta da una potenza,
che ci determina ma che non possiamo determinare. Comte e Feuerbach riducono I’
essenza di ogni religione all'adorazione dell’uomo fatta dall’uomo: dell’uomo
come specie il primo, dell’uomo come individuo il secondo. Per l’ Hegel la
religione è il sapere che lo spirito finito ha della sua essenza come spirito
assoluto. Per il Miiller è una facoltà mentale che, indipendentemente e spesso
auche a dispetto del buon senso e della ragione, rende l’uomo capace di
cogliere l’infinito sotto differenti nomi e diverse forme. Per il Guyau è una
manifestazione sociologica universale a forma mitica; per l’Hòffding è il
sentimento della conservazione dei valori dello spirito nella realtà; per il
Bontroux è la rivendicazione, allato al punto di vista della scienza, del punto
di vista del sentimento e della fede: per il Durkheim è un sistema solidale di
credenze e di pratiche relative a cose sacre, credenze e pratiche che uniscono
in una medesima comunità morale tutti quelli che vi aderiscono. Ora, nessuna di
codeste definizioni pare veramente comprensiva del fenomeno da definire.
Ciascuna di esse contiene piuttosto una parte di verità, in quanto fa risaltare
uno degli elementi costitutivi della religione. Raccogliendo ciò che esse hanno
di essenziale, si potrebbe definire la religione come la determinazione della
vita umana per mezzo della coscienza di un legame che unisce lo spirito umano
allo spirito misterioso, di cui egli riconosce la dominazione sul mondo sopra
lui stesso, ο al quale egli ama sentirsi unito. L’antichissimo e dibattuto problema del valore
conoscitivo della religione, ossia dei rapporti tra religione e scienza, tra
ragione e fode, è risolto nella moderna filosofia della religione in sei modi
principali: 1° La religione ha un dominio a sè, fuori del controllo della
scienza e della filosofia; quella è affare di fede, queste di conoscenza. La
filosofia è una conoscenza astratta, mentre la religione è una realtà essa
stessa, è una forma di vita spi 989 Rew
rituale. La scienza osserva e collega tra loro le apparenze esterno dei
fenomeni, l’uomo pio vive in Dio e nelle anime dei suoi fratelli, prega, ama,
spera. 2° Religione, filosofia ο scienza sono tronchi germogliati da una radice
comune: la fede, la credenza non dimostrabile. La scienza è una fede perchè le
sue definizioni sono pure forme dell’ intelligenza, non abbracciano che una
parte impercettibile della realtà infinita e quindi non sono dimostrabili, non
hanno che un valore ipotetico, provvisorio. La filosofia ha bisogno non di un
atto di fede, come la scienza, ma di più: fede nell’oggettività dei simboli
mentali rispetto ai fenomeni, fede nell’ oggettività dei medesimi rispetto
all'essenza, fede nell’oggettività del sistema dei simboli mentali rispetto
alla totalità sistematica e all’unità della realtà. Dunque, nd la scienza nd la
filosofia possono negare la validità di quelV unico atto di fede, la fede in
Dio, su cui la religione si fonda. 3° Le verità religiose sono di ordine
diverso dalle verità scientifiche, ο nel loro proprio dominio non possono
essere contraddette dalle verità della scienza. La scienza, infatti, studia i
fenomeni nei limiti della conoscenza finita, la religione penetra
intuitivamente nell’ essenza ultima del reale. La scienza usa necessariamente
di ideo che sono simboli di una realtà che le sfugge; questa realtà è l'oggetto
proprio della religione. 4° Ogni sapere essendo indirizzato all’azione, la
differenza tra il pensiero scientifico e il religioso deriva dalla differenza
di funzione e di finalità che essi rappresentano. La scienza è una
manifestazione della ragione umana; la religione è specialmente una manifestazione
della volontà. Ora la volontà umana tende al di là dell’ esperienza finita, che
non la appaga; quindi si dirige verso un essere, verso una realtà, che se è
adeguata alla potenza della volontà, è inadeguata e trascendente rispetto
all'intelligenza. 5° La verità religiosa è certa per sd stessa, come verità che
è una realtà vissuta, intorno alla quale la ragione si può esercitare ma
unicamente per riconoscerla Reı. 990 non per dimostrarla. La religione si appunta
necessaria mente nel sovrannaturale, ms la necessità del sovrannaturale non è
logica o causale ma vissuta; credere significa possedere la verità
sovrannaturale in modo da introdaris nella propria vita per vivere
sovrannataralmente. Il metodo della scienza non può quindi valere nella
religione: in questa vale un altro metodo, il metodo immanente, che fa quello
già adoperato da Pascal. 6° La religione in quanto conoscenza, e per quella
parte di conoscenza che solo la interessa, ciod la concezione spiritualistica
del mondo, non soggiace necessarismente alla critica scientifica © filosofica,
perchè è una specie di filosofis; e propriamente quella che meglio corrisponde
alle esigenze ideali ο morali dello spirito umano, Fra i molti tentativi di classificazione delle
religioni, la più scientifica ci sembra quella del Reville, il quale le divide
anzitutto sotto due grandi categorie: politoiate e monoteiste. Alla categoria
delle religioni politeistiche appartengono cinque gruppi: 1° religione
primitiva della natura, cioè il culto semplice degli oggetti naturali
rappresentati come animati e infinenti sul destino umano; 2° religioni
animistee Jeticiate, che si sviluppano sulla base precedente, proprio dei
popoli rimasti allo stato selvaggio; 3° mitologie nazionali. fondate sulla
drammatizzazione della natura © supponenti tra gli esseri divini delle
relazioni uguali a quelle della vits umana; di questo grappo la mitologia
vedios rappresenta la forma più ingenua, la mitologia greca la forma più
raffinata; 4° religioni politetste-legaliate (che impongono cioè 1) osservanza
di una legge così morale come religiosa), il mardeismo, il bramanismo e le due
religioni filosofiche cinesi di Kong-fou-tzeu e di Lao-treu ; 5° il Buddismo,
religione di redenzione e, teoricamente, monoteistica, ma fondantesi nells
pratica sui politeismi locali. Alla seconds categoria appartengono tre
religioni : 1° il giudaismo, uscito dal mosaismo, legalista © nazionale; 2° }
islamiemo, legalista e interna zionale; 3° il oristianorimo, religione di
redenzione, inter 991 Rer. nazionale. Si sogliono spesso distinguere le religioni in
due grandi gruppi, naturalistiche ο spiritualistiche : a queste ultime
appartengono le quattro grandi religioni, giudaismo, buddismo, cristianesimo,
islamismo, nelle quali il problema della vita dello spirito, e del suo destino
nel mondo, soverchia il problema della natura ed è la sostanza della religiosità.
Teoricamente si distinguono ancho in: religioni della logge, nelle quali è
recisamente affermata la trascendenza della divinità e insieme il governo
diretto del mondo dalla volontà divina onnipotente; © religioni della redensione,
nelle quali la divinità, pur conservando la sua distinta essenza, è accostata
all’uomo, e l’uomo alla divinità, sia per natura sia per l’opera della
redenzione. Nel linguaggio comune dicesi
religione positiva quella che consiste più particolarmente in un insieme di
insegnamenti dogmatici © nelle pratiche del culto; religione razionale quella
che risulta dall'esame razionale delle oredenze; religione flosofica quella che
si fonda sopra una interpretazione generale © metafisica del mondo e dell’
esistenza; religione naturale l'insieme delle credenze nell’ esistenza di Dio,
nella spiritualità e immortalità dell'anima, considerate come una rivelazione
della coscienza e della luce interiore che rischiara l’uomo. Cfr. Diogene L.,
VII, 138, X, 123 segg.; Lnerezio, De rer. nat., IV, 38 segg., V, 1159-1238;
Leibnitz, Theodicea, pref. I, $6; Lessing, Duplik, 1778; Kant, W. W.
‚Rosenkranz, VII, 336, VIII, 508, VI, 201; Schleiermacher, Dialektik, 1903, p.
111, 157, 186-193; Id., Reden, 1859, p. 104 segg.; Hegel, Vorlesungen über die
Philos. d. Religion, 1901; Feuerbach, Das Wesen des Christentum, 1841; Guyau,
L’irreligion do l'avenir, 1887 ; Höffding, Filosofia della religione, trad. it.
1909; Bontroux, Science et religion, 1909; Durkheim, Les formes elementaires de
la vie religieuse, cap. I, p. 65; W. James, The varieties of religious
experience, 1902; L. R. Farnell, The evolution of religion, 1905; F. B. Jevons,
Introduction to the history of religion, 1906; J. Baisssc, Les Rem 992 origines de la religion, 1899; John Caird,
Introd. alla flowfa della religione, trad. it. 1909; O. Pfleiderer, Religione e
re ligioni, trad. it. 1910; S. Reinach, Orpheus, storia nat. delle religioni,
1912; C. Puini, Saggi di storia della religione, 1882: C. Ranzoli,
L'agnostiotemo nella filosofia religiosa, 1912; F. Masci, La filosofia della
religione e le sue forme più recen 1910 (v. Dio, mito, delemo, teiemo,
fideismo, panteismo, ritualiemo, ecc.). Beminiscenza (rursus © mominissee ricordarsi una seconda volta). T. Anamnese,
Reminisoens, Naokklang ; I. Reminisoenoe; F. Réminiscence. Non ha significato
preciso. Pet alcuni designa un ricordo confuso, che manca di ricono scimento ο
di localizzazione nel passato; in tal caso però è più esatto dire oblio.
Secondo altri invece è 1’ atto con cui il nostro spirito, risalendo da una idea
attuale e giovandosi di dati frammentari, completa e ricostruisce un ricordo o
una serie di ricordi. In questo senso fa sdoperata da Aristotele, il quale la
spiega mediante 1’ abitudine che riunisce nella nostra anima lo nostre idee ed
impre» sioni, nello stesso ordine con oui si sono presentate, quando esse non
sian già collegate secondo le leggi necessarie dells logica. In Platone ha un
significato tutto speciale: è una forma mitica di razionalismo, secondo oui
ogni nostro potere di conoscere la verità è il ricordo di uno stato antico nel
quale, vivendo con gli dei, noi possedevamo una visione diretta ο immediata
delle idee: « L’anima essendo immortale, ed essendo nata molte volte, ed avendo
veduto ciò che accade qui, tanto in questo mondo che nell’ altro. ο tutte le
cose, non v'ha nulla che non abbia apprese. Perciò non è da meravigliare se,
riguardo alla virtà e 4 tutto il resto, essa possa ricordarsi di ciò che ha
saputo: poichè, tutto essendo legato nella natura e tutto avende l’anima
imparato, nulla vieta che ricordandoci una sola cosa, il che gli uomini
chiamano imparare, possiamo tro vare da soli tutto il resto ». Egli lo prova
specialmente con 993 Rem-Res l'esempio del teorema di Pitagora, il
quale mostra che la conoscenza matematica non proviene dalla percesione sensibile,
ma questa fornisce soltanto l'occasione per cui V anima richiama alla memoria
la conoscenza proesistente in essa, cioè avente un valore puramente razionale.
Per Condillac la reminiscenza è l’atto stesso per cui si riconosce un ricordo.
Il Rosmini considera la reminiscenza e la memoria come due facoltà distinte:
questa conserva le cognizioni formate, quella le richiama in atto, rieccitando
le imagini e rinforzandone la vivezza. Invece al Galluppi « non sembra
necessario riporre la reminiscenza tra le facoltà elementari dello spirito:
essa è una imaginazione in oui si eseguisce in un certo modo la legge dell’
associazione delle idee »; per remin iscenza egli intende non la semplice
riproduzione di uno statto passato A, ma la riproduzione di A riconosciuto
mediante la riproduzione degli stati Be C, che con 4 erano associati; quindi ls
reminiscenza non è che il riconoscimento mediato. Cfr. Platone, Fedro, XXIX,
249 ο) Id., Menone, XV-XXI, 81 c segg.; Rosmini, Psicologia, 1846, p. 164
segg.; Galluppi, Lesioni di logica ο metafisica, 1854, II, p. 744 segg. (v.
anamnesi). Bemotivi (giudizi). Diconsi tali i giudizi copulativi negativi, la
oni formula può esser tanto: nè 4, nà B, nè C sono D, quanto: A non è nè B, nè
C, nè D. Nel primo caso il giudisio è remotivo nel soggetto, nel secondo nel
predicato. Essi compiono la fanzione logica di escludere alcuni gruppi di
oggetti da uns classe, mostrando che ad essi manca la proprietà essenziale a
tutti gli oggetti in quella compresi. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 182 segg.
(v. congiuntivî). Residui (metodo dei). T. Rückstandsmethode; I. Method of
residues; F. Métode des résidues. Uno dei quattro metodi di ricerca induttiva
indicati da I. F. W. Herschell, Whewell 9 Stuart Mill. Secondo i due primi,
codesto metodo consiste nel levare da un effetto, e specialmente da un effetto
numerico, la quantità che risulta da leggi già note, 68 Ramzoti, Dirion. di scienze filosofiche. Res 994 ridurre il fenomeno ad una specie di residuo,
che si es minerà per scoprirne la spiegazione ο la legge. Per le Stuart Mill,
invece, esso si fonda su questo canone logico: se da un fenomeno si sottrae
quella parte che, per indu zioni anteriori, si sa essere effetto di certi
anteoedenti, cid che resta dei conseguenti sarà l’effetto di quello ο quell
degli antecedenti che sopravanzano. Tale metodo consiste dunque nell’
eliminazione degli antecedenti ο dei conse guenti il cui rapporto causale è
conosciuto; i conseguenti residui saranno, in generale, effetto degli
antecedenti re sidui. Molte sooperte scientifiche sono dovute a questo metodo,
il quale fu adoperato anche, ed utilmente, a onoscere la causa ignota di un
effetto residuo noto: co dalle anomalie inesplicabili nei movimenti di Urano si
arguì l’esistenza di Nettuno, che fu poi scoperto dal telescopio. Cfr. Herschel, 4 prelim.
discourse on the study of natural philos., 1831, cap. VI, $ 158-161; Whewell,
Philos. of the induotive science, 1840, af. XLVII; 8. Mill, System af logic. 6*
ed. 1865, III, cap. VIII, $ 5. Resistenza. T. Widerstand, Widerstandfähigkeit;
I. Reristance; F. Résistance. Una
delle qualità della materia, dataci dallo sensazioni cinestetiche o di
movimento, e specialmente dal senso dell’innervazione. Noi infatti comunichiamo
si muscoli l’ innervazione necessaria per produrre lo sforzo muscolare, che
corrisponde alla resistenza che deve essere superata; se il grado di
innervazione non corrisponde alls resistenza, l’azione muscolare riesce
inadeguata ο eccessiva. Nella meccanica la resistenza è uns forza misurabile,
designando tutto ciò che si oppone al movimento; essa varis col variare della
velocità dei corpi, dell’ ampiezza della loro superficie e della loro forma;
nei fiuidi la resistenza è pro porzionale al quadrato della velocità del corpo
in moto (v. articolare, impenetrabilitä). Responsabilità. T. Verantwortiohkeit;
I. Responsability; F. Responsabilité. Situazione di un agente cosciente s 995 Rus
riguardo degli atti che esso ha compiuti, dei quali deve dare i motivi e
attendere biasimo o lode, pena o premio, a seconda della loro natura e del loro
valore. Non va confusa con l’imputabilità: la responsabilità è infatti la
qualità dell’agente di essere capace delle conseguenze, che la legge morale ο
giuridica fa derivare dall’ atto, che gli viene imputato; l’imputasione è il
giudizio che nn determinato atto è attribuibile a quell’ uomo. Un essere è
responsabilo quando deve rispondere della propria condotta; quindi la
responsabilità implica indipendenza assoluta del volere, suppone che la volontà
si determini da sò stessa all’azione, indipendentemente da una forza che la
costringe. Ed infatti il concetto della responsabilità sorse. accanto a quello
del libero arbitrio; se da principio, nell'infanzia della umanità, essa era
estesa alle cose inanimate, agli animali, persino ai cadaveri, in seguito fu
ristretta agli esseri in cui αἱ riconosceva la facoltà di conoscere il bene ο
il male e la possibilità di scegliere tra I’ uno e l’altro. Ma anche V idea
dell’assoluta indipendenza del volere si dimostrò errones ο fu abbandonata;
caddo perciò anche il concetto di responsabilità, e se oggi il vocabolo è
rimasto ha però un significato diverso del primitivo, tanto che, forse non a
torto ei proclama da alouni la necessità di abolire una parola che non adegua
l’idea ed è cagione di equivoci. Alla responsabilità assoluta, che
corrispondeva alla libertà assoluta del volere, alonni vogliono sostituire una
responsabilità limitata corrispondente alla limitazione della libertà e
distinguono una responsabilità parziale ed una responsabilità attenuata ; per
la prima un individuo è responsabile soltanto degli atti emananti dalle sue
facoltà mentali normali, irresponsabile per quelli emananti dalle anormali ;
per la seconda la responsabilità d’un individuo debole intellettualmente e
moralmente è diminuita in ragione di tale sua debolezza. Altri tentativi furono
fatti per mantenere l’ idea di responsabilità, dandole una base che potesse
sostituire quella caduta del libero arbitrio. Fra le dottrine a tal rignardo
più importanti ricorderemo: 1° quella, oul #’iepira anche il codice penale
zanardelliano, che pone per base della responsabilità la volontarietà; perchè
vi sia responsabilità l’atto deve essere stato commesso volontariamente;
l’azione à repntata volontaria, se agente, compiendola, voleva realmente
compierla; 2° quella che le pone per base l'intelligenza, considerata come
direttrice della volontà: è responsabile soltanto 1) individno la cui volontà è
determinate, in generale. dalle idee, e, in particolare, dalle nozioni della
religione, 8 della morale, del diritto, della prudenza; 3° quella che le pone
per base l’intimidabilità per mezzo della pena; essendo tutti gli uomini, tolti
gli ‘alienati, intimidabili, tatti debbono essere considerati responsabili dei
loro atti; 4° quella che lo dà per base In personalità ; ogni nomo, agendo
sulle circostanze, che a lor volta agiranno su lui, può modificare la propria
personalità e quindi dirigere il sno spirito verso un dato ordine di idee e di
sentimenti, distogliendolo da altre idee e da altri sentimenti, contraendo
insensibilmente l'abitudine delle azioni e dei pensieri ai quali desidera sollevarsi;
in questo potere di modificarsi ha la sua radice la responsabilità. Ricordiamo
infine la soluzione data al problema dalla scuola criminale italiana; l’uomo,
essendo la risultante fatale di determinati fattori antropologici, sociologici,
economici, tellurici, ecc., non è moralmente responsabile delle proprie azioni,
poichè non poteva non volerle. tutte le condizioni essendo date; ma siccome I’
uomo vive in società, la quale ha il diritto di difendersi ο conservarsi. e
siccome ogni azione umana produce nella vita della società degli effetti e
delle reazioni sia individuali, aie sociali, che ricadono sull’antore
dell’azione ο gli saranno utili ο nocive secondo che l’azione stessa sarà stata
utile o dannosa alla società, per questi motivi l’uomo è socialmente
responsabile delle proprie azioni. Come si vede, il termine responsabilità
assume qui un significato affatto diverso dal 997 Res
primitivo, e ad esso si può utilmente sostituire quello di difesa 0 reazione
sociale. Comunemente si distingue la responsabilità morale, la r. civile e la
r. penale. La r. civile consiste nell’ obbligo di riparare, in una misura e
sotto una forma determinata dalla legge, il danno causato ad altri; la r.
penale è la situazione di chi può essere giustamente colpito, a titolo penale,
per un crimine o per un «delitto. Nella stessa responsabilità morale si
distinguono due forme: quella da noi definita sopra, e l’ obbligazione morale,
sanzionata o non dalla legge, di riparare al torto causato ad altri. Ad ogni
modo, il fatto fondamentale è sempre il medesimo; riunendo ciò che ν΄ ha di
comune nei diversi significati, il Calderoni definisce la responsabilità col
fatto che certi atti ; essa si attua in due processi : 1’ uno, che diocesi
riflessione astraonte, consiste nel confrontare le idee degli enti tra di loro
per fissare il più comune, che viene poi applicato agli enti stessi : l’altro,
che dicesi riflessione integrante, consiste nel confrontare le idee degli enti
con 1’ idea dell’ essere in universale. Per il Cousin la riflessione è un
ritorno sopra uno stato precedente : « se non avesse avuto Inogo alcuna
operazione anteriore, non ci sarebbe posto per codesta operazione, cio’ per la
riflessione: la riflessione non crea, ma constata e sviluppa ». Per il Galluppi
è l’attenzione sul proprio pensiero, ossia la percezione interiore volontaria;
essa ci dà la verità particolare, primitiva, indimostrabile, io penso, ciod Ru 1004 io
sono esistente nello stato di pensiero; non dove confondersi con la coscienza,
che è la percezione interiore involontaria. Dalla riflessione il Locke fa
derivare tutte le idee del nostro mondo interno, di ciò che si dice percepire,
pensare, dubitare, credere, ragionare, conoscere, volere, e di tutte le differenti
azioni del nostro spirito; dalla sensazione fa provenire le idee concernenti il
mondo esterno, tutto ciò che noi chiamiamo le qualità sensibili. Per il Locke
la rifleesione equivale all’ attenzione interna: « per riflessione io intendo
la conoscenza che lo spirito prende delle sue’ proprie operazioni, e del modo
di esse; in tal modo le idee di queste operazioni vengono a formarsi
nell’intelletto >. Per Condillac invece anche la riflessione non consiste
che in nna sensazione trasformata, e tutte le nostre ideo non hanno che un’
unica fonte: il senso. Perciò il sistema del Condillac dicesi sensiemo, quello
del Locke empiriemo. Cfr. Leibnitz, Nouveaux essais, Pref. $ 4; Cr. Wolff,
Peyoh. empirica. 1738, $ 257; Baumgarten, Metaphysioa, 1739, § 626; Kant, Kit, d. reinen
Vern., A 261, B 316; Maine de Biran, Fond. de la peych., ed. Naville, II, 225;
Cousin, Fragments de ‚Philos. contemporaine, 1846, p. 34; Hamilton, Leot. on metaphysios,
1859, vol. I, p. 326; Rosmini,
Nuovo saggio sull'origine delle idee, 1830, II, p. 77 segg.; Galluppi, Lezioni
di logioa ο metaf., 1854, I, p. 27-83; Locke, Human understanding, 1877, II, 1,
p. 4. Riflesso. T. Reflex, Reflerbewegung; I. Reflex; F. Riflere. Detto anche
atto 0 movimento riflesso. Nella sua forma più semplice e tipica, è il seguire
immediato di una sola eccitazione ad una sola contrazione. Essa implica un
organo ecoitabile per una stimolazione sia interna che esterna, un nervo
centripeto ο afferente che trasmetta l'eccitazione al centro nervoso (ganglio
spinale), un centro nervoso che trasmetta 1’ eccitazione al nervo centrifugo ο
motore, e infine an muscolo che si contragga o una glandola che secerna. La
sede centrale dei riflessi è il midollo spinale, 1005 Rie tuttavia pud intervenire nella produzione
loro anche il cervello; in questo caso si hauno i riflessi psichici ο coscienti
(ad es. il soldato che in battaglia abbassa la testa al fischiare delle palle)
nel primo caso si hanno invece i riflessi spinali ο incoscienti (ad es. il
restringersi o il dilatarsi della pupilla in seguito al crescere ο al diminnire
della luce). Si dicono poi riflessi primari quelli che nella serie filogenetica
non sono mai stati coscienti, e riflessi sscondari quelli che negli Antenati
erano azioni volontarie coscienti, ma che sono divenuti più tardi incoscienti
per abitudine o per scomparsa della coscienza. Rispetto alla complessità loro i
riflessi furono distinti in: 1° semplici, che definimmo sopra; 2° difSusi
incoordinati, che si manifestano in forma di contrazione di tutti i muscoli ed
hanno per csuss l’ aumento della eccitabilità spinale; 3° diffusi coordinati,
che manifestano un fine (ad es. i movimenti che si fanno dormendo per prendere
una posizione più comoda). Il cervello esercita una asione inibitoria sui
riflessi, come mostra il fatto che si possono talora abolire mediante la
volontà, e che l'asportazione sperimentale del cervello è seguita da
esagerazione di riflessi. Cfr. Höffding, Psychologie, trad. frano. 1900, p. 49 segg.; Wundt,
Grund. d. Psychologie, 1896, p. 227 segg.; Sully, Outlines of peych., 1885, p.
593 segg.; D. Ferrier, The funotions of the brain, 1876, p. 16 segg. Rigorismo. T. Rigorismus; I. Rigoriem ; F.
Rigorieme. Severità eccessiva nell’ apprezzamento delle azioni umane;
affettazione di abbracciare, in fatto di morale o di fede, le opinioni più
rigorose. Il termine fu usato da Kant per designare l'indirizzo antiedonistico
ο ascetico della morale: « È in generale importante per l’ etica di non ammettere
via di mezzo per quanto è possibile, nd nelle azioni (adiafora) nd nei
caratteri umani.... Quelli che s’ attengono a questa stretta veduta sono
comunemente chiamati rigoristi (nome che sembra racchiudere un rimprovero, ma
che in realtà è una lode); ο i loro opposti possono esser chiamati Rısı-Rur 1006 indifferentisti, o latitudinarii del
compromesso, e possono esser chiamati sinoretisti ». Cfr. Kant, Krit. d. prakt.
Ver nunft, od. Reclam, p. 88; Id., Religion innerhalb d. Grenzen d. blossen
Vernunft, 1879, p. 21 segg. Rimorso. T. Gewissensbise; I. Remorse; F. Remords.
Sentimento complesso di dolore, che deriva dal riconoscimento d’aver violato le
leggi della morale e dal conseguente disprezzo di sò a sò stesso, da un mal
dissimulato interiore disprezzo. Per Spinoza conscientiae morsus est tristitia
concomitante idea rei prastoritae, quae practer spem evenit. Esso è la
proiezione nel campo della coscienza del fatto esteriore della punizione
inflitta dalla società per la violazione della legge positiva: osservato
costantemente che nella società nn genere di atti è seguito da una punizione,
si forma nella mente una associazione inevitabile per oui quell’ atto si pensa
necessariamente come punibile, e quindi come tale da evitarsi, cosicchè
compiendolo si ha quel sentimento che dicesi rimorso. Esso è relativo quindi al
grado di moralità ο alle abitudini mentali ο pratiche dell’ individuo ; quanto
più un’azione immorale è ripetuta, tanto minore è il rimorso che l’accompagna.
Cfr. Spinoza, Ethioa, 1. III, teor. LIX, def. 17; Ardigò, Op. filosofiche, IV,
p. 120 segg. Riposo. T. Ruhe; I. Repose, Rest; F. Repos. In senso psicologico e
morale è lo stato di calma in cui trovasi lo spirito, quando è libero dalle
agitazioni che derivano specialmente dalle passioni e dai desideri. Per Spinoza
il riposo intimo, o soddisfazione di sè stesso, è « la gioia nata dal fatto che
1’ uomo contempla sò stesso e la propria potenza d’agire »; e poichè la vera
potenza d’agire dell’uomo, ossis la sua virtù, è la ragione stessa che l’uomo
contempla chiaramente, così « il riposo intimo può nascere dalla ragione, e
solo il riposo che nasoe dalla ragione à il massimo che possa esistere >;
esso è il supremo bene che noi possiamo sperare, è la beatitudine stessa. In senso fisico il riposo è lo stato di un
corpo che conserva la sua po= 1007 Rip-Ris sizione nello spazio. Il riporo dicesi
assoluto se il corpo è riportato a degli oggetti realmente fissi; è relativo se
i punti ai quali è riferito sono animati da un movimento al quale questo corpo
partecipa. Cfr. Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. LIT; Appendice, cap. IV (v.
atarassia, equilibrio). Riproduzione. T. Reproduction; I. Reproduction; F. Reproduotion.
Il ripresentarsi alla coscienza degli stati ο dei processi passati. Kant chiama
legge della riprodusione quella secondo la quale le idee che si sono presentate
insieme nello spirito si richiamano V una l’altra alla coscienza. Secondo Th.
Ziegler, si riproducono soltanto quegli stati « che armonizzano coi nostri
attuali sentimenti ο stati d’ animo, mediante oni conservano il loro stesso
valore affettivo ». Il Jodi descrive la riproduzione come quel processo paicologico
mediante il quale « una primitiva eccitazione della coscienza (sensazione,
sentimento, volizione) dopo essere stata soppiantata ο resa incosciente da
un’altra eccita zione, rientra di nuovo nella coscienza come copia o imitazione
della eccitazione primitiva, per virtù della sola energia psico-centrale, vale
a dire senza causazione immediata dello stimolo corrispondente alla eccitazione
primitiva ». La riproduzione di uno
stato di coscienza passato può essere volontaria e automatics ο spontanea ; nel
primo caso è l’effetto di uno sforzo mentale, nel secondo l’effetto immediato
di una eccitazione periferica o centrale. L’ esercizio può rendere la
riproduzione volontaria sempre, più facile, fino a farla diventare automatica.
Cfr. Kant, rit. d. reinen Vern., 13 ed. p. 101; Th. Ziegler, Das Gefühl, 1893;
Jodl, Lehrbuch d. Payohologie, 1896 (v. revivisoenza). Risoluzione. T. Resolution,
Entechluse; I. Resolution; F. Résolution. Nel processo volitivo dicesi così il
momento che segue alla deliberazione © precede l’eseourione. Esso dicesi anche
scelta ο determinazione ο decisione. Tuttavia questi vocaboli designano tanti
aspetti del momento medesimo, il quale è risoluzione perchè è la forma attiva
con cui si riRis-Rir 1008 solve il conflitto dei motivi; è scelta in
quanto fra tutte le diverse possibilità una soltanto è ritenuta, mentre le
altre sono scartate dopo uns resistenza maggiore o minore; è determinazione
perchè si designa netta I’ idea fine, emergente vittoriosa dal conflitto dei
motivi. Nella logica dicesi risoluzione il processo con cui si scompone un
tutto nelle sue parti, o un giudizio in giudizi più semplici di cui è la
conseguenza; esso è l'inverso del processo di composizione ο deduzione
sintetica, e fu chiamato analisi (ἀνάλυσις scomposizione) dagli antichi geometri greci,
che lo ritenevano inventato da Platone. Cfr. Wundt, Grund. d. Payohol., 1896, p. 221;
Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900,
p. 430 segg.; Conrnot, Essai, 1851, cap. XVII, $ 259. Risultante. T.
Resultanten; I. Resultani; F. Réeultant. Si dice di una forza, di una velocità,
d’una accelerazione, che può da sola sostituire più forze, velocità, e
accelerazioni simultanee. Risultante di traslasione è la risultante delle forze
applicate a un sistema materiale, supposte come trasportate in uno stesso punto
dello spazio. Nella psicologia dicesi
legge delle risultanti psichiche (Wundt) la legge per cui ogni fatto
psicologico un po’ complicato è un prodotto della congiunzione di più elementi
psichici ο quindi una sintesi psichica, analogamente a ciò che avviene nei
fenomeni chimici, in cui due sostanze congiungendosi insieme danno luogo a una
nuova sostanza avente proprietà diverse da quelle degli elementi componenti. Ad
es. la rappresentazione di spazio risulta da sensazioni muscolari, tattili ο
visive, le quali non hanno quella proprietà spaziale che è posseduta dalla
rappresentazione complessiva. Le risultanti psichiche variano naturalmente col
variare dei relativi processi e sono diverse nei diversi individui. Cfr. Wundt,
Grundriss d. Payohol., 1896, p. 375 (v. relazione, legge, ninteri psichica).
Ritmo. T. Rhytmus; I. Rhythm; F. Rythme, Nel suo significato più stretto, è una
successione di impressioni udi 1009 Rir
tive che variano regolarmente nella loro intensità obbicttiva. Wundt: « Un solo
e medesimo suono può esser reso più forte ο più debole. Quando tali aumenti e
diminuzioni seguono con una certa regolarità P’ uno all’ altro, il suono
diventa articolato ritmicamente ». In un senso più largo, il ritmo è il
carattere d’ un movimento periodico, in quanto produce un effetto di bellezza o
almeno di espressione. Séailles : « L'armonia dei colori è il ritmo d’ una
azione, che mette in gioco le fibre ottiche senza affaticarle, per uns sapiento
disposizione di intervalli di sforzo e di riparazione ». Nel suo significato scientifico e filosofico
il ritmo è il carattere periodico d’un processo, il modo caratteristico di
svolgersi d’ una funzione. Per ’Ardigd la legge del ritmo è la legge
universale, che domina nella natura e nel pensiero, e per la quale così in
quella come in questo si verifica la varietà nell’ ordine; pensiero ed
organismo costituiscono un unico ritmo, il ritmo pricofisico, che nella età del
suo svolgersi riflette l’azione ritmica della natura, da cui in ultimo risulta.
Cfr. Wundt, Grundzüge d. physiol. Peych., 1893, II, 72 segg.; Séailles, Le
génie dans l'art, Paris, Alean, p. 236; Ardigò, Op. fl, II, 227 segg., V, 232
segg., VI, 226 sogg. Rito. T. Ritual; I. Rite; F. Rite. Un insiemo di simboli
raggruppati intorno ad una idea o ad un atto religioso, allo scopo di renderne
paleso il senso ο ingrandirne il carattere solenne. Si ha così il rito del
battesimo, il rito dei funerali, ecc. Anche il rito si ricongiunge quindi al
bisogno che l’uomo prova di obbiettivare i propri sentimenti ο lo proprie
impressioni. Per ciò il rito, rispetto alla religione, è stato paragonato al
linguaggio nel suo rapporto col pensiero: « Fin dal principio, dice F. B.
Jevons, il bisogno e il desiderio di avvicinarsi a Dio si sono manifestati o
han trovato il loro simbolo in atti ο in riti esterni. L’ esperienza del genere
umano è la prova che i riti sono indispensabili, nello stesso modo e per la
stesso ragione, che 64 RANzoLI, Dizion.
di scienze filosofiche. RIT 1010 il linguaggio è indispensabile al pensiero.
Questo non si svilupperebbe se non vi fosse il linguaggio, mediante il quale il
pensiero si affina al contatto col pensiero. E la religione non si è mai
sviluppata, in nessun luogo, senza i riti ». I riti di tutte le religioni
possono dividersi in due grandi categorie: quelli-di carattere collettivo,
compiuti da un insieme di individui raccolti in assemblea (sacrifiri, danze
sacre, processioni, ecc.); quelli di carattere indiriduale, che mirano ο a
propiziare la divinità ο a conse crare la fede religiosa personale (la
preghiera individuale, il battesimo, la cresima, ecc.). Cfr. 8. Reinach, Culte,
mythes et religione, 1905-12; F. B. Jevons, L'idea di Dio nelle religioni
primitive, trad. it. 1914, p. 104 sogg. (v. ri tualismo). Ritualismo. T.
Ritualismue; I. Ritualiem; F. Ritualiame. Nella storia religiosa si rivelano
due tendenzo affatto opposte rispetto alla adorazione da rendere alla divinità.
L’ una consiste nell'attribuire una grande importanza al compimento delle
cerimonie simboliche, che costituiscono il rito; l’altra nell’ abolire tutte le
manifestazioni esterne del culto, che sono considerate come profanazioni. La
prima tendenza costituisce il ritualismo ed è spiccatissima, ad es. nel? antica
religio romana © nel cattolicismo, la seconda costituisce il puritanismo ο spiritualismo
religioso. Quanto all'origine del ritualismo, secondo alcuni (Brinton) è da ricercarsi
nel mito, secondo altri (Max Mtiller e gli indianisti) sarebbo dovuta a una
trasformazione di antiche usanze e di pratiche magiche ; secondo altri ancora
(F. B. Jevons) ogni forma di rituale, sorgendo dal desiderio dell’ adoratore di
rendersi accetto al suo Dio, ha le sue origini dal sacrificio, che è appunto
l’atto mediante il quale tutti gli uomini si pongono in più stretta relazione
coi loro Dei. Cfr. Mettgenberg, Ritualiemus und Romanismus, 1877; J. Marquardt, Le culte
chez les Romaine, 1889; G. d’Alviella, Croyances, rites,inatitutiona, 1911 (v.
mito, religione, rito). . 1011 Riv
Rivelazione. Lat. Revelatio ; T. Offenbarung; I. Revelation; Y. Révélation. In
generale, ogni manifestazione o comunicazione del pensiero ο della volontà
divina, operata per mezzo di agenti naturali o sovrannaturali. Dicesi rivelazione
esterna il manifestarsi della divinità sia nelle leggi ο nei processi della
natara, sia nella vita dell’ individuo ο dei popoli; rivelazione interna il suo
manifestarsi nella ragione ο nel sentimento morale degli uomini. Secondo la dottrina cattolica, ufficio della
rivelazione è di far conoscere agli uomini i principali elementi dell’ ordine
sovrannaturale che, nel piano provvidenziale, è il fine che oceupa il primo
posto perchè tutto converge verso di esso © da esso riceve la luce. La
rivelazione coincide con l’origine del mondo ed è data e continuata parte con
parole parte con fatti, per via mediata ο per via immediata; le sue fasi sono
quattro (originaria, patriarcale, mosaica e cristiana) © quantunque si debbano
guardare come un solo tutto strettamente connesso, le tre prime non si considerano
che come fasi preparatorio dell’ ultima, la più perfetta di tutte perchd
manifestazione diretta di Dio. Così, a differenza delle rivelazioni fatte da
Dio sotto l'Antico Testamonto, la rivelazione cristiana ha por proprio
carattere l’immutabilità; essa deve rimaner tale sino alla fine dei tempi,
senza essere modificata da alcuna rivelazione pubblica ο senza subire nel sno
contenuto integrale alcuna alterazione sostanziale. Secondo Giustino, Dio si è
servito fin dall'origine di una rivelazione generale, sia esterna sin interna;
di una rivelazione speciale appare» in Mosè, noi profeti e negli uomini della
scionza greca; di una rivelazione piena ο completa mediante il Figlio suo, Con
ciò In rivelazione valo come il vero elemento razionale, che però non deve
esser dimostrato ma soltanto creduto; si cren così un’ antitesi tra rivelazione
e conoscenza razionale, che si acnisco sompre più nei Pndri successivi, i quali
insistono nel porro in Inco In necessità della rivelazione per 1’ inenRiv 1012 pacità dell'anima umana, limitata all’
impressione dei sensi. a raggiungere da sola la conoscenza della divinità e
della sua propria destinazione. Per Tertulliano, ad es., il contenuto della
rivelazione non solo è soprarazionale, ma in certo senso anche antirazionale,
in quanto per ragione bisogna intendere l’attività conoscitiva naturale
dell’uomo; l'evangelo non solo è incomprensibile, ma è anche in necessaria
contraddizione col sapere naturale : credibile est quia ineptum est; cortum eat
quia impossibile est; oredo quia abaurdum. In seguito, con Β. ‘Tommaso, la
rivelazione è ancora affermata come superrazionale, ma però in accordo con la
ragione, della quale è l’ integrazione necessaria ; vien rive lato ciò che In
ragione non può trovare da sè, perchè di gran lunga superiore alle sue forze.
Questo concetto si regge sopra l’unità della ragione divina: in Dio non οἡstono
due ordini di verità ma una sola, che all’ uomo è partecipata parte per mezzo
della ragione, parte per mezzi della rivelazione; quindi, se le verità rivelato
sono sujxriori a quelle di ragione, in quanto emanano direttamente dalla
divinità, tra le une e le altre non può esistere contra ato, perchè appoggiate
entrambe sopra una ragione eterna, che è Dio; e pur essendo la rivelazione
l’ultima pietra di paragone della verità, la ragione può du sò stessa preparare
il cammino alla rivelazione; cos la ragione sostiene la fede, che a sua volta
conferma la scienza: Minus lumen non ofascatur per majus, dice Β. Tommaso, sed
magis augetur, ricut lumen auris per lumen solie ; et hoc modo lumen soientiae
nor offusoatur, sed magie clarescit in anima Christi per lumen scientiae
divinae. 1 Sociniani andarono ancora più in là; per essi nulla può essere
rivelato che non sia accessibile alla | conoscenza razionale, e perciò nei
documenti religiosi non si deve considerare come naturale se non oid che è
razicnalo. Con ciò la rivelazione diveniva in fondo superfina © non restava
legittima che la religione naturale: © queste infatti fu il punto di partenza
del deismo inglese, che spo 1013 Rom
gliò il Cristianesimo dei suoi misteri per ridurlo alla verità del « lume
naturale >, ossia ad una intuizione filosofica del mondo. Cfr. Liicke,
Versuch einer vollständingen Einleitung in dio Offenbarung, 1852; S. Ginstino,
Apol., II, 8; Tertulliano, De carne Chr., 5; Id., De pracsor., 7; 8. Tommaso, C. Gentiles, I, ο. 1, 11, 111, 1V, 1X; Id., Summa theol., III, qu. IX, a. 1; Laberthonnière, Saggi di filosofia
religiosa, trad. it. 1907, p. 264 segg:, 295 segg.; C. Ranzoli, L'agnosticiemo
nella fil. religiosa, 1912, p. 30 segg. (v. oredenza, fede, ragione, religione,
fideismo, modernismo, razionalismo, tradizionaliemo). Romanticismo. T.
Romantizismus; I. Romantioiem ; F. Romantieme. Nella filosofia si denomina così
tutto il periodo della speculazione, specialmente tedesca, che comincia col
Fichte © termina con Schopenhauer. Esso trae il suo impulso dalla convinzione,
suscitata da Kant, dell’originalità ο dell’ attivita della natura spirituale,
per cui αἱ credetto possibile di cogliere il principio unitario della realtà
universale e di abbracciare in un sistema solo la scienza, l’arte o la
religione: « Simile ideale della conoscenza, scrive 1’ Hiftding, può a buon
diritto esser chiamato romantico. Esso rimane nelle nubi e nella lontananza,
risvegliando il dosiderio e l'entusiasmo, © agisoe più con codesta sublimità
che non con la prospettiva di trovarne uns realizzaziono ra ο positiva ». Oltre
all’ influsso kantiano, contribuirono ul sorgere del romanticismo filosofico la
religione, In ieuza, gli avvenimenti politici ο specialmente la letteratura:
Novalis, il rappresentante più caratteristico della poesia romantica,
considorava la poesia come l’ essenza più intima di tutte le cose e faceva
della filosofia una semplice tcori della poesia. Il metodo del romanticismo
filosofico fu principalmente deduttivo ο costruttivo; esso mise in evidenza
molti problemi nuovi, ma fu inferiore per originalità ο vigore di metodo al
periodo dei grandi sistemi del secolo XVII; inoltre la sua influenza venne
diminuita dalla terminologia adoperata dalla maggior parte dei filosofi Rom-Sac
1014 romantici, terminologia capricciosa, oscura,
che rende le loro opere difficili a chi non abbia appreso a pensare in codesto
linguaggio. Cfr.
Höffding, Histoire de la phil. moderno, trad. franc. 1900, vol. II, p. 139 segg.; R. Berthelot, Le
romantisme utilitaire, 1911; Windelband, Storia della filosofia, trad. it.
1914, vol. II,
p. 233, 327, 338; F. Loliée, Hist. des littératures comparées, 2° ed., p. 295
segg. 8. Nelle espressioni
simboliche delle proposizioni si usa per designare il soggetto. Nol sillogismo
designa il tormine minore, che nella conclusiono fa sempre da soggetto. Nei
versi mnemonici delle tre ultime figure del sillogismo categorico, indica che
la conversione di quel modo a un modo della prima figura, si deve fare per
conversione semplice (v. figura, disamis, datisi, eco.). Sabeismo (dal siriaco
tsaba = adorare). T. Sabäismur: I. Sabeism; F. Sabeieme. Antica setta
filosofica e religiosa, sparsa nei paesi dell’ Oriente, la quale considerava
gli astri come tante divinità, governate dal sole che è la divinità suprema.
Ogni astro è costituito dall’ anima e dal corpo sì Puna che l’altro hanno
sempre csistito e sempre steranno; ma soltanto la prima è di natura divina, e
costituisce l’anima del mondo. Cfr. Ehwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismua,
1856 (v. elioteiemo, panteismo). Saggezza. T. Weisheit; I. Wisdom; F. Sagesse.
Se non è ancora la virtù, dice il Rousseau, è almeno la via per raggiungerla.
Essa è ciò cho gli antichi chiamavano pradenza o sapienza. Per Pintone essa è
una delle virtù cardinali, sia dell'individuo sia dello Stato. Per Aristotele
esistono due specie di saggezza: la speculativa (σοφία), che è sinonimo di
scienza, così intuitiva come dimostrativa, e si rivolge alla natura assoluta
delle cose; e la pratica (¢pévyate), che ha per oggetto i dettagli della vita e
della 1015 Ban condotta, le relazioni contingenti e
particolari dell’ esperienza umana. Dopo Aristotele, uno degli argomenti più
discussi nelle scuole filosofiche fu di determinare il criterio della saggezza,
V’ ideale del saggio, ciod dell’ uomo che deve la sua virtù, e quindi la sna
felicità, soltanto al sapere; stoici, epicurei e scettici s’ aocordano nel
fissare come tratto caratteristico del saggio 1’ imperturbabilità (ἀταραξία),
vale a dire l'assenza dai perturbamenti prodotti dalle passioni. Ma per gli
epicurei l’ imperturbabilità, e quindi la saggezza, consiste in un godimento
raffinato; per gli scettici nell’astenersi per quanto è possibile dal giudicare
e quindi anche dall’operare; per gli stoici nel vivere secondo natura, ossia
conforme alla ragione, Nel suo
significato comune, non filosofico, la saggezza è equilibrio, misura,
contemperastone di prudenza e di coraggio, di ardire ο di cautela, di
temporeggiamento e di decisione ; riguarda dunque piuttosto la ragion pratica
che la ragion teorica, si basa sopra 1” esperienza del passato e la riflessione
sul presente per provvedere all’ avvenire, e consiste nel cercare, trovare ©
porre in opera i mezzi necessari e più convenienti all'adempimento della virtà.
Cfr. Sidgwick, The
methode of ethics, 2* ed. 1877, p. 229; Wiudelband, Storia della filosofia,
trad. it. 1913, vol. I, p. 208
segg.; C. Ranzoli, J2 caso nel‘ pensiero ¢ nella vita, 1913, p. 218 segg. (v.
cardinali, pratica, prudenza, virtù). Sansimonismo. T. Saint-Simonismus ; I.
Saint-Simonism ; F. Saint-Simonisme. La dottrina religiosa ο sociale di Enrico
di Saint-Simon, che ebbe molti e fervidi adepti in Francia, Il sunsimonismo
vagheggiava I’ istituzione di un ordino sociale, nel quale I’ individuo non ha
altro valore che per la fanzione che compie nello Stato, vale a dire il
sacerdozio, la scienza ο 1’ industria, e in cui il supremo potere è esercitato
dispoticamente dal padre, che è allo stesso tempo ro e sommo sacerdote, ed
assegna a ciascuno tanto la funzione che deve esercitare nello Stato, quanto la
retribuzione che San-SAT 1016 gli compete per la funzione esercitata. Cfr. Janet, Saints Simon
et le Saint-Simonisme, 1878; Charléty, Hist. du SaintSimonisme, 1896 (v.
collettiviemo, falanstero). Sanzione,
T. Sunktion ; I. Sanotion; F. Sanction. Nel suo signiticato più comune, morale
e giuridico, è la reazione con la quale la società provvede alla propria
conservazione e ai propri fini, contro quella violazione delle sue leggi di cui
gli individui si rendessero colpevoli. In questo senso la sanzione ha un valore
negativo, essendo essenzialmente una repressione. Se ne sogliono enumerare
varie forme: la sanzione naturale 0 fisica, che è l'insieme delle conseguenze
buone ο cattive, che risultano dalle azioni virtuose © viziose; ha la sua
origine nella naturale tendenza delV organismo alla propria conservazione, per
la quale reagisce col dolore a ciò che tende ad alterarlo o distruggerlo, © col
piacere a ciò che può conservarlo ; la sanzione interna © della coscienza, che
è costituita dal compiacimento pel bene praticato, © dal rimorso per la legge
morale violata; la sanzione della pubblica opinigne, che è la stima o il disprezzo,
la lode ο il biasimo che le azioni dell’ individuo gli meritano per parte degli
altri individni; la sanzione politica, 0 penale, o delle leggi, che è preceduta
dalla sanzione dell’ opinione pubblica, ed à costituita tanto dall’insieme
delle pene per chi infrange in qualche modo (prestabilito) l'ordine morale e
sociale, quanto dalle ricompense morali o materiali con cui è premiato chi allo
stesso ordine presta utile concorso; la sanzione religiosa o superumana,
derivante dai premi ο dai castighi promessi ο minaceiati dalla roligiono nel
mondo ultraterreno. Cfr.
Sidgwick, Methodèn of ethics, 2* ed. 1877, p. 229; Pope, Christian theology,
1877, vol. III, p. 159; J. S.
Mill, Utilitarianiem, 1879, cap. III (v. delitto, pena, responsabilità). Sapere
v. opinare. ‚turazione. T. Sättigung; I. Saturation ; F. Saturation. Dicesi
saturasione del colore il grado secondo il quale la sen 1017 Sck sazione scromatica, o incolora, si unisce
ad una sensazione cromatica. Il grado di saturazione è tanto maggiore quanto
minore è la quantità della luce incolore, che entra nella combinazione. Nella scuola criminale positiva (Ferri) dicesi
saturazione oriminosa la legge per la quale in un dato ambiente sociale, con
date condizioni individuali e fisiche, si deve commettere un dato numero di
renti, non uno di più, non uno di meno, allo stesso modo con cui in un dato
volume di acqua, ad una data temperatura, si deve sciogliere una determinata
quantità di sostanza chimica, non una molecola di più, non una di meno; ciò
perchè anche il delitto è un fenomeno collegato al determinismo universale, ed
ha i suoi fattori necessari nelle varie condizioni dell’ ambiente fisico ©
sociale, combinate con gli impulsi occasionali degli individui e colle loro
tendenze congenite. Cfr. Wundt, Grundriss d. Psychol., 1896, p. 68; E. Ferri,
Sociologia oriminale, 43 ed. 1900 (v. delitto, pena, responsabilità).
Scetticismo (σκέπτομαι esamino). T.
Skepticiemus ; I. Soepticiem; F. Soepticieme. Si adopera nel linguaggio comune
per indicare la tendenza a dubitare, o la mancanza di fiducia nella verità di
una data affermazione, dottrino, previsione, o la negazione dei principi
ammessi dal maggior numero. Ma nel suo significato preciso, esso designa il dubbioesteso
deliberatamente, sistematicamente, a tutti quanti gli oggotti della conoscenza
umana, © quindi la sospensione di ogni nostro giudizio intorno ad essi, Nella
storia del pensiero filosofico si contano varie forme di scetticismo, cominciando
da Pirrone, Protagora e Sesto Empirico, venendo fino al Montaigne; ina tutte si
fondano ugualmente sopra la tosi fondamentale della impossibilità di un
criterio assoluto della verità, essendo la ragione condannata per sun natura
alla contraddizione, e mancando ad ogni modo un qualsiasi testimonio che provi
la legittimità della ragione stessa. La conclusione di tutto lo scetticismo
antico i riassunta in quella che si disse l’ isostenia delle ragioni, ο cioò
Scu 1018 l'equilibrio e la forza uguale delle ragioni
pro e contro, intorno a qualsiasi oggetto. E il Montaigne dimostrava così
l'inesistenza di un criterio assoluto per lo conoscenze sensibili © razionali:
« per giudicare delle apparenze cho noi riceviamo dagli oggetti, ci sarebbe
necessario nno strumento giudicatorio; per verificare questo stromento ci è
necessaria una dimostrazione; per verificare la dimostrazione uno stromento....
Poichè i sensi non possono arrestare la nostra disputa, essendo pieni essi
medesimi di incertezza, occorre che ciò faccia la ragione; ma nessuna ragiono
si stabilirà senza ragione, ο così via via all’ infinito ». Ai nostri giorni,
se è possibile lo scetticismo come tendenza dello spirito, non è più possibile
come dottrina, essendo dimostrata In possibilità della scienza a malgrado della
relatività della conoscenza, anzi in grazia di questa relatività stessa, poichò
la scienza è del relativo non delP assoluto. Soetticiemo oritico fu detto quello contenuto
nella critica della ragion pura, o anche sostticiemo trasoendontale perchè
trnpassava i limiti della pura esperienza esterna; e scetticismo mistico quello
di chi nega alla ragione ogni possibilità di conoscere il vero, riponendola
invece nella fede, nella rivelazione sovrannaturale. Occorre però distinguere
lo scetticismo dal misticismo © dalla sofistica : tutti tre sono sistemi
negativi rispetto alla conosconza, ma mentro il primo tiene la ragione incapace
della verità, il terzo afferma la ragione indifferente alla verità, ο il socondo
nega alla ragiono il potere di raggiungere la verità suprema, trasferendo tale
potere nel sentimento ο nella fede. Cfr. R. Richter, Der Skeptiziemus in d.
Phil., 1904; C. Stumpf, Vom eblischen Skept., 1909; Credaro, Lo scetticismo
degli accademici, 1889 (v. dommatismo, dubbio, pirronismo, tropi, relatività,
sokepsi, scienza, setetica). Schema, Schematico (σχῆμα figura). T. Schema; I.
Schema; F. Schöme. Per Kant gli schemi sono quelle rappresentazioni o concetti
che servono da intermedi fra le 1019 Scu dodici categorie che non possono
applicarsi direttamente ai sensibili e i sensibili stessi. Gli schemi, forme
pure del tempo e perciò di natura sensibile, sono tuttavia omogenei alle
categorio. Ed è appunto dalle categorie e dagli schemi corrispondenti che
derivano quei principî dell’ intelletto puro, coi quali noi intellettualizziamo
le intuizioni empiriche, traendone le cognizioni. Alcuni psicologi chiamano schemi fantastici,
distinguendoli dai concetti, quelle imagini, assai povere di contenuto, le
quali contengono solamente le parti identiche di moltissime altre (ad es. l’imagine
di casa, di albero, ecc.). La loro formazione è spiegata comunemente col fatto
che gli elementi comuni, fissati dalla ripetizione e fusi in uno, si mantengono
intensi e vivi, mentre gli elementi diversi a poco a poco se ne staccano ο
scompaiono. Si dicono schematiche quelle
rappresentazioni non identiche alle effettive, ma che hanno soltanto con esse
maggiore o minore somiglianza, in quanto ne raccolgono i tratti caratteristici.
Servono a scopo diduttico, poichò giovano a mettere sott’ occhio l'essenziale
di una cosa, lasciando da parte l'accessorio, che può nuocere alla chiarezza di
quello che si deve specialmente considerare e ritenere. Oltre la figura
schematica propriamente detta, si ha la figura simbolica, che ne differisce in
quanto casa rappresenta l’oggetto con un segno che può differire anche
totalmente, e che ha solo un valore convenzionale (ad es. la bandiera con oui
si rappresenta la patria). Una terza specie di rappresentazione schematica è In
simbolico-ipotetica, nella quale il simbolo rappresenta una cosa che non si è
certi che sia in realtà, ma solo si suppone. Così, ad es. il chimico
rappresenta gli atomi, che non ha mai veduto, mediante un piccolo cubo, e,
disegnandoli variamente disposti, rappresenta la molecola secondo la specio
degli atomi componenti e secondo il numero loro per ogni specie. Cfr. Kant, Krit. d. reinen
Fern., od. Kehrbach, p. 142-149; A. Riehl, Die philos. Kriticiemus, 1887, II, 11, p. 61; Ardigò, Scr 1020 La
wiensa dell’ educazione, 1893, p. 151 segg. (v. simbolo, categorumeni,
conoetto, dissociazione). Schematismo. T. Schematismus ; I. Schematiom ; F.
Schématieme. La dottrina kuntiana dell’ uso dell’imaginazione truscendentale
como intermedia tra la sensibilità e I’ intendimento. Kant distingue i giudizi
della percazione (Wahrnemungeurteile), in cui non viene espresso che il
rapporto spaziale o temporale delle sensazioni per la coscienza individuale, ο
i giudizi dell esperienza (Erfahrungeurteile) in cui un simile rapporto viene
affermato come obbiettivamento valido, come dato nell'oggetto stesso; la
differenza tra lo due specie di giudizio è provata dal fatto, che nei secondi
il rapporto spaziale o temporale è regolato per mezzo d’una categoria, ciod
d’un nesso concettuale, mentre nei primi manca. Ed è così che, di fronte al
meccanismo della rappresentazione, in cui le singole sensazioni si riuniscono o
si separano a piacero, il pensiero oggettivo, valido ugualmente per tutti, è
legato con nessi doterminati e concettualmente regolati. Questo vale
specialmente per i rapporti temporali. Tutti i fenomeni si trovano infatti
sotto la forma del senso interno, del tempo, in quanto anche i fenomeni del
senso esterno appartengono all’interno come determinazioni dell'animo nostro
(Bestimmungen unsere Gemüle). Perciò Kant dimostra che tra le forme dell’
intuizione del tempo e le categorie c’ à uno schematismo, che solo rendo
possibile di applicare le forme dell’intelletto ni prodotti dell’intuizione, ©
che consiste nel fatto che ogni categoria ha una somiglianza schematica con
ogni forma particolare del rapporto temporale. Nella conoscenza empirica noi ci
serviamo di questo schematismo per significare il rapporto temporale percepito
medianto la corrispondente categoria. Invece la filosofia trascendentale deve
cercare la giustificazione di questo procedimento nel fatto, che la categoria
come regola dell'intelletto fonda obbiettivamente il corrispondente rapvorto
temporale come oggetto dell’ esperienza. Cfr. Kant, 1021 Scr-Ser Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach,
p. 142 segg.; W. Jerusalem, Die Urteilsfunction, 1895, p. 170 (v. eriticiemo,
intuizione). Schepsi (σχέφις = dubbio, indagine). O anche scepsi. Designa in
generale il dubbio degli scettici. Più propriamente, secondo lo Zeller, è la
neutralità fra le opposte dottrine, ritenendo di entrambe quello che hanno di
comune tanto nel principio quanto nel termine, cioè l’ astratta individualità
che vuol riposare in sò stessa. L’ Herbart chiama schepsi la riflessione
dubitativa che deve servire di preparazione alla filosofia, e la distingue in
sohepsi inferiore, che pone in dubbio la natura delle cose, e schepsi
superiore, che ne pone in dubbio anche il dato; colla prima ci persuadiamo che
difficilmente possiamo riuscire coi nostri sensi et formarei una esatta nozione
di ciò che sono le cose, colla seconda ci persuadiamo che le forme dell’
esperienza sono date realmente, ma ci somministrano delle idee contradditorie.
Cfr. Herbart, Einleitung in die Philorophie, 1813; Schwegler, Geschichte d.
Phil., ed. Reclam, p. 386-7 (v. dommatismo, dubbio, tropi, scetticismo).
Sciamanismo, T. Schamanismus; I. Shamaniem ; F. Chamanisme, Setta religiosa ©
sacerdotalo della Siberia, ai cui misteri religiosi non si è iniziati che dopo
un lungo e strano noviziato, sotto la direzione di speciali ancerdoti
(shamans). Siccome codesta religione consiste ersenzialmente nel culto degli
spiriti, così tutte le religioni animistiche furono classificato sotto la
categoria dello sciamanismo. Cfr. Tylor, Primitive culture, 1877 (v. animismo).
Scienza. T. Wissenschaft; I. Science; F. Science. Nel suo senso generale
equivale a conoscenza; in un senso più riStretto è un insieme o l’insieme delle
conoscenze logicamento coordinate. Cr. Wolff lo definisco habitum anserta demostrandi,
hoo est, ex principiis certis et immotis per legitimam conaequentiam inferendi.
Per Kant « dicesi scienza ogni dottriua che costituison un sistema, cioò una
totalità di coScr 1022 noscenzo ordinate in base a principi ». Per lo
Spencer è «la conoscenza parzialmente unificata >. Fu definita dal Naville
come lo stato del pensiero che possiede la verità; ha per condizione il dubbio
filosofico, ossia lo spirito di esame. La scienza infatti non può essere nò uno
stato del sentimento nè uno stato della volontà; e perchè il pensiero
progredisca nel possesso della verità, è necessario che non s' accontenti delle
apparenze ma le sottometta ad essine, cioè le interpreti con la ragione; che
ogni affermazione di fatti sin sottomessa alla critica, 6 che lo dottrine
ammesso siano abbandonate quando non forniscono più una esplicazione dei dati
dell’ esperienza. Essa ha due scopi: uno teorico e speculativo, cio la
conquista e il possesso della verità, uno pratico e utilitario, ossia le
infinite sue appli-cazioni alla industria. Aristotelo fu il primo ad occuparsi
della natura della scienza, determinandone con grande chiarezza il metodo,
l'essenza e 1’ oggetto. Secondo il filosofo greco, il primo carattere della
scienza è il suo differire dalla semplico esperienza: questa è fondata sulla
sensazione, l’imaginazione © In memoria, non conosce che il particolare, non
coglie la causa e In prova dei fatti; quella ha un carattere generale, impresso
dall’ intelletto attivo agli elomenti forniti dalla sensazione all’ intelletto
passivo, per cui la scienza fornisce la prova di ciò che avanza. La prova si fa
per merzo della dimostrazione, cioè modiante il ragionamento di cui la forma è
il sillogismo. Oltre i principi generali, forniti dall’ intelletto attivo, e
dai quali ogni scienza particolare deduce le conreguenze, vi sono dei principî
che dominano tutte le scienze ο i principi di tutto le scienze: sono gli
assiomi, o verità evidenti, il più importante dei quali è il principio di contraddizione.
Oltro ad aver determinato la natura della scienza, Aristotele fu pure
ricercatore ed osservatore meraviglioso: ma sia per il fondamento puramente
deduttivo dato alla riceren wrientifien, sin por altre cause di varia 1023 Set natura, nd l’antichità greca e latina, nd
l'età di mezzo ebbero vera e propria scienza. Soltanto nel rinascimento, caduto
il principio di autorità, sostituiti, nello studio della natura,
l'osservazione, 1’ esperimento ο l’ induzione ai metodi deduttivi ο
aprioristici, il sapere scientifico potd costituirsi e progredire. Nello
sviluppo del metodo delle scienze naturali conversero allora le due direzioni
dell’ ompirismo e della teoria matematica; Bacone pose il programma della
filosofia dell'esperienza, Descartes abbracciò il movimento scientifico del sto
tempo in una nuova fondazione del razionaliemo, riempiendo il sistema
concettuale scolastico col ricco contenuto delle scoperte di Galileo. Bacone
insegna come la mera experientia, la sola scientificamente utile, debba essere
depurata dalle aggiunte erronee ond’è inquinata, come l’induzione sia il solo
modo esatto dell’ elaborazione dei fatti e col suo aiuto si debba procedere
agli assiomi generali, per potere con questi spiegare deduttivamente altri
fenomeni. Leonardo intravede che il vero ufficio delP induzione naturalistica
consiste nel trovare quel rapporto matematico, che è costante in tutta la serie
dei fenomeni di determinata misura; Keplero scopre, mediante una grandiorn
intuizione, le leggi del movimento dei pianeti, cho confermano nella
convinzione dell’ ordine matematico delVP universo; Galileo, con intuito
metodico assai più profondo di Bacone, crea la meccanica, quale teoria matematica
del movimento, investigando col metodo rieolutiro i processi più semplici
matematicamente determinabili, ο dimostrando nel metodo compositivo che la
teoria matomatica, col presupposto degli elementi semplici del movimento, porta
agli stessi risultati che presenta l’esperienza. Cartesio, partendo dalla
convinzione che Ja coscienza razionalo è la matematica, aggiunge ai pensieri
metodici di Bacone ο di Galileo questo postulato: cho il metodo indnttivo ©
risolutivo debba condurre ad un unico principio di anproma ed assolnta
certezza, partendo dal quale tutta PexpeScr 1024 rienza trovi, grazie al metodo compositivo, la
sua perfetta spiegazione. Il cogito ergo sum di Cartesio ha infatti non tanto
il significato di esperienza, quanto quello di prima fondamentale verità di
ragiono, la cni evidenza è quella di una immediata certezza intuitiva; il
metodo analitico cerca qui, come in Galileo, gli elementi semplici,
intelligibili per sò stessi, coi quali tutto il resto deve esser spiegato, ma
invece di trovarli nelle forme semplici del movimento, li scopre nelle verità
elementari della coscienza. Per Kant la scienza della natura ha bisogno, oltre
alla sua base matematica, d’ un certo numero di principi universali intorno al
nesso dello cose, i quali sono di natura sintetica ο perciò non possono
fondarsi sull’ esperienze, anche so per via di questa arrivano alla coscienza;
in altre parole, anche per Kant il cémpito della scienza natarale è la
riduzione galileiana dell’ elemento qualitativo al quantitativo, in cui solo
può trovarsi necessità ο validità universale su base matematica, ma questa
rappresentazione matematica della natura è per Kant fenomeno essa pure. perchè
spazio © tempo, se hanno realtà empirica, hauno idealità trascendentale. La
natura, infatti, non è un puro aggregato di forme spaziali e temporali, ma un
nesso che noi intuiamo sensibilmente, è vero, ma che nello stesso tempo
pensiamo mediante concetti; se la natura, come oggetto della nostra conoscenza,
fosso un nesso reale delle cose indipendente dalle nostre funzioni razionali,
se essa stessa prescrivesse le eue leggi al nostro intelletto, noi non ne
avremmo che una conoscenza empirica, insufficiente ; possiamo avero invece una
conoscenza universale © necessaria, in quanto le nostre forme concettuali della
sintesi doterminano la natura stessa, in quanto cioè è il nostro intelletto che
prescrive ad ossa lo suo leggi. Ma questa è la natura solo in quanto essa
appare al nostro pensiero. quindi una conoscenza a priori della natura è
possibile solo so anche il nesso, che noi pensiamo fra le intuizioni, 1025 Sor sia nd più nd meno che il nostro modo di
pensare la natara: anche i rapporti concettuali, in cui la natura è oggetto
della nostra conoscenza, nom possono essere che fenomeni. I concetti
riassuntivi del pensiero contemporaneo, risultato della critica kantiana,
intorno alla natura, ai limiti, all'oggetto ο al valore della scienza, possono
ridursi a tre: 1° la scienza umana riguarda soltanto i fenomeni, vale a dire il
campo del sensibile; ciò è la conseguenza della negazione della possibilità di
una conoscenza a priori trascendente l’esperienza; 2° la scienza non è una
trascrizione della realtà ma una costruzione ideale, astratta, e il suo valore
consisto nell’ essere i suoi astratti generali una trasformazione dei concreti
sensibili, dei fatti reali, per cui il mondo del senso si trasforma nel mondo
del pensiero, il particolare nell’ univorsalo; 3° il valore della scienza, © la
sua certezza, consistono appunto nell’ essere lo sue astrazioni costituite
dagli elementi dell’ esperienza sensibile, nei quali possono essere risolti e
dai quali traggono la loro verità, Dicesi dottrina della scienza media, la
dottrina con la quale il Molinos, e i Gesuiti in generale, tentano conciliare
la libertà del volere umano con la provvidenza e la prescienza divina. Dio non
conosce soltanto ciò che è semplicemente possibile e ciò che avviene
attualmente, ma conosce anche ciò che è condizionatamente possibile, vale a
dire ciò che sta fra la pura possibilità e l'attualità: la prima è in Dio
semplice intelligenza, la seconda è visione, la terza è scienza media o
condizionata. Le azioni umane sono di questa terza specie, cioè
condizionatamente possibili: tuttavia sono libere, ο Dio, che le ha prevedute,
predispone anche la grazia che spetta a ciascuna di ease. Con l’espressione Wissenschaftslehre, dottrina
della scienza, il Fichte indicò il proprio sistema, in quanto esso è costruito
sopra una riflessione avente per oggetto le fasi immanenti di sviluppo del
sapere: « La dottrina della scienza dev’ essere una storia pragmatica dello
spirito umano ». 65 RanzoLI, Dirion. di
scienze Alosoficha. Sco 1026 L’ espressione è poi rimasta nel linguaggio
filosofico, ma con diverso significato : con essa infatti si designa oggi ciò
che dicesi anche episfemologia, ossia lo studio dei principi comuni delle
scienze, dei loro oggetti e dei loro metodi. Cfr. Aristotele, Anal. post., I, 3, Τ1 a, 21; Id., Met., I, 9812, 5; Cr. Wolff, Logica,
1732, Disc. prael. $ 30; Kant, Me taph. Anfangegrinde d. Naturwissensohaft, 1786; H. Cohen, Kante Theorie à.
Erfahrung, 1871; E. Naville, Nouvelle class. des soienoes, 33 ed. 1901 ; Pearson,
Grammar of science, 33 ed. 1899; L. Favre, L'organisation de la science, 1900 ;
Poincaré, La valeur de la science, 1908; C. Frenzel, Ueber die Grudlagon d.
exaoten Naturwissenschaften, 1905; F. De Sarlo, Le modificazioni nella
conossione della scienza, « Cultura filosofica », maggio 1907 (v. dommatiemo,
economica teoria, empiriocriticismo, ipotesi, legge, filosofia, metafisica,
classificazione dello scienze). Boolastion. T. Scholastik; I. Soholastio; F.
Soolastique. Il secondo dei due grandi periodi in cui dividesi la filosofia
medievale, e va dall’ 800 al 1400; il primo è rappresentato dalla Patristica,
Questo secondo periodo, che #’ inizia con Scoto Erigena, distinguesi nettamente
dal primo, poichè mentre i Patres eoolesiae movevano direttamente dalla rivelazione,
i dootores della Scuola prendon le mosse dal domms, vale a dire dalla
rivelazione già elaborata; mentre i primi avevano rivolto ogni loro studio nel
formulare un domma solo, i secondi mirano a organizzare l’insieme dei dommi;
mentre la Patristica si svolse massimamente tra i popoli dell’ Oriente, la
Scolastica si svolse tra i popoli dell’ Oceidente, ed ebbe per centro Parigi.
Però così l'una come l’ altra dottrina s'accordano in un punto: nel prendere
cioè le mosse da una proposizione imposta e accettata como verità assoluta,
Rispetto alla filosofia dei Santi Padri quella della Scuola rappresenta,
secondo alcuni, un regresso. in quanto è ancora più schiava della religione, e
fa nm parte ancora minore alla ragione e alla scienza. Secondo 1027 Sco altri rappresenta invece un progresso, in
quanto comincia col porre una distinzione tra il domma, o l'oggetto, e il
sapere soggettivo ο il ragionamento, ο quindi tra il credere e l’intendere: da
ciò lo sdoppiamento dell’ unica verità in verità di fede e verità di ragione,
le quali, dopo essere procedute d’accordo per un certo tempo, daranno poi luogo
alla lotta che finirà con la vittoria definitiva della ragione. La Scolastica
si divide in tre periodi: il _ primo va da Scoto Erigena a S. Anselmo di Aosta,
od è caratterizzato dalla prevalenza data alla ragione sulla fede; nel secondo,
che va da S. Anselmo a Duns Scoto, è dato invece il primato alla fede sulla
ragione; il terzo va da Duns Scoto a Occam, e rappresenta la dissoluzione della
Scolastica, Più fiorente di tutti è il secondo periodo, in cui endono le
controversie tra realisti e nominalisti ed ha per massimo rappresentante S.
Tommaso d’Aquino. Cfr. Karl Werner, Die Scholastik d. apat. Mittelalters, 1881; A. Stökl,
Geschichte d. Phil. d. Mittelalters, 1864-66; B. Hauréan, Histoire de la phil,
scolastique, 1872; De Wulf, Histoire de la phil. médiévale, 4* ed. 1912. Bootismo. T. Scotiemue; I. Scotism; F.
Scotieme. Il sistema e la scuola filosofica di Giovanni Duns Scoto; si oppone
al tomismo, sistema 9 scuola di Β. Tommaso. Lo scotismo è caratterizzato dalla
tendenza a separare profondamente la teologia, disciplina pratica, dalla
filosofia, pura teoria; a porre il principio d’ individuazione non già nella
materia, come Β. Tommaso e Aristotele, ma nella forma, in quanto afferma
esistere in ogni essere, distinti I’ uno dall’altro non solo virtualmente ma
formalmente, il carattero generale, lo specifico e l’individuale, ossia ciò che
lo Scoto chiama haeoceitas © che fa essere un individuo quel tale e determinato
essere. Ma ciò che distingue ancora più profondamente lo scotismo dal tomismo è
il suo indeterminismo volontaristico, che 8’ oppone al determismo intellettualistico
di 8. Tommaso, Secondo quest’ ultimo l’intelletto Sco 1028 è
quello che comprende ciò che è bene, e siccome la volontà ‘ tende
necessariamente al bene, così la volontà dipende dal1 intelletto ; invece per
lo Scoto la volontà, essendo la forza fondamentale dell'anima, non subisce la
costrizione dell’intelletto, bensì determina essa lo sviluppo delle attività intellettive,
intervenendo a rendere chiare ed intense quelle tra le rappresentazioni alle
quali essa rivolge la sua attenzione: la volontà, non l'intelletto, è sempre
rivolta al bene come tale, e solo cémpito dell’ intelletto è dimostrare dove il
bene sin nel caso singolo. Cfr. W. Kahl, Die Lekre rom Primat des Willene bei
Augustinus, Dune Sootus und Descartes, 1886; H. Siebeck, Die Willenslehre bei
Dune Scotus und seinen Nachfolgern, in « Zeitschr. £. Philos. u. philos. Krit.
», volume 112, p. 179 segg. (v. indiriduazione, intollettualiemo,
rolontariemo). Scotomi. Specie di allucinazione delle vista, per cui gli
oggetti appsiono di color nero ο si vedono macchie nerastro immobili; è dovute
all’alterasione di una parte più o meno estesa della retina, In altri casi, per
alterazioni centrali, si ha il cosidetto scotoma scintillante (blindheadache
degli inglesi); l’individno crede di vedere una specie di atmosfera in movimento
circoscritta da lineo speszate © colorate, oppure una pioggia di scintille o
figure simili a ruote infuocate, ο più spesso linee luminose a zig-zag, come
oro splendonte e stendentesi a poco a poco alla linea mediana, che di rado
oltrepassano. Cfr.
Wundt, Grundsüge d. physiol, Peyohol., 1902, vol. II (v. illusione). Scozsismo.
T. Soottischo Philosophie; I. Scottish Philoaophy; F. Philosophie écossaise. O
filosofia scossese, 0 ancora filosofia del senso comune; scuola fondata nel
settecento da Tommaso Reid, e continuata dal Ferguson, Dugal Steward, Tommaso
Browe e William Hamilton (1788-1856). I concetti fondamentali di questa scuola si possono riassumere così: gli
oggetti esterni ci sono dati da un suggerimento immediato sn cui si fonda la
nostra certessa; codesto suggeri 1029 Scu-Sec mento è il senso comune, i cui
principi sono accettati naturalmente e spontaneamente da tutti gli uomini; la
filosofia e la scienza debbono procedere con metodo sperimentale, ο la prima si
costituisce stadiando con l’introspezione le cause e le leggi dei fatti
interni. Cfr. Mac Cosh, The soottish philosophy, 1875; E. Grimm, Zur Gesch. des
Erkenntnisproblem von Bacon su Hume, 1890; G. L. Arrighi, L'equiroco
fondamentale della filosofia scozsese, « Cultura filosofica », maggio 1913 (v.
peroasionismo, concezioniemo). Scuola (la). Talora si designa con questo nome
la filosofica scolastica, che viene anche indicata con l’ espressione filosofia
della souola. Secondarie (qualità). T.
Secunddren Qualitäten; I. Secundary qualities ; F. Qualités seoundaires. Le
qualità primarie dei corpi sono quelle senza le quali i corpi non possono concepirsi,
come la figura, la estensione, la resistenza. Le secondarie sono quelle che si
possono sopprimere, senza sopprimere nello stesso tempo la nozione dei corpi,
come il sapore, 1’ odore, il colore. Secondo il Locke, le qualità primarie
appartengono ai corpi in sò, © di esse le nostre sensazioni costituiscono le
copie fedeli; le secondarie sono invece relative, sono copie senza originali,
poichè nei corpi nulla v'è di simile. Si dicono secondarie immediate se si riferiscono
a noi, e tali sono tutte le qualità senbibili; secondarie mediate se si
riferiscono tra loro, e tali sono le forze, ciod le relazioni che intercedono
tra le qualità di un corpo e quelle di un altro. La distinzione fra le qualità
primarie ο realmente esistenti e le secondarie o relative risale agli atomisti
greci. Hamilton pose come intermediarie fra le qualità primarie e le secondarie
un nuovo gruppo di qualità, ch’ egli denominò secondo-primarie; esse sono costituite
dalle proprietà meccaniche delle cose, come la massa © la resistenza, e vengono
conosciute sia immediatamente, come oggetti di percezione, sin mediatamente
come cause di sensazioni. Cfr. Locke, Essay, 1879, IT, cap. 8, 48, 9, 10; Βκο-θκα 1030 Hamilton, Dissertations on Reid, 1863, vol. II, p. 845 seg. (v. qualità). Secundum quid.
Termine degli scolastici, con cui designavano il senso particolare o il
particolare rispetto secondo il quale un vocabolo è preso. La cosa considerata
sotto un rispetto particolare rimane limitata e ristretta, quindi ciò che
convieno a questa in quanto è così ristretta non conviene sempre alla cosa
presa semplicemento ; molti sofiemi si fondano infatti su questo cangiamento di
senso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 1740. Segmentale (ieoria). La dottrina
fondata nel 1827 da Moquin Tandon e Dugèt, secondo la quale gli animali risultano
da una serie di aggregati morfologici complessi. zoomiti 0 metameri, ciascuno
dei quali rappresenta e ripete in compendio l’organizzazione dell’ animale a
cui appartiene. Essa ha assunto oggi importanza anche psicologica. per il fatto
che si cerca di spiegare con essa i fenomeni di disgregazione della
personalità, di sdoppiamento della coscienza, d’ipnosi sperimentale, nonchè i
rapporti che normalmente interoedono in ogni individuo tra io sabeosciente ο
subliminale © io cosciente o supraliminale. La dottrina segmontalo ha le sue
basi nell’ anatomia ο nell’ombriologia: il sistema osseo © muscolare, il
sistema nerveo © la cute dei vertebrati, presentano nei primi stadi di sviluppo
ο in tutta la vita, in alcune parti o in tutto l'organismo, una divisione più o
meno manifesta in segmenté simili disposti in serio lineare, Salendo In scala
animale I’ unificazione dei vari segmenti, operata specialmente dal sistema
nervoso, si va facondo sempre maggiore fino a raggiungere il suo massimo
nell’uomo; ma anche in esso la centralizzazione dei segmenti da cni
originariamente deriva l’encefalo, se quasi completa dal punto di vista anatomico,
è imperfettissima dal punto di vista fisiologico, come è mostrato dalla moderna
dottrina delle localizzazioni cerebrali. Questa incompleta coordinazione
funzionale dei 1031 Ska segmenti che concorrono a formare la
personalità unitaria, si rivela psicologicamente nei fenomeni sopra ricordati,
e nelle incoerenze e irregolarità di condotta e di carattere proprie
specialmente della prima gioventù, quando l’attività funzionale dell’ encefalo
è ancora incompleta. Cfr. Max Dessoir, Das doppelt-Ich, 1896; Boris Sidis,
Studios in montal dissociation, 1902; Luciani, Fisiologia dell’uomo, 1913, vol.
IV. Segni locali. T. Lokalzeichen ; I. Local sign; F. Signes locaux. Lu
dottrina con cui prima il Lotze, poi il Wundt cercarono di spiegare la
localizzazione della sensazione v della percezione. Ogni percezione 0
sensazione è riferita a una certa parto del corpo, se tattile o interna, e a
una certa parte del campo visuale se visiva. Perchè ciò avvenga, bisogna che
ogni punto della pelle ο della retina abbia un carattere proprio, e si
distingua qualitativamente da ogni altro punto. Ora, codesto carattere
speciale, che dà alla sensazione il posto particolare e determinato che
l’eccitazione viene a colpire, è quello che il Lotze chiama segno locale della
sensazione. Esso non è altro che una sensazione secondaria, che accompagna la
sensazione principale, e che varia col variare del punto toccato dalla
eccitazione. In quanto al tatto, i segni locali sarebbero determinati, secondo
il Lotze, dalla differenza di spessore © di tensione della pelle; per la vista
consisterebbero nelle impulsioni motrici che variano secondo ogni punto, e che
tendono a volgere l’occhio in modo che la eccitazione luminosa cada sulla fossa
centrale. Cfr. Lotze, Mikrokormus, 1884, I, 332segg.; Id., Medicinische
Psychologie, 1852, p. 296 segg.; Helmholtz, Physiol. Optik, 1886, p. 539 segg.;
Wundt, Grundriss &. Peyoh., 1896, p. 129 segg. (v. atlante). Segregazione (teoria della). La teoria che
Maurizio Wagner voleva sostituire a quella della selezione naturale, da lui
ritenuta insufficiente a spiegare I’ origine delle forme organiche. Quando un
gruppo di individui, che offrono fra loro certe particolari analogie fisiologiche
ο morfologiche, SEL 1032 emigra dalla madre patria in altri pnesi, si
forma da ουdesto gruppo una nuova specie con un processo di segregazione ο di
isolamento naturale; ciò per le diverse coudizioni di vita ο per la necessità
di riprodursi mediante unioni che sccentuano sempre più quelle date
particolarità. Più che una teoria a sè, i biologi considerano questa del Wagnor
come una integrazione della teoria darwiniana della selezione naturale. Cfr. M. Wagner, Die Entstehung
d. Arlen durch räumlichen Sonderung, 1889 (v. atlante). Selezione. T. Auswahl, Selektion ; I. Seleotion; F.
Sélection. Significa in generale scelta, in particolare il processo onde, nella
lotta per 1) esistenza che gli organismi devono sostenere per la sproporzione
completa fra il loro acerescimento e la misura del mezzo di nutrizione
disponibile, sopravvivono quelli la cui variazione è rispetto ad essi favorevole,
cioè conforme allo scopo. La selesione artificiale è la scelta con la quale gli
agricoltori e gli allevatori perfezionano le razze vegetali e animali. Essa si
fonda su due proprietà fondamentali degli organismi, la variabilità ο l'ereditarietà
: fra gli individui di una specie alcuni presentano più degli altri la
prevalenza di dati caratteri ; sciogliendo per la riproduzione soltanto questi
individui, dopo un certo numero di generazioni, in base alla eredità che
accumula € trasmette, si avranno prodotti in oni tali caratteri sono al massimo
grado spiccati. Accanto alla artificiale, Darwin ha mostrato esistere anche una
selezione naturale, determinata dalla « lotta per lu vita » che rappresenta
nella natura cid che nella selezione artificiale è rappresentato dalla volontà
deliberata dell’uomo: ogni organismo, sia animale cho, vegetale, deve lottare
per raggiungere le necessarie condizioni di esistenza; in tale lotta
sopravvivono e si riproducono soltanto gli individui più adatti, cosicchè nella
serie delle generazioni si hanno individui che presentano progressivamente
caratteri sempre più perfetti. Casi particolari della solezione naturale sono:
In selezione aresale. 1033 SEM determinata dalla lotta fra i concorrenti
per ottenere gli animali dell’ altro sesso; la selezione omooroma, che determina
in molti animali la stessa colorazione dell’ ambiente in cui vivono; la
selezione cellulare, data dalla lotta fra le cellule d’uno stesso individuo,
per cui sopravvivono i tessuti ο gli organi più adatti. Il Weismann distingue
la eelesione personale © la selezione di gruppo: la prima è il sopravvivere di
individui forniti di caratteri d’ adattamento sufficienti a renderli capaci di
sfaggire all’ eliminazione, la seconda il sopravvivere di gruppi animali in
virtù di adattamenti risultanti da relazioni coordinate nel gruppo stesso. Il
Weismann chiama selezione germinale il fatto che nella sostanza germinale i «
determinanti » di certi caratteri assorbono nutrimento più rapidamente di
quelli di altri caratteri e producono in tal modo discendenti più forti. Il
Baldwin chiama selezione funzionale il processo con cui gli individui, mediante
prove ripetute ed errori, giungono a compiere quei movimenti con eni possono
ottenere utili risultati. Cfr. Darwin, Origin of species, 1859; Weismann, Das
Keimplasma, eine newe Theorie der Vererbung, 1894 ; Baldwin, Developement and
evolution, 1902; Plate Ludwig, Ueber die Bedeutung des darwinischen
Belektionsprinzip, 1903; P. Jacoby, Études sur la selection, 2* ed. 1905. Semantica o Semasiologia.
T. Semantik; I. Semantice ; F. Sémantique. Detta anche semiotica dal greco σῆμα = segno. È la
dottrina del significato storico delle parole, la ricerca sistematica delle
variazioni e dello sviluppo del senso dei vocaboli. Nella medicina semiotica ο
semiologia è la scienza dei segni ο sintomi delle malattie. Locke usò la parola
semiotica in un senso più largo, ciod quale scienza dell’uso © del significato
delle parole © dei segni in generale. Con l’espressione concezione semiotica
della conoscenza si indicano tutte le dottrine gnoseologiche, le quali non
identificano la conoscenza con la realtà, nè la considerano come un’ arbitraria
costruzione della mente, ma la rignardano come SEM 1034 un
segno mentale rispetto a ciò che è posto como indipeudente dal soggetto
conoscente, segno costituito di processi e forme logiche (concetti, giudizi)
che si formano naturalmente ο in virtà dei quali la realtà diventa
intelligibile; ver tale dottrina la conoscenza è dunque diversa da ciò cho
semplicemente è, ma è connessa organicamente con la realtà, in quanto per opera
sua la realtà stessa (che è conoscenza solo potenzialmente, civd attitudino ad
essere cunosciuta) diventa di fatto conoscenza: in altre parole la realtà, pure
non assorbendosi nella nostra rappresentazione mentale, pnd essere raggiunta
solo attraverso tale rappresentazione e deve quindi possedere certe condizioni,
lo quali, trovandosi in rapporto con la mente, dànno la conoscenza: «Il
progressivo sviluppo della conoscenza, dice il De Sarlo, è determinato dal
bisogno di fissare tutto ciò che vi ha di conforme alla ragione, o quindi di
assimilabile da essa, mediante la traduzione in rapporti razionali della
realtà, presa questa nel più largo senso... Trovare nella realtà ciò che la
monte s'aspetta ed esige da essa, eoco il eémpito della scienza nel suo
divenire. Il che però non vuol dire che lu scienza 8 misura che diviene più
profonda e completa, non riconosca l’ impossibilità di risolvere la realtà
nell’ intelligenza ο di cancellare ogni differenza tra conoscenza od obbietto,
tra pensiero ed essere ». Cfr. Locke, Eway, 1877, 1. IV, cap. 21, $4; Trench,
Study of words, 1888; Bréal, Essai de sémantique, 1901; Fries, System der
Logik, 1837, p. 370; Do Sarlo, 1 problemi gnoseologioi nella filosofia
contemporanea, « Cult. filosofica », novembre 1910. Semetipsismo. T.
Solipsismus; F. Soliprism; F. Solipsieme. O psicomonismo, o anche solipsismo. E
1’ esageraziono dell’ idealismo: posto che il mondo esteriore non è altro che
la rappresentazione stessa che è in noi, posto che l’esistenza dei corpi si
riduce al loro essere perecpiti, se ne ricava la conseguenza che il soggetto
pensanto non può affermare alcuna esistenza fuori della sua 1035 SEM osistenza personale, e che anche gli altri
soggetti pensanti non esistono se non in quanto sono in lui rappresentati ο
rappresentabili. II solipsista nega quindi non la sola materialità, me anche
ogni personalità distinta dalla sua, ogni psichicità che non sia un fatto della
sua coscienza. Lo Schopenhauer cita questa formula del solipsista: Hae omnes
creaturae in totum ego sum, et praeter me one aliud non est, οἱ omnia ego creata
foci. Il Bradley espone così la posizione del solipsismo : « Io non posso
trascendero 1’ esperienza, 0 l’esperienza non può essero che la mia esperienza.
Da ciò consegue che nulla esiste al di fuori del mio io, perchè ciò che è
ospàrienza è stato del mio io >. Questa posizione è sostenuta oggi da alcuni
seguaci della filosofia dell’ immanenza, od es. dallo Schubert-Soldern, il
quale dico che guoseologicamente, non praticamente, il solipsiamo è inconfutabile:
« Per la teoria della conoscenza il mondo non è altro che ciò cho è dato
immediatamente nel complesso della coscienza (Berusstscinezusammenkang).... È
vuota pretesa quella di andar oltro.... La coscienza è rilevabile soltanto per
il contenuto; nulla è per sì, nè come cosa nè come proprieta,... cioè come la
cosa atta ad avere coscienza di altre cose ». Kant adopera il vocabolo
solipsismo in senso morale, per indicare l’egoismo pratico, 1’ amore esclusivo
di sè stessi. Cfr. Schopenhauer, Parerg., 11,1,$13; Bradley, 4ppearance and
reality, 1902, p. 248 ; Schubert-Soldern, Grundlagen d. Erkenntnistheorie,
1884, p. 64-67; Schuppe, £rkenntnistheoretische Logik, 1878, p. 63, 69; J.
Potzoldt, Dax Weltproblem vom positivistischem Standpunkt aus, 1908, p. 98;
Renouvier, Les dilemmer de la métaph., 1901, p. 210; G. Villa, L'idealiemo
moderno, 1905, p. 253-257; F. . δ. Schiller, Solipsism, « Mind », aprile 1909
(v. fenomenismo, idealismo). Semplice. Quosto vocabolo pud-csser preso in vari
siIn primo luogo è adoperato por escludere In mol-, © in questo senso equivale
ad unico; in serondo Ben 1036 luogo è preso per escludere 1’ estensione, ο
in quosto senso equivale à inesteso; infine è adoprato per escludere la materialità,
ο allora equivale a incorporeo ο spirituale. Quando si dice che l’anima è
semplice, la parola è presa in tutti 9 tre questi significati. Nella logioa
diconsi tali, per opposizione ai composti, quei giudizi i cui termini sono
concetti, © che non possono quindi risolversi in altri giudizi. Cfr. Rosmini,
Psicologia, 1846, vol. I, p. 212 sogg. Sensazione. T. Empfindung; I. Sensation;
1. Sensation. Nel suo significato preciso è il fatto psichico elementare. ©
consiste nella coscienza d’ una modificazione avvenuta nel proprio organismo in
seguito ad una stimolazione interna o esterna, Perciò è stata generalmento
concepita ¢ definita come passività; così per 8. Agostino è pasrio corporis por
se ipsam non latens animam ; per Campanella passio per quam soimus quod est,
quod agit in nos, quoniam similem sibi entitatem in nobis faoit; per Condillac
l’anima « è passiva nel momento nel quale prova una sensazione, perchè la causa
che Is produce è fuori di lei». Per Hobbes invece la sensazione è un’ imagine
prodotta dalla reazione degli organi di senso contro una impressione dall’
esterno : Sensio est ab organi sensorti conatu ad extra qui generatur a conatu
ab obiecto versus interna, eoque aliquandiu manente per reactionem factum
phantasma. Per Kant è « una percezione che si riferisce solamente al soggetto
come modificazione del suo stato ». Per il Bain è « una impressione mentale, un
sentimento ο stato cosciente, risultente dall'azione di cose esterne su qualche
parte del corpo, detta per tal ragione sensitiva ». Per il Sergi è « un
fonomeno che si produce quando la forza psichica è provocata ad agire dalla
forza esteriore della natura, in un modo che le è proprio, con una
manifestazione comune e costante ». Per il Masci « uno stato di coscienza
correlativo alla eccitazione di una fibra norvosa afferente prodotta da uno
stimolo, ad esa esterno, anlla ana torminaziono, la quale eccitazione ai pro
1037 Sen paghi fino ai centri sensitivi
della corteccia cerebrale ». Per il Wundt è « quello stato della nostra
coscienza, che non può essere scomposto in parti più semplici »; perciò la
sensazione purs è un’astrazione, ed è indefinibile come dice anche Mae Cosh: «
la sensazione non è positivamente definibile; ciò dipende dal suo essere una
semplice qualità, © dal non esservi nulla di più semplice in cui possa essere
scomposta ». Di essa si può dire soltanto che è il primo fatto interno,
conosciuto senza intermediari, accompagnato da imagini associate che lo
localizzano, eccitato da un certo stato dei nervi ο dei centri nervosi, stato
sconosciuto e che è ordinariamente provocato in noi dall’ urto degli oggetti
esteriori. Alcune volte il vocabolo sensazione è usato per designare il fatto
psichico in generale, ο quella qualsiasi modificazione dell’ io determinata da
uno stimolo sia interno ed esterno che intercerebrale: in quest’ ultimo caso si
usa anche I’ espressione di sensazione riprodotta ο imagine. Altre volte è
preso in significato ristretto opponendolo @ percezione: in tal caso per
sensazione si designa sia il fenomeno affettivo distinto dal fenomeno
intellettuale, sia lo stato puramente soggettivo distinto dallo stato conoscitivo,
in cui ciod si ha I’ esplicito riferimento del soggetto all'oggetto. Spesso si
confondono le proprietà dell'oggetto (qualità sensibili) con le sensazioni che
appartengono al soggetto: così coi vocaboli sapore, odore, suono si designa
tanto una proprietà, più o meno conosciuta, dei corpi, delle particelle liquide
ο volatili, delle vibrazioni aeree o luminose, quanto le specie ben note delle
sensazioni che tali corpi, particelle e vibrazioni eccitano in noi. Non bisogna
confondere, se non si vnol cadere in un grossolano materialismo, la sensazione
col funzionamento dei nervi e dei centri nervosi che ne sono la condizione: il
primo è un fatto psicologico, il secondo un fatto fisiologico, quello ci è noto
immedistamente e completamente, questo è constatato indirettamente,
incompletamente, e ancor oggi assai SEN 1038 pooo conosciuto. Diconsi sensazioni interne 0
della cita organioa quelle che ci avvertono di uno speciale mutamento dovuto
alle condizioni interne dei nostri organi, indipendentemente da stimoli
esteriori (fame, sete, fatica, nevralgia, eco.); sensazioni esterno ο
periferiche ο obbiettire quelle che provengono da un organo situato alla
periferia del corpo ο riflottono un cangiamento del mondo esteriore: sensazioni
soggettice, quelle che provengono da un organe esterno di senso ma riflettono
un mutamento avvenuto nelP organo stesso (scotomi, fosfeno, ecc.). Le
sensazioni si distinguono anche in sensoriali © sensitive: le prime sono quelle
che hanno sede nel capo, in organi speciali, connessi direttamente col cervello
per mezzo di nervi afferenti di breve decorso; le seconde quelle che mancano di
apparati terminali delimitati, ο i cui nervi conduttori si diffondono per il
corpo, agli organi interni e alla superficie esterna. Dicosi sero della
sensazione il minimo di eccitazione necessario a produrla; qualità della
sensazione il contenuto della sensazione stessa, suono, sapore, eco., deter.
minato dalla struttura dei diversi organi, e dalla qualità e intensità degli
stimoli; quantità della sensazione l’intensità della sensazione stessa,
dipendente dall’ intensità degli stimoli; tono o colorito della sensazione il
grado di piacere ο di dolore che ncoompagna la sensazione. Cfr. 8. Agostino, De
quant. animo, 25; Campanella, Universalis philos., 1638. 1, 1v, 1, 2;
Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. 11, $ 11; Hobbes, Lev., I, 1;
Kant, Krit. d. r. Ῥ., ed. Kebrbach. 278;
Bain, Mental science, 1884, p. 27; Sergi, La Ροψολοῖ. phyeiol., trad, franc. 1888, p. 17; Wandt, Grundries d.
Payc.. 1896, p. 45; Μο Cosh, Exam. of S. Milde
philosophy, 1866, p. 71; Mach, Analisi delle eensazioni, trad. it. 1903, cap. I: Höflding, Psychologie, trad. franc. 1900, p.
129 segg.; Ma. sci, Psicologia, 1904, p. 29; Ardigò, Opere fil., I, 200 segg.
III, 76 segg., V, 50 segg. (v. eooitasione, elementi prichici, Sacoltà,
stimolo, peichioi fatti, ecc.). 1039 SEN Sensibile. T. Sensibel, Empfndlich; I.
Sensible; F. Sensible, Quando è opposto a intelligibile designa tutto ciò che
può divenire oggetto di percezione, vale a dire il mondo dei fenomeni; per
opposizione a ciò che è oggetto dell’ intendimento puro, ossia il mondo delle
idee e delle relazioni astratte. Gli scolastici distinguevano le speci
sensibili e le speci intelligibili; la specie sensibile era distinta a sua
volta in impressa ed espressa. Por specie impressa s’ intendeva Vimagind degli
oggetti, che si forma per l’azione da essi esercitata sui sensi © per
l’attività dei sensi stessi, cho aspirano al loro completo sviluppo; questa
prima imagine, agendo sul senso interno, dà luogo a sna volta ad una 80conda
imagine, espressa in qualche modo dalla prima e detta perciò espressa, ossia la
sensaziono. A questo punto termina 1’ officio della sensibilità ο comincia
quello dell’ intelletto : 1’ imagine sensibile è accolta infatti dall’
intelletto attivo, che la spoglia dalle sue condizioni materi ibuti fisici, e
la trasmette quindi, divenuta ormai specio intelligibile, all’ intelletto
passivo. Gli scolastici distinguevano
poi tre sorta di sensibili: i sensibili comuni, fonomeni che possono essere
percepiti con diversi sensi, come il movimento e la figura; i sensibili propri,
che non possono essere percepiti che da un solo senso, come il suono, il
sapore, il colore; i sensibili per accidente, che sono sensazioni risvegliate
per mezzo di altre sensazioni. Cfr. A. Stöckl, Geschichte der Phil. des
Mittelalters, 1864-66; S. Tommaso, Sum. phil., I, qu. 46, 85, 2; Id., Contra
gent., I, 46; Duns Scoto, Quaent. de rer. prine., 14, 3; Goclenio, Lex. phil.,
1613, p. 1068 segg. Sensibilità. T. Empfindlichkeit, Sensibilität; I. Sensibility;
F. Sensibilité, Nel suo significato più generale designa In facoltà di sentire,
ciod di avvertire le modificazioni che avvengono nel proprio organismo. Sotto
questo rispetto è dunque sinonimo di coscienza (nel suo significato più largo)
ο ad essa pure si connettono le questioni che ne riguardano l’origine, lo
sviluppo ο l'estensione: secondo alcuni à In Sen 1040 proprietà essenziale di ogni organismo,
riconducendosi alla irritabilità per cui la materia organica è capace di
ricevere le eccitazioni e di rispondervi con una reazione; secondo altri è una
manifestazione dell’ anima o spirito; per altri ancora è una proprietà generale
dell’ essere o della materia. Altre volte per sensibilità si intende: 1° la
facoltà di provare piacere o dolore, e in questo senso equivale ad afJettività,
si oppone a intelligenza © a volontà; 2° la facoltà non solo di sentire, ma
anche di percepire, di discriminare, di distinguere; 3° l'insieme di fenomeni
complessi, che contengono elementi intellettuali, come lo tendenze, le passioni,
gli appetiti. Dicesi sensibilità generale 1’ insieme delle sensazioni interne ο
della vita organica, © sensibilità ape ciale le sensazioni periferiche;
tuttavia molte volte per sensibilità generale o cenestesi si intende l'insieme
delle sensazioni così interne come esterne. Si suol anche distinguere la
sensibilità superficiale ο cutanea dalla sensibilità profonda o dei muscoli ©
tessuti interni; che queste due forme di sensibilità siano tra loro distinte,
e, in un certo grado, indipendenti, sarebbe dimostrato dal fatto che in alcuni
casi patologici la prina è completamente abolita mentre la seconda è
conservata, e da altri casi nei quali la sensibilità tattile e dolorifica della
cute permane mentre scompare quella dei tessuti profondi. Cfr. Wundt, Grundstigo d,'
physiol. Paychol., 8" ed., vol. I, p. 341; Beaunis, Les sensations internes, 1889 (v. coscienza, senso,
volontà, meccanismo, ilosoismo, ecc.). Sensilli. Con questo nome vengono
designati da alcuni fisiologi gli organi specifici di senso, detti da altri
esteti ο esteteri, Sensismo. T. Sensualismus ; I. Sensationalism, Sonsualiem:
F. Sensualieme. Non dovrebbe mai confondersi nd col semsazionismo 0
sensazionalismo, nd col sensualismo. È sensismo ogni indirizzo gnosoologico e
filosofico che spiega colla sola vansazione i fenomeni della intelligenza
umana, ο fuori 1041 SEN della sensazione non riconosce altra fonte
delle nostre conoscenze. Il sensazionismo è una dottrina metafisica, che fa
della sensazione 1’ elemento costitutivo non solo della realtà psichica ma
anche della realtà fisica; il mondo è per esso un insieme di sensazioni, che
stanno fra loro in determinati rapporti, cosicchè non le sensazioni sono simVoli
delle cose, ma al contrario le cose sono un simbolo mentale per un complesso di
sensazioni, le quali hanno solo una stabilità relativa: i vari elementi di cui
la realtà è costituita non sono dunque gli oggetti, i corpi, le s0stanze, bensì
i colori, i suoni, le pressioni, gli spazi, le durate (Mach, Petzoldt,
Avenarius). Per sensualismo 8’ intende invece, nella lingua italiana sia comune
sia filosofica, ogni indirizzo edonistico della morale, ogni dottrina che
identifica il bene col piacere sensibile. Il sensismo si oppone al nativiemo ο
innatiemo, che considera alcune idee fondamentali (ad es. di spazio, di tempo,
di infinito, eco.) come anteriori ad ogni esperienza sensibile, e al
razionalismo, che considera i principî supremi di ragione (ad es. quelli di
causa, di sostanza, di identità, di ragione sufficiente, eco.) come
irreducibili all'esperienza. Il sensismo si distingue dall’ empirismo, col
quale è spesso confuso, in quanto questo fa derivare tutte le nostre cognizioni
da due sorgenti, e cioò dall’esperienza esterna, ossia dalla sensazione, e
dall’esperienza interna, ossia dalla riflessione; e dal materialismo, che consiste
nel negare l’esistenza dell’ anima come sostanza spirituale, mentre nel
sensismo questa negazione non è necessaria, Uno dei massimi rappresentanti del
sensismo puro fu il Condillao, il quale pure ammettendo l'esistenza di Dio e
Vimmortalita dell’anims, fa derivare dalla elaborazione meccanica delle
sensazioni tutte le attività dello spirito, che egli riduco a due ordini:
intellettive, cioè attenzione, memoria, giudizio, raziocinio, e affettite, cioè
il desiderio, le passioni e la volontà. Ma il sensismo è dottrina molto antica
ο risale alla stessa origine della filosofia. Tutti i filosofi greci del pe66 RanzoLI, Dizion. di sotenze filosofiche, SEN 1042 riodo cosmologico sono sensisti. Malgrado la
differenza da essi posta tra l’esperienza sensibile e la riflessione, tra la
verità © l’opinione (δόξα), non ammettono che una sola porta dalla quale il
sapere penetra nell’ uomo: la porta dei sensi: « Eraclito non sa indicaroi,
dice Windelband, una differenza psicologica tra percepire e pensare, così
recisamente in antitesi nei loro valori gnoseologici ; e tanto meno
Parmenide... Ancor più esplicitamente, Empedocle dichiara che pensare 9
percepire sono la stessa cosa; che il cambiamento del pensiero è dipendente da
quello del corpo; e considera la miscela del sangue come quella, che determina
la capacità intellettuale dell’uomo. Entrambi non esitarono a render più
evidente questa concezione mediante ipotesi fisiologiche. Parmenide, nella sua
tisica ipotetica, insegnò che l’uguale vien percepito da per tutto mediante
l’uguale, ed Empedocle sviluppò il pensiero che ogni elemento nel nostro corpo
percepisce 1’ elemento uguale nel mondo esteriore... Questi razionalisti
metafisici rappresentano tutti, nella loro psicologia, un grossolano
senewaliemo ». In seguito il sensismo ricompare con Protagora, per il quale
l’anima non è nalla fuorchè sensazione; con gli Stoici, che considerano la
coscienza come una tabula rasa che il senso riempie dei suoi caratteri; con gli
Epicurei, che fanno originare la conoscenza unicamente dalle sensazioni; con
Campanella, per il quale omnes seneus simul causant totius rei cognitionem ;
con Bacone, Hobbes, Montaigne, che sostengono pure l’origine sensibile d’ ogni
stato ο fatto della 00scienza. « La sensazione è il principio della conoscenza,
dice Hobbes, e ogni specie di sapere ne deriva. La sensane stessa non è altra
cosa che un movimento ‘di certe parti che esistono all’interno dell’ essere
senziente, © queste parti sono quelle degli organi col cui aiuto noi sentiamo.
La memoria consiste nel sentire ciò che si è sentito. Quanto alla imaginasione,
essa è la sensazione continuata, Sevolita ». Nel pensiero contemporaneo il
sensismo 1043 SEN ha un geniale rappresentante in Roberto
Ardigò, che alla sensazione riconduce così le formazioni psicologiche come i
ritmi logici © le idealità morali. Cfr. Windelband, Storia della filosofia,
trad. it. 1913, I, p. 79-81, 112, 257 sogg.; Campanella, Univ. phil., 1638, I,
194; Bacone, Nov. Org., 1, 41; Hobbes, Human καὶ., cap. X, $ 3; Locke, Essay,
1858, II, osp. I, $ 2 segg.; Condillac, Extrait raie. ed. par Lyon, 1886, p.
35-10 (v. idea, empiriooritiolemo, esperienza, nativiemo, ragione). Sensitivo.
T. Empfindlich ; I. Sensitive; F. Soneitif. Cid che appartiene alla sensibilità
generale; non va confuso con sensoriale, che designa tutto ciò che appartiene
alla sensibilità speciale; si oppone spesso a motore, che è tutto ciò che
riguardala fanzione centrifuga o efferente dei nervi. Nella classificazione dei
caratteri, diconsi sensitivi ο emotivi quelli nei quali predomina la
sensibilità, 1’ impressionabilità, simili a stromenti in perpetua vibrazione;
gli individui sensitivi vivono sempre interiormente, sono portati a provare
maggior dolore per una lieve contrarietà che piacere per una gran fortuna, e
sono quindi nativamente in 1 pessim sino. Diconsi fibre sensitive, quelle fibre
nervose che conducono le impressioni dalla periferia al centro; radioi
sensitive, le radici posteriori dei nervi rachidei ; fasoio sensitiro, quel
cordone hianco del midollo spinale che #’ interna nell’ encefalo superiore, e
stendendosi nella corona raggiante giunge fino alla sostanza grigia degli
emisferi cerebrali. Cfr. N. R. D’Alfonso, La dottrina dei temperamenti
nell'antichità ο ci mostri giorni, 1904 (v. cenestesi). Senso. T. Sinn; I.
Sens; F. Sene. La facoltà di provare uno certa classe di sensazioni. Si
distinguò perciò dalla sensibilità, che è, in generale, la facoltà di sentire;
alcune volte però è usato in luogo di sensibilità ed opposto ad intelligenza, E
si distingue anche dalla sensazione che è il fatto particolare di cui il senso
è la facoltà. Faoultas sentiendi sive sensus, dice Cr. Wolff, est facultas
percipiendi obieota SEN 1044 externa mutationem organis sensoriis qua
talibus induoentia, convenienter mutations in organo faotac. Più brevemente il
Krug lo definisce « la facoltà della rappresentazione immediata »; Hegel « il
più semplice sistema della corporeità specificata »; H. Ritter « la facoltà di
accogliere degli stimoli ». Si soglion chiamare specifici i cinque sensi
esterni della vista, dell’ udito, del gusto, dell’ odorato, e del tatto. Quest’
ultimo vien anche designato con 1’ espressione di senso generale, perchè è il
più esteso sia nell’individuo, di cui occupa tutta la superficie del corpo, sia
nella specie, nella quale appare anche nei più infimi gradini; ο con
l'espressione di senso intellettuale, perchè esso ci fornisce, associandosi al
senso muscolare e visivo, le nozioni intellettuali di figura, volume,
estensione, distanza, 900. Il senso visivo ed auditivo vengono anche detti
sensi estetici, perchè le armonie dei colori e dei suoni ci procurano i
godimenti estetici più intensi 6 completi. I sensi specifici furono anche
distinti in mecognici e chimici, a seconda che lo stimolo agisce come semplice
movimento, oppure si trasforma mediante un'azione chimica; sono meccanici
l’udito e il tatto, chimici la vista, l'olfatto ο il gusto. Con l’ espressione
sesto senso, alcuni psicologi designano talvolta il senso della direzione, ο il
senso vitale, o quello muscolare, essendo ciascuno considerato come aggiunto
alla classificazione tradizionale dei cinque sensi specifici. La parola senso si usa anche in luogo di
significato, di accezione d’ un vocabolo ο d’una proposizione, © si suol
distinguere in senso assoInto, quando è preso semplicemente, relatito quando la
cosa significata si considera sotto un rispetto particolare, collettivo quando
si riferisce ad un insieme di cose o di individui, distributivo quando si
riferisce a ciascuna delle parti d’un tutto, diviso quando si riferisce ad un
dato soggetto mediante qualche sua qualità o relazione, composto quando la
qualità o relazione con cui si denomina la cosa entra essa stessa a formare il
soggetto della proposizione. Perciò 1045
SEN i logici dicono sofismi del senso
diviso quelle fallacie di ragionamento, che si fondano sopra una proposizione
la quale, presa in quel senso, è falsa, e soflsmi del senso composto quelli che
si fondano sopra una proposizione che è falsa presa in quel senso, Nel
linguaggio scolastico si distinguono tre significati dell’ affermazione: in
sensu formali, quando si assevera ciò che entra nel concetto e nella
definizione del soggetto, di cui si assevera, ad es.: la giustizia è virtà in
Dio con cui punisce la colpa e premia il merito; in sensu pure reali 0 in sensu
identico οἱ materiali, se si afferma quel predicato che è identico col
soggetto, ma non è del concetto detinitivo di esso, e non è predicato quale
aggettivo di quel concetto, ad es.: la giustizia di Dio è misericordia; in
sonen denominativo, quando si affermano quelle cose che non appartengono al
concetto definitivo dell’ essenza metafisica del soggetto, ma ne sono proprietà
accidentali ο secondarie. Cfr. Cr. Wolff, Peychologia empirica, 1738, $ 67; Krug,
Fundamentalphilosophie, 1818, p. 166; H. Ritter, System d. Logik, 1856, vol. I, p. 181; Hegel, Encykl. im Grundrisse, 1870,
$ 401 (v. atercognoatico, cinestesiche). Senso comune. Gr. Κοινὴ αἴσθησις; Lat.
Sensus communis; T. Gemeineinn : I. Common sense; F. Sono commun. Si può
definire come il consenso di quasi tutti gli uomini in un insieme di credenze
praticamento invincibili. Tuttavia il valore di questa espressione varid assai
nella storia della filosofia. Secondo la dottrina aristotelica, nell’ interno
dell’uomo v’ha qualche cosa che giudica delle sensazioni, ο questo si chiama
senso comune, perchò non può giudicarne se egli da solo non sente ciò che
sentono tutti gli altri sensi; anche il senso particolare sente e giudica, ma
soltanto nella sfera delle cose sensibili che da Ini possono essere percepite,
ο perciò seneus proprius participat aliquid de virtute sensus communis. Per
Cicerone il consenso comune à il criterio della verità, in omni re consensus
generis humani pro ceritate habenda est. Avicenna definisce il senso comune
come Sen 1046 quella capacità quae omnia sensu porcepta
rocipit et (prope corum formas) patitur, qua in ipea copulantur. Per il
Descartes è sinonimo di buon senso e di ragione, vale a dire di quella facoltà
di ben ragionare che tutti gli uomini posseggono, almeno virtualmente; egli lo
definisce anche come potentia ® imaginatrice cognoscere. Per il Vico invece è
la stessa cosa di Provvidenza, la cui azione, che egli fa intervenire tanto
spesso nella sua Scienza nuova, consiste « nel fare delle passioni degli uomini,
tutti attenti alle loro private utilità, per le quali viverebbero da fiere
bestie dentro le solitudini, gli ordini civili per li quali vivono in umane
società». Anoor più grande è il valore dato al senso comune da Tommaso Reid e
dalla scuola scozzese. Infatti, secondo il Reid, la nostra certezza nella
realtà del mondo esteriore non ci è data nd da un ragionamento, nd da una
inferenza, nd da una abitudine, ma da un suggerimento interno, immediato,
elargito a tutti gli uomini da Dio, suggerimento che costituisce il senso
comune (common sense), innanzi alla cui autorità debbono inchinarsi tanto il
filosofo che lo soienziato. I principi suggeriti dal senso comune, secondo gli
scozzesi, sono molti, sia grammaticali che logici, matematici, morali,
metafisici; di essi non è possibile’ cercare il fondamento logico, ma si
debbono accettare tal quali; la stessa filosofia non consiste che nello
scoprirli e porli a fondamento delle nostre conoscenze. I principi metafisici,
più importanti di tutti, sono tre: 1° ogni qualità corporea ha per sostanza un
corpo, ogni penaiero uno spirito; 2° ciò che comincia ad esistere deve avere
una causa; 3° dove si mostrano segni d'intelligenza nelle operazioni, la causa
deve essere non meccanica ma intelligente. Si comprende da ciò come per il Reid
« la filosofia non ha altre radici che i principi del senso comune; da essi
germoglia, da essi trae il suo nutrimento. Staccata da queste radici, i suoi
pregi avvizziscono, i suoi succhi si asciugano, essa muore e marcisce ». Molti
altri filosofi, fra cui il Cousin, 1047 SEN il Collard, ece., cercarono poi di far
rivivere la filosofia del senso comane. Secondo il Galluppi, l’esistenza del
senso comune è incontrastabile, ma esso non è altro che la logioa naturale,
ossia la disposizione naturale dello 8 umano a dirigere le operazioni delle
facoltà di conoscere conformemente a certe leggi costanti; ma non bisogna perciò
confondere il fatto che tntti gli uomini convengano su alcune verità, con
l’altro, che l'ammissione di tali verità non abbia altro motivo legittimo che
il consenso comune, laddove, in realtà, tale ammissione avviene per motivi personali,
perchè tutti i mezzi di conoscere ci sono personali : così ogni uomo crede
nell’ esistenza dei corpi perchè i suoi sensi particolari gliela attestano, e
crede alla propria identità personale perchè ha fidncia nella veracità della
propria memoria; di più, se vi sono delle verità generalmente ammexse, non si
può dire che tutte le proposizioni generalmente ammesse siano verità, e tutta
la storia del pensiero umano dimostra anzi che vi sono dei giudizi falsi
universalmente ricevuti. L’Ardigd nega ogni valore al senso comune, dimostrando
come esso sia un fatto di mera suggestione la quale può anche avere a
fondamento il falso -che ciascuno subisce fino dall’ infanzia dall'ambiente ove
nasce, e alla quale difticilmente uno può sottrarsi; trovando tali idee e
credenze già fatte all’età della riflessione, familiari, spontanee, consentanee
fra loro e nelle applicazioni loro ai casi particolari di ogni momento,
ciascuno le crede il naturale portato del senso comune, errando in tal modo
come chi credesse che una montagna sia stata fatta addirittura come si vede. La
storia del pensiero umano mostra infatti come le credenze tradizionali si siano
venute successivamente formando ed accumulando, e di quali errori esse siano
imbevute. Cfr. Aristotele, De an., III, 1,4258, 15; Cartesio, Mod., II; Reid,
Words ed. by Hamilton, 1863, p. 101 segg.; Galluppi, Lezioni di logica e
metafisica, 1854, I, p. 222 segg.; Ardigò, Op. fil., IV, 375 segg.; F.
Harrison, The philosophy of common renne, 1907. SEN 1048 Senso fondamentale. O sentimento fondamentale,
è chiamata dal Rosmini la coscienza primitiva © perenne che l’anima ha del
corpo e dei suoi organi, nello stato in cui essi si trovano, Codesto sentimento
fondamentale corporeo è essenzialmente «no per ciascun uomo, essendo uno il
principio senziente, che con un solo atto sente contemporaneamente tutto il
termine corporeo 8 sò unito; universale, in quanto comprende tutte le parti del
corpo; piacevole, come quello che è conforme alla natura umana; immoto ©
infigurato, in quanto così il moto come la figura sono relazioni esistenti solo
tra le parti esterne del corpo; uniforme, in quanto è il fondo omogeneo e
indistinto sul quale spiccano i sentimenti particolari, che seguono all’ azione
degli stimoli. La vita corporea à per I’ uomo non altro che l’incessante
produzione del sentimento fondamentale corporeo. Cfr. Rosmini, Psicologia,
1846, vol. I, p. 136 segg., vol. II, p. 69 segg.; Id., Nuovo saggio, 1880, sez.
V, par. V, ο, III segg. Senso intimo. Lat. Sensus intimus, interior; T. Innerer
Sinn; I. Internal senso; F. Sons intime. O sentimento intimo, in opposizione a
senso esterno, è chiamata da alcuni paicologi la coscienza, che ci dà la
conoscenza immediata di noi stessi, © di ciò che in noi stessi avviene: «
Sensus intimns est perceptio qua mens de praesenti suo stato admonetur. Dicitur
etiam conscientia, quia per sensum intimum anima praceentis affootionis, verbi
gratia, doloris, sibi consoia est ». Perd il valore di questa espressione ha
variato nel linguaggio filosofico. Così per Cartesio non v’ha un solo senso
interno, ma molti: Nempe nervi, qui ad ventrioulum, assophagum, faucee,
aliasque interiores partes, explendis naturalibus desidertis destinatus,
protenduntur, faciunt unum ex sonsibus internis, qui appelitus naturalis
vocatur; nervuli vero, qui ad cor οἱ prascordia, quamcis perezigui sint,
faciunt alium sonsum internum, in quo consistunt omnes animi commotiones. Il
Locke, con la sua distinzione tra sensazione e riflessione, dà un nuovo aspetto
1049 SEN alla teoria del senso interno, il quale è
per Ini « la conoscenza che la mente soquists delle sue proprie operazioni »,
e, in quanto tale, dà origine in noi a delle rappresentazioni determinate,
cosicchè a ragione può essere chiamato senso per analogia con quello esterno.
Analogo valore dà all’ espressione G. E. Schulze, il quale osserva che « alla
coscienza degli stati interni si dà il nome di senso, perchè noi ci sentiamo obbligati
a conoscere gli oggetti di esso, cos come a sentire gli oggetti del senso
esterno ». Per il Galluppi esso consiste tanto nel sentimento involontario
dell’ io, quanto nella riflessione volontaria sull’io: esso ci dà la verità
primitiva indimostrabile io penso, ciod io sono esistente allo stato di
pensiero, principio d’ evidenza immediata e perciò mdimostrabile: « L’ evidenza
immediata consiste nella percezione chiara della convenienza o ripugnanza delle
nostre idee fra di esse. Ora, il solo senso intimo può assicurarci di questa
percezione immediata, perciò tutti gli assiomi, i quali non sono che
proposizioni necessarie evidenti per sò stesse, hanno per motivo immediato 1’
evidenza immediata, per motivo mediato ed ultimo il senso intimo ». Cfr.
Cartesio, Prino. phil., IV, 190; Locke, Ees., II, cap. 1, $ 4; G. E. Schulze,
Psychische Anthropologie, 1819, p. 114 segg.; Galluppi, Lezioni di logioa ο
metafisica, 1854, vol. I, P. 84 segg. (v. autocoscienza, cenestesi). Senso
logico. Il Romagnosi, modificando il sensismo condillachiano, denomina così
quella funzione subbiettiva per cui siamo operatori del fenomeno; esso è distinto
dall’attenzione e dal giudizio, e anteriore alla coscienza stessa, nella quale
noi siamo soltanto contemplatori del fenomeno. Al senso logico il Romagnosi
attribuisce quella doppia fanzione differenziale e integrale, in cui lo
Spencer, venuto poi, ripone il processo dell’intelligenza. Cfr. Romagnosi,
Pedute fond. sull’arto logica, § 600 segg. Senso morale. T. Sittliches Gefühl;
I. Moral sens; F. Sens moral. Questa espressione non ebbe mai un significato
BEN 1050 preciso, se non nella scuola dei moralisti
inglesi, capitanata dal terzo conte di Shaftesbury. Secondo questo filosofo il
senso morale è V insieme di quegli affetti riflessi, per mezzo di cui si
apprende il giusto e l’onesto ; esso è nativo nell’individuo, è di natura
principalmente émozionale nella sua forma spontanes, ma, poichè esso ammette
una costante educazione e uno sviluppo, l’elemento razionale ο riflessivo
diviene in esso gradualmente prominente. « Così, per mezzo di questo senso riflesso,
sorge un’ altra specie di affesioni rispetto alle vere affezioni, che sono già
state sentite, e sono ora divenute il soggetto di un nuovo aggradimento o avversione
». L’ Hutcheson, che appartenne pure a questa scuola, esagerò la dottrina del
maestro attribuendo al senso morale non più un’ energia riflessa, ma specifica,
e togliendogli quell’ elemento attivo, il risentimento, per cui si distingueva
dal senso estetico: « Mediante un senso superiore, che io chiamo morale, noi
proviamo piacere nella contemplazione di tali azioni negli altri (azioni
buone), e siamo determinati ad amare chi le ha cumpiute (e molto più proviamo
piacere nell’ esser consapevoli d’aver compiuto noi quelle azioni) senza alcuna
mira di ulteriore naturale vantaggio da esso ». Cfr. Shaftesbury, Inguiry conc. virtue, 1. I,
parte I, $ 9; Hutcheson, Inquiry into the orig. of our ideas of beauty and
virtue, 1725, p. 106, 124; T. Fowler, Shaftesbury and Hutcheson, 1882 (v.
sentimentalismo, intellettualismo, volontarismo). Bensoriale.T. Sensorisch; I. Sensory; F. Sensoriel,
Soneitif. Tutto ciò che appartiene alla sensibilità speciale, ciod visiva,
tattile, olfattiva, ecc. ; si distingue da sensibile, che è ciò che appartiene
alla sensibilità generale. Il vocabolo sensorio è usato alcune volte per
designare un organo specifico di senso. Sensorium commune. O semplicemente
sensorium. Tale espressione fu già usata da Aristotele per l’organo nel quale
si riuniscono i dati di tutti gli altri sensi specifici. Più tardi fu estesa a
designare la sede non solo del 1051 SEN senso comune, ma dell'anima intera. Tale
sede, che per gli antichi era il cuore, per i moderni è il cervello, e più
precisamente la corteccia grigia del cervello. Però fra gli psicologi e
fisiologi contemporanei, alcuni, col Vulpiav, intendono per sensorium commune i
centri cerebrali della sensibilità comune, altri invece, col Mandsley, i centri
comuni della sensibilità, quali i talami ottici, i tubercoli quadrigemini, i
bulbi olfattivi, ecc. Cfr. Darwin, Expression of emotions, 1890, p. 69;
Bastian, Le cerveau drgane de la pensée, trad. franc. 1888, vol. II, p. 141
segg.; Wundt, Physiol. Psyohol., 4° ed., I, p. 213 segg. (v. senso comune).
Senso spirituale. T. Geistiger Sinn; I. Spiritual sense: F. Sens spirituel. In
generale, l’operazione con cui l’anima, secondo alcuni filosofi, percepisce
immediatamente la verità spirituale. Anche il Rosmini usa questa espressione
per indicare |’ immediata intuizione che fa |’ intelletto della verità. Esso
differisce dal senso corporeo perchè non ha, come questo, dei termini somatici
determinati e reali; ma ha un termine spirituale e perfettamente indeterminato
; e si dice tuttavia senso, in quanto lo spirito intuisce con esso immediatamente
l’essere, allo stesso modo come ogni altro senso riceve l'impressione del
sensibile. Cfr. Rosmini, Nuovo saggio, sez. V, p. V, ο, 111 segg.; Psicologia,
1846-48, I, p. 136 sogg., II, p. 69 segg. (v. senso intimo, autocoscienza).
Sensualismo. Τ. Sensualismus; I. Sensualiem; F. Sensualisme. Non si dovrebbe
mai, imitando i francesi, usarlo in luogo di sensismo, che è la dottrina
gnoseologica che pone la sensazione come unica fonte delle nostre conoscenze,
mentre nella lingua nostra il sensualismo designa piuttosto una tendenza pratica
o una dottrina morale, che consiste nel considerare il piacere fisico come
l’unico scopo della vita, come il solo criterio del bene e del male.
Sentimentalismo. Nella filosofia morale designa quella dottrina che attribuisce
al sentimento morale la suprema efficacia nell'attività etica dell'uomo; si
oppone all’intelSEN 1052 lettualismo, che tale officio riconosce invece
alla intelligenza. L’uno e l’altro indirizzo si svolsero specialmente in
Inghilterra, dalla seconda metà del secolo diciottesimo fino alla prima del
diciannovesimo, I prineipali rappresentanti del sentimentalismo furono David
Hume, Adamo Smith e David Hartley. Nella psicologia per sontimontalismo, in
opposizione a intellettualismo e volontarismo, si intende la dottrina che
considera il sentimento come l’attività più primifiva della coscienza, dalla
quale si svolgono tutte le altre. Tale dottrina, sostenuta dal Barrat e dal}
Horwiez, sembra essere confermata dal fatto che, fino ad un periodo avanzato
dell'infanzia, l’uomo è interamente dominato dai sentimenti di piacere e di
dolore, determinati specialmente dalle sensazioni organiche. Nella filosofia
della religione il sentimentalismo è l’ indirizzo che, opponendosi al
razionalismo, fa originare la religione da una facoltà distinta, il sentimento,
collocandola così in una sfera dello spirito diversa dalla intellettuale,
autonoma, irraggiungibile ai metodi ο ai processi del pensiero rasiocinativö.
Questo indirizzo, che riappare oggi nel modernismo cattolico e nella psicologia
prammatista, ebbe già per rappresentanti il Pascal © il Rousseau, che, sia pure
con metodi e intenti diversi, sostennero la sovranità delle ragioni del cuore,
l'autonomia della fede, l’originsrietà del sentimento ο la sua indipendenza
dalla ragione; ma il vero dialettico © teologo del sentimentalismo religioso fa
lo Schleiermacher. Egli sostenne che l’idea di Dio è fuori d'ogni possibile
conoscenza, perchd efagge così alla forma del concetto come a quella del
giudizio; Dio non è dato a noi che nel sentimento, ossia nell’ immediate autocoscienza;
il sentimento è infatti una modificazione dell’ io, dovuta all’azione di un
oggetto esterno sulla nostra coscienza, ed esprime perciò una dipendenza; la
religione è appunto il sentimento della nostra assoluta dipendenza da Dio, 0,
che è lo stesso, la coscienza di noi stessi come 1053 Sex essenti in rapporto con Dio. Cfr.
Schleiermacher, Dialektik, 1903, p216 segg.; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo nella
fil. religiosa, 1912, p. 228 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad.
it. 1913, II, p. 203 segg. (v. fidoismo, religione, sentimento). Sentimento.
T.Gefükl; I. Sentiment, Feeling; F. Sentiment. Uno dei termini filosofici di
significato più vasto e più vario. Per lungo tempo fu sinonimo di sensazione,
cosicchè il Descartes classificava fra i sentimenti la luce, il calore, il
suono, l'odore, 909. Oggi si adopera per designare sia una tendenza,
accostandolo per tal modo all’appetito e al desiderio; sia un qualanque stato
affettivo, comprendendo in esso tanto i diversi stati semplici di piacere e di
dolore, quanto le emozioni e le passioni: sia infine una conoscenza oscura la
quale tuttavia ci dà la credenza e la certezza, In quest’ ultimo significato il
dominio del sentimento viene non solo distinto, ma anche opposto a quello dell’
intelligenza © della ragione; ciò che questa distrugge (credenze morali e
religiose) quello può ricostruire su basi incrollabili. Ma il significato più
diffuso della parola sentimento, e il più usato nella psicologia, è quello che
si riferisce si diversi stati di piacere ο di dolore, ο agli stati misti di
piacere ο di dolore, che #’acoompagnano alle operazioni così semplici come
complesse della nostra coscienza. Così il Jodl lo definisce come « un eccitamento
psichico, nel quale il valore di una mutazione nelle condizioni dell’ organismo
vivente o nello stato della coscienza, per il vantaggio ο il danno del soggetto
viene immediatamente percepito come piacere o come dolore ». Per I’ Ebbinghaus
la caratteristica dei sentimenti sta « nel rapporto delle loro cause obbiettive
col bene e col male dell’ organigmo e della vita psichica che l’anima ;
mediante i sentimenti, le impressioni che ci orientano nel mondo esteriore
ricevono una estimazione, che è necessaria affinchè la coscienza possa
impiegare convenientemente le cose obBEN 1054 biettive nella lotta per la sua propria
conservazione ». Per il Masci « il sentimento è una eccitazione psichica, nella
quale il valore di un mutamento dello stato dell'organismo © della coscienza in
rapporto al soggetto è avvertito immediatamente come piacere o come dolore ».
Secondo tale accezione, il sentimento è un fatto che pare abbia le sue radioi
nelle stesse proprietà elementari dell'organismo, rappresentando la
specificazione ulteriore della proprietà fondamentale della sostanza vivente,
detta irritabilità o anche sensibilità protoplasmatica 0 precosciente, la quale
consiste nella reazione particolare dell’ organismo ad una eccitazione ricevuta.
Appartiene dunque alla sensibilità, ma si distingue dalla sensazione in quanto
questa viene riferita al non-io, quello invece all’io, apparendo come uno stato
assolutamente soggettivo ; fra l'uno e l’altra esiste tuttavia una certa
proporzionalità, poichè 00] crescere e diminuire delV intensità della
sensazione, cresce e diminuisce anche I’ intensità del sentimento. Questo
rapporto non è però costante, potendosi persino mutare ad un certo punto la
qualità det sentimento stesso, © cio di piacere passare in dolore: in generale,
infatti, le eccitazioni moderate determinano uno stato di piacere, mentre le
eocitazioni che sorpassano il limite di adattamento dell’ individuo sono
seguite dal dolore. Ciò rivela l’officio biologico ο protettivo del sentimento,
il quale serve all’animale come guida della sua vita, come stimolo necessario a
soddisfare adeguatamente i suoi bisogni, come indice dello stato normale o
patologico dei suoi organi. Quindi, quantunque il sentimento sia relativo allo
stimolo, alla sua durata © intensità, all'individuo ed al suo stato attuale ο
precedente, segue tuttavia attraverso la specie una costante © regolare
evoluzione, affinandosi e complicandosi col perfezionarsi ο complicarei degli
organiami. Si sogliono distinguere, sebbene non da tutti i psicologi, i
sentimenti fisici ο sensitivi dai morali ο ideali, e, tra questi ultimi, i
sentimenti superiori : i ο. sociali, che variano col 1055 SEN variare delle forme di convivenza sociale,
e che si esplicano nella società evoluta col sentimento morale, e quelli della
simpatia, della solidarietà, della beneficienza; ο. intellettuali © logici, che
variano, secondo il Wundt, a seconda che accompagnano gli atti semplici del
pensiero, le concordanze o le contraddizioni, oppure gli atti complessi, la
verità, l'errore, il dubbio, e si manifestano nel piacere della ricerca del
vero, nella gioia della verità conquistata, nelle pene angosciose del dubbio,
nella avversione all'errore: s. estetici, che sono costituiti dal piacere che
desta il bello nelle sue molteplici forme, e, secondo alcuni, precedono il
giudizio estetico, secondo altri lo seguono, secondo altri ancora αἱ presentano
contemporaneamente ad esso; il e. della natura, che sorge dalla contemplazione
del bello naturale, in quanto la natura esprime nel modo più grandioso le
armonie della vita, del movimento e della materia, e i bisogni del cuore; #.
religiosi, che variano col variare delle credenze religiose, ὁ sono esaltativi
nell’individuo compreso ed ammirato dall’onnipotense e dalla grazia divina,
depressivi quando la coscienza dell'individuo è colpita dalla paura della
collera e della vendetta divina. Quanto all'origine e alla natura del
sentimento, cui sopra accennammo, si può dire che soltanto la psicologia
contemporanea se ne sia occupata : fino a quasi tutto il secolo diciottesimo,
la psicologia fu dominata dal concetto che l'intelletto, la conoscenza, fosse
la facoltà dominante dell’uomo, e sotto di essa erano collocate le altre
facoltà considerate come inferiori © comprese sotto il nome di appetiti o
facoltà desiderative, Le dottrine della psicologia contemporanea sulla natura
del sentimento si possono ridurre a cinque: la più diffusa è quella che
considera il sentimento come una funzione psichica avente origine autonoma, al
pari della intelligenza ο del volere, dai quali è indipendente, pure avendo con
essi strettissima relazione (Hòffding, Wundt, Sully, Baldwin, Külpe); secondo
gli herbartiani il sentiSER 1056 mento à invece non una attività originaria
della coscienza, me il risultato di un’azione scambievole delle rappresentazioni
(Nablowsky, Volkmann, Drobisch); per i seguaci del materialismo psico-fisico il
sentimento semplice è una qualità inerente alla sensazione (tono sentimentale)
mentre i sentimenti complessi non sono che il risultato del combinarsi di
sentimenti elementari, che accompagnano quelle sensazioni che
contraddistinguono le emozioni (Münsterberg); secondo i sentimentalisti puri il
sentimento è l’attività più primitiva della coscienza, dalla quale si svolgono
poi tutte le altre (Barrat, Horwicr); infine, secondo la scuola detta somatica
o fisiologica, il sentimento non sarebbe che la pura espressione delle funzioni
organiche, scaturente dai processi fisiologici (Ribot, James, Lange). Cfr.
Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 293 segg.; Sully, Psychology, 2°
ed. 1885, p. 687; Bain, Mental science, 1884, Ρ. 215-17; Külpe, Grund. d.
Peychol., 1893, p. 236; Wundt, Grund. d. Paych., 1896, p. 34-43; Volkmann,
Lehrbuch d. Peychol., 43 ed. 1894, vol. II, p. 302; Münsterberg, Aufgabe u. Meth. d. Peyohol.,
1888; Horwicz, Peychol. Anal.,
1872, II, 2, p. 1; Ardigò, Op. fil., V, 151 segg.; Masci, Peicologia, 1904, p.
114 segg.; Ebbinghaus, Peychologie, trad. frano. 1912, p. 114 segg.; W. James,
Principles of payohol., 1890, cap. XXIV; Id., La théorie de l'émotion, trad.
franc. 1903; Lange, Les emotions, trad. franc. 1902; Ribot, La psychol. des
sentiments, 1896; Id., La logique d. sent. 1904; Th. Lipps, Vom Fühlen, Wollen
und Denken, 190: F. Rauh, De la méth. dans la payohol. d. sent., 1899; F.
Paulhan, Les phenomends affootifs et les lois de leur apparition, 1887; L.
Dumont, Il piacere e il dolore, trad. it. 1878 (v. piacere, dolore, neutri,
sentimentalismo, senso fondamentale, senso spirituale). Sermonismo. T. Sermoniemus ; I. Sermoniem; F. Sermonisme.
La dottrina di Abelardo, secondo la quale gli universalì non esistono che nel
discorso (sermo). Mentre il 1057 Srr-Sro realismo affermava l’esistenza
indipendente degli universali, ed il nominalismo non vedeva in essi se non denominazioni
collettive, Abelardo sosteneva che, se non possono essere cose, non possono
nemmeno essere semplici vocaboli; la parola (rox) come complesso fonico è già
per sè qualche cosa di singolare, può avere significato generale solo essendo
pronunciata, diventando ciod sermo. Una tale applicazione della parola non è
però possibile se non mediante il pensiero concettuale (conceptus) che, dal
confronto dei contenuti percettivi, prende ciò che per la sua natnra si adatta
ad essere espresso (quod de pluribus natum eat praedicari). L’universale è
dunque l’enunciazione concettuale (sermonismo) o il concetto stesso
(conoettualismo). Cfr. Windelband, Storta della filosofia, trad. it. 1913, vol.
I, p. 382 segg. Sfenoidale (angolo). È determinato da tre punti: il punto
basilare, il punto nasale, corrispondente al centro della sutura fronto-nasale,
il punto sfenoidale corrispondente al chiasma doi nervi ottici. Un tempo si
credeva da molti scienziati, fra cui il Welckere ο il Vogt, che esso fosse
molto importante per stabilire la misura della intelligenza, così da servir di
base alla classifienziono della specie umana; oggi invece, pure non
trascurandolo, gli si attribuisce dagli antropologi scarso valore. Cfr. C. Vogt, Mémoire sur
les microcéphales, 1867; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 300 segg. Sforso. T. Anstrengung; I. Effort; F. Effort.
Sentimento intraducibile di tensione, che s’accompagna ad ogni forma di
attività volontaria. Fra le sensazioni di movimento si sogliono distinguere
quello puramente passive, d’origine periferica, derivanti dalla contrazione dei
muscoli, ο quelle attive, detto di aforzo ο d’innerrazione, di origine
centrale, derivanti dal grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli per
produrre una data contrazione. Occorre tuttavia distinguere lo sforzo positito,
col quale si tende ad accrescere l'eccitazione o si dirigo l’attività nd un
fine, 67 Ranzota, Dizion. di acienze
filosofiche. Sro 1058 dallo sforzo negativo, che tende a diminuire
1’ eccitazione ed inibire un movimento o una tendenza. Si distingue ancora lo
aforzo muscolare, di cui parlammo, dallo sforzo mentale, diretto a promuovere
od inibire un’idea o una serie di idee, e dallo sforzo morale onde si attua I’
ideale etico contro la resistenza proveniente dal fondo del nostro io ο
dall'esterno. Ad ogni modo lo sforzo, per il dispendio di energia che richiede,
dà sempre un criterio di conoscenza del proprio valore, rivela il dinamismo
dell’essere proprio. E se, per la legge della minor resistenza, lo sforzo che
accompagna gli atti va diminuendo quanto più si ripetono, rimane pur sempre
che, qualora essi debbano assumere una direzione nuova, lo sforzo è pur sempre
necessario; 00sicchè esso è una condizione indispensabile di progresso. Secondo
il Maine de Biran, il sentimento dello sforzo è il fatto primitivo della
coscienza e da esso hanno origine le idee di causa ο di forza: « Noi troviamo
impressa profondamente in noi la nozione di causa o di forza; ma il sentimento
immediato della forza procede la nozione ed è lo stesso sentimento della nostra
esistenza, da cui quello di attività è inseparabile. Poichè noi non ci possiamo
conoscere come persone individuali, senza sentirei cause relative a certi
effetti o movimenti prodotti nel corpo organico. La causa, o forza attualmente
applicata a muovere il corpo, è una forza agente che noi chininiamo volontà. Ἡ
me #'idontifica completamente con codesta forza agente. Ma l’esistenza della
forza non è un fatto per il me che in quanto si esercita, ed essa non #’
esereita che in quanto si può applicare ad un termine resistente o inerte. La
forza non è dunque determinata o attuata che nel rapporto col suo termine
d’applicazione, come pure questo non è determinato come resistente ο inerte se
non nel rapporto con la forza attuale che le muove ο tendo a imprimergli il
movimento. 11 fatto di codesta tendenza è ciò che noi chiaminmo aforzo, 0
azione roluta, ο rolizione, e io dico che codesto sforzo è il vero fatto
primitivo del senso intimo ». Il sentimento dello sforzo appartiene, secondo il
Maine de Biran, al senso intimo, perchè si constata da sè stesso interiormente,
senza uscire dal termine della sua applica zione immediata © senza ammettere
alcun elemento estraneo all’inerzia stessa dei nostri organi; ed è anche il più
semplice di tutti i rapporti, il solo veramente fisso, invariabile, sempre
uguale a sò stesso, in quanto non ammette alcun elemento variabile straniero, è
il risultato costante dell’azione d’una sola ο medesima forza spiegata da un
solo e medesimo termine. Cfr. Sully, Outlines of peych., 2° ed. 1885, p. 109 segg.; Hòffding,
Peyokologie, trad. franc. 1900, p. 150; Bastian, The brain as an organ of mind,
1884, Appendice p. 691; Delboef, Revue philos., t. XII, 1881; Maine de Biran,
Ocurres indites, ed. Naville,
1859, vol. III, p. 5 segg. (v. cinestesiche). Billogismo (συλλογισμός da
συλλέγω--metto insieme). T. Syllogiomus ; I. Syllogiom ; F. Syllogieme.
Consiste in un complesso di tre proposizioni, collegate tra loro in modo che
dalle due prime, dette premesse, se ne ricava una terza, detta conseguenza o
illazione. La parola sillogiemo trovasi già in Platone, ma nel semplice
significato di ragionamento ; con Aristotele assunso il significato speciale
che ha poi sempre conservato. Egli lo defini « un ragionamento nel quale, poste
alcune cose, si conclude necessariamente qualche cosa di diverss, por ciò solo
che quelle sono state poste ». Sembra tuttavia che la scuola Nyaya dell’ India,
fondata da Gotama sei o setto secoli a, C., conoscesse già il ragionamento
sillogistico. Le definizioni del sillogismo date dopo Aristotele concordano più
o meno con la sua. Per Hobbes il sillogismo è oratio, quae oonatat tribus
propositionibus, er quarum duabus sequitur tertia, como additio trium nominum ;
per Cr. Wolff è una operatio mentin, qua ex duabus propositionibus terminem
communem habentibus formatur tertia, combinando terminos in utraque diverSit 1060 soe; per il Dühring « un rapporto di due
concetti ad un terzo concetto »; per il Wundt « una relazione mentale mediante
la quale da giudizi dati proviene un nuovo giudizio ». Il principio
fondamentale su cui si basa il sillogismo fn determinato già da Aristotele, sia
sotto il rapporto dell’estensione che della comprensione dei concetti. Sotto il
primo ha avuto poi nella logica tradizionale la formula: quidquid de homnibus
valet, valet etiam de quibuadam οἱ singulis ; quidquid de nullo valet, neo de
quibusdam nec de singulis valet. Sotto il secondo fu poi formulato da Kant
così: nota notae est nota rei, repugnans notae repugnat rei ipei. La prima
formula è quantitativa, la seconda qualitativa; contro la prima il Bain
obbiettd che essa, anzichè del sillogismo, è piuttosto la formula dell’
inferenza immediata per subalternazione; contro la seconda, che non determina
l'estensione dell'identità che afferma. Il Bain propose questa nuova formula,
che concilierebbe le due precedenti: « ciò che è detto della classe indefinita
così com’ denotata per la sun connotazione, è vero di tutte le cose la cui
connotazione speciale le rende riferibili alla classe ». Il Lambert ammise come
vera la formula quantitativa, specificandola però variamente per ogni figura;
altri fondandosi sul fatto che ogni sillogismo esprime una identità, hanno
creduto che il principio generale del sillogismo sia quello d’ identità,
’Hamilton quello dell’egua: glianza delle parti col tutto, lo Spencer quello
della sostituzione dell’ identico. Nel sillogismo si distingue la materia, che
è o prossima, cioè le tre proposizioni, o remota, cioè i tro termini; e la
forma, cioè il nesso reciproco che hanno lo proposizioni. I sillogismi si
ripartiscono in cinque classi principali: cafegorioi puri in cui tutte tre le
proposizioni sono categoriche ; oategorico-ipotetici in cui tutte tre le proposizioni
sono ipotetiche; épotetico-categorioi in eni la premessa maggiore è ipotetica,
la minore e In conelnsione categoriche ; categorioi disgiuntiri in cni la
maggiore è di 1061 Sim sgiuntiva, la
minore e la conclusione categoriche ο catetegoriche-disgiuntive; ipotetici
disgiuntiri in cui la maggiore è ipotetico-disgiuntiva, la minore e la
conclusione categoriche o categoriche disgiuntive. Il sillogismo può avere
quattro figure e sessantaquattro modi, di cui diciannove soltanto sono validi.
Oltre al sillogismo deduttivo, del quale fin qui si è discorso, si ha il
sillogismo impropriamente detto induttivo, nel quale, in luogo del termino
medio, è data la serie completa o incompleta delle sue specie. Per lungo tempo
il sillogismo fu tenuto in grande onore; sul finire della scolastica esso era
considerato l’unica forma di ragionamento ed applicato all'espressione di ogni
produzione del pensiero. Ma coll’età moderna si ripresero le critiche contro il
sillogismo, già cominciate con gli scettici antichi: e da Lorenzo Valla,
Rodolfo Agricola, Frun«esco Bacone fino allo Stuart Mill e allo Spencer è tutta
una schiera di pensatori che, con argomenti di varin natura, cercarono negargli
ogni valore, o di ridurlo ad un semplice mezzo di controllo per chiarire i
ragionamenti oseuri o svelare i difetti d’ una argomentazione capziosa. Nè
ancora si può dire che la discussione sia chiusa. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I,
1, 24 b, 18; Id., Anal. post., I, 2,72 a, 5; Platone, Filebo, 41 C; Id., Teet.,
186 D; Id., De corp., 4 C, 1; Cr. Wolff, Logica, 1732, $ 50, § 332; Kant, Lo,
1800, $41-43; Dühring, Logik, 1878, p. 54; Wundt, Logik, 1893, I, p. 270 segg.;
Sesto Empirico, Pyrrh. Hyp., II, 194 segg.; Mar. Nizolius, De rer. prino., I,
4-7; Bacone, Nor. org., I, 13-14; Stuart Mill, Logic, 6° od. 1865, II, 3, 2;
Bain, Logic, 1870; Spencer, Prine. of. Peychol., 3% ed. 1881, II, Pp. 99; Rosmini, Logica, 1853, $ 545 segg.;
Masci, Logica, 1899, p. 278 segg.; A. Pustore, Sillogiemo e proporzione, 1910;
U. Della Seta, La dottrina del sillogismo in Aristotele, 1911 (v. conclusione,
figura, termine, modo, nota notae). Simbolismo, Simbolo. T. Symbolismus; I.
Symbolism ; F, Simbolieme. Nella gnoseologia dicesi simbolismo ogni dotSm 1062 trina che fa dell’ idea un semplice simbolo
della cosa, negando quindi che la conoscenza adegui la realtà e che il pensiero
possa cogliere |’ essere quale è in sò stesso. Nella psicologia dicesi
simbolismo sensoriale il fenomeno della trasformazione automatica in imagini
uditive ο visive delle impressioni sensoriali di modalità differente, tattili,
olfattive, gustative, ecc.: in tali casi l’imagine visiva © uditiva diviene
simbolo di sensazioni di ordine diverso. Il simbolismo sensorialo si verifica
costantemente durante la voglia, ma diviene prevalente nel sogno, perchd nel
sonno le vie sensoriali ordinarie sono chiuse, l’attenzione © Pinibizione
volontaria sono torpide, cosicchè si ve: cano in esso le condizioni proprie
alla formasione di imagini simboliche, cioò d’imagini sostanzialmente diverse
du quelle che dovrebbe evocare lo stimolo che le produce. Nella religione
dicesi simbolismo la tendenza a rappresentare per analogia con un atto o un
oggetto materiale sia le forme diverse del sentimento religioso, sia l'oggetto
della credenza. Esso ha origine dal bisogno che l’uomo prova di obbiettivare i
propri sentimenti e le proprie emozioni, specie quando esse raggiungano un alto
grado di intensità. Vi sono molte specie di simboli religiosi: e. di
purificazione come l’acqua del battesimo, la luce delle torce, le vesti
bianche, ece.; a. di sottomissione, come l’inginocchiarsi, il prosternarsi, lo
scoprirsi il capo, ece.; a. di gioia religiosa, come le danzo, i baccanali, 1’
inghirlandarsi, ecc.; a. di tristezza religiosa, come il vestirsi di nero, il
gettarsi la cenere sul capo, il digiunaro, ecc.; mistero, como il bendarsi gli
occhi, fare la penombra, ece.; a. di imilazione, come le stimmate di Β.
Francesco d'Assisi e i diversi riti. In
generale, per simbolo »’ intende un sogno il quale fissa l’idea o la
rappresentazione d'una cosa ο d’un fatto, che, convenzionalmente, a quel segno
si associa. Per dirla in altre parole, e ricorrendo alla sua otimologia, la
parola simbolo designa la connessione logica di due termini o dati, cia 1063 Sim scuno dei quali partecipa con l’altro di
un particolare rapporto. Vi sono infinite specie di simboli; tuttavia,
considerandone la finalità psicologica ο logics, possiamo col Marchesini
distinguere quattro classi: rapprosentativi, che hanno affinità ο perfetta
somiglianza con la cosa, ad es, il ritratto d’una persona: significativi che,
pur valendo a richiamare un ordine di idee, sono sostituiti da altri dati, ad
es. la parola, i numeri, gli algoritmi ; ricostruttivi che, come parte di una
cosa. o momento di un fatto, richiamano alla mente il tutto della cosa ο del
fatto, ad es. la penna in quanto richiama l’idea dell'atto di scrivere;
esplicativi, che ci danno la conclusione di una serie di operazioni, ο, nello
stesso tempo, la ragione di conclusioni nuove, ad es. una formula matematica.
Inspirandosi invece ad un criterio storico, Guglielmo Ferrero ne fece la
seguente classificazione: #. di prora, come i nostri documenti o le citazioni :
3. descrittivi, cho significano la cosa mediante la sua figara o quella d’un
oggetto affine, ad es. la leonessa di bronzo eretta dagli Ateniesi in ricordo
di Leona; 4. di sopraveitenza, al. es. l'uniforme militare di certe autorità
civili, che è il ricordo del predominio del potere militare; s. di riduzione,
ad. es. l'investitura di una proprietà per il simbolo d'una foglia di quercia;
s. emotivi, i distintivi del. l’untorità, come la corona e lo scettro; 4.
mistici, come l’incanto, che un tempo era una formula à cui si attribuiva ana
potenza superiore. Cfr. Ochler, Lehrb. d. Symbolik, 1876; G. Ferrero, I
simboli, 1892; G. Marchesini, 17 simbolismo nella conoscenza ο nella morale,
1901 (v. ritualigmo). Simile. T. .ihnlich, gleicharting ; 1. Similar; F. Semblable.
In generale due cose si dicono simili, quando presentano un corto numero di
caratteri identici e un certo numero di caratteri differenti. Nella geometria
due o più figure sono simili quando sono costituite dallo stesso numero di
parti, della stossa forma e nel medesimo rapporte; Sim 1064 le
due figure sono sempre simili qualunque sia la distribuzione, diretta o
inversa, delle parti che le costituiscono, purchè il rapporto sia costante
secondo la propria forma delle analoghe parti. I filosofi greci credevano che
il similo possa essere prodotto soltanto dal simile (talis effeatus qualis
causa): da ciò derivarono molti pregiudizi popolari, ad es. che Vortica faccia
guarire l’orticaria, che il zafterano, per il suo colore, sia il rimedio contro
le itterizie, ecc. (v. somiglianza). Simmetria. T. Symmetrie; I. Symmetry; F.
Symétrie. Nel suo senso più generale è la giusta distribuzione delle parti
nella formazione di un tutto armonico. Dicesi leggo di simmetria la legge
formulate dal Bichat, secondo cui nel nostro corpo sono simmetrici gli apparati
della vita animale della riproduzione, sono invece asimmetrici quelli della
vita organica. Il piano mediano taglia il nostro corpo in duo metà simmetriche,
considerandole esteriormente ; però codesta simmetria non è perfetta, perchd lo
due motà non sono geometricamente uguali, cio se sovrapposte non si
corrisponderebbero. La causa della asimmetria mediale deve attribuirsi alla
curvatura laterale della colonna vertebrale (v. degenerazione). Simpatia.
T.Sympathie; I. Sympaty; F. Sympathie. Etimologicamente designa lu tendenza
fondamentale a dividere lo emozioni e i sentimenti altrui, interpretandoli dal
loro linguaggio esteriore. Nel suo significato più comuno è la tendenza, i cui
fattori sono spesso oscuri, ad amare una determinata persona o cosa. Nel primo
caso è un fenomeno assai complesso, mediante il quale ciascuno è solidalo delle
gioie e dei dolori de’ suoi simili; molti elementi entrano a costituirlo, fra
oni l'egoismo ὃ prevalente, anzi unico secondo degli utilitaristi. Nel secondo,
che al primo si ricollega, il fondamento è dato dal sentimento d’un certo
insieme di contrasti ο di somiglianze tra due persone, e può evolversi
nell'amore e nell’amicizia. Il Plat 1065 Sim ner definisce la simpatia « la proprietà
dell’umana natura nd accordare le proprie sensazioni con le sensazioni di altri
individui, il cui stato noi percepiamo o pensiamo ». Il Bain ugualmente: « La
simpatia è l’entrare nei sentimenti di un altro © trattarli completamente come
se fossero nostri. È una specie di imitazione involontaria, o di assunzione dei
sentimenti espressi in nostra presenza, che è seguita dal sorgere dei
sentimenti stessi in noi ». Secondo l’Hôffding la simpatia suppone che « gli
interessi comuni prevalgano sugli interessi divergenti; poscia suppone che tali
interessi comuni possano giungere a manifestarsi con maggiore o minore
coscienza nel campo delle rappresentazioni dell'individuo. Se l’esperienza,
l’intelligenza ο l’imaginasione sono limitate, la simpatia sarà pure limitata.
La storia ci mostra che la simpatia si sviluppa da principio in sfere ristrette
© irraggia poscia in più vaste.... Da ultimo la simpatia deve poter estendersi
a tutti gli esseri viventi, alla natura intera; ensa finisce col prendere
allora un carattere religioso e diventa ciò che Spinoza ha chiamato l’amore
intellettuale di Dio ». Anche secondo il Bastian la simpatia ha carattere
evolutivo, ο . Cfr. 8. Freund, Die Traumdeutung, 1900; Id., Ueber d. Traum, 1091 SoL 1901; I. Bigelow, The mistery of sleep,
1897; Myers, The human personality, 1902; A. Maury, Le sommeil et les rêves,
1878; Max Simon, Le mondo des réves, 1888; M. Foucault, Le réce, 1906; I.
Tobolowska, Etude sur les illusions du temps dans les rêves, 1900; Vaschide, Le
sommoil et les réves, 1911; De Sanctis, I sogni, studi peio. e olin., 1899;
Ardigò, Op. fil., vol. IV, p. 388 segg., vol. IX, pag. 283 segg. (v. alluoinazione,
illusione, onirologia, telepatia). Solidarietà, T. Solidaritàt; I. Solidarity;
F. Solidarité. Nel senso più generale è la dipendenza reciproca che esiste sia
tra gli esseri che costituiscono l’ universo, sis fra le varie parti di un
medesimo essere, e costituisce una delle condizioni tanto della vita cosmica
come della vita individuale. In un senso più particolare è la dipendenza reciproca
tra l'individuo ο la società, tra ogni uomo e tutti gli uomini. Il solidarismo,
che forma la base dei moderni sistemi sociali e politici, è molto antico nella
filosofia ed implicito specialmente nei sistemi panteistici, che scorgono una
funzione dell’ essere assoluto nella coesistenza degli esseri particolari,
nella successione dei loro movimenti ο dei loro pensieri: da ciò una
interdipendenza completa di tutte le esistenze solidarizzate nell’ unità
cosmica. Perd sul concetto di solidarietà non tutti i pensatori sono concordi:
per il Fichte è un’ esigenza della ragione, il principio d’ intelligibilità
della nostra condotta e la condizione onde ai realizza l’ unità della ragione
nello sviluppo dell’ umanità; per Augusto Comte la solidarietà è In grande
legge naturale, che governa la generalità dei fatti sociali nella loro
simultaneità e nella loro successione, cosicchè l'individuo, il quale per sè
stesso non è che un essere biologico, diviene uomo solo in quanto partecipa
dell’ umanitd ed ha il sentimento del legame che lo unisce « ad una immensa ©
oterna unità sociale »; per Pierre Leroux, che si vanta d’avere per primo
pronunciata la parola solidarietà, traSportandola dal linguaggio ginridico in
quello filosofico, BoL 1092 la solidarietà è non solo un sentimento ma un
dovere e su essa si fonda il diritto, in quanto « l’uomo, sentendosi parte di
un gran tutto, si mette in rapporto con tutto, e arriva finalmente a
comprendere che ha diritto a tutto »; per il Bourgeois la solidarietà è un
fatto di carattere universale non solo per riguardo agli esseri inferiori ma
anche per rispetto alla società umana, cosicchè non si può prescindere da essa
nel determinare il contenuto dol concetto di giustizia, consistendo il dovore
sociale nel debito che ciascuno ha verso gli avi e verso i posteri, il diritto
nell'esigenza di ciascuno d’avere parte proporzionata nella somma degli averi e
dei benefici sociali; per il Gide non ha valore etico nd la solidarietà che
deriva dalla divisione del lavoro, nò quella che deriva dallo scambio dei
servizi e dalla concorrenza, ma quella che si compie per mezzo della
associazione cooperativa di consumo, nella quale si ha l’attuazione non tanto
della giustizia quanto della fratellonza © dell'amore. Cfr. A. Comte, Cours de phil.
positire. t. IV, lez. 48; L. Bourgeois, Keeai d’une phil. de la solid. 1902; L. Fleurant, Sur la solidarité, 1908.
Solido. Lo spazio fornito di tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità.
L'idea del solido risulta psicologicamente dalle sensazioni muscolari,
associate a quelle della vista e del tatto. Infatti le tre dimensioni corrispondono
a tre specie di movimento, che sono poi relative alle disposizioni stesse dei
nostri organi, onde il concetto di spazio implica un sopra e un sotto, una
destra e una sinistra, un avanti e un indietro. Nell'uso comune, per sotà
s'intende invece la resistenza offorta dai corpi, resistenza la quale impedisce
che altri corpi occupino lu spazio di cui un corpo è attualmente în possesso;
in questo senso fu usata anche dal Locke: «.... ho creduto che il termine
solidità sia assai più adeguato ad esprimere tale iden, non solo perchè è
comunemente neato in ta! senso, ma anche perchè importa qualche cosa di più pe 1093 SoL-Som sitivo del termine impenetrabilitd,
che è puramente negativo, © che, forse, è più nn effetto della solidità che non
la solidità atessa ». Cfr. Locke, Essay, 1877, 1. II, cap. IV, $ 1-6 (v.
spazio, iperspazio, estensione, superficie, stereognostico, distanza).
Solipsismo v. semetipsismo. Somatico (σῶμα corpo). Tutto ciò che si riferisce
al corpo; si contrappone perciò a peichico, spirituale, morale, intellettuale,
ecc. Così dicesi somatica, per opposizione a intellettualistica, quella teoria
dell’emozione che spiega l’emozione stessa come il ripercuotersi nella
coscienza di alterazioni organiche più o meno profonde; somatologia quella
parte dell’antropologia che ha per oggetto lo studio della struttura del corpo
umano, dello scheletro © degli organi interni, la proporzione delle sue parti,
il suo sviluppo, ο V applicazione dei dati così ottenuti alla differenziazione
sia dell’uomo dagli animali a lui più prossimi, sia delle differenti razze
nmane, popoli, nazioni e classi. Somiglianza, T. Aehnlickeit ; I. Likeness,
Resemblanoe; F. Ressemblance. Tu generale dicousi somiglianti due oggetti che
presentano un certo numero di caratteri identici e un certo numero di caratteri
diversi; Ja proporzione maggiore © minore dei primi rispetto ai secondi dà il
grado maggiore o minore di somiglianza. Nella psicologia dicesi legge di
somiglianza, quella per cui, quando due stati di coscienza xi rassomigliano, l
uno dei due può richiamare l’altro, È un caso della legge generale
dell’associazione, e da alcuni psicologi è ricondotta alle leggi dell’
associazione por simultaneita © per successione continua. Si distinguono varie
specie di associazione per somiglianza : la somiglianza qualitativa, che ha
luogo fra proprietà che non possono identi carsi, ma appartengono alla stessa
famiglia; lu somiglianza dei rapporti, o analogia, per la quale lu
rappresentazione d'un rapporto tra le parti o le proprietà d’un oggett« suscita
la rappresentazione d’ un altro oggetto, tra le parti Som-Son 1094 ©
proprietà del quale esiste un identico rapporto; la mmiglianza di
sovrapposizione, che è il più alto grado di ~miglianza associativa, e per la
quale una rappresentazione ne evoca un'altra che, per la coscienza, è identica
alla prima. Cfr.
Bain, The senses and the intellecte, 3* od., p. 327; Hüfding, Psychologie,
trad. franc. 1900, p. 202 segg.
(v. simile . Sommo bene v. bene. Sommolisti v. vittorini. Sonnambulismo. T.
Somnambulismus, Schlafwandeln: I. Somnambulism, Sleep-walking; F.
Somnambulisme. Stato patologico,
proprio specialmente degli isterici, e che si pe trebbe definire un sonno
parziale. Nel sonnambulismo funzionano soltanto alcuni sensi, cosicchè il
soggetto, senra svegliarsi dal suo sonno naturale, può alzarsi, lavorare.
compiere ogni sorta di atti come se fosse desto. Tali azioni non sono un
prodotto della volontà, bensì dell’ impulsività delle rappresentazioni e dell
abitudine; l’amnesia completa che si verifica al momento del risveglio, la
sorpresa ο lo spavento che coglie i sonnambuli interrotti nel corso delle loro
azioni, provano che la volontà non ha parte nello stato psichico nel quale si
trovano. Il fatto della aicurezza con cui il sonnambulo supera i pericoli, è
spiegato dal Maudsley con l’iperestesia in cui trovansi i sensi rimasti desti.
Il sonnambulismo può essere naturale e prorocato: in questo secondo caso
costituisce una delle fasi del grande ipnotismo. Cfr. Wundt, Grundriss d. Peyool., 1896, p. 321
segg.; Tuke, Sleep-walking and hypnot., 1884 (v. ipnotismoi. Sonno. T. Schlaf; I. Sleep; F. Sommeil. Stato
di incoscienza assoluta ο di subcoscienza, durante il quale l'organismo
ricostitnisco le forze esausto nelle sne relazioni col mondo esteriore. Se le
perdite e le riparazioni dell’ attività nervosa si facessero di istante in
istante, dice lo Spencer, non ci sarebbe l'alternativa tra la veglia e il
sbnno; ma siccomo ciò non avviene, e durante il giorno si ha un consumo
superiore all’approvvigionamento, così 1095 "gon si rende necessario un periodo
alterno, determinato dall'esaurimento, in cui la provvista sia superiore al
consumo. Le principali teorie sulle cause normali ed immediate del sonno sono:
quella che lo attribuisce ad uns specie di intossioazione dell’ encefalo,
dovuta ad alcuni prodotti del lavoro organico, agenti in modo analogo agli
anestetici (etere, cloroformio, ecc.); quella che lo fa derivare da uno stato
passeggero di snemia cerebrale, e quella che, all’ opposto, lo attribuisce ad
uno stato di iperemia degli emisferi. Secondo il Verworn, siccome la coscienza
accompagna i processi di disintegrazione delle cellule corticali, il sonno, che
è un processo più intenso di assimilazione, sarebbe scoompagnato dall’
inibizione dei processi dissimilativi. Secondo il De Sanctis, la causa del
sonno sarebbe non l’ esaurimento cerebrale ma il muscolare, © la riparazione
dei muscoli verrebbe favorita dal sonno perchè la soppressione della conduzione
degli stimoli esterni sopprimerebbe il cosidetto fono chimico dei muscoli.
Ultimamente duo nuove dottrine sul sonno sono state proposte, raccogliendo
molti consensi tra psicologi e fisiologi: la dottrina istologica, sostenuta tra
noi dsl Lugaro, secondo la qualo il sonno sarebbe determinato da una retrazione
dei prolungamenti centrali dei neuroni sensoriali ο quindi dal loro isolamento
dai neuroni contigui; e la dottrina biologica, sostenuta specialmente dal
Claparedo, secondo la quale il sonno è una funzione di difesa, imposta dal
principio come fenomeno di adattamento, sviluppata nella lotta per 1) esistenza
ο divenuta poi un istinto per la trasmissione ereditaria, Le cause anormali si
distinguono în organiche, come i narcotici, le grandi altezze delle vette
alpine, lo compressioni sul cervello, ecc., © in peichiche, come la noia,
l'allontanamento delle eccitazioni © la suggestione propria © altrui, come
l’ipnotismo, detto anche sonno provocato. Cfr. Preyer, Uerber die Ursache
des Soklafes, 1877; A. Marvand, Le sommeil et Pinsonnie, 1881; H. Pléron, Le
probl. Sop 1096 physiol. du sommeil, 1913; A. Mosso, Sulla
ciro. del sanguc nel cervello, 1880; De Sanctis, I sogni, studi psichioî ο
olimici, 1899 (v. incosciente, neurone, sogno). Soprannaturale. Τ.
Übernatürlioh; I. Supernatural ; F. Surnaturel. Ciò che sorpassa In natura,
ossia ciò che nel suo essere o nel suo agire trascende i poteri di quelle forze
materiali che costituiscono la natura. Il soprannaturale è quindi
essenzialmente spirituale, il regno dello spirito; la natura è materiale, ma
include lo spirito (anima umana) © può esser oggetto d’azione dello stesso
spirito infinito (miracolo). Cfr. Chr. Wolff, Vernünftige Gedanken, 1733, 1, §
682. Soprannaturalismo. T. Supernaturalismus; I. Supernaturaliem ; F.
Surnaturalieme. La dottrina che fa dipendere il mondo da un essere che
trascende, per la sua essenza e per il suo potere, la natura e che non può
essere identificato con le sue forze e le sne leggi. La dottrina che sostiene essere il
Cristianesimo di origine soprannaturale, cosicchè non può essere spiegato coi
soli fattori naturali, ma riferito a Dio come suo autore. La tendenza a sorpassare i limiti della
natura, a cercare la spiegazione del mondo oltre il mondo, a porre il fine
dell’esistenza oltre l’esistenza. Il Rosmini divide tutti i sistemi filosofici
in rasionalisti e soprannaturalisti, determinati da due opposte maniero di pensare
ο di sentire: entrambe queste tendenze sono naturali nell’uomo per quello che
c'è nella sua natura, il soprannaturalismo è naturale per quello che manca.
Cfr. Stäudlin, Geschichte d. Rationaliemus u. Supornaturalismus, 1826; Rosmini,
Storia comparativa e oritioa dei sistemi intorno alla morale, 1837 (v. natura,
naturaliemo). Sopraordinazione v. subordinazione. Soprasensibile. T.
Ubersinnlich; I. Supersensible. Può designaro tanto ciò che non può esser còlto
ο conosciuto mediante i sensi, quanto ciò che trascende per sua natura il mondo
dei sensi; nel primo caso equivale spesso a rasio 1097 Sor nale, mentale, nel secondo a
intelligibile, spirituale. 11 soprasensibile non va confuso con
l'ezirasensibile, che è quella parte del mondo esterno che non ci è data
direttamente dalle impressioni sensibili, bensì da inferenze risultanti da
rivombinszioni e riproduzioni delle impressioni stesse. Cfr. H. Ritter, System
d. Logik, 1856, I, p. 229 (v. extraseneibile). Sordità. T. Taubheit; I.
Deafness; F. Sourdité. Assonza del senso dell’udito, che può dipendere da
lesione o imperfezione dell’ apparecchio uditivo o del nervo acustico, oppure
da una lesione della zona di corteccia cerebrale ove sono localizzate le
sensazioni uditive; in questo secondo caso si ha la sordità centrale ο
psichica, nel primo la sordità periferica. Dicesi sordità verbale una delle
forme di amnesis parziale, che consiste nella perdita della memoria della
parola in quanto è pronunziata; quindi l’ ammalato, pur udendo le parole, non
ne comprende più il significato. Si manifesta specialmente nella demenza
paralitica, è dovuta a lesione della parte mediana della prima circonvoluzione
temporale sinistra, e va unita sempre ad altri disturbi della lettura e della
scrittura. Cfr.
Bastian, Le cerveau organe de la pensée, 1888, vol. II, p. 220 segg.; Brissaud,
Malattie dell’ encefalo, trad. it. 1906, pag. 100 segg. Sorite (σῶρος acervus =
muechio). T. Kettenachluss,
Sorites ; I. Sorites; F. Sorite. Una forma di ragionamento, costituito da una
catena di proposizioni collegate tra loro in modo, che il predicato della prima
fa da soggetto della seconda, il predicato della seconda da soggetto della terza,
© così via via fino a che nolla conclusione si unisce il soggetto della prima
col predicato dell’ ultima, Il sorite si può adunque considerare come una
catena o un muoohio di sillogismi, in cui sono soppresse tutte le conclusioni e
lu premesse minori intermedie; si può anche considerare come un sillogismo
solo, avente come premessa maggiore l’ultima proposizione, come minore la
prima, e come termino medio tutta la catena delle proposizioni intermedie. Esso
Sos 1098 si adopera quando non si può dimostrare,
adoperando un solo termine medio, il nesso immediato tra il soggetto e il
predicato di una tesi che ei vuol dimostrare e quindi ai devono assumere più
termini medi, procedendo per via di successive identificazioni. Es.: essere è
agire; agire è fare sforzo; fare sforzo è tendere verso un bene di cui si è
privi: tendere verso un bene di cui si è privi è soffrire; dunque essere è
soffrire. Il sorite può avere due forme: la forma regressiva o aristotelica,
quale fu definita più sopra e che è la più comune, e la forma progressiva o
goclenioa, che comincia con la premessa che contiene il predicato della
conclusione ed ha come ultima premessa quella che contiene il soggetto. Si
distinguono ancora il sorite deduttivo, a cui appartengono tunto 1)
aristotelico che il goclenico, e il sorite induttiro, costituito da una catena
di sillogismi abbreviati della terza figura. Primitivamente il sorite aveva
valore non di ragionamento logico, ma di sotisma, e si applicava a tutto ciò
che presentasse una transizione uguale e continua: così Zenone di Elea diceva
che se si toglie un grano da un mucchio di frumento, esso resta ancora un
mucchio di frumento; se se ne toglie un altro, lo stesso; e così via via finchè
si conclude che basta un solo grano di frumento per formare un mucchio; facendo
lo stesso ragionamento con l’aggiungere, diceva che un grano uon forma un mucchio,
due grani neppure, 9 così via via fino a coneludere che mille o più grani non
formano un mucchio. Gli secttici greci si valsero molto di tale forma di
sofisma, per dimostrare l'impossibilità di distinguere il vero dal falso. Cfr.
Aristotelo, De soph. elenok., 24, 179 a, 35; Cicerone, 4oad., II, 49; Lotze,
Grundzüge d. Logik, 1891, p. 46 (v. tropi). Sostanza (sub = sutto, © stare =
stare: ciò che sta sotto; substantia è la traduzione esatta della parola Sroxelpsvoy
usata da Aristotele, © composta di ὑπό -= sotto, ο xetpat = stare, giacere). T.
Substans ; I. Substance; F. Substance. E il sostrato permanente e irreducibile
delle varie 1099 Bos qualità, il soggetto che persiste idontico
sotto il mutare delle qualità, come il colore, la forma, il peso, eco., ed è
uno mentre i fenomeni e le qualità sono multiple. Il pensiero filosofico si è
sempre affaticato intorno al problema della sostanza ο della sua conoscibilità.
Aristotele fu il primo a definire il concetto di sostanza, determinandola come
qualche cosa che sussiste per sè stesso ο si realizza nelle determinazioni
particolari, che in parte sono i suoi stati (πάθη), in parte i suoi rapporti
con le altre cose (τὰ, πρὸς tt); ma già in Talete ο nei presocratici si ha I’
iden di una realtà prima, ἀρχή, da cui tutto deriva e che pure nel suo fondo
rimane identica. Per Platone, le essenze intelligibili sono le realtà
sostanziali (οὐσίαι), e cioè l’unità sotto cui si raccoglie ln moltiplicità
delle cose sensibili, gli archetipi di esse. Per gli stoici ln sostanza è
l'essere, come sostrato permanente di tutti i possibili rapporti; essa è il sostegno
di proprietà stabili (ποιόν), e solo per questo riguardo si trova sotto
condizioni mutevoli ο quindi anche in rapporti con altre sostanze. Gli
scolastici la definirono ciò che per sò sussiste (ena quod per se subsistit),
ciod non per qualche altra cosa, come gli accidenti, che sussistono nella
sostanza, e quindi per la sostanza. Per Cartesio è reale ciò che è di essenza
semplice e indecomponibile, cioè il pensiero nella coscienza, l'estensione nei
corpi: Per substantiam nihil aliud intelligere possumus, quam rem quae ita
existit, ut nulla alia re indigeat ad existendum ;... Possunt autem substantia
corporea, et mena, sive substantia cogitans, creata, sub hoc communi concepta
intelligi; quod aint res, quae solo Dei concursu egent ad ezistendum. Per
Spinoza non v’ha se non un’ unica sostanza, Dio, che si mostra in due
attributi, l'estensione ο il pensiero, i quali, essendo ciascuno uel suo genere
infiniti, cioò Innumercvoli, contengono a titolo di modi (cioè come natura naturata,
mentre sostanza ed attributi sono natura naturante), tutti gli spiriti e tutti
i corpi. Per Malebranche non esiSos 1100
stono sostanze sensibili, e il mondo
esterno è percepito in Dio, nel quale è riposta l’idea di estensione; anche |
per Berkeley non esistono sostanze sensibili, ma il mond esteriore è prodotto
dall’asione di Dio sul nostro spirito. Invece la scuola scozzese, seguendo il
realismo volgare. considera la sensazione come un segno naturale della so
stanza, Noll’empirismo di Locke e nel fenomenismo di Hume. Stuart Mill, eco.,
l’esistenza della sostanza è negata: ciò che noi diciamo sostanza non è che il
eubstratem, da cui supponiamo che sortano, per poi ritornarvi, quelle sensazioni
semplici che sono raggruppate insieme, cosicchè la consideriamo come un'idea;
questa però non è altro che l’unione di un numero di idee semplici che αἱ
prendono unite come in una cosa, mediante P unione di un me in cui coesistono e
di cui non si ha una ides chiara. « La nostra mente; dice il Locke, è fornita
d’un gran numero di idee semplici, recate ad ssa dal senso ;... essa osserva
che un certo numero di tali idee stanno sempre insieme: crede perciò che
appartengano ad una sola cosa, ed essendo le parole adattate alla comprensione
comune e usate per un rapido disbrigo, le chiama, così unite in un solo
soggetto, con un solo nome; per disattenzione noi siamo inclini poi a usarla 6
considerarla come una semplice idea, mentre in realtà è un complesso di molte;
e poichè, come dissi, non imaginiamo come tali idee semplici possano sussistere
per sò stesse, ci abituiamo a supporre un qualche sostrato sul quale sussistono
e da cui risultano; tale svstrato noi chiamiamo perciò sostanza ». Questa
critica fu accettata in parte dal Kant, il quale della sostanza fa una
cutegoria © pone come prima analogia dell’ esperienza che sotto ogni mutamento
dei fenomeni permane la sostanza: in tal modo essa è come un principio a
priori, cho costituisce la base della nostra esperienza ma non ha alcun valore
fuori di essa, essendo un prodotto della nostra mente, Il problema
dell’esistenza della sostanza si subor. 1101 Sos dina donque, in tutta la storia della
filosofia, a quello della sua conoscibilità: così per Platone noi conosciamo la
sostanza mediante un intuito razionale; per Aristotele la sostanza è la prima
delle categorie, l’atto logico onde il pensiero riporta ogni attributo ad un
oggetto ; per Cartesio la sostanza è il semplice che si soopre con l’analisi al
di sotto delle qualità seconde o sensibili, colori, odori, sapori e suoni; per
Spinoza ciò che è in sò ed. è percepito per sè; per il Leibnitz le sostanze
sono molte, e tutte quante attive e rappresentative, perchè ogni monade rappresenta
con maggiore o minor chiarezza, sò © tutte le altre monadi; per il Galluppi la
nostra idea di sostanza risulta ds una analisi riflessiva, per cui anzitutto
distingniamo il nostro soggetto dalle modificazioni di cui è fotto ο il
soggetto esteriore dalle qualità particelari di oui lo rivestiamo, poscia «
paragonando queste dne nozioni di soggetto-io e di soggetto esterno, noi
scopriamo con un nuovo atto di analisi in ambedue una nozione identica, cioù
quella del soggetto, ο quest’ ultima risultato dall’analisi è In nozione di
sostanza »; per gli empiristi non è che una idea astratta dell’impressione di
resistenza, e per i fenomenisti un’abitudine mentale determinata dall’esperienza
di una costante coesione di un certo peso, un certo colore, un certo sapore,
ecc., ciascuna delle quali sensazioni evoca, in base alla legge d’associazione,
tutte le altre. Nella filosofia contomporanea il concetto di sostanza è ancora
largamonte disensso, ο si può dire che dal vario atteggiamento di fronte a tale
problema derivino le più profonde differenze tra i vari indirizzi speculativi,
per quanto nessuno, o assai pochi tra essi, accetti l’idea tradizionale di un
sostrato irreducibile e immutabile. Il progredire delle conosconze he e
chimiche ha anzi diffuso la convinzione che, in ordine alla realtà vera ο
profonda, non sia lecito parlare di sostanza, ma solo di attività, di energia,
e che il concotto di sostanza, o esprima niente altro cho nna legge Sos 1102 .
a all’ equivalenza dei cangiamenti, ο sia una struzione fatta dalla mente per
comodità ο per un q siasi motivo soggettivo. Alcuni logici chiamano sestezz: logica il
sostrato al quale aderiscono le note di un concetto, sostrato costituito dalla
categoria alla quale il concetto stesso appartiene; per tal modo, se con
l’astrazione ascendente si tolgono tutte le note di un concetto, resterà sempre
in ultimo una delle categorie. L’Ardigò
chiama sostanza psico-fisica l’iudistinto dal quale emergono, spec:ficandosi, i
fatti molteplici, materiali ο spirituali, fisici e psichici; tale indistinto è
poi null’altro che l’unità reale cosmica, intrinsecamente e infinitamente
complessa, comprendente in sò stessa quei due ordini di fatti che costituiscono
l’uno il mondo esterno, l’altro l’ interno, e che in quanto tale, può essere
pensata come sottostante ad entrambi e colla virtualità di presentarsi tanto
nell’ uno quanto nell’ altro. Con
l’espressione sostanza del sense della vista Y. Müller e H. Helmholtz designano
quelia parte della sostanza nervosa dell’ apparecchio visivo interno, la cui
eccitazione può produrre sensazioni luminose 6 di colore: essa comprende la
retina, il nervo ottico e la parte del cervello nella quale penetrano le radici
del nervo ottico. Cfr.
Aristotele, Met., VII, 2, 1023 b, 8 segg., 3. 1029 a, 1; B. Bauch, Der
Substanzproblem in der griech. Philos.
bis zu Blützeit, 1910; Cartesio, Prino. phil., I, 51-53: Spinoza, Eth., 1. I, teor. II-XIV; Leibnitz,
Phil. Seriften, ed. Gerhardt, II, 57, VI, 488; Locke, Essay, 1877, 1. II. cap.
XXIII, $ 1; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 174-192; Wundt, Logik, 1893, I, p. 483
segg.; Gallappi. Lesioni di logioa e metafisica, 1854, III, p. 1007 segg.; Ardigò,
Op. fil., VI, 153-165, VII, 446 segg., I, 184 segg. (v. essenza, energismo,
attualismo, mobiliemo, dualismo, fenomenismo, sostanzialiemo, idealiemo,
materialismo, spiritualiemo. Sostanza (principio di). Come principio supremo di
ragione si onnnein così: ogni qualità ο accidente dere arere 1108 Sos una sostanza, A questo principio alcuni
riconducono quello della conservazione della massa. La massa è il quoziente di
ogni forza che si applica al corpo diviso per l’accelerazione che esso gli
imprime; questa quantità m f/g è
costante. Senza questo sostrato solido, che rimane invariabile e serve da
termine di confronto, ogni trasformazione sarebbe inintelligibile. Allo stesso
principio si riconduoe la teoria del Lavoisier: in ogni reazione chimica la
massa dei composti è uguale alla somma della massa dei componenti. Il Rosmini
riconduce il principio di sostanza a quello di contraddizione: se l’accidente
esistesse senza la sostanza, sarebbe sostanza esso medesimo, vale a dire
sarebbe accidente e sostanza nello stesso tempo, il che è contradditorio. Cfr.
Rosmini, Logica, 1853, $ 413. Sostanzialismo. T. Substantialitàtstheorie,
Substantialismus ; I. Substantialiem ; F. Substantialisme. Ogni dottrina che
ammette l’esistenza di un reale assoluto, di una sostanza, di un soggetto che
persiste identico ed uno sotto la mutabilità e molteplicità dei fenomeni. È
quindi sinonimo di realismo, e si oppone ad empirismo, energismo, mobilinmo ©
fenomenismo. Nella psicologia il soslanzialismo, ο dottrina della sostanzialità
dell'anima, si oppone all’attualismo, © dottrina dell’attualità dei fatti
psichici: secondo la prima dottrina, concepita già da Platone ma posta su basi
precise solo da Descartes, l’anima è una sostanza spirituale, immutabile, di
cui tutti i fatti psichici (pensieri, sentimenti e voleri) non sono che
manifestazioni ; secondo l’attualismo, prevalente nella psicologia
contemporanea, i fatti psichici valgono per sò soli, in quanto hanno un valore
attuale e non in quanto si riferiscono ad un ipotetico substrato, che, se è
ammissibile nei fenomeni fisici i quali rimangono immutabili nella quantità,
essendo sottoposti alla legge della conservazione dell’ energin non è invece
riferibile ai processi spsichici, cho valgono Per sè soli e sono in continuo
aumento. Cfr. Hòfding, Sos-Spa 1104 Psychologie, trad. franc. 1900, p. 79, 87; De
Sarlo, Cul. filosofica, luglio 1912, p. 438 segg. (ν. anima, sostanza.
risultanti poiohiche, vintosi). Sostrato. O substratum, si adopera talvolta per
designare la sostanza, vale a dire ciò che sta sotto agli ac cidenti, che serve
di fondamento alle qualità, ai fenomeni. Sottrasione. T. Subtraction; I.
Subtraction ; F. Soustraction. Nella logica designa quella forma di
argomentazione per cui, enumerati i caratteri di un determinato tutto. «
dimostrato che un singolo è di essi totalmente o in parte sprovvisto, si
conchiude che esso o non appartiene a quel tutto, o gli appartiene soltanto in
parte. Questa argomentazione si fonda sopra il principio dialettico che « il
residuo è uguale al tutto meno la parte ad esso tolta ». Ad es.: perchè un uomo
sia virtuoso deve amare il prossimo, praticare la giustizia, astenersi dai
piaceri dannosi, ecc.; ma Tizio nd ama il prossimo, nd pratica la giustizia,
ecc.: dunque Tizio non è virtuoso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853. ». 225 segg. (v.
addizione, divisione). Sovrintelligenza. Nei sistemi teologici e mistici si
designa così quella funzione della ragione per cui questa, paragonando il campo
del possibile che le è dato nell’ idea al campo del reale datole dal
sentimento, vede che quello eccede infinitamente questo, e che in quella parte
di realtà non c'è la ragione suprema, che solo può esser tipo e ragione di
tnite le realtà finite. La sovraintelligenza umana è dunque l’atto per cui la
mente s’accorge che vi è qualche cosa oltre a tutto quello che essa conosce, un
al di là sconosciuto e inoonoseibile. Cfr. Rosmini, Logis, 1853. Ρ. 493 segg.
(v. agnosticiemo, misticisino). Spazio. T. Raum; I. Space; F. Espace. Secondo
il realismo lo spazio è un continuo a tre dimensioni illimitate, tutte le parti
del quale coesistono nello stesso momento; esso si ricollega strettamente col
tempo, che è un continuo illimitato avente una sola dimensione, di 1105 Bra cui noi occupiamo un punto determinato,
che si sposta continuamente nella stessa direzione. Secondo l’empirismo l’idea
di spazio non è che il rapporto dei coesistenti, in quanto implicano la
distanza ο l’ estensione, e l’idea di tempo il rapporto della suocessione dei
fatti. Tanto lo spazio che il tempo implicano molte questioni metafisiche ©
psicologiche, variamente risolte nella storia della filosofia. La prima e la
più importante di tali questioni è la seguente: lo spazio esiste in sò, come
luogo ove sono collocati corpi, è una proprietà delle cose stesse, 0 è semplicemente
un modo subbiettivo sotto il quale percepiamo certe proprietà e certe relazioni
dell’ essere? La filosofia. antica, in generale, risolve la questione nel primo
modo, la filosofia critica moderna nel secondo. Così per Leucippo e per i suoi
seguaci della scuola atomistica, esiste nno spazio infinito, parte vuoto e
parte ripieno di atomi; il vuoto è lo spazio puro, che ha per proprietà
essenziale l'estensione, e la cui esistenza è provata dalla possibilità del
movimento. Parmenide e gli eleati negano l’esistenza del vuoto; l'essere occupa
lo spazio in tutto e per tutto, perchè non può venir limitato dal non-essere.
Platone considera lo spazio vuoto come la concansa (ξυναίτιον) nel non essere,
che sta accanto al mondo dell’ essero ο della causa, al mondo delle idee e
dell’idea del bene; per lui lo spazio è quindi il « niente » di cui per l’iden
del bene e della divinità è formato il mondo fenomenico, Questa formazione
consiste nella formazione matematica ; egli insegna nel Filebo che il mondo
della percezione à una miscela dell'infinito dello spazio e del limite (πέρας)
delle forme matematiche, e che la cansa di questa mescolanza è l’idea del bene:
per diventar simile al mondo delle idee lo spazio assume la forma matematica.
Anche per Plotino lo spazio vdoto è il non essere, la materia, che forma la
possibilità per l’esistenza dei corpi, pur non essendo esso stesso corpo e non
essendo determinato dn 70 RanzoLI,
Dizion. di scienze filosofiche. SPA 1106
alcuna proprietà; anche per Plotino lo
spazio vale dunque come il presnpposto per la riproduzione, che le idee trovano
nel mondo fenomenico sensibile. Aristotele si oppone alla identificasione
platonica dello spasio con la msteria, osservando che la materia e la forma
sono inseparabili dalle cose, mentre lo spazio è separabile e contiene le 0086;
egli lo definisce invece come il primo limite del corpo contenente, in quanto
il corpo che vi è contenuto è sascettibile di movimento locale; lo spazio è un
vaso immobile, ma ciò che esso contiene può esser mosso, da eni segue che non
può esservi che un corpo contenuto in ur altro nello spazio e che un corpo che
non è contennto in un altro non è nello spazio; la terra è nell'acqua come in
suo Inogo naturale, l’acqua nell’ aria, l’aria nell’etere, Vetere nel cielo, il
cielo in nessun'altra cosa; per Aristotele lo spazio è dunque qualche cosa di
obbiettivo, di fisico, qualche cosa che indica un ordino determinato nei mondo.
La dottrina della realtà obbiettiva dello spazio persiste ancora in Cartesio,
Spinoza, Locke, Newton. Per Cartesio l'estensione dei corpi, ossia lo spazio,
costituisce non solo l'essenza dei corpi, ma è infinitamente divisibik nelle
sue parti; per Spinoza } estensione è un attributo ino; per Newton lo spazio
assoluto è reale, e deve considerarsi come il sensorium, in oui Dio ha la
percezione immediata dell’ universo materiale; per il suo seguace Samuele
Clarke lo spazio è una conseguenza immediata e necessaris dell’esistenza di
Dio, la proprietà d’una sostanza incorporea, il posto non solo dei corpi ma
anche delle idee. « Noi abbiamo delle idee, come quella di eternità e di immensità,
dice il Clarke, idee che ci è assolutamente impossibile di distruggere o di
bandire dal nostro spirito, e che devono perciò essere gli attributi d’un
essere necessari» attualmente esistente.... Lo spazio è una proprietà della
sostanza che esiste per sò stessa, e non una proprietà di qualsiasi altra sostanza.
Tutte le altre sostanze sono nello 1107 Bra spazio, © lo spazio le penetra, ma la
sostanza che esiste per sò stessa non è nello spasio e non è da esso pene
trata. Essa è, per così espremirmi, il substratum dello spazio, il fondamento
dell’esistenza dello spazio ο della durata stessa ». Per il Leibnitz lo spazio
è invece null’altro che 1’ ordine delle coesistenze e quindi non esiste
indipendentemente dalle cose; è un fenomeno soggettivo, in quanto l'estensione
corporea si risolve nella rappresentazione che le monadi inestese hanno della
loro forza passiva. Per il Berkeley lo spazio assoluto è un mero fantasma, lo
spasio puro è la semplice possibilità del movimento dei corpi, ο l'estensione,
insieme con gli altri attributi sensibili della materia, una nostra idea. Per
Hume 1’ idea di spazio o di esteso non è se non l’idea di panti visibili o
tangibili distribuiti in un certo ordine, idea ottenuta mediante sensazioni
tattili ο visive e che esclude, in quanto tale, la concepibilità di uno spazio
vuoto. La dottrina della soggettività dello spazio, riconfermata poi dal Condillac,
Cr. Wolf, Baumgarten, James Mill e, infine, da Emanuele Kant, dà origine ad un
secondo problema: la nozione di spazio sorge come prodotto della nostra esperienza
sensibile, ο la troviamo insita a priori nel nostro spirito? Secondo la
dottrina empirica o genetica l'idea di spazio è un astratto, che risulta dalla
percezione di distanza (lunghezza) © di estensione superficiale (larghesza ©
profondità): la prima è data specialmente da una associazione tra le sensazioni
della vista, del tatto ο del senso muscolare, la seconda dalle sensazioni
tattili cni si dssocia la rappresentazione visiva della parte toocata; I’ idea
di spazio, così ottenuta, costituisce lo spasio prioologioo o Ottico, che è
affatto relativo, e le cui parti non appaiono mai perfettamente continue e
omogenee; lo spazio assoluto, 0 spasio puro, di cui tutte le parti sono
omogenee © continue, e che non lascis alcuno spazio fuori di lui, è una pura
astrazione matematica, non una vera © proΒρα 1108 pria realtà concettuale; la pretesa infinità
dello spazio non significa altro che ogni limite dello spazio è aceidertalo e
può essere superato dall’immaginazione. Second: la dottrina nativista lo spazio
è invece un dato assolutsmente a priori, che noi troviamo nel nostro spirito e
ehr applichiamo alle cose; le sue proprietà essenziali, che sono l'omogeneità o
identità perfetta delle sue parti, ll grandezza e la divisibilità illimitata proprietà di low natura inafferrabili alla
esperienza -provano che esso è un dato naturale ο a priori del pensiero. Così
per Kant lo spazio è il molteplice @ priori come forma del sens esterno; ogni
rappresentazione di un di fuori suppone infatti per base la nozione di spazio;
l'originaria rapprsentazione dello spazio è necessaria, perchè quantunque si
possano astrarre gli oggetti dallo spazio, non si pu però mai fare astrazione
dallo spazio stesso, ed è la rap presentazione di una quantità infinita, la
quale come concetto comprende infinite altre rappresentazioni : è dunque una
visione sintetica a priori, che in sò congiunge la realtà empirica e la
idealità trascendentale. Per Hegel Ίο spazio è mera forma, l’astrazione della
esteriorità immediata; 1’ Idea come natura comincia appunto a porsi come l’
essere che è esteriormente ed è altro: « La prima o immediata determinazione
della natura è l'universalità astratta della sus eseriorità; la cui
indifferenza priva di mediazione è lo epazio. Lo spazio è la giustaposisione
del tutto ideale, perohd è l’esser fuori di sd stesso, e semplicemente
continue. perchè questa esteriorità è ancora del tutto astratta, e non ha in sd
alcuna differenza determinata >. Per P Herbart lo spazio è l'apparenza
obiettiva prodotta dal meccaniamo della rappresentazione e precisamente da un
rapido sucoedersi di qualità, prive per sò stesse di ogni estensione; allo
spazio empirico corrisponde uno spazio intelligibile « che noi aggiungiamo
inevitabilmente col pensiero all’ andare ο al vedelle sostanzo,... e che la
metafision costruisce per le 1109 Spa mutazioni di situazione della realtà
intelligibile ». L’ Helmholtz riconduce la rappresentazione dello spazio alla
organizzazione psicofisiologica; ma oltre allo spazio apparente © soggettivo
dobbiamo ammettero una spazio reale « perchè nella realtà devono esistere dei
rapporti di qualche genere ο dei complessi di essi, tali da determinare il
luogo dello spazio nel quale un oggetto appare »; questi rapporti sono i
momenti topogeni; i momenti ilogeni fanno sì) « che noi crediamo di percepire
in tempi differenti cose materiali diverse nei medesimi Inoghi ». Per il
Diibring lo spazio reale è « quello per il quale le cose hanno una distanza lo
une rispetto alle altre »; ora, è per virtù delle stesse forze naturali che le
distanze reciproche dei corpi e delle particelle materiali sono come sono e non
altrimenti, ο si mautanò; la posizione spazialo ο la distanza spaziale espri
mono dunque un rapporto dinamico, e le forme spaziali non possono mai per tal
guisa realizzarsi senza una grandezza determinata; l’ordine spaziale delle
parti si distingue pereid come un ordine di parti in cui gli clementi sono gli
autori di un aggruppamento schematico: « ora, lo schema, che per tal guisa
diventa percepibile, è appunto lo spazio ». Il Wundt definisce lo spazio « una
grandezza permanente, infinita, congruente in sè stessa, nella quale il singolo
indecomponibile è determinato mediante tre direzioni ». Contro Kant egli nega
la rappresentabilità di uno spazio vnoto, pure riconoscendo che lo spazio nella
forma in cui lo intuiamo non può avere realtà obiettiva; contro le dottrine
nativistiche ed empiriche dello spazio egli pone la propria dottrina dei segni
locali, in virtù della quale V intaizione spaziale apparo come una sintesi
associativa © fusione di un sistema di segni locali fissi della retina, con un
sistema di segni locali uniformi di movimento, e quindi come un prodotto delle
nostre condizioni psichiche ο dolla nostra organizzazione fisica; ciò porta ad
escludero tanto una corrispondenza fra la nostra intuizione spazialeSpa 1110 ©
l’ordine esterno delle cose, quanto l’arbitrarietà dell’intuizione stessa: « La
necessità, proveniente dall’ esterno, ondo la nostra coscienza è obbligata a
collocare gli oggetti in ordine spaziale, dimostra ansi l’esistenza di fondamentali
determinazioni obbiettive sotto il cui influsso l’ intuizione spaziale è
formata. Se noi designano tali de terminazioni come spazio obbiettivo, dobbiamo
considerarlo come qualche cora di sconosciuto, che non ci è dato immedistamente,
ma al quale potremmo giungere, se riusci» simo ad eliminare i processi
soggettivi, che ci hanno condotto alla intuizione spaziale ». Il Masci ammette
invece con Kant che.lo spazio non è un concetto discorsivo ο ge nerale di
rapporti delle cose, ma una pura intuizione, anzitutto perchè il concetto è
universale mentre l’intuizione ha per suo termine l’individuale, © gli spazi
singoli sono appunto intuiti come parti non costitutive ma distributive ©
limitative; poscia perchè, mentre gli elementi dello spazio (punti) non hanno
ordine logico e non si esigono ma si escludono, carattere dei concetti è di
avere organisme e misura; infine perchè i concetti sono prodotto di comparazione
e astrazione, mentre gli spazi non hanno nulla di diverso tra loro e si
distinguono soltanto nello spazio: egli aggiunge ancora che lo spazio rende
conce] il principio di causalità, © non può quindi essere, al pari di questo,
un concetto, formando lo schema per cui il concetto stesso diventa
rappresentabile. Il Varisco ammette uno spazio reule, a tre dimensioni,
omogeneo, euolidev; # uno spazio puro o astratto, formatosi nella nostra mente
allo stesso modo di tutte le altre nozioni astratte, cioè per V aggruppamento
spontaneo dei dati sperimentali, con la conseguente eliminazione degli elementi
che non siano compatibili; l’esistenza dello spazio reale è provata dal fatto
stesso della ‘rappresentazione determinata, che gli uomini ne hauno, nonchd
dalla impossibilità di sostituire i simboli spaziali con altri: «
Oggettivamente, quello che ll Bra si
chiama lo spazio si risolve: primo, nell’ avere cisscun elemento materiale un’
estensione. L’ elemento non essendo composto di parti distinte, nd scomponibile
in modo alcuno, la sua estensione è assolutamente inseparabile; è uno dei
caratteri essenziali, dal cui complesso inseindibile risulta V elemento,
appunto come la sua massa, 9 la sua attitudine a essere determinato
psichicamente. Secondo, nell’ ensere gli elementi a distanza tra loro, il che
significa soltanto che le loro estensioni non si continuano ». Per l’Ardigò lo
spazio non è che l’astratto del rapporto di coesistenza, ossia dell’ ordine col
quale si presentano associati insieme i sensibili nella percezione dei corpi: «
I corpi ο le sostanze del mondo esterno, distribuiti in questo nello stesso ordine
secondo il quale sono sentiti gli organi onde li percepiamo; ossia la
proiezione, nello stesso mondo esterno, non solo dei sensibili relativi, ma
anche dell’ ordine secondo il quale li sentiamo; e la stessa proiezione di
questo ordine per la medesima legge di oggettivazione della sensazione esterna:
ecco il fondamento della idea dello spa zio ». Si tratta dunque d’un concetto
empirico, alla cui formazione concorrono insieme sensazioni visive, tattili,
muscolari, e che non richiede quindi per essere spiegato il concorso della
facoltà dell’ intelletto o del soprasensibile ; l'argomento della infinità
dello spazio, e quello soeraticoplatonico della presenza intera dell'idea dello
spazio già al principio della vita cogitativa, non valgono contro la concezione
empirica, sia perchè I’ infinità spaziale non si intuisce veramente, sis perchè
l’idea di spazio, al pari d’ogni altra ides, si va formando a poco a poco nella
nostra nente col progresso dell’ esperienza e del lavoro di associazione, di
distinzione, di costruzione logica. Cfr. Platone, Timeo, 49; Aristotele, Phys.,
IV, 5, 212 b, 27 seggi; Plotino, Enx., III, 6, 7 © 18; Cartesio, Medit., IV;
Id., Prine. ΡΜ. II, 10 segg.; Spinoza, Ethéoa, II, teor. II; Locke, Éssay, II,
cap. XIII, $ 2, 11, 21 segg.; Newton, Naturalia SPE phil. prino. math., 1687,
p. 6. II, III; Leibnitz, Op. fi. 1840, p. 602, 241; Berkeley, Dial. b. Hylas a.
Philonows, I: Hume, Treatise, 1874, II, sez. 3; Kant, De mund sesis., 1882,
sez. III, $ 15; Id., Krit. d. reinen Fern., ed. Kehrbach, p. 50e segg.; Hegel,
Enoiclopedia, trad. it. 1907, p. 205 segg.: Herbart, Peyohol. als Wissenschaft,
33 ed., I, p. 488 segg.: Id., Allgemeine Metaphysik, 1828, II, p. 199;
Helmholts, Pàiayol. Optik, 1867, p. 442 segg.; Dühring, Logik, 1878, p.
199-201; Wundt, Logik, 2° ed., I, p. 442-461; Id., Grundsiigo, d. physiol.
Peychol., 2° ed., t. II, p. 28 segg.: Baumann, Die Lehren von Raum, Zeit und
Mathematik, 1869; B. Erdmann, Die Aziome d. Geometrie, 1877; Schlesinger,
Substantielle Wesenheit des Raumes und der Kraft, 1885; 8. H. Hodgson, Time and
space, 1865; G. Lachalas, Etude aur l'évpace ot le temps, 33 ed., 1910; B.
Bourdon, La perception visuelle de Véapace, 1902; A. Covotti, Le teorie dello
spario e del tempo nella fl. greca, « Annali della R. Scuola Nor. di Pisa »,
vol. VII, 1899; Tocco, Della materia in Platone, « Stud. it. filol. class. »,
IV, 1895; Varisco, Soiemsa e opinioni, 1901, p. 60 segg; Masci, Le forme dell?
intuizione. 1881; Ardigd, Op. fil., II, p. 110 segg., V, 259 segg., VII, 88
segg. (v. intuizione, iperspacio, estensione, superficie. distanea,
stereognostico). Specie. T. Art; I. Species; F. Espèce. In una serie di due o
più idee subordinate le une alle altre, le meno estese si dicono specie
rispetto alle più estese, che diconsi ge nere; © siccome l’estensione e la
comprensione stanno fra loro in rapporto inverso, così sotto il rispetto della
comprensione la specie è invece maggiore del genere, cosicchè essa comprende
gli attributi del genere. E facile comprendere che una idea può essere generica
sotto un rispetto, specifica sotto un altro: così nella serie di ossere,
materia, organismo, animale, vertebrato, uomo, l’iden animale è specifica
rispetto a quelle più estose 9 meno comprensive di organismo, materia, cescre,
è gonorioa rispotto alle idee meno cstese © più comprensive di vertebrato ©
uomo, Diminuendo sempre più l'estensione, si arriva all’ idea assolutamente
specifica ultima species -; compiendo
l'operazione inversa si giunge all’ idea assolutamente generica summum genus ossia all’ idea di essere, di sostanza, di
qualche cosa, ecc. Nello scienze fisicho
per specie κ’ intendono gli stati o fatti primitivi, fondamentali,
irreducibili; lo sforzo del pensiero scientifico è, a tal riguardo, di ridurre
le specie al minor numero possibile ο di eliminarle. Nella concezione meccanica
dell’ universo, le varie specie di fenomeni si fanno derivare da combinazioni e
complicazioni di movimenti, eseguiti da moviili ο regolati da un numero limitatissimo
di principi; in tal modo però l’unità e l'identità reale dei fenomeni è
raggiunta solo apparentemente, giacchè per dar ragione della diversità occorre
ammettere dello profonde differenze tra le proprietà dei movimenti, le quali,
dovendo avere anch’ esse una causa, implicano necessariamente l’esistenza di
specie diverse di condizioni. Una più profonda unificazione raggiunge la
dottrina elettromagnetica, la quale, eliminato ogni dualismo tra materia ed
etere, ponderabile © imponderabile, risolve le varie specie di sostanze
materiali che noi percepiamo in forme diverse di aggregamento di elementi
omogenei; in tal modo il fondamento delle distinzioni in specie o in
aggruppamenti di vario ordine (si tratti di sostanze semplici o composte) non
può esser posto in qualità esolurive degli elementi singoli, ma nelle maniere
di aggrupparsi © di ordinarsi di elementi identici, e quindi nelle leggi che
intervengono e spiegano la loro efficacia nei vari casi. Nello scienze biologiche la definizione dalla
specie, collegandosi alle questioni fondamentali della filosofia zoologica,
varia a seconda dei diversi autori: per il Prichard essa è una collezione di
individui somigliantisi tra di loro, discesi da una coppia primitiva, e le cui
lievi difSPE 1114 ferenze si spiegano con l'influenza degli
agenti fisici. Per il Cuvier è la collezione di tutti gli esseri organirsati,
nati gli uni dagli altri e da parenti comuni, ο da quelli che loro somigliano
tanto quanto essi si somigliano tra di loro. Per il Lamarck è la collezione
degli individui somiglianti che la generazione perpetua nello stesso stato,
finchè le circostanze della situazione non cambino sufficientemento per
cambiare le loro abitndini, i loro caratteri, le loro forme. Ad ogni modo, il
criterio prevalente è che si dicono della stessa specie gli individui che
possono inorociarsi meglio tra di loro e dar Inogo a prodotti che si perpetuano
all'infinito; invece V inerociamento fuori della specie, nel genere, o è
sterile 0, so dà luogo a riproduzione (come tra la lepre ο il eoniglio) essa
non si perpetua all'infinito. In questi ultimi tempi il concetto di specie ha
subìto però nuove modificazioni, in seguito agli studi del Heincke sullo
deviazioni dei caratteri dalla media, e più ancora del De Vries sulla
variabilità nel mondo vegetale e sull’ ibridismo. Secondo il De Vries, i
caratteri della specie presentano nell’ individno una certa indipendenza l’uno
dall’altro ed una varinbilità fluttuante ο statistica, cioò una oscillazione in
più o in meno, intorno ad un valore medio (ideale) del carattere, entro limiti
che non sono mai oltrepassati : assolutamente infondata, egli dice, l’ opinione
che la variazione lineare (in un senso ο nell’altro) di un dato carattere sia
illimitata, in modo che si possano produrre nel corso di secoli ο di millenni
trasformazioni, più importanti che non nel corso di pochi anni. Per il miglioramento
di ciascun carattere preso per sò, bastano in condizioni favorevoM 2-3 ο per
solito non più di 3-5 generazioni ». Mentre lo speoie elementari, anche quelle
più affini tra loro, non differiscono per un solo carattere, ma in quasi tutti
i loro organi e in tutte le loro qualità, nessun essora dà in eredità ai suoi
discondenti i snoi caratteri come 1115 SPE un tutto unico. Mediante procedimenti
sperimentali fu possibile separare uno o più caratteri, seguendone poi lu sorte
attraverso una generazione di ibridi. Il
Rosmini chiama specie piena, o anche esemplare dell’ oggetto, il concetto
pienamente determinato, che ha cioè la massima comprensione e la minima
estensione; quando con l’astrazione si tolgono da questa specie piena gli
accidenti, lasciando la sostanza, si ha la specie astratta sostanziale; quando
si fa 1’ operazione inversa si hanno lo specie astratte accidentali. Nel linguaggio della filosofia scolastica per
species a’ intende I’ imagine rappresentante l'oggetto. Species sensibilis è
quella della percezione, species intelligibilis quella del pensiero: « Species
sensibilie non est illud quod sentit, sed magis id quo sensus sentit. Ergo species
intelligibilie non est id quo intelligitur, sed id quo intelligit intellectus.
Per apeoiem intelligibilem fit intellectus intellegens actu, siout per apociom
sensibilem sonsus est aotu sentiene » (8. Tommaso). Species praedivabilis è la cosa atta ad esser
predicato di molte, differenti di solo numero, nella domanda quid est; ad es.
animale predicato di cavallo, pecora, eco. Species subiicibilia è il
particolare che si colloca propriamente sotto il genere e di cui si predica immediatamente
il genere in quid; ad es. animale rispetto ad un vivente. Speoies ezpressa è la
percezione © rappresentazione dell’ oggetto, detta così perchd è espressa ο
tratta fuori e dalla potenza; species impressa è la qualità prodotta dall’
oggetto quale vicaria rirtus obiecti che si imprime nella potenza e la completa
ο l’aiuta a trar fuori la percezione dell’ oggetto, cioè In specie espressa;
entrambe le specie vengon dette talora anche speoies intentionalis, perchè per
essa la potenza tendo all'oggetto. Cfr. A. Righi; La moderna teoria dei
fonomeni fisici, 1904; Hugo De-Vries, Specie ο varietà, trad. it., Palermo,
Sandron ; Raffaele, Riv. di Sciensa, anno I, n. 102; De Sarlo, La nozione di
specie, « Cult. filosofica », giugno 1908; S. Tommaso, Sum. phil., I, qu. 46;
GocleSPE 1116 nius, Lexicon philosophicum, 1613, p. 1068
segg.; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, III, 2, 2 (v. darwinismo,
razza, trasformismo, ibridismo, sensibile). Specifico. T. Speoifisch; I.
Specific; F. Spéoifique. oppone tanto a generico quanto a individuale; così
dicesi differenza specifica tutto ciò che serve a distinguere uns specie da
un’altra; esperienza specifica quella fatta da tutta la specie attraverso il
succedersi delle generazioni, e fissata per l'eredità nell’individuo ; memoria
specifica |’ istinto che è un insieme di atti protettivi accumulati e trasmessi
dalla eredità; legge delle energio specifiche, la dottrina, secondo la quale le
diverse modalità delle sensazioni dipendono dalla natura specifica dei diversi
organi di senso, non dalla differenza degli stimoli esterni che le eccitano (v.
energie specifiche). Specioso. Un argomento specioso non è che un ragionamento
sofistico, con cui si tende a persuadere altrui della verità d’una conclusione
falsa. Speculare. Dicesi allucinazione speculare quel fenomeno psicologico che
si verifica durante gli stati profondi del sonno ipnotico, e che consiste nella
visione interiore del proprio organismo acquistata dal soggetto e proiettata al
di fuori. Dicesi scrittura speculare o a specchio, quella che va da destra a
sinistra, come la scrittura che si legge per riflessione in uno specchio. Può
essere così istintiva come naturale (Leonardo da Vinci); nel primo osso dipende
da una anomalia, non ancora bene conosciuta, dei centri motori encefalici (v.
autosoopia). Speculativo. T. Speculativ ; I. Speoulative; F. Speoulatif. Si
oppone tanto a sperimentale, empirico, positivo, quanto a pratico © designa il
sapere astratto ο che è fine a sè stesso, e non serve quindi di mezzo a fini
utilitari o pratici. Diconsi speculative le scienze filosofiche, ο quelle, in
genere, nelle quali più che l’esperienza hanno parte la forza indagatrico della
ragione e la sua potenza dimostra 1117 Βνκ-βρι tiva. Dicesi ragione speculativa la
ragione in quanto ha per fine la ricerca del vero, e ragion pratica la ragione
in quanto ha per fine il bene e fornisce i principi dell’azione. Speculasione
(speculari = guardare attentamente). T. Speculation ; I. Speoulation ; F.
Spéculation. E la traduzione latina del greco θεωρία da Sewpsty, che significa
osservare, indagare. Quindi speculazione vale indagino, ricerca, ma spesse
volte si adopera per indicare il sapere puro, l’indagine razionale, per
opposizione alla ricerca sperimentale e positiva. Così per Aristotele la
speculazione è la forma più alta e intuitiva del concepire, ed appartiene anche
alla divinità. Per Kant una conoscenza teoretica è speculativa quando ha per oggetto
cid che non si pud cogliere in alcuna esperienza; la conoscenza dell’universale
in astratto è conoscenza speculativa; la conoscenza filosofica è la conoscenza
speculativa della ragione. Cfr. Aristotele, Met., VI, 1, 1025 b, 18; Kant,
Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 497. Spirito. Lat. Spiritus, Mens; Τ.
Goist; I. Spirit; Ἑ. Esprit. Pnò avere vari significati. Nel senso metafisico,
lo spirito è la sostanza immateriale, distinta dal corpo ο ad enso opposta,
semplice, indivisibile, imponderabile, incorruttibile, immortale; essa non ha
alcuna forma sensibile, nessuna proprietà della materia, 9 si rivela come
pensiero, sentimento e volontà. La nozione di sostanza spirituale, intravveduta
nell'antichità soltanto da Platone, è relativamonte recente nella storia del
pensiero. Da principio per spirito si intendeva il soffio della vita, ciò che
l'essere animato sembra esalare col suo ultimo respiro, e per lungo tempo
rimase a designare non ciò che è assolutamente incorpoTeo e immateriale, ma
bensì una materia estremamente sottile, attenuata, penetrante e impalpabile
come il soffio; tale concezione materialistica si mantenne anche nella filosofia
greca, cosicchè per Anassimandro 1’ anima è gassosa, Ser 1118 per Ippone è un’ umidità, per Senofane è aria,
per Eraclito, per Democrito e per gli stoici è fuoco, per Epicuro à un corpo
consistente di materia serea ο di fuoco. Anche per Anassagora lo spirito (νοῦς)
ordinatore dell’ univers secondo un fine e moderatore del movimento, è una
materia, un elemento corporeo, omogeneo in sè, inoreato ο imperi turo, diverso
da tutte le altre materie solo per grado, in quanto è la più fine, la più
leggera, la più mobile, e per la sostanza, in quanto si muove da sò e muove gli
altri elementi. Per Tertulliano lo spirito è una particolare svstanza: epiritus
enim corpus sui generis in sua effige. Per Alberto Magno apiritus potest dici
is qui active apirat. Per Melantone vapor ex sanguine expreseus. Questo
concetto durò fino a tutto il medio evo, e la stessa religione cristiana non
seppe spogliarsene, come è dimostrato dalle pane materiali che essa infligge
alle anime condannate al fuoco eterno. Soltanto col dualismo cartesiano si
distinsero nettamente le due sostanze, che esistono entrambe per sò stesse, ma
di cui una, lo spirito, è pensiero ο attività, l’altra, la materia, è
estensione e inerzia: questi due opposti si uniscono solo in Dio, fondamento
reale della conoscenza e del moto, e nell’uomo, che è spirito e corpo, pensiero
ed azione: Non autem plura quam duo genera rerum agnosco: unum est rerum
intellectualium, sive cogitativarum, hoc est. ad mentem sive ad substantiam
cogitantem pertinontins : aliud rerum materialium, sive quas pertinent ad
substantiam, hoc est, ad corpus. (Cartesio). Una nozione ugualmente esatta
dello spirito si ha nel Berkeley: « Uno spirito è nn ee sere semplice,
individuale, attivo, che si chiama intelligenza in quanto percepisce le idee,
volontà in quanto le produce o è attivo in rapporto ad esse ». Naturalmente, il
materialismo ha sempre combattuto il concetto della sostanza incorporea, dello
spirito, che per l'Hobbes è una vor insignificans, © per i materialisti del
secolo soorso uns semplice fanzione della sostanza cerebrale; ma la critica 1119 fer più acuta fu fatta da Locke ο da Hume, il
primo dei quali dimostrò l’inconcepibilità di una sostanza in sè stessa, il
secondo sostenne che, essendo ogni idea derivata da una impressione precedente,
se abbiamo un’ idea della sostanza del nostro spirito dovremmo aver pure un’
impressione di questa sostanza, il che è inconcepibile perchè V impressione
dovrebbe esser simile alla sostanza; perciò egli risolve lo spirito in « un
sistema di percezioni diffe- renti, che sono collegate le une alle altre da un
rapporto causale e reciprocamente si producono, si distraggono, si influenzano
© si alterano ». Tale critica fa accettata da Kant, che additò i paralogiemi
nei quali onde la peicologia razionale quando vuol provare la spiritualità dell’anima;
da J. 8. Mill, che risolve lo spirito in una possibilità permanente di
sentimenti; dal Bain, che lo considera come « un residuo, che si trova dopochè
si è separato il mondo obbiettivo dalla totalità della nostra esperienza »; dal
Wundt, che ne fa un semplice soggetto logico dell’esperienza interna; dallo
Spencer, che lo pone come inconoscibile, come un simbolo di ciò che non pnd mai
cadere sotto il pensiero; dall’Ardigò, che lo considera come il ritmo comune o
generico mentale, costituito dallo reminiscenze e dalle sensazioni interne,
ritmo che ci si presenta come inesteso e immateriale, perchè nei suoi ele«menti
non apparisce il riferimento con la meccanicità del fatto fisiologico, della
quale gli elementi stessi sono la manifestazione cosciente. Nel senso puramente psicologioo lo spirito può
designare sia 1’ insieme delle attività psichiche dell’uomo, senza riferimento
ad una sostanza permanente, © in tal caso ha il significato generico che si attribuisce
alla parola coscienza, psiche, anima, io, eco.; ein l'insieme delle sue facoltà
intellettuali, e in tal caso ha significato più ristretto, ο si oppone alle
facoltà affettive ο Volitive. Cfr. Aristotele, Phys., VIII, 1, 250 b, 24; Diogene
Laerzio, II, 3, 6; Platone, Rep., IV, 435; Tertulliano, Spr 1190 Adv. Praz., C 7; Cartesio, Prino. phil., I,
11, 48; Berkeley, Prino. of hum. know., 1710, XXVII; Locke, Enquiry, 1. II, cap. 23, $ 18 segg.;
Hume, Treatise, P. IV, ses. v; J. è. Mill, La phil. de Hamilton, trad. franc.,
cap. XII, pag. 228
segg.; Bain, The sonsca and the intellect, 3* od., cap. I; Spencer, Prino. of
Peychol., 1881, P. II, cap. 1, § 58; Wandt. Handbuch d. physiol. Peyohol.,
1880, vol. I, p. 8; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 10 segg.;
Tylor, La cirilisation primitive, trad. franc, 1876, vol. I, p. 497 seggi,
Lubbock, I tempi prolstorioi ο l’origine dell’ incivilimento,
trad. it. 1875, p. 557 segg.; Ardigò, Opere fil., I, 209 segg. IX, 306 segg. (v. anima, psiche, attualiemo,
sostanzialismo). Spiritualismo. T. Spiritualiemus; I. Spiritualiem; F. Spiritualisme.
Nel suo significato più largo è la dottrina che ammette l’esistenza di Dio e
dell'anima come sostanze immateriali, © cioè semplici, inestese, attive,
identiche a sè stesse, © che non cadono sotto i sensi; si oppone perciò al
materialismo, il quale non ammette altre sostanze che le materiali, e nega
l’esistenza di sostanze spirituali distinte dalle sostanze materiali. Si
distingue dall’idealiemo, in quanto mentre questo fa dello spirito, come del
corpo, un semplice modo del pensiero, un’ idea pura, quello considera invece
l’idea come un modo o una forma dello spirito. La distinzione però non è sempre
osservata, usandosi spesso le espressioni idealismo realistico, o metafisico, ©
cosmologico, ο assoluto, per indicare il monismo spiritualistico. Tre sono i
principali argomenti dello spiritualismo per dimostrare la necessità di un
principio immateriale che produca i fatti di coscienza: 1° la coscienza non pnd
nascore dalla materia corporea, perchè mentre questa è per sua nature
molteplice e composta, quella è per sua natura semplice ed una; 2° la
coscienza, essendo dotata di ai vità spontanea e libera, non può derivare dalla
materia. cho à inerte © incapace di modificare sò stessa; 3° la coscienza non
pad derivare dall'organismo, perchd mentre essa sente di rimanere sempre
identica a sè, l’organismo si rinnova © varia continuamente. Quest’ ultimo è
l’argomento sul quale si appoggiano, specialmente dal Lotze in poi, gli
spiritualisti moderni: se nel corso della vita psichica, nel succedersi
continuo di sensazioni, rappresentazioni, emozioni ο voleri, l'individuo si
sente sempre identico a sò, sempre il medesimo, vi deve essere nn sostrato
permanente sotto la vicenda dei fatti psichici, i quali per ciò non sono che
fenomeni molteplici e variabili d’una sostanza unica © immutabile. Ammessa
l’esistenza della sostanza spirituale, due soluzioni fondamentali αἱ rendono
possibili. Si può considerare lo spirito come unica realtà, di cui la materia
non è che un semplico fenomeno, e in tal caso si ha lo epiritualiemo puro o
monistico. Si può consideraro invece lo spirito e la materia come due principi
ο sostanze opposte e irreducibili, esistenti ab aeterno I’ una accanto
all'altra, e agenti reciprocamente l’ans sull'altra, 6 in tal caso si ha lo
apiritualiemo dualistico. Le principali ragioni su cui lo spiritnalismo
monistico si fonda, sono: 1° poichè l'universo non si rivela a noi che sotto
forma spirituale, devo essere di essenza spirituale; 2° poichè l'universo è
conoscibile, deve eniatere tra esso © il nostro spirito un legame essenziale,
giacchè sarebbe inesplicabile una corrispondenza tra il pensiero ο ciò che gli
è del tutto estraneo; 3° poichè nella coscienza non c'è che coscienza, se non
si vuol rinunsiare a conoscere si deve concepire l’universo in termini di
coscienza, ossia per analogia con la nostra esperienza interna. Le varie forme
del monismo spiritualistico germogliano infatti da una particolare traserizione
del mondo in termini di esperienza psicologica, sia che faccia dell'universo un
processo organico e consideri 1’ ovoluzione cosmica come In necessaria
attuazione d’unn idea immanento nella natura, sia che riduca il divenire della
realtà all'esplicarsi d’ un: tendenza impulsiva, sin che la faccia rampollaro
da un ferace istinto di reazione. Platone cho eleva ad immutabili #1 Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche. Spo 1122 essenze i concetti dello spirito umano; Fichte
che vede nel processo cosmico lo sforzo perenne dell’ Io morale per rendere
efficace la sua libertà; Hegel che dà valore di realtà assoluta al movimento
dialettico del pensiero; Schopenhauer che pone al fondo delle cose la volontà;
Schelling. Froschammer, Bergson che contemplano nell’eterno dive nire del mondo
l’opera d’una fantasia inesauribile, traggono tutti dalla esperienza interna il
principio del low spiritualismo. Cfr. F. Kirchner, Grundprinzip des Weltprezesees,
1882; Wachrot, Le nouveau spiritualieme, 1882; A. Aliotts, Linee d’una
concesione spiritualistica del mondo, « Cultura filosofica >, Anno VII, n.
3, 8, 4-5 (v. anime, monismo, influsso fisico, neo-spiritualismo, parallelismo,
#stanza, sostanzialismo, spirito). Spontaneita. T. Spontaneitàt; I.
Spontaneity; F. Spor tandité. Leibnitz la definì brevemente contingentia sine
cos tione; Cristiano Wolff principium asse ad agendum deterninandi intrinseoum.
Nel suo senso proprio, è il potere che ha un essere di modificare da sè stesso
lo stato proprio. indipendentemente da ogni causa esterioro. Si oppone quindi
alla inersia, che è invece la tendenza di un essere a perseverare indefinitamente
nel suo stato di riposo o di movimento, finchd non sia modificato da una causa
este riore. Per Aristotele gli oggetti che costituiscono la na tura hanno în sò
stessi il principio del proprio moto, © tali oggetti sono non solo i corpi, ma
anche quelli che sono legati con corpi, come l’uomo, © quelli che al corp? sono
principio di movimento, come l’anima. Epicuro pe neva nell’atomo una
spontaneità, una determinazione individuale, per oui esso può deviare nella sua
caduta rettilines (clinamen) e produrre quegli urti con gli altri atom. che
danno origine alle cose. Anche il Leibnitz pone ln spontaneità nella monade,
che è una forza semplice, originaria, determinata in sò stessa e non dal di
fuori, Nella filosofia moderna la spontaneità è da molti considerats essa è
sostituito il determinismo cosmico, 1’ universale ο necessaria continuità del
movimento, che si trasforma in modi infiniti. Quando la spontaneità è apposta
alla recettirità, non significa più libertà: si dice infatti che la sensibilità
è una recettività, l'intelletto invece una spontaneità, in quanto è la facoltà,
dice Kant, di produrre in noi stessi delle rappresentazioni. Cfr. Leibnitz,
Philos. Scriften, ed. Gerhardt, IV, 483, VII, 108; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
1878, p. 76 (v. caso, contingenze, necessità). Statica. Quella parte della
meccanica razionale che studia la composizione delle forze (indipendentemente
dai movimenti che sono capaci di produrre) considerate come grandezze riferite
ad una unità di misura della stessa specie. Statistion. T. Statistik; I.
Statistica; F. Statistique. Può designare tanto la scienza dei fatti sociali
espressi con termini numerici, quanto i termini stessi. La statistica come
scienza ha per oggetto la conoscenza della società considerata nei suoi
elementi, nella sua economia, nella sua tuazione; essa si può definire come
l'osservazione e l’induzione appropriate allo studio quantitativo dei fenomeni
collettivi, suscettibili di variare senza regola assegnabile a tutto rigore.
Nei fenomeni collettivi essa deve sceverare ciò cho v’ha di tipico nella
varietà dei casi, di costante nella variabilità, di più probabile
nell’apparente accidentalità, e decomporre, fino al limite che la natura del
metodo consente, il sistema di cause ο di forze di cni essi fenomeni sono la
risultante. La statistica è deserittica, quando si limita a raccogliere i
fatti, matematica quando li rappresenta e confronta per dedurne lo leggi. Cfr.
Morpurgo, La statistica e le scienze sociali, 1872; Gabaglio, Teoria generale
della statistica, 33 ed. 1888; N. Colaianni, Manuale di mtatistioa teor., 2*
ed. 1907 (v. sociologia). Stato. T. Staat: I. State; F. État. Ogni società
organizzata snlle basi della giustizia; ogni società i cui membri STA 1124 prestano abituale obbedienza ad una autorità
posta nel. società stessa e che non presta obbedienza abituale ad un autorità
esterna. Il Brugi lo definisce « un istituto che tr tela il diritto nella
società civile, induce a unità le classi > ciali, ed à il mezzo con cni si
manifesta l’azione colletti»: del popolo »; così inteso, lo Stato è distinto
dalla società ti vile, che è l’ ordinamento degli individui appartenenti a vi
dato popolo in classi fondate sugli interessi economici, tisi © intellettuali.
L'origine, la natura e le funzioni deliv Stato furono © sono spiegate in modi
diversi. Per Prots gora gli dèi hanno elargito a tutti gli nomini in misun
nguale il senso della giustizia e il timore morale (2ixr © αἴδώς) affinchd
possano conchiudere patti durevoli per i conservazione reciproca nella lotta
per la vita. Per Pis tone lo Stato ideale deve rappresentare in grande l’uomo.
ο deve perciò constare di tre parti, che corrispondono alle tre parti
dell'anima: la classe insegnante, la classe mil: tare e la classe guerriera;
solo alla prima spetta di gu: dare lo Stato, di fare le leggi e di vegliarne
l’eseenzior mentre cömpito della seconda à la conservazione dell dinamento
dello Stato, interno ed esterno; alla gran mass del popolo, operai e contadini,
che col lavoro provvedono alla creazione dei mezzi esteriori dello Stato,
s’addicono solo l'obbedienza e la moderazione. Per Aristotele l’attività morale
dell’ uomo, ζῶον zoAtttxév, non può trovare la sus perfezione se non nella vita
in comune, quindi anche per lui non e’ è nessuna moralità concreta fuori dello
Stato, come scopo essenziale del quale anche Aristotele considerava l’educazione
morale dei cittadini; ogni costituzione politica è giusta, quando il governo ha
presente, come scopo più elevato, il benessere della umanità. Cfr. Combotheern, La conospt.
jurid, de Etat, 1899; Spencer, L’individu contre?" État. trad. frane. 1885; Cavagnari, Psicologia dello
Stato, 1901:Brugi, Introd. alle acience giuridiche e sociali, 1907, p. 1 sogg.
(v. contrattualismo, diritto, pena, società). 1125 sre Stereognostico (senso). Espressione
introdotta nel linguaggio filosofico dall’ Hoffmann, con la quale si designa il
senso che ci dà la nozione della forma degli oggetti e delle loro proprietà
fisiche, quali la temperatura, l’estensione, la consistenza. Più che una forma
di sensibilità semplice esso è costituito dall’associazione di nozioni fornite
specialmente dal tatto attivo ο dal senso muscolare. In generale si ammette che
la nozione della solidità e della forma degli oggetti a distanza ci è data
dalla visione bioculare, per la differenza delle due imagini retiniche prodotte
dall’oggetto solido. Perciò alcuni psicologi ritengono sia più proprio parlare
d’una percezione atereognostica piuttosto che di un senso stereognostico ;
altri lo chiamano invoce fatto attivo, 0 percezione tattile dello spazio.
Dicesi storeoagnosia il fenomeno psichico, che consiste nella perdita del
riconoseimento della forma degli oggetti: sembra dovuta ad una rottura delle
fibre d’ associazione leganti il contro sensoriale muscolo-tattile col centro
dello imagini visive delle forme. Cfr. Helmholtz, Physiol. Optik, 2° ed. p. 782
segg.; Wundt, Physiol. Paychol., 4° ed., vol. II, p. 227; E. B. Titchener,
Exper. psychol., 1901, I, p. 257 segg.; Bourdon, La perception visuelle de
l'espace, 1902; Id., «Inndo peyohologique, 1899, p. 65 segg. Stereoscopic. T. Sterooskop; I. Stereoscope; F.
Stéréoscope. Stromento col quale le figure piane sembrano solido, valo a dire a
tre dimensioni. Esso si fonda sulla constatazione che l'apprezzamento della
solidità dei corpi è dato dalla visione bioculare, per il fatto che l’imagine
di un dato corpo solido, proiettata su una retina, non può essere ngnale
all’imagine che lo stesso corpo proietta nel medesimo tempo sull’altra retina.
Esistono vario forme di stereoscopi, di cui il primo è dovuto al Weastone.
Mediante questo stromento si fw cadere sopra una retina il disegno dell’imagine
che un dato corpo solido proietterebbe su essa, e sui punti identici dell’altra
retina il disegno delSTE-STO 1126 l’imagine che il medesimo corpo proietterebbe
contempo raneamente su di essi; quindi, benchd ciascun disegno sia
rappresentato da una superficie a due sole dimensioni, si ba la stessa
sensazione che si avrebbe guardando il corpo solido, che tali disegni
rappresentano, con le sue tre dimensioni (lunghezza, larghezza, profondità). Se
i due disegni sono uno nero © l’altro bianco si ha la sensazione dello
splendore. Cfr.
Weastone, Philos. Transact., 18%: Stolze, Die Stereoscopie und das
Storeorscop., 1894 ; Breuster. The
stereosoope, 1857 (v. retina, peeudoscopio, spazio, risire. solido,
stereognostico). Stereotipia. Sintomo di alcune malattie mentali, com la forma
catatonica della demenza precoce, 1’ imbecillità. l’idiotismo. Consiste nella
ripetizione continua degli stesi movimenti e delle stesse frasi, nella
monotonia del tono di voce, nel ritorno incessante dei medesimi periodi ο delle
medesime parole quando l’ammalato scrive. Cfr. J. Finzi. Compendio di
psichiatria, 1899, p. 101,123 (v. ecolalia, stupore). Stimolo. T. Keiz; I.
Stimulus; F. Stimulus, excitant. Tutto ciò che produce lo stato di eccitazione
d’una cellula, d'un tessuto o d’un organo. Senza l’azione dello stimolo l'attività
funzionale della cellula, e quindi del tessuto o dell'organo, non si produce.
L'intensità della eccitazione prodotta è, generalmente, proporzionale
all’intensità dello stimolo. Ogni organo reagisce allo stimolo in quel modo che
è conforme alla sua struttura. Gli stimoli della cscienza si distinguono in
esterni, che agiscono sugli organi situati alla periferia del corpo, interni,
che provengono da una modificazione inerente agli organi, ο inferoerebrali, che
consistono nell’ irradiarsi della eccitazione nervosa da vu centro superiore ad
un altro (v. eccitazione, aubminimali). Ston (στοά = portico). Grecismo usato
talvolta per designare lo stoicismo, dicendosi la filosofia dello Stoa, o seuplicemente
lo Stoa. La filosofia stoica ebbe infatti la sus prima sedo nel Portico pecile.
1127 STO Stoicismo (στοά -= portico). T.
Stoiciemus; I. Stoiolem; F. Stoicieme. Sonola filosofica fondata da Zenone di
Cizzio, in Cipro. Il suo nome le venne dall’essere stata aperta, tre secoli a.
C., nello Stoa pecile, un portico ornato di pitture del celebre Polignoto. Essa
ebbe più di cinque secoli di vita rigogliosa, durante i quali attraversò due periodi
nettamente distinti l’uno dall’altro: il primo ha per centro esclusivo Atene,
il secondo si svolge specialmente a Roma, ove conta fra i suoi seguaci i
cittadini più illustri. Mentre nella prima fase l'insegnamento originario di
Zenone è conservato intatto, nella seconda esso tende all’eclettismo, specie
con Cicerone, Seneca, Marco Aurelio, che attinsero largamente alla filosofia
platonica. I caratteri fondamentali della filosofia stoica sono, a giudisio
dello Zeller, il materialismo in quanto essa pone Dio e l’anima come sostanze
corporee; il dinamismo perchè considera come inseparabili la materia ο la
causa, cioò il principio passivo e l’attivo; il pantelsmo perchè il principio
attivo è uno solo, ed è Dio. Secondo gli stoici la filosofia non è che lo
studio della virtà, ed ha per centro la vita morale dello spirito; tuttavia
essa si distingue in tre parti: logica, fisica, ed etica. Di ciascuna di queste
parti sono date sufficienti notizie in questo vocabolario alle parole
anticipazioni, anima nel mondo, anapodittioi, ecpirosi, mantica, adiafora,
tabula rasa, noo, logos, catalettico, visa, eco. La parola stoicismo si adopera
anche in opposizione ad epicureisino, per designare tutti quei sistemi di
morale che pongono come norma suprema della condotta il dovere. Cfr. H. Arnim, Sloicorum
voterum fragmenta, 1903-1905; L. Stein, Die Psychologie der Stoa, 1886-88; A.
Dyrof, Die Hthik der alten Stoa, 1897; P. Ogereau, Le syatime philos. des
Stoiciens, 1885; 8. Talamo, Le
origini del cristianesimo e il pensiero aloico, 1892. Storia. T. Geschiohie; I.
History; F. Histoire. Può ossere intesa come fatto, 0 come dottrina o
disciplina. La Sto 1128 storia come fatto può a sua volta esser intesa
in tre sensi: generalissimo, generale 6 particolare. Nel primo per storia
s'intende l'evoluzione di tutto l’universo fisico ο morale, in quanto tntto ciò
che esiste, essendo soggetto a cangiamento, esiste nel tempo ed ha quindi una
storia; in questo sonso si usano le espressioni storia della terra, storia
della specie, storia dei mondi, ecc. In un senso meno generale per storia s'intende
lo spirito umano nel suo movimento, ossia 1’ evoluzione complessiva dell’
umanità, nelle suo istituzioni politiche ed economiche, nelle ane forme
giuridiche, religiose, morali, eco. In senso partioolare, e più comune, per
storia s'intende lo svolgimento di quegli avvenimenti umani, che hanno
esercitato una azione visibile sul corso generale della società. La storia come
dottrina ο storiografia, è la ricostruzione, la narrazione e l’interpretazione
di tali avvenimenti; in’ modo più rigoroso è, come la definisce il Bernheim, «
la scienza degli sviluppi degli uomini nella loro attività come esseri sociali
», sebbene questa definizione inchinda nella storia anche la sociologia. La
storiografia è passata attraverso quattro fasi: 13 primitiva o mitioa, in cui
mancano i mezzi di fissazione degli eventi sociali, che sono raccolti dall’imaginazione
fervida del popolo ο trasformati in miti e leggendo; 2° istruttica o
prammatica, che ba per mira non tanto la ricostruzione fedele del passato,
quanto la determinazione delle regole e degli insegnamenti morali, politici o
religiosi, che dal passato si possono ricavare, per guidaro i contemporanei e
illuminare il futuro: la storia è dunque la maestra della vita; 3% medievale ο
religiosa, in cui, per il prevalere del pensiero cristiano, la suocessione dei
fatti storici è considerata come lo svolgersi d’un piano provvidenziale rivolto
a fini lontani 6 imperserutaDili; 4* moderna ο naturalistica, in cui la storia
è considerata come sapere naturale di puri fatti umani, nei loro rap porti di
causalità reale, indipendentemente da qualanqne 1129 Sto preoccupazione morale, politica o
religiosa. Ma intorno alla vera natura della storia regnano profonde divergenze
tra i pensatori moderni, alcuni dei quali la considerano scienza vera ο
propria, «altri arte, altri disciplina a sè, distinta così dalla scienza come
dall’arte. Per i primi i fatti storici sono causali, ed è quindi possibile
ricavarne delle leggi che, al pari di quelle scientifiche, non varranno
soltanto a interpretare il passato, ma anche a prevedere il faturo storico e
sociologico; la storia adotta lo stesso metodo positivo delle altre scienze, e
le sue spiegazioni si ottengono per via deduttiva; alcuni credono anzi
possibile dedurre tutte le leggi storiche da uno o de pochi principi generali,
come il fattore economico, l'analogia biologica, l'interesse, la simpatia,
l'influsso dell’ ambiente, dell'eredità, della lotta per la vita. Per i secondi
i fatti storici non sono causali, cosicchè la costruzione di leggi storiche è
impossibile, e il passato, anzichè interpretato scientificamente, può essere
soltanto artisticamente ricreato o rifatto; però a tale conclusione gli uni
arrivano collocando l’accidentalità nella storia, perchè in essa molto può il
fattore individuale, e da cause lievi possono derivare grandi effetti, e
effetti molto diversi derivare da cause simili, gli altri collocandovi invece
la libertà, in quanto nel divenire peichico, di cui il divenire storico è un
riflesso, si ha una vera © propria creaziono continua di valori, una varietà
incessante dovuta all’eterogenesi dei fini, ai contrasti e alle sintesi
psichicho. L'indirizzo intermedio nega che la storia sia arte, al pari della
musica o della poesia, perchè mentre l’arte ha per fine il bello ο crea essa
stessa la propria realtà, sin puro imitandola dalla natura, la storia invece ha
per fine il vero, per quanto brutto possa essere, © ricerca ln propria realtà
servendosi di processi che le arti ignorano totalmente; e nega che la storia
possa essere scienza, ciod un sistema di leggi, perchè mentre legge significa
univerSTO 1130 salità © ripetizione, storia significa
individualità e muiazione, mentre la legge è lo stesso fatto esteso oltre i
limiti dello spazio e del tempo, la storia è I’ individua zione dei fatti nello
spazio e nel tempo, e mentre infine le soienze della natura sorgono ο si
sviluppano solo in quanto ciascuna può prescindere dal rapporto di solidarietà
che unisco il proprio oggetto con quello di tutte le altre, la storia umana è
un frammento della storia cosmica e il suo procedere è interrotto ed
accresciuto ad ogni istante dal confluire di innumerevoli fattori esterni, che
non si possono, in quanto tali, calcolare in base alla pura conoscenza dei
momenti precedenti. La storia è dunque una particolare disciplina, la quale,
per l’irreducibile singolarità dei fatti che formano il suo oggetto, singolarità
dovuta all’ infinita complessità del loro determinismo. devo procedere da caso
a caso, rinunziando ad ogni generalizzazione mediante le leggi;
nell’aocertamento critico doi fatti essa segue il metodo positivo di tutte le
scienze ο doi sussidi che la glottologia, l'archeologia, la paleografia,
l'antropologia, ecc. possono offrirle; ma poichè l'oggetto della storia non à
la realtà inconscia, bensi la stessa coscienza umana nel suo movimento, essa
richiede in chi la coltiva quell’ intuito psicologico e quelle virtù di
prosatore, che sono indispensabili per indagare lo spirito del passato ο per
farlo rivivere. Cfr. Bernheim, Lehrbuch d. historischen Methode, 1903; Simmel,
Problem der Geschiohtsphilosophie, 1907; Flint, History of the philosophy of
history, 1893; Bourdeau, Z’histoire et les historiens, 1888; Lavolléo, La
morale dans Vhistoire, 1892; Langlois et Seignobos, Introd. aux éludes
historiques, 1898; Altsmira, La inseianza de la historia, 1891; Croce, It
concetto della storia, 33 ed. 1896; Crivellucci, Il concetto della storia, in
«Studi storici », fasc. I ο II, 1899; Ant. Labriola. 11 problema della
filosofia della storia, in Scritti varî, 1906: A. Rava, It valore della storia
di fronte alle scienze nat.. 1131 Sro-STR 1910; C. Ranzoli, Il caso nel pensiero
ο nella vita, 1913, Ρ. 199 segg. : Storicità. La caratteristica del fenomeno
sociale secondo alcuni filosofi. 11 Comte la designa come « una successione ©
filiazione di stati e momenti storici, come intluenza graduale © continua delle
generazioni le une sulle altre ». Il Littré, precisando il pensiero del Comte,
fa consistere la storicità per la quale
il passato determina il prosente, © il presente l'avvenire nella accumulazione,
nella preservazione © trasmissione dei prodotti, sia matoriali sia immateriali,
dell'attività sociale, nella creaziono di un fondo comune di cose da
apprendere, fatto questo esolusivamente sociologico, che non trova riscontro di
sorta in biologia (v. estetismo, istoriemo). Storico (argomento). Alcuni
teologi chiamano così quella fra lo prove a posteriori dell’esistenza di Dio,
la quale, dalla constatazione che la religiosità è propria di tutti i popoli in
tutti i tempi e in tutti i gradi di civiltà, conchiude all’osistenza di un Ente
supremo che risplende nella intelligenza umana. Questo argomento perderebbe
ogni valore qualora fosse mostrato che vi sono o vi furono popolazioni prive
affatto di religiosità; alcuni antropologi infatti lo sostennero, altri lo
negarono, nd può dirsi che la questione sia definitivamente risolta in un senso
o nell’ altro (v. gli argomenti ontologico, ideologioo, morale, fisico,
metafisico). Stratonismo. T. Stratonismus; I. Stratonism ; F. Stratonisme.
L’indirizzo naturalistico © panteistico della filosofia aristotelica,
iniziatosi prima con Teofrasto e poscia più energicamente con Stratone. Secondo
quest’ultimo, l'intelletto ο l’attività rappresentativa costituiscono un tutto
unico: come non v'è pensiero senza intuizione, così non v'è percezione senza la
cooperazione del pensiero; tutt'e due uppartengono all’unica coscienza.
Applicando lo stesso concetto all’analogo rapporto metafisico, Stratone insegna
che STR-SUB 1132 la coscienza o ragione della natura non può
esser considorata come qualche cosa di separato da essa: Dio non può essere
pensato trascendente, come non può essere pensato il voîg. Così esso nega il
monoteismo dello spirito, ed insegnando che non si può pensare la semplice
materia © nemmeno una forma pura, respinge l’elemento platonico della
metafisica aristotelica, che era rimasto nella separszione della ragione dalla
materia, e lo respinge tanto lungi, che ridiventa ‘libero l’ elemento
democriteo: nel divenire universale lo stratonismo vede soltanto la necessità
immanente della natura e non più l’effetto di una causa spirituale, fuori del
mondo. Cfr. Cicerone, De nat. deorum., I, 13, 35; H. Diels, Beriohte der
Berliner Akad., 1893, p. 101 segg. Stroboscopio v. cinetoscopio. Stupore. T.
Stupor; I. Stupor ; F. Stupeur. Nel suo significato comune designa lo stato di
immobilità peichica, a così dire, in cui trovasi chi è colpito da qualche cosa
di meraviglioso © d’inaspettato. Nella psicologia patologica designa un
rallentamento delle espressioni motorie portato al massimo grado. Esso non è
per sò una malattia, ma una sindrome che comparisce frequentemente nello
malattie mentali: se è accompagnato da paralisi psichica si ha lo stupore
epilettico, se da intima serenità lo stupore maniaco. se da tensione interna ©
da stato di ansin lo stupore melanconico, se da negativismo o da intoppo
psichico lo stapore catatonico. Cfr. Whitwell, 4 study of stupor, « Journal of ment. scie. », 1889,
XXXV, p. 360 segg. (v.
atereotipia, confusione). Subalterne (ὑπάλληλαι). Due proposizioni che hanno lo
stesso soggetto e predicato sono subalterne quando hanno la stessa qualità ma
differiscono nella quantità del soggetto, di cui l’uno è universale l’altro è
particolare : ossia 4 ed I, E ed O. La proposizione particolare dicesi subalternata,
Vuniversale subalternante. Dalla verità della universale si inferisce la verità
dolla particolare, ma dalla 1133 Sup falsità della universale non #’ inferisce
la falsità della particolare. Inversamente, dalla verità della particolare non
8’ inferisce la verità dell’universale, ma dalla falsità della particolare si
inferisce la falsità dell’universale. Tutti i ragionamenti a fortiori, sia di
prova che di refutazione, hanno il loro principio fondamentale in questi due
ragionamenti, che ne costituiscono il tipo più semplice. Cfr. F. Ueberweg,
Syst. der Logik, 1874, § 95 (v. conversione, inferenza). Subcontrarie
(ύπεναντίαι). Due proposizioni che hanno lo stesso predicato sono subeontrarie
quando sono particolari ed apposte nella qualità: ossia I ed O. Possono essere
entrambe vore ma non entrambe false. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 225 segg.
Subcosciente. Τ. Halbbewusst, unterbewusst; I. Subconscious; F.Subconeoient.
Parola d’uso recente nella psicologia, ma di valore molto incerto, tantochè
Morton Prince ne espone sei significati differenti. Alcuni psicologi moderni
chiamano così quegli stati particolari di oscuramento psichico o di semisogno determinati
da una diminuita fanzionalità dei processi corticali ο manifestantisi
frequentemente nella pazzia nei quali le impressioni del mondo esterno sono
raccolte con difficoltà ο imperfettamente obbiettivate. Si dicono anche stati
orepuscolari, e possono estendersi a tutta la vita sensitiva, o ad alcune parti
di essa soltanto. Vi sono però molti psicologi che non ammettono tali stati di
subcoscienza, e li considerano o come stati di osonramento psichico o come
semplici processi fisiologici senza il loro correlativo psicologico. Por subcosciente 0 conoosoiente e intende
anche l’attività psichica dissociata dalla personalità ma provvista di
coscienza, ossia l'insieme dei fenomeni psichici rappresentanti la
manifestaziono di coscionzo secondarie che coesistono accanto alla principale.
Secondo alcuni psicologi contemporanei, il subcosciente, così inteso, avrebbe
larga parte nella vita psichica norSus 1134 male e anormale: la nostra condotta, le nostre
opinioni. il nostro umore, i nostri sentimenti sarebbéro grandemente
influenzati da una quantità di fattori psichici di cui moi non siamo coscienti,
ma si quali non si può negare una coscienza, come provano ad es. i fenomeni
della scrittura automatica e come è rivelato dalla stessa introspezione, che ci
testimonia il persistero di una attività coordinata ο intelligente, dalla quale
abbiamo distolto I’ attenzione. Maggiore efficacia ancora avrebbe il subcosciente
nella produzione degli stati psichici anormali 6 supernormali, come gli
sdoppiamenti della personalità, l’ipnotismo, la telepatia, il medianismo. R. Assagioli propone di adoperare le
espressioni : subcosciente, por designare in generale ed in blocco tutto ciò
che esiste e si svolge nella nostra psiche senza che noi no siamo coscienti ;
attività psichica concoacionte ο dissociata per indicare l’attività psichica
dei centri secondari di coscienza; coscienza latente (6, secondo i casi residui
psichici latenti, patrimonio psichico latente, ecc.) per designare tutti i
nostri ricordi, idee, ece., accumulati ed a nostra disposizione, ma fuori del
campo della nostra coscienza attuale. Cfr. Gross, Die cerebrale
Sekundärfunction, 1902; W. Hellpach, Unbewusstes oder Wechseheirkung, « Zeitschrift
für Psych. », XLVIII, p. 238; Morton Prince, The aubconscious, VI* Congr. int.
de psych, Geneve, 1910, p. 71 sogg.; Id., The dissociation of a personality,
1906; Myers, The human personality, 1902; Janet, L’automatieme payohoique,
1889, p. 84 segg., 223 segg., 316 segg.; Patini Concienza, aubooscienza,
incoscienza ο apeichla, « Riv. di psicologia applicata », 1910, VI, p. 24; R.
Assagioli, It eubcosciente, « Rivista di filosofia », aprile 1911, p. 197-206:
C. Ferrari, Le emozioni e la vita del eubcosciente, 1911: J. Jastrow, La
suboonscience, trad. franc. 1908 (+. confusione, incosciente). Sublime, T.
Erhaben ; I. Sublime; Ε. Sublime. Un valore ‘tico che, in tutte lo ste
sottospecie (terribile, tragico, 1135 SUB orrido, solenne, grandioso), è prodotto
dalla percezione o rappresentazione dell’immensità nel tempo ο nello spazio, ©
della potenza fisica o morale. Già Enrico Home determinò il sublime come il
bello quando è grande, e Edmondo Burke lo intese come ciò che con un brivido di
benessere οἱ ‘incute terrore, mentre noi stessi ci sentiamo lontani dal
pericolo d’un dolore immediato, distinguendolo dal bello, che è ogni cosa atta
a suscitare piacevolmente i sentimenti dell’amore umano in generale; ma il
merito di aver fatto l’analisi di questo sentimento spetta a Emanuele Kant, che
pose l’essenza del sublime in una convenienza dell’azione degli oggetti col
rapporto tra la parte sensibile e la soprasensibile della natura umana. Il sublime,
come il bello, si rivolge alle due principali facoltà dello spirito,
l’imaginazione e l'intelletto; ma mentre nel bello queste facoltà agiscono
d’accordo, nel sublimo si trovano in contrasto |’ una coll’ altra. Infatti
l'oggetto non è sublime che perchd colpisce i sensi, ma i sensi o
l’imaginazione si sentono impotenti a raggiungerlo, como di qualche cosa che
sorpassi infinitamente la sfera sensibile e che soltanto l’intelletto può
comprendere. Dinanzi al sublime il selvaggio fugge perchè in esso teme la divinità.
L’ uomo civile non fugge, perchè nulla ha a temere; tuttavia egli non può
sottrarsi ad un senso d’ angoscia, perchè il sublime gli fa sentire tutta la
sua pochezzu materiale; l'emozione del sublime è quindi, nel suo ini
depressiva. Ma al senso primitivo di terrore segue poi un senso di intima
soddisfazione, perchè il sublime desta in noi il senso della nostra morale
grandezza; è così che da depressiva l’emozione diviene esaltativa, e
dall’angoscia passiamo all’ entusiasmo. « Delle roccie sospese audacemente
nell’ aria e quasi minaccianti, dice Kant, delle nubi procellose che si
ammassano nel cielo tra lampi ο tuoni, dei vuleani che scatenano tutta la loro
potenza di distruziono, degli urngani che seminano la distruzione, l’ oceano
immenso solSUB 1186 levato dalla tempesta, la ostoratta d’un gran
fume, sono cose che riducono ad una insignificante piccolezza il nostro potere
di resistenza, confrontato con tali potenze. Ma l’aspetto ne è tanto più
attraente quanto più è terribile, purchè noi siamo al sicuro; e noi chiamiamo
volentieri queste cose sublimi, perchè elevano le forze dell’ anima sopra la
loro mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi un potere di
resistenza di specie al tutto diversa, che ci dà il coraggio di misurarei con
l'apparente onnipotenza della natura.... Il sublime non risiede dunque in alcun
oggetto della natura, ma solo nel nostro spirito, in quanto possiamo avere la
coscienza d’ essere ‘superiori alla natura che è in noi, ο per tal via anche
alla natura che è fuori di noi (in quanto essa ha influenza su noi). Tutte le
cose che eccitano questo sentimento, e ad esse appartiene la potenza della
natura che provoca le nostre forze, si chiamano allora sublimi ». Vi hanno due
forme di sublime: il matematico, dato dallo spettacolo della grandezza sotto la
forma della estensione, ed il dinamico datooi dallo spettacolo della potenza.
Questa distinzione, già fatta da Kant, è accolta dalla grande maggioranza degli
estetici; alcuni però ammettono invece tre forme di sublime: il naturale, a cui
assegnano le tre forme subordi nate dell'estensione, della successione, della
forsa; il sublime intellettuale, che e’ inizia col sentimento di una sorta di
annientamento intellettuale davanti ad un oggetto del pensiero, che non
riusciamo ad abbracciare nella sua complessità, ο si completa col sentimento
della riscossa, della reazione incalzante doll’ intelligenza ο della fantasia
che la sostiene; il sublime morale, che ha origine dall'idea della libertà
consapevole che s’inchina al dovere, ο se ne fa l'organo nella vita © nella
storia. Cfr. Home,
Elements of criticism, 1761; Burke, Esgay on the sublime and beautiful, 1756;
Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, $ 23 seggi; Herart, Lehrbuch ©. Payoh.,
1850, p. 99; Ribot, Peychol. den 1137 Sur sentiments, 1896, p. 339 segg.; Hüffding,
Paycologie, trad. franc. 1900, p. 282 segg., 393 segg.; Masci, Pricologia,
1904, Pp. 396 segg. Subliminale e
supraliminale. I. Subliminal, supraliminal. Con l’espressiono io subliminale,
diffusa nella terminologia filosofica e religiosa dal Myers, #' intende un io
suboosciente, dotato di meravigliose proprietà fra cui quella di essere
indipendente dal corpo e di sopravvivere ad eso; con esso si spiegherebbero i
fenomeni estranorınali della telepatia, dell'ipnotismo, del medianismo, della
ispirazione geniale. Senza accettare le vedute mistiche del Myers, molti
psicologi ammettono l’esistonza di stati subliminali, o subeoscienti, 0
concoscienti, che sarebbero provati sia dai fenomeni normali del sogno, delle disposizioni
innate, ece., come da quelli anormali della dissociazione della personalità,
dell’ automatiamo psicologico, della pazzia, ecc. Io mpraliminale o stati
supraliminali sarebbero quelli della coscienza principale, dell’io empirico.
Cfr. Myers, The human personality and its survival to bodily death, 1902;
Janet, L’automatisme peichologique, 1889; R. Assagioli, 11 subcosciente, un’arena spianata: abrasa, aequalio mentis
arena. Per il Rosmini la tavola rasa è l’idoa indeterminata dell'ente, che è +
in noi dalla nascita. Cfr. Plutarco, Plac., IV, 11; Locke, Essay, 1. 1, cap. 1,
$2; Rosmini, Nuoro saggio sull'origine delle idee, 1830, II, p. 118 (v. a
priori, empirismo, natirismo, sensismo). Talento v. ingegno. Tattile
(sensazione). T. Tastempfindung; 1. Touch senvation; F. Sensation tactile. Le
sensazioni tattili si distinguono in sensazioni di pressione, per cui si
avverte la pressione e il contatto degli oggetti sugli organi tattili; ο
sensazioni di luogo 0 di spazio, per cui si avverte la località del corpo che
viene compressa; dalla associazione di queste due specie di sensazioni
risultano le nozioni della forma e della consistenza dei corpi. Perchè sia
possibile una sensazione di pressione, è necessario che il peso del corpo sia
almeno da 2 milligrammi a 5 centigrammi; perchè si possa avvertire il crescere
della intensità della sensazione stessa è necessario che gli stimoli successivi
stiano fra loro in rapporto come di 1 ad 1 +1}; ciò costituisce la legge di
Weber, che fu poi estesa a tutte lo altro spocio di sonsazioni © suona nel modo
seguente: la sensazione cresce più lentamente dello stimolo, crescendo di
minima differenza quando gli eccitamenti crescono di quantità proporzionali; ο,
in modo più preciso: In sensazione sta allo stimolo che la determina come il
logaritmo sta al suo numero. Quanto alla localizzazione delle sensazioni
stesse, essa è tanto più perfetta quanto minore è la distanza in cui devono
trovarsi le dne punte di ‘an compasso (compasso di Weber) per produrre duo
sensazioni distinte; la Tas-Tau 1146 massima sensibilità si trova sulla punte della
lingua, la minima sul dorso, le braccia e le coscie: in quella, per ottenere
due sensazioni distinte, le due punte del compasso devono distare di 0,5 linee
di Parigi, in queste di 30 linee. Gli organi del tatto sono le terminazioni nervose
contenute nel derma ; nel capo il senso tattilo è esercitato dal 5° paio dei
nervi cerebrali, nel resto del corpo dalle fibre sensibili dei nervi spinali. Nel linguaggio aristotelico-tomistico dicesi
taotue quantitatie quello per il quale una cosa si unisce con un’altra in modo
che le parti aderiscono tra loro; tactus virtutis quello per il quale una cosa
opera sopra un’altra. Cfr. Wundt, Grundzüge d. phys. Psych., 3* ed., II, p. 10
segg.; Hüfiding, Peychologie, trad. franc. 1900, pag. 137, 199, 255 segg. (v.
circoli tattili, corpuscolo, estesiometro, distanza, spazio, superficie,
stereognostico, ecc.). Tassonomia. T. Taxonomie; I. Tazonomy; F. Tazonomie. Dal
greco τάξις = ordine, νόμος = legge. Le leggi e i principi della
classificazione degli oggetti naturali; quella parte della scienza che tratta
della classificazione. Dicesi tassonomica ogni classificazione fatta per tipi
astratti; ad essa si contrappone lu classificazione genetica, nella quale gli
oggetti sono invece disposti secondo la loro genesi formativa o il principio
causale della loro formazione. Tautologia. T. Tautologie; I. Tautology; F.
Tautologie. Del greco taité = medesimo, λόγος = discorso. Si dicono così quelle
definizioni erronee, in cui il concetto da definirsi è contenuto, sia
palesemente sia copertamente, nel definiente. Così la comune definizione del
giudizio l'atto mentale per cui si afferma o nega è una tautologia, perchè ciò
che costituisce il giudizio è appunto l’affermare o il negare. Secondo alcuni
logici la definizione tautologica non sempre è illegittima, essendo in alconi
cusì l’unico modo di determinare un concetto primitivo (v. circolo vizioso,
diallelo, petizione di principio). 1147 Tav-Tkc Tavole di Bacone. Sono in numero di
tre, di pre senza, di assenza o declinazione, di comparazione o gradazione;
corrispondono rispettivamente ai tre metodi di concordanza, di differenza e
delle variazioni concomitanti dello Stuart Mill. Codeste tavole hanno lo scopo
di rappresentare il risultato complessivo delle ricerche fatte iutorno alle
cause di un dato fenomeno. Quella di presenza riunisce tutti i fatti nei quali
si trovano le cause presunte; in quella di assenza sono enumerati i casi in cui
una di queste cause sarà mancata; in quella di comparazione sono indicate le
variazioni corrispondenti degli effetti e delle cause. Come esempio delle tre
tavole, Bacone si propuno di ricercare la causa dal calore: nella prima espone
tutti i casi conosciuti nei quali si osserva produzione di calore; nella
seconda enumera i casi in cui manca il calore pur essendovi la luce (luna,
stelle © comete); nella terza indica i casi in cui il calore cresce o
diminnisce col crescere © diminuire del volume dei corpi, del loro movimento,
della distanza dalla sorgente di calore, ecc. Cfr. Bacone, Nov. organum, 1856,
1. II, XI segg. Tecnica La tecnioa d’una scienza sperimentale non è che
l'insieme delle operazioni manuali che le esperienze richiedono ; il metodo è
invece l'insieme delle norme logiche proprie della scienza medesima.
Tecnologia. I. Technologie; I. Tecnology; F. Technologie. La scienza che si
oceupa delle regole pratiche, delle arti ο tecniche che si osservano nelle
società umane adulte e provviste d’un certo grado di civiltà. Alcuni la distinguouo
dalla prazeologia, cho ha un senso più generale e riguarda tutte lo
manifestazioni collettive del volere, sin spontanee che riflesse. La tecnologia
comprende tre sorta di problemi: 1° la descrizione analitica delle arti, le
loro varie specie, la loro classificazione sistematica in un piecolo numero di
tipi essenziali; 2° la ricerca delle leggi per eni ogni gruppo di regole appare
© dello cause cui Tri-TEL esse devono la loro efficacia pratica; 3° lo studio
del divenire di osse, sia in uns data società sia nell’ intera umanità, dalle
più semplici alle più complesse, attraverso lo alternative di tradizione ο d’
invenzione. Teismo. T. Theismus; I. Theism; F. Theisme. Consiste nell’
ammettere l’esistenza di una divinità personale, liDera od intelligente, cui
devesi la creazione © la conservazione del mondo e la provvidenza. J! deista,
dice Kant, credo in Dio, il teista oredo in un Dio viento (summam intelligentiam).
Perciò ei distingue non solo dal deismo, ma anche dal panteismo, dal
politeismo, dal dualismo religioso, ecc. Secondo lo Zeller, il fondatore del
teismo fu Aristotele, per il quale Dio è pura forma, pensiero doi pensieri,
primo motore immobile. Ma più che un essero dotato di volontà © di personalità,
il Dio aristotelico è ancora un semplice concetto astratto, un pensiero
teorico. Il vero teismo religioso si ha nelle tre grandi religioni, giudaismo,
islamismo, oristianesimo e più spiccatamente in quest’ ultima; infatti nello
due prime domina la tendenza ad affermare l’unità e la trascendenza divina, a
scapito degli attributi personali, mentre nel cristianesimo la personalità
divina è il concetto fondamentale, che ne informa così il contenuto dottrinario
come quello pratico. Cfr. A. Campbell Fraser, Philosophy of Theiem, 1903; P.
D'Ercole, Il teismo,1884; C. Ranzoli, 1) agnostioiemo nella filosofia
religiona, 1912, p. 193 segg. (v. Dio, personalità, deiemo, religione).
Telegonia. T. Telegonie; I. Telegony; F. Télégonie. Il trasmettersi nella prole
di un dato maschio doi caratteri propri di un altro maschio antecedentemente
accoppiatosi con la stessa fomminn, per la supposta modificazione stabile
apportata dal primo alla matrice di questa. La telogonia è uno dei fonomeni più
oscuri ο incerti dell’ eredità. Alcuni casi osservati in animali inferiori ο in
pianto attesterebbero la possibilità del fenomeno. Cfr. J.C. Ewart, The
Penyouik erper., 1899. 1149 TEL Telencefalo. Nella divisione dell’
encofalo adottata dalla Commissione per la nomenclatura anatomica divisione
basata sugli abbozzi embrionari dell’ encefalo stesso = il telencefalo è tutto
il cervello anteriore, ο comprende V’iufandibolo, l’ipofisi, il tratto ottico,
il chiasma, il corpo striato, il setto lucido, i ventricoli laterali e il mantello
cerebrale. Insieme al diencefalo, 0 cervello intermedio comprendente i corpi
mamillari, i talami, i corpi genicolati, il corpo pineale e il terzo ventricolo
costituisce il prosenogfalo,
corrispondente ad una delle tre vescicole cerebrali primitive. Le altre due
vescicole dànno luogo al mesencefalo, o cervello medio, e al rombencefalo, che
si divide alla sua volta in metenoefalo ο cervello posteriore, e mielencefalo ο
retrocervello. Teleologia. T. Teleologie; 1. Teleology: F. Téléologie.
Etimologicamente significa: scienza dei fini. Per Kant è la scienza che si
occupa della finalità di quegli oggetti naturali, ch'egli chiama fini di
natura, i quali non si possono pensare realizzati se non secondo un concetto
finale; tali oggetti sono gli esseri organici. Qualche volta la parola
teleologia è anche adoperata ad indicare la finalità di un carattere ο di un
avvenimento, la proprietà di un essere o di un oggetto in rapporto alla causa
finale: così dicesi teleologia del sentimento il suo carattere protetticioè il
suo ufficio di conservazione dell'esistenza animale. Più spesso designa quella
parte della filosofia che si applica allo studio sia dello scopo finale delle
cose, sin del fine d’ogni essere particolare. In generale, però, per teleologia
non s'intende nè una scienza a sè nè una parte distinta della filosofia, ma
soltanto il sistema di esplicazione dei fenomeni dell'universo mediante le
cause finali o intelligenti, © in questo senso ai oppone a meccanismo, à
fataliemo © talvolta anche a casualimno. Così intesa, la teleologia ο
teleologismo 8) inizia nella storia della filosofia con Anassagora, celebrato
anche da Platone o da AristoTer 1150 tele come il primo che, con la sua dottrina
del vo5g ordinatore del mondo, elevasse teoreticamente il concetto di valore
della bellozza e della perfezione a principio di spiegazione. Una orientazione
diversa ha In teleologia in Socrate: mentre in Anassagora essa si riferisce
all’armonia del mondo celeste, non alla vita dell’uomo, le osservazioni che
sono attribuite a Socrate, specialmente da Senofonte, fanno dell’ utile dell’
uomo norma dell’ammirazione dell’ universo. Quindi la teleologia socratica à
tutta esterna, riferendo ogni cos al bene dell’ uomo come al suo fine supremo.
Nella morale Socrate si rappresenta la sapienza che deve regolare l’attività
umana como una riflessione tutta esterna sulla utilità degli atti particolari;
non altrimenti, la sapienza divina che ha formato il mondo, ha regolato ogni
cosa per il vantaggio dell’ uomo, il sole per rischiararlo di giorno, la luna e
lo stelle per rischiararlo la notte, gli animali per nutrirlo, eco. Più
profonda è la teleologia di Platone: come causa finale di tutto |’ accadele
egli pone le idee, ma specialmente l’idea più elevata, a cui tutte le altre si
subordinano come meszo, l’iden del bene, che è contrassegnata poi come ragione
del mondo (νοῦς), come divinità. Le cose partecipano del bene perchè sono
ombre, imitazioni, copie delle idee, e le idee mettono capo tutte all’idea
suprema del bene, che è Dio stesso. Lo spirito di Socrate e di Platone rivive
in Aristotele, nel quale la teleologia ha pure grande importanza: il passaggio
dalla potenza all’atto, dalla materia indeterminata alla forma determinata, non
può effettuarsi che per mezzo del moto d’una causa efficiente, la quale nella
sua azione tende a raggiungere un fine; causa efficiente © causa finale sono
dunque i due principi che, insieme alla materia ο alla forma, ci dànno
un'adeguata spiega zione delle cose e della natura. Adeguata, ma non per fetta:
come spiegare il moto incessante verso il meglio che agita tutto le cose della
natura? Se ο) ὃ moto, dice 1151 TRL Aristotele, dovrà esserci un principio
primo da cui il moto derivi, un motore, che senza esser mosso muova il tutto:
questo primo motore immobile è Dio, la forma più alta ο il fine più alto, che,
appunto perchè tale, muove il mondo per l’irresistibile attrattiva della sua
bellezza, por l'inestingnibile desiderio che suscita di sè nelle cose. La
teleologia di Aristotele durò attraverso tutta l'età di mezzo accanto a quella
cristiana, nella quale a Dio e alla sua provvidenza è fatto risalire il mondo e
tutto ciò che in esso accade, e fu combattuta insieme con questa dal meccanismo
naturalistico del Rinascimento. Leibnitz prima, © Lotze più tordi, tentarono di
conciliare 1’ intuizione meccanica e la concezione teleologien del mondo; Kant
sostenne che la scienza della natura non può essere se non meccanica, ma che,
d’altro canto, vi sono dei limiti oltre i quali la spiegarione meccanica non
può andare, dei punti nei quali è innegabile l'impressione della finalità, e
questi sono la vita © le leggi spoviali della natura, che necessitano per
essere comprese di una considerazione teleologica; per Fichte il problema della
dottrina della scienza è di comprendere il mondo come una connessione necessaria
di attività razionale, e la soluzione si ottiene da ciò, che la riflessione
della ragione filosofica riconosce il proprio fare e quel che per esso è
necessario, cosicchè la necessità che prevale in questo sistema della ragione
non è cansale ma teleologica ; per Schelling In spiegazione causale-meccanica
della natura è una pura mppresentazione intellettualistica, mentre l’unità del
piano che la natura segne nella serio degli esseri viventi è l’espressione di
una graduale realizzazione dello scopo. Ogni forma di idealismo realistico o
spiritualismo monistico è, del resto, teleologica; il suo problema fondamentale
è appunto di dimostrare come le leggi meccaniche formulato dalle scienze della
natura possano essere il veicolo o la rivelazione del realizzarsi dei fini. Lo Stuart Mill adopera questo termino TEL 1152 per designare l’arte della vita, cho comprende
tre branche distinte: la morale, la politica e l'estetica, ο cioè l’onesto,
l’opportuno e il bello nelle azioni e nelle opere dell’uomo. Cfr. Senofonte,
Memorabili, IV, 7, 6; Platone, Rep., VI, c. 19, VII, ο, 3; Id., Leggi, X, ο. 8,
10, 11; Aristotele, De aa., MI, 12, 434 a, 31 sogg.; Id., Metaph., I, 3, 983 a,
31 segg.; Leibnitz, Phil. Schriften, ed. Gerhardt, IIT, p. 607; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878,
II, $ 61; Schelling, Fom Ich als Princip der Philos., 1795, p. 206 segg.;
Windelband, Storia della filosofia, trad. it., II, 310 segg. (v. causa finale, finalità, fino). Teleologico
(argomento) v. fisico. Tolepatia. T. Telepathie; I. Telepathy; F. Télépathie.
Neologismo introdotto nel linguaggio psicologico e comune da Gurney e Myers
(1882) per caratterizzare la loro posizione indipendente di fronte sia agli
spiritisti sia agli scettici. Significa, etimologicamente, sentire a distanza:
ma oggi si designano specialmente con questo nome tutti quei casi nei quali un
individuo percepisce, o crede percepire, a distanza, e senza il concorso dei
sensi ordinari, ciò che accade ad un altro individuo da lui più o meno lontano.
Il fenomeno può avvenire tanto nel sonno, sotto forma di sogno, quanto allo
stato di veglia, sotto forma di visione. Alcune volte è lo stesso individuo,
oggetto della visione, che sppare innanzi al veggente, non come fantasma ma
come essere reale; altre volte è il veggente stesso che si sente come
trasportato ad assistere alla scena. che si svolge nello stesso tempo, lontano;
altre volte ancora è un avvenimento inatteso e inesplicabile, che si produce
d’un tratto ο sembra essere il simbolo telepatico del fenomeno che si svolge da
lungi. Quanto al valore dei fenomeni telepatici, una inchiesta promossa dalla
Società per le ricerche psichiche di Londra e comunicata al terzo Congr. int.
di psicologia del 1896, condusse alla conclusione che vi è un caso di
coincidenza reale ogni 65; 1’ 1158 Tel chiesta, condotta con tutte le precauzioni
atte a garantire l autenticità delle testimonianze, fu estesa a 17,000 persone,
îl che dà una proporzione di coincidenza circa 292 volte maggiore di quella che
si potrebbe prevedere come la più probabile so fossero dovute soltanto al caso.
Ammessa la realtà dei fatti, resta da ceroarno la spiegazione. Alcuni, come il
Lodge, si mantengono in una prudente riserva: « Qual’è il mezzo per cui si fa
la comunicaziono a distanza? È l’aria, come pel diapasont è l'etere como per la
calamita? è qualche cosa di non fisico ο d’esclusivamente psichico Nessuno può
dirlo.... Intanto è chiaro che la telepatia ci si presenta come la
manifestazione spontanea di quella intercomumicazione di spirito a spirito (ο
di cervello a cervello) che in mancanza di una miglior denominazione, chiamiamo
trasmissione del pensiero... Qual’è il significato di questa risonanza
inattesa, di queste ripercussioni sintoniche tra intelligenze? Si deve pensare
che esse siano il germe di un nuovo senso, di qualcosa che la razza umana è
destinata a ricevere, nel corso della sua evoluzione, in una più forte misura?
Oppure è il residuo di una facoltà posseduta dai nostri antenati animali prima
che esistesse il linguaggio? Io non desidero faro delle speculazioni, io non
voglio nulla affermare se non ciò che ritengo esser fatti solidi © verificabili
», Più andace, il Myers rigetta l’ipotesi fisica delle vibrazioni intercerebrali
e di qualsiasi forma imaginabile di ondulazioni © radiazioni materiali o etereo
capaci di mettere in rapporto organismi distanti; ogli afferma che la telepatia
è una intercomunicazione diretta delle anime, che certi segmenti della
personalità subliminale, dissociati dal resto e distaocati dall'organismo,
possono talora impressionare a distanza un’altra personalità, che la
comunicazione può avvenire, anche tra viventi e defunti cosicchè, infine, la
telepatia diventa la legge universale, che riunisce tutti gli esseri, incarnati
e disincarnati, viventi in questo o in altri mondi, 73 Ranzors, Dizion. di scienze filosofiche. | Τατ
ΤΕΝ 1454 in uno splendido universo di vita spirituale e
morale. Cfr.
Gurney, Myers, Podmore, Phantarms of the living, 1886; Id., Census of
allucination, 1890-96; R. Osgood Mason, Telepathy and the subliminal Self,
1897; Myers, The human personality and ite survival to bodily death, 1902; Th. Flournoy, Eeprite ot
mediums, 1911; O. Lodge, La survivence humaine, trad. franc. 1913; G. B. Ermacora, La telepatia, 1898;
Enrico Morselli, I fenomeni telepatici, 1898. Telesiologia. Con questo nome I’
Ampère designava la morale normativa o pratica per distinguerla da quella
puramente descrittiva indicata col nome di Etica. Temperamento. T. Temperament
; I. Temperament : F. Tempérament. Vien dal latino temperiss, che significa
umore; infatti gli antichi credevano che l'indole varia degli individui
dipendesse dal prevalere nell’ organismo di uno dei quattro umori principali:
sangue, bile, flegma e atrabile. Da ciò la olassificazione ippocration dei temperamenti,
accettata ‘in tutta l’antichità, nel medioevo e anche ai giorni nostri, in:
sanguigno, bilioso, flemmatico © melanconico. In questo senso, carattere e
temperamento sono sinonimi; l’uno e l’altro indicano la differenza caratteristica
nella struttura congenita organico-psichica degli individui, differenza che si
rivela nel modo abituale di reagire agli stimoli, di comportarsi nelle
circostanze della vita. Codesta differenza è tanto maggiore quanto più largo è
il differenziamento psichico delle individualità; negli animali inferiori il
temperamento d’un individuo è quello stesso della specie, negli animali
superiori apparisce già il differenziamento individuale, che nell’ uomo civile
e colto acquista il più alto grado. Ma dal temperamento si suol distinguere il
carattere morale, che non è, come quello, greditario, ma piuttosto acquisito, e
formato dall’ insieme di quelle qualità psichiche e morali, che ἄληπο una particolare
impronta così agli individui, come alle famiglie © alle razze. Nella moderna
psicologia, la classificazione 1155 Tem ippocratioa dei temperamenti è accolta nel
sonso, che le diversità dei temperamenti dipendono dalla diversa forza,
celerità © vivacità con cui le impressioni sono ricevute, conservate, e viene
ad esso roagito; ma che, a sua volta, questo stesse funzioni nervose e
psicologiche possono essere modificate secondo che uno degli umori indicati da
Ippocrate (sangue, flemma, bile) sovrabbondi o sia in difotto nell'organismo.
TI temperamento sanguigno dipenderebbe dall’abbondanza dei globuli rossi del
sangue, dalla ricchezza di materiali assimilabili dai tessuti, dalla buona
salute, ο sarebbe caratterizzato dalla vivacità ο dalla instabilità della
reazione agli stimoli, da vita interiore varia ο ricca, manifestantesi anche
nella mobilità della persona. Il malinconico risponderebbe alle condizioni
fisiologiche opposte, e sarebbe caratterizzato da una certa lentezza percettiva
e sensitiva, debolezza della vita interiore e quindi scarsa partecipazione al
mondo esteriore. Il collerico dipenderebbe invece dalla sovrabbondanza della
hile, dal versamento di essa nel sangue, dal quale sarebbe portato ai tessuti,
specie al nervoso, sul quale agirebbe come stimolo eccitatore di reazioni
violente e subitanee. Il flemmatico, infine, dipenderebbe dalla scarsezza dei
globuli rossi del sanguo e dalla abbondanza dei tessuti inerti (liquido
linfatico, tessuto connettivo, grasso), i quali, abbassando it potere
funzionale degli elementi nervosi, determinerebbero negli individui la matura
riflessione delle deliberazioni, e la reazione lenta ms misurata e adeguata.
Cfr. Galeno, De temp., I, 5, 8; Seneca, De ira, II, 18, 19; Holbach, Syst. de
la nat., 1770, I, p. 121; Kant, Anthrop., II, § 87; Volkmann, Lehrbuch. d.
Peycol., 1894, p. 206; Wundt, Grundziige d. phys. Peyohol., 3° ed., IT, p. 421
segg.; Masci, Paicologia, 1904, p. 459 segg.; N. R. D’Alfongo, La dottrina dei
temp. nell'antichità e ai nostri giorni, 1902 (v. etologia). Temperansa. Τ.
Mäwigkeit; 1. Temperance ; F. Tempirance. Una dello quattro virtà cardinali,
cho consiste Tr 1156 nella moderazione delle passioni ο dei
desideri, specialmente sessuali. Comunemente si fa sinonimo di sobrietà, ma
questa è una virtà più particolare, subordinata alla temperanza. 8. Tommaso,
fra le virtà che ne dipendono, annovera: l'astinenza, la sobrietà, la decenza,
il pudore, la modestia, eoc. I filosofi pagani non l’intendevano diversamente;
così per Aristotele la temperansa è una via di mezzo fra la sregolatezza e
l’insensibilità per i piaceri, © Cicerone la fa consistere nell’ordine e nella
misura che si deve osservare in tutto ciò che si fa ο si dice. Cfr. G. Grote, Aristotele,
1880, p. 581; Stephen, The science of cthics, 1882, p. 190 segg. (v. cardinali). Tempo. T. Zeit; I. Time; F.
Temps. La forma misurabile della continuità di ogni processo reale; ο, più precisamente,
un continuo illimitato sd una sola dimensione, di cui noi occupiamo un punto
determinato, che si sposta costantemente nella medesima direzione. Esso è
inconcepibile distinto dallo spazio, essendo le due idee correlaοἱ infatti
l’idea di coesistenza, che à il carattere dello spazio, non può formarsi se non
supponendo l’idea del tempo, il quale a sua volta si fonda sulla sucoessione,
che richiede le idee di direzione e di dimensione. La natura del tempo, come
quella dello spazio, fu concepita nolla storia della filosofia in due modi
fondamentalmente diversi, e cioò come una realtà puramente soggettiva ο come
una realtà oggettiva; se si considera come una semplice idea, rimane da
risolvere la questione se tale idea sia a priori o un prodotto della nostra
esperienza sensibile. Tra i filosofi greci il tempo, come riferisce Plotino,
era concepito in tre modi: come moto, sis în generale sia quello delle sfere
celesti; come la stessa sfera celeste moventesi; come una determinazione del
moto, © più specialmente come estensione del moto per gli stoici, come numero
del moto per Aristotele, come accompagnamento del moto in generale per Epicuro.
Secondo la concezione 1157 Tem aristotelica, la più importante, il tempo
è infatti qnalcho cosa di numerato, contenente cioè distinzioni interne che
posson essere calcolate © sommate, prodotte dal movimento considerato in
rapporto alla successione delle suo parti; per movimento (κίνησις) egli intende
non tanto il cangiamento qualitativo, come quello quantitativo, cioè il
cangiamento di posizione nello spazio; In continuità del tempo deriva dalla continuità
del moto, che, a sua volta, dipende dalla continuità dell’ estensione corporea.
Secondo Platone, seguito poi da Plotino e da Giamblico, il tempo è una
creazione del Demiurgo, è generato della assidus energia dell’ anima che cerca
di esprimere nella materia l’infinita ed eterna pienezza dell’ essere, e poichè
ciò non può fare d’un tratto, è forzata ad una serie successiva di atti; il
tempo è questa vita dell’anima, mentre l'eternità è la vita dell’ essere
intelligibile nella sua totalità piena, assoluta, immutabile. Con S. Agostino
il tempo si interiorizza, trasferendosi dall'anima del mondo al” anima umana;
egli crede, con Platone, che il tempo è obbiettivo, essendo stato creato da Dio
con la creuzione del mondo, ma con felice contraddizione sostiene poi che esso
è il solo presente misurato dalla coscienza: c’è un presente di cose presenti,
un presente di cose passate, e nn presénte di cose future, il primo nell’ attenzione,
il secondo nella memoria, il terzo nella aspettazione. Nell’ età di mezzo, la
formula aristotelica che il tempo è una relazione o un aspetto del movimento,
vale a dire il numero del movimento secondo il prima e il poi, è generalmente
accettata, quantunque per gli scolastici esso sin considerato più che altro
come la base obbiettivamente valida della costruzione mentale del tempo. Gli
scolastici distinsero anche il tempo, a cui è essenzialo la succes sione, dalla
durata che, applicata a Dio ο agli angeli, non ha tale carattere; tale
distinzione ricompare poi in Cartesio, che considera il tempo come derivato dal
confronto delle durate di certi movimenti regolari, e più ancora in Leibnitz,
per il quale ogni cosa ha la propria durata, ma non il proprio tempo, essendo
questo esteriore alle cose, delle quali serve a misurare la durata. Secondo il
Leibnitz il contenuto del tempo non è fatto di cose, ma di percezioni di cose; non
è dunque che una relazione, un ordine di successione delle nostre percezioni;
esso ci appare come infinito, ma tale suo carattere gli deriva dal non avere
noi alcuna ragione di limitare il numero delle successioni possibili. E il
Kant, spingendosi ancora più oltre, considera codesta successione delle nostre
percezioni esser data dalla costituzione stessa del nostro spirito, non da un’
asione snocessiva delle cose sullo spirito stesso: il tempo non è, come lo
spazio, che una forma a priori della nostra sensibilità, la forma cioè nella
quale intuiamo i dati del senso interno, valo a dire i fatti psichici ©,
indirettamente, quelli fisici; quindi il tempo come lo spazio, ha una realtà
empirica in quanto è la condizione a priori di ogni esperienza possibile, ο una
idealità trascendentale in quanto non ha alcun valore obDicttivo al di là della
esperienza. La concezione del tempo come realtà indipendente fu invece
sostenuta da Newton, per il quale il tempo assoluto, matematico, è qualche cosa
che fluisce uniformemente per sò stesso e per sua propria natura, senza nessuna
relazione con qualche cosn di esteriore e senza alcun legame col cangiamento;
ma sia i filosofi inglesi anteriori a Kant, come Hobbes, Locke, Berkeley, Hume,
sia i filosofi tedeschi posteriori a Kant, come Fichte, Schelling, Herbart,
Hegel, ece., sostengono invece la concezione soggettivistica, riguardando il
tempo © come l’astratto mentale del rapporto di successione dei fatti, o come
un prodotto dell’ attività del soggetto al quale ogni esperienza è relativa.
Uno svolgimento originale della concezione soggettivistion di Kant ha dato il
‘Teichmiiller; egli considera Vordine temporale obbiettivo 1159 TEM come una veduta prospettiva della
coscienza, dell’ io sostanziale per sò fuori del tempo, e la durata come una
pura misurazione immanente di codesto ordine; l’intera serie dei fenomeni dell’
universo, press assolutamente, deve essere considerata come tutta attuale in
una sola volta; se noi facciamo astrazione dalla natura prospettiva della
coscienza © dal confronto, mediante l’aspettazione ο la memoria, di parte del
suo contenuto ideale con altre parti, ogni disposizione cronologica e ogni
durata temporale scompare; il concetto puro del tempo non ha in sè nessuna
dimensione, o grandezza, 1’ ora e il secondo sono identici. Per il Galluppi il
tempo non esiste indipendentemente dalle cose ed ha per corrispondente
obbiettivo lu causalità, mentre la sun valutazione soggettiva è il numero; la
causalità è l’oggettivo del tempo perchè essa implica un prima e un poi,
identificandosi la nozione di ciò che incomincia ad esistere con la nozione di
ciò che è prodotto; esso si misura col moto, appunto perchè il moto è la
produzione di uno spazio, e misurando uno spazio generato si ottiene un numero
di effetti, cosicchò si attua anche qui l’assioma matematico, che la misura
deve essere omogenea al misurato; il numero, infine, non ceiste che nello
spirito, in quanto è quell’operazione montale con cui si uniscono în una idea
differenti unità considerate. Per il Rosmini il tempo non esiste nelle cose materiali,
essendo la successione segnata gradustamente dal principio senziente sulla
durata; la successione, poi, suppone una serie di più avvenimenti appresa come
tale dal principio senziente; ma perchè questo apprenda come suo termine più
avvenimenti successivi, è necessario che cssi rimanendo in qualche modo in lui,
si renduno contemporanei, perchè è evidente che se dopo averne appreso uno,
questo passasse del tutto, © ne venisse un altro, gli avvenimenti apparirebbero
singolari come sono in sò stessi; il tempo implica dunque la memoria, la
percezione di eventi reali e il giudizio sugli eventi che precedono, cossistono
e succedono. Nella moderns psicologia il tempo è considerato generalmente come
uns idea di origine empirica, che risulta da questi due olementi : 1° la
coscienza del cangiamento, ossia della successione; essa si produce per opposizione
a una sensazione costante, o sentimento fonda mentale; 2°la rappresentazione di
certi stati profondamente impegnati nella coscienza ; il riconoscimento di
questi stati rende possibile uns certa misura e un certo aggrnppamento nella
serie delle modificazioni. L'esistenza d’un sentimento costante sotto il
variare degli stati psichici successivi, costituisce come il fondo
relativamente fisso per opposizione al quale la variazione e la successione
possono nettamente risaltare; la sola suocessione della sensazione, © il
semplice sentimento costante, non sarebbero sufficienti a formare I’ idea di
tempo. Cid dà ragione dell'incertezza della valutazione del tempo fondata soltanto
sulla variazione dei nostri stati interni: i momenti di dolore intenso, ο di
nois, ci sembrano più lunghi che quelli passati fra il succederei di
avvenimenti diversi ο complessi ο sotto il dominio di una idea intensa che ci
assorbe; retrospettivamente, invece, ci sppare più lungo il tempo in cui furono
più varié, intense e numerose le sensazioni, più breve quello în cui furono
rade e uniformi. Una nuova concezione paicologico-metafisioa del tempo, che
sembra conciliare la veduta obbiettivistica e la soggettivistica, è sostenuta
oggi dal Bergeon, per il quale la realtà totale, così interna come esterna, è
essenzialmente tempo, durata pura, corrente di vita. Sviluppando le ideo già
formulate dal Guyau, egli sostiene che la vera durata, quale possiamo coglierla
in noi stessi con uno sforzo d’ introspezione, è l’eterogeneità pura, cioè una
successione di cangiamenti qualitativi che ei fondono, si conglobano, si
penetrano, senza contorni precisi, senza alcuna tendenza a esteriorizzarsi gli
uni rispetto agli al 1161 Tem tri. Ma,
ossessionati dell’ idea di spazio, noi l’ introduciamo senza accorgercene nella
nostra rappresentazione della successione pura; sovrapponiamo i nostri stati di
coscienza in modo da percepirli simultaneamente, non più l’uno nell’altro; in
breve noi proiettiamo il tempo nello spazio, esprimiamo la durata in
estensione. La soienza non fa diversamente, in quanto definisce il tempo
mediante la sua misura e ogni misura implica traduzione in estensione. Per
comprendere la nostra realtà profonda, e, in analogia con essa, la realtà
evolutiva esteriore, noi dobbiamo dunque riconvertire il tempo in durata,
pensare noi stessi ο le cose come una evoluzione melodica di momenti, di cui
ciasouno contiene la risonanza dei precedenti ο annuncia quello che sta per
seguire, come un arricchimento che non #'arresta mai e una apparizione perpetua
di novità, come un divenire indivisibilo, qualitativo, organico, straniero allo
spazio, refrattario al numero. Cfr. Platone, Timeo, 97 c, 38 d; Aristotele,
Phys, IV, 11, 219 b, 2 segg.; Plotino, Enn., III, 7,7; 8. Agostino, Civ. Dei,
XI, 5; Id., Conf., XI, 14; Cartesio, Pr. phil., I, 57; Leibnitz, Nouv. Kee, 1, cap. 14, $ 15
segg.; Kant, De mund. sens., $ 14; Id., Krit. d. reinen. Vern., ed. Kehrbach, p. 60
segg., Schelling, Syst. d. tr. Idealiemue, 1801, p. 213 segg.; Hegel, Naturph.,
1834, p. 52 segg.; Herbart, Allgemeine Metaph., 1828, p209; Teichintiller,
Met., 1874, $ 287 segg.; Bain, Sennes and intellect, 1870, p. 371 segg.;
Shadworth Hodgson, Time and space, 1865, p. 121 segg.; G. S. Fullerton, The
docirine of space and time, 5 articoli in « Philos. Rev. », 1901; I. Royce, The world and the individual,
1901, vol. II, p. 109 segg.; Galluppi, Lezioni di logica ο metaf., 1854, III,
p. 1068-97; Rosmini, Pricologia, 1848, II, p. 189 vegg.; Ardigò, Op. fl, vol.
II, p. 110 segg., V, 259 segg., VII, 88 segg.; Guyau, La genèse de l’idée de
temps, 1902; Borgson, Essai sur les données imm. de la conscience, 1904, p. 57
segg.; Covotti, Le teorie dello spazio e del tempo nella fil. greca fino ad
Aristotele, Pisa, 1897 (v. durata, intuisione, iatante, momento, spasio,
tempuscolo). Tempo di reazione. T. Keaktionseit; I. Reaction time: F. Tempe do
réaction. O tempo peicologico ; è l'intervallo di tempo che intercede tra
l’avvertire una impressione e il rispondere ad essa con un movimento, o, in
altre parole, il tempo necessario perchè 1’ individuo reagisca con un movimento
all’impressione ricevuta. La reazione si compone per tal modo di tre momenti:
1° 1’ onda nerYous che trasmette dalla periferia al centro l'eccitazione: 2° la
coscienza di essa che sorge nel centro medesimo, e l impulso volitivo al
movimento; 3° l'onda nervosa che trasmette l’ impulso dsl centro ad un muscolo
periferico, che si contrae e determina il movimento. Le reazioni possono essere
semplici e composte. Si dicono semplici quelle costituito soltanto dei tre
momenti accennati; esse hanno luogo quando l’individuo risponde sempre con uno
stesso movimento ad una stessa impressione (visiva, uditiva, ecc.). Sono
composte quelle in cui, rimanendo il primo e il terzo dei momenti accennati, il
secondo, quello οἱοὺ relativo alla funzione centrale ο cosciente, viene
complicato, Tale complicazione si può produrre facendo reagire il soggetto, ©
soltanto quand’abbia distinto la differenza di qualità © quantità fra due ο più
stimoli contomporanei; 0 quando abbia riconosciuto a quale delle sensazioni
provate antecedentemento lo stimolo attuale debba riferirsi; ο quando abbia
scelto fra due possibili reazioni quella impostagli per ogni determinato
stimolo; o, infine, quando abbia associato all’ impressione attuale una imagine
mentale che ad essa si collega. I risultati di tutte queste esperienze,
ottenuti nei diversi laboratori di psico-fisiologia, sono sssai oscillanti; ciò
dipende non solo dall’attitudine ο dalla pratica maggiore o ininore degli
sperimentatori, dalla perfezione degli apparecchi, dal numero delle esperienze,
ece., ma anche da altro influenze modificatrici, che sono: la 1163 Tem-Ten maggiore o minore intensità degli
stimoli; le condizioni organiche ο psichiche del soggetto; l’aspettazione o non
dell’impressione; la durata maggiore o minore dell’attenzione aspettante; gli
stimoli diversi che distraggono il soggetto, ecc. In base 9 ciò si distinguono
varie specie di reazione: la r. erronea, quando il soggetto non risponde
all’impressione stabilita, ms sd un’altra prodottasi casualmente; la r.
anticipata, quando il soggetto reagisce prima che lo stimolo abbia realmente
agito; la r. muscolare, quando l’attenzione del soggetto è rivolta massimamente
all’azione muscolare da compiere in risposta all’ecoitazione; la r. sensoriale,
nel caso inverso. Cfr. Wundt, Physiol, Ροψολοὶ., 4° ed. 1890, vol. II, p.
305-390; Jastrow, Time relations to mental phenomena, 1890; Flournoy, Arch. d.
scie. phys. ot nat., XXVII, p. 575, XXVIII, Ρ. 319; Buecola, La leggo del
tempo, 1880; Patrizi, Rio. aperim. di prichiatria, XXIII, 257; A. Aliotta, La
misura in psicologia sperimentale, 1905 (v. equazione personale). Tempo
psicologico v. tempo di reazione. Tempuscolo. Nello scienze fisico-matematiche
si suol designare in questo modo un tempo infinitamente piccolo, vale a dire
non valutabile. Una quantità dicesi infiuitamonte piccola, o semplicemente un
infinitosimo, quando il suo valore è minore di qualunque quantità assognabile,
per quanto si voglia piccola. Ora, noi possiamo valutare il tempo fino a
1/15.000.000 di minuto secondo: il tempuscolo, o tempo infinitesimo, sarà
dunque un tempo infinitamente più piccolo di codesto che sappiamo valutare.
Tendenza, T. Tendens; I. Tendenoy; F. Tendance. Nel linguaggio comune indica
uno stato complesso della coscienza appetitiva, che vien designato volta per
volta con nomi diversi, per i vari aspetti coi quali può rivelarsi: cioò le
tendenze positive si chiamano amore, propensione, desiderio, bisogno, speranza;
le tendenze neTeo 1164 gative avversione, odio, ripuguanza, disagio,
timore. In senso stretto, la tendenza è un fatto primitivo, costituito da uno
stato di coscienza che, in quanto rivela i bisogni dell'organismo eccitato
dallo stimolo, è rivolto a cercare © conservare il piacere, a fuggire o
allontanare il dolore. Ogni piacere ed ogni dolore mettono più o meno l’organismo
in movimento, la forma del quale è determinata dalla struttura originaria dell’
organismo stesso, e che si manifesta con uno sforzo per allontanarsi ο
avvicinarsi all'oggetto, a seconda che è conosinto piacevole o doloroso. Quando
codesto inizio involontario del movimento è sentito dalla coscienza con una
certa rappresentazione del fine al quale esso conduce, si ha la tendenza. Essa
ha dunque per condizione l'associazione al sentimento presente della
rappresentazione di ciò che può aumentare il piacere o diminuire il dolore
attuale. Si distingue dalPatto riflesso ο dall’istinto, nei quali manca la
rappresentazione del fine; si distingue dal desiderio, in cui la rap
presentazione del fine è chiara, distinta ο sccompagnata dalla coscienza della
distanza che separa la semplice rappresentazione dell’ oggetto dalla sua
possessione ο realizzarione; si distingue infine dalla volontà, in quanto
questa comprende non una ma più rappresentazioni antagoniatiche, al prevalere
d'una delle quali, concopita come fine, si associano, coordinandosi, i meszi
per raggiungerla. Cir.
Spinoza, Ethica, 1. III, teor. IX, scol.; Höffding, Pay chologie, trad. franc.
1900, p. 422 segg. Teodicen. ‘I. Theodioss; I. Theodicy; F. Théodicée. Dal greco Θεός -Dio, e δίκη stizia. Parola
creata dal Leibnitz, che la usò come titolo di un’ opera nella quale cerca di
giustificare la divinità dell’esistenza del male nel mondo, e di conciliare la
libertà umana con la prescienza e la provvidenza di Dio. Ma come cosa, se non
come nome, la teodicea esisteva da molto tempo. Per Platone ο per Aristotele
l’esistenza del male à giustificata 1165
Tro riportandola alla resistonza del non
ente ο della materia; per gli stoici, veri creatori della teodicea, i mali
fisici non sono tali in sè stessi, ma tali diventano per colpa degli nomini ©
spesso sono punizioni inflitte dalla provvidenza per il miglioramento degli
uomini, mentre il male morale, cioè il peccato, è necessario perchè solo dal
contrasto con esso risnita il bene; per i neo-platonici il male non è per sè
stesso qualche cosa di esistente positivamente, ma è la mancanza del bene, il
non-essere; per Giordano Bruno il mondo è perfetto perchè è vita di Dio, fino
ad ogni particolare, © colui soltanto si lagna che non può sollevarsi all’
intuizione del tutto, nella cui bellezza scompaiono le imperfezioni ο i difetti
spparenti. Dopo il Leibnitz il significato della parola si esteso fino a
designare quella parte della teologia ο della metafisica, che si 00caps di
difendere la suprema sapienza di Dio contro le accuse elevate dalla ragione
alla vista dei disordini del mondo. Come tale essa si divide, per il Kant, in
tre parti che hanno per oggetto di giustificare Dio: la prima nella sua
santità, in presenza del male morale; la seconda nella sua bontà, in presenza
del male fisico ; la torza nella sua giustisia, davanti al disaccordo che
esiste tra il bene e la virtù. Ma oggi la teodices ha assunto una estensione
ancora maggiore, e comprende non solo la giustificazione delle opere di Dio, ma
anche le prove della sua esistenza, la dimostrazione dei suoi attributi, la
ricerca dei suoi rapporti con l’anima umana e con l'umanità, Cfr. Platone,
Timeo, 42 D; Seneca, Quaest. nat., V, 18, 4; Id., Kpistulae, 87, 11 segg.;
Plotino, Enneadi, II, 9; Leibnitz, Essai de théodioée, 1710; Kant, W. W., VI,
77; J. Young, Evil and good, 1861; Rosmini, Teodicea, 1846; Benedict, Theodioaea,
1884 (v. male, peseimismo, ottimismo). Teofania. T. Theophanie ; I. Theophany ;
F. Théophanie. In senso generale, il manifestarsi della divinità nel mondo
attraverso le sue opere; in questo senso tutto il mondo Tro 1166 può considerarsi, secondo il cristianesimo,
una teofania. In significato più ristretto, il presentarsi della stessa divinità.
Thoophanias autem dici visibilium et invisibilium species, quarum ordine et
pulchritudine cognorcitur deus esso. Cfr. G. Scoto, De div. nat., III, 19.
Teologia. T. Theologie; I. Thoology; F. Théologie. Nel sno significato più
generale, è la scienza di Dio ο delle cose divino. Aristotele fa il primo a
considerarla come scienza, ponendola a capo delle scienze speculative; avanti
di lui essa non era che una descrizione poetica dell’ origino delle cose ©
della natura degli dei. Nel mondo pagano la teologia ebbe un carattere
particolare: come la religione aveva un'importanza politica, ed era ignota
affatto così ai Greci come ai Latini ogni idea della rivelazione, così non
v'ebbe alcuna distinzione fra teologia naturale ο positiva, ma si aveva invece,
secondo la classificasione di Varrone e del pontefice Muzio Scevola, una
teologia poetica, di cui parlammo sopra, una teologia fisica, che è prodotto di
ragione e fa parte della filosofia, © una teologia civile, fondata dai
legislatori e rivolta agli interessi dello Stato. Col cristianesimo,
innalzatasi tra la ragione e la rivelazione una barriera insormontabile, fu
distinta la teologia naturale, che è prodotto della ragione, dalla positita
opera della rivelazione: quella è una scienza le cui verità hanno bisogno di essere
dimostrate, mentre le verità di questa debbono essere aocettate per fede. Dalla
teologia positiva si distingue la razionale, svoltasi specialmente in Germania,
e il cui fine è di controllare pet mezzo della ragione i dati della
rivelazione, con l'esame © l’interpretazione delle sacre scritture, della
tradizione, dei monumenti religiosi. Colla teologia positiva non è da
confondersi l’affermativa, che è l'affermazione in grado sommo (via eminentiae)
nella divinità di tutto l’essere che esiste nelle creatnre ; essa si oppone
alla teologia negatira, che consiste nel tentativo di ginngere alla nozione del
1187 Tro l'essere supremo o assoluto,
rimovendo da lui (ria remotiomis 0 negationis) tutto ciò che non possiede
l’essere che in senso negativo. Codesta distinzione fa posta da Nicol Casano;
ma i due metodi erano già noti © usati dai primi Padri, © la via negationie
sale a grande onore specialmente con lo pseudo Dionigi Areopagita. Teologia
dogmatica è il sistema della dottrina teologica sviluppato dogmatica mente,
cioò con un metodo che si appella alla sutorità, sia della sola scrittura, sia
della scrittura ο delle tradi. zioni combinate insieme. Il Comte chiama teologico il primo dei tre
grandi stadi attraversati dalla intelligenza umana nel suo cammino secolare ;
gli altri due sono il metafisico ο il positivo. In questa prima fase dominano i
concetti mistici, e i fenomeni naturali sono attribuiti alla volontà arbitraria
6 capricciosa di enti imaginari o forze naturali personificate. A questo
indirizzo mentale corrisponderebbe, dal lato sociale, lo stato militare, poichè
le differenze di religione generano le guerre tra i popoli. Cfr. Aristotele,
Metaph., III, 4, 1000 a, 9; Diogene Laerzio, VII, 1, 41; 8. Clemente, Stromata,
V, ο. XI; Dionigi Areop., De mystica theol., I, 3; Id., De div. nom., 7, 3; C.
Billot, De Deo uno et trino, 1854 (v. teosofia, teodicea, ontologia).
Toologismo. T. Theologismus ; I. Theologiem ; F. Théologisme. Termine molto
vago, con cni si designano quei sistemi filosofici che #’ ispirano
essenzialmente alla tradizione teologica e al sentimento religioso. Teomania.
Delirio religioso, che oggi più propriamente dicesi pnranoia religiosa. È
costitnita da una serie di illusioni ο allucinazioni, aia visive che uditivo,
riferentisi ad armonie celesti © visioni divine, intramezzate dn periodi di
estasi ed episodi erotici. L’ ammalato crede di essere destinato da Dio a
redimere gli uomini dal pecesto e pregusta le gioie che per la compiuta
missione gli verranno largite, non badando alla propria tranquillità ο ai
propri interessi materiali, non esitando nemmeno a Tro 1168 sacrificare la libertà ο la vita. Non pochi
riformatori ο fondatori di religioni potrebbero, secondo alcuni psichiatri,
essere legittimamente classificati tra i teomani; tale Emanuele Swedenborg,
fondatore della setta degli illuministi, tale pure italiano Davide Lazzaretti,
il più tipico esempio, forse, di paranoico allucinato che abbia potuto, durante
l’ultimo mezzo secolo, dare origine ad un moto rivoluzionario
mistico-socialistico. Cfr. Lombroso, L'uomo di genio, 63 ed., p. 507 segg.; G.
Ballet, Le peicosi, trad. it. 1897, p. 300 segg.; G. Barzellotti, Davide
Lassaretti, i suoi seguaci ο la sua leggenda, 1885; Id., Santi, solitari,
filosofi, 1887; A. De Nino, II Messia degli Abruszi, 1890. Teorema. T. Theorem,
Lehrsatz; I. Theorem ; F. Théorème. Come mostra l’origine etimologica della
parola (Δεορέω = esamino), significò da principio quello che si contempla, che
è soggetto d'esame; poi la verità che è il risultato dell’ esame, della
dimostrazione. In questo secondo senso si contrappone a problema, che è invece
una incognita difficilmente decifrabile, quantunque sia congiunta dal rapporto
di principio e di conseguensa ad nna conoscenza attuale, Teoretico. T.
Thooretisch; I. Theoretical; F. Theoretique. Ciò che si riferisce alla teoria,
mentre il teorieo è ciò che fa parte della teoria; nell’uso però i due termini
si confondono. Si oppone a pratico © à fecnioo; mentre la teoria ha per solo
fine il vero, la pratica ha per fine l’azione ο la tecnica è l’insieme delle
norme con cui si applica la nostra conoscenza delle cose. Si oppone anche a
storico © a empirico, perchè mentre in questi è il fatto che prevale, in quello
prevale il ragionamento. Perciò si hanno le espressioni di filosofia teoretica,
pratica e storia della filosofia; sapere teorico, speculativo e pratico; morale
teorica e morale normativa o pratica; intelligenza teorica, speculativa e pratica,
ecc. Cfr. Kant, De mund. sens., sect. II, § 9, n. 1. 1169 Tro Teoria. T. Theorie; I. Theory; F. Theorie.
Nel suo significato più largo designa la sintesi comprensiva delle conoscenze,
che una scienza ha raccolto nello studio di un dato ordine di fatti. In un
senso più ristretto è un insieme di ragionamenti collegati fra loro e diretti a
spiegare, provvisoriamente o definitivamente, una data questione. In questo
senso si oppone alla pratica, la quale non è che l'applicazione della teoria.
Nel primo significato si distingue dall’ipotesi, che è più spesso l’anticipazione
che non il risultato delle esperienze, e dalla dottrina, che ha un’ accezione
più vasta, risultando da un insieme di teorie. Quando la sintesi coordinatrice
delle esperienze raccoglie sotto di sò ordini differenti di fenomeni, allora si
ha qualche cosa di più esteso della dottrina, cioè il sistema. La teoria non
differisce per natura dalla legge scientifica, ma soltanto per grado: la teoria
è infatti una generalizzazione così astratta da non mostrare un addentellato
diretto ed esauriente con la realtà, ma si fonda tuttavia sulle leggi, ο in
tanto ha valore in quanto costituisce la massima approssimazione alla realtà e
la massima potenzialità di contenere in sè un certo numero di leggi accertate.
Tuttavia nell’ uso comune queste distinzioni non sempre sono possibili, perchè,
se da un lato è difficile valutare il grado di estensione d’un dato insieme di
conoscenze, non è facile dall'altro l'apprezzamento degli elementi certi e
degli ipotetici che vi si mescolano. Cfr. Wundt, Logik, 1880, vol. I, p. 407;
Masci, Logica, 1899, p. 72 segg. (v. dottrina, principio, prammatica, pratica).
Teosofia. T. Thoosophie; I. Theosophy; F. Theosophie. Si distingue dalla
teologia, in quanto designa quella scienza che si pretende ispirata dalla
stessa divinità, dalla quale deriverebbe, senza però essere oggetto di una
rivelazione positiva. Questa scienza si svolse specialmente in Germania nei
secoli XV e XVI, per opera di Cornelio Agrippa, Paracelso e Giacomo Bihme. Le
dottrine dei vari teosofi 74 Banzout,
Dision. di scienze filosofiche. Teo 1170
diversificano molto tra di loro, specie
perchè, mentre alcuni fanno prevalere la teologia sulla filosofia, altri dànno
la prevalenza alla ragione e alla filosofia sulla fede ο enlla teologia. Però
tutti si accordano nella tendenza ad unificare la scienza di Dio con quella
della natura. Uno dei più interessanti tentativi di risuscitare, nei tempi
moderni, la teosofia, è quello dello Schelling, spinto sulla via delV’irraionaliemo
dall’ assunzione del motivo religioso nelVidealismo assoluto. Se l’assoluto era
concepito come Dio, se il principio divino e quello naturale . delle cose erano
distinti, sicchè alle idee eterne come forme dell’ auto-intuizione divina
veniva assegnata un’ osistenza speciale accanto alle cose finite, la
trasmutazione di Dio nel mondo diventava un problema; tale problema lo
Schelling ha cercato di risolvere sulla via della teosofia, con una teoria
mistico-speculativa nella quale i concetti filosofici sono tradotti in
intuizioni religiose. Per lo Schelling le idee sono imagini riflesse, in cui
l’assoluto rispecchia sè stesso, sono partecipi dell'autonomia dell’ assoluto;
in ciò sta la ponsibilità della caduta delle ides da Dio, della loro sostantivazione
metafisica, per oni diventano reali, empiriche, cioè finite. Il contenuto della
realtà è quindi divino, perchò sono le idee di Dio quelle che ivi sono reali;
ma il loro proprio esser reale è caduta, peccsto © irrazionalità. Però
l'essenza divina delle idee tendo di nuovo all’ origine e al prototipo, ©
questo ritorno delle cose in Dio è In storia, l’epos composto nello spirito di
Dio. Il Rosmini intendo per teosofia la teoria dell’ ente nella sua totalità,
ossia delle ragioni supreme che si trovano nel tutto dell'ente; essa si
distingue sia dalle altre scienze, che riguardano Vente solo in quanto è diviso
o dalle limitazioni naturali o dallo sguardo della mente, sia dalle altre parti
della filosofia, che cercano il principio da cui la scienza dell’ ente deriva
(ideologia) e somministrano le condizioni formali e materiali (logica e
psicologia) del passaggio della 1171 Ter mente speculativa dal sapere ideologico al
sapere teosofico. Cfr. L. Judge, The ocean of theosophy, 1893; A. Besant,
Teosofia e nuova psicologia, trad. it. 1909; E. P. Blawataki, Introd. alla
teologia, 1910; Schelling, Religion und Philosophie, 1804; Rosmini, Teosofia,
1859 (v. ideologia, metafisica, ontologia). Teratologia. T. Teratologie; I.
Teratology; F. Tératologie. Ramo della patologia e dell’ antropologia, che studia
quelle anomalie di sviluppo, congenitali e irrimediabili, che diconsi
mostruosità. Esse sono costituite da arresto, eccesso 0 perversione di sviluppo
; possono dipendere da predisposizione ereditaria, da nna malattia del feto, ο
da un accidente sopraggiunto alla madre; alonne sono incompatibili colla vita,
altre compatibili. Tra queste importanti la polidattilia, ο dita in
soprannumero, l’ermafroditismo, 9 ΙΑ diplogenesi, in cui vi ha duplicazione più
o meno completa del corpo intero (v. anomalia, degenerazione, reversioni).
Termestesiometro. Strumento usato nelle ricerche psicofisiologiche per misurare
la sensibilità cutanea sotto l’azione del calore. Termiche (sensazioni). T.
Temperaturempfindung ; I. Temperature sensation ; F. Sensation de temperature.
Le sensazioni di ‘caldo e di freddo. Possono essere di due specie: interne,
quando hanno origine da uno stato affatto soggettivo (ad es. il calore o il
brivido della febbre), ed esterne, quando sono prodotte dal contatto di un
corpo qualsiasi sopra la pelle o sulle mucose che confinano con essa. Si ha la
sensazione di caldo quando il corpo che tocca la pelle ha una temperatura più
elevata della pelle stessa, di freddo quando ha una temperatura più bassa,
nessuna quando ha la stessa temperatura. Quando il corpo ha una temperatura
superiore a + 47° e inferiore a 10°, non
produce sei sazioni termiche ma dolorifiche, che sono tanto più ii tense quanto
maggiore è la differenza fra la temperatura 1172 del corpo e quella dell’ organismo e quanto
più estesa è la superficie cutanea che col corpo si trova a contatto. Sembra
esistano degli organi periferici distinti per il senso del tatto, per il caldo
e per il freddo; infatti la sensibilità termica non è uguale in tutte le
località della pelle, ed in alcune di esse sono possibili soltanto sensazioni
di freddo, in altre soltanto sensazioni di caldo, se toocate con una punta
fredda o calda. Cfr.
Wundt, Physiol. Peychol., 4* ed., vol. I, p. 385, 415; Titchner, Lab. manual,
1901, cap. III; Kiesow,
Zeitschrift für Peyool., vol. 35, 1904; Id., Arch, it. d. biol., T. XXXVI,
1901; N. Marotta, Le sensazioni termometriche, « Riv. di fil. e scienze affini
», agosto 1899. Termine. Lat. Terminus; T. Terminus; I. Term; F. Terme. I
termini del giudizio sono le nozioni che lo compongono; i termini della
proposizione sono i nomi che esprimono codeste nozioni. I termini si
distinguono in generali, collettivi, astratti, concreti o singolari, positivi,
negativi, privativi e correlativi. Nel
sillogismo si hanno tre termini: il maggiore, che ha l’estensione maggiore e
compare, soggetto o predicato, nella premessa maggiore; il minore, che ha
estensione minore, e compare come soggetto o predicato nella premessa minore;
il medio, che ha estensione media e si trova in entrambe le premesse. Nella
conolusione il termine maggiore fa da predicato, il minore da soggetto, il
medio è escluso. Il sillogismo non può avere più di tre termini, perchè il
termine medio deve esser preso almeno una volta universalmente. Il termino
maggiore e minore non debbono esser presi nella oonelnsione più universalmente
che nelle premesse, perchè ciò sarebbe contro il principio del sillogismo, che
procede sempre dall’universale. Nella terminologia scolastica dicesi terminus
actionis ciò che si compie coll’arione medesima, t. denominationie ciò che
prende una nuova denominazione per l’azione, f. a quo quello onde incomincia il
moto, t. ad 1173 TER quem quello dove il moto finisoe; termini
pertinentes duo termini tra loro opposti contrari, o di oui l’uno porta in sò
l’altro, t. impertinentes due termini che non sono contrari ma non si
richiamano per conseguenza diretta (ad es. il rosso © il buono); terminus
intrinscous unionis quell'estremo del composto nel quale non si riceve l’
unione, che pei peripatetici era una entità distinta dagli estremi, nè da esso
si trae o si sostenta: così la forma del composto è il £, intrinseous dell’
unione della materia colla forma, la quale unione ai riceve nella materia,
ossia le aderisco, ed è sostenuta da questa, e non aderisce nò è sostentata
dalla forma. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 1, 24 b, 16; Goclenio, Lezioon
phil., 1613, p. 1125 (v. figura, modo, collettivo, correlative, generale,
eco.). Terminismo. T. Terminismus; I. Terminiem; F. Torminieme. Forma del
nominalismo, nella quale gli universali sono considerati soltanto come termini
ο segni. Genera οἱ epooies, dice Buridano, non sunt nisi termini apud animam
ezistentes vel ctiam termini vocales aut soripti. Il terminismo, come dottrina
che considera i concetti quali segni subbiettivi per le cose singole realmente
esistenti, compare nel secondo periodo della filosofia medievale, specie con
Guglielmo di Oooam. Riappare poi nella filosofia dell’ Aufklärung ο nel
sensismo di Condillac, per il quale ogni conoscenza consiste nella coscienza
dei rapporti delle idee, le quali, con l’aiuto dei segni e, rispettivamente,
della lingua, si decompongono nei loro elementi ο si ricompongono di bel nuovo:
ogni lingua è un metodo per V analisi delle idee, ed ognuno di questi motodi è
una lingua, e le diverse specie di segni danno diversi dialetti (le dita, la
favella, le cifre, ecc.) della lingua umana. Cfr. ‘Prantl, Geschiohte d. Logik,
1885, IV, 16; Condillac, Langue des oalouls, 1798. Teromorfle ο atavismi. Furono dal Wirchow chiamate così
alcune varietà anormali che si riscontrano talTes un = volta nell’uomo (muscolo
sternale, osso interparietale, eco.), che sono disposizioni permanenti negli
animali inferiori. Le teromorfie diconsi dirette quando riproducono le forme di
animali più vicini all’ uomo, indirette 0 remote quando i caratteri riprodotti
sono propri di animali più bassi, che non si considerano come gli avi diretti
(v. degenerazione, reversioni, teratologia). Tesi. T. These; I. Thesis; F.
Thèse. In generale significa proposizione, cioÿ qualsiasi giudizio espresso con
parole; ma si adopera più propriamente per designare una proposizione che deve
essere dimostrata vera. Per Aristotele la tesi si distingue dall’assioma in
quanto, mentre questo è universale e necessario, quella invece è stabilita
temporaneamente e per un oggetto determinato. Nel giudizio ipotetico (se À è B
è) dicesi tesi la seconda parte di esso, che contiene la posizione del
predicato (8 2), mentre la prima parte (ss A è) che contiene la posizione del
soggetto, dicesi ipotesi. Quando alla
tesi è opposta un’altra proposizione, che sebbene contradditoria può esser
dimostrata con argomenti di ugual valore, questa seconda dicesi antitesi, ed
insieme con la prima costituisce la antinomia. Quando invece la tesi e
l’antitesi possono essere conciliate in un principio superiore che entrambe le
comprende, si ha la sintesi. Testimonianza. T. Zeugniss, Zeichen; I. Tostimony:
F. Témoignage. Lo scienziato non può osservare personalmente tutti i fatti
ch’egli afferma, nè sottomettere alla prova sperimentale tutte le dottrine
ch’egli ammette, ma fatti è dottrine deve in buona parte accettare sopra la
testimonianza altrui. Se così non fosse, se ogni scienziato dovesse
ricominciare ab ovo le sue ricerche e considerare come vero soltanto ciò che ha
sperimentato, il progresso della scienza sarebbe impossibile. D'altro canto, vi
sono slenno scienze, come la geografia, la storia, ecc., le quali si fondano
quasi completamente sopra le testimonianze 1115 Tes-Ter altrni. La necessità del principio
d’autorità nella scienza impone dunque allo scienziato di fare la oritioa delle
tertimonianzo (le cui norme generali sono fissate dalla logica), per
determinare in quale misura esse possono esser ritenute degne di fede, Cfr.
Masci, Logioa, 1899, p. 468 segg. Testo. T. Probe, Prüfung; I. Test; F. Test,
Epreuve. Diconsi testi mentali, ο prove, o saggi, le determinazioni che la
psicofisica e la psicofisiologia cercano di ottenero del funzionamento dei sensi
ο dei processi mentali. Si hanno quindi testi della capacità sensoria, visiva,
uditiva, tattile; testi della capacità muscolare, della capacità percottiva,
della vivacità ο prontezza mentale; testi della memoria e dei processi mentali
più complessi, come l’associazione, l’attenzione, l’imaginazione, il giudizio,
Per determinare l’acutezza della visione sogliono adoperarsi lettere di varia
dimensione e forma, poste a diversa distanza; per l'udito le casse di risonanza
e l’audiometro, per il tatto l’estesiometro, per la capacità muscolare il
dinamometro, per la percezione degli intervalli di tempo il eronosoopio di
Hipp, ecc. Cfr. Binet e Henri, La peychologie individuelle, « Année payool. »,
1896; Report of committee on testa, « Psychol. Rev. >, 1897, vol. IV, p. 132-38; Wiseler,
Correlation of mental and physical teste, 1901. Tetici (giudizi). Quei giudizi contratti, detti anche
di posizione © esistenziali (Herbart) che sono ordinariamente riferiti a
giudizi ipotetici, se l'ipotesi afferma una condizione di estensione
relativamente illimitata. Essi possono avoro anche la forma copulativa,
remotiva, disgiuntiva, oppure una forma propria, in cui, in luogo dell’
ipotesi, è usato un avverbio o una particella localo (v. composti, congiuntivi,
copulativi). Tetralemma. Argomentazione costituita di quattro membri, da
ciascuno dei quali si ricava una conclusione medesima e contraria
all'avversario, che per ciò non ha più via d'uscita. Nella sua forma tipica è
espresso meTeu-Tir 1176 diante un sillogismo ipotetico-disgiuntivo,
che, al pari del dilemma, può avere due modi, uno affermativo o ponente,
l’altro negativo ο tollente; nel primo la premessa. maggiore enumera i quattro
casi possibili che conducono ad un’ unica consegaenza, la minore afferma non
esservi altri casi oltre quelli enumerati dalla maggiore, la conclusione
afferma la conseguenza; nel secondo la maggiore espone le quattro conseguenze
che dipendono da un’ unica condizione, la minore nega la verità delle
conseguenze, la conclusione nega quindi la verità dell'ipotesi (v. dilemma). Teurgia v. snagia. Timpano. T.
Trommelfoll; I. Tympanum; F. Tympan. La cavità del timpano è uno spazio scavato nell’osso temporale, e
comunica con la faringe mediante un canale dotto tromba uditiva o d’
Eustacchio. E limitata lateralmente dalla membrana del timpano, che è una
lamina sottile e trasparente, tesa © fissata al solco timpanico, a forma
ellittica. Le onde sonore, urtando contro la membrana, la pongono in
vibrazione; tale vibrazione è comunicata agli ossicini, da questi all’
endolinfa e alle terminazioni nervose dell’ acustico, che trasmette 1’
eccitazione al centro cerebrale relativo. Cfr. J. K. Kreibig, Die fünf Sinne
des Menschen, 1907, p. 52 sogg.; Nuvoli, Fisiologia dell’ organo uditivo, 1907.
Tipo. T. Typus; I. Type; F. Type. Nel sno significato generale, un tipo è an
individuo di un genere che risssume in sè stesso, nel modo più spiccato, i
caratteri del genere cui appartiene; tali caratteri sono tanto maggiormente
netti ο palesi, quanto minore è la rilevanza dei caratteri individuali. In
senso logico e astratto per tipo s'intende l’ insieme dei caratteri essenziali
d’ una specie. ‘Tuttavia nelle definizioni scientifiche l’idea di tipo non è
determinata ο costante: alcune volte è presa come tipica una proprietà formale,
che distingue una classe dall’altra. come ad es. la distinzione che molti
filologi fanno 1177 Tom delle lingue in agglutinanti, isolanti, ο
flessive ; altre volte è presa come tipica un’astrasione morfologica, come ad
es. la teoria di Bronn sulle forme geometriche dei corpi animali; altre volte è
assunta come tipica la forma più semplice, come il dado e I ottacdro per la
oristallogratis, © altre invece la forma più completa, come ad es. la forma
tipioa dei mammiferi assunta dal Cuvier. Va ricordato, infine, che alcune volte
il tipo fu assunto platonicamente dagli scienziati, ad es. l’Agassiz ο il
Cuvier, quasi come un'entità reale, a sò, causa delle forme ο della
approssimazione delle forme. Nella psicologia diconsi tipi mentali certe
precise differenze di costituzione mentale, 0 certi modi di fanzionamento
mentale, che caratterizzano gruppi di individui; tali caratteri sono dunque
tipici, piuttostochè individuali. In questo stesso senso si parla di tipo
criminale, tipo visivo, tipo sensitivo, ecc. Cfr. C. B. Davenport, Statistical
metods, 1900 ; Zeitschrift für Peychol., 1899, XXII, 13 (v. archetipo,
entelechia). Tomismo. T. Thomiemus; I. Thomiem; F. Thomisme. La sonola e la
dottrina di 8. Tommaso d’ Aquino, i cui seguaci si reolutavano specialmente,
vivo ancora l’ Aquinate, nell’ordine dei domenicani; ebbe per avversari i
francescani, che seguivano le dottrine di Duns Scoto. L’opposizione tra le due
scuole riguardava specialmente il valore della volontà e le sue relazioni con
l'intelletto: per i tomisti la volontà teneva dietro all’ intelletto, per gli
scotisti era invece il contrario (voluntas superior intellectu). Ciò era una
conseguenza della teorica sul principio di individuazione, poichè, mentre i
tomisti, seguendo la dottrina del loro maestro, sostenevano cho la forma
intellettualo, informando un dato organismo corporeo, ne determinava la
individualità, gli scotisti riponevano invece il principio di individuazione
nel profondo stesso della ossenza, in un'ultima realitas che sfugge ad ogni
conoscenza. Cfr. Harper, The metaphysics of the School, 1877; FrohTom-ToN 1178 schammer, Thomas von Aquino, 1889; C.
Jourdain, La filo sofia di δ. Tom. d'A, trad. it. 1860, p. 243-372 (v. ecceità,
quiddità, individuazione, intollettualirmo, volontarismo, scotismo,
neo-tomismo). Tomo. Alcuni scienziati chiamano così l infinitamente grande, per
opposizione all’ atomo che è l’infinitamente piccolo. Una grandezza che
diminuisce continuamente fino a divenir zero, prima di sparire nello zero
passerà per uno stato nel quale essa nulla ha di più piccolo sotto di sò, ©
questo è l'atomo; una grandezza che aumenti continuamente fino all’ infinito,
prima di sparire nell’ infinito passerà per uno stato nel quale essa non ha
nulla di più grande sopra di sò, © questo è il tomo. Il tomo non ha quindi dei
multipli, come l’atomo non ha dei sottomultipli : e siccome neppure lo zero ha
dei multipli, così vi ha completa analogia fra il tomo e l’ infinito da una
parte, l atomo © lo zero dal’ ultra (v. atomiemo, divisibilita, infinito).
Tono. T. Ton; I. Tone; F. Ton. Nel suono è dato dal numero dello vibrazioni; il
tono principale è sempre accompagnato da ipertoni ο toni secondari, di minore
intensità; il timbro del suono è dato dal numero e dalla altezza degli ipertoni
che accompagnano il tono. Dall’ Helmholtz in poi dicesi tono differenziale il
terzo tono distinguibile tra due toni, costituito da un numero di vibrazioni
uguale alla differenza di quello dei due toni primari; e tono addizionale il
tono più sento, risultante dalla somma delle vibrazioni dei toni primari. Dicesi tono muscolare il grado di tensione in
cui trovansi normalmente i muscoli; esso diponderebbe da sensazioni
subcoscienti, mantenute dalle molteplici vie afferenti, che sono direttamente o
indirettente in rapporto col cervelletto e col bulbo. Nella sensazione il tono ο colorito è il grado
di piacere o di-dolore che accompagna ogni sensazione o fatto psichico. Esso
può dipendere sis dallo stato organico, sia dalla qualita della sensazione, sia
dalla intensità degli stimoli, sia dal 1179 Tor-Tor l'esperienza dell’ individuo e della
specie. In generale, il tono delle sensazioni è in ragione inversa della loro
oggettività, ossia del loro riferimento agli oggetti, ed è maggiore a misura
che questo riferimento è più diretto e più evidente; a sua volta l’ evidenza
del riferimento dipende dal carattere spaziale della sensazione, perchè 1’
oggetto à per noi essenzialmente il reale esterno, Secondo alcuni peicologi, il
tono è essenziale alla sensazione, in quanto, essendo fondamentale la tendenza
al piacere, ogni sensazione sarà concepita come concorde con questa tendenza, e
quindi piacevole, o come contraria, e quindi dolorosa; se molti stati psichici
appaiono indifferenti, ciò dipende dalla tenuità del tono che li accompagna.
Altri invece ammettono l’esistenza di stati psichici assolutamente indifferenti
o neutri. Cfr.
Kant, Krit. d. Urt., $ 3; Helmholtz, Die Lehre von den Tonempfindungen, 1863;
C. Stumpf, Tonpeychologie, 1890; Th. Ziehen, Leitfaden d. physiol. Peychol., 2°
ed. 1893, p. 95; Wundt, Grundr. d. Peyohol., 1896, p. 88; G. Sergi, La psyohol.
physiologique, trad. franc. 1888,
p. 143; Masci, Paicologia, 1904, p. 46 sogg. (v. neutri stati, piacere, dolore,
sentimento). Topica (da τόπος luogo, ove
si trovano gli argomenti). Nella logica antica, la Topica era la ricerca e
l'esposizione degli argomenti che si possono esporre sopra ogni cosa. I Topici
sono quei libri logici di Aristotele dove si espongono i sillogismi ipotetici o
verosimili. Metodo topico, per opposizione al metodo critico di Cartesio,
chiamò Vico il metodo che cousiste nella ricerca delle idee: « non si giudica
bene, egli dice, se non si è conosciuto il tutto della cosa; © la topica è
l’arte in ciascheduna cosa di ritrovare tutto quanto in quella à ». Cfr.
Aristotele, Τορ., I, 1, 100 a, 1; Küstner, Topik oder Erfindungswissensch.,
1816 (v. luoghi comuni). Totaliszazione (legge della). L’Hoffding designa con
questo nome la tendenza che noi abbiamo, dato un parTor 1180 ticolare elemento psicologico, a riprodurre lo
stato totale, di cui codesto, o un altro somigliante, formava una delle parti.
Codesta legge costituisce 1 essenza di ogni forma d’ associazione mentale;
infatti gli elementi singoli d’un medesimo stato di coscienza non esistono
separati, ma come unità di somma, e da ciò nasce la tendenza a rievocare la
somma quando sia data una delle sue unità. Il Galluppi aveva già ammesso, come
fondamento dell’ associazione psichica, la legge per cui la percesione passata
ritorna tutta allorchè ne torna una parte; con tale legge egli spiegava anche
il fatto del riconoscimento. Cfr. Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p.
211 segg.; Ebbinghaus, Uober das Godächiniss, 1885, p. 139, 147; Galluppi,
Lesioni di logioa ο metaf., 1854, II, p. 742 segg. (v. sintesi psichica).
Totemismo. T. Totemismus ; I. Totemism; F. Totémisme. ‘l'ermine introdotto da
J. Long (1791) e rimasto nell’ uso per indicare l’ adorazione di oggetti
materiali ο percepibili, animali, piante, eco., fatta da tutti i membri di una
tribù ο clan, che per tal modo si sentono legati socialmente tra di loro. Il
totemismo, assai diffuso nei popoli primitivi e tra le razzo inferiori, si
distingue dal feticismo sia per il suo carattere sociale, sia perchè 1’ adorarione
si rivolge a tutti gli oggetti di una classe, considerati come capaci di
esercitare un potere sull’ esistenza umana, mentre nel feticismo questo potere
è attribuito ad un oggetto solo. Il totemismo involge anche là credenza che la
tribù ο clan sia discesa per miracolo o mistero dall'oggetto ο animale
totemico; perciò esso è considerato come sacro, ne è proibito l’uso come
alimento © come vestimento, spesso è anche vietato di guardarlo © di nominarlo,
è adorato, rispettato, presiede le cerimonie che riguardano la nascita, il
matrimonio, la morte. Cfr. Pikler u. Somlo, Der Ursprung d. Totemismus, 1900;
Frazer, Totemism, 1887; Durkheim, Les formes élémentaires de la vio 1181 ToT-Tra religionse, p. 141 segg.; F. B.
Jovons, 1) idea di Dio, trad. it. 1914, p. 85-93. Toto-parsiali, Si dicono
così, nella dottrina dell’Hamilton sulla quantificazione del predicato, quelle
proposizioni in cui il soggetto è preso universalmente, il predicato solo
particolarmente. Possono essere tanto affermative es. tutti i triangoli sono
(alcune) figure quanto negative: es. nessun triangolo è (qualche) figura
equilatere. Toto-totali. Si dicono così, nella dottrina dell’Hamilton sulla
quantificazione del predicato, quelle proposizioni in oui tanto il soggetto
quanto il predicato sono presi in tutta la loro estensione: es. tutti i
triangoli sono (tutti i) trilateri. Nella loro forma negativa il predicato è
escluso totalmente dalla estensione e comprensione del soggetto: es. nessnn
triangolo è (nessun) quadrato. Tradizionalismo. T. Traditionaliemus; I.
TraditionaKem; F. Traditionalisme. In generale designa qualunque indirizzo
scientifico, filosofico, religioso, letterario che vuol tenersi ligio alla
tradizione e ad essa e’ ispira. Nella religione dicesi tradisionalismo la
dottrina che sostiene che le snpreme verità religiose, © specialmente I’
esistenza di Dio, nonchè le verità fondamentali di ordine metafisico, morale e
religioso, non si possono conoscere se non in grazia della rivelazione
primitiva conservata ο diffusa dai testi encri ο dalla tradizione, essendo la
ragione umana impotente a raggiungerle. In particolare dicesi tradisionaliemo
1’ indirizzo filosofico rappresentato in Francia dal Chatenubriand, dal De
Maistre e specialmente dal De Bonald, indirizzo caratteriszato da una energica
reazione contro la filosofia della rivolazione (illuminiemo). L'errore di
quest’ultima, secondo il De Bonald, è d’aver creduto che la ragione possa da sò
stessa trovare la verità e indirizzare la società, mentre invece tutta la vita
spirituale dell’uomo, essendo fondata sul linguaggio, è un prodotto della
tradisione storioa; il lingnagTRA 1182 gio è stato donato all’nomo da prima come
rivelazione, e la « parola » divina fonte di tutte le verità, ha per unica depositaria
nella tradizione la Chiesa, la cui dottrina è dunque la ragione universale data
da Dio ο trapiantata a traverso i socoli come il grande albero, su cui maturano
i frutti schietti della conoscenza umana. Concetti analoghi, quasi
contemporaneamente al Bonald, sostenne il Lamennais, per il quale alla nostra
incapacità di raggiungore il vero, sia per mezzo dei sensi, sis per mezzo della
ragione, supplisce il consenso comune, I’ autorità del genere umano, che
diventa il punto d'appoggio delle nostre conoscenze: « Esiste... per tutte le
intelligenze un ordine di verità ο di conoscenze primitivamente rivelate, ossia
ricevute originariamente da Dio, come condizioni della vita o meglio come la
vita stessa... E come la verità è la vita, com l'autorità, ossia la ragione
generale manifestata con la testimonianza o con la parola, è il mezzo
necessario per giungere alla conoscenza della verità, ciod alla vita dell’
intelligenza >. I tradizionalisti si divisero in due gruppi: i primi, col
Lamennais a capo, costituirono l’école menaieienne, che fu dette anche fideista
per P ufficio esclusivo attribuito alla fede, all’ antorità della rivelazione
divina, nell’ acquisto della vera certezza; i secondi, più temperati (Bonetty,
Ventura, Laforêt e i professori di Lovanio) ammettono una potenza nativa della
ragione umana, indebolita però dal peccato originale e bisognosa quindi d’un
aiuto intellettuale esteriore, cioè della rivelazione, per arrivare alla
conoscenza distinta delle verità razionali, morali e metafisiche. Nella sociologia dicesi tradizionalismo
quell’indirizzo il quale considera le vario formazioni sociali, quali la
costituzione politica, il regime economico, il diritto, eec., come fondati non
sopra idealità ο principi astratti, ma sopra una tradizione, e s0stiene quindi
che non possono essere mutati in base a criteri puramente teorici. Cfr.
Kleugten, La philosophie scola 1188 TRA
stique, 1868, t. I, diss. 482-455 ; Lamennais, Essai sur Vindifférence, 1820,
t. II, ο. 13; Vacant, Études théologiques, 1895, I, p. 120 segg., 329 segg.; C.
Ranzoli, II tinguaggio dei filosofi, 1911, p. 219-223. Traducianismo. T.
Traducianismus: I. Traducianiem ; F. Traducianisme. O generazioniemo, è la
dottrina con la quale alcuni filosofi e teologi, Tertulliano, 8. Agostino,
Lutero, Leibnitz, ece., spiegano l’origine delle anime individuali, imaginando
che siano esistite tutte in germe in Adamo, e si propaghino ora per generazione
fisica come il corpo. « Intorno all’ origine delle forme, entelechie ο anime,
dice il Leibnitz, i filosofi sono stati in grave imbarazzo; ma oggi, avendo
riconosciuto mediante ricerche esatte compinte sopra le piante, gli insetti ο
gli animali, che i corpi organici della natura non sono mai prodotti dal caos o
dalla putrefazione, ma sempre da sementi nelle quali esisteva indubbiamente
qualche preformazione, oggi si è giudicato che non solo il corpo organico vi
era già prima della concezione, ma anche un’ anima in questo corpo e in una
parola l’ animale stesso, e che, per mezzo della concezione, esso è stato
solamente disposto ad una grande trasformazione per divenire un animale di un’
altra specie ». Questa dottrina fu respinta dagli ortodossi ed è oggi
combattuta dal neo-tomismo, come contraria al dogma della spiritualità. Cfr.
Tertulliano, De an., 9; Leibnits, Monad., 74. Trance. Τ. Verzückung,
Entzückung; I. Tranoe ; F. Trance, Eztase. Fenomeno psicologico, caratterizzato
da una grande insensibilità per gli stimoli e uno stato di incoscienza ©
subcoscienzs rispetto agli avvenimenti esteriori ; la personalità del soggetto
è profondamente alterata, le sue funzioni automatiche in parte interrotte, e i
suoi pensio possono essere concentrati in un determinato ordine di idee. Spesso
però la parola trance è adoperata ad indicare gli stati di estasi, di letargia,
di sonnambulismo ipnotico Cfr. Surbled, Spiriles et mediums, 1901; A.
Vissni-Scozzi, La medianità, 1901. Transitivo. T. Transgredient; I. Transiont;
F. Transitif. Dicesi forza o azione transitiva, per opposizione a immanente,
quella che passa da un essere ad un altro; la forza o causalità immanente è
invece quella che risiede e rimane nell’ essere. Dicesi anche transitiva, per
opposizione ad immutabile, un’ entità che consiste in una successione continua
di stati; immutabile è invece 1’ entità che non comporta cangiamento. Nel
meccanismo la forsa è concepita come transitiva, nel dinanismo come immanente.
Nella dottrina della creazione e del demiurgo l’azione della divinità sul mondo
è transitiva, mentre è immanente nel panteismo. La psiche, ’ io, la personalità
sono concepite, nel sensismo e nell’ empirismo, come smo, sostansialità)..
Transustanziazione.T. Transubstantiation; I. Transubstantiation ; F.
Transubstantiation. Dottrina teologica, formulata dall'abate Pascasio Radberto,
e accettata poi dalla Chiesa. Essa consiste nell’ammettere che il pane e il
vino nel Sacramento dell’altare, pur rimanendo gli stessi negli accidenti, sono
però convertiti nella sostanza nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo.
Trascendentale. T. Transscendental; I. Transcendental; F. Transcendental. Kant
designa in questo modo una cognizione o sciensa, la quale non si occupa
direttamente di oggetti, ma di una nostra maniera di conoscerli, in quanto essa
deve essere possibile a priori; ossia si occupa della facoltà di conoscere a
priori gli oggetti, ©, insiemo della validità dei suoi limiti e delle sue
condizioni. Quindi trascendentale si oppone ad empirico, che è ciò che è dovuto
all'esperienza sensibile. La Critica della Ragion pura, ricercando tutti gli
elementi a priori della conoscenza 1188 "TRA speculativa, stabilisce tutti i
concetti ο i prinoipt trascendentali; tutto ciò che appartiene alla Critica
costituisce dunque la filosofia trascendentale. Vi ha perciò una estetica
trascendentale, che è la scienza dei principi del pensiero puro e della
conoscenza razionale, onde consideriamo gli oggetti assolutamente a priori;
un’analitica trascendentale, che è il sistema dei concetti © dei principi dell’
intendimento puro; una dialettica trascendentale, che cerca scoprire
l'apparenza dei giudizi trascendentali per evitare che essi ci ingannino. Nello
stesso senso dicesi realismo trascendentale quello dell’ Hartmann, in quanto
pur affermando l’idealità del mondo esterno in quanto tale, riconosce però alle
forme dell’ intuizione e alle categorie del pensiero una validità anche nel
dominio della realtà in sò stessa; idealismo trascendentale quello di H. Cohen,
E. König ecc., che afferma l’immanenza del mondo esterno nella coscienza. Cfr. Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 262 segg.; Id., Proleg., $ 40; Schelling, Vom Ich als
Princ. der Philosophie, 1795, p. 113 (v. trascendente). ‘Trascendentalismo. T. Transscendentalismus; I. Transcendentaliem
; F. Transcendentalisme. Nel suo senso più generale si oppone ad empirismo, e
indica ogni sistema o indirizzo filosofico che fa appello alle capacità
intuitive, supersensibili dello spirito. In un senso più ristretto designa
l’indirizzo dei successori di Kant, che, eliminata ο trasformata la cosa in sò,
unificato il soggetto ο l'oggetto della conoscenza, conferito un valore
completo e non puramente fenomenico ai concetti di assoluto ο di pensiero puro,
affermarono la dipendenza del mondo dell’esperionza dall'attività della
ragione; in tal modo è tolta la differenza stabilita da Kant fra trascendentale
e trascendente. Nel primitivo senso kantiano, che è il più limitato, il
trascendentalismo è l'affermazione della possibilità della conoscenza a priori
degli oggetti, e della costruzione dei concetti, che possono così essere
applicati. Nella filo75 RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche. Tra 1186 sofia della religione per trascendentalismo s’
intende talvolta ogni religione che ammette la trascendenza ontologica © logica
della divinità; altre volte indica l’ insieme dello dottrine, che considerano
la sorgente delle verità religiose come un organo o un processo di apprensione
trascendente le forme ordinarie, e chiamato visione mistica, estasi,
intuizione, coscienza religiosa, ecc. Dicesi trascendentalismo logico quell’
indiriszo, rappresentato dallo Spir, dal Windelband, dal Rickert, che partendo
da una particolare interpretazione delle concezioni kantiane, considera la
funzione logica come un quid che, oltrepassando l’esperienza, serve come
criterio per apprezzarla. Cfr. Frothingham, Transcendontalism in New England,
1895; A. Levi, Il trascendentaliemo logico, « Cultura filosofica», luglio 1911.
Trascendente. T. Transscendent ; I. Transcendent ; F. Transcendant. Si oppone
ad immanente © designa ciò che non risiede nell’ essere, che sorte da un
determinato soggetto, che supera determinati limiti. Nella gnoseologia designa
ciò che supera le nostre facoltà conoscitive, © semplicemente ciò che si eleva
al disopra delle idee è credenze comuni. Kant applica questo termine a ogni conoscenza,
che noi crediamo poter ottenere senza il soccorso dell’ esperienza, e che
perciò è interamente chimerica, « Chiameremo immanenti, egli dice, le
proposizioni fondamentali il cui impiego rimane completamente nei limiti
dell’esperienza possibile, trascendenti quelle che tali limiti sorpassano ».
Gli scolastici dicevano trascendenti le nozioni universali, come l’unità e
l'essere, che a’ applicano a tutto e non sono propriamente dei generi. Cfr.
Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 262; Prantl, Geschichte d. Logik,
1885, III, p. 8-9, 114, 245; A. Richi, Der philos. Kriticismus, 1887, t. Il, v.
2, p. 168 (v. transitivo, trascendentale). Trasformismo. T.
Tranaformalignetheorie ; I. Transformism ; F. Tranaformieme. La dottrina
secondo la quale le specie naturali non sono fisse, ma si sviluppurono gradatamente
attraverso il tompo, procedendo dalle forme più semplici verso quelle più
complesse. Essa si oppone all’altra dottrina, fondata già da Linneo, che
considera le specie come costanti 6 tante quante ne cred Dio fin dal principio.
Intuita anche nell'antichità, la dottrina del trasformismo fu scientificamente
esposta e difesa per la prima volta dal Lamarck, il quale attribuì ls graduale
trasformazione delle specie alle condizioni esterne della vita, all’ abitudine
e all’ uso e disuso degli organi. Più tardi il Geffroy ripiglieva il concetto
lamarchiano della discendenza delle specie viventi da altre che le hanno
precedute, attribuendo però la massima importanza all’azione dell’ ambiente;
finchè Carlo Darwin poneva il concetto dell'evoluzione su basi ancor più
solide, aggiungendo ai fattori di essa, già riconosciuti dal Lamarck e dal
Gefîroy, la sopravvivenza del più adatto (elezione ο selezione naturale)
necessaria conseguenza della rapida riproduzione degli organismi e della lotta
per In vita. Fra i-moderni sostenitori del trasformismo alcuni, col Weismann,
negano l'eredità dei caratteri acquisiti, esagerando V opera dell’ elesione
naturale (noo-darwiniani) ; altri, con lo Spencer, attribuiscono la maggiore
efficacis all’infinenza dell’ambiente ο agli effetti dell’ uso © disuso degli
organi (neo-lamarokiani). Il trasformismo si distingue dal darwinismo, che è la
stessa dottrina trasformistica quale fu intesa ed esposta dal Darwin, ο dall’
evolusioniemo, che è il trasformismo applicato a tutti i fenomeni naturali,
inorgonici, organici e superorganici. Cfr. R. Schmidt, D. darwinsche Theorie, 1876; H. F.
Osborn, From the Greeks to Darwin, 1894; Hendley, Problems of evolution, 1901 ;
Th. Ribot, La peychol. anglaise
contemp., 1875, p. 160-247; Delago ο Goldamit, Les théorier de l’érolution,
1910; E. Clodd, 1 pionieri dell'evoluzione, trad. it. 1909 (v. adattamento,
conrergenza, divergenza, credità, lotta, selezione, specie, variabilità, cco.).
Tra-Trı 1188 Trasmissione. 1. Ucberlieferung, Foripfansung
: I. Tran mission; F. Transmission. Nella biologia indica il passagyric dei
caratteri degli ascendenti nei loro discendenti (eredità). Nella
psico-fisiologia l’espressione conduzione ο trasmissione nervosa indica il
fenomeno che si compie lungo il cilindro asso delle fibre nervose, per la loro
attitudine di enbire delle particolari modificazioni in seguito ad uno stimolo,
e di trasmetterle dal punto stimolato verso le estremità della fibra. Affinchè
la trasmissione si possa compiere, è necessario che non sia avvenuta alcuna
discontinuità anatomica lungo la fibra. La eccitazione di una fibra nervosa non
si comunica alle vicine, sia la fibra stimolata di senso © di moto: ciò
costituisce la legge della trasmissione isolata (G. Müller); se non esistesse
questa legge, non sarebbe possibile nè di provocare la contrazione di alenni
determinati muscoli soltanto, nè di localizzare le sensazioni. Le fibre che
servono ai vari sensi, se stimolate, dànno sensazioni ad essi relative; le
fibre motrici dànno sensazioni muscolari e seoretorie. Cfr. J. Müller, Handb.
d. Physiol., 1885; Setschenow, Pfliiger’s Arch., 1881, XXV (v. eccitazione,
fibra). Traumatopio. Strumento che serve a dimostrare le proprietà delle
imagini consecutive negative. Con esso si fanno vedere a brevissimi intervalli
delle figuro umane o animali, nelle posizioni successive di un dato movimento,
e, in conseguenza, sembra di vedere realmente una persona che eseguisca quel
movimento. Tricotomia. T. Dreitheilung; I. Trichotomy ; F. Trickotomie. La
divisiono logica i cui membri dividenti sono in numero di tre. Di questi membri
dividenti due sono generalmente opposti, uno intermedio; ad es. : i sentimenti
umani sono egoistici, altruistici ο egoaltruistici. Per tale ragione alcuni
preferiscono la tricotomia alla dicotomia, nella quale i membri dividenti
costituiscono una perfetta contrarietà, che le dà simmetria ed csattezra
logira, ms Tro la ronde in molti casi inapplicabile. Dicesi anche tricotomia Vantica dottrina,
contenuta in germe nel Nuovo Testamento ancora sostenuta da slouni teologi
tedeschi, secondo la quale la natura dell’uomo si distingue in corpo (soma),
anima (psyche), e spirito (pneuma). Cfr. J. B. Heard, The tripartite nature of man, 1870;
Masci, Logica, 1889, p. 304 segg. (v.
divisione, diootomica). Tropo. Dal greco τρόπος attitudine, indole, modo di pensare. Nella
retorica è una figura per cui ad una parola si dà un significato diverso dal
suo proprio; nella storia della filosofia designa gli argomenti o motivi di
dubbio, adoperati dagli scettici contro i dogmatici. Per Pirrone tali argomenti
erano dieci, ma si risolvevano poi tutti nell’unico comune argomento delle
illusioni dei sensi. Per Agrippa, invece, erano cinque, e in essi trovasi riassunto
in forma precisa tutto quanto lo scetticismo aveva prodotto di essenziale in
pareochi secoli di speculazione. Il primo tropo di Agrippa è la contraddizione:
non essendovi alcun principio che non sia stato negato, appenn il dogmatico
pronunoierà un giudizio si potrà opporgliene uno opposto. Egli cercherà allora
di dedurre il proprio principio ds uno più generale, ma anche a questo si potrà
fare la stessa obbiezione; ne cercherà un altro più generale, poi un altro
ancora, © così via vis senza poter vincere l’obbiezione. Egli cadrà dunque nel
secondo tropo, il progresso all'infinito. Ma può darsi ch'egli creda d’essere
arrivato a cogliere un principio che non ha bisogno a appoggiarsi eu altri, che
è evidente per sò stesso; ma in tal caso gli si risponde, che è evidente ciò
che pare vero ad uno spirito, mentre agli altri può parer faluo : è il terzo
tropo della relativita. Se egli obbietta che il sno principio non ha prove,
cade nel quarto che è l'ipotesi, © se vuol tentare la dimostrazione cade nel
quinto che è il diallelo, poichè la dimostrazione presuppone il valore della
ragione, che pretendo dimostrare. Cfr. Sesto EmpiTur 1190 rico, Pyrr. Hyp., I, 38 segg., 164 segg., II,
194 segg.; Id.. Adv. Math., VIII, 316 segg. (v. epoca, dicotomia, isostenia).
Tutto. Gr. Τὸ ὅλον; Lat. Totum; T. Ganze; I. Whole: F. Tout. Per Cristiano
Wolff, unum, quod idem est cum multie, dicitur totum. Il Rosmini lo definisce
pure come il complesso di quelle cose che insieme formano uno. Come I’ uno è
correlutivo del molteplice, così il tutto è correlativo della parte. Perd tra
il concetto di tutto e il concetto di uno, vi ha la differenza che questo, in
quanto è applicato a molte entità, ha in 8 la relazione per la quale un'entità
esclude le altre, mentre quello ha in sè la relazione di abbracciare le parti,
che compongono la medesima entità e di negare che ce ne siano altre, che
concorrano a comporla. Ad ogni modo il tutto si può predicare dell’ uno © di
ogni uno si può predicare il tatto, cosicchè le due proposizioni « ogni tutto è
uno » e «ogni uno è tutto» sono dialetticamente convertibili. Furono distinte
tre specie di tutto: il totum ante partes (BAov πρὸ τῶν μερῶν), che è quello
senza parti, o quello che la mente concepisco con un solo atto senza guardare
allo parti; il totum ex partibus (ὅλον dx τῶν μερῶν), che è quello che si riguarda
come un composto di parti; e il totum in partibus (Άλον ἓν τοῖς µέρεσι), che è
l'uno possibile considerato nelle parti, il tutto riguardato nel complesso
delle parti como esistente nella sus materia, Si dice poi tutto fisico quello
che è costituito di parti congiunte in modo da fo mare una sola natura, come il
composto di materia e di forma; tutto metafisico ciò che è composto di genere e
di differenza, di comune ο di proprio; tutto matematico ciò che è composto di
parti juzta positae; tutto sillogiatico quella specie di tutto che risulta dal
legame che hanno fra loro due cose affermate, l'una delle quali trae seco
l'esistenza dell'altra; tutto logico una nozione universale, ad esempio il
genere, che nel suo seno contiene virtaalmente altre nozioni meno estese, come
le specie. Nel lin 1191 Tuz-Upr guaggio
della scolastica il totum per so è quello che consta di parti ordinate a
costituirne l'essenza; il totum per aocidens ciò che consta di più enti in atto
0 completi, ad es. un mucchio di grano; totum essentiale ciò che risulta da
parti costituenti fisicamente e metafisicamente la sua quid„dit, ad es. l’uomo
che consta fisicamente di corpo ο d’ anima, metafisicamente di animale e
razionale; totum perfeotibile è detto il genere perchè della cosa esprime il
materiale © il più comune, totum perfootivum la differenza, che esprime il
formale della cosa, © totum perfeotum la spécie perchè esprime il formale ο il
materiale della cosa. Cfr. Platone, Teoteto, 204 E; Aristotele, Metaph., V, 26,
1023 %, 26; C. Wolff, Philos. prima sive ontologia, 1786, $ 341; Rosmini,
Logica, 1853, $ 571 segg. (v. molteplicità, unità). Tusiorismo (tutior = più
sicuro). Il Rosmini chiama così la dottrina morale che egli considera come la
prima forma sotto cui si mostra l'agire etico nella storia dell'umanità -secondo
la quale, quando I’ individuo trovasi dubbioso sulla determinazione da
prendere, deve scegliere sempre la via più sicura. Essa si compendia tutta nel
priucipio: in dubio tutor pare eat eligenda. Cfr. Rosmini, Storia comparativa ο
oritica dei sistemi intorno alla morale, 1897. Uditive (sensazioni). "I. Hörempfindungen;
I. Hearing sensations ; F. Sensations auditives. Hanno per organo l’orecchio, per stimolo le vibrazioni
dell’aria rispondenti alle vibrazioni di un corpo, per contenuto il suono, che
è dato da una serie di vibrazioni regolari © periodiche, ο il rumore, che
corrisponde a vibrazioni irregolari. Le vibrazioni sono raccolte dal padiglione
dell’ orecchio, trasmesse alla membrana del timpatio, comunicate da questa agli
ossicini dell’orecchio medio, che alla lor volta le trasmettono alla perilinfa
© all’ endolinfa dell’ orecchio interno, ove Usu 1192 sono raccolte dalle terminasioni dei nervi
nonstici. Per produrre una sensazione uditiva le onde sonore devono succedersi
almeno colla frequenza di 15-40 per secondo © non oltrepassare la frequenza di
16,000-41,000. L’altessa del suono dipende dal numero delle vibrazioni in un minuto
secondo; l'intensità dall’ ampiezza dell’ onda di vibrazione; il timbro o
metallo delle note dalle differenze qualitative fra una medesima nota; la
consonanza si ha quando le onde di due suoni si combinano in modo da produrre
un suono formato da onde più ampio ma tutte uniformi. La direrione del suono
viene argomentata dalPindividuo in base alla differenza fra le sensazioni percepite
per meszo dell’ uno e quelle percepito per mezzo dell’altro orecchio, e in base
alla differenza fra l'intensità delle sensazioni percepite dallo stesso
orecchio, mentre osso si trova in questa ο quella posizione. Cfr. J. K.
Kreibig, Die funf Sinne des Menschen, 1907, p. 51 segg.; Helmholtz, Die Lehre
von don Tonempfindungen, 5 ed. 1896; F. Besold, Die Funktionsprüfung des Ohres,
1897; C. Stumpf, Tonpsychologie, 1890; Bain, Mental soienoe, 1884, p. 51 segg.;
P. Bonnier, L’ Audition, 1901 (v. aousma, biauricolare, timpano, potere
risolutivo). Uguaglianza. T. Gleicheit, Gleichung; I. Equality: F. Egalité.
Dicesi uguaglianza logios di due proposizioni © classi il loro reciproco
implicarsi o contenersi, di due concetti l'avere la medesima estensione. Uguaglianza politica è il principio in base al
quale i diritti politici, i gradi ο le dignità pubbliche sppartengono a tutti i
eittadini senza distinzione di classe o di fortuna; uguaglianza giuridica il
principio in baso al quale lo prescrizioni, le proibizioni 9 le pene logali
sono identiche per tutti i cittadini senza eccezione di nascita, di situazione
ο di fortuna; l'una e l’altra specie di uguaglianza αἱ anol dire formale, per
contrapposto alla reale ο materiale, che intercede tra due ο più uomini che
hanno identica la fortuns, 1193 Uau l'intelligenza, la cultura, la salute,
ecc. Il liberalismo, nella sua forma pura, consiste nel respingere l’
uguaglianza materiale, che non si realizza in alcuna società, e assumere come
regola la realizzazione dell'uguaglianza formale. « Spesso esiste un grande
intervallo, dice il Condorcet, tra i diritti che la legge riconosce ai
cittadini e i diritti di cui essi hanno il reale godimento, tra l’ uguagliansa
stabilita dalle istituzioni politiche e quella che esiste tra gli individui.
Queste differenze di stato hanno tre cause principali: l’ inuguaglianza della
ricchezza, l’ inuguaglianza di stato tra quello i cui mezzi di sussistenza,
assicurati da lui stesso, si trasmettono alla sua famiglia, e quello per cui
tali mezzi sono dipendenti dalla durata della sua vita, o piuttosto dalla parte
della sua vita nella quale è capace di lavoro; infine } inuguaglianza di istruzione....
Queste tre specie di inugnaglianza reale possono diminuiro continuamente senza
tuttavia annullarsi, poichè hanno delle cause naturali e necessarie, che
sarebbe assurdo e pericoloso voler distruggere ; non si potrebbe nemmeno
tentare di farne sparire interamente gli effetti, senza aprire delle sorgenti
di disuguaglianze più fecondo, senza portare ai diritti degli uomini dei colpi
più diretti e più funesti ». Nella
matematica si chiama uguaglianza l’espressione algoritmica, numerica o
letterale, la quale consta di due membri separati tra di loro dal segno =
(uguale); noll’uno dei due membri il valore è il risultato delle operazioni
eseguite nell'altro; ad es.: b + 2 8; a
(b + d) = ab + a d. Nella meccanica due
forze si dicono uguali, quando con una stessa forza si può fare equilibrio all’
una © all'altra. Nella geometria, due
figure si dicono nguali quando sono costituito di parti rispettivamente
sovrapponibili; così due triangoli sono uguali, quando le parti, cioè gli
angoli e i lati dell’ uno, sono rispettivamente sovrapponibili agli angoli e ai
lati dell’ altro, sicchè, quando le due figure sono sovrapposte, ne formano
idenULT-Uma 1194 ticamente una sola. Ciò però soltanto riguardo
alle figure piane; poichè, quanto alle solide, può darsi che siano costituite
di parti sovrapponibili, se prose separatamente, ma non sovrapponibili se prese
tutte insieme, a causa della loro diversa distribuzione; ad es. le due mani dell’uomo
sono costituite di parti perfettamente uguali, ma poichè queste sono
diversamente distribuite, esse mani non sono sovrapponibili. In tal caso P
uguaglianza delle figuro vien detta uguaglianza di simmetria, e le figure son
dotte figure simmetriche. Se poi si hanno due figure identiche per le loro
misure, ma non per la forma, esse si dicono equivalenti; nel caso inverso si
dicono simili. Cfr. Rousseau, L'origine de l'inégalité parmi les hommes, 1750; Condorcet,
Progr. de l'esprit humain, 1804 (v. equazione, identità, geometria, simile). Ultimo. T. Letste, End-; I. Ultimate; F.
Dernier, ultime, final. Ciò oltre di cui non si pnd andare: fine ultimo è
quello che non è alla sua volta mezzo di un altro fine: la ragione ultima
quella che non abbisogna di un’altra ragione o spiegazione; speoie ultima
(ultima ο infima species) quella che non è a sua volta genere rispetto ad altre
specie, ‘e non contiene che termini singolari (v. inconcepibile. inoonoscibile,
supremo, primo). Umanismo. T. Humanismus; I. Humanism; F. Humanisme. Nel suo
significato più generale 1’ smanismo è quel movimento degli spiriti col quale
s’apre il Rinascimento, caratterizzato da uno sforzo per rialzare la dignità
dello spirito umano e metterlo in valore, ricollegando, sopra il medioevo e la
scolastica, la cultura moderna all’ antiea: esso giunge circa fino al 1600 e
abbraccia la fine della tradizione medievale per opera dell’ellenismo puro. Il
secondo periodo, il naturalismo, abbraccia i principi della nuova seienza della
natura, liberi d’ogni schiavitù, e, al loro seguito, i grandi sistemi
metafisici del secolo XVII. Però i due periodi, umanistico e naturalistico,
costitui 1195 Uma scono nel loro insieme
un tutto solo; infatti il motivo interiore del movimento umanistico è la stessa
aspirazione ad una conoscenza affatto nuova del mondo, che si realizzd poi con
lo sviluppo delle soienze naturali; ma il modo e le forme intellettuali come
ciò avvenne, si presentano dipendenti dagli impulsi scaturiti dall’
accoglimento della filosofia greca. Il fermento essenziale del movimento
umanistico fa il contrasto tra la filosofia medievale, già in dissoluzione, e
le opere originali dei pensatori greci, che si cominciarono a conoscere col
secolo XV. Da Bisanzio, attraverso Firenze ο Roma, sopraggiunge una nuova corrente
di cultura, che fece deviare il cammino del pensiero occidentale; gli umanisti
si ribellarono alle diverse interpretazioni mediovali della metafisica greca,
alla deduzione autoritaria dei concetti presupposti, alla durezza inelegante
del latino monastico, e la loro opposizione ottenne una rapide vittoria con la
meravigliosa restituzione del pensiero antico, con la fresce percezione di una
generazione amante della vita, con la finezza ο lo spirito di un tempo ricco di
cultura artistica. Nel suo significato
più ristretto, l’umanismo è quell’ indirizzo filosofico contemporaneo, molto
affine al prammatiemo, che fa capo a F. C. 8. Schiller, il quale gli diede
appunto questo nome. Esso si riattacca, secondo lo Schiller, alla massima
protagoren che l’uomo è la misura di tutte le cose, 6 ha questo tesi
fondamentali: una proposizione è vera o falsa a seconda che le sue conseguenze
hanno o non hanno valore pratico, quindi la sua verità o falsità dipende dallo
scopo a cui si tende; tutta la vita mentale suppone degli scopi; questi scopi,
non potendo essere, per noi, che quelli dell’essore che noi siamo, ne segue che
ogni conoscenza è subor nata in ultimo alla nature umana e ai suoi bisogni fondamentali.
Per tal modo « l’umanismo è puramente il rendersi conto che il problema
filosofico rignarda degli esseri umani aforzantisi di comprendere un mondo
d’espeUma 1196 rienza umana coi meszi della coscienza umana
». L’umanismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per il Le Danteo la
scienza è una serie di constatazioni fatte sulla soala umana; le ipotesi non
hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un'ipotesi si
giudicherà dalla sus fecondità >; la logica «fa parte del meccanismo umano
allo stesso titolo delle braccia o delle gambe »; «luomo non conosce che dei
rapporti di cos con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli elementi
della desorizione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano
concepisce l’umanismo come «un sistema autropocentrico del sapere filosofico,
sul fondamento d’una teoria delle attività, delle renzioni ο dei prodotti dello
spirito, studiato nella sua realtà di fatto, immediata ο storica », il quale
sistema deve culminare in «uns concozione del mondo, quale appunto I’ uomo,
conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione di tutto
il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso perciò assume l’uomo come
materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno,
coscienza conoscitrice © valatatrice, nd pretende identificare spirito e
natura, ud toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osse i diritti
dello spirito; e, nell’ interno dello stesso organismo psichico, non intende
ridurre le esigenze dol pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il
movimento umanistico contemporaneo è certo una manifestazione caratteristion
del pensiero filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî
della vita intellettuale ο della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente,
immediata ο storica, come centro teoretico e apprezzativo del mondo; esso
supera ad un tempo il panteismo trascendente ο il solipsismo gnoseologico,
cercando nella consenziente soggettività degli spiriti il tratto @’ unione
dell’individualismo e dell’ univerealismo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der
Renaissanoo in Italion, 4° od. 1197 Uma-Umo 1886, trad. it. Valbuss, 1899; Mar.
Carrière, Die philosophische Woltanschauung der Reformationszeit, 2° ed. 1887 ;
F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del quattrocento, 1885; F. C. Β.
Schiller, Humaniem, philosophioal essays, 1908 ; Id., Studies in Humanism,
1907; F. Le Danteo, Les lois naturelles, Introd. p. x; P. R. Troiano, Le basi
dell’umanesimo, 1906; G. M. Ferrari, L’umanesimo filosofico, « Riv.di fil. »,
novembre 1913 (v. pragmatismo). Umanità. T. Humanität, Menscheit,
Menschlichkeit; I. Humanity, Mankind; F. Humanité, Oggettivamente indica quella
vasta famiglia, moralmente unita, nella quale entrano tutti gli uomini per la
loro comune natura; soggettivamente designa quell’ insieme di caratteri
spirituali, cho distinguono la stessa natura umana, elevandola sopra ogni altra
categoria di esseri, compresi i bruti. In questo secondo senso, l’umanità è
concepita sotto due aspetti diversi nella società greco-romana ο nella
cristiana: in quella 1’ Άνπιαnitas è riguardata specialmente nelle sue facoltà
intellettuali ed artistiche, in questa nelle sue doti morali, nella carità,
nella benevolenza e nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo fa adoperato
da Augusto Comte, per il quale l'umanità è sia l'essere collettivo costituito
dalP insieme degli uomini, sia l'insieme dei caratteri costituenti
«l’ascensione crescente della nostra umanità sulla nostra animalità, per la
doppia supremazia dell’ intelligenza sulle tendenze e dell’ istinto simpatico
sull’istinto personale >; in un terzo senso, più ristretto, l’umanità è per
il Comte soltanto 1 insieme degli uomini che hanno effcacemente contribuito
allo sviluppo normale delle qualità proprinmente umane, e in questo senso egli
chiama 1’ umanità il Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de philosophie positive, 1839, lez.
59; Lévy-Bruhl, La philon. d'A. Comte,
p. 389-391 (v. cosmopolitismo, solidarietà). Umorismo. T. Humoriemus; I.
Humorism ; F. Humoriame. È una forma del sentimento del comico, dal quale Umo 1198 però si distingue sia per un grado maggiore di
finezza e @ intellettualita, sia per la mancanza d’ogni elemento dispregiativo.
Secondo 1’ Hòffding esso è «il sentimento del ridicolo avente per base la
simpatia »; può svilup parsi fino a diventare un modo di comprendere la vita,
una disposizione fondamentale a considerare con simpatia tutto ciò che vive e a
confidare nelle forze che trionfano nella natura e nella storia: « La
concezione umoristica della vita s'è adattata all’esperienza, la quale ο
insegna che anche il grande ο il sublime hanno i loro limiti, il loro aspetto
finito, e se essa ride di ciò che v ha di piccolo e di ristretto, non dimentica
che è la forma d’un contenuto, che ha il suo valore. Essa #’ è adattata ai miti
della grandezza come all’ imperfezione della folicità e sa per esperienza che,
sotto apparenze piccole e meschine, può nascondersi un gran tesoro ». Per il
Masci l umorismo è la forma superiore della comicità, « con esso la comicità
diventa abituale, e si estende ad una parte maggiore o minore della realtà »;
esso è ingenuo o consapevole, gaio o triste, e va dalla forma che è schietta
comicità a quella che è una forma filosofica del dolore umano, che è
riflessione comica sulla realtà in generale; se è alleato col sentimento di
simpatia, se trova ancora del buono nelle cose, |’ umorismo è benevolo; se
invece la simpatia è spenta e la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione
dello spirito che nega, l’ irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il
Momigliano 1’ umorismo sta fra Y ironia pura e la satira, non avendo πὸ il
carattere scherzoso della prima, nd lo scopo correttivo della seconda; egli ne
distingue varie forme, la sentensiosa, ad cs. quella del Manzoni; la
drammatica, nd es. quella del Dikens; V umorismo che consiste tutto nell’
avvicinar U’ insignificante al grave, ad os. quello del Pulct; 1’ umorismo
ottimistioo, che non contrappone il male al bene, ma il bene al male; quello
indulgente, che rileva un difetto ridendo; quello 1199 melanoonicamente rassegnato, nel quale la
dolorosa vu del male è bensì mitigata dal sapere che esso è inevitabile, ma è
mista con un mite rimprovero alla sorte degli uomini ; l’ umorismo pessimistico
0 tragico, che esagera il compiacimento con cui si rileva il male proprio ο
quello sparso nel mondo; il serio, che non è che un sorriso di dolore, la
voluttà triste ma tranquilla che 1’ umorista prova nel profondarsi lentamente
nella malinconia, e00.; egli compendin queste forme definendolo « quella forma
di comicità, in cni si rileva inaspettatamente, senz’ alcuno scopo correttivo e
con un compiacimento più o meno visibile, un difetto o un contrasto, fondendo
elementi seri con elementi scherzosi, oppure mescolando il compi mento colla
simpatia © colla rassegnazione, oppure rivelando I’ abitudine di considerare il
corso generale delle cose con una penetrazione superiore 9 con un senso filosofico
della vita». Cfr. Lotse, Geschichte d. Aesthetik in Deutschland, 1868, p.
375-377; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 390 segg.; Baldensperger,
Les definitions . de l'humour, in Études d’hist. littéraire, 1907, p. 175-222;
Masci, Psicologia del comico, 1889; A. Momigliano, L’ori-! gino del comico, «
Cultura filos. », sett. 1909; Pirandello, L’ umorismo, 1908 (v. comico,
ironia). Unicità. La qualità di ciò che è unico; si distingue dalla unità, che
è la qualità di ciò che è uno. Così il monoteismo à la dottrina dell’ unicità
di Dio, l’enoteismo In dottrina dell’ unità di Dio. Uniformitä. T.
Einförmigkeit, Gleichförmigkeit; I. UniSormity; F. Uniformité. Può essere
statica e dinami „prima consiste nel fatto che due o più individui d’ una
classe posseggono caratteri essenziali identici, la soconda nel riprodursi
degli stessi fatti col riprodursi delle stesse condizioni. La prima specie di
uniformità dà il tipo delle scienze staticho, la seconda la legge delle
dinamiche. Nel postulato della uniformità della natura sono comprese enUnt 1200 trambe le specie, ma più precisamente la
seconda; poichè è su questa che è fondata la costruzione induttiva delle leggi
e la loro applicazione deduttiva alla esplicazione dei singoli fatti. Nella
stessa vita pratica, ogni nostra azione in vista di un fine, in quanto è
conformata all’ esperienza precedente, presuppone come condizione necessaria
l’uniformità statica ο dinamica, ossia di coesistenza © di sequenza, dei
fenomeni naturali, Unità. T. Zinhoit; I. Unity; F. Unité. È la qualità di ciò
che è uno, montre I’ unicità è la qualità di ciò che è unico. Quindi l’unità
non esclude, ma implica la molteplicità, della quale è concetto correlative ©
senza di cui sarebbe inconcopibile. Quanto all’ origine dell’ idea di unità,
secondo alcuni filosofi è innate, secondo altri è un prodotto di esperienza
sensibile, secondo altri risulta dall’ esperienza interna. Per il Fénélon essa
è innata, in quanto non può derivare nò dal senso interno, nè dai sensi
esterni, che ci presentano sempre dei composti © dei molteplici : « Io
concepisco un esseré, che non cambia mai affatto di pensiero, che pensa sempre
tutte le cose insieme, ed in oui non si può trovare alcuna composizione 6 tanto
meno successione. E senza dubbio questa idea della perfetta ο suprema unità,
che mi fa tanto cercare qualche unità negli spiriti ed ancora nei corpi. Questa
idea incessantemente presente nel fondo di me stesso è nata con me; essa è il
modello perfetto sul quale io cerco dappertutto qualche copia imperfetta dell’
unità, Questa idea di ciò che è uno, somplice ed indivisibile per eocellenza,
non può esser altro che l’iden di Dio ». Per Spinoza l’ unità non è una
proprietà delle cose, ma ciò che è compreso in uu atto mentale: Unitaten....
onti nihil addere; sed tantum modum cogitandi esse, quo rem ab aliis separamus,
quae ipti similes sunt, rel oum ipsa aliquo modo conveniunt. Invece per il
Leibnitz essa è una proprietà oggettiva, tantoohd ce qui n'est pas réritablement
un ostre, n'est pas non plus véritabloment um estre. 1201 UNI Per C. Bonnet è una semplice idea, che
l’anima si forma « considerando in ogni oggetto soltanto I’ esistenza ο facendo
astrazione da ogni composizione e da ogni attributo ». Per il Locke, « fra
tutte le nostre idee, non ve n’ ha alcuna, che ci sis suggerita da un più gran
numero di mezzi di quella di unità, sebbene non ve ne sia alcuna più semplice.
Non v’ ha nessuna apparenza di varietà o di composizione, in questa idea: ed
essa si trova unita a ciascun oggetto che colpisce i nostri sensi, a ciascuna
ides che si presenta al nostro intendimento, ed a ciascun pensiero del nostro
spirito ». Per Berkeley l’ unità è una semplice astrazione, senza
corrispondente obbiettivo; per Kant è « l’unità formale delle coscienza nella
sintesi della molteplicità delle rappresentazioni » © sorge dalla identità delVautocoscienza.
Il Galluppi distingue tre specie d’anità, la sintetica, la metafisica ο la
fisica. L'unità sintetica risultada una operazione del nostro pensiero, ed è
perciò condizi nale; l’unità fisica è la stessa unità sintetiea che il nostro
pensiero attribuisce agli oggetti corporei; l’una e l’altra derivano dall’
unità metafisica, che, essendo la stessa unità dell’ anima, è assoluta,
invariabile, non risulta dalla congiunzione di diversi elementi, non dipende da
alcuna condizione: « Senza l’unità metafisica non è possibile 1’ unità
sintetica del pensiero, ο senza 1’ unità sintetica del pensiero non è possibile
l’unità sintetica fisica ». Il Rosmi la definisce come quella qualità del
soggetto, per la quale esso è indiviso in sè stesso, © diviso, ossin separato,
da ogni altro; quando questa qualità si predica del soggetto, allora essa, prendendo
la forma di predicato, dicesi uno. Per il Wundt il concetto di unità è
puramente la funzione della concezione logica presa nel contenuto concettuale,
ο da esso ba origine l’unità rappresentativa delle cose. Si distinguono varie
specie di unità: quella «pirituale, vale a dire l’unità della coscienza, sia
essa un’ unità sostanziale © puramente dinamica ed empirica; quella logica, che
con76 RanzoLI, Dirion. di scienze
filosofiche. Um 1202 siste nell’ unificarsi del molteplice
particolare nel generico astratto, assunto come tipo comune; quella numerica ο
matematica, che è una delimitazione nel tempo e nello spazio, © da cui
originano le nozioni di numero e di grandezza; quella fisica ο materiale,
risultante da un insieme di parti indivise formanti un tutto; quella
trascendentale, che consiste nella individualità degli elementi costitutivi di
una cosa, ad es. l’uomo è uno sebbene abbia un’ anima ed un corpo organico. Gli
scolastici chiamavano unitas per se quella che nasce da una essenza o natura,
sia semplice o composta, come l’unità della natura divina o dell’ uomo; unitas
per accidens quella che nasce da diverse nature, di ordine o predicamento
diverso, come un mucchio di pietre; unitas materialis o individualis 1’ entità
di ciascun individuo, in quanto esprime incomunicabilità e indivisione in più
inferiori ; unitas formalis o essentialis quella della specie o del genere in
quanto si distinguono rispettivamente da ogni altra specie o genere; unitas
semplicitatis quella di un ente indivisibile in atto e in potenza, unitas
compositionis quella invece di un ente che è uno numerioe ma è composto di
parti distinte e potenzialmente divisibili; umitas rationia quella per cui, con
un atto mentale, di più individui si fa una specie sola o di più generi un solo
genere; unitas #0Utudinte l'unicità in una data natura, ad es. l’unità divina.
Cfr. Aristotele, Met., IIT, 8, 999 a, 2, V, 6, 1015 b, 16 segg.; Spinoza,
Cogit. metaph., I, 5; Leibnitz, Philos. Sorhiften, ed. Gerhardt, II, 97; Wolff,
Ontologia, 1736, $ 238 © 239; Bonnet, Essai de peychol., 1755, C 14; Berkeley,
Princ., XII; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 119 segg.; Genovesi,
Metaph. lat., parte I, cap. 5, def. 42; Galluppi, Lezioni di logica e metaf.,
1854, vol. III, p. 1018 segg.; Wundt, Syst. der Phil., 1889, p. 227 (v.
individuo, numero, quantità, tutto, uno). Universale. Lat. Universalis; T.
Allgemein; I. Univertal; F. Unirersel, Che si estende a tutto l'universo, o ap
1208 Uni partiene a tutti gli uomini, o
non soffre alcuna eccezione; cost si dice, nel primo senso, causalità
universale, nel 96condo consenso universale, nel terzo le leggi di natura sono
universali. Dicesi giudizio universale quello in cui il concetto che fa da
soggetto è preso in tutta la sua estensione; la sua formula è: tutti gli A sono
B, oppure, nessun 4 è B. I giudizi universali sono la formula del pensiero
scientifico, perchò esprimono i principî, le leggi ο le conoscenze universali.
Secondo alcuni logici anche i giudizi individuali sono universali, perchè anche
in essi il concetto del soggetto à preso nella massima estensione : infatti,
essendo il soggetto un individuo, cioò qualche cosa che è indiviso ο che si
suppone tale, non può evidentemente esser preso in parte della sua estensione,
Ma altri logici respingono codesta identificazione, opponendo che nel giudizio
universale il concetto del soggetto non è preso come indivisibile, mn come un
tutto diviso in parti, delle quali si predica quello stesso che si predica del
tutto. Diconsi nozioni universali © principi universal i principi supremi della
ragione, perchè essi sono veri non già per un determinato numero di casi ο per
un determinato ordine di cose, ma per tutti i casi e tutte le cose senza
eccezione alcuna. La loro universalità si rivela anche nella identità con cui
si manifestano in tutte le intelligenze (v. generale, individuale, singolare).
Universali (universalia). Le idee generali, che Aristotele aveva classificato
in numero di cinque: genere, specie, differenza, proprio, accidente.
Considerati dal punto di vista della estensione, cioò dell’insieme delle cose
individuali alle quali si applicano, si distinguono tra gli universali i generi
e le specie; considerati dal punto di vista della comprensione, cioè dell’insieme
dei caratteri ο delle qualità che designano, si distinguono la differenza, il
proprio e 1’ accidente. Aristotele, che, al pari di Platone, ascriveva all’
universale un più alto valore conoscitivo che non all’ individuale, intendeva
con esso ciò che appartiene ad una molteplicità Uni 1204 di
cose, © che, quindi, non è una cosa in sè ma sussiste nelle cose;
concettualmente e secondo l’ essenza, 1’ universale è anteriore, quantunque sia
posteriore per noi, per la nostra conoscenza. Platone invece aveva attribuito
agli universali, alle Idee, un’ esistenza autonoma, indipendente dal ponsiero
degli uomini. Il problema degli universali, che fu oggetto di tante discussioni
nel periodo della scolastica, riguardava appunto la questione, già proposta ma
non risoluta da Porfirio, se gli universali hanno sussistenza propria o sono
soltanto nel pensiero, Le scuole che sostenevano la primi ipotesi furono dette
realiste, quelle che sostenevano la seconda concettualiste 0 nominaliste, a seconde
che consideravano gli universali come concetti 0 come puri nomi. Universalia
ante rem dicevansi gli archetipi eterni in Dio; #. in reo a parte rei l'essenza
delle cose moltiplicata negli individui; w. post rem il concetto della nostra
mente che unifica le ragioni essenziali 0 quidditative e le predica dei singoli
individui. Universale in obbligando ciò che è nno e obbliga molti, come la
legge; w. in causando ciò che è uno ο cagiona molte cose; u. in signifioando ©
repraesentando quello che essendo uno significa o rappresenta molte cose, come
il vocabolo uomo; u. in essendo © praedicando ciò che è uno ed è adatto ad
esser molti e predicarsi di molti; u. physioum la natura reale esistente nei
singoli individui, come la natura umana di Socrate; #. motephysioum la natura
reale considerata nello stato di solitudine, cioè non considerate le condizioni
individuanti, come la natura umana considerata senza la socraticità; u. logioum
uno che è adatto ad essere inerente a molte cose, e a predicarsi di molti per
Videntica ragione, ad es. la sostanza rispetto alla materia e allo spirito ; #.
inoomplezum quello che è semplice ed esprime Vordine di molte cose, ad es. la
virtù rispetto alla giustizia e alla temperanza; u. complerum una proposizione
generale, postulato o assioma, da cui si possono dedurre più particolari. Cfr.
Aristotele, De interpret., VII, 17 a, 39; Id., Met., VII, 1205 Uni 1018 b, 33; S. Tommaso, Sum. theol., I,
qu. 79, art. 5; J. H. Löwe, Der Kampf zwischen Nominalismus und Realiemus in
Mittelalter, 1876; Prantl, Gesch. d. Logik, 1855, vol. I, p. 682 (v.
concettualismo, nominalismo, realismo, terminismo). Universalismo. T.
Universaliemus; I. Universaliem; F. Universalisme. Nella morale si oppone a
individualismo, ο indica ogni dottrina che considera la comunità, ad es. lo
Stato o la Nazione, come l'oggetto dello sforzo morale. Nella religione è la
dottrina della salvazione finale di tutti gli uomini, fondata sopra la bontà
essenziale di Dio, lo scopo illimitato della redenzione di Cristo ο la
perfettibilità della natura umana. Cfr. Thayer, Thool. of universaἨσπε, 1873. Universo. T. Weltall; I. Universo; F. Univers. L'insieme di tutto ciò che esiste, la
collezione di tutte le cose, coesistenti e successive, tra di loro connesse.
Cristiano Wolff lo definisce series entium finitorum tam simultancorum, quam
suocessicorum inter se connezorum. Quale sia poi la sua natura intima, se
spirituale o materiale, unica 0 molteplice, statica o evolutiva, ecc. le
risposte sono tante quanti i vari sistemi filosofici. Cfr. Cr. Wolff,
Cosmologia generalis, 1737, $ 48. ‘Univoco. Parola introdotta nella logica da
Boezio, sebbene con significato alquanto diverso dal presente. Univoro si
oppone ad equivooo, e designa un attributo che può essere applicato a più
soggetti nel medesimo significato, mentre è equivoco quando può essere
applicato in più significati allo stesso soggetto. Si dicono quindi univoche le
coso che hanno comune il vocabolo ο l'essenza, equivoche quelle che hanno
comune il vocabolo ma non l'essenza. Gli sculastici, oltre le unirooa ed
aequivoca, distinguono anche le analoga, ossia le cose ad una delle quali
conviene un predicato propriamente, ad un’altra impropriamente, come uomo vivo
© nomo dipinto; queste si dicono anche anaUma 1196 rienza umana coi mezzi della coscienza umana
>. L’umanismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per il Le Danteo la
scienza è una serio di constatazioni fatte sulla soala umana; le ipotesi non
hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un’ ipotesi si
giudicherà dalla sua fecondità »; la logica «fa parte del meccanismo umano allo
stesso titolo delle braccia ο delle gambe >; « l’uomo non conosce che dei
rapporti di oose con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli elementi
della deecrisione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano
concepisce l’umanismo come «un sistema antropocentrico del sapere filosofico,
sul fondamento d’ una teoria delle attivitä, delle reazioni ο dei prodotti
dello spirito, studiato nella sus realtà di fatto, immediata e storica >, il
quale sistema deve culminare in « una concezione del mondo, quale appunto
l’uomo, conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione
di tutto il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso perciò assume l’ uomo
come materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno,
coscienza conoscitrice © valutatrice, nd pretende identificare spirito ©
natura, nd toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osso i diritti
dello spirito; e, nell’ interno dello stesso organismo psichico, non intende
ridurre le esigenze del pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il
ınovimento umanistico contemporaneo è certo una manifestazione caratteristica
del pensiero filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî
della vita intellettuale © della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente,
inmediata e storica, come centro teoretico © apprezzativo del mondo; esso
supera ad un tempo il panteismo trascendente e il solipsismo gnoseologico,
cercando nella consenziente soggettività degli spiriti il tratto d’unione dell’
individualismo ο dell’ universaliamo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in
Italien, 4° ed. 1197 Uma-Umo
1886, trad. it. Valbusa, 1899; Mar. Carrière, Dio philosophische Weltanechauung
der Reformationeseit, 2* ed. 1887 ; F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico
del quattrocento, 1885; F. C. 8. Schiller, Humanism, philosophical essays,
1908; Id., Studies in Humaniem, 1907; F. Le Danteo, Les lois naturelles, Introd.
p. x; P. R. Troiano, Le basi dell’umanesimo, 1906; G. M. Ferrari, L’umanesimo
filosofico, « Riv. di fil. », novembre 1918 (v. pragmatismo). Umanità. T.
Humanität, Menscheit, Menschlichkeit; I. Humanity, Mankind; F. Humanité,
Oggettivamente indica quella vasta famiglia, moralmente unita, nella quale
entrano tutti gli nomini per la loro comune natura; soggettivamente designa
quell'insieme di caratteri spirituali, che distinguono la stessa natura umana,
elevandola sopra ogni altra categoria di esseri, compresi i bruti. In questo
secondo senso, l’ umanità è concepita sotto due aspetti diversi nella società
greco-romana e nella cristiana: in quella l’Aumanitas è riguardata specialmente
nelle suo facoltà intellettuali ed artistiche, in questa nelle sue doti morali,
nella carità, nella benevolenza e nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo
fu adoperato da Augusto Comte, per il quale l'umanità è sia |’ essere
collettivo costituito dall'insieme degli uomini, sia l’insieme dei caratteri
costituenti « l’ascensione crescente della nostra umanità sulla nostra
animalità, per la doppia supremazia dell’ intelligenza sulle tendenze e dell’
istinto simpatico sull’istinto perso nale >; in un terzo senso, più
ristretto, l’umanità è per il Comte soltanto l'insieme degli uomini che hanno
efficacemente contribulto allo sviluppo normale delle qualità propriamente
umane, e in questo senso egli chiama I’ umanità il Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de
philosophie positive, 1839, lez. 59; Lévy-Brahl, La philon. d'A. Comte, p. 389-391 (v. cosmopolitiemo,
solidarietà). Umorismo. T. Humorismus; I. Humorism ; F. Humorismo. E una forma
del sentimento del comico, dal quale Umo 1198 però si distingue sia per un grado maggiore di
finezza ο d’ intellettualità, sia per la mancanza d’ogni elemento
dispregiativo. Secondo 1’ Hüffding esso è «il sentimento del ridicolo avente
per base la simpatia »; può svilupparsi fino a diventare un modo di comprendere
la vita, una disposizione fondamentale a considerare con simpatia tutto ciò che
vive e a confidare nelle forze che trionfano nella natura e nella storia: « La
concezione umoristica della vita s'è adattata all'esperienza, la quale ο)
insegna che anche il grande © il sublime hanno i loro limiti, il loro aspetto
finito, e se essa ride di ciò che v’ ha di piccolo e di ristretto, non
dimentica che è la forma d’un contenuto, che ha il suo valore. Essa s’ è
adattata ai limiti della grandezza come all’ imperfezione della felicità © sa
per esperienza che, sotto apparenze piccole e meschine, può nascondersi un gran
tesoro ». Per il Masci l umorismo è la forma superiore della comicità, « con
esso la comicità diventa abituale, e si estende ad una parte maggiore o minore
della realtà »; esso è ingenuo © consapevole, gaio ο triste, © va dalla forma
che è schietta comicità a quella che è una forma filosofica del dolore umano,
che è riflessione comica sulla realtà in generale; se è alleato col sentimento
di simpatia, se trova ancora del buono nelle cose, l'umorismo è benevolo; se
invece la simpatia è spenta e la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione
dello spirito che nega, l’ irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il
Momigliano I’ umorismo sta fra Y’ ironia pura ο la satira, non avendo nd il
carattere scherzoso della prima, nè lo scopo correttivo della seconda; egli ne
distingue varie forme, la sentenziosa, ad os, quella del Manzoni; la
drammatica, ad es. quella del Dikons; PP umorismo che consiste tutto nel’
avvicinar U insignificante al grare, ad cs, quello del Pulci; 1’ umorismo
ottimistico, che non contrappone il male al bene, ma il bene al male; quello
indulgente, che rileva un difetto ridendo; quello 1199 Uni melanconicamento rassegnato, nel quale la
dolorosa coscienza del male è bensì mitigata dal sapere che esso è inevitabile,
ma è mista con un mite rimprovero alla sorte degli nomini; 1’ umorismo
pessimistico 0 tragico, che esagera il compiacimento con cui si rileva il male
proprio o quello sparso nel mondo; il serio, che non è che un sorriso di
dolore, la voluttà triste ma tranquilla che 1’ umorista prova nel profondarsi
lentamente nella malinconia, eco.; egli compendia queste forme definendolo «
quella forma di comicità, in cui si rileva inaspettatamente, senz’ alcuno scopo
correttivo e con un compiacimento più o meno visibile, un difetto o un
contrasto, fondendo elementi seri con elementi scherzosi, oppure mescolando il
compiacimento colla simpatia e colla rassegnazione, oppure rivelando 1’
abitudine di considerare il corso generale delle cose con una penetrazione
superiore e con un senso filosofico della vita». Cfr. Lotze, Geschiohte d.
Aesthetik in Deutschland, 1868, p. 875-377; Höffding, Psychologie, trad. frane.
1900, p. 390 segg.; Baldensperger, Les definitions de l'humour, in Etudes
d’hist, littéraire, 1907, p. 175-222; © Masci, Psicologia del comico, 1889; A.
Momigliano, 1 origino del comico, « Cultura filos. », sett. 1909; Pirandello,
1) umorismo, 1908 (v. comico, ironia). Unicità. La qualità di ciò che è unico;
ai distingne dalla unità, che è la qualità di ciò che è uno, Con il monoteismo
à la dottrina dell’ unicità di Dio, P enoteiamo la dottrina dell’ unità di Dio.
Uniformita. T. Einförmigkeit, Gleichförmigkeit; I. UniJormity: F. Uniformite.
Può essere station ο dinamica: In prima consiste nel fatto che due ο più
individui d’nna ‘elasse posseggono caratteri essenziali identici, la soconda
nel riprodursi degli stessi fatti col riprodursi delle stesso condizioni. La
prima specie di uniformità dà il tipo delle scienze statiche, la seconda la
legge delle dinamiche. Nel postulato della uniformità della natura sono
compreso enUni 1200 trambe le specie, ma più precissmente la
seconda ; poichè è su questa che è fondata la costruzione induttiva delle leggi
e la loro applicazione deduttiva alla esplicazione dei singoli fatti. Nella
stessa vita pratica, ogni nostra azione in vista di un fine, in quanto è
conformata all’ esperienza precedente, presuppone come condizione necessaria
l’uniformità statica ο dinamica, ossia di coesistenza ο di sequenza, dei
fenomeni naturali. Unità. T. Einkeit; I. Unity; F. Unité, E la qualità di ciò
che è uno, mentre l’unioità è la qualità di ciò che è unico. Quindi l’unità non
esclude, ma implica la molteplicità, della quale è concetto correlative © senza
di cui sarebbe inconcepibile. Quanto all’ origine dell’ idea di unità, secondo
alcuni filosofi è innata, secondo altri è un prodotto di esperienza sensibile,
secondo altri risulta dall’ esperienza interna. Per il Fénélon essa è innata,
in quanto non può derivare nd dal senso interno, nd dai sensi esterni, che ci
presentano sempre dei composti ο dei molteplici: « Io concepisco un esseré, che
non cambia mai affatto di pensiero, che pensa sempre tutte le cose insieme, ed
in cai non si può trovare alcuna composizione © tanto meno successione. E senza
dubbio questa idea della perfetta © suprema unità, che mi fa tanto cercare
qualche unità negli spiriti ed ancora nei corpi. Questa idea incessantemente
presente nel fondo di me stesso è nata con me; essa è il modello perfetto sul
quale io cerco dappertutto qualche copia imperfetta dell’ unità. Questa idea di
ciò che è uno, semplice ed indivisibile per eccellenza, non può esser altro che
l’iden di Dio ». Per Spinoza l’unità non è una proprietà delle cose, ma oid che
è compreso in un atto mentale: Unitatem.... enti nihil addere; sed tantum modum
cogitandi esse, quo rem ab aliis separamus, quae ipoi similes sunt, vel oum
ipsa aliguo modo conteriunt. Invece per il Leibnitz essa è una proprietà
oggettiva, tantochò ce gui n'est pas τόritablement un estre, n’est pas non plus
véritablement un estre. 1201 Uni Per C. Bonnet è una semplice ides, che l’
anima si forma, 1912; F. Orestano, I valori umani, 1907; Ardigò, La nuova
filosofia dei valori, « Riv. di filos. », 1907; F. Masci, La filosofia dei
ralori, « R. Ace. dei Lincei >, giugno 1913. VaR 1216 Variabile. T. Pariabel; I. Variable; F.
Variable. Due quantità, z e y, sono dette variabili quando l’uns, poniamo #, è
legata all’altra,, per modo che variando z varierà anche y in modo
perfettamente determinato, ma diverso a seconda dei casi: perciò 2 à detta
variabile indipendente, y rariabile correlativa. Questa proprietà si enuncia
anche dicendo che y è una funcione di z, ο ai indica colla formula:
y=-=S"(). Variabilità. T. Vordndorlichkoit; I. Variability; F. Fariabilité.
L’ attitudine intrinseca che ha ogni organiamo di acquistare nuove proprietà
nella sua forma e attività vitale, in seguito all’ influenza dei vari elementi
del clima, dell’alimentazione, delle condizioni topografiche, del contatto e
delle relazioni con gli altri organismi. Essa può concepirsi como la forza
innovatrice antagonistica dell’eredita, che è la forza conservatrice dei
caratteri ο tende a trasmetterli immutati. La variabilità può essere indiretta
ο diretta. La variabilità indiretta ο potenziale consiste in cid, che certe
variazioni dell'organismo che dipendono dalle condizioni esterne d’ esistenza,
rimangono potenziali nell’individuo in questione, e si manifestano, cioè
divengono attuali, soltanto nei discendenti; invece nella diretta le
modificazioni si manifestano immedintamente nell’ indivi duo stesso, Cfr. De
Rosa, La ridusione progressiva della variabilità, 1899 (v. darwinismo,
trasformismo, ibridiemo, monogenismo, ecc.). Variazionale (psicologia). T.
Variationspeychologie; 1. Variational peycology; F. Psychologie rariationnelle.
Talvolta si chiama così quel ramo della psicologia che tratta delle variazioni
mentali; tale denominazione ha il vantaggio di accogliere in un solo vocabolo
le varie parti della psicologia tra loro affini, come la psicologia individualo,
etnografica o dei popoli, eco. Tra i principali problemi oggetto della
psicologia variazionale sono da ricordarsi: lo studio della psiche del
delinquente, nei suoi tipi diversi e nelle suo correlazioni coi fattori
antropologici, 1217 Var economici, sociali ; lo studio del genio ;
lo studio statistico delle variazioni mentali in rapporto a quelle biologiche e
sociologiche; lo studio delle origini delle variazioni e modificazioni mediante
l'eredità, l'educazione, 1’ ambiente fisico © sociale, ecc. Cfr. Stern, Ueber
Psychol. d. individuellen Differensen, 1900. ‘Variazioni concomitanti (metodo
delle). I. Method of concomitant variations. Uno dei quattro metodi di ricerca
induttiva proposti dallo Stuart Mill. Esso si fonda sul seguente canone logico:
un fenomeno che varia in una data maniera tutte le volte che un altro fenomeno
varia alla stessa maniera, è una causa ο un effetto di questo fenomeno, 0 è ad
esso collegato da un qualche rapporto di causalità. In altre parole, quando due
fenomeni variano correlativamente in qualità o quantità, I’ uno è causa e I’
altro effetto. Questo metodo ripara alle imperfezioni del metodo di concordanza
e sostituisce quello di differenza nei casi in cui non è applicabile. Con esso
si stabiliscono i rapporti tra le funzioni psichiche © le cerebrali, tra
l’ambiente e la moralità, tra l’ascendere c il discendere del mercurio d’un
termometro e la temperatura, ecc. La concomitanza può essere innersa, ad es.
tra il volume dei gas e la pressione, e diretta, ad es. tra l'attrazione e le
masse. Quando una larga esperienza conferma che le variazioni parallele non
incontrano limiti, si può conchiudere, col metodo delle variazioni, oltre i limiti
della esperienza, © tale operazione dicesi passaggio al limite. Cfr, J. S.
Mill, System oflogio, 6* ed. 1865, 1. III, cap. VII. Varietà. T. Varietàt; I.
Variety; F. Variété. Nello scienze biologiche si designa con questo nome un
insieme di individui, che presentano caratteri comuni e si distinguono per tal
modo da altri insieme di individui, aventi altri caratteri comuni. La varietà
può essero permanente, © passeggera ed accidentale. Nel primo caso essa non si
77 Ranzout, Dizion, di scienze
filosofiche. Ver-Ver 1218 distingue dalla specie, per i seguaci del
trasformiamo ; nel secondo caso è data dalla varietà determinata dall’
influenza dell’ ambiente, e dalla varietà teratologica. Per le scuole non
trasformiste la varietà permanente non sarebbe che una varietà accidentale,
fissatasi per eredità, mentre la specie sarebbe sempro esistita o almeno
discenderebbe da ana prima coppia unica. Cfr. Darwin, Origin of species, 1883;
Davenport, Statistical methods in biology, 1900 (v. rassa, specie, tipo,
variabilità). Velocità. T. Schnelligkeit; I. Velocity; F. Velocità, vitesse.
Nel movimento variato, la velocità, alla fine di un tempo dato, è la derivata
dello spazio considerato come una funzione del tempo; invece nel movimento
uniforme è lo spazio che il mobile percorre in un secondo, o che percorrerebbe
se il movimento avesse questa durata. Dicosì relooità dell'adattamento
rifrattivo il tempo che l'occhio impiega per adattarsi alla visione degli
oggetti vicini e lontani; secondo alcuni psico-fisiologi 1’ adattamento alla
visione da vicino si compie più lentamente che l’adattamento a distanza,
secondo altri non v'è differenza sensibile di velocità. Dicesi relocità media
la velocità d’un movimento uniforme, che si dovrebbe sostituire al movimento
reale d’un punto materiale, perchò lo spazio totale fosse percorso nello stesso
tempo totale. Diconsi relocità virtuali gli spostamenti simultanci e
infinitamente piccoli, che si possono attribuire ai differenti punti materiali
componenti un sistoma dato, senza alteraro i legami stabiliti tra questi
differenti punti. Vera causa. L'espressione famosa del Newton, con la qualo il
grande scienziato intendeva significare, che la causa assognata ad un fenomeno
non deve solamente esser tale che, ammettendola, essa spiegherebbe i fenomeni,
ma deve anche essere suscettibile di venir provata mediante altr ragioni.
Sembra provato, del resto, che il Newton stesso non avesso wna idea precisa
della massima onun 1219 VRR ciata con
queste parole, che egli stesso poi palesemente violò con la sua teoria ottica. Cfr. I. Newton, Naturalis
philosophiae principia mat., 1687 (v. ipotesi). Veracità. T. Wahrhaftigkeit; I.
Veracity; F. Péracité. La
disposizione abituale d’ una persona a dire il vero; non va confusa con la
verità, che è il carattere del giudizio. Per Leibnitz la veracità è la verità
morale: la vérité morale est appelée veracité. Dicesi dottrina della reracità
dirina quella con cui Cartesio, dopo aver provato l’esistenza del pensiero e di
Dio, prova l’esistenza del mondo esteriore: delle idee che noi abbiamo, alcune
le troviamo in noi, e sono innate, altre le produciamo noi, e sono fattizie,
altre nd le troviamo nd lo produciamo, e sono arventizie: a queste appartengono
lo rappresentazioni dei corpi, che talvolta succedono nostro malgrado, dunque
noi non ne siamo causa; dire che esse sono causate in noi da Dio non può stare,
perchè se così fosse Dio ci ingannerebbe, facendocene cercare In causa nel
mondo esterno; ora, Dio, essendo sommamente perfetto, non può în alenn modo
voleroi ingannare; dunque esistono i corpi esteriori corrispondenti alla idea
che noi ne abbiamo. Cfr. Descartes, De meth., 1865, p. 24-49; Leibnitz, Nouv.
Ees., IV, cap. 5, $9. ‘Verbali (proposizioni). Quelle che non pongono un rapporto
tra due cose distinte, ma indicano soltanto una classe o spiegano una parola.
Dicendosi ad es., che il quadrilatero è una figura a quattro lati, non si è
fatto altro che spiegare il significato della parola quadrilatero. Qualche
volta le proposizioni verbali possono essere utili per indicare o ricordare
proprietà del soggetto da altri ignorate ο dimenticate. Cfr. Masci, Logica,
1899, p. 293 segg. Verbalismo. O anche filosofia verbale. Designa quel modo di
argomentare © di filosofare nel quale le parole tengono il luogo delle ides e
il vocabolo asservisce il pensiero, di guisa cho, mutato le convenzioni
verbali, il ragionamento non potrobbo più sussistere. Verificasione. T.
Bewährung, Bestitigung; I. Verification; F. Vérification. È il terzo momento
del processo di ricerca scientifica: constatati i fatti mediante l’ osservazione
e l'esperimento, supposti dei principi per spiegarli, occorre verificare se i
principi supposti (ipotesi) siano veri. Ora la verificazione può avvenire in
tre modi: se il principio supposto era di ordine puramente razionale (es. un
teorema di geometria), esso diviene certo quando lo si colleghi logicamente con
verità precedentemente stabilite; se era di ordine puramente sperimentale,
diviene certo quando lo si colleghi coi dati della esperienza; se era d’ordine
sperimentale e razionale ad un tempo, la sua veriticazione consiste sia nel
dedurne le conseguenze logiche, sia nel confrontare codeste deduzioni coi dati
dell’esperienza. Però non è sempro possibile la verificazione completa
dell'ipotesi, specie se riguardi la causa di un fenomeno o il suo modo
d'azione; può darsi che la causa non sia verificabile nò con l'osservazione nd
col ragiona mento, 9 che il suo modo d'azione non renda conto di tutti i
fenomeni, pur non essendo in contraddizione con alcuno di essi. Il Comte voleva
non fosse ammessa alcuna ipotesi incapace di verificazione completa; ma anche
la vorificazione incompleta può essere sufficiente, se permette delle
previsioni sul futuro. Del resto, la verificazione incompleta può avere dei
gradi, che vanno dalla pura possibilità alla probabilità fino quasi alla
certezza; le differenze dipendono dalla copia dei fatti coi quali è dimostrato
l'accordo, perchè la probabilità è in ragione diretta della prima, inversa
della seconda. Cfr. A. Comte, Cours de phil, positive, 1830, vol. I, lez. 28; Wundt,
Logik, 1898, vol. I, p. 404 segg.;
Masci, Logica, 1899, p. 434 segg. Verità. T. Wahrheit; I. Truth; F. Périté.
Definire la natura dolla verità è stata sempre una delle più impor tanti o
dibattute questioni filosofiche, collegandosi ess con tutti gli altri problomi
della conoscenza e della realtà. 1221 VER Le molte dottrine sulla verità possono
ridursi a tre fondamentali; 1° la teologica ed ontologica, secondo la quale la
verità assoluta è Dio’o V essere assoluto, che è allo stesso tempo } esemplare
della verità della nostra conoscenza; questa soluzione, sostenuta da Platone,
da 8. Agostino, dagli Scolastici, da Hegel, Rosmini e Gioberti, ha il difetto
di identificare 1’ essere con la verità, mentre ο vero e falso non sono già
nelle cose ma nella nostra conoscenza di esse; 2° la realistica, sostenuta dal
Leibnitz, la quale, pur distinguendo essere dal conoscere, fa consistere la
verità nella concordanza tra le nostre idee delle cose 9 le cose stesse come
sono fuori di noi; ma con ciò si viene a negare la possibilità della
conoscenza, perchè, essendo questa relativa, dandoci cioè soltanto dei fenomeni,
codesto confronto tra la cosa come la conosciamo e la cosa in sè non è in
nessun modo possibile; 3° la Sonomentstioa, sostenuta da Hobbes, Locke,
Spencer, ecc., secondo la quale la verità consiste nell'accordo della conoscenza
coi fenomeni, che sono l’unico oggetto della conoscenza; quindi secondo questa
dottrina, la verità spetta soltanto al giudizio e consiste nell’equivalenza tra
due termini della proposizione. Come esempio della prima dottrina si possono
citare le parole di 8. Agostino: non iudicium veritatis constitutum in
sensibus;... deum, id est veritatem ;... erit igitur veritas, etiamei mundus
intereat. Di Cartesio: sequitur ideas nostras sive notiones, cum in omni eo in
quo sunt clarae et distinotae, entia quaedam sint, atque a Deo procedant, non
possa in co non esse veras. Di Hegel: « L'oggetto della religione come della
filosofia è la verità eterna nella sua stessa obbiettività, ciod Dio e nient’
altro che Dio e la spiegazione di Dio.... E in quanto la filosofia si occupa
della verità eterna, della verità che è in sò © per sè, costituisce la stessa
sfera d'attività della religione ». Come esempio della dottrina realistica, lu
breve definizione del Leibnitz: « l'accordo delle rappreVER 1222 sentazioni esistenti nel nostro spirito con le
cose »; © quella di Cr. Wolff: oonsensus iudioii nostri cum obieclo seu re
repraesentata. Come esempio della fenomenistica, quella dell’ Hobbes: Forum οἱ
faleum attributa sunt non rerum sed orationis; © le parole del Locke: «la
verità ο l’orrore risiedono sempre in una affermazione o in una negazione, sian
esse nel pensiero o nelle parole, e perciò le rappresentazioni non sono false
prima che il nostro spirito se no sia servito in un giudizio, ossia fino a che
le abbia negato ο affermato ». A questi tre indirizzi fondamentali si possono
ricondurre la maggior parte delle dottrine sulla verità della filosofia
contemporanea, Così, per il Lotze, ogni contenuto dei nostri pensieri viene
diretta mente o indirettamente dall’esperienza, ma le leggi che dirigono
l’attività dell'intelletto ο in virth delle quali noi stabiliamo la nostra
concezione del mondo e la nostra nozione della verità, provengono dalla natura
stessa della nostra essenza spirituale; la verità consiste appunto nel fatto
che tali leggi generali sono confermate, senza eccozione, in un numero dato di
rappresentazioni, ogni qualvolta tali rappresentazioni appaiono nella nostra
coscienza ; e poichè le leggi stesse sono identiche per tutte le coscienze, ne
viene che i legami tra le rappresentazioni sono veri quando seguono i legami
del contenuto rappresentato, legami che sono veri per ogni coscienza cho ha lo
rappresentazioni. Per Giulio Bergmann la nozione della verità ha la sua base in
quella della realtà; un giudizio è vero quando corrisponde al suo oggetto,
falso quando lo contraddice; un giudizio il cui oggetto non esiste, non è nd
vero nè falso. Nella filosofia dell’immanenza la verità è concepita come un
puro rapporto tra stati di coscienza; così Schubert-Soldern e Schuppe la
definiscono como l’ associazione e la concordanza universale di tutti i
pensieri tra di loro, nonchè di quelli che sono puramente nostri con quelli che
abbiamo d’altri esseri. Nell'empirioeri 1223 VER ticismo, la verità è la qualità di quelle
tra le nostre idee che presentano dei vantaggi per la nostra conservazione, in
altri termini, di quelle che ci possono servire, che sone utili, frequentemente
applicabili ed applicate, e quindi solide ; la verità e l'errore, dice il Mach,
hanno la stessa sorgente psichica © solo le conseguenze possono farle discernere
l’una dal’ altro, ma un errore chiaramente conosciuto è, in quanto correttivo,
produttivo di conoscenza al pari della conoscenza positiva. Anche per il prammatismo,
la verità delle idee non può riconoscersi che dalle conseguenze pratiche che
possono risultarne; « la verità © le nostre conoscenze della realtà, dico F. C.
8. Schiller, sono stabilito e verificate mediante i loro risultati; prima © poi
esse sono condotte alla prova certa di esperienze che riescono o falliscono,
cioò che danno o riftutano soddisfaziono a qualche interesse umano ». Il
Bradley, pure ammettendo il rapporto tra la verità delle nostre idee ο la loro
capacità di soddisfare la nostra natura, considera però come vero solo ciò di
cui il pensiero non pud dubitare, ciò che, per il pensiero, è coorcitivo ©
irresistibilo; la verità ha un carattere provvisorio ed evolutivo, oosicchè non
y’ha alcuna verità che sin completamente vera ο nessun errore che sia
totalmente falso. Il Venn intendo per verità la concordanza tra le nozioni e lo
testimonianzo del senso; per John Veitch la verità è l'armonia tra il fatto ©
la conoscenza che no abbiamo; per il Renouvier V unica verità immediatamente
còlta, ο in cui l'oggetto ο il soggetto, identificandosi nella coscienza,
pongono le basi d’ una certezza rigorosa, è il fenomeno in quanto tale © nel
momento stesso in cui è percepito; per il Fouillée la verità non può stare nd
nella sensazione sola, nd nel ponsiero puro, ma nella sensazione congiunta
all’azione, nell’ efficacia che i miei stati di coscienza possono avere sopra
altri esseri che sentono e vogliono come me; per il Delboeuf la verità risulta
dall’accordo della ragione VER 1224 con sd stessa, cosicchè è vero ogni sistema,
dottrina o idea che non raochiuda contraddizione, è vero ogni gi dizio la cui
esattezza sia confermata dall’ insieme di tutti gli altri giudizi, che ad esso
si collegano come premesse © come conseguenze. Per l’Ardigò il vero è un fatto,
ο precisamente quel fatto che dicesi fatto psichico ο di coscienza: come l’
osservazione distinta del fatto della luce assicura della realtà della luce, e
basta ds sola alla affermazione di esso fatto, per la stessa ragione l’ osservazione
distinta del fatto di uno stato di coscienza assicura che uno stato della
coscienza è una realtà ο basta ds sola alla affermazione di esso. Codesta
affermazione include quella della consapevolezza e della realtà assoluta della
consapevolezza dello stato medesimo; ora, essendo un vero per sò ogni dato che
per sò ed assolutamente afferma in modo indubitabile un reale, così uno stato
della coscienza è un vero assolutamente tale o per sè stesso, Con l’espressione dottrina della duplice
verità si designa la dottrina medievale, che considera come affatto distinte la
verità teologica ο la verità filosofica, cosicchè può esser teologicamente vero
ciò che non è tale filosoficamente, © viceversa; essa resistette per tutto il
tardo medioevo, quantunque non si sia mai bene chiarita l’origine di tale
formula, ed ebbe per banditori audaci dialettici come Simone di Tournay o
Giovanni da Brescia. Si soglion
distinguere le verità razionali, che sono universali e necessarie, dalle verità
sperimentali, che sono contingenti e relative; le prime sono immutabili © il
loro contraddittorio è inconcepibile, le seconde sono invece mutabili ο si può
pensarne il contraddittorio. Le prime si dicono anche terità di diritto, le
secondo rerità di fatto; le prime si esprimono coi giudizi apodittioi, le
seconde con gli assertori. Si distingue
anche la verità logica ο formale, dalla reale ο materiale: la prima risulta
dall’ esatto rapporto delle idee tra di loro, ossia dall’obbedienza del 1225 VER pensiero alle sue proprie leggi; la
seconda dall’ adequazione delle idee con le cose, ossia della loro obbiettiva
applicabilità. Cfr. 8. Agostino, Solilog., II, 2; Id., De div., qu. 88, qu. 9;
Cartesio, De meth., 1865, p. 24 segg.; Hegel, Forlesungen ü. d. Philos. d.
Religion, 1901, parte IT, p. 68, 702 segg.; Leibnitz, Nouv. Ess., IV, cap. 5, $
11; C. Wolf, Philosophia prima, 1196, $ 495; Id., Philosophia rationalis, 1732,
$ 505; Hobbes, Leviathan, I, 4; Locke, Ess., II, cap. 32, § 3; Lotze, Logik,
1843, $ 5; Bergmann, Grundsiige d. Logik, 3" ed. 1891, p. 6 segg.;
Schuppe, Erkonntnéatheoretiache Logik, 1878, p. 15, 64, 142 segg.; Mach,
Erkenntnise und Irrtum, 1905, p. 105, 114; F. C. 8. Schiller, Mind, aprile
1905, p. 237 segg.; Bradley, Appearance and reality, 1902, p. 25, 148, 362,
eco.; J. Wenn, Principles of logio, 1889, p. 28-37; J. Veitch, Institutes of
logic, 1885, p. 2 segg.; Renouvier, Ess. de critique, II, p. 389 segg.; Fouil160,
Psych. des idées-forces, 1898, p. 305 sogg.; M. Maywald, Dio Lehre von der
swoifachen Wahrheit, 1871; A. Chiappelli, La dottr. della doppia rerità e à
suoi riflessi recenti, in « Atti della Acc. di scienze mor. e pol. », Napoli,
1902; Edmond Bouty, La verité scientifique, 1908; F. Paulhan, Qu'est oo que la
vérité, in « Rev. phil. », marzo 1913; W. James, L'idée de la vérité, trad.
franc. 1913; Ardigò, Il vero, Padova, 1900, p. 47 segg., © Op. fil., I, p. 242
segg., III, p. 24 segg.; A. Lantrua, Verità formale e verità reale, « Cult.
filosofica », marzo 1914 (v. criterio della verità, conoscenza, contingenza,
necessità, dommatismo, scetticismo, criticismo, solipsismo, veracità, certezza,
evidenza, relatività della conoscenza, fenomenismo, ecc.). Vero e falso. T.
Wahrheit und Falsohheit; I. Truth und falsity; F. Vérité et fausseté. Dicesi
metodo dei casi veri ο falsi quello usato nella psicometria, per misuraro sin
il potere di discriminazione, sia il minimum di eccitamento necessario per
produrre la coscienza, sia le inflnenze provenienti dalla sede
dell’eocitamento. Sia, ad es. da deterVER-VIR 1226 minare la soglia della coscienza per le
sensazioni di pressione: si producono nel soggetto varie sensazioni di peso,
senza seguire alcun ordine prestabilito; il soggetto deve annunciare ogni volta
se prova nna qualsiasi sensazione. Ripetendo la prova un buon numero di volte,
si giunge a calcolare il numero di risposte giuste date per ogni grado di
eccitamento. A questo modo, ripetendo più volte le ricerche, si riesée a
eliminare ciò che può esservi di uocidentale nell’esperimento ο di preconcetto
in chi all esperimento è sottoposto. Cfr. Cattel, Mental teats and
‘measurements, « Mind », 1890; Aliotta, La misura in prie. sperimentale, 1905.
‘Verum ipsum factum. Il vero si converte col fatto; il vero è lo stesso fatto.
È il famoso aforisma del Vico, contenuto nel De antiquissima Italorum
sapientia, e che il filosofo napoletano contrapponeva al cogito ergo sum di
Cartesio, Il Vico voleva significare con ciò che si può avere vera conoscenza,
© quindi scienza, di una cosa, soltanto quando si è causa di essa; quindi,
mentre Dio conosco tutto perchè fa tutto, l’uomo conosce soltanto le astrazioni
di oggetti reali, cioò di forme e di numeri, che noi generiamo per mezzo del
punto © dell’ xno. Con tal criterio egli riconosce come vere scienze soltanto
le matematiche, la filosofia della storia e la metafisica, la quale tratta dei
punti reali ο metafisici, che generano i corpi senza essere corpi, come l’uno e
il punto generano, rispettivamente, i numeri e le estensioni senza essere nè
numero nè estensione. Cfr. G. B. Vico, De antiquissima Italorum sapientia,
1710; Id., Prinoipî d’ una scienza nuova, 1725; K. Werner, G. B. Vico als
Philosoph., 1879; B. Croce, La filosofia di G. B. Pico, 1911 (v. conoscenza,
cogito, matematica, verità). Virtù. T. Tugend; I. Virtue; F. Vertu. Nel sno
significato etico è l'abitudine di fare il bene diventata una seconds natura.
In origine non designava che la forza e 1227 Vir il coraggio, quali si manifestano
specialmente nella guerra: ina poichè anche per resistere al male sono
necessari la forza e il coraggio, passò poscia ad indicare la pratica abituale
del ben. Per Socrate la virtù è sapere, e l’osatta conoscenza di sò stesso e
delle cose la base di tutte le virtù; perciò la virtù si può insegnare. Per
Antistene la virtù è la saggia condotta della vita; essa sola rende felici, non
già per le sue conseguenze, ma per sè stessa, © quindi rende l’ uomo
indipendente dalle vicende del mondo; da ciò segue che la virtù risiedo, in
ultimo, nella soppressione dei desideri ο nella limitazione dei bisogni al
minimo possibile, ossia nel ritorno ad un ideale stato di natura. Per
Aristippo, al contrario, la virtù è la capacità di godere; ognuno, certamente,
può e sa godere, ma solo VP nomo colto ο intelligente, il virtuoso, sa goder
bene perchè sceglie i propri piaceri ο li domina, non ne è doininato. Per
Platone il sommo bene consiste nella conoscenza delle idee ο di quella più alta
di tutte, V idea del bene; perciò la virtù non può consistere per lui che nel
raggiungimento del cémpito proprio d’ ogni parte della nostra anima, ossia la
parte razionale nella sapienza, la parte animosa nell’energia della volontà, la
parto appetitiva nella padronanza di sò stesso, © infine nel giusto rapporto di
questo parti, rapporto nel quale consiste dunque la virtù complessiva dell’
anima, la rettitudine, In giustizia. Per Aristotelo la virtù è un abito, che
implica una scelta doliberata, in accordo con la retta ragiono; sno oggetto e
contenuto è il giusto mezzo tra gli estremi, tra l'eccesso e il difetto. In
base a questo criterio Aristotele enumera la serie delle virtà morali, che sono
il coraggio, la temperanza, la liberalità, la modestia, la giustizia,
l'amicizia, eco.; ma oltre a queste esistono anche le virtù intellettuali ο
dianoetiche, che derivano dell’esercizio dell'intelletto attivo, e sono la
sapienza speculativa, che ha per oggetto la natura assoluta delle cose, ο la
Vir 1228 prudenza, che ha per oggetto le condizioni
relative e mutevoli della condotta umana. Per gli scettici la virtù è l'assenza
di pertnrbazioni, la calma dello spirito, l’atarassia; è virtuoso colui che,
sspendo che non si può Bir niente intorno alle cose, 9 non si può accogliere
nessuna opinione, si astiene per quanto è possibile dal giudizio e quindi anche
dall’azione, salvandosi in tal modo dagli affetti ο dal falso operare. Per gli
epicurei la virtà non è un bene in sò stesso ma un bene in quanto ci procura
piacere; essa è tuttavia inseparabile dal vero piacere, nè può esservi vita
piacevole senza virtù, nd virtù senza una vita piacevole. Per gli stoici è
virtù, in senso largo, ogni forma di perfezione, e in tal senso anche la salute
© la forza entrano nel numero delle virtù; ma la vera virtù, © virtù morale,
consiste al contrario in una forza dell’anima, che ha il principio nella
ragione, e in una direzione invariabile del carattere, che non soffre nd più nè
meno e per la quale l’anima, durante tatto il corso della vita, è d’accordo con
ad stessa; e poichd tale direzione del carattere ha il sno principio nella
conoscenza razionale, essi chiamavano teorematioa la virtù morale, per opposizione
alla virtù fisica, che è senza intelligenza. I moralisti del medio evo
seguirono, in generale, la dottrina aristotelica; ma dal punto di vista sociale
la virtà subisce un regresso, che il cristianesimo, per il quale 1’ umiltà è la
prima delle virtü, riuscì solo in parte ad attenuare. Tra le dottrine medievali,
grande importanza storica ha quella di S. Tommaso; egli accetta letteralmente
la definizione aristotelica della virtù come giusto mezzo (virtus moralis in
medio consistit), e distingue le vità in morali propriamente dette, che
riguardano il destino terrestre dell’uomo, © leologali, cho riguardano il suo
destino sovrannaturale. Le prime si riducono tutte alle quattro virtù
cardinali, prudenza, giustizia, temperanza e fortezza: « Ogni virtà, che al
bene è spinta da un motivo ragionevole, dicesi prudenza; ogni 1229 Vir virtà tendente a rendere a ciascuno ciò
che gli è dovuto, © a fare ciò che è giusto, dicesi giustizia; ogni virtà che
modera e frena le passioni, dicesi temperanza; ed ogni virtù, che fortifica
l’anima contro le passioni di qualsiasi specie, dicesi coraggio. Dalla pradenza
derivano i provetti ; la giustizia regola i rapporti fra gli eguali ; la
temperanza modera le concupiscenze della carne; il coraggio fortifica contro i
pericoli della morte ». Le teologali sono la fede, la speranza © la carità; la
prima completa le nozioni elementari della intelligenza, mediante la conoscenza
delle verità inaccessibili senza una rivelazione divina; la speranza ci agevola
il cammino @ quel fine divino, che vince di gran lunga le forze naturali; per
la carità il volere si unisce a quel fine, quasi assumendo la medesima forma.
Nella filosofia moderna e contemporanea il concetto di virtù è variamente
definito, quantunque spesso rivivano le antiche dottrine aristoteliche,
platoniche e stoiche; può dirsi in generale che In virtù è oggi intesa
specialmente come virtù di cittadino, come predominio costante delle idealità
socinli sopra gli istinti e le tendenze egoistiche, predominio che si traduce
nella pratica costante delle buone azioni compiute con una chiara ο perfetta
consapevolezza. La virtù germoglia e si matura nel seno della società alla
quale appartiene; ma il suo carattere essenziale © più saliente sta nell’
essere essa praticata indipendentemente da ogni vantaggio egoistico e dn ogni
minaccia; perciò essa ragginnge la massima sua perfezione quando il suo
esercizio non richiede più alcuno sforzo soggettivo. Cfr. Platone, Tim., 86 E;
Aristotele, Eth, Nio., I, 13, II, 1, 2 segg.; Diogene Laerzio, VII, 1, 86
segg.; S. Tommaso, Summa theol., II, qu. 56 segg.; F. Paulsen, System der
Ethik, 83 od. 1893, p. 173, 369; Mairhend, The elemente of ethice, 1901, Ρ. 201
segg.; Martineau, Types of ethical theory, 1866, vol. II, p. 65 segg.;
Sidgwick, Metods of ethics, 1877, p. 229 segi Ardigò, Op. fl, IMI, 92 sogg.; G.
Tarozzi, La virtà contemVir 1230 poranea, 1900; Marchesini, La dottrina
positiva delle idealità, 1913, p. 115 segg., 256 segg. Virtuale. T. Firtuell;
I. Firtual; F. Virtuol. Ciò che osiste in potenza, che è semplicemente
possibile; si oppone quindi a reale, attuale, effettivo. È dunque virtuale un
fonomeno quando esisto soltanto una parte delle condizioni necessarie a
produrlo, o quando, pur esistendo tutte, sono complicate accidentalmente con
una © più circostanze contrarie. Cos) dicesi che una idea, quando non è più
pensata, esiste nel cervello allo stato virtuale. Quando si tratta di energia,
invece di virtuale usasi il termino potenziale. Il Rosmini chiama virtuale «
ciò che il pensiero vede contenuto in un altro, dal quale per sè non si
distingue, ma che può esservi distinto dallo stesso pensiero, o anche ricevere
un'esistenza a ad separata da quella dell’ altro in cni indistinto si trova ».
Così nell'estensione illimitata dello spazio si possono pensare comprese tutte
le figure geometriche di qualunque grandezza © forma si voglia, benchè in essa
non siano distinte, ο queste figure stesse si possano anche pensare senza
l’estensione illimitata, Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 704-5; Id., Psicologia,
1846, $ 33-34, 1337-1339. Virtualismo. T. Firtualismus; 1. Virtualism; F.
Firtualisme. Dicesi virtualiemo assoluto la dottrina del Bouterwek, così da lui
stesso denominata perchè concepisce la conoscenza, che abbiamo immediatamente
di noi stessi ο mediatamente delle cose, come effotto della resistenza che
sperimentiamo da parte dello cose medesime, « La forza, in noi o fuori di noi,
è una realità relativa. La resistenza è realtà opposta, contrastante, quindi
roaltà relativa. Entrambe unite sono virtualità.... L’assoluta realtà non è
altro appunto che questa virtualità, che è in noi, come noi siamo in essa ».
Così il sentimento dell’ ostacolo, contro il quale urta la forza della nostra
volontà, confuta il puro soggettivisme © solipsismo; ma questo sapere relativo
delle forze spe 1231 Vir-Vis ciali del
reale si completa con la coscienza della nostra propria volontà soltanto per la
scienza empirica. Il virtualismo del Bouterwek ebbe influenza specialmente sul
Maine de Biran, la cui dottrina si basa appunto sul fatto fondamentale che noi,
nel volere, viviamo immediatamente la nostra propria attività e la resistenza
del non-moi (anzitutto del nostro corpo); la riflessione della personalità sn
questa sua propria attività forma, secondo il Maine de Biran, il punto di
partenza di tutte le filosofie, ai concetti delle quali l’esperienza interna
fornisce la forma, l’esperienza di ciò che resiste la materia. Peroiò al cogito
ergo sum di Cartesio, egli sostituisce il rolo ergo sum; il concetto dell’
esperienza interna, sens intime, è per lui In base chiara e per sè stessa
evidente di tutta la vita dello spirito, il cui principio fondsmentalo è l’
autocoscienza della personalità volente. Cfr. F. Bouterwek, Idee einer
“Upodiktik, 1799, vol. II, p. 68 segg., vol. I, p. 261, 392 segg.; Maine de
Biran, Memoire sur l'habitude, 1803; Id., Rapports du physique et du moral,
1811. Virtualità. Ha lo stesso
significato di potenza, nel linguaggio di Aristotelo ο degli scolastici:
designa dunque la semplice possibilità ο capacità di produrre certi effetti.
Perciò gli scolastici dicovano che l’effetto è contonuto nella causa
virtualiter, quando nella causa non si trova la natura dell’eftetto; ad es. la
statua à contenuta virtualiter nella mente dello scultore. Dicevano invece che
l’effotto è contenuto formaliter nella causa, quando in essa se ne trova la
natura, come il calore nel fuoco; e eminenter quando la causa è molto più
perfotta dell’ oftetto, del quale non ha le imperfezioni, come Dio rispetto al
eronto. Visa (i reduti). Gli stoici romani chiamavano così una delle due
anticipazioni o prolepsi: l’altra ora la comprensione dei veduti. Codesti
veduti degli stoici non sono altro che i sentiti; essi dicovano che quella
parte dell’ anima Vis 1232 che li apprende è la principale a cui
appartiene l’assenso. Da ciò parrebbe invece che i visa degli stoici fossero
non puramente sentiti, ma anche percepiti intellettivamente. La comprensione
dei veduti era una operazione della intelligenza, che apprendeva il sentimento
e compieva la percezione intellettiva, o la conservava in dominio della mente
(v. anticipazioni, eullepei). Visive (sensazioni). T. Gesichtsompfindungen ; I.
Visual sensations; F. Sensations de la vuo, visuelles. Hanno per organo
l'occhio, per stimolo le vibrazioni dell’ etere, per centro psichico i
tubercoli quadrigemini. Il centro periferico © il centro psichico sono
collegati fra loro dal nervo ottico, che alla base del cervello si decussa formando
il ολίασπια. La parte dell'occhio sensibile alla Ince è la retina, formata
dalle terminazioni del nervo ottico, © nella quale trovasi il punto della
massima visione, detto fossa centrale. L'apparecchio che fa concentrare in
questo punto i raggi luminosi dicesi apparecchio diottrico; è in questo modo
che le sensazioni visive possono venir riferite in un determinato punto del
campo ottico ο precisamente nella diresione dei raggi che entrano nell’ occhio.
Le sensazioni visive sono oromatiohe o aoromatiche: le prime sono date dai
colori dello spettro (rosso, arancio, giallo, verde, turchino, indaco,
violetto), le seconde non corrispondono alla scala cromatica e soltanto
psicologica mente sono colori (nero, bianco, grigio, purpureo). L'azione dello
stimolo nelle sensazioni visive è chimica: infatti sotto l’aziono della luce,
la porpora retinica scompare rapidamente, e la retina si imbianca passando per
gradi intermedi di colore bruno e giallo. Cfr. Helmholtz, Handbuch d. physiol. Optik, 2* ed.
1896; Abeladorff, Das Ange des Menschen, 1907; Wandt, Philos. Stud., IV, 311; Parinaud, La rivion, 1898;
Höffding, Psyohologie, trad. franc. 1900, p. 131 segg. (v. bicowlare, raggio
visiro, orottero, campo, contrasto, consecutive, adattamento, accomodazione,
miopia, 1233 vir ipermetropia, omianopsia, diplopia,
astenopia, disoromatopria, daltonismo, aoromatiemo, stereosoopio, retina,
eco.). Vita. T. Leben; I. Life; F. Vie. Come di tutti i fenomeni complessi,
così anche della vita fu dato un gran numero di definizioni, che diversificano
sia per la prevalenza attribuita ad alonni caratteri sugli altri, sia per il
punto di vista da cui è considerata. La vita è la gravitazione della forza
cosmica su sè stessa è un principio interiore d’azione è l’attività dei corpi
organizzati è, secondo il Richerand, una collezione di fenomeni che si
succedono l'un l’altro durante un tempo limitato in un corpo organizzato secondo
Kant, la facoltà di una sostanza di agire in virtà d’un interno principio, una
organizzazione meccanicamente inesplicabile perchè la sua essenza sta
nell'essere il tutto determinato dalle parti, e le parti dal tutto, e ogni
membro causa ed effetto del tutto secondo lo Schelling, la tendenza alla
individuazione. Il Bichat la definì: l'insieme delle funzioni che resistono
alla morte; lo Stahl: il risultato degli sforsi conservativi dell'anima; il
Lavoisier: una funzione chimica; il Lewes: una serie di mutamenti definiti ο
successivi, sia di struttura che di composizione, che s’operano in un individuo
senza distruggerne l'identità; lo Spencer: l’accomodamento continuo delle
condizioni interne alle condizioni esterne. Da tutte queste definizioni
traspaiono evidenti i due modi . fondamentali ed opposti con cui, sia i
filosofi che i biologi puri, considerarono sempre la vita: per gli uni,
infatti, non è che una serie di fenomeni meccanici, chimici, termici,
elettrici, ecc. dovuti all’azione ο alla trasformazione delle diverse forze
cosmiche; gli altri, invece, considerano le forze della materia vivente non
solo come distinte, ma anche come opposte a tutte le altre forze della natura,
e spiegano i fenomeni biologici con l'intervento sia d’un principio vitale, sia
dell’ anima, sia della forza plastica ο formatrice. Dal punto di vista morale il 78 RanzoLI, Dizion, di scienze flosofiche. vir 1234 |
problema della vita è quello dell'impiego cosciente e voontario della vita; con
esso si entra nel regno sconfinato dei fini, nel quale può trovar posto ogni
più diversa interpretazione, valutazione e direzione pratica della vita, i più
diversi modi di concepirla ο di volerla, per le inesauribili varietà umane,
storiche ed ideali. Non solo è incredibilmente grande il numero dei modi in cui
la vita è stata già conoepita e vissuta; ma a questa varietà non è possibile
assegnare teoricamente un limite, à essa non è un semplice prodotto di riflessione
teorica ma dipende dal vario prevalere ο combinarsi di questa ο quella tendenza
costitutiva dello spirito umano. Cfr. Moleschott, Kreislauf dee Lebens, 5° ed.
1886; H. Spencer, Principles of biology, 1864-67; J. Loeb, La dynamique des
phénomènes de la vie, 1907; L. Bourdeau, Le problème de la vie, 1901; Oliver
Lodge, Pita ο materia, trad. it. 1908; A. Gemelli, L'enigma della vita, 1910;
F. Orestano, It problema della vita, in Gravia Loria, 1913, vol. I, p. 35-56
(v. generazione spontanea, cellula, cellulari teorie, organico, organiomo,
animismo, vitalismo, meccanismo, duodinamismo, protoplasma, ecc.). Vitale,
Senso vitale ο organico è un’ espressione generica con cui si designano le
sensazioni interne, che hanno sedo in qualche regione interna dell’ organismo,
specie negli organi viscerali: la fame, la sete, i dolori dei di. versi organi,
900. Principio vitale, è, secondo i segu del vitalismo, una forza speciale che
risiede nella materia organizzata, dirigendo in essa tutte quelle operazioni
che costituiscono la vita vegetativa: essa è essenzialmente distinta non solo
dal corpo ma anche dall'anima, la quale presiede soltanto alle funzioni del
sentimento ο del pensioro. Spiriti vitali furon detti doi supposti fluidi finissimi
che, dal sangue, scorrendo lungo i nervi, arrivano al cervello, doterminandovi
ο stimolandovi l’attività dell’anima. Cfr. Bacone, Nov. Organon, II, 7;
Cartesio, Pass. 1235 Vir an., I, 7; I. Frohschammer, Phantasie als
Grundprinsip d. Weltprozesses, 1877 (v. vita, vitalismo, organismo, ecc.).'
Vitalismo. T. Pitalismus; I. Vitaliom; F. Vitalisme. Termine molto generale e
indeterminato, con cui si comprendono tutte quelle dottrine scientifiche e
filosofiche, che spiegano ogni funzione della vita come il prodotto di speciali
forze e proprietà, che risiedono nella materia organizzata, e sono affatto
distinte dalle altre forze fisiche, chimiche e meccaniche. Secondo il
vitalismo, adunque, la vita ha origini e leggi particolari, che non si possono
spiegare con le leggi comuni agli esseri non viventi; con ciò è posta una
antitesi fondamentale tra ln natura organica e quella inorganica, tra i
processi meccanici e quelli vitali, tra la forza materiale ο la forza biologica,
fra corpo e anima. Si distingue un vitalismo animistico 0 animismo, uno
organistico 0 organicismo e uno dualistico ο duodinamismo. Il primo, già
sostenuto in parte da Platone e da Aristotele, considera tutti i fenomeni della
vita come dovuti ad una forza intelligente, ciod all’anima; esso risorge nei tempi
moderni col Leibnitz e con lo Stahl, i quali sostengono che le operazioni
vitali interne, sebbene nulla abbiano di comune con le operazioni coscienti e
intelligenti, sono tuttavia effetti dell’anima, Il secondo considera la vita
come una risultante © non come un principio, e crede di trovare le cause della
vita nelle proprietà degli organi, ritenuti come elementi indipendenti del
corpo vivente; ogni organo è animato da una forza particolare che, componendosi
con tutte le forze simili, mantiene la vita totale; la vita dunque, dice il
Bichat, non è che l'insieme delle forze che resistono alla morte. Il terzo, che
s’inizia col Barthez e In scuola di Montpellier, pure continuando ad affermare
che i fenomeni della vita non possono essere dovuti che a una causs speciale,
la riconducono ad una forza vitale, differente ad un tempo dall'anima o dalle
forze materiali. 78* RamzoLi, Dizion. di
scienze filosofiche. vir 1236 Tutte tre queste dottrine sono finalistiche,
in quanto ammettono che l’essere vivente si sviluppa in una direzione
determinata, verso nno scopo, una finalità che gli è propria; però codesta
finalità non è posta come esterna, ma come interiore allo stesso essere, come
azione reciproca tra il tutto ο le parti, cosicchè queste non possono esistere
senza quello, nd quello senza queste. Appunto per il loro immanente finaliemo,
le dottrine vitalistiche subirono un grave colpo dall’imporsi del meccanismo
darwiniano; ma in questi ultimi tempi esse sono risorte e col nome generico di
neo-vitalismo vanno estendendosi tra i filosofi ο gli scienziati. Tra i
precursori immediati dell'odierno vitalismo, grande importanza hanno: il von
Baer, che nei suoi discorsi tenuti tra il 1860 ο il 1870, sosteneva, contro la
teoria meccanica dell'evoluzione, che i processi vitali non si possono derivare
dalle leggi fisico-chimiche, ma hanno una legge propria di sviluppo; il von
Hanstein, che verso il 1880 dimostrava non potersi spiegare la connessione
delle diverse parti se non ammettendo una forza coordinatrice specifica
(Eigengestaltungekraft) che domini © diriga le energie materiali; Edmondo
Montgomery, che fondaudosi sull’ analisi dei movimenti del protopinsma, delle
contrazioni muscolari, della divisibilità degli infasori, ecc., proclama la
necessità di ammettere un principio autonomo interno regolatore dello sviluppo
e una rostanza vivente specifica, che si distingun dagli altri aggregati
chimici per il suo potere di controllo sopra In organizzazione ο di sintesi
della complessa struttura in una individualità organica; 1 Ehrhardt, che
sostiene In possibilità logica di una teoria vitalistica, in oni la considlerazione
teleologien abbia il suo legittimo posto accanto al puro meccanismo; Gustavo
Wolff, che cerca di mostrare sperimentalmente ln necessità dolla veduta teleologica
contro il darwinismo, provando ad es. come noll’oochio della salnmandra la
lente del cristallino estirpata 1237 vir possa rigenerarsi dal margine anteriore
dell’ iride, cioò da un tessnto che non corrisponde a quello onde si genera
nello sviluppo normale. Oggi tra i vitalisti si contano il Lodge, il Dreyer, il
Morgan, l'Ostwald, il Reinke, ecc. ; ma quello che ha dato un maggior impulso
al rinnovamento della dottrina è senza dubbio Hans Driesch, che seguendo un
metodo essenzialmente critico 9 positivo e fondandosi sopra una solida base
sperimentale, afferma una finalità propria dei fenomeni vitali, che non è
ridncibile al gioco delle energie fisiche ο chimiche, ma presuppone una
attività specifica, alla quale egli dà il nome di entelechia: esso non ha il
carattere spaziale ο quantitativo delle altre forze della natura, ma regola e
dirige le forze naturali al conseguimento dei fini della vita. Una forma
affatto distinta, metafisica, di neo-vitalismo è quella sostenuta oggi dal
Bergson ο dai suoi seguaci: per essi la realtà è durata, cangiamento, tifa,
ossia creazione incessante non diretta ad uno scopo determinato, ma avente un
valore per sè, rispondente solo a un impulso originario infinito,
differensiantesi © detorminantesi variamente fino a produrre un movimento in
senso inverso, la materia; in tal modo, non la materia precede la vita, ma è il
torrente della vita che si insinua nei fenomeni materiali, deviandoli dalla
legge fatale e meccanica che seguirehbero senza di essa © utilizzandoli per i
suoi scopi particolari. Cfr. Bergson, L'évolution creatrice, 1912; Reinke, Die
Welt ale Tat, 1899; Id., Philosophie der Botanik, 1905; Hans Driesch, Die
organischen Regulationen, 1901; Id., Der Vitaliemue als Geschichte und als
Lehre, 1905; A. Aliotta, Il neo-ritalismo, « Cult. filosofica », I, 2; De
Sarlo, Fitalismo ed antivitaliemo, ibid. I, 10 (v. archeiemo, vita, organiemo).
Vittorini. Scuola di filosofi scolastici, detti così dal chiostro di Β.
Vittore, fondato fuori di Parigi, da Guglielmo di Campean nel 1108. I Vittorini
rappresentano Viz-VoL 1238 il misticismo teorico, distinguendo nella fede
la cognizione (Aides quas oreditur), dall’ atto soggettivo del credere (idee
qua creditur), e ponendo come veramente essenziale soltanto il secondo. Ai
Vittorini si contrappongono i Sommolisti, il cui più grande rappresentanto fu
Pietro Lombardo (v. scolastica). Visio. T. Laster; I. Pico; F. Vice. Come la
virtà è Pabitudine del bene, così il vizio è la pratica del male: come una sola
azione buona non rende l’uomo virtuoso, così un’azione cattiva non lo rende
vizioso. Il vizio può dirsi perfottamente organizzato nella paiche individuale,
quando la pratica di esso non suscita più alcun rimorso nd determina alcun
tentativo di reazione da parto dell’individuo; allo stesso modo la virtù
raggiunge la massima perfezione quando il sno esercizio non richiede più alcun
sforzo (v. abitudine). Volisione. T. Wollen, Volition; I. Volition ; F.
Volition. Designa 1’ atto singolo © totale di volere, i cui momenti successivi
sono: deliberazione, determinazione, esecuzione. Volontà. T. Wille; I. Will; F.
Volonté. Insieme al sentire © al pensare costituisce uno dei tre aspetti fondamentali
sotto cui si manifesta la vita psichica. Essa è quindi considerata diversamente
a seconda dei modi diversi con cui si spiegano lo funzioni della psiche. Mentre
nella vecchia psicologia in genere, il sentimento, la conoscenza e la volontà
sono considerate come tante parti © facoltà distinte dell'anima, la psicologia
contemporanea, «dominata dal concetto dell’ unità della psiche, ammette invece
che esso siano tra loro così intimamente întreocinte, da costituire un
organismo nel quale ogni parte non può funzionare senza il concorso delle
altre. Uno dei problemi più dibattuti dalla psicologia e dalla filosofia nel
passato era appunto quello dei rapporti tra la volontà © l'intelligenza; esso fu
discusso specialmente durante tutto il secondo periodo della filosofia
medievale, dapprima sotto forma di controversia psicologica, tendente a decidere
se nel corso della vita spirituale sis maggiore la dipendenza della volontà
dall’intelletto ο viceversa, poscia sotto forma metafisica ο teologica, per
l'applicazione sus al concetto di libertà morale. Per 8. Tommaso l’intelletto è
quello che determina la volontà, perchè esso solo comprende l’idea del bene 6
conosce in particolare cid cho è bene; quindi intelleotus altior et prior
roluntale ; la libertà come ideale etico è quella necessità che si fonda sul
sapere, e la libertà di scelta è' solo possibile se l’intelletto offre al
volere diverse possibilità come mezzi per lo scopo. Contro questo determinismo
intellettualistico, che pone l'intelletto come supremue motor della vita psichica,
si erige l’indeterminismo di Enrico di Gand, di Duna Scoto ο più tardi di
Occam, per i quali invece la volontà è la forza fondamentale dell’ anima e
determina lo sviluppo delle attività intellettive. Poluntas imperans
intelleotui cat causa euperior respeotu actu eins, dice lo Scoto dell’uomo e di
Dio; la rappresentazione non è mai se non la causa occasionale (causa per
accidens) del volere singolo, ma la vera decisione è sempre affare della
volontà; la quale è la forza fondamentale dell'anima, tantochè ὃ essa che
determina lo sviluppo delle facoltà intellettive, rendendo distinte ο perfette
solo quelle tra le rappresentazioni, alle quali rivolgo In sua attenzione. La
stessa controversia ai trasporta poi nel campo teologico e metafisico: per i
tomisti, la volontà divina è legata alla sapienza, nd essa superiore, di Dio,
mentre per gli scotisti ciò costituirebbe una diminuzione di potenza dell’ens
realissimum, la cui volontà è veramente sovrana perchè scevra d’ogui
determinazione, superiore ad ogni ragione, tantochà Dio, essi insegnano, ha
creato il mondo per arbitrio assoluto © avrebbe potuto, volendo, crearlo ancho
diversamente ; per i tomisti Dio comanda il bene perchè bene, e perchè è
conosciuto como tale dalla sua natura, per gli scotisti Vou 1240 che quello è bene solo perchè Dio l’ha voluto
e comandato; per i tomisti la beatitudine eterna è uno stato intellettuale di
visione o intuizione diretta dell'essenza divina, stato che Dante espresse con
somma bellezza, per gli sootisti la felicità ultraterrena è uno stato della
volontà e precisamente della volontà tutta rivolta a Dio, ossia dell’ amore.
Nei gecoli successivi il problema, perduto il suo apparato teologico, fu
variamente risolto; in Spinoza, ad es., troviamo l'affermazione della
inscindibilità dell'intelletto e del volere, voluntae οἱ intellectue unum et
idem sunt, non essendo la volontà « che un certo modo del pensiero come
l'intelligenza »; per Kant « intelligenza ο volontà sono in noi due forze
fondamentali, di cui la seconda, in quanto vien determinata dalla prima, è la
facoltà di produrre qualche cosa conformemente a una idea, che dioesi fine
>, cosicchè l'intelletto è il vero legislatore © governatore della
coscienza; per lo Schopenhauer la volontà non solo è superiore
all'intelligenza, ma è la forza suprema così nell’ uomo come nel mondo, la vera
ed unica realtà in ed stossa « ciò di cui tutte le rappresentazioni, tutti gli
obbietti sono il fenomeno, l'evidenza, 1’ obbiettivita; essa è ciò che v’ha di
più intimo, il nocciolo d’ogni singolo e quindi del tutto; essa appare in ogni
cieca forza naturale che agisca »; per 1’ Hartmann l’essenza del reale è invece
1’ Incosciente, che è ad un tempo idea e volontà, dalla prima viene la natura
delle cose, della seconda l’esistenza, cosicchè con |’ Hartmann torna in onore
il problema sul primato della volontà o della intelligenza, che aveva già
attratto così vivacemente l’acume dialettico degli scolastici. Per il Galluppi
la volontà è la facoltà di volero; il volore a sua volta è un atto semplice,
indefnibile, la cui nozione non pnd esserci data che dal sontimento interiore,
il quale ci insegna che, in seguito ad alcuni voleri cominciano, continuano o
cessano alcuni pensieri nel nostro spirito, e cominciano anche, continuano 0
ces 1241 Vou sano alcuni moti del nostro
corpo. Per il Rosmini la volontà è quella virtù, che ha il soggetto, di aderire
ad una entità conosciuta, mediante interno riconoscimento ; quando la cosa
conosciuta sia qualche bene che l’uomo non ha ancora, consegue un decreto col
quale la volontà si propone di procacciarselo e quindi di mettere in uso i
mezzi necossari per arrivare a tal fine; quando il bene si possedeva già,
consegue un affetto sensibile, che non è altro se nonun aumento o perfozione
del piacere, ο a cui tengon dietro dei movimenti corporei. A quattro ai possono
ridurre le principali teorie contemporanee della volontà: 1’
intellettualistica, la materialistica, 1a sentimentaliatioa ο quella che
attribi sce alla volontà un carattere specifico proprio. La prim sostenuta
quasi unicamente dagli herbartiani (Drobisch, Lipps, Volkmann) considera la
volontà come il somplice risultato di uno sforzo che una rappresentazione fa
per conservarsi, impedendo che altre rappresentazioni la s0praffaceiano. La
seconda, sostenuta dai psicologi fisiologisti, nega l’esistenza del volere come
fatto psichico, facendolo consistere unicamente nei processi fisiologici che V
accompagnano ; tale può considerarsi la teoria dello Spencer, che definisce la
volontà come « la rappresenta zione psichica di un atto che poi realmente si
compie », © quella del Minsterberg, che la riduce all’ atto riflesso
uccompagnato dalle sensazioni muscolari relative. La terza considera l’atto del
volere como il risultato dello svolgersi del sentimento, senza spiegare in che
modo, da un processo puramonte passivo quale il sentimento, derivi un fatto
essenzialmente attivo quale la volontà. 1 ultima, che per contrapposto alle
precedenti può dirsi porilira, riconosce nella valontà un fatto sui generis,
οτί! mente diverso dalle rappresentazioni o dal sentimento. 11 maggior
rappresentante di questo indirizzo è oggi il Wundt, che considera la coscienza
come composta di due elementi, uno obbiettivo che è dato dalle
rappresentazioni, e l’alVor tro subbiettivo, dato dal sentimento ο dal volere;
nell’atto del volero, più ancora che nel sentimento, si munifesta la
spontaneità della coscienza, sia che esso sia esterno (movimenti del corpo) sia
che sia interno (scelta tra le impressioni esterne, modificazione nel corso
delle rappresentazioni). Assai più completa e positiva è a tal riguardo la
dottrina dell’Ardigd, che riconduce la volontà al potere impulsivo ο inibitorio
delle rappresentazioni, le quali stimolano o trattengono a seconda del loro
tono: ma codesto potere delle rappresentazioni non è, a sua volta, che il
potere dinamico degli organi centrali, cosicchè, se una rappresentazione ne
provoca un’altra, è perchè il movimento fisiologico corrispondente alla prima
provoca il movimento fisiologico corrispondente alla seconda. Tali stati ο le
corrispondenze verificatesi tra gli apparati impollenti delle rappresentazioni
© i motivi dei voleri corrispondenti, si fissano poi e si accumulano nella
psiche, così da dar Inogo ad una somma virtuale di voleri; la volontà non è
dunque altro che la somma di quegli stati di coscienza che nel doppio aspetto
fisico-psichico della propria attività (dinamogonetica e inibitoria)
determinano l'individuo ad un atto, rappresentato prima come fine. Con l’espressione buona volontà ο volontà
buona Kant intende la volontà razionale pura, che non è rivolta ai singoli
oggetti ο ai rapporti dell'esperienza, nd da essi è determinata © dipende, ma
che è determinata soltanto da sè stessa od è rivolta necessariamente al dovere:
« La volontà buona non trae la sua bontà dai suoi effetti ο dai suoi resultati,
nò dalla sua attitudine a raggiungere questo © quello scopo proposto, ma solo
dal volere, ciod da sò stessa; e, considerata in sò stessa, deve essere stimata
incomparabilmente superiore a tutto ciò che mediante essa si può compiere a
profitto di qualche propensione, © persino di tutte le propensioni riunite. Se
anche una sorte avversa o l’avarizia d’una natura matrigna privassero tale 1243 Vou volontà di tutti i mezzi per eseguire i
propri disegni, se i suoi più grandi sforzi non approdassero à nulla, e se non
rimanesse che la buona volontà sola,... essa brillerebbe ancora di sua propria
luce, come una pietra preziosa, poichè ricava da sè stessa tutto il proprio
valore ». Con l’espressione rolontà di
potenza, Nietzsche intonde che i forti devono acquistare sui deboli un
predominio assoInto, e, spezzando ogni legame con la tradizione ο il ουstume,
devono celebrare il trionfo d’ una nuova concezione etica della vita; per il
Nietzsche la libertà ideale dell’uomo è nel massimo grado dell’ espansione
della vita, che può essere espansione cieca, orgiastica, dionisiaca, ma ancho
apollinea, cioè regolata dallo spirito della conquista e dol dominio; conviene
dunque, per salvare la dignità umana, invertire i valori morali tradizionali, ©
porre al di là del bene e del male un ideale etico improntato alla potenza,
alla forza, al valore individaale, Con
la formula volontà di oredere, usata la prima volta da William James ο divenuta
comune nel pragmatismo, nell’umanismo, nol fideismo, ecc., si esprimo
l'efficacia dell’azione dei fattori non intellettuali, delle raisons de coeur,
nel fondamento della fede; però, mentre James invoca l’aiuto della volontà e
del sentimento solo a supplire alle deficenze dell’ intelletto, la formula fu
poi allargata fino ad esprimere la sostituzione della volontà ο del sentimento
all’ intelletto; così, per F. C. $. Schiller il pensiero puro © la logica
formale non csistono, ogni ragionamento »i fonda sopra una credenza più © meno
sentimentale, sopra un bisogno affettivo, ogni cognizione, per quanto teorica,
ha un valoro pratico cd è per ciò potenzialmente un atto morale, la natura
stesu della realtà è determinata dal desiderio e dalla volontà di conoscere. Cfr. W. Kahl, Die Lehre vom
Primat den Willen bei Augustinus, Dune Scotur und Descartes, 1886; IT. Siebeck,
Die Willenslehre bei Dune Scotua und seinen Nachfolgern. « heitserift für
Philos. », vol. 112, p. 179 segg. ; O. Külpe, Vou 1244 Die Leh. v. Will. in die Peycol. d. Gegenvart,
« Philos. Studien; Kant, Grundlegung sur metaph. der Sitten, 1882, 1;
Nietssche, Jenseits ton Gut und Bose, 1886; W. James, The will to delieve,
1897; Orestano, Le idee fondamentali di F. Nietzsche, 1903; G. Villa, La
peicol. contemporanea, 2* ed. 1911; Ardigò, Op. fil., vol. III, p. 15 segg., VII, 329 segg., IX, 308
segg.; G. Dandolo, Le integrazioni peichiche ο la volontà, 1900; A. Marucci, La
volontà secondo i recenti progressi della biologia ο della filosofia, 1903; Th.
Ribot, Le malattie della volontà, trad. it. 1904 (v. autonomia, motore,
motorium, motivo, mobile, decisione, deliberazione, rolontarismo).
Volontarismo. T. Voluntarismus; I. Voluntariem ; F. Volontarisme. Nel senso suo
più generale, ogni dottrina che ammetta il primato della volontà. Se la volontà
è posta come la realtà essenziale di tutte le cose, come il principio primo delV
universo, si ha il volontariamo metafisico; se come fattore originario e
fondamentale della coscienza umana, il volontarismo psicologico. Ὦ chiaro però
che codesta distinziono è affatto relativa e nen sempre storicamente
applicabile, in quanto il volontarismo psicologico appare come un corollario
del metafisico, e questo a sua volta, non potendo avere le sue radici che
nell'esperienza psicologica, ha il suo punto di partenza nel primo. In entrambi
i sensi si oppone all’ intellettualismo e al razionalismo; nel secondo anche al
sentimentalismo. Il volontarismo metafisico, per quanto abbia origini lontane,
raggiunge la sua completa espressione solo con lo Schopenhauer, che sviluppa la
dottrina kantiana del primato della ragion pratica sopra la ragion pura. Da
questa dottrina uscirono due forme di volontarismo metafisico: il v.
moralistico, ο moralismo, del Fichte, por il qualo il mondo attuale, con la sua
attività, non è che il materiale per l’azione della ragion pratica, il mezzo
con cui il volere raggiunge la completa libertà © realizzazione morale; il v.
irrazionalistico dello SchopenVou hauer, che fa del volere la cosa in sò,
manifestantesi in varie fasi nel mondo della natnra come forza fisica, chimice,
magnetios, vitale ο più che tutto nel mondo animale come volontà di vivere, che
s’esprime nella tendenza ad affermare sò stesso nella lotta per i mezzi
d’esistenza ο per la riproduzione della specie. Questo è un volere inconscio,
irrazionale, non si propone alcuno scopo nelle sue obbiettivazioni; da ciò
deriva nel mondo la prevalenza dol malo sul bene. Naturalmente, qui la parola
volere assume un «significato particolare, che lo stesso Schopenhauer ha posto
in rilievo: « Ho scelto la parola Volontà in mancanza di meglio, come denominatio
a potiori, attribuendo al concetto di volontà un estensione maggiore di quella
posseduta fin qui.... Non 6’ era riconosciuto, fino ad oggi, 1’ identità essenziale
della volontà con tutte le forze che agiscono nella natura, 6 le cui varie
manifestazioni appartengono a dolle specie di cui la volontà è il genere. Si
erano considerati tutti questi fatti come eterogenei. Non poteva quindi esistere
alcun vocabolo per esprimere questo concetto. Ho quindi denominato il genere
secondo la specie più elevata, secondo quella della quale noi abbiamo la
conoscenza immediata in noi, che ci conduce alla conoscenza immediata degli
altri ». Il volontarismo psicologico, che costituisce forse V indirizzo
prevalente della psicologia contemporanea, ha le sue origini lontane in S.
Agostino, per il quale sia gli uomini che la divinità nihil aliud quam
voluntates sunt, in. Duns Scoto e nei suoi seguaci, per i quali pure tota animae
natura voluntas est; le sue origini prossime nel Fichte ο nello Schopenhauer,
per i quali, como vedemmo, 1’ cs senza dell’uomo sta nella volontà. Il Beneke
sviluppò forma scientifica questo concetto, risolvendo la vita psichica in
processi attivi elementari o impulsi, i quali, divenuti originariamente
attività per opera degli stimoli, devono, nell’ irrigidirsi del loro contenuto
e nel loro reciproco accomodamento per l’incessante prodursi di nuove Vou 1246 forze, realizzare Vapparente unità sostanziale
dell’ animn. Il Fortlage ha poi rielaborato il volontarismo del Beneke con
elementi tratti dalla filosofia del Fichte; anch’ egli concepisce l’anima, e
con essa puro la connessione delle cose, come un sistema d’impulsi, o forse
nossuno come lui hu trattato così acutamente il concetto dell’ atto sonza
substrato come fonte dell’ essere sostanzialo; l'essenza del divonire
spirituale risiede per Ini in ciò, che da funzioni originarie scaturiscono
contenuti immanenti medianto uno sviluppo sintetico, donde nascono le forme
della realtà: psichica. 11 Wundt, valendosi del concetto del Fichte © del
Fortlage, dell’atto senza substrato, considera il mondo come una connessione
attiva di individualità volitive, ο limita l'applicazione del concetto di
rostanza alla teoria naturalistica; l’azione reciproca tra le attualità
volitive produce negli esseri organici unità volitive più elevate, e quindi
gradi diversi di coscienza centrale, ma l’idea di una volontà e di una coscienza
assoluta del mondo, la qualo si svolga secondo il principio regolatore, è al di
là dei limiti della facoltà conoscitiva umana. Il Wundt si arresta a questo
punto; altri arrivano all’ affermasione del volere come fondo ultimo della
realtà, trasformando di nuovo il volontarismo psicologico in metafisico 6 incontrandosi
con una dottrina che, sotto varie forme, ha larghissima fortuna ai giorni
nostri: Pattualiemo, per il quale la realtà non è che energia, divenire,
movimento, evolnzione. L' essenza del volontarismo psicologico, che si limita
ad una interpretazione dei fatti di coscienza, ci sembra Done espressa in
queste parole dell’ Höffäing: « Se una di quoste tre specie di elomenti
(sentimento, intelligenza, volontà) vuol essere considerata come la forma
fondamentale della vita cosciente, questa è senza dubbio la volontà, L’attività
è una proprietà fondamentale della vita cosciente, poichè bisogna costantomente
supporre una forza, cho mantonga insiemo i diversi elomenti della coscionza, ©
ne fneVor via, per la loro unione, il contenuto d’una sola e medeSima
conoscenza... Se dunque prendiamo la volontà nel Senso largo, come designante
ciod ogni specie di attività legata al sentimento e alla conoscenza, si pnd
diro che tutta la vita cosciente è raccolta nella volontà conte nella sua
espressione più completa ». Cfr, Schopenhanor, Welt ala Wille u, Vorst., I, 1.
II, $ 18 segg.; F. E. Beneke, Neue Grundlegung zur Metaphysik, 1822; Id., Dio
noue Peychologie, 1845; C. Fortlage, Beiträge zur Psychol., 1875, p. 40 80gg.;
Wundt, System d. Philos., 1889, p. 373 segg.; W. James, The will to believe,
1897; D. Sollier, Le volontarieme, «Rey, phil. », luglio 1909; H. Höffding,
Peychologie, trad. franc, 1900, p. 127 segg. (v. attivismo, srrazionalismo, mobilismo,
volontà). VORTICE -- Wirbel; vortex, tourbillon. Secondo alcuni dei primi
filosofi, il vortice ο rotazione ciolica, la δίνη, è la forma fondamentale del
movimento cosmico. Per Empedocle di GIRGENTI (vedasi) essa è prodotta dalle
forze attive fra gl’elementi, dall'amore e dall'odio. Per Anassagora incomincia
dalla materia razionale e finalisticamente attiva, per proseguir poi con
consecuzione meccanien. Per Leucippo à il risultato particolare dell'incontro
di più atomi. Così il principio del meccanismo, rivestito ancora miticamente in
Empedocle e in Anassagora, è con Lencippo pienamente elaborato: gli atomi, che
volano senza regola nell’ universo, #'ineontrano qua e là, dando così luogo,
secondo la necessità meccanica, a un movimento complessivo rotatorio prodotto
da vari impulsi dei singoli atomi, movimento che attrac a sè i singoli atomi o
complessi di atomi vicipi, talvolta anche mondi interi; un tale sistema in
continuo rivolgimento si suddivide in sò stesso, essendo gli atomi più fini
lanciati alla periferia, mentre i più pesanti si raccolgono al centro; in tal
modo hanno origine in diversi tempi e in diversi luoghi dell’ universo infinito
diversi mondi, ognuno dei quali si muove in ad per leggo meVuo 1248 canioa, finchò per un urto con un altro mondo
vien forse distrutto o attratto e assorbito nella rotazione di un mondo più
grande. La teoria dei vortioi risorge con CARTESIO, che con essa volle dare un
fondamento alla concezione copernicana del mondo, e si giorni nostri, in
sèguito specialmente alle nuove scoperte sulla radioattività della materia.
Tolta ogni differenza tra ponderabile ο imponderabile, ridotta la materia ad un
equilibrio instabile di elementi eterei, l’origine di ogni sistema siderale si
fa risalire alVetere, per il differenziarsi nel seno di esso di vortici animati
da movimenti sempre più rapidi, fino ad agglomerarsi in gruppi atomici, in
nebnlosa sferica, in mondi, con una serie di fasi evolutive analoghe a quelle
descritte da Lencippo. Cfr. Aristotele, Physioa, II, 8, 198 b, 29; Platone, Timeo, 31; Plutarco,
Plac. phil., 19, 1; Fontenelle, Entretiena sur la pluralité des mondes, 1686;
S. Arrhenius, L'évolution dee mondes, trad. franc. 1910, p. 213 segg.; Giov.
Bocquerel, L'év. de la matièro et des mondes, « Revue scientifique. Vuoto. Gr. Kevév; Lat. Vacuum;
T. Leere; I. Empty; F. Fide. Lo
spazio puro, ciod lo spazio penetrabile, privo della materia, L'esistenza del
vuoto fu sostenuta tenacemente dagli Atomisti contro gli Eleatici: questi
dicevano essere incomprensibile l’idea del vuoto e affatto inconciliabile con
quella di essere; il vero reule, infatti, è uno ο immutabile, o non ammette
quindi nd pluralità, nd diilità, nè movimento, che ha per condizione il vaoto.
Gli Atomisti invece non ammettevano che due principi gli atomi e il vuoto, cioè
In materia e lo spazio, ο l’esistenza del vnoto dimostravano mediante il
movimento, la compressione di cui vari corpi sono suscettibili e con vart
esperimenti inventati da Leucippo. La proprietà del vuoto è l'estensione, la
quale è infinita, nd vi si può distinguere alto © basso, metà ed estremità; il
sno ufficio è puramente passivo, © cioè di rendero possibile il movimento e la
pla 1249 Vuo-Zer ralità degli esseri,
dividendo la materia con la sua sola presenza. L'idea del vuoto fa combattuta
vivacemente da Aristotele, che avendo concepito lo spazio come qualche cosa di
reale, © cioè come il limite del corpo contenente in quanto il corpo contenuto
è suscettibile di movimento locale, non poteva ammettere uno spazio senza
contenuto; la sua principale obbiezione è appunto che il vuoto, anzichè rendere
possibile il movimento, lo renderebbe inconcepibile, perchè nel vuoto non c'è
nè alto nd basso, mentre ogni movimento natnrale sì fa in questi dne sensi.
Cfr. Aristotele, Phye., IV, 7, 9; Id., De coelo, 3, 4 (v. inane, eusere,
direnire. nulla, spazio). Zero. Dicesi zero della sensazione l'intensità minima
della modificazione della coscienza, che corrisponde alla intensità minima
della eccitazione. Dicesi più comunemente soglia della coscienza. Più frequente
è invece, l’espressione punto zero fisiologico 0 zero della sensazione termica;
qualainsi temperatura degli organi nervosi termici che sorpassa tale punto è
percepita come caldo, qualunque temperatura al disotto come freddo; ogni
temperatura propria degli organt nervosi percepita come caldo, condiziona uno
sposta mento in alto dello zero, percepita come freddo uno apostamento in
basso: quando per effetto dello spostamento dello zero, questo coincide con la
temperatura propria delV organo nervoso, ogni sensazione di caldo ο di freddo
cossa. Cfr.
Hering, Sitzungsber. d. Wien. Ak., vol. LXXV, 1877 (v. aubminimali). Zetetica. T. Zetetik; F. Zététique. Si suol
chiamare tnlvolta con questo nome lo scetticismo, che consiste appuuto in una
ricerca (ζήτησις ricerca) incessante in tutte le questioni, senza uscire dul
dubbio, senza venir mai ad ans conclusione, positiva ο negutiva. Gli scettici,
furon, detti Zoo 1260 anche efettioi ο aporetioi da ἀπορέω essere inoerto, imbarazzato, dubitare (v.
dubbio, dogmatismo, conoscenza). Zoofobia. Fenomeno psicologico, che consiste
in una paura morbosa 6 irragionevole degli animali. Fa parte delle biofobie,
paure morbose concernenti i rapporti con gli altri esseri viventi, e può aver
per oggetto i ragni, i topi, i cani, ecc. Germanico non poteva vedere nè
sentire i galli; il maresciallo d’Albret sveniva non appena vedeva la testa di
un cinghiale; Enrico III non poteva sopportare In vista di un gatto. Cfr.
Friedmann, Ueber den Wakn, 1894; Gélineau, Les peurs morbides, 1894. Zoolatria
o Æooteismo. T. Zootheismus ; I. Zootheism ; F. Zoothéieme. Fenomeno religioso,
che consiste nell’adorazione degli animali e si rivela nei più infimi gradini
del sentimento religioso; più precisamente, il, zooteismo è la rappresentazione
e l'adorazione della divinità sotto forma di un animale, che è considerato non
come il simbolo della divinità, ma come attualmente abitato da essa. Secondo lo
Spencer la zoolatria avrebbe la propria origine nell’abitudine, che regna in
certi popoli selvaggi e primitivi, di designare gli individui col nome degli
animali ; il coraggio del leone, l’astuzia della volpe, la velocità dello
sparviero, ecc., sono riconosciute in questo o quell’ eroe della tribù, il
quale per tal guisa vien simboleggiato col nome stesso dell’animale delle cui
virtù caratteristiche è adorno. Succede poi che codesti popoli, adorando i loro
defunti, finiscono, dopo un certo tempo, col non avor prosente di essi che il
solo simbolo verbale; confondono la cosa con la parola; attribuiscono al leone,
alla volpe, allo sparviero, ecc. le gesta degli eroi che ne portarono il nome,
e tributano quindi a codesti animali il culto che aspettava agli uomini. Una
particolarità della soolatria è la ofiolatria, ο culto dei serpenti. Cfr.
Spencer, Principi di sociologia, trad. it, 1880, p. 218 segg. Zoologia. T.
Thierlehre; I. Zoology; F. Zoologie. Nel senso più generale, è la scienza che
studia lo forme, la struttura, la genesi e lo sviluppo degli animali e le relazioni
nelle quali essi stanno fra di loro e col resto della natura nel tempo © nello
spazio. Così intesa la zoologia è scienza eminentemente sintetica, che ha le
sue radi in tutte quante le scienze biologiche, come ls citologia, la
paleontologia, l’embriologia, la teratologis, la fisiologia © specialmente
l'anatomia comparata. Ofr. A. Giardina, Le discipline zoologiche e la scienza
generale delle forme organizeate, 1906. Zoomonera. Secondo |’ Haeckel,
l'origine della vita, nelle sue manifestazioni anche più complesse, si deve ricondurre
alle monere, che sono le forme viventi più sem- plici che siano state
osservate. Le monere sono di due specie: zoomonere, composte di zooplasma, e
fitomonere, composte di fitoplasma; dalle prime hanno origine gli ani- mali,
dalle seconde le piante. Siccome il fitoplasma pos- siede la facoltà di
produrre sinteticamente il plasson, traen- dolo dai composti anorganici, e di
trasformare la forza viva della luce solare ‘nella tensione chimica di combina-
zioni organiche, così bisogna ammettere che il zooplasma - che tali proprietà
non possiede e si nutre per assorbi- mento di plasma degli altri organismi -
sia nato dal fi- toplasma, le zoomonere dalle fitomonere, le quali alla loro
volta sarebbero nate per autogonia o generazione sponta- nea da combinazioni
anorganiche. Cfr. Haeckel, Phylog. aystem., 1894, vol. I, $ 37, 38 (v.
generazione, vita, organismo, vitale, vitalismo, organioismo, animiemo).
Zoomorfismo. T. Zoomorphiemus; I. Zoomorphism; F. Zoomorphisme. Dottrina della
metamorfosi dell’uomo in ani- male, propria di alcune religioni primitive,
specialmente dell’egiziana. Cfr. Le Page Renouf, Lectures on the origin of
religion. (v. metempaicosi). ZOROASTRISMO-- Lehre von Zoroaster; Zoroastrianiem;
Zoroastrisme. Il ZOROASTRISMO e la religione persiana, fondata da Zoroastro e
carattorizzata dal dualismo tra il principio del bene e quello del male. Per
essa il mondo, essendo una mescolanza di luce e di tenebre, di vero e di falso,
di pensiero e di materia, presuppone l’esistenza di due principi, in lotta tra
loro nell'universo, dei quali l'uno, Ormuzd, è il principio del bene, il dio
della verità e della luce, l’altro Ahriman, il principio del male, il dio della
menzogna e delle tenebre. Nel Zend- Avesta, i libri sacri del zoroastrismo, è
detto. Al principio, Ormuzd, elevato al di sopra di tutto, era con Is scienza
sovrana, con la purezza, nella Ince del mondo. Questo trono di luce, questo
luogo abitato de Ormuzd, è ciò che si chiama la luce prima; e codesta scienza
sovrana, codesta purezza, produzione d’Ormuzd, è ciò che si chiams la Legge.
Ormuzd non ha prodotto direttamente gli esseri materiali e spirituali di cui l’universo
si compone, ma li ha generati con l'intermediario della parola, il verbo divino.
Il puro, il santo, il pronto verbo, io te lo dico chiaramente, ο saggio
Zoroastro, è prima del cielo, prima dell’acqua, prima della terra, prima delle
greggi, prima degl’alberi, prima del fuoco, codesto figlio d’Ormusd. Ormuzd ed
Abriman hanno ls medesima potenza. Ma Orinuzd, con la sua onniscienza, prevede
tutto ciò che dovrà accadere, mentre Ahriman non può caloclare le conseguenze
delle proprie azioni che nel momento stesso in cui agisce. Il vantaggio della
prescienza assicura ad Ormuzd la vittoria dopo un certo numero di migliaia
d'anni. Cfr. Lehmann, Lehrbuch d. Religionsgesch.; Zend- Avesta, trad. Anquetil.
Ranzoli. Keywords. Parole chiave: implicatura, lessicologia filosofica. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Ranzoli.”
No comments:
Post a Comment