Luigi Speranza -- Grice e Svetonio: la ragione conversazionale del commentario alla repubblica, più vasto dalla
repubblica – la scuola d’Ostia – filosofia lazia -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Ostia). Filosofo lazio. Filosofo italiano.
Ostia, Lazio. Best known for his account of the lives of the first XII
emperors, his output amounts to much more than that. He writes a lengthy
commentary on Cicerone’s “Republic,” which Cicerone liked ‘even if it is longer
than my ‘Republic’!” Disambiguazione – "Svetonio" rimanda
qui. Se stai cercando il militare, vedi Gaio Svetonio Paolino. Incisione ottocentesca di Svetonio. Gaio
Svetonio Tranquillo (pron. latina classica o restituita: [ˈɡaːɪ.ʊs
sweːˈtoːnɪ.ʊs traŋˈkᶣɪllʊs]), noto semplicemente come Svetonio[1] o,
più raramente, come Suetoni o[1][2] (in latino Gaius Suetonius Tranquillus; 69
circa[1][3] – post 122) è stato uno storico e biografo romano dell'età
imperiale. Biografia Svetonio nacque
attorno al 70 d.C. in un luogo imprecisato del Latium vetus, forse a Ostia,
dove ebbe la carica religiosa locale di pontefice di Vulcano (solitamente
conferita a vita). Altre ipotesi fissano il suo luogo di nascita a Roma oppure
a Ippona in Africa (dove è menzionato in un'iscrizione), o ancora a Pesaro
nelle attuali Marche (tesi di Syme). Non
si conosce, tuttavia, con precisione l'anno di nascita: alcuni, facendo
riferimento ad una lettera inviata da Plinio il Giovane a Svetonio nel 101,[4]
anno in cui avrebbe potuto ricevere un tribunato militare se avesse intrapreso
la carriera militare, collocano la data al 77. Altri anticipano la data al 69,
altri ancora, esaminando altre lettere indirizzate all'autore del De vita
Caesarum, la collocano al 71 o al 75.
Ugualmente incerta è l'origine sociale di Svetonio: non si può stabilire
con precisione se la sua famiglia appartenesse al ceto equestre o fosse plebea,
anche se l'autore stesso riferisce che il padre, Svetonio Leto, era tribuno
angusticlavio della XIII legione, che servì Otone nella prima battaglia di
Bedriaco contro Vitellio.[5] Nonostante
le origini non patrizie, Svetonio studiò non solo grammatica e letteratura, ma
anche retorica e giurisprudenza, divenendo avvocato e corrispondente di Plinio
il Giovane, che lo considerava un suo protetto e che diede un impulso alla
carriera di Svetonio. Prima di morire, nel 113 d.C., infatti, lo affidò alla
protezione di Setticio Claro, che, divenuto prefetto del pretorio
dell'imperatore Adriano, ottenne per lui la carica di segretario
dell'imperatore (procurator a studiis e ab epistulis, ovvero sovrintendente
degli archivi e curatore della corrispondenza imperiale), ed in tale qualità aveva
accesso ai documenti più importanti degli archivi imperiali. Svetonio ricoprì, dunque, cariche importanti
sotto l'imperatore Adriano e forse già sotto Traiano, entrando a far parte del
personale a più stretto contatto con l'imperatore: tuttavia, il suo
allontanamento da parte dell'imperatore Adriano nel 122 (assieme al prefetto
del pretorio Setticio Claro, con la motivazione ufficiale di aver trattato con
eccessiva vicinanza l'imperatrice Sabina),[6] per motivi non chiari (nel
contesto di una epurazione dei quadri dirigenti voluta forse dall'imperatrice
stessa per conferire gli incarichi ai suoi protetti) segnò la fine della sua
carriera. Anche la data di morte non è
del tutto sicura, ed è posta da alcuni attorno al 126, da altri una quindicina
di anni dopo, intorno al 140 o addirittura al 161, anno della morte
dell'imperatore Antonino Pio. Opere Miniatura che raffigura Svetonio intento
nella lettura, tratta dal Liber Chronicarum (foglio CXI), trattato di Hartmann
Schedel. De viris illustribus Lo stesso
argomento in dettaglio: De viris illustribus (Svetonio). Il De viris
illustribus ("I personaggi famosi"),[7] che trova un suo chiaro
precedente in Cornelio Nepote, analizza le figure di personalità illustri nel
campo culturale, suddividendole in cinque categorie: poeti (De poetis),
grammatici e retori (De grammaticis et rhetoribus), oratori (De oratoribus),
storici (De historicis) e filosofi (De philosophis).[8] Dell'opera si conserva pressoché intatta
soltanto la sezione riservata ai grammatici e ai retori (21 grammatici e 5
retori), anche se mancante della parte finale:[8] dopo una diffusa introduzione
sull'arrivo della scienza grammaticale a Roma, Svetonio offre dei brevi
ritratti (alcuni brevissimi) di coloro che hanno contribuito allo sviluppo
dello studio della grammatica a Roma, ponendo l'attenzione, oltre che sulle
novità che ciascun grammatico ha apportato, spesso anche su particolari
aneddotici. Delle altre sezioni del De viris
illustribus rimangono soltanto alcune vite, sulla cui reale attribuzione a
Svetonio, peraltro, non c'è accordo fra gli studiosi. Si ricordano la Vita
Terentii (che costituisce la premessa al commento di Elio Donato alle commedie
terenziane), la vita di Orazio e quella di Lucano; deriva dal De poetis anche
la vita di Virgilio, premessa al commento delle opere del poeta sempre da Elio
Donato.[8] De vita Caesarum Lo stesso argomento in dettaglio: Vite dei
Cesari. Le Vite dei dodici Cesari in otto libri,[9] sono ben più ampie e sono a
noi giunte pressoché complete (manca solo una breve parte iniziale).
Comprendono, in ordine cronologico, i ritratti dei "dodici Cesari":
Giulio Cesare e i primi undici imperatori romani, Augusto, Tiberio, Caligola,
Claudio, Nerone, Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano, Tito, Domiziano. A parte una genealogia introduttiva e un
breve riassunto della vita e della morte del personaggio, queste biografie non
seguono un modello cronologico, bensì uno schema non rigido, modificabile a
seconda delle esigenze dell'autore. Questo schema era composto da moduli
biografici di tipo alessandrino: si partiva dalla nascita e dalle origini
familiari, per poi passare all'educazione, alla giovinezza, alla carriera
politica prima dell'assunzione al potere; qui iniziava la seconda parte (organizzata
per species, ovvero per categorie) della narrazione: i principali atti di
governo, un ritratto fisico e morale, la descrizione della morte e del
funerale, infine il testamento. Tutto ciò a discapito dell'organicità del
racconto, con un interesse spesso dispersivo verso il particolare o
l'aneddoto.[8] La differenza con il
contemporaneo Plutarco è che, mentre quest'ultimo partecipava più emotivamente
al racconto, Svetonio dimostra una attenzione più documentaria che
appassionata. Svetonio appare più distaccato, astenendosi da un giudizio
personale.[10] Emerge anche una caratterizzazione negativa degli imperatori del
I secolo, forse incoraggiato dallo stesso Adriano, al fine di contrapporre il
suo buon governo a quello dei suoi predecessori, caratterizzato spesso da
eccessi (vedi su tutti Caligola, Nerone e Domiziano).[10] Svetonio sembra
concentrarsi soprattutto attorno alla figura del princeps, quasi incurante del
mondo imperiale che lo circonda. La
forma, che appare in alcuni casi sciatta, risulta semplice, lineare, con una
struttura schematica, anche frammentaria, che non fornisce un discorso
articolato da un punto di vista stilistico. In alcuni casi, Svetonio riesce
invece ad "ottenere notevoli effetti drammatici ed a mostrare una
caratterizzazione psicologica coerente".[10] Come membro della corte imperiale (del
consilium principis) e procurator a studiis e a bibliothecis (sovrintendete
degli archivi e delle biblioteche imperiali), Svetonio aveva a disposizione
documenti di prima mano (decreti, senatus consulta, verbali del Senato), tutti
utili fonti per il suo lavoro, e materiale utile agli storici moderni per la
ricostruzione del periodo. Tuttavia egli si servì anche di fonti non ufficiali,
quali scritti propagandistici e diffamatori e anche testimonianze orali, al
fine di alimentare quel gusto per l'aneddoto e il curioso cui egli dedica ampio
spazio e che alcuni gli ascrivono come difetto ed altri come pregio. Opere minori Sotto il nome di Svetonio sono
pervenuti anche alcuni titoli e frammenti di argomento storico-antiquario,
grammaticale e scientifico. Di carattere erudito, ad esempio, sono Peri ton
par' Hellesi paidion ("Sui giochi in Grecia") e Peri blasphemion
("Sugli insulti"), scritti in greco e che sopravvivono in estratti in
tardi glossari greci. Di altre opere ci
informano in parte il lessico Suda e grammatici latini tardi:[11] si va, così,
dalle Vite dei sovrani alle più piccanti Vite di famose cortigiane, per
continuare con opere che erano, forse, sezioni di un trattato spesso citato
come Roma e che doveva comprendere, in una sorta di miscellanea, vari aspetti
della vita romana. Lo attesterebbero titoli come Su usi e costumi dei Romani,
Sull'anno romano, Sulle feste romane, Sui vestiti, Sul De re publica di
Cicerone, Sulle magistrature. Di
carattere ancor più vario e meno compatto doveva essere il Pratum, che forse
comprendeva titoli come Sui metodi di misurazione del tempo, Problemi
grammaticali, Sui difetti fisici, Sulla Natura, Sui segni diacritici usati nei
libri. L'insieme dei frammenti, in parte latini e in parte greci, è tuttavia
troppo esiguo per consentire un'analisi di tali opere e verificarne la
paternità. Una valutazione di Svetonio
Svetonio svolse le funzioni di segretario[12] (ab epistulis[1][3]), di
responsabile delle biblioteche pubbliche di Roma[12] (a bibliothecis)[1][3] e
di direttore dell'archivio imperiale[12] (a studiis)[1][3] durante l'impero di
Adriano.[12] Grazie a questi compiti ebbe accesso a informazioni riservate,
grazie a cui ci sono giunte notizie di prima mano sui Cesari, altrimenti
irrimediabilmente perdute. Tuttavia suo grande difetto è quello di prestare
credito, riguardo alle vite di alcuni imperatori, alla presenza di fonti
storiche del tempo di per sé corrotte e parziali. Eppure, nonostante i limiti
stilistici e strutturali delle sue biografie, ottenne un'enorme fama[1] durante
tutta l'età antica e il Medioevo.[3]
Svetonio fu, comunque, essenzialmente un erudito, vista la grande mole
di opere composte negli ambiti più svariati (in parte scritte in greco), amante
della vita ritirata, onde potersi dedicare agli studi che più amò. Fu figura di
antiquario, studioso enciclopedico, con grande interesse per le antichità e la
cultura romana, accostabile a Marco Terenzio Varrone per le caratteristiche
della produzione.[8] Note Svetònio Tranquillo, Gaio, in Treccani.it –
Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato
il 12 maggio 2018. ^ Manca - Vio, Introduzione alla storiografia romana, p.
211. Svetonio Tranquillo, Gaio, in
Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . ^ X 95. ^ De
Vita Caesarum, VII, 10. ^ Elio Sparziano, Adriano, 11, 3. ^ Svetonio, De viris
illustribus (testo latino). Luciano
Perelli, Storia della letteratura latina, Milano, Paravia, 1996, p. 324. ^
Svetonio, De vita Caesarum libri VIII (testo latino). Luciano Perelli, Storia della letteratura
latina, cit., p. 325. ^ (EN) Foreword, in Suetonius: The Twelve Caesars,
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Svetonio, in Sapere.it. URL consultato il 12 maggio 2018. Bibliografia
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Svetonio Tranquillo, Vita dei Cesari, traduzione di Edoardo Noseda, Milano,
Garzanti Editore, 1977, ISBN 978-88-11-36187-9. P. Galand-Hallyn, Bibliographie
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ANRW Leo, Die griechisch-römische Biographie nach ihrer literarischen Form,
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Svetonio eques Romanus, Firenze 1967² E. Cizek, Structures et idéologie dans
Les vies des douze Césars de Suétone, Bucarest-Parigi 1977. B. Baldwin, Suetonius,
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Kaiserbiographien. Untersuchungen zur Caesar- und Augustus-Vita, Bonn 1984. K.
R. Bradley, The Imperial Ideal in Suetonius' Caesares, in ANRW II 33.5 (1991),
pp. 3701-3732. J. Gascou, Suétone
historien (BEFAR 255), Roma 1984. Altri progetti Collabora a Wikisource
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1937. Modifica su Wikidata Svetonio Tranquillo, Gaio, in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Suetonius, su Enciclopedia Britannica,
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Modifica su Wikidata (EN) Gaio Svetonio Tranquillo, su IMDb, IMDb.com. Modifica
su Wikidata De vita Caesarum — testo latino, traduzione inglese su LacusCurtius
C. Svetoni Tranquilli preater Caesarum libros reliquiae edidit, August
Reifferscheid (a cura di), Lipsiae, sumptibus et formis B. G. Teubneri, 1860. V
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del I secoloRomani del II secoloSuetonii[altre] NUOVI BIBLIOTECA POPOLARE Classe
II STORIA LE VITE DEI v.*V'' ir" 1 •
DODICI CESMI DI GAIO SVETONIO
TRANQUILLO LE VITE DEI DODICI CESARI Di GAIO SVETONIO TRANQUILLO TRADOTTE
IN VOLGAR TIORENTINO DÀ C«««I,ICKB «BKOaOLnilTAIIO TORINO CWIKI POUrBA E COMP;
SDITORl TORmO TIPOGRAFIA £ STEREOTIPIA DEL PROGRESSO diretta d» babera e AMBROSIO' Via della Mjdotuia degli AotP^, rimpetto alla
Chiesa. GLI EDITORI Si leggono
avidamente perchè vestiti di fiUroK leggiadre
alcoDi romanzi moderni dei Dumas e dei SuE^n, i i^^'i ci dipingono i costumi strani e gli
avreAimeBÙ specialissimi di Roma imperiale. Ma per fiei libri, e per^tri
di simile fatta, l'immaginazione degli
Autori era ampiamente soccorsa dagli
scritti degli Autori di quei tempi. In
fatti, per non parlare qui di altri, le Vite dei Dodici Cesari a Svetonio ne sono tale
dipintura da disgradarne qualunque libro
moderno che dei medesimi discorra. Scrittore terso e lindo, fu da mano maestra
vólto in italiano. La traduzione di
Paolo del Rosso è classica e citata fra
i testi dì lingua dal Gamba. Crediamo
per conseguenza ben fatto il rendere questo
libro popolare. Torino. Cugini POMBA e C. Actéy Isaach Lacquedem del
primo, e Les Mystères du Peaple del
secondo. KtMO IMPERATORE 41 posto che egli fu in terra, senza metter tempo
in mezzo, fece venire prestamente
l'armata da MUesio, e si. messe a persegui-
targli mentre che se ne, andavano, ed avendogli ridotti ia suo potere, dette loro subito quella punizione,
della qu«le cianciando spesse volte gli
aveva ininacciati. Dando il guasto Mitridate ai
paesi allo intorno, e perciò ritrovandosi i confederati ed amici del popolo rontóno in pericolo e travaglio,
egli per non parer di starsi a vedere in
così fatta necessità, lasciò stare TandaraRodi,
dove egli s'era addirizzato, e prese la volta dell'Asia : e quivi soldato gente discacciò il prefetto e
capitano di Mitridate di quella
provincia, e ritenne in fede le città, le quali stavano tuttavia
per ribellarsi. Il Tribunato de’ soldati, e altre cose da
lui intraprese. Essendo fatto tribuno de' militi (il che subito che tornò
a Roma ottenne, mediante il favore del
popolo) con ogni sforzo, e molto
gagliardamente aiutò e favorì quegli, che cercavano di far rendere l'autorità a* tribuni, la quale da
Siila era stata diminuita. A Lucio Cinna
fratello della moglie ed a quegli che insieme con lui nelle discordie civili avevano seguitato
la parte di Lepido, e dopo la morte di
esso Lepido s'erano rifuggiti . in Spagna «
Sertorio, fece abilità di poter tornare in Roma, mediante una petizione messa in senato da Plocio, e parlò
ancora egli sopra tale cosa. La Questura, e ì suoi fatti. Essendo
questore secondo l'usanza antica fece una orazione in laude di Giulia sua zia, sorella del padre,
edi ComeUa sua donna; le quali erano
morte; e raccontando le lodidella zia, parlò della origine di quella e del padre in questo modo.
Là stirpe materna dì Giulia mia zia ha
origine dai re, e la paterna à congiunta €on
gli dii immortali. Conciossiacosaché da Anco Marzio derivino i re Martii, del cui nome fu mia madre, da
Venere i Giulii, della cui gente è la
nostra famiglia. Trovasi adunque nel ceppo antico della casa nostra la santità dei re, la quale
appresso degli uomini è di grandissima autorità, e la religione degli iddii,
nella podestà, de* quali sono essi re.
Tolse appresso per moglie, in luogo di
Cornelia, Pompea, tìgli uola di Qu-into Pompeo, e. nipote di Siila, con la quale dipoi fece divorzio^ e
la licenziò, come quello che ebbe
opinione che la fusse Btata adulterata da Publio Clodio, il quale si diceva
tanto manifestamente esser penetrato ad
essa vestito come dònna, mentre si celebravano le pubbliche e sacre cerimonie, che il senato ordinò, che
si facesse inquisizione contro a chi avesse contaminato \e cose sacre. Lamento di Cesare alla statua di Alessandro
Magno, . fr il suo sogno del giacimento
colla madfe. Essendo questore gli toccò
per tratta la Spagna ulteriore, dove
facendo le visite, e tenendo ragione, secondo la commissione del popolo romano, pervenne a Calis ; ed avendo
nel tempio di Ercole considerato la immagine di Alessandro Magno, sospirò,
e pianse ; e quasi vergognandosi di se
medesimo, che niuna cosa memorabile da
lui fusse ancora stata fatta in quella età,
nella quale Alessandro Magno di già il mondo aveva soggiogato, con
gr3nde instanza domandò licenza, per cacciare, come più presto poteva, occasione di maggior cose.
Stando ancora in Roma tutto confuso per
un sogno fatto da lui la notte passata ( conciossiachè gli fusso paruto di
usare con la madre) gli fu dato dalli
indovini grandissima speranza, interpretando
che ciò significava Taver lui a soggiogare il mondo ; conciofusse cosa che la madre, quale egli sognando
s'aveva veduta in cotal guisa
sottoposta, non significava altro, clie^a terra, la quale è tenuta madre di tutte le cose. Le cose da lui fatte nella città. Partendosi adunque innanzi attempo, andò a
ritrovare i popoH di JLazio mandati ad
abitare in diversi luoghi, i quali trattavano
insieme di addimandare di essere fatti cittadini romani ; e gli avrebbe commossi a tentare qualche novità, se
i consoli non avessino solo per questa
cagione intrattenulo alquanto le genti
fatte per mandare in Cilicia. Né mancò per questo di tentare poc« dipoi dentro nella città cose di maggior
momento. Venuto in sospezione di aver congiurato con. Crasso, Siila, e
Antooio. Conciossiachè pochi. giorni
avanti ch'egli pigliasse T uffizio delhi
edilità cadesse in sospetto di aver fatto una congiura insieme codi Marco Crasso uonfio consolare, e e
similmente, con Publio Sili* e Antonio ;
i quali poi che gli erano àtati designati consoli, fa* reno condannati per uomini ambiziosi : la
quale congiura er% né principio
dell'anno assaltare il senato, e tagliato a pezzi chiunque fosse lor piaciuto, che Crasso occupasse la
dittatura, ed egli da lui fusse fatto
capitano de' cavalli, «d ordinata che era la Repubblica a modo loro, che a
Siila e ad Antonio fusse restituito il
consolato. Famio menzione di questa congiura Tanusio Gemino nella istoria. Marco iBibulo negli editti.
Gaio Curione, cioè il padre, nelle
orazioni : di questa congiura par che voglia inferire anco Cicerone in una certa sua epistola ad
Attico, scrivendo. Cesare nel consolato
aver confermato il regno, il quale essendo
edife egli aveva pensato di con firmare. Tanusio a'ggìugne, che Crasso, o perchè egli si fussé pentito, ovvero
per paura non si era rappresentato al
giorno stabilito sopra tale incisione, e che
Cesare per questo non aveva ancora egli dato il segi)0, ch'egli erano 4'àccordò, ch'e' dovess^ dare. Scrive
Curione, che si erano convenuti, ch'egli
si lasciasse cascar la toga dalle spalle; ed il
medesimo Curione e Marco Attorie Nasone dicono, lui ^vere ancora
congiurata) con Gneo Pisene giovanetto, al quale per il sospetto di questa
congiura civile fu dato spontaneamente per lo
strasordinario la provincia della Spagnaagoverno, eche si erano convenuti, che in un tempo medesimo egli di
fuora, ed esso in Roma, dessino dentro a
far qualche novità e garbuglio^ mediante
i Lambrani e Traspadani; ma che il disegno dell'uno e dell'altro non fu colorito per essere steto iworto
Pisene. L'Edilità, e le cose da luì
fatlei Essendo creato edile, oltre alla
sala del consiglio, e la piazza
pubblica, e le loggie, adorno ancora il Campidoglio con certi portici
posticci : perciò che avendo fatto provedimento grandissimo, ed abbondantissimo d'ogni sorte d'ornamenti,
e paramenti, volle che i detti portici
gli servissero per far la mostra di quelle cose, che in colale apparato gli avanzavano. Fece
far cacciOj feisle, e giuochi in
compagnia del suo collega, ed ancora da per sé separatamente, e ne nacque che
egli solo ne riportò la grazia, ed il
buon grado di quello ancora, che s'era fatto alle spese dell'uno e dell'altro: perchè il suo compagno Marco
Bibulo usava di dire liberamente, che a
sé era intervenuto il medesimo, che a Polluce; perciocché sì come il tempio che
era in piazza essendo stato edificato in
onor dell'uno e dell'altro fratello, era sol chiamato il tempio di Castore,
così la magnificenza, e liberalità sna,
e di Cesare, era solo attribuita a Cesare. Aggiunse alle predette feste Cesare àncora il giuoco de' gladiatori,
il numero de' quali fu alquanto minore,
che egli non aveva disegnato, perciocché con
lo aver da ogni banda procacciato di molta gente di mai affare, venne a spaventare i cittadini della fazione
contraria. Onde ei fu provveduto per
legge, che u ninno fosse lecito di condurre
in Roma gladiatori, se non per insino ad una certa qùaniità\ Le cose da Itti opcirate nella città. ., Come e' s'ebbe in^cotal guisa guadagnato il
favor del popolo, tentò mediante una
parte de' tribuni, che per via della plebe gii
fusse concesso la amministrazione dell'Egitto, pigliando occasione di ottener il predetto governo per lo
str^sordinario, con dire, che gli
Alessandrini avevano scacciato il iorore^ il quale dal senato era stato accettato nel numero degli amici, e
confederati, e tanto più che nel popolo
universalmente per lai caso si mormorava ;
ma non 16 ottenne, avendo avuto contro la fazione degli ottimati : onde "all'incontro per diminuire
l'autorità di quegli, in tutti quei modi
che poteva, restituì ne' luoghi loro i trofei di Gaio Mario, che egli s'aveva acquistati per la vittoria
avuta contro a Jugurla, contro a'
Cimbri, e, contro ai Teutoni, che per l'addietro erano stati gittatì a terra da Siila, e nel far la
inquisizione degli spadaccini, e malfattori, messe ancora in quel numero
coloro, ai quali, per avere
rappresentato le testé de' cittadini romani, che da loro erano stati uccisi, secondo la
proscrizione e bando mandato d^ Siila, era stato pagato dallo erario i danari
per la taglia, non ostante che e' ne
fossero stati eccettuati, per una legge fatta
da esso Cornelio Siila. Altre di
lui. operazioni.' Indusse ancora una
certa persona, che accusasse Gaio Habirio
di aver fatto contro allo Stato, del quale il senato s'era servita più che di alcuno altro pochi anni a diottro,
per raffrenare Lucio Saturnino molto
sedizioso cittadino, nel tempo che egli era tribuno. Ed essendo tratto a sorte
giudice contro al predetto Ra-^ birio,
lo condannò tanto rigidamente, che appellandosi quello al popolo, non trovò cosa che più gli giovasse,
e movesse di lui la gente a
corppassione, che l'asprezza e la rigidezza, che Cesare aveva usato jn verso di quello nel
condannarlo. Il Ponteficato
Massimo. Perduta ogni speranza di aver
a ottenere il governo della sopradetta provincia, addijnàndò di esser creato
pontefice niassimo, non senza gran
corruzione tìi cittadini, e sua grandissima spesa. E considerando alla grandezza del debito che
egli aveva fatto, si dice, che la
mattiria'nello andare al consiglio ei disse a sua ma^ dre, che lo baciò, o che e' non tornerebbe a
casa, o e' tornerebbe pontefice: e
superò due potentissimi competitori, i quali per età, e per riputazione di gran lunga lo
avanzavano, di maniera che nelle tribù
di quegli ebbe più favore, che l'uno e l'altro di lóro non ebbero in tutte l'altre. ' La di lui Pretura, ed altre azioni. Creato che e- fu pretore, essetidosi scoperta
la congiura di Catilina, e ordinando il senato unitamente, che tutti i compagni
di tale scelleratezza fussero morti,
e^so solo giudicò che si dovessero distribuire per le qittà confederate, e
quivi tenerli in prigione, e chei loro beni si dovessero confiscare. Messe
oltre a ciò tanta paura in coloro, che
persuadevano che si procedesse
severamente, e aspramente coiitro a' predetti congiurati, dimostrando a
ogni passò della sua orazione, quanta il carico, e l'odio della plebe, che essi concitavano contro,
fusse per esser grande, che Decio
Sillano, il quale era disegnato consolo, non si vergognò di addolcire con migliore interpretazione il
suo parere: conciofusse cosa che il mutarlo sarebbe stato cosa al tutto brutta,
e vituperosa, mostrando le sue parole
essere st ate interpretate più
rigidamente, che non era sua intenzione^ E sarebbe andato innanzi- il
suo parere, tanti già ne aveva tirati nella sua opinione, tra i quali era il fratello di Marco Cicerone
allora consolo, se la orazione di Marco
Catone non avesse confermato gli ànimi dei
senatori, che già si piegavano. Né per questo ancora restò di non impedire la cosa, in sino a che una
squadra di cavalieri romani, la quale stava per guardia intorno al senato,
perseverando lui senza rispetto alcuno,
minacciò di ammazzarlo : i quali già
avendo tratte fuori le spade, gli erano corsi addossa di maniera j ctie quelli cho gli erano più vicini a
sedere, lo abbandonarono, ed a pena che
alcuni con abbracciarlo, e pararsègli davanti con la toga, lo potesser difendere; Allora
spaventato da vero, non solo si
ritrasse, ma ancora in tutto, quell'anno non comparì mai in senato. Aìt/i di lui portamenti
nell'uffìzio della Pretura. Il primo
giorno ch-e' prese l'uffizio della pretura chiamò Quieto Catulo a stare a giudìzio del popolo sopra la
cura di tifare il Campidoglio, avendo pubblicata una petizione, per la quale
egli trasferiva quella cura ad un altro;
pia conoscendosi inferiore alla fazione
degli ottimati, i quali e' vedeva, che lasciato stare di intrattenere, ed accompagnare i consoli,
erano subito corsi molte ostinatamente à
fargli resistenza, abbandonò l'impresa.
Deposto e rimesso alla Pretura.
Ma pubblicando^ Cecilie Me.tello alcune leggi molto aspre e scandalose, contro alla volontà degli altri
tribuni suoi compagni, i quali se ^li
contraponevano, si messe con rautoritè sua a difenderlo ed aiutarlo, senza
rispetto alcuno, tanto che il senato
tolse l'uffizio a l'uno e l'altro. E nondimeno ebbe ardire di perseverare
nel magistrato, e rendere ragione; ma subito ch'e' s'ac-. corse come s'erano apparecchiati a mandamelo
per forza, e con l'armi, licenziò i
littori, e lasciato andare in terra la veste, occultamente si fuggi in. casa,
disegnando di starsi quietamente per
fino che la condizione de' tempi lo ricercava. Raffrenò ancorala moltitudine, la quale due giorni dipoi spontaneamente
gli era corsa a casa, e promettendogli
tumultuosamente di fare ogni cosa,
perchè e' racquistasse l'ipnor suo, e gli fusse renduto il magistrato. Ed avendo Cesare^ usato questo
atto contro alla opinione de' senatori, rx)me ch'eglino si fossero ragunati in
fretta per il medesimo garbuglio, lo
mandarono a ringraziare per i principali
della cittàj e richiamatolo in senato e lodatolo con parole molto onorevoli,
gli renderono il magistrato, annullando la
deliberazione, che s'era fatta poco innanzi contra di lui. Nominato tra i compagni di Catilina, e sua
giustificazione. Cascò di nuovo in un
altro pericolo, essendo stato nominato
tra i compagni di Catilina davanti al tribunale di Novio Nìgro que^ore da Lucio Vezio^ uno di quelli, che
aveva scoperto ì congiurali, e nel
senato da Quinto Curìone ; al quale per essere
stato il ISHmq a scoprire i disegni de' congiurati, erano stali ordinati
alcum' premii dal pubblicò. Curione diceva di averlo ioteso da Catilina ; Vezio
oltre a ciò prometteva di mostrare una
scrìtta di sua mano, eh* i aveva data a Catilina ; e parendo a Cesare
questa esser cosa da non se la passare di leggieri, né da sopportarla per modo alcuno, chiamando
Cicerone in testimònio, mostrò come egli
per sé medesimo gli avea. riferito alcune coée
della rx)ngiura, e fece che a Gurione non furono dati i «opradetti premii. E Vezio, poi che gli fu tolta la
roba, e i figliuoli, e mandatogli la casa a' saccomanno, fu da lui molto mal
trattato. £ mentre che Cesare parlava in
ringhiera, fu dal popolo rabbaruffatlo, e messo in prigione,^ ed in sua
compagpnk fu ancora incarcerato Nonio questore^ per avere acconsepwfe, che un
cittadino, che si ritrovava in magistrato di maggiore autorità, che il suo non era, fu^se avanti di luì infamato, ed
accusato. Gli tocca in sorte la Pretura
dell» Spagna Ulteriore. Sendo4iscito
dell'uffizia della pretura, fu tratto per sorte al governo della Spagna Ulterióre ', e si Uberò
dai creditori,,i quali non lo lasciavano
partire, con dar loro mallevadori : e senza osservare né l'usanza, né l'ordine
antico, andò via avanti che le Provincie
fusero ordinate e provvedute secondo il consueto di quello che bisognava. Né si sa certo, s'egli
lo fece o per paura di non avere a dar
conto di sé, conoscendo ch'e' sarebbe stato
chiamato in giudìzio, sondo allora cittadino privato, e senza.magistrato;
ovvero per anticipare dì andare a soccorrere i confederati, i quali con grande
instanza, e con molte preghiere lo
sollecitavano. Pacificata ch'egli ebbe quella provìncia, con la medesima prestezza, non aspettando altramente
lo scambio, se ne ritornò per ottenere
il trionfo, è per essere ancora, cieato
consolo. Ma essendo di già pubblicata la creazione de' nuovi consoli; né sì potendo far menzione di luì,
seegliprivalamejite non entrava in Roma,
veduto che nello andare attorno a pregare
questo e quello dicessero assoluto dalle leggi, che ciò gli proibi\ano,
molti gli contraddicevano ; fu costretto di lasciare andare il trionfo per non si trovar fuori del
consolato. Il di lui Consolato con
Bibulo. • Dì due che competevano nel
consolato, cioè lancio Lueeio, e Msrco
Bibulo, si guadagnò Luccio, e convenne seco, ehe per ciò chti egli era di manco favore, ed aveva più
danari, e^ dijliiribuìsse del suo ì
danari al popolo in nome dì amendue. Lai' ()ua| cosa essendo conosciuta, gli
ottimati, i quali avevano cominciato a dubitare^ che e' non si mettesse a
tentare qualche novità in quel magistrato, che era il supremo, e più
importante, massimamente avendo un
compagno, che dipendesse da lui, fecero che Bibulo promesse altrettanti dgnàri al popolo, e la
maggior parte dilpro contribuirono aHa
spesa. E ciò fecero non senza consenti merito
di Catone, il quale affermava, che tale corruzione di danari faceva a
i>roposito per la Repubblica. Fu adunque creato consolo insieme con Bibulo, e per la medesima cagione
operarono gli ottimali, che e^|aiBe dato
a' predetti consoli certe cure leggieri,
e quasi di niunSntnportanza; come tagliar selve, e racconciare i passi e le strade., Ónde Ges&re per
tale ingiuria commosso e stimolato, con
tutti que^ «iodi che egli seppe migliori, cercò di guadagnarsi Gneo Pompeo allora sdegnato col
senato: perciocché avendo vinto il re Mitridate, -i genatòri andavamo a rilento
a ratificare e confermare lo cose, che
da lui in quella guerra erano state
amministrate. Riconcjlìò ancora col detto Pompeo Marco Crasso, col quale aveva antica nemicizia, per
cagione del consolato, il quale con grandissima discordia avevano insieme amministrato;
e così entrò in lor compagnia, acciocché tutto quello, che dipòi si aveva a trattare nplia
Repubblica fusse secondo il voler di
tutti tre., - Suoi andamenti nel
Consolalo. Avendo preso il magistrato,
fu imprimo, che "diede ordine che
le cose fatto giornalmente tanto dal popolo, quanto dal senato, fussero scritte, e notate, e ne fusse fatto
memoria in certi libri pubblici. Rinnovò
ancóra il costume anfeico, che in quel niese,
che non gli toccavano i fasci, un ministro gli andasse innanzi, ed i littori dietro. Ed avendo pubblicato la
legge agraria, e contraddicendogli il suo compagno, lo cacciò armata mano fuori
di piazza : ed essendosi quello il
giorno seguente di ciò rammaricato in
senato, né trovandosi alcuno, che in così subito accidetite, © perturbazione ardisse di parlarvi sopra, o
deliberarvi cosa alcuna. come spesse
volte in cose di manco importanza s'era fatto ; b condusse a tanta disperazione, che per insino
a che durò il magistrato, standosi nascoso in casa, non fece altro che contrapporsegliper
via di protesti. Esso solo adunque in quel teiupO governò la Repubblica come a lui parve, tale
che alcune persane facete, quando si
soscrivevano per testimoni! a qualche sertta
contratto, dicevano per burl£^; tal cosa esser fatta non al tempo di Cesare, e di Bibulo, ma. di Giulio, è di
Cesare, ponendo il nome e il cognome di
Cesare ih cambio del nottìe de'duoi eon soli : e volgarmente si recitavano (questi
versi yi questa sentenza. Questi di
passa ti, non s'è fatto cosa alcuna al tempo di Bibulo, ma al tempo di Cesare, perchè al tempo di
Bibuk) consolo nùtìa s'è fatto, che io
mi ricordi. Divise per \o strasordinario a venti^. mila cittadini di quelli, ctie avevano tre figliuoli
o piìi, il campò Stellate, consagrato
dagli antichi, ed il contado di Capu^, il quale
s'affittava per sovvenire alla Repubblica. Domandando gli arrendatori delle entrate pubbjiche, che e' fusafiJ||fcto
loro qualche grazia, gli sgravò della
terza parte di quello cto^' dovevano pagare, dicendo loro palesemente, chp nel
pigliare a fitto le nuove entrate, si
guardassero di non le incantare a prezzi troppo alti. Similmente ogni, altra cosa, che ciascun sapea
chiedere, e domandare, la donò, e concesse largamente, non avendo alcuno che gli contraddicesse; e se pure alcuno
aveva ardire di contrapporseli, gli faceva tale spavento, che,si ritirava
indietro: centra pponendpglisi Marco Catone, comandò per un littore che ei fusse ti*atto fuori di sonalo, e.messo in
carcere. A Lucio Lucullo, che troppo
alla liberà gli faceva resistenza, -messe siffatta paura, minacciando di calunniarlo, che
spontaneamente l'andò a trovare e
gittossigli ai piedi. Dolendosi Cicerone in un certo giudizio della condizione de' tempi, ordinò cìie Pubho
Clodio nimicò di quello, il dì medesimo,
a ore vent'una, dov'agii era dell'ordine patrizio, entrasse nell'ordine plebeo, di ohe un pezzo
avanti il detto Clodio si era affaticato
in vano per ottenerlo. Finalmente si crede che
egli avesse ordinato a una certa persona, che si rappresentasse dinanzi al popolo, e dicesse epnae egli era
stato sollecitato di ammazzare Pompeo: nominando tutti quegli della fazione
contraria, secondo che insieme erano
convenut/i,o perciò che nel nominare
questo e quello in vano, veniva a dar sospetto che la non fusse cosa fatta a mano, non gli parendo che il suo
disegno così bestiale e furioso fusse per riuscirgli, si crede che egli lo avvelenasse.
Prende per moglie Galfurnia, e marita
sua figlia Giulia a Pompeo. Quasi nel
medesimo tem|K) tolse per,inoglie Calfurnia, figliuola di Lucio Pisone, che gli doveva succedere nel
consolato, e detto Giulia ^ua figliuola
a Gneo Pompeo, avendoli fatto licenziare
SeryiHo Cepione suo primo marito,, del. quale egli si era servito più che di alcuno altro poco innanzi contro
al suo collega Bibulo. (1) Arrendato ri
lo stesso che Oabellieri. E dopo* di
questo nuovo parentado, sempre che si avea à parlar sopra qualche deliberazione, cominciò a
domandare Pompeo del ^uo parere innanzi
a tutti gli altri, sendo solito a domandarne
prima. Grasso ; ed essendo àncora usanza, che il consolo nel domandare
dei pareri seguitasse quell'ordine tutto l'anno, ch'egli^ nel principio del suo consolato il primo di.
di gennaio aveva incominciato. Dopo il Consoiato gli vìea concesso il governo
della Francia. Favorito adunque ed
aiutato dal suocero, e dal genero, tra
tutte l'altro provincie elesse per «è il governo della Gallia, pa-rendoglj
per le prede, e guadagni, e pei" la opportunità del luogo, che quella fussc occasione, onde egli avesse
agevolmente a conseguitarne il trionfo: e primieramente prese la Lombardia, e
la Schiavonia per una legge fatta da
Yatinio; appresso per decreto del senato
ottenne àncora la Francia; perciocché^ i senatori dubitavano, che negandogliene
loro,jl popolo non fusse ad ogni modo
per concedergliene, insuperbito adunque per sì fatta allegrezza,^ non sì potè
contenere dopo alquanti giorni, che essendo
piena la curia di senatori, egli non si lasciasse uscir di bocca, che a dispetto de' suoi avversari aveva ottenuto
tutto quello che egli .aveva desiderato^
e che da quivi innanzi la volea con tutti
senza^aver rispetto a nessun diJoro: ó dicendogh un certo per incaricarlo, che ciò non poteva riuscire ad
una donna, scherzando intorno a quel
vocabolo, rispose, che ancora. Semiramis avea
regnato in Assiria, e che le Àtnazoni per l'addietro aveano tenuto una
^ran, parte dell'Asia. > Accuse
delle cose da lui fatte nel Consolato.
Uscito chy fu del consolato, trattando Gaio Memmio, e Lucio Domizio pretori col senato, ch'egli rendesse
conto dell'amministrazione di quell'anno ch'egli era ètato consolo, chiese
d'avere ad essere giudicato dal senato;
e non volendo il senato accettare la
causa, e avendo consumato tre di in vani litigamenti, se ne andò in Francia alla sua amministrazione, e
subito il suo que«4tore (1 ) fu colto in frode, e trovato ch'egli aveva errato,
ed era (1) Il sentimento di Svetonio
è, cb'' '^ Questore fu strascinato n
giudìzio per alcuni delitti, de'qr**^ ^vasi fosse condannato, PRIMO IMPRRATOBE 21 cascato in pregiudizio. E poco appresso egli
ancora fu citalo da Lucio Antistio
tribuno della plebe ; e finalmente, avendo appellato al collegio de' tribuni,
ottenne di non essere condarruatò (per
esser fuora per faccende della Repubblica). Ciò fu cagione, che per sicurezza del lenvpo a-venire, egli
non attese ad altro, che ad obbligarsi
sempre i magistrati anno per anno, e di quegli,
ch'erano competitoii nel -chiederei magistrati, ninno ne aiutava, permetteva che gli ottenesse, ^e prima con
patto non se lo obbligava, e gli projnètteva di essergli difensore, e
protettore, mei^tre che egli stava
assente : né Sh vergognò di ricercare alcuni
di lóro del giuramento, e ancora farsene fare una fède per iscritta di lor mano.
Delle minaccie di Domizio, e delle còse da lui fatte nelle Gaflie., Ma minacciandolo Lucio Dòmizio palesemente,
il quale era nel numero di quegli che
domandavano il consolato^ con dire, òhe
se egli lo otteneva, era per fare quello, che essendo pretore non aveva potuto mandare ad effetto, e che per
ogni modo gli voleva levar di mano
l'esercito ; fece che Crasso, .e Pompeo lo andorno a trovare a Lucca, città della sua provincia,
e gli richiese, che addomandassero
d'esser fatti consoli le seconda volta, solo per isbattere- Domizio: ed ottenne non solamente
questo, ma ancora d'esser raffermo
Tìell'imperio per cinque anni. Per il che preso
ardire, aggiunse alle legioni, le quali egli aveva ricevute, dalla Repubblica, alcune altre a sue Spése ed
alcune altre ve ne aggiunse a spese del pubblico; tra le quali ve ne era una di
Francesi (che in quella lingua si addomandaya Alàuda), la quale egli ammaestrò, e ordinò secondo la disciplina, ed
ordine roniàno : e tutti i soldati deUe
predette legioni furono dipoi fatti cittadini romani. Né lasciò appresso
occasione alcuna di guerra, che egli non
la pigliasse,*ancora cheieHa fusse ingiusta e pericolósa: oltraggiando, senza
cagione alcuna così i confederati, come le genti nemiche e barbare; di maniera che il senato
deliberò, che si dovesse mandare -alcuni
commissarii in Gallia, i quali diligentemente ricercassino, in che termine^ le
cose si trovavano in quel luogo; e tra
essi senatori ve né furono alcuni che giudicorno, che e' fosse da darlo in preda ai nimici: ma
succedendo le cose prosperamente,
ottènne che in Roma sì ringraziassero gli Iddii, e si facessero le solite supplicazioni più
volte, e più giorni per volta, che altri
per Taddietro non aveva ottenuto giammai.
Altri di lui fatti nelle Gallie. In nove anni che egli stette capitano generale
della Repubblica in Galìia, fece queste
cose. Tutta la Gallia che è contenuta dai
monti Pirenei, dall'Alpi, e dal monte Geb^niia, e dal fiume Reno, e dar Rodano, la quale si distende in giro
circa di settecento miglia, dalle città
confederate, e che si erano ben portate in fuora, ridusse in forma di provincia, obbligandole a
pagare ogni anno il tributo. Fu il primo
dei Romani che' assaltasse i Tedeschi, che
abitano di là dal Reno; avendo fabbricato un ponte, diede loro grandissime rottp. Assaltò ancora gli
Inglési, per TiE^dietrp non conosciuti :
ed avendoli superati, e vinti, ^si fece dare. e danari, e statichi. Fra così fatte prosperità^ solo
tre volte, e non più, ebbìB la fortuna
contraria; la prima, quando per la gran tempesta "perde in Inghilterra quasi tutta
l'armata ; là seconda, quando in Francia
intorno a Gergonia fu rotta una delle sue legioni; la terza, nei confini dei Tedeschi, quando gli
furono ammazzati a tradimento Titurio ed
Arunculeiò suoi commiscri. Morte della
madre, della figlia e della nipote, e altre di lai opere. Nel medesimo spazio di tempo gli morì prima
la madre, di poi la figliuola, tiè molto
di poi la nipote. Ed essendo h Repubblica
altercata perla uccisione di Publio Clodio, avendo giudicato il senato
che e'-fusse beiìe creare un solo consolo, e che nominatamente fusse eletto
Gneo Pompeo,' trattò con i tribuni della plebe,
che lo volevano dare in. ogni modo per compagno a Pompeo, che procurassero più presto col popolo, che ogni
volta che s'appressasse la fine del suo imperio, quantunque e' fusse assente,
gli fusse concesso il poter domandare
il. consolato la seconda volta, avendo
caro di non si avere a partire per la predetta, cagione, né lasciare lo esercito più presto che non
bisognava, e senza avere terminata
quella guerra. Il che subito che Bgli ebbe ottenuto, cominciando a
rivolgersigli per la fantasia cose più alte, e
ripieno di molta speranza, attese per ogni verso a donar largamente, e
far servigio a qualunque persona, così pubblica, come privata, senza esserne richiesto, dove il
bisogno vedesse. Cominciò a fabbricare una piazza de' danari cavati delle prede
guadagnate nella guerra, il pavimento della quale costò più di due milioni e cinquecento migliaia di scudi.
PubbHcò al popolo,, come e' voleva far
celebrare il giuoco de'gladiatori, ed un convito ancora in memoria della figliuola; il che innanzi a
lui ni uno aveva fatto giammai. Le quali cose, acciocché le f ussero in
grandissima espettazione, quanto a
quello che apparteneva al convito, benché
egli' ne avesse dato la cura ai becqai, faceva ancor farne provediméhto
dai suoi domestici, e famigliari. E quanto al -giuoco dei gladiatori, se in alcun luogo si
ritrovavano gladiatori^ eper^ sone
famose in maneggiare armi,^i quali avessero avuto a combattere insieme, e
diffinire qualche lite, gli mandava a pigliare
per forza, efacevagli conservare: faceva ancora ammaesti^ar gli scolari non per le scuole da'' maestri di
scherma, ma per le case da*cavalieri
romani, ed ancora dai senatori pratici nell'armi, pregando stret.tamente i
giovani (il che appare per su« lettere) che
imparassero bene, ed i maestri, che diligentemente gli ammaestrassero.
Alle sue legioni raddoppiò il sòldo in perpetuo. Ogni volta che in Roma fu abbondanza. di grano, lo
distribuì senza, regola, e misura: e
donò alcuna volta schiavi, e possessioni a
persone private, e suoi amici particolari. RiiHiova la parentela con Pompeo, dandogli
sua nipote Ottavia - /in moglie, Per mantenersi il parentado e l'amicizia di
Pompeo, gli dette per moglie Ottavia,
sua nipote nata dalla sor.eira,la qual era maritata a Gaio Marcello/ con patto
clie egli a lui desse 4a figliuola, la
quale aveva proméssa a Fausto Siila . Avendosi obbligato ognuno, ed ancora una gran parte del Senato solamente
con la sua buona maniera, o con piccola
somma di danari, a tutti gli altri d'ogni
sorte, e di qualunque ordine eglino si fossero, che o invitati, o spontaneamente andavano a lui, faceva
grandissimi donativi, per insino ai
servi, ed ai libèrti di ciascuno dei suoi famigliari, secondo che ciascuno di
loro era più grato al suo padrone. Era,
oltre a ciò, unico e prontissimo soccorso, o-refugio di tutti i condannati, indebitati, o giovani spenditòri,
da quegli in fupra, ch'erano gravemente
oppressi dalle smisurate spese, dalle accuse, e dal fa estrema necessità, e
dalle sfrenate voglie; ma non li potendo
aiutare, né sovvenire,. diceva loro alla scoperta liberamente, che essi aveano
bisogno d'una guerra civile. Procura
ramicizia dei re, e delle provincie; e del decreto del Senato contro di hii. Né con miiior sollecitudine e diligenza si
andava facendo amici, e tirando i re e
le provincie di (Qualunque parte del mondò nella sua amicizia, ad alcuni offerendo in dono le
migliàra di prigione ad alcimi, senza
yobntà o saputa del senato e del popolo, mandando in soccorso^ gente
nascosamente, qualunque volta e dove e'
volevano; adornando ime I inai'* «^ffli ^
guadagnò con buona somma di danari. Ma veggendo che ogni cosa si trattava ostinatamente, e come' i
consoli disegnati erano della parte
avversa, pregò per lèttere il senato, che o'non gli fusse tolto il benefìzio e la abilità
fattagli dal popolo, o veramente che
e*fu8sero costretti ancora gli altri imperatori e ^capitani a lasciare gli eserciti ; coi^fìdatosì^ come si
stima, d'aver a poter più- agevolmente,
subito che gli fusse tornato bene, rimettere insieme i suoi soldati vecchi, che
Pompeo far nuovo esercito. Convenne (\) con gli a^versarij, che licenziate otto
legioni e4asciata la Gallia Cornata, gli
fussero concesse due legioni, e la Lombardia,
al manco una sola legione con la Schiavonia, insino a tanto, che e' fosse fatto consolo. Si narrano le cause della gtìerra civile di
Cesare. Ma non se ne volendo
travagliare il senato, e dicendo gli avversarii suoi che non intendeano per
modo alcuno di far contratto della Repubblica, passò nella GaHia Citeriore, e
fatte le visite, si fermò a Ravenna,
pensando di vendicare con l'armi i
tribuni della plebe, quando il senato avesse in cosa alcuna proceduto troppo aspramente contra di loro ;
essendosi i predelti tribuni scoperti in suo favore. E sotto questo colore prese Cesare l'armi contro alla patria : ma
stimasi che altre fussero le cagioni che lo movessero. Gneo Pompeo andava
dicendo in questo modo^ che non potendo
egli inandare a perfeziono quellenmprese
e quegli edìfhii, che da lui erano stati incominciati, «è corrispondere con le
facultà private alla espettazione, nella
quale era il popolo per là sua venuta, -aveva voluto ingarbugliare, e mandar
sottosopra ogni cosa . Altri dicono lui aver
temuto di non esser costretto a render conto di quelle cose, che egli. aveva fatte nel primo consolato contro
alle leggi, e contro agli auspicii, e
contro alla volontà ed ai protesti dei compagno; conciossiacosaché IVfarco Catone ad ogni poco
gli facesse intendere, che lo voleva accusare, e che l'aveva giurato, subito
che egli avesse licenziato l'esercito:
dicendosi ancora nel volgo, che tornando
privatamente in Roma, gli era per intervenire, come a Milone, e che e' sarebbe esaminato dinanzi ai
giudici ancor lui con le squadre degli
armati intorno ; il che fa più verisimile Asinio Pollione, il quale scrive, che Cesare nella
battaglia Farsalica ris (1) Le paròle di Svetonio hanno questo sentimento.
Voleva ancora pattuire con gli
avversarli. guardando gli avversarii suoi uccisi e sbattuti in terra, usò
di dire queste parole : Così hanno
voluto'. Questo a Cesare, che ha fatto
sì gran cose per la Repubblica? Che Cesare si fusse condotto ad esser
condannalo? Se io non avessi domandato- soccorso al mio esercito. Altri sono die stimano, che
essendo egli assuefatto a comandare ed a signoreggiare, e considerate le forze
sue e quelle de' nemici, si servisse
della occasione, che se gli appresentava di potere usurparsi il principato, del
qual fino da giovanetto era stato vago e desideroso. Ciò pare ancora che
voglia inferire^Cicerone^ scrivendo nel
terzo hbro degli {//'^ztt, Cesare sempre
avere avuto in bocca que' versi greci di Euripide, la cui sentenza è questa : « Se si ha a violare la
giustizia, ciò si debbe far per cagione
di signoreggiare. Nell'altre cose si debbe ayer rispetto alla pietà inverso la
patria. » • Il di lui cammino da
Ravenna al fiume Rubicone. Essendo
adunque avvisato, come l'autorità, che avevano i tribuni di potersi
contrapporre- alle deliberazioni del senato, era stata levata loro^ e come e' s'erano fuggiti
: mandò subito innanzi secretamente
alcune delle sue compagnie, per non movere di
ciò sospezione alcuna. E si ritrovò ancora esso sconosciuto in Roma a veder celebrare le feste, che si
facevano in pubblico, ed andò
considerando in che forma e maniera egli voleva accomodare il luogo, dove si
aveva a celebrare il giuoco do' gladiatori :
e secondo il costume, sconosciuto ancora comparì al convito pubblico, dove era gran numero di. gente.
Appresso, dopo.il tramontar del sole, tolti dal più. presso mulino, ch'era
quivi, due muli, che tiravano una
carretta, prese a camminare, con pochi
in compagnia, per un sentiero molto occulto, ed avendo smarrito la
strada, per essersi spenti i lumi, aggirandosi un pezzo in qua e in là, finalmente in su '1 far del
giorno, trovata una guida^ per tragetli
strettissimi se n'andò via a piede ; e raggiunte le sue genti vicino al fiume Rubicone, il quale era
ai confini di quella provincia, stette
alquanto sopra di sé, e considerando che gran
cosa egli si metteva a fare, voltosi indietro, disse a quegli, che gli erano d'intorno : « Ancora siamo noi a
tempo a tornare addiètro: ma passato che noi avremo questo ponticello, ci
converrà spedire ogni cosa con l'acmi.
» Apjpafizion prodigiosa, mentre stava sulle
rive del fiume, dubitando di
passarlo. Stando così sospeso, gli
apparve un naosiro così fatto.. Un certo
di grandezza e forma smisurata, clie in un subito gli compari davanti,
poncndoglisi a sedere vicino e a cantare con una (!annaj dove essendo concorsi, oltre ai
pastori, molti angora dei soldati, che
erano di guàrdia, e tra loro alcuni trombetti per udirlo, egli, tolta la tromba di mano ad uno
di loro, saltò nel fiume, e con
grandissimo fiatò cominciando a sonare a battaglia, s'addirizzò all'altra . ripa. . Allora Cesare
disse: « Ora andiamo dove ci chiamano
gli ostenti degli Iddìi, e la iniquità diBgli avversarli, tratto è il
dado.» Tragitta il fiume, e suo
parlamento a* soldati. Così avendo
fatto passar l'esercito, e chiamare i tribuni della plebe, che'scacciati di Roma erano
sopraggiunti, fece parlamenta; nel quale
piangendo, e stracciatasi la veste dinanzi di petto, pregòi suoi soldati, che
gli f ussero fedeli, e non lo abbandonassero in
così fatto caso. Fu ancora giudicato, che egli avesse promesso a tutti di fargli cavalierini che fu falso, perciocché
nel parlare, e nel confortare, avendo
spesse volte alzato il dito della mano si^
nistra, affermava, che per soddisfare a tutti coloro,. mediante i quali egli-avesse difeso l'onor. suo, era per
cavarsi in lor servigio molto voloutiori
per sino airanello di dito: e quegli, che erano
più lontani, ed. ai quali era più facile il vederlo, che l'udirlo,
si dettero a credere quello, che nel
vedere s'erano immaginato. E così si
sparse una voce, come Cesare aveva promesso loro, che e' goderebbono il privilegio degli anelli,
cioè di quelli che eran dell'ordino de'
cavalieri, con dar loro di valsente dieci
mila scudi. Sua gita a Roma, e
altr^ sue operazioni. ^ L'ordino, e la somma delle cose fatte da
lui è quella, che ap^ presso
racconteremo. Egli primieramente s'insignorì della Marca, dell'Umbria e della Toscana ; od avendo
ridotto in suo potere Lucio Comizio, il
quale inx^iel tumulto e gapbuglio, gli era stato nominalo per successore, e stava alla guardia
di Corfinio, lo liberò : ed api)resso
pel mare Adriatico se ne andò alla volta di
Brindisi, dove erano rifuggiti i consoli insitme con Pompeo, per 28 GIULIO CESARE . passare, come prima potevano, quel mare; ed
ingegoatosi in qualunque modo di
proibire a costorp il passo ^ e non sendògli
riuscito, se ne tornò alla volta di Roma : e fatto ragunare i senatori e
patrizii, parlò, e consultò con loro sopra i casi. della Repubblica. Dipoi
passato in Ispagna, s'appiccò con quegli di Pompeo, che ivi erano potentissimi
sotto tre capitani e governatoli Marco
Petreio, Lucio Afranio e Marco Varroiie : avendo, prima tra' suoi usato di dire^ che andava a trovare
unoesercito senza capitano, e clie
appresso tornerebbe a trovare un capitano senza
esercito. E quantunque egli fusse ritardato nello assedio di Marsiglia,
la quale nel passare gli aveva chiuso le porte, ed ancora per la carestia grande delle vettovagliìB,
nondimeno in poco tempo superò ogni
difficoltà, e soggiogò ogni cosa. Vince
Pompeo, Tolomeo e alcuni altri. Quinci
ritornato in Roma, e passato in Macedònia, avendo assediato Pompeo a Durazzo con grandissimi
steccati, ed altri edifizii, e ripari
maravigliosi, e tenutolo c^sì assediato circa
quattro mesi, all'ultimo nella battaglia Farsalica lo ruppe e
vinse; e perseguitatolo dipoi per sino
in Alessandria, dove e' si era fuggito, come egli trovò, ch'egli era stato là
ammazzato, ed accortosi che Tolomeo ancora a lui andava preparando insidie,
fece guerra con lui, grandissin^a
certamente, e molto difficile: perciocché egli non si ritrovò né in luogo, né
in tempo buono per guerreggiare, ma nel
cuore della invernata, e ;deBtro alle mura
del nimico, il quale era molto desto e sollecito, e d*ogni cosa abbondevole, come che egli fusse del tutto
sprovveduto, e gli mancassero tutte le
cose necessarie per la guerra. Ma restato
alla fine vincitore di quel paese, e reame d'Egitto, lo lasciò a Cleopatra ed al fratello minore di lei, come
quello che hon si assicurò di ridurlo a
provincia sotto lo Impero romano; acciocché abbattendosi alcuna volta ad avere
un governatore troppo violente, non gli
fusse dato occasione e materia di fare qualche
novità, di ribellarsi. Da Alessandria passò in Soria e quindi in Ponto, stimolato dagli avvisi e dallo nuove,
che gli intendeva di Farnace figliuolo
del gran Mitridate, il quale allora, essendo venuta la occasione, si era mosso
a far guerra a' Romani, e per aver avuto
più volte la fortuna prospera, era divenuto molto insolente ; ma Cesare il
quinto giorno poi ch'e' fu arrivato, od in
quattro ore, dq)0 che e' si rappresentò sul- campo, con una sola battaglia lo sbaragliò e mandò in rotta. Onde
molto spesso usava PRIMO IMPERATORE
29 di chiamare Pompeo feiicej al qnale
fusse accaduto d'aversi acquistato sì gran nome, per avere vilito in battaglia
così vii gente. Dopo la predetta
vittoria superò e vinse Scipione, e ìuba, che in Africa avevano rimesse insieme alcune reliquie
delle parti avverse; ed in Ispagna vìnse i figliuòli di. Pompeo. • ■ • . . ^
Scohfitt« ricevute da' suoi legati.
Non ricevè danno alcuno, ne ebbe mai la fortuna, contraria intutte le
predette guerre civili, se non dove egli si goyernò/per le mani 'de' suoi cómmissarii : tra i quali
Gaio Gurione andò in, rovina, e capitò
male in Africa; Gaio Antonio fu fatto prigione
dai nemici nella SchiavoDÌa ; Piiblio Dokbella pur neHa medesima
provincia perde l'armata* Gr\eo Domizio e Calvino perderono lo esercito in
Ponto. Ma egli sempre combattè con molta
prosperiti!, né mài se gli mostrò turbata là fortuna, se non due voile; la prima a Durazzo, dove essendo
ributtato con 16 esèrcito, e non
seguitando Pompeo la vittoria, ebbe a dire, ch'egli non sapeva vincere; la sfecoiìdà in Ispagna
nell'ultima battaglia, dove sendosi
disperato d'ogni cosa pensò insino di ammazzarsi. Trionfi di Cesare. Terminato ch'egli ebbe tutte le predette
guerre, trionfò cinque volte ; quattjco in un mese medesimo, poi che egli ebbe
vinto Scipione, mg wt-tBiettere alcuni
giorni in mezzo tra l' uh trionfo e
l'altro; l^ qij^ vòlta trionfò, poi che egli ebbe superato i figliuoli di Pòmp^.. Il primo è più glorioso
trionfo fu quello della Gallia; seguitò
appresso lo Alessandro; di poi quello di Ponto;
dopo questo venne lo Africano; rultimo trionfo fu quello della Spagna: e ciascun de' predetti trionfi
fa^elebrato con istromentit \ ed apparati
diversi l' un dall'altro. Il giorno del trioiifa gallico passando per il velabro, essendosi rotto il
timone del carro, fu quasi per cascare a
terra. Venne, in Campidoglio con quaranta
lumiere, avendo dalla destra e dalla sinistra sopra gli elefanti coloro, che portavano le torce. Nel trionfa
di Ponto, tra le cose che si portavano
appiccate in su un'asta nella pompa ed ordinanza trionfale, fece portare avanti
a. sé dentro ad una tavoletta notate tre
parole venni, ¥ld1 e vinsi. Il che significava,
che quella guerra non era stata come l'altre, ma ch'ella s'era terminata agevolmente e con prestezza Ctinw
ririM^rili'iHsc i soldati veterani, e della sua liberante col popolo. AIIm l pretoria ed Aulo (!alpeno senatore,
il quale era già stato avvocato. La
moresca degli uomini arinati, chiamata Pirrica fel'ono i principali giovanetti
d'Asia e di Bitìnìa. Nelle feste e rappn*senta7.ioni sopraddette Decimo Laberìo,
cavaliere romano, n«cilò una sua
rappresentazione e [\) farsa, e gli fu donato cìn(pieciMitu sesterzii ; ed
allora ebbe l'anello d'oro, e fu fatto cavalieri», e pasAÒ l'on'hostra (luogo
dove stavano a vedere i senatori), (mI
andò a sedere tra i cavalieri. Celebrandosi i giuochi circensi uccreblu^ da ogni banda lo spazio del cerchio,
ed attorno attorno lo circondò di
canaletti e zampilli d'acqua. Le carrette, che erano tirate da ipiattm cavalli, e quelle che erano
tirate dà due, le ■ (1) Farsa^ significa una commedia mozza e
imperfetta. PRIMO IMPERATORE 34 guidarono giovani nobilissimi, i quali
maneggiarono ancora i cavalli da saltare dell'uno in su l'allro. Il giuoco
chiamato Troia, lo fecero due squadre di
fanciulli di maggioro e di minore età.
Cinque dì intieri non si fece altro ciré caccio, ed ultimamente si fece un tomiamento, ovvero battaglia
.UIE d'ugni altr^ legge mes^e più
liiiigenza in quella dello spender
troppo, e disordinato, avendo posto intorno alla beccheria, ed altri luoghi, dove si vendeano le cose da
mangiare, le guardie, le quali
togliessero i camangiari. che fossero stati comperati contro all'ordine della \ezze. e ì;Iì
portassero a lui : mandando alcuna volta
di nascosto i littori, e soldati, i quali, quando le guardie avessero fatto frauvle in cosa
alcuna, entrassero per le case, e
levassero via le vivande fìn poste in tavola. Sua fretta nell'abbellir la città, e
neU'aggraDdire Timpero. E circa
all'ornare ed ordinare la città, e similmente quanto al fortificare, ed ampliare il domìnio, di
giorno in giorno andava ordinando più cose, e maggiori luna che l'altra; pensando
primieramente di edificare il tempio a Marte, maggiore che non era mai stato fatto in Inoso alcuno,
avendo fatto riempiere e rappianare il lago, nel quale aveva fatto fare la
battaglia navale ; e cosi ordinava di
edificare un teatro di grandezza smisurata, sotto il Monte Tarpeio, e di
ridurre la ragion civile in una certa
regola e moderanza; e la grande e smisurata copia delle leggi, ridurla in pochissimi libri,
scegliendo quelle che erano migliori, e
più necessarie. Ancora pensava di fai; fare librerie pubbliche greche, e
latine, quanto egli potesse maggiori, e
più copiose ; avendo dato la cura a Marco Varrone di procacciare i libri, ed i
volumi, e di mettergli per ordine. Volea seccare le paludi Pontine ; dar
l'uscita al lago Fucino ; lastricare, e
far fare una via dal mare Adriatico, per insìno al Tevere, attra- versando
il dorso dell'Apennino. Voleva far tagliare Tlstmo (cioè . lo stretto della Morea). Ridurre dentro
aMorconfmi i popoli della t Dacia, che
s'erano spanti pel Ponto, e per la Tracia; di poi muover guerra a' Parti per l'Armenia minore :
e disegnava di non venir con loro né a
giornata, né a fatto d'arme senza averli prima
sperimentati con qualche scaramuccia. Nel trattare, e pensare a queste cose gli sopragginnse la morte,
della quale avanti che io parli, non
sarù fuor di proposito di narrar sommariamente
quelle cose, che appartengono alla sua forma, e statara, all'abito, od
ai costumi, ed ancora ai suoi studi quanto ade cose civili, e quanto a quello
della guerra. PRIMO hlftiBATORE
35 Sua statura, e coltura det còrpo. .
-^ Dicofioche ei fu di grande statura,
di color bianco; aveva le membra che
ritraevan(J af lungo, ejt'ondo^ la bocca uh poco grossetta, gli occhi negri,
vivi, é sfavillanti; della persona fii sano,
e prosperoso, se non che nel!' ultimo della sua età soleva alcuna volta in un subito venirglr una fiacchezza
d'animo^ e di corpo, per la quale tutto
s'abbandonava ; ed alcuna volta tra: il sonno
si spaventava. Fu preso ancor due volte nel far faccende dal mal maestro. Circa Ja cura, ed ornamento del
corpo fu alquanto esquisito, e
fastidioso, tal che non solamente con graii diligenza si tosava, ma ancora si faceva radere, e
pelare pef tutto: itche gli fu da alcuni
rimproverato; Sopportava molto. :ìnM Volentieri
la bruttezza, chaera in Ini dell'esser calvo, pareipigh che gìi uomini faceti e di mala lingua avesfsero uno
appicco di beffarlo, e schernirlo; ond'egli U9«^ di tirarsi giù i capegli della sommità del capo per. ricoprire cotale
calvezza:, e perciò ancora tra tutti gli
onoH concessigli dal senato e dal popolo,
niuno ve ne fu che egli più volentieri«accettàsse, ed usasse, che il portare in perpetuo la corona deiralloro
in testa. Dicono ancora, che e' fu molto notabile nel vestirsi, ed ornarsi la
persona; perciocché egli usava la veste
senatoria, chiamata il Lato Ctevo,
frappata da mano, né mai usò di cingersi se non sopra la predetta Vesta,
e cingersi largo: onde dicono esser derivato quel detto usato da Siila con ^li alnici della
fazione degli ottimati; ricordando loro
spesso, che e' si avessero cura dal fanciullo mal cinto.
Luogo della sua abitazione, e strutturarcene sue ville. Abitò da principio nella Suburra, in una
casa piccola: ma dopo il pontificato
massimo nella Via sacra, in una casa pubblica. Molti hanno scritto, ch'egli era
fortemente studioso, ed accurato intorno
alla dilicatura e splendidezza del vivere, e dello abitare; e ch'egli fece gitt^re a terra, è disfare
intéramente un casamento di una sua
villa "nel contado Némorense, il quale aveva • principiato dai fondamenti con grandissima
spesa, perciò eh' e' non gli eracO^ì
riuscito secondo l'animo suo. E quantunque egli fusse ancor povero ed indebitato, portava attorno
nelle espedizioni i solari e pavimenti
intarsiati, e che si scommettevano.
36 GItTI.10 CESARE •Suo diletto
nelle gioie, perle, e statue antiche. ^
Dicono ch'egli andò insino in Inghilterra, perchè diletiandosi delle gioie, aveva inleso esservene gran
quantità ; e nel paraganare della loro grandezza, alcuna volta tastava il peso
dirquelle, e bilanciavale così colle
mani ; e che e' fu sempre molto animose
nel comperare gemmo, figure ed opere di basso rilievo, e statue di marmo, e di bronzo, e pitture antiche:
oche egli similmente comperava gli
schiavi, quando egli erano garjiati, e non ancora adoperati ne' servigi, a-prezzi smisurati,
talché egli stesso se ne vergognava, uè
voleva che tali spese si scrivessero, b se ne tenesse conto alcuno. '*«»
nome per significare in tutto il contrario. Sua risoluzione neH'attàccar le
battagfie presenlandosegU le occasioni.-
. Veniva alle mani co" nemici, non
-ta^to secondo Te detefmitiazioni, che egli faceva, quanto secondo lé-qc^^sióni
phe se gli ofr ferivano. Il più delle
volfe camminando, e qualche vplta nei
tt^nipi crudelissimi, usava simil tratti, di ventre alle mani fuori (lolla opinione di ciascuno, e quando manco
si pensava che e* si dovesse muovere.
Solamente neiruttimp della sua età andava
alquanto più rattenutoal combattere, grudicando che quanto era majjgioro il numero delle volte, che egli
era, restato iittonoso, tanto era mono
da tentare ed esperimentare lar fortuna, e che la vittoria non gli poteva tanto dare, quanto la
mala fortuna gli poteva tórre. Non messe
mai in rotta i nemici, che non gli spo{i;! lasse degli alloggiamenti, e così
voltato che^li avevano le spalle» non
diede mai lor facoltà di poter riaversi e rifar teKta. Nelle battaglio dubbio faceva levar via i cavalli,
ed il suo avanti agli. aItri,jacciocchò
la necessità gli stringesse a combattere per forza, sondo levata via ogni comodità di
fuggire. Di un suo cavallo, che aveva
li piedi quasi d*un -uomo.' f \\ cavallo cho egli cavalcava era molto
notabile, per avere i piedi quasi
dHiomo, con l'unghie fesse a modo di dita; il quale essendogli nato in casa, e pronosticando
gl'indovini, che ciò al suo padrone
prometteva lo impero del mondo, lo allevò con gran diligenza; e fu il primo a cavalcarlo, non
sopportando il cavallo, ohe altri vi
montasse sopra : la cui immagine egli di poi consagrò, e pose dinanzi al tempio
di Venere genitrice. Suo valere nel
rimettere le squadre piegate. Spesse
volte visto il suo esercito involta, gli fece rifar testa col pararsi dinanzi a color che fuggivano, e
ritenendogli ad iino ad uno, ed alcuna
volta storcendo loro il collo, gli volgeva vèrso il nemico; e gli ritrovò tanto inviliti, che
uno che portava Tin*sogna deirAquila, non volendo andare innanzi, minacciò di
ammazzarlo, e d'un altro che e' volle ritenere, gli rimase in mano l'insegna cho o' portava. PBiHO imperatori: 45 ,- Sua animosità con Cassio. ", - Grandi indizii furono i sopraddetti della
costanza, e fermezza, deirauimo 3U0, ma
non minori anzi maggiori furono quelli, che
si videro dopo il fatto d'arme di Farsaglià: conciossiacogaobò avendo mandato innanzi le genti ih Asia, dopo
la vittoria^ épassando come vincitore^per lo stretto di Costantinopoli sopra
d'una navicella, riscontratosi con Lucio
Cassio, uomo della parte' avversa^ con dieci galee, non lo sfuggì, ma
appres^tosegli lo confortò a rimettersi in lui, etiarsegli in potere, e
domandandogli Cassio perdono, fu da liii
ricevuto per amicò. Sua mirabile fuga
ntiotando. / Nel combattere un ponte in
Alessandria, costretto da subito assalto
de' nemici, saltò dentro ad una scafa, e saltandovi sopra molta altra gente si gettò in mare; e
nuotando circa a dugentó . passi si
condusse salvo ^lla nave che gli èra più ricina, tion la. sinistra fuori dell'acqua, è sempre alzata,
acciocché i suoi Commentarii, che in quella teneva, non si bagnassero; avendo
ancora preso la veste con i denti,
acciocché i nemicf noii si onorassero
delle sue spòglie. ., Come
facesse prova dei soldati e della disciplina militare.-^ l^on gli piacevano i soldati, perchè e'
fussero nobili o ricchi, ma quegli che
erano poderosi e gagliardi ; e con tutti parimente era severo e piacevole, perchè non sejmpre,
ed in ogni luogo gliteneva a freno, ma. quando l'esercito inimico era vicino
non la perdonava loro in conto alcuno ;
né mai diceva loro quando ei voleva
camminare o combattere, ma gU voleva appatrecchiati e spediti a qualunque occasione e momento, per
potergli subito condurre dove a lui
piaceva. E molte vòlte ancora senza cagione
alcuna usava i sopraddetti' termini,'^ massimamente ne' giorni delle feste, o quando pioveva, ricordando
loro ad ogni passò, ch^ l'osservassero e
gH tenesseromente ; ed in un subito, e di giórno e di notte spariva loro dinanzi, ed
-affrettava il cammino per affaticare coloro, che erano più tardi a seguitarlo^
Della cosa stessa. Quando e' conosceva,
ch*egli erano spaventati, per avere inteso che il' numero dèi nemici era
grande, dava lof o animoj^non con
negarlo o diminuirlo, ma con accrescerlo ed amplìficarìo, onde essendo la espettazione della venuta* di
Juba spaventevole, chiamati i soldati a
parlamento, disse : Sappiate che infra pochi
giorni sarà qui il re con trenta legioni di cavalieri, e cento mila armati alla leggiera, e perciò alcuni che
sono^ tra voi facciano ormai line di
cercare più oltre, e di andarsi immaginando più
una cosa, che un'altra, e credano a me, che lo so del certo; altrimenti
io gli metterò dentro ad una nave vecchia, dandogli in preda ai venti ed alla fortuna. •
Suoi trattamenti co' soldati e come li lasciasse andar -pomposamente vestiti.' Non* poneva così mente ad ogni tJelitto de'
suoi soldati, riè aveva regola in
punirgli; ma come che egli fosse acerbissimo
inquisitore e punitore de' fuggitivi e scandalosi, -quanto agli
altri difetti Q mancamenti, mostriava di
non se ne accorgere. É alcuna volta dopo
qualche gran battaglia e vittoria dava loro la briglia in sul collo, e gli lasciava pigliare ogni
piacere, e cavarsi ogni lor voglia ;
usando di dire, che i suoi soldati, ancora ch'e' fossero ben profumati, sapevaiio combatter
valorosamente : e quando ei parlava loro
in pùbblico non gli chiamava militi, ma con nomi più piacevoli e graziosi, gli chiamava compagni
e commilitoni, e gli teneva tanto, bene
a ordine,, che e' guarniva loro le armi
d'oro e d'argento si per bellezza ed ornamento, sì ancora perchè p la paura di non le perdere e' fussino più
ostinati nel. comI ere; e tanto gli amava tutti, che poiché egli ebb e inteso
coinè iiiurio era stato morto, si lasciò
crescere* la barba ed i capelli, uè
prima se la levò eh' e' n'ebbe fattp le véndette. In questa maniera gli fece divenire valorosi, e se gli
rendè ubbidienti e fedeli. Fedeltà e svisceratezza de' soldati di lui. Gride quando egli entrò nella guerrìa
civile, i centurioni di ciascuna legione
-gli offersero un uomo a cavallo per uno a loro
spese. I soldati tutti si offersero di servirlo 4n dono senza
sòldo, 6 senza vettovaglie, pigliando
quelli che erano più ricchi la cura (Ji
mantener quegli che erano più poveri, né in così lungo tempo che durò la guerra, non se ne ribeltò giammai
alcuno. E una e subito, partitasi dalle
esequie, corse alle case di Bruto e di
(^.assio col fuoco; ed essendo con vergogna ributtata, riscontrandosi in Elio Cinna, ed avendolo
preso in cambio lo ammazzò, portando la
sua testa' fìtta in su un'asta per tutta la
città, credendo ch'egli fosse Cornelio; il quale, per aver lui il giorno avanti j)arlato di Cesare
disonorevolmente, era stato da quella
minacciato, e cercato per fargli villania. Dipoi pose in piazza una colonna di porfido, tutta d'un
[)ezzo, alta circa venti piedi, e
scrissevi dentro : AL PADRE DELLA PATRIA. E perseverò lungo tempo di
sacrifìcare appiè di quella, e quivi si botavano, e giurando ancora sotto il
nomo di Cesare, si terminarono alcune liti e controversie. Sospetto che lasciò di sé ai suoi. Ebbero opinione alcuni amici di Cesare, che
il vivere gli fusse venuto in fastidio,
e che non molto si fosse curato di vivere o
di morire, per essere mal sano; e per questo non aver tenuto conto di quelle cose, che dai cieli, e dagli
indovini gli erano [ state pronosticate,
e dagli amici avvisate. Sono alcuni che pen- y
sano che sendosi confìdato in quel partito fatto ultimamente dal senato, e nel giuramento preso dal popolo,
rimovesse da sé ancora gli Spagnuoli, ch'e' teneva a guardia della persona
sua. Altri sono di contraria opinione,
cio^, che egli avesse giudicato, che
considerando nel grado ch'e' si tmvava, rispetto a' nemici, che da ogni banda gli tendevano insidie,
fusse meglio morire una volta che mirto. Altri dicono, che egli era sòlito di
dire; che^non meno alla Repubblica che a
se stesso importava il suo bene essere e la sua saluto; perciocché oramai,
qOanto a sé, si aveva acquistato assai
di gloria e di. riputazione; ma la Repubblica
d'ogni Suo travaglio era per patirne, e per ritornare nelle guerre civili con maggiore pericolo e danno dello
universale. Che gli avvenne quella
morte, ch'egli aveva desiderata. È
manifesto quasi a ciascuno, ch'e' morì in quella maniera ch'ei desiderava ; perciocché avendo letto in
Xenofonte, che Grro nell'ultimo della
sua malattia aveva ordinato, che e' si facie^sero alcune cose circa il suo mortorio, biasimando
il morire così a stento, desiderava
piuttosto di morir presto ed all'improvviso. E
il dì dinanzi che e' fusse ucciso, cenando in casa di Marco Lepido, e
disputandosi a tavola, che sorte di morte fusse manco dispiacevole, aveva preferito a tutte l'altre
la repentina, p non aspettata. Sua età ; d'una stella comeia; e il luogo e
giorno della sua morte. Morì Cesare di cinquantasei aniìi, e fu
messo nel. numero degl'Iddii, non solamente per bocca di coloro, che sopra ciò
erano deputati, ma ancora secondo che il
volgo si persuase : con ciò sia cosa che
in que' giorni che Augusto .suo erede faceva celebrare le feste in suo onore, per sette dì continui
apparse una cometa, cha nasceva intorno
alle ventitré ore, e si credette, ch'ella fusse
l'anima di Cesare, che fusse stata ricevuta inxìelo. E per questa cagione in testa della sua immagine si
{>ose una stella. Deler^ minarono che
la curia, nella quale egli fu ucciso, fusse rimarata, e che il quintodecimo dì
di marzo fusse chiamato patricidio, e che il penato in quel giorno non si
dovesse mai ragunare. Molle degli
ucciditori di Cesare. r Nessuno di quelli che lo ammazzarono, visse
quasi più che tre anni, e ninno mori di
morte ordinaria, tutti furono condannati, e capitarono male, chi in un modo, e
chi in un altro; alcuni perirono in mare, alcuni in guerra, alcuni altri con
quel medesimo pugnale, col quale ei
avevano ucciso Cesare, s'ammazzarono. TRADCZIOXE DELLA GIINTA FATTA ALLA VITA
DI GIULIO CESARE SA G. I» VIVES Giovanni Ludovifo Tives al sno Ruffaldo. Adua segni possiamo principalmente
raccogliere, che Svetonio sia imperfetto
e tronco^ cosi come è mancante Curzio, alcune
orazioni di Cicerone, e le opere di Tacito, Il primo, per non esser egli solito di mai pretermetter
l'origine della gente ^ e famiglia di quel Cesare, la di cui vita abbia impreso
a scrivere; ne della fondacion della
Julia ei ce ne fa alcun motto, e pure al
pari d'ogni altra ess'era chiara, e ^ìominatissima : l'altro; perchè ne' testi vecchi leggesi questo
certamente monco principio, Essendo in
età di anni sedici, tralasciato ii nome di Cesare, da che può vedersi, che di quello si era prima
messo a parlare. Io adunque ciò,
cheh^nno gli autori antichi scritto accuratamente leggendo, e alla vita di Cesare annestandolo,
ho riempiuto questo vuoto; quandoché
vana sarebbe la speranza che possa rinvenirsi mai ciò che Svetonio egli
medesimo ha scritto: che se avverrà che ritrovisi, a me non rincrescerà già di
aver fatto getto di una non grande
fatica. Procurai per tanto di rassomigliarmi
alla di lui dettatura e modo di scrivere, e alla sua esattezza eziandio ne'racconti. Se ad alcuno non averò
soddisfatto, di poco danno, gli sarà
l'aversi imbrattata poca carta, e di poca
noia il poco tempo, che avrà concesso alla lettura de* nostri scartabegli; ove all'incontro, se ad alcuno
avrà piaciuto, me ne terrò bastevolmente
rimunerato. Qualunque ella siaquestamia
opericciuola, io la dono a te, Geronimo Ruffaldo ^ U migliore de' miei scolari, e a me il più caro. Sta
sano. Da Loven deiranno I52i. OniiNTA ALLA VITA DI GIULIO CESARE Della
Gente Giulia .' Affermasi di certo, che
la gente Julia provenga da Jiilo figlio
d*Eflea, quegli Che abbandonato LaviniOj edificò Albalonga, nella quale anche regnò. Dopo la costui morte
essendo ritornato Tim* perio de' popoli
latini ad Àscanio figliuolo medesimamente d'Enea, e di Lavinia, la cura delle
cose sacre, e dèlie cerimonie della
gente latina, e troiana risiedè appresso la discendenza, e lignaggio di
Julo, dà cui sono originati i Jiilii. Questi con parecchie altre nobilissime
famiglie del Lazio furono indi traspiantati
a Roma, e fattivi patrizi! da Tulio Ostilio re de' Romàni, da poi aver egli messo Alba a fuoco e fiamma. Passarono
molti anni, e molti, anzi che i Julii
potessero spuntare di esser eletti di alcun
maestrale; perciocché ascritti quasi gli ultinii al (1) patriziato delle genti maggiori, sólamente dell'anno
dalla fondazione di Roma 301 trovasi
deputato al scriver delle leggi un Gneo Julio
decemviro, e questa fu la prima loro entratura. ai magistrati. Quindi innanzi occuparono tutti gli onori,
rimanendo tuttavia nel patriziato, e
nell'ordine senatorio. Possedevano mezzane ricchezze, né fin a quest'ora
avevano operato cosa, che potesse
accrescer loro la riputazione, e metterli -al di sópra degli altri cittadini.
La famiglia de* Cesari. Nella
gente Julia vi è la famiglia de* Cesari; qual di così soprannominarla fosse la
causa, non ci è manifesto; come pure non
si sa, chi fosse il primo a portare questo cognome. CoUciofosseché avanti
Cesare dittatore^ avanti il padre, e l'avo, i Julii furono chiamati Cesari; come qnello, che
nella guerra, seconda cartaginese fu
mandato a Crispino consolo per la nomina del
dittatore. La romana favella chiama Cesari quelli^ che sono tratti dal ventre tagliato della madre, e quelli che
nascono capelluti^ o che abbfano gli
occhi glauchi. Aggiungono certuni d'un elefante
uccìso nell'Africa, quali dagli abitatori essendo detti Cesari,
d'indi primamente esser sorvenuto cotal
soprannome all'avo del dittatore. Ma quelli che ciò scrivono sono uomini d'un
menomissimo credito, cioè Sparziano, e
Servio. E credonla una fola, quei che
(1) Quelli ohe furono creati Patrizii dai Re romani, si chiamavano
Patrizii delle genti maggiori, e quelH creati da Lucio Bruto, delle genti minori. GIUNTA FATTA ALLA VITA DI GIULIO CJ^ABE sanno, che lion il dì luì solo ramo fra i
Julii portò questo cognóme, ma gli altri
ancora ; e anni anni innanzi del dittatore furonvi dei Cesari d'una stessa gente con esso, e
alcuno di quelli ancora console, come
Sesto Julio Cesare con Lucio Marzio Filippo sul
principio della guerra sociale, e nel seguente anno Lucio Cesare con Rutilio Lupo, né avanti di questi due vi
fu alcuno do'Cesa ri, che fusse
memorabile, o che siedosse nel primo magistrato di Roma. Di là ben a molti anni dalla stessa
famiglia venne, un altro Lucio Cesare
figlio di Sesto, che fu console, e questo era
fratello cugino di Lucio Julio Cesare padre del dittatore, quale non passò più in là della pretura, ed essendo
a Pisa, una mattina mentre calzavasi improvvisamente, cadde morto non si sa
di qual male. it* V
Nascimento ed educazione di Cesare.
Nacque Cesare a Roma, essendo consoli Caio Mario, e Lucio Valerio Fiacco a dì 13 del mese anticamente
chiamato quintile, il quale per una
legge posta da Antonio dopo la morte di Cesare
fu denominato Julio, che appresso. noi con vortesi Luglio. Fu allevato
da Aurelia sua madre figliuola di Caio Cotta, e da Giulia sua zia moglie dì Mario. Quindi comunque
fosse patrizio se l'insinuò l'inclinazione alla plebe, e l'odio verso di Siila.
Introdusselo nello lettere grt^he^ e latine, e dielli i primi inviamenti del dire un Certo Marco Antonio Gnifone
francese, uomo d'ingegno sollevato, d'una memoria non comune,
condiscendente, e di mansuetissimi
costumi. Costui insegnò la grammatica greca,
e latina e la retorica primieramente nelle case di Lucio Cesare padre, e poi ih casa sua propria, essendosi
avanzato in fortune per la molta
liberalità de' suoi discepoli, non essendo egli per altro solito di pattuire con alcuno della
ricompensa. Fu Cesare d'unUncredibile
docilità, e pareva nato e fatto al perorare. Il
di lui discorso fu colto, e. pulito dalla domestica conversazione della> madre Aurelia, la qual con
proprietà^ eleganza, e purità parlava,
romanamente così come le Muzio, le Lelio, le Cornelie, e 9Ure primarie matrone, dalle cui famiglie
sonò usciti gli ora^ tori più splendidi.
LA VITA ED I FATTI DI CESARE AUGUSTO SECONDO IHPERATOR ROMANO OTTAVIO CESARE
AUGUSTO Che la famiglia degli Ottavii fusse già la principale in Belletri, ce
ne sono molti riscontri : perciocché il borgo principale di quella terra un tempo addietro si chiamava
Ottavio, dove era un altare c^nsagrato
ad uno degli Ottavii ; il quale essendo fatto
capitano in una guerra contro a' convicini, avuto in un subito .avviso d'una scorreria fatta da essi, mentre
che egli per avventura sacrificava a Marte, tolte le viscere dèlio animale così
mezze crude del fuoco, e con prestezza
tagliatele pel mezzo, e presone una
parte, andò a trovare i nemici, è fatto il fatto d'arma ritornò in Belletri vincitore. Era oltre a ciò nella
predetta città un decreto pubblico, per il quale si determinava, che per lo
avvenire ogni anno in cotal guisa si
sacrificasse a Marte, e che la maggior parte delle interiora fusse portata a
quelli della casa degli Ottavii.
" Origine del casato di Ottavio., Questa famiglia fu da Tarquinio Prisco re
accettata in Roma nel numero de' cento
senatori fatti da lui, i quali furono dipoi
chiamati i minori; e poco dipoi da Servio Tullio fu eletta nel immero de' patrizii : e in processo di tempo
^diventò plebea, e di nuovo, non senza
gran contradizione, per opera di Decio Giulio, si ridusse un'altra volta tra i
patrizii. Il primo di loro, che avesse
magistrato in Roma, Vòttenne per favore del popolo, Gaio Ruffo; il quale era stato questore e fu padre
di Gneò, e di Gaio, da' quali la famii^lia dei^li Otlavii ebbe origine, e si
divise in due rami, la cui condizione
anco fu diversa, perciò che Oneo, ed i
suoi discendenti ottennero tutti i primi magistrati. Ma Gaio, e quegli che di lui discesero, a caso, ovveiro
industriosamente s'intratlennoro sempre nell'ordine dei cavalieri insino al
tempo del padre di Augusto. 11 bisavolo
di Augusto nella seconda guerra
cartaginese, fece il mestiere del soldo in Cicilia, dove egli fu tribuno de'militi, sendo Emilio Pappo capitan
generale. L'avolo 1 contentandosi delle
digniU), ed otiìzii della patria sua di Belletri, ! essendo ricco di patrimonio, visse lungo
tempo con grandissima tranquillità, e
quieto d'animo. Ma di queste cose ne è stato fatto menzione da altri. Augusto medesimo scrive d'esser
nato solo di famiglia equestre antica e
ricca, e che il suo padre fu il primo
tra loro, che fosse fatto senatore : Marco Antonio gli rimprovera, che il bisavolo suo nacque di schiavo, e fece
l'arte del funaiuolo nel casale di
Turino, e che l'avolo fu banchiere. Nò altro mi
ricordo aver letto degli antichi d'Augusto, quanto è al padre. Del padre d'Ottavio. Il padre d'Ottavio fu sempre facuitoso, e di
grandissimo credito insino da piccolo :
tal che io mi maraviglio alconi averp scritto,
lui essere stato banchiere, e nel numero di quegli che servivamo a coloro, che addomandavano il consolato in
campo Marzio, e che distribuivano i
danari per comperare i favori del popolo nella
creazione de'magistrati ; perciò ch'essendo nutrito ingrandissime ricchezze, venne agevolmente ad ottenere
qualunque magistrato, ed in quelli si
portò sempre valorosamente, e da uomo da bene.
Fu dopo l'uffizio della pretura tratto governatore della Macedonia, e nell'andare in detto luogo per commissione
datagli dal senato, per lo
sliaordinario, spense interamente i fuggitivi, che erano restati delle genti di Spartaco, capo della
ribellione degli schiavi, e spense
ancora una squadra di Gatilina, i quali avevano occupato il contado di Turino,
e governò quella provincia con molta
giustizia, e severità: perciocché avendo in una gran battaglia rotto i Bessi, e quelli di Tracia, si portò
tanto bene con gli amici, e confederati
del popolo romano, che Marco Tullio Cicerone scrivendo a Quinto suo fratello,
il quale in quel tempo era proconsolo dell'Asia, ed i suoi portamenti erano^
anzi che no, biasi* mevoli, lo esorta ed
ammonisce, che pigli esempio da Ottavio
suo vicino in farsi ben volere, e mantenersi amici queV popoli. La morte
del padre d'Ottavio, e de' figliuoli ch'egli ebbe. Partendosi di Macedonia, prima che egli si
potesse dichiarare abile a potere
addomandare il consolato, morì di morte repentina, e lasciò due figliuole femmine ed uno
maschio, cioè Ottavia maggiore natagli
di Ancharia, ed Ottavia minóre, ed Angusto,
che gli nacquero di Accia figliuola di Marco Accio Balbo, e di Giulia sirocchia di Gaio Cesare. Balbo per
istirpe paterna fu di Arizia; nella cui
casata erano stati molti senatori, siccome appariva per le immagini, che di
quelli si vedevano: e dal lato di madre
èra parente stréttissimo di Pompeo. Costui fu pretore, e dopo tal magistrato fu fatto de' XX uomini a
dividere il contado di Capua alla plebe
romana, secondo una legge fatta da Giulio
Cesare. Ma il sopraddetto Marco Antonio, per avvilire ancora la malorna origine di Augusto, usa di dire, che
il suo bisavolo fu africano, e gli
rinfaccia ora, che fu profumiere, ed ora che' fu mugnaio in Arizia ; e Cassio parmigiano in
una certa epistola tassa Augusto, non
solo come nipote di un mugnaio, ma ancora
d'un bancliiere, scriv-endo in questo modo: il banchiere di Ne-Fulano,
con le mani tinte dal sudiciume del rame, ti manda, questa epistola formata, scritta con la
farina materna dell'aspro e ruvido
molino d' Arizia. ¥". " • Il tempo ed il luogo del nascimento
d'Ottavio Nacque Augusto, sendo consoli
Marco Tullio Cicerone, ed Antonio, a' 23
di settembre poco innanzi il levar del sole, nella regione Palatina, in un luogo chiamato ad
Capita Bubula [cioè ai ca|)i de' buoi)
dove ora è una cappella, che vi fu posta in
suo onore poco avanti ch'ei morisse : perciocché come è scritto nel libro, dove giornalmente si notavano le
azioni del senato. Gaio Letterio
giovanetto di stirpe patrizia, nel pregare e raccomandarsi d'essere liberato ed
assoluto dalla pena, nella quale era
incorso per l'adulterio commesso, oltre allo avere ricordato a' padri conscrittì, che gli avessero
rispetto come a giovanetto e nobile;
allegò ancora di possedere, e tenere in guardia, come una cosa sacra quella parte del terreno, che
ad Augusto toccò, subito ch'e' fu nato ;
e pregando che facessero un presente di
lui ad Augusto, coitie ad uno Iddìo, del quale egli era particolarmente
divoto, determinarono per pubblico decreto, che quella parte della casa per tal cagione fusse
consagrata. li luogo dove fu allevato. È ancora in piedi il luogo dove es^li fu
allevato, ii>quale è una stanzetta
piccola presso a Belletri in una villa del suo avolo, fatta a somiglianza di lin magazzino di villa
: ed i vicini di quella villa tengono
por fermo, che quello sia il luogo dove egli nacque. Lo entrare in questo luogo non ò permesso se
non in certe occorrenze necessarie, e bisogna andarvi con gran riverenza e religione ; perciò che egli è stata opinione
antichissima de' paesani, che coloro che
vi entravano a caso ed inconsideratamente, f ussero soprapprosì da un certo
orrore e spavento maravigUoso : in
confermazione della quale,accadde, che uno, che nuovamente era divenuto padrone di quel luogo, o che e'
lo facesse a caso, o pure jìor voler
fare la esperienza^ vi entrò una notte a dormire, e in termine di poche ore che ò' vi fu
soprastato, sospinto e ributtato fuora con grandissima e subita forza, fu
trovato mezzo morto, con la coperta del
letto attorno fuora dinanzi alla porta.
I suoi nomi o cognomi con le cause d e' medesimi. Mentre che ancora si allattava, fu
cognominato Turino iu memoria
deirorigine de' suoi antichi ; ovvero perchè e' nacque poco di poi, che suo padre Ottavio nel
contado di Turino aveva dato quella
rotta alle genti, ohe erano avanzate di Spartaco e di Catilina. Che egli fusse cognominato
Turino, io ne posso dare un riscontro
assai manifesto, sendomi venuto alle mani una pìcciola immagine del suo
ritratto, quando èra fanciullo, vecchia
e di rame, con certe lettere rose dalla ruggine per antichità e quasi consumate, intitolata del predetto
cognome; la quale, avendola io donata al
principe, se la.tiene incamera tra le cose
più care. Marco Antonio ancora spesse volte scrivendogli per dispregio lo chiama Turino; ed egli non
ris|)onde altro, sé non maravigliarsi
che ei si dia ad intendere di vituperarlo, chiamandolo pel nome suo. Prese
appresso il cognome di Gaio Cesare, ) di
poi quello di Augusto. 11 primo per testamento di esso Ce"^are fratello
della madre di sua madre; l'altro per consiglio e •etermioazione- di Numacio Plance ; e non
ostante che alcuni ;,iudiGassoro, che
più tosto e' fusse da chiamarlo Romolo^ come
A anco. egli fusse stato edificatore di Roma,' andò innanzi nonlimeiio
il cognome di Augusto, non tanto per esser nuovo, quanto jdr avere D"ì- del magT'fi'^'
'*"»*'*i'^«eii>'»'*ci>^h^ «»n/»/\-i * l'^c^i^i oliqrioaì,'V ir ili tv . ij. cuna cosa, siano detti augusti, cibilo
augumento, ovvero da' gesti e dal. gusto
degli uccelli; siccome ancóra ci signiGca Ennio ih quel verso, dove egli dice: Poi clic rinclita Roma ccwi Augusto augurio
fu cditicatar. Breve descrizione di
tutta la vita, e fatti dello stesso.
Restò senza padre di quattro anni; e no' dodici anni fece unB orazione in laudo di Giulia sua avola, che
era morta quattro anni innanzi. Avendo
preso la toga virile, gli fu donato da' Cesare ' nel trionfo della guerra africana alcuni
ornanoenti militari quantunque per la poca età non fusse ancora esercitato
nella guerra: dipoi andato Cesare iu
Ispagnà contro a' figliuoli di Gneo Pomjieo;
Augusto gli andò dietro ; e con tutto che per una grave infermità avuta, non avesse ancora racquistato
interamente le forze, camminando con pochissimi compagni per strade non secure
erotte da' nemici, e travagliato ancora
dalla fortuna in mare, a luj salvò
nondimeno sicondusse: onde Cesare, considerato la industria e prestezza del giovinetto in quel viaggio,
ed il presagio della sua virtù,
sommamente lo commendò e gli pose grandissima affezione. E deliberand^i Cesare,
poi che egli si fu insignorito dell^
Spagna, di andare contro a quegli di Dacia, e dipoi contro ai Parti, lo inviò ad Apollonia» dove egli diede
opera agli studi. E subito che egli
intese, Cesare essere stato morto frlui esser
fatto suo erede, stette lungamente sopra di sé, pensando se ei doveva ricercare lo esercito, il qualf. egli
aveva vicino in Macedonia, che lo favorisse e pigliasse la sua. protezione ;
finalmente si risolvè di por da parte
tal disegnò come pericoloso e fuor di
tempo. Ma ritornato a Roma prese la eredità contro alla voglia della madre^ sconfortandonelo ancora assai
Marzio Filippo suo pairigno, uomo
Gongolare. Da quel tempo innanzi, tirate tutte le genti, ch'erano a soldo della Repubblica, a
sua divozione, tenne, nel principio là
Repubblica insieme con Marco Antonio e Marco
Lepido ; appresso in compagnia di Marco Antonio circa a dodici anni ; ultimamente la resse e governò solo
anni quarantaquattro. Cinque guerre
civili da lui intraprese. Avendo
descritto la sua vita cosi sommariamente, seguiterò le parti di quella ad una ad una, non
servando l'ordine de' tempi, ' ma
narrando cosa per cosa ; acciò che più dìstiatamente si possa dimostrare e intendere, quale ella fusse.
Bgti adunque fece cinque guerre civili, la prima fu quella di Modena; la
seconda quella de' Campi Filippici ; la
terza quella di Perugia; appresso quella
di Sicilia; e dipoi l'Aziaca: delle quali la prima, e Tultima furono
contro a M. Antonio, la seconda contro a Bruto e Cassio, la terza contro a Lucio Antonio fratello di
Marco Antonio,- la quarta contro a Sesto
Pompeo figliuolo di Gneo Pompeo. Mosse e
fondò le sopraddette guerre sopra il dire, che a lui s'apparteneva, sopra ad ogni altra cosa, vendicare la morte
di Cesare e difendere lo cose fatte da lui.
La guerra di Modena e altri di lui fatti. Subito che ei tornò di Apollonia in Roma,
deliberò con l'armi di assaltare Bruto e
Cassio alla sprovveduta; ma perciò che loro
si erano levati dinanzi alla furia, prese partito di mover loro guerra con le leggi, e così deliberò
d'accusarli come manifesti ucciditori di
Cesare. Non avendo ardire coloro, a chi si apparteneva di celebrare le feste
della vittoria di Cesare, egli medesimo
prese tale assunto, e per potere mandare ad effetto e facilità meglio ogni suo disegno, domandò d'esser
fatto tribuno della plebe, in luogo di
quello che in quel tempo era morto, ancora
che egli fusse patrizio, ma nondimeno non ora stato ancora senatore: ma
contrapponendosi a' suoi disegni Marco Antonio consolo, del cui aiuto e favore,
più che di quello che di tutti gli altri,
s'era promesso, e mostrando di tener poco conto di lui, sì nelle cose pubbliche, come nelle. private, né gli
conferendo o coniunicando cosa alcuna, se non per premio e con promesse grandissime,
determinò di gettarsi dalla parte degli Ottimati, alla quale egli s'accorgeva che Marco Antonio era
in odio : massime che il detto Marco
Antonio faceva ogni slbrzo di oppriitiere Decio
Bruto, avendolo assediato in Modena, città della provincia, che da Cesare gli era stata data in governo e
confermatagli dal senato. Pertanto persuadendolo alcuni, cercò per le mani di
certi suoi fidati di farlo ammazzare ;
ma sondo scoperto il tradimento,
dubitando che Marco Antonio non fkcesse a lui il medesimo,' fece amici a sé ed alla Repubblica i soldati
vecchi con la liberalità grandissima,
che egli usò inverso di loro : ed essendogli ordinato dal senato, che in luogo di pretore, insieme
con Ircio e Pansa consoli, porgesse
aiuto a Decio Bruto, recò a fine quella guerra
in tre mesi con due battaglie. Nella prima, scrive Antonio, che e' si fuggi, e in capo A due giorni fu
ritrovato spogliato e senza cavallo ; nella seconda è manifesto, che non sdlo
fece l'uffizio del capitano, ma ancora del soldato privalo: e nel mezzo della
zufifa, sondo ferito gravemente quello
che portava l'insegna djell'aqiiila del
suo colonnello, la prese,; et ponendosela in su le spalle, la portò gran pezzo. Dello stesso e della morte dei Consoli. Come che nel predetto fatto d'arme^ Ircio
nel combattere e Pansa poco di poi sendo
feriti morissero, andò fuori una voce,
che amendue erano morti per opera di Augusto ; acciò che discacciato
Marco Antonio e la repubblica privata de' consoli, egli solo s'insignorisse degli eserciti vincitori.
Fu ancora di maniera sospetta la morte
di Pansa, che Glicone medico fu incarcerato,
dubitandosi' che e' non gli avesse avvelenata la ferita. Aggiugne alle predette cose Aquilio Nigro, che Ircio
l'altro consolo nel mezzo della baruffa
fu da esso Augusto ammazzato. Abbandono
della fazione de' Nobili. Ma come egli
inteserche Antonio, dopo l'essersi fuggito, era
stato ricevuto da Marco Lepido, e che gli altri capitani ed eserciti si
venivano con loro, senza metter tempo in mezzo, abbandonò la parto degli
Ottimati. E ricoprendo e onestando questo
suo mutamento di proposito, con dolersi d'alcuni di loro, che si erano lasciati uscir di bocca, ch'egli era un
fanciullo, ed alcuni altri avevano detto
ch'egli era da ornarlo ed (1) allevarlo (parole ohe si poteano pigliare in mal
significato, come è a dire, che e'
bisognava aggirarlo e levarselo dinanzi ) per non avere ad avere obbligo, né rimeritare lui, né i
soldati veterani ; e a tale che più
eviJentemente apparisse lui essersi spiccato dalla parte degli Ottimati, pose a' Norcini
grandissime gravezze, da non poterle in
modo alcupo pagare, e gli sbandì della terra;
perciò che in un sepolcro pubblicamente fatto ai suoi cittadini, che erano stati morti nelle battaglie di
Modena, avevano scritto, quegli esser
morti per la libertà. (1) La parola
latina è questa tollendum; che tanto significa
avanzar in onori, quanto tordi mezzo ed uccidere.Guerra Filippica e come
dividesse Thnperio con Antonio. I Sendosì coAvenuto ed accordato insieme cori
Antonio e con Lepido, benché efusse mal
disposto dell'anima e dei 'corpo,
terminò la guerra con Bruto e con Cassio con due battaglie : nella prima delle quali avendo perduto gli
alloggiamenti, a pena col fuggirsi ebbe
tempo di ritirarsi a salvamento dalla banda
dello esercito, dov'era )^. Antonio ; dipoi ottenuta la vittoria, non seppe por freno all'insolenza dell'animo
suo: uria avendo | mandato la testa di
Bruto a Roma, perchè la fusse appiccata
sptto la statua di Cesare, fece morire crudelmente' dclli prigioni,
I che egli aveva fatti, i più onorati e
riputati^ usando versoci loro parole
ingiuriose e. villane; di maniera che ad una cha i6 pregava, che, poi eh' e'
fnsse morto, lo facesse seppeìtùrtf^JT'Si dice
avergli risposto: « Ormai noi lasceremo cotesta briga agjiì uccelli ; »
od un padre insieme col figliuolo pregandolo cbB^Wesse perdonar loro la vita, comandò eh' e'
traessero per sorte, ovvero
combattessero insieme chi di loro dovea essere liberato ;,edAvendogli
fatti combattere, stette a veder morire l'uno e l'altro, come che il padre nel primo affronto restasse
morto, fattosi ammazzare in pruova, ed il figliuolo, veduto il padre morto,
ammazzasse se medesimo. Per laqual cosa tutti gli altri, tra' quali era Marco Favonio discepolo ed imitatore di
Catone, condotti alla presenza sua e di
Marco Antonio, incatenati, salutando onorevolmente Marco Antonio come
imperatore, a lui dissono in faccia
molte parole vituperose ed infami. Essendosi dopo la vittòria compartiti tra loro gli uffizii, avendo preso
Antonio la cura dell'Oriente, ed egli a ridurre i soldati vecchi in Italia e a
distribuir loro i contadi di quelle città, che godevano il benefìzio di Roma, non n'ebbe grado nò dai soldati, né dai
padroni di quelle possessioni : j)ercjò
che questi si dolevano d'esserne stati discacciati, quest'altri di non essere
rimunerali delle fatiche loro, secondo che giustamente pareva lor
meritare. Guerra di Perugia, Nel qnal tempo egli costrinse Lucio. Antonio
a rifuggirsi in Perugia (perciò che
Antonio, confidatosi nello essere consolo e
nella autorità e grandezza del fratello, andava macchina^ndo cose nuove) e quivi assediatolo finalmente, lo
costrinse ad arrendersi ; ma non senza
suoi grandissimi pericoli innanzi la guerra ed ancora nello assedio. Avendo
comandato (stando a veder celebrare le feste che si facevano) a uno di quei
ihinistri, che mandasse via un
soldatello^ che s' era posto a sedere dove stavano i cavalieri, ed essendo
cavato fuori una voce vana è falsa da quegli,
che gli volevano male, che egli aveva fatto tormentare ed uccidere quei
tale, sarebbe capitato male per la moltitudine dei soldati, che quivi
concorsero sdegnati e adirati, se collii, per cui si tumultuava, non fusse comparso in un
subito salvo e senza aver ricevuta
alcuna ingiuria. Sacrig^ìdo ancora intorno alle
mura di Perugia, fu quasi per essei^morto da una squadra di soldati, che ih un tratto, usciti dalla
terra, lo^sopraggiunsero. Goa^ali péne
incrudelisse contro ai prigioni nella guerra di Perugia. ÀV4»n4o«preso Perugia, punì la maggior parte
di coloro, che gli venttl^ro nelle mani
; ed a quegli che addoni andavano perdono,
s'mgegnjavano di scusarsi, a tutti serrava la bocca dicendo, che gli ^ra necessario che e' morissero.
Scrivono alcuni, che di coloro, cfie se
gii erano dati a discrezione, sceltine trecento, tra dell'ordine senatorio e de' cavalieri, ai
quindici di marzo gli uccise e sacrificò dinanzi all'altare da lui edificato in
onore di Cesare. Sono stati alcuni che
hanno scritto che in prova lasciò
pigliar l'armi a costoro, acciocché gli occulti avversarii, e che più per paura che per volontà non si
scoprivano^ con aver dato loro facoltà
di avere- per capitano Lucio Antonio, si palesassero ; e con tale occasione
avendogli sbattuti e state assai tempo
senza rimondare, erano ripiene dal fango
e dalla rtiota. E perchè la memoria
della vittoria ricevuta in quelle bande ;fusse nel futuro pili celebrata, edificò vicino ad Azio una
città e gli pose nome NicopoH, ed
ordinò, che ogni cinque anni vi si facessero alcuni giuochi in onor d'Apollo ; ed avendo
rinnovato ed accresciuto l'antico tempio
di esso Iddìo,- consecrò a Marte ed à Nettuno il luogo, dove erano stati gli alloggiamenti del
suo esercito; adornandolo delle spoglie delle navi, con le quali contro a
M.Antonio aveva combattuto. ^ Congiure
e cospiraziorli fatte contro di lui.
Oppresse dopo queste cose in diversi tempi alcuni tuwiuHi e principii d'innovazioni, e più congiure
stategli rivelate, prima che elle
p^tpssero acquistar forza : la prima fu quella di Lepido giovane; appresso quella di Varrone Murena e
di Fannie Cepione; dipoi quella di Marco Renato; dopo questa quella di Plauto Ruffo, e di Lucio Paolo, suo secondo,
genero ; appresso quella di Lucio
Andasio, stato accusato per falsificatore di testamenti, vecchio e di mala
complessione; e qtìella di Temasino
Epicardo, il quale o per padre, o per madre era di nazione persica ;
ultimamente quella di Telefo, che serviva tid una gentildonna, per ridurle*a
memoria i nomi de^Mttadini (come in quei
tempo per salutare l'un l'altro e chiamarsi per nome, si costumava). Ed
ancora che e'fo^se in tanta grandezza, pur si trovò anco tra uom' »' ^'''' e di hi mano, chi ebbe
animo di vo Giulia, sua figliuola ed
Agrippa suo nipote dell'isola, dove da esso
erano stati confinati o menarnegli con esso loro. Telefo, persuadendosi
di aver per destino dei cieli a succedere nello imperio, aveva disegnato di ammazzar lui e sforzar il
senato. Oltre a ciò fu preso ancora
vicino alla camera,' dove addormiva, c^n un
coltello da cacciatore a canto, un saccomanno di quegli che portano
l'acqua, tenuto dello esercito, che e' teneva in Ischìavonia ; il quale avendo di notte ingannato le guardie
della porta del palazzo, era entrato dentro, che ninno se n'era accorto. È cosa
incerta, se costui era scemo di cervello, o se pure e' fingeva di essere matto: perciocché essendo esaminato
con tormenti, non si potè mai ritrar da
lui cosa alcuna. e Guerre esterne da lui fatte. Delle guerre esterne ch'e'fece, solo a due
si ritrovò in persona, come capitan generale; a quella della Schiavonia,
essendo ancor giovanetto, ed a quelja
de'Cantabri, poi che egli ebbe vinto M.
Antonio. In Ischiavonia ricevette due percosse in due zuffe, in una fu percosso d'una pietra tiel
ginocchio destro, nell'altra s'infranse una coscia ed améndue le braccia, per
la rovina d'un ponte. Nell'altre guerre si governò per le mani dei suoi commissarii. Ritrovossi nondimeno in
alcuni fatti d'arme che si ferono in
Pannonia ed in Germania, e dove egli non si
ritrovò presente, non fu molto lontano; perciocché e' si aindusse,
quando insino a Ravenna, quaiìdo insino a Milano e quando insino ad Aquileià, Provincie da lui debellate, e con quali
altre stringesse confederazione.
Soggiogò parte in persona e parte per mano dei suoi capitani, e sotto suo nome, la Cantabria, l'Aquitania,
ia^t'annonia eia Dalmazia con Mia la
Schiavonia. Soggiogò ancora i Rezii e i
Vindelici ed i Salassi ; gente che abitano nelle Alpi. Raffrenò le scorrerie di quegli di Dazia, con avere
uccisi tre loro capitani con gran numero di gente. Costrinse i Germani a
ritraici indietro ed abitare di là dal
fiume Albi; ed i Svevi ed i Sicarioibri, che se gli dierono, fece venire ad
abitare in Gailia ed assegnò loro il paese vicino al Reno.- Oltre a ciò ridusse
a sua obbedienza alcune altre nazioni inquiete e che non sapevano vivere in pace. Né mai mosse guerra ad alcuno senza
giusta e necessaria cagione; e tanto fu alieno dalla cupidità d'accrescere
lo imperio, o d'acquistar gloria per virtù
d'armi, che per fuggire tale occasione,
costrinse alcuni capi delle genfì bartxare a giù-, rare nel tempio di Marte Vendicatore, di
mantenere- la fede e la pace, che eglino
addomandavano. Da alcuni altri ricercò le
femmine per sicurtà, il che a'Romani era còsa nuova; ed egli lo fece per avere inteso ch'e' non tenevano
conto dei maschi, e con tutto questo fé'
sempre abilità ad ognuno> che ogni volta
che a loro piacesse potessero ripigliarsi i loro statichi : e contro a que' popoli, che o troppo spesso, o troppo
ingiustamente si ribellavano, non usò
mai più grave punizione, che vendere i prigioni, che di loro si pigliavano, con
patto che e' non potessero stare a
servigii d'alcuno nei luoghi vicini a' paesi loro, e che infra trenta anni non potessero essere fatti
liberi. Divulgatasi adunque la fama
della sua modestia e virtù, gl'Indi e gli Sciti, poco addietro solo per nome conosciuti, -si
mossero spontaneamente a mandar loro ambascìadori a Roma, a dimandare famicizia
sua e del popolo romano. I Parti ancora, mentre che egli andava ripigliando l'Armenia, senza molta
repugnanza, si ridossono alla ubbidienza di quello, e renderono le insegno
militari, che a Marco Crasso ed a Marco
Antonio tolte aveano; oltre a ciò gli
offersono statichi. Insomma gli accadde spesse volte, che essendo disparere e differenza tra i principi
del regnare „ non vollero altro arbitro,
che lui: e quello era approvato per re, che
da lui era eletto. • Le porte del tempio di Giano chiuse al suo
tempo, e de' suoi trionfi ed orazioni. Il tempio di Giano Quirino, stato chiuso da
che Roma fu edificata solo due volte innanzi a' tempi suoi, fu da lui serrato
-tre volte, in molto manco spazio di
tempo; avendo posto in pace tutto il
mondo, per mare e per terra. Due volte entrò in Róma vittorioso e senza trionfare; l'una poi che
egli ebbe vinto Bhito e Cassio ne' campi
fìlippici; L'altra avendo vinto Sesto Pompeo
in Cicilia. Trionfò tre volte in tre dì, l'un clietro all'altro ;
Tuna per la vittoria ricevuta in
Dalmazia, l'altra per quella ricevuta
lungo n Promontorio Aziaco, la terza per la vittoria avuta in Alessandria. SECONDO IMPEBATORB 77 Delle due sconfitte da lui ricévute. I suoi soldati solo due volte, ed amendue in
Germania, furono rotti vituperosamente,
una volta sotto il governo di Lollio, l'altra sotto di Varo : nella rotta di
Lollio, fu maggior la vergogna che 1
danno ; quella di Varo fu di danno grandissimo, perciocché vi furono uccise tre legioni di Romani insieme
con esso Varo, e con i commissarii e
tutte le genti de' tnendabili, alcuni ne
condannò e punì; alcuni solamente fu contento di svergognarli e vituperargli in
pubblico, ma in varii modi : e la più
leggiera riprensione, che egli usasse centra di loro, er« il dar loro in mano in presenza di ciascuna un
libretto, dove avanti che ei si
partissero di quivi erano costretti, cesi piano dà sé a sé, a leggere i loro difetti, che da lui in detti
Hbri erano stati notati. Notò e vituperò
alcuni, che avendo presi certi danari a cambio
con poco interesse, gli avevan prestati ad altri con maggiore u^ura.
Alcune di lui costituzioni intorno al. governo della Repubblica. Nella creazióne de^ tribuni, se tra i
senatori non era chi comparisse in pubblico a domandare tal magistrato, gli
creava delTordine de' cavalieri; di maniera che fornito il detto
magistrato rimaneva in loro arbitrio il
potere essere di quale ordine e''volevano, de' cavalieri, o de' senatori.- E
avendosi una gran parte de' cavalieri
consumato i loro beni nelle guerre e discordie civili, né avendo ardh'e, quando
si celebravano le feste pubbliche, d>
sedere nel luogo de' cavaheri, per paura della pena che n*an dava loro, per non aver più i dieci mila
scudi di valsente, come si conveniva a
tale ordine; fece intendere pubblicamente, cjie se i padri, avoli avevano avuto cotale valsente,
se beh si trovavano aver consumato fé lor facoltà, non eran tenuti né
obbligati a detta pena, e che -e'
potevano seder nel teatro, dove gli altri
lor pari. Fece la rassegna del popolo romano, borgo per boi^o. Ed acciò che la* plebe romana, per conto
della distribuzione del grano, non
avesse tanto spesso a scioperarsi e levarsi da lavorare, ordinò che quel grano,
che si distribuiva al popolo ogni
smanio nvoumc ^ anno mese per
mese, si à4^oiiiifdrUS9f in tre nolbe f asse*. éaBé» loro ogni quattro mesi la tana farle. Ma
mnÈaAawÈeist b {Mk più tosto dell'usanza
di prona, eàsrji ancora se iiecoiitcfitA. Kenót
al (1) consiglio la sua prìma autorità, dke e^ arerà innanzi al tempo di Cesare, frenando l'ambizione con
varie pene. E qoando sì ragunava il
popolo per creare i magistrati. di3tril>uÌTa nelle tribù Fabiana e Scaziense, nell'una delle
quali era nato, e nelTaltra adottato, venticinque scudi per ciascuno: perche
non voleva, che quelli delle sue tribù
fussero corrotti con danari da coloro,
domandavano il consolato. Oltre a ciò parendc^i che ei fusse da stimare assai, che il popolo romano
si coiiservasse puro e sincero, e non si
mescolasse e imbastardisse col sangue d'uomini forestieri, vili e schia%i; che
giornalmente concorrevano nella città,
osò molto di rado di far nuovi cittadini : e ordinò, che ninno potesse far liberi schiavi^ più che
insino a un certo numero. Scrivendogli
Tiberio, e pregandolo che volesse far cittadino romano un suo clientelo, gli
rispose, che non era per compiacergli in modo alcuno, se egU non veniva ih
persona a fargli capace, per qual giusta
cagione si movesse cosi a ricercarlo di
cotal cosa. Pregandolo Livia del simile per un Francese, ch'era tributario della città, non gli volle
concedere tal grazia, ma bene lo fece
esente dal tributo; affermando, che più tosto voleva che il fisco patisse qualche cosa, che avvilire
la dignità e maestà del popolo romano.
Avendo oltre a ciò provvisto diligentemente, e
con molte esenzioni e cautele alla liberazione de' servi, mediante la quale diventavano subito cittadini romani,
con aver posto e specificato indetta
provvisione insino a quanto numero ne poteva
liberare ciascun padrone, e di che qualità e condizione dovevano esser quelli, che'eran fatti liberi e
acquistavano il sopraddetto benefìzio;
non gli bastando questo aggiunse ancora, che niun servo, che fosse stato incatenato per
fuggitivo, o per qualche delitto
tormentato, potesse diventare cittadino romano in qualunijuemodo e' divenisse
libero. Oltre a ciò usò ogni diligenza di
fare, che le portature e vestimenti si riducessero al modo antico. E parlando una volta al popolo; visto una gran
parte di quelli, che erano presenti, in
abito forestiero ed alla soldatesca, turbato grandemente recitò con alta voce
quel verso di Virgilio, la cui sentenza
è questa : Ecco i Romani signori del mondo, (*cro la gente togata. E commosse agli edili, che
avessin cura, che da quivi innanzi ninno
comparisse, né si fermasse in piazza, nò
(1) Consiglio intende i Comizii
92 CEs«AftE ArcrsTO dove si
celebraTano le feste pubbliche, se, diposte le frappe e portatura forestiera, nou rìtoma\ano al
solito abito e ci\ile, con rimettersi la
to^. Della sua liberalità. Fu libéralissimo verso di ciascuno di
qualunque grado, o condizione si fusse . sempre che se gli offerse Toccasione :
e infra laltre, avendo fatto condurre in
Roma il tesoro e le ricchezze cavate
d'Alessandria, per la vittoria acquistata contro a Marco Antonio e Cleopatra, messe tanta abbondanza
di danari in Roo^a, che lusura e gli
interessi scemarono e le possessioni vennono
in assai maggior condizione. Ed ogni volta che 'I fisco si ritrovava
danari assai de' beni venduti de' ribelli e condannati, usava di accomodare chi d'una somma e chi d'un'
altra senza alcuno interesse > pur
che que' tali che gli pigliavano, gli avessero dato sicurtà del doppio, di restituirgli £i un
certo tempo. E dove prima bastava, a chi
voleva esser senatore, avere di valsente ventimila scudi, volle che e' ne avessino ad avere sino
alla somma di trenta mila. Ed a quelli,
le facoltà de' quali non ascendevano a quella
stima, supplì del suo: Usava molto spesso di far donativi,.e dare mance al popolo, variando quasi sempre nella
somma : alcuna volta toccava per
ciascuno dieci scudi, altra volta sette è mezzo, ed alcuna volta cinque e dodici, o più
ancora.. Diedela ancx)ra ai fanciulli
piccoli, benché e' non aggiugnessero a undici anni : nella quale età eran consueti di avérla. Spesso
volte ancora nel tempo della carestia
distribuì il grano al popolo, dandolo per vilissimo prezzo, ed alcuna volta in dono ; e addoppiò
ancora i danari, che egli era solilo di
dare a ciascuno per comperare il grano.
* Sua severità nel reprimer le folli ricerche del popolo. Ma acciocché si conoscesse, che egli
"era principe, ch& andava più
presto dietro alla salute universale della città che alla propria gloria,
ripreso con una severissima orazione il popolo, il quale si rammaricava della carestia del vino;
dicendo che il suo genero Agrippa aveva
fatto di sorto, che e' si potevan cavar la
sete a lor modo, avendo fatto per via di condotti che la città era abbondante di acque. E ricercandolo
ancora il popolo, che gli attenesse la
mancia, che da lui gli era stala promessa, rispòse,^ che non era uomo per mancare della sua parola
; ma importunandolo poi, che gli donasse quello, che e' non aveva loro pròmesso,
riprendendo la presanzione^, e poco rispeto, fece lóro intendere, che quantunque egli avesse
disegnato di icompiacer loro, s'era
mutato di proposito per la lor presunzione. Dipoi nel distribuirla ritrovando, che tra gli altri
s'eran mescolati molti schiavi fatti
liberi, e messisi nel numero de' cittadini romani, senza punto alterai-si, disse, che non era.
per darla a chi egli non l'aveva
promessa : e agli altri fece minor parte che non aspettavano, acciò che la
quantità disegnata bastasse per ognuno. Ed
essendo pna. volta in Roma i>na grandissima carestia provenuta dalla sterilità de' terreni non lavorati,.
alla quale malagevolmente si poteva
rimediare, cacciò di Roma le famìglie degli schiavi e tutti i forestieri, eccetto i medici e
precettori, e così ima parte degli
schiavi: onde le grasce finalmente vennero a rinvilire. Scrive esso Augusto, che gli venne in un
subito una voglia grandissima, visto tale inconveniente, di levar via per lo
avvenicala distribuzione del grano al
popolo; perciò che standosi a ijada di
quella, non si lavoravano, nò coltivavano i terreni; ma che poi s'era mutato di proposito, tenendo per certo,
che nel tempo avvenire qualcuno, per
guadagnarsi il favore del popolo,, era
per rimettere in campo tal consuetudine; e da indi innanzi s'ingegnò con
ogni industria di fare, che quegli, che attendevano a coltivare i terréni, e quelli che si
travagliavano in coudur grani e altre
vettovaglie, fusséro tanti che supplissero al bisogno del popolo.
Spettacoli e giuochi di varie sorti da lui fatti rappresentare. / K
' . . - Superò ogtìi altro in far
bellisshne feste e varie e spesso. Egli
medesimo scrive, aver fatto celebrare quattro vqlte le feste pubbliche" in suo nome, e ventitre volte
in nome di coloro che erano assenti y
ovvero non potevano sopportare ia «pesa. Fece
ancora celebrare le predette feste alcuna volta^alla plebe, borgo per borgo, con far varii e diversi «ippara
ti; ed aveva istrioni e recitatori di varii linguaggi. E non solamente he fece
fare in piazza, ma ancora
nell'anfiteatro e nel Circo Massimo, ed in Ganopo Marzio, in quella parte dove si ragunava il
popolo a creare i^ magistrati ; $d
alcune volta fece solo fare altune caccio ed il
giuoco della lotta, del saltare e del correre, avendo fatto fare in detto Campo Marzio panche e -luoghi da sedere
di legname. Similmente fece fare una
battaglia navale, avendo fatto cavar la
terra dove è al presente il bosco de* Cesari; ed in quelli dì, che la detta battaglia fu fatta, fece fare le
guardie per tutta la città,; acciò che
concorso quasi tutto il popolo a tal festa e restando la città quasi vota di gente, ella non fosse
venuta a rìmaner preda de' ladroni e
degli assassini. Fece alcuna volta comparire nel cerchio Massimo uomini, che correvano in
sulle carrette tirate dai cavalli, e
correndo ammazzavano le fìere : il che fece fare alcuna volta ancora a' gióvani nobili e de'
primi della città. Fece ancor fare il
giuoco chiamato Troia spessissimo vx)lte; facendo [)er tal giuoco fare ujia scelta de'
fanciulli piccoli e di qqelli un poco
maggiori, nobili, bene allevati e drbuoni costumi, giudicando che quivi si
poteva far congettura della loro virtù. Sendo
in cotal giuoco Nònio Asprenate venutosi meno, per esser sdrucciolato e
cascato da cavallo, gli, donò una collana d'oix), e gli concesse, ch'esso e i suoi discéndenti dà
indi innanzi fossero cognominati
Torquati. Pose (ine dipoi al celebrare dette feste, sendosi Asinio Pollione oratore grandemente
rammaricato nel senato e non senza
carico d'Augusto, che Asermino suo nipote
nel correre, come gli altri, cascando s'era ancora esso rotta una gamba. Nelle rappresentazioni e feste e nel
giuoco de' gladiatori si servì alcuna volta ancora de' cavalieri romani, ma usò
di far questo, prima che e* fosse
proibito per partito 'del senato ; dopo
la qual deliberazione non ne fece mai entrar nessuno in campo, salvo che-un Lucio giovanetto nato di
buone gentil e lo fece solo per
mostrarlo al popolo ; perciocché egli d'altezza non aggiugneva a due piedi e solamente pesava
diciassette libbre, ed aveva una voce
grandissima. Celebrandosi una volta il giuoco
de' gladiatori, fece venire gli statichi de' Parti, che allora la
prima volta gli erano stati mandati, a
vedere; e vpUe che passassero per mezzo
dello anfiteatro e si ponessero a seder di sopra lui, e nel secondo ordine de' gradi e luoghi da
sedere. Usava ancora ne' giorni, che
erano fuori di dette feste, che se per ventura gli era portata di fuori alcuna cosa nuova e
degna di esser veduta, la mostrava per
lo straordinario in qualunque luogo notabile
della città. E infra l'altre mostrò una volta a tutto il popolo un rinoceronte, una tigre, in Campo Marzio, dovè
si recitavan le commedie e
rappresentazioni ; un serpente .di cinquanta cubiti nel Comizio. Ed una volta facendo celebrare
li giuochi circensi, e trovandosi mal^,
si fece portare in lettiga, per accompagnar
le carrette^ dove portavano le cose sacre in dette fe^te. Un'altra volta gli accadde, che nel far celebrare le
feste, per dedicare e censagrare il
teatro dì Marcello, s^^^^asì scommessa la «ede
trionfale, dove€igl^ '^'^'^ ^'^Hatoa '^'^(^.r rocu»ir^ ^©1 fare ed essendo il popolo, impaurito e
spaventato, per paura di una parte del
teatro, che stava per rovinare, né potendo A irgusto per medo alcuno riassicurarli^ né ifermargli,
si levò del suo luogo e si pose a
sedere, dove il pericolo era maggiore. ^ (jerchè pei luoghi, dove si facevano le feste e giuochi,
era una grande confusione tra colpro, che stavano ^ vedere e non si aveva
rispetto, o riverenza a grado, o dignità
di alcuno, raffrenò tal licenza del
popolo ; ordinando non solamente '\ luoghi da sedére secondo il grado delle persone, ma che e' fusse portato
riverenza e rispetto a quelli che lo
meritavano : e la cagione chejp mosse ^ far questo, fu il poco onore, che era
stato fatto a un senatore; U quale
ritrovandosi a Pozzuolo, e andando a vedere cèrte feste solenni, che ivi si facevano, tra tanti, che vi erano a
sedere, non trovò alcuno, che gli
facesse iuogo. Assegnazione de' luoghi,
dove avessero a sedere i Seaatori NI e
gli altri. di altro ordine. Essendosi
adunque ordinato per deliberazione dèi senatorche ogni volta che in luogo alcuno si
celebrassero feste e spettacoli pubblici,
i primi luoghi da sedere sì lasciassero vàcui per li senatori, non volle
Augusto che gli ambasciadori mandati a Roma
dalle terre libere e confederate sedessero nel luogo de' senatori, per aver inteso ch'egli usavano qualche volta
di mandarne alcuni nati di sangue servile. Ordinò il luogo a' Soldati,
separato d^l popolo; ai plebei che
avevano moglie assegnò i luoghi' propri!, a' gif)vanetti nobili diede ri luogo
loro separato dagli altri e vicino a
quello de'.pedagoghi. E ordinò che niun fanciullo piccolo sedesse nel nìézzo
dello spa:(io, tra la moltitudine del popolo. Non volle che le femmine stessine
a vedere^ se non dalla parte più alta,
che^veniya ad esser più remota, né pur il giuoco degU accoltellatori (1), il quale per
l'addietro era usanza di stare a vederlo
alla mescolata. Solo alle, vergini vestali diede, un luogo nel teatro separato da tutti gli altri,
dirimpetto alla residenza del pretore.
Proibì interamente, che al giuoco e spettacolo di coloro che ignudi facevano alle braccia,
saltavano e correvano, vi si trovasse
alcuna donna ; di maniera che sendogli ne' giuochi e feste che si facevano per i pontificali,
quando entravano nel pontificato,
addomandato un paio di giuocatori di pugna, fece i;idugiar la festa al giorno
seguente; e ordinò che la mattina a (I)
Accoltellatori lo stesso che gladiatori, .
I 96 CESARE AUGUSTO buou'ora si facesse colai giuoco della pugna
; e per bando fece intendere, che ninna
donna venisse nel teatro a veder la fesU
avanti le diciassette ore, acciò che non si tfovassero pnnenti a tale spettacolo. In qual maniera e da qual luogo stesse
egli a mirare gli spettacoli. Quando si celebravano i giuochi circensi,
stava a vederli il più delle volte in
casa de' suoi amici e liberti, alcuna volta nei
tempii degli Iddii, e così standosi a sedere,, come persona privata, con
la moglie e con i figliuoli, consumava una gran parte del giorno, e qualche volta parecchi giorni
alla fila, in vedere tali spettacoli. E
perchè a lui s'apparteneva rappresentarsi in
pubblico, come principale e giudicatore di tali giuochi è spettacoli,
mandava alcuni altri in suo scambio, scusandosi prima col popolo e pregandolo, che si contentasse di
quelli che farebbero ruffizio per lui,
ed a lui lasciassero goder la sua quiete. Mentre che si celebravano dette feste, stava a
vederle con somtna attenzione e non voleva che gli fusse dato impaccio alcano :
credo per fuggir quel carico, che si
ricordava essere stato dato a Cesare suo padre, il quale universalmente da
ognuno era biasimato, che mentre che
tali giuochi si facevano, non attendeva ad altro che a scrivere e leggere lettere e memoriali
: o sì veramente lo faceva, per il gran
piacere e diletto che e' ne pigliava ; siccome
spesse volte lìberamente e senza simulazione usò di dire. B che e' si dilettasse' grandemente e pigliasse
gran piacere di cotali feste, lo
dimostra l'aver lui molte volte ne' giuochi de' gladiatori e feste fatte da altri, e non in suo nome,
aggiunto, oltre a* premii ordinarli che si davano a' vincitori, alcuni doni e
presenti del suo. E a niuiio spettacolo
di quelli, che si celebravano in Grecia,
si trovò, che e' non facesse qualche dono a quelli che giuocavano, secondo' i meriti di ciascuno.
Stette a vedere con grandissima
attenzione il giuoco delle pugna, e massime quando giuncavano i paesani ; e non solamente
quelli, che eran pratid wJ esercitati, e
che ordinariamente eran d'et)utatf per gìiiocare, ed alcuna volta messi alle mani con quelli di
Grecia, ma anoon le schiere de'
terrazzani, che ne* borghi e per le strade tra loro e senza alcun arte o ordine combattevano. E
finalmente tolse a favorire e prose la
protezione di tutti coloro, di qualunque sorte
fuasero, che con l'opera loro interveniN-ano ne* pubblici spettacoli. Ai
giuocatori di braccia mantenne ed acrebbe ì pnviloga: volle che il premio (1)
de* gladiatori che si portavano bene, fusse
l'esser disobblighi in tutto da tal esercizio, altrimenti non sene potesse forzar nessuno a comparire in campo.
Levò ai pretori e agli edili e
magistrati, Tautorità, la quale prima per un'antica legge avevano, di potere sforzare e comandare
agfist rioni, elio si rappresentassero
alle feste in qualunque luogo e tem|)o paresse
. loro. E circa a' giucca tori di braccia, dì pugna, d'armi, di
saltare e correre, avendo fatto loro le
sopraddette abilità, volle che poi,
quando e' comparivano in campo, facessino il debito loro: né gli risparmiò in conto alcuno. Con gì istrioni e
recitatori di commedie si portò rigidamente; e intra Taltrc, avendo ritrovato,
che un ceito Stefanione, maestro di
commedie, secondo il costume romano
aveva fatto vestire una gentildonna e tagliatogli i capelli a guisa di
fanciullo, e menatosela dietro a uso di servidore, fattooelò esaminare dal pretore preposto a
tali s}M;ttacoli, nel portrco del suo
palazzo, in presenza d'ognuno lo fece dipoi scopare, e andare attorno ))er la
città e per li tre teatri principali,
-con grandissima sua vergogna e viluiierio, e conlinollo. Oltre di questo avendo un altro simil maestro, chiamalo
Pilade, conti o alla legge, mostro a
dito e fatto vedere a tutti i circostanti uno,
il quale, mentre che e' recitava una commedia, gli aveva fischiato dietro, fece che detto Pilade non pot(fsse
star né in Roma, ne in Italia. Riordinaziuno delle cose dltalia. Avendo Augusto in cotal guisa ordinato la
città e riformate le cose di dentro,
condusse in Italia ventotto colonie per riempirla di gente ed adomarla in molti luoghi con
muraglie ed cdìfìzii bellissimi,
assegnando alle città di quello rendite ed entrate pubbliche; e diede loro
tanta autorità e dignità, che gli abitatori di
quelle in molte cose potevan dire d'esser pari ai cittadini romani. Ed intra le altre trovò modo, che anco cileno
potessero intervenire alla creazione de' magistrati, che si facevano in Roma ;
ordinando che i principali di quelle colonie^ chiamati decurioni, ciascuno nella sua terra, S(]uittinassero
quelli, che a loro parevano, e notati e suggellati i partiti, gli mandassero in
Roma, in tenripo che e'comparìssino il
giorno, che detti magistrati in Roma
(1) Il sentimento è questo. Che non potessero esser costretti i Gladiatori a pugnare quando non fosse
proposta a* Vincitori per premio la
li^rta. &i creavano. Ed acciocché in ogni luogo
fusse eòpìa d'uomini valorosi, ordinò
per tutto, una milizia a cavallo, discemc^do in
tal ordine tutti quelli che l'addimandav^no, e che Ordinazioni intorno ai Regni conquistati.
. I regni de' quali egli s'insignorì
per forza e per ragion di guerra, da
alcuni infuora^ o esso gli rendè ai medesimi, ài quali aveva tplti* oegli ne rivestì nuovi re. Fece
ancoràjnolti parentadi (i) tra i re suoi confederati^ e s'intfattenne sempre
molto (1) La vera versione delle parole
di Svetonio è quésta. Procurò ancora,
che i Re suoi confederati s'apparentassero scambievolmente, intento sempre a
favorire i loro parentadi, e inframmettersi ancora a rappacificarli insieme, e
tenne parimente, ecc. umanamente con
parenti ed amjci di qualunque sorte, e tenne
parimente cura di ciascuno, comedi membra e parti del l'imperio romano. Usò ancora di dare tutori a' pupillP,
per fino che ei pervenissino in età di
discrezione; e sirpilmente a quegli, che
erano impazziti, fino a che e' ritornassero in cervello ; ed allevò ed, ammaestrò insieme co'. suoi figliuoli,
molti di quegli d'altri.. Riforma delle
legioni e della soldatesca ed altri ordinamenti. Distribuì i soldati prpprii e gli ausiliarii
: ordinò che un'armata stesse aMiseno ed
un'altra a Ravenna', per (I) guardia dell'uno
e dell'altro mare; e de' predetti soldati ne scelse untrerto numero parte de' quali servivano per guardia della
persona sua, e parte per guardia della
città. E licenziò, la guardia de' Calaguritani,
ch'egli aveva tenuto insino ch'egli ebbe vinto Marco Antonio; e similmente la guardia de' Germani, tenuti
insino dacHe.Varo fu rotto e sconfitto
in quo' paesi, per guardia della persona sua..
E nondimeno non voile mai, che in Roma stessero più che tre compagnie di que' soldati é senza
alloggiamenti; le altre compagnie era. solito di verno e di state mandarle alle
stanze per le terre vicine. Ed in
qualunque parte dell'imperio romano si ritrovavano^ soldati, a tutti fece ima
provvisione perpetua, secondo il grado
di ciascuno, e dichiarò toro ancora,. insino a quanto tempo dovevano essere obbligati alla milizia: eia
provvisione, la quale dopo ch'egli erano
disobblighi e licenziati, voleva lordare durante la vita loro, acciocché nell'esser
disobblighi troppo per tempo, ed ancora
robusti e gagliardi di corpo, o sì veramente, cacciati dalla necessità, non fussero sollevati a
pigliar l'arme contro allo imperio
romano, ed acciocché la spesa nel mantenergli e pagargli in perpetuo e senza difficoltà si potesse
Sostenere, ordinò uno erario particolare
per i lor pagamenti col porre nuove gravezze
e dazii sopra alle mercanzie. Ed- acciocché con più prestezza ed in un momento si potesse dare e ricevere gli
avvisi, come le jcòse passavano nelle
provincie, nel principio mise alle poste certi
spediti e bene in gambe per tutte le strade maestre, che portassero le
lettere innanzi ed in dietro, consegnandole - l'uno all'altro. Ed avendo dipoi
trovato migliòre spediente, ordinò in
luogo de' predetti giovani le carrette, in su le qualiv quello che portava gli avvisi, montando po|ta per posta,
in persona si conti) SvetOflio dice : Distribuì per le provincie i soldati
proprii. ducesse ; acciocché oltre alle lettere,
piotessef accadendo, anco di bocca
riferire quel ch'era di bisogna. Del
suo suggello e come costumasse di scriver le date alle lèttere. Nel suggellare
le bollo, i memoriali e le lettere, net principio usava la impronta di sfinge; appresso
cominciò ad usare quella (li Alessandro
Magno ; ultimamente la sua intagliata di mano
di Dioscoride, con la quale dipoi i principi, che gli succedevano, di mano in mano continuarono di suggellare le
loro: poneva non solamente il dì, ma
l'ora ed^l punto, nel quale erano^ date
le sue lettere. Della sua
clemenza. Molti e grandi esempli ci sono
della sua clemenza, e come egli era
umano e civile. E per non andare raccontando quanti e quali sieno stati quelli della fazione
contraria, a' quali non solo perdonò e
salvò la vita, ma permette anco dipoi, che e' tenessero i principali luoghi
nelle città, dirò solaniente di due uomini
plebei, i quali, rispetto a quello ch'eglino a vrebbera meritato, furono da lui leggermente puniti ; Tuno ^u
Giunio Novatò, il quale avendo mandato
fuora, sotto nomadi Agrippa 'giovaite suo
nipote, una epistola contro di lui, "piena di parole ingiuriose e villane, fu solo da lui condannato in una
piccola somma di danari ; l'altro fu Cassio Padovano, il quale ritrovandosi in
un convito, dove era- gran numero di persone, usò di dire molto audacemente,
come e' non gli mancava,, né la voglia, né Tanimo d'ammazzare Augusto; di che egli non ricevè
altra puYiizione che un leggiero esilio.
Essendo davanti al suo tribunale, per
conto- d'una sua lite, Emilio Eliano cordovese, ed essendogli intra l'altre cose apposto
dairaccusatore,"per renderlo più odioso,
ch'egli aveva sempre avuto niale animo verso di Augusto ed andavano sparlando. Augusto rivoltosi allo
accusatore, e mostrando d'essere alterato grandemente, disse; io avrei carOj
che tu me ne certificassi, che io farei
conoscere a Eliano, che io ho la lingua
anch'io e saprei dire di lui più, ch'egli non ha detto di me; poi non volle ricercar più oltre, né
allora, né mai.. Dolendosi ancor Tiberio di cotal cosa per lettere troppo
caldamente con Angusto, gli rispose in
questo modO': Non voler, Tiberio mio, in
questa cosa lasciarti così trasportare dalla giovinezza e dalla volontà ; e non ti paia strano che òi
jsia chi abbia ardire di dir mà^le di. noi, che non è poco che la fortuna abbia
levato 9 questi tali di potercene
fare. Gli onori che gU furono conferiti
e che dir lui sono stati sprezzati.
Quantunque egli sapesse, che ordinariamente si costumava nelle provincie di edificar tempii in onore
de' proconsoli, che ne erano stati
governatori, non volle mai accettarne alcuno in
nessuna provincia ^ se non in nome suo e della città; ma in Roma non volle mai per conto alcuno ricevere
tale onore; e certe statue d'argento,
che gh erano state poste in pubblico,
tutte le disfece e fondutele, fece certe tavole e deschi d'oro, e le pose nel tempio di Apollo Palatino.
Facendogli il popolo grandissima
instanza," che e' fosse contento di accettare la dittatura,
inginocchiatosi e lasciatosi andar giù la toga, e mostrando ìì petto ignudo 'con grandissima sommissione,
gli pregò che piacesse loro non lo incaricare.
Della cosa stessa e di alcuni suoi modi civili. Ebbe sempre in odio e^grandemente l'esser
chiamato signore, riputandoselo a
vergogna e vituperio, e tra l'altre, stando mia
voita a veder recitare certe favole in pubblico, accadde che da uno de' recilatori fu de,tto, ad un certo
proposito, in un^verso di detta fa:vola:
signore giusto e buono: onde tutto il popolo^
quasiché eTusse detto per amor di Augusto, mostrandone grande allegrezza, si voltò verso lui, di che egli colle
mani e col volto fece segno, chp e' non
gli -piacessero colali sciocche adulazioni,:
e nel giorno seguente mandò un bando, dove gravissimamente riprese il popolo di simili leggerezze; e da
allora innanzi non volle mai da niùno
eàser chiamato signore, né dai nipoti suoi da
vero, daf beffe : e proibì ancora, che tra loro per conto alcuno non ^i chiamassero signori. Non entrò miai,
né si partì d'alcuna città e. tèrra-, se
non da sera, di nòtte; acciò che niung della
terra venisse ad incontràrio, oa fargli compagnia per onorarlo. Quando era consolò andava sempre appiè per la
città; e fuori del consolato si faceva
portar coperto sopra un seggiola. Era
molto facile e universale nel dare udienza, facendo metter dentro inaino
agli uomini vili e di bassa mano, che^ venivano a salutarlo alla confusa; e con
tanta benignità e piacevolezza stava ad
ascoltare tutte quelle persone, che per loro, bisogno gli andavano a parlare ;
che po^rgendogli una volta uno un memoriale,
e tremandogli la mano, come a
percona timida e di poco animo, Augusto
gli disse burlando: e' pare che tu abbia a porger da- . nari all'elefante. Il giorno che si aveva a
ragunare il senato, per non tener modi
straordinarii dagli altri senatori, non salutava mai, né faceva motto ad alcuno di loro se non
in senato : e quando si erano posti
tutti a sedere, salutandogli tutti a uno a uno, nominatamente, senza che niuno
gli avesse a ricordare i nomi loro: e
similmente nel partirsi, avanti che e' si levassero da sedere, a ciascuno di loro diceva : state sano. Rade volte
si lasciò vincere di umanità e cortesia.
Non mancò mai di ritrovarsi alle celebrazioni del nascimento o delle nozze dì
ciascuno^ per onorargli, se non poi che
e^li era già vecchio ed in alcuni dì, per essere statò un giorno, che si celebravano certe
nózze sbattuto dalia, calca delle genti,
che vi erano concòrse. Gallo Terriniò senatore, il quale non gli era molto
amico, sendo in un subito accecato, e avendo perciò deliberato non voler
mangiar per morirsi, lo andò a visitare;
e di maniera lo confortò e consolò, che levandolo da tal proposito, lo mantenne
in vita. La sua tolleranza co*
presontuosi e temerarii. Parlando una
volta in senjato gli fu detto da uno: io non t*ho inteso; e da un altro: ioti risponderei, se
mi fosse concesso di parlare. Ed alcuna
volta ()artendosi esso dal senato tutto adirato, per la confusione che v'era e per il grande
strèpito, che facevano i senatori nel disputare e contraddirsi l'uno all'altro,
vi furono alcuni che sputarono queste
parole : che e' bisogna va trovar modo, che a* senatori fusse lecito di parlare
delle occorrenze della repubblica.
Àntistió Labeone, essendoli tòcco nel senato
a" chiamare uno de' tre, che erano sopra allo eleggere e squittinare
i senatori, chiamò Marco Lepido, nimico di esso Augusto e che allora: èra sbandito ; e dicendogli
Auguste, che ben gli era mancato chi
eleggere, rispose, che ognuno avev^ la sua opinione: e così il parlare
liberamente e usare parole sinistre, non
fu mai da Augusto ripreso a malignità.
Libelli fatti conjtro di lui. Quantunque
e' fossero molte volte appiccata nel luogo, dove si ragunava il senato, alcuni scritti in suo
dispregio e disonore, non perciò ne fé'
mai caso*; ma s'ingegnò per ogiii verso- di mostrare, che tali cose contro di
lui eran mal fatte, senza- rìcercare altrimenti
chf he f ussero stati gì* inventori. Ordinò bena, che per lo avvenire fusse gastigata e punita
qualunque persona, che avesse avuto
ardire di mandar fuori sótto nome d'altri, o scritti, o Versi in vituperio e disonor di alcuno., Sua moderazione e umanità nell'operare. Sendo provocato e incitato da alcuni maligni
e prosontuosi, con certe loro facezie e
motti mordaci, che gli davan carico,
chiuse loro \s^ bocca per via di bandtt. E volendo pròvedervi il senato con tórre a tali uomini la facoltà di
poter fare testamento, Tion lasciò
seguir tal deliberazione.. Nel giorno della creazione de* magistrati andava attorno sempre insieme
con quelli, che, secondo l'instituto di
Cesare, a lui toccavano a proporre e met-,
tere innanzi, a domandare i magistrati, a supplicando con quelle cerimonie e Sommissioni, che si costumavano,
esso rendeva ancora nelle sue tribù j
partiti cóme privato cittadino. Non aveva
punto per male d'essere ne' giudizii esaminato per testimonio, né da' giudici riprovalo. Fece una piazza :
ma per non avere a guastare e. rovinar
le case che gli erano propinque, molto ininor di quello che si conveniva. Non
raccomanciò mai i suoi fi- gliuoli al
popolo, che egli non aggiugnesse sempre, in caso che lo meditino. Ed entrando nel teatro i detti
figliuoli ahcora fa^n- ciuUetti, tutto U
.popolo si rizzòj per'Tar loro sonore con gran
festa e plauso: il che ebbe molte per male, e gravissimamente se ne dolse, come di cosa non e senza insegne
regie, a guisa di clientoli l'accompagnavano. Quel ch'egli fosse raternamente e
nelle cose domestiehe. Avendo di sopra
trattato della vita di Augusto, circa le cose
pertinenti al governo universale della Repubblica e di tutto lo imperio romano, in tempo di pace e di guerra;
andremo ora de- scrivendo la sua vita
particolare -e domestica, e in che maniera
e con che fortuna visse in casa tra i suoi dalla gioventù insino air ultima vecchiezza. Nel primo suo
consolato restò senza ma- dre: essendo
di cinquantaquattro anni, morì Ottavia sua siroc- chia; all'una ed. all'altra delle quali,
avendole in vita grande- mente onorate e
riverite^ fece ancora loro in morte grandissimi
onori. Delle sue spose e
mogli. Sendo giovanetto, gli fu sposata
la Agli noia di PubiioServilio Tsaurico;
ma dipoi riconciliato con Marco Antonio, dopo la prima discordia nata tra loro, a richiesta e
preghiera dei soldati, dal- l'una e
dall'altra parte, che desideravano, per istabilirla^ si con- giugnesse la loro amicizia insieme per
parentado, tolse per mo- glie Claudia,
figliastra di detto Marco Antonio, nata dì Fulvia e Publio Clodio, appena da marito. Ed essendo
nato tra lui e la detta Fulvia sua
suocera certo sdegno ed odio intrinseco, la li-
x^nziò senza aver consumato il matrimonio. Dopo questa, prese per moglie Scribonia, che aveva avuto
iniianzi due mariti, amen- dui stati
consoli ; e dell'uno aveva avuti figUuoli. Licenziò ancora questa fra poco tempo, non potendo più
(^siccome egli scrive) sopportare la
perversità dei suoi costumi ; e subito si fece con- cedere a Tiberio Nerone la sua moglie Livia
Pusilla, che era pregna, la quale
sommamente gU piacque e perseverò di amarla
sempre, insino all'ultimo della sua vita. - Della figlia e dei matrimonii di
quella. Di Scribonia ebbe una figliuola
chiamata Giulia f di Livia non ebbe
figli uoli, il che sopra ad ogni cosa desiderava; avendola pregna, si scouciò'in un figliuolo maschio. Giulia
pdmieramenté maritò a Marcello figliuolo
di Ottavia sua sirocchia assai giovinetto; appresso morto il detto Marcello, la maritò a Marco
Agrippa, il quale avea per moglie
Marcella figliuola di Ottavia sua sirocchia. .Ma-Angusto fece tanto con Ottavia, che Àgr'ippa licenziò
Marcellsi e divenne genero di Augusto.
Essendo morto, ancora questo, poiché ebbe
lungo tèmpo esaminato le condizioni e qualità di molti, insino dell'ordine equestre, finalmente la diedó a
Tiberio suo figliastro, costrettolo a
licenziar la moglie che "era pregna è di cui aveva figliuoli. Scrive Marco Antonio, che
Aligusto.la prima volta (i) sposò Giulia
al suo figliuolo Antonio, dipoi a Gotisone re dei Geti ; e nel medesimo tempo avere ancora
addomandato a rin- contro per moglie la
figliuola de;l detto re. De*^ suoi
nipoti per via.di Giulia. ' Ebbe di
Agrìppa e di Giulia tre nipoti. Gaio, Lucio^ Agrìppa, e due nipoti, Giulia ed Agrippina. Maritò
Giulia a Lucio Paulo, figliuolo di Paulo
censore : • Agrippina a Germanico nipote di
Livia Drusilla sua moglie. Adottò Gaio e Lucio, comperati per assem et lihram dal padre Agrippa (modo
antióo di comperare) molto giovanetti,
gli cominciò ad introdurre nelle azioni della
Repubblica, e disegnati consoli acciocché s'addestrassero e di- ventassero esperti nelle cose importanti e
ne' inaneggi delia Re- pubblica, gli
mandò ne' governi delle provincie, fecegli capitani negli eserciti. Allevò la sua figliuola e le
nipoti di tal maniétra, che ancora le
avvezzò à filare la lana ; né le lasciava parlare o far cosa alcuna se non in palese, ordinando
che di per dìiasse notato e scritto In
su uno libro ciò ch'eJle facevano e dicevano
a uso di giornale. Sópra ad ogni altra cosa proibMoro il parlai^ o conversare- con forestieri; di maniera che
sendo andato Tu- cinio, giovane nobile e
molto leggiadro, a Baia a vi&itar Giidia
sua figliuola, A-ugusto gli scrisse, che egli s'era portato pocoala
sorte, che egli solamente fusse
costretto col suo sdegno nuocere agli amici più che non deside- rava. Il rimanente de'supi amici e per
autorità e per facùltà, insino che e'
visse, furono de' principali di ciascuno ordine della città, non ostante che alcuna volta
l'offendessero; imperocché qualche volta
(per non parlar di più) avrebbe avuto caro, che
Marco Agrippa fusse statò un poco più paziente e Mecenate più segreto : conciossiacosaché quegli per
leggier cosa insospettita della
rigidezza di Augusto verso di sé, e perct\^ Marcello gli era anteposto, lasciato ogni cosa in abbandoiia
se ne andasse a M^ tilene; questi
rivelasse a Terenzia sua moglie in segreto, comv s'era scoperta la congiura di Murena. Volle
anco^a esso scan bievolmente dagli amici
esser amato e che ne facessero, segnc
tanto in vita, quanto in morte; perché qv^^'^tunqu'^ '*s:l ^ curasse poco de' lasciti, che gli erano fatti
r^ npn»to quello, che non ne volle mai
aòcettare alcuno da coloro^ che ei non
conosceva ; nondimeno molto solennemente e curiosamente andava ricercando, se gli amici suoi alla lor
morte avessero fatto ne'lor testamenti
alcnna menzione, o segno di ri(5ordarsi di lui;
e trovando o intendendo, che se ne f ussero passati di leggieri e freddamenteMn nominarlo nella prefazione
del testamento, e non con quelle
onorevoli e cerimoniose parole,, che si conve-
niva, tanto per l'amicizia ch'era tra loro, quanto per ogiii altro rispetto, se ne dolca sconciatamente, e pel
contrario grande- mente si rallegrava,
se con grate ed amorevoli parole di lui
avevano fatto menzione. L'eredità o lasciti, che gli pervenivano per i testamenti degli amici, che avevan
figliuoli, usava o di su- bito
restituirli a' lor figliuoli, o sveglino erano pupilli, jl giorno che e'pigliavano la toga virile, o quando e'
celebravano le lor nozze, gli restituiva
loro ; con aggiungervi qualche cosa di suo,
così a' maschi, come alle femmine, quando si maritavano. ' . Suo rigore e clemenza verso i. liberti,
' Fu Augusto non manco severo, che
clemente e grazioso verso i suoi servi e
liberti. Tenne appresso di sé niolti liberti, dei quali onorò grandemente. Licinio, Encelado e
inolti altri. Ac- corgendosi, che un suo
servo chiamato Gosinio teneva nwle animo
versQ di lui, non gli fece altro, che tenerlo co' pie nei ceppi. Ed qn giorno andando a sollazzo
insieme con Diomede suo dispensiere,
scoprendosi loro all'improvviso un porco salva-
tico, il quale correndo ne andava difilato alla volta loro, il
detto Diomede per la paura aiferratosi
ad Augusto, se lo parò davanti, perchè
gli fu da Augusto più presto a timidità che a malignità imputato. E quantiinque la cosa passasse con
non poco suo pe- ricolp, conoscendo
ch'ella non fu fatta da colui maliziosamente,
la convertì in burla. Fece morire Proculo suo liberto,, uno dei suoi favoriti, avendo ritrovato ch'egli
andava adulterando certe gentildonne. Ad
Attualo suo cancelfiere, per aver mostro e /rive- lato una sua lettera ad uno per cinquanta
scudi, fece spezzar le gambe. E perchè
subito che Gaio suo figliuolo governatóre della
Licia ammalò, e poi che fu morto, i ministri ed il pedagogo di quello cominciarono superbamente ed
avaramente a trattar que' popoH,
attaccato loro un gran peso al collo, gli fece gittare in fiume. Vituperìi della sua prìina
gioventù. Nella sua prima ^giovinezza
fu infamato in varii modi^ por i suoi
disonesti' portamenti. Sesto Pompeo lo tassa come uomo efferofifìato e libidinoso. Marco Antonio
dice, che Cesare lo adottò per aver
praticato seco disonestamente. Similmente Lucio fra- tello di Marco Antonio dimostra nel suo
scrivere. Cesare aver còlto il fior
della sua pudicizia. E che ancora per settemila cin- quecento scudi si sottomesse impudicamente ad
Aulo Ircio; e come Bgli usava di abbronzarsi
le gambe e le coscie con il gu- scio
deHa noce affocato, perchè i peli venissero fuori più deli- cati e morbidi. Un giorno ancora^ che infra
Taltre favole e com- medie si recitava
la favola di Cibele madre degli Iddii, nella Ciò che operasse dopo il cibo. Dopo desinare cosi vestito e calzato (4)
impedùli, e con pie raccolti dormiva un
poco, tenendosi una mano cosi dinanzi agli
occhi. Dopo céna se n'andava- in una sua lettiga, dove egli, era solito di vegliare, e quivi si stava un gran
pezzo di notte per ìn- sino ch'egh
avesse dato compimento a tutto, o alla maggior parte di quello che gli era restato a fare il
giorno. Dipoi andatosene a letto dormiva
il più sette ore. Ma in detto spazio di tempo, tre quattro volte si risvegliava, e se non
poteva, come accadde alcuna volta,
rappiecare il sonno, mandato a chiamare chi gli
leggesse qualche cosa, o chi gli contasse qualche favola^ in questa maniera si addormentava, non si svegliando il
più delle volte, se non passata Talba.
Né mai di notte vegliava, che noft si fa-
cesse sedere a canto qualcuno. Bavagli assai fastidio ed offen- devalo il levarsi la mattina a buon'ora, e
quando o per Compiacere a qualcuno, a
cui non poteva mancare, o per qualche altra fa-
conda debita, era forzato a levarci a buon'ora per non guastare l'usanza solita del suo dormire^ se n'andava'
la séra dinanzi ji Impeduli significa
con quella parte della calza j che calza
il pie. dormire con qualche suo amico e famigliare, che stessa
vicino al luogo, dove egli aveva a
ritrovarsi: nondimeno spésse volte non
avendo dormito abbastanza, mentre che. jegti era portato, fatto porre in terra le lettiga, -alquanto si
riposava. .1 Statura del corpo e de' suoi membri. Fu di aspetto bellissimo e molto grazioso, e
cosi s'andò sempre mantenendo secondo
Tetà insino in vecchiezza ; ancora che egli
fusse circa il vestirsi e rassettarsi molto trascurato. Nello
accon- ciarsi il capo e pettinarsi la
barba era molto a caso e poco dili-
gente, e faceva venire in un. subito due o tre barbierir. e quando si tondava solamente la barba^ e quando se'
la radeva, ed in quel mezzo sempre
leggevamo scriveva qualche cosa. Era sempre nel
volto, parlasse, o tacesse, tanto lieto ed allegro,- che un certo de' principali della Gallia, U quale aveva
disegnato nel passar dell'Alpi
accostarsegli, sotto ombra di volergli parlare e gittarlo giù da que' monti, usò dire tra i suoi, che
non per altra cagione s'era di ciò
astenuto, chef per averlo visto di aspetto tanto gra- zioso. Aveva gli occhi chiari e risplendenti,
^d aveva caro ch'ei fusse ci^eduto
essere in quegli un certo che di vigore div4no, e rallegravasi quando alcuno nel guardarlo
fiso, come offeso dai raggi del Sole,
abbassava gli occhi j ma in vecchiezza perde al- quanto più di vista dal sinistro
occhio che dal destro. Aveva i denti
radi, piccoli e pieni di roccia: i capelli alquanto piegati e di color castagnino, le ciglia congiunte;
gli orecchi di ragio- ne voi grandezza ;
il naso dalla parte di sopra e da basso affilato. Era di colore ulivigno, di statura piccola ;
nondimeno Giulio Marrato suo liberto,
facendo menzione di lui, scrive che egli era
alto cinque piedi e tre quarti, ma aveva le membra tanto ben propepzionate e corrispondenti l'un
coU'altro, che se alcuna non se gli
appressava, maggior di lui non gli pareva.
Tacche che aveva su per il corpo e di alcuni suoi membri. non troppo gagliardi. ^ • Scrivono, ch'egli aveva certe macchie
naturali per la persona sino al numero
di sette, sparse e distinte per il petto e pel ventre, simili alle stelle dell'Orsa celeste; ed
aveva ancora alcuni calti come
volatiche, causati dai troppo grattarsi, per certo pizzicore, che egli aveva per le carni, e per l'assidua
e continovà usanza di farsi stropicciar
la persona. Non era molto sano, né si valeva
molto della coscia, del fianco e della gamba sinistra: di maniera che spesse volte da quella banda zoppicava^
ma s'andava facendo certi rimedi con la
rena calda e con le canne verdi a dò ap-
propriate. Sentivasi alcune volte jl secondo dito della' man destra tanto (Jebole ed intormentito, che pel-
freddo aggranchiiftidosi e
rannicchiandosi, appena pote\'a scriver^ con un ditale di cor- niolo. Rammaricàvasi ancora diella vescica il
cui dolore-si alleg- leggerrva analmente
col mandar fùora per;via di orina alcuna
pietruzza. ' Delie sue malattie.
V ^bbe, mentre visse, alcune gravi e
pericolose infermità, e . iuassiipamente
dipoi ch'egli ebbe domato i Cantabri. Avendo '
maculato il fegato per la scesa continova, che gli cad^va dal^La testa, e disperato quasi della sua salute],
fu. costretto usare ri- medi contrari:
perciocché avendo bisogno di cose- calde a ciò
appropriate, né gli giovando niente, fu medicata con rimedi / freddi da Antonio Musa suo medico. Aveva
oltre a ciò alcune infermità, che ogni
anno nel medesimo tempo gli ritor havano,"
perciocché approssimandosi il giorno delsup natale, gli veniva una certa debolezza e fiacchezza di corpo: e
nel principio biella primavera gli
gonfiavano le interiora ; e nella trista stagione dello autunno soffiando Austro era offeso dal
catarro ed intasamento del naso; onde
avendo il corpo tutto rovinato, non poteva molto agevolmente sopportare né il freddo, né il
caldo! Governo del suo corpo. Mettevasi in dosso di verno §otto la toga di
panno grosso quattro tonache ed un
giubbon di lana sopra là~camiscia; co-
privasi ancora con certi panni gli stinchi e le cosce dalla parte di dentro. Dormiva la state con l'uscio della
camera aperto, e spesse volte^otto un
colonnato al mormorio di certi zampilli di
acqua, con uno d'attorno, che sempre gli faceva vento. Non po- teva pure la invernata sopportare il sole : e
quando passeggiava in casa allo
scoperto, portava sempre il cappello. Ne' viaggi aai- dava in lettiga, e quasi sempre di notte a
bell'agio ; e facendo piccole gTornate,.
talché in due giorni andava da Roma a Pale-
strina, o a'Tigoh; e quando, avendo a far viaggi poteva andar per mare, lo faceva più volentieri; che andar
per terra. Ma usava in difendersi da
cotale inférniità' grandissima diligenza^ é principalmente si lavava di rado o
piuttosto s'ugnèva spesso, o su- dava
alla fiamma del fuoco ; apprèsso si faceva bagnare cbll'acqua tepida, riscaldata al sole; ma quando per mollificare
i nervi gli bisognava usare Tacqua
marina, o Tacque albule e calde, mette-
vasi a sedere dentro a un vaso di legname a ciò accomodato, che in lingua spagnuola chiamava Durete, tuffava
solo le mani ed i piedi, quando nell'una
e quando nell'altra acqua. Suoi
esercizii. Fornito le guerre civili,
dismesse interamente resercitarsi,
secondo il costume romano, nel campo Marzio a cavallo e con l'armi, e si diede per suo esercizio al
giuoco della palla piccola e grossa:
dipoi il suo esercizio era passeggiare a cavallo, e tal Volta quando era alla fine dello spazio, dove
egli passeggiava^ spingendolo lo faceva
andar di trotto ed- a saltelloni^ rinvolto
cosi alla leggiera in un gabanetto, ovvero mantelletto da caval- care, chiamato l'uno sesterzio, l'altro
lodicola. Alcuna volta per ricrearsi e
pigliare un poco di esalamento, or pescava alTamo, ora giuocava ai dadi, or si trastullava cori
fanciuHi.piccoli, giuo- cando con loro
alle capannello, o con simili gìocolinì, i ()uaH an- dava ricercando che f ussero graziati, vivi e
lingnacciufi, e spe- zialmente gli
piacevano i Mori e Soriani ; avendo in odio i nani e i bistorti, e tutti gli altri simili, come
mostri di natura e-cose di male
augurio. Sua eloquenza ed arte nel
dire. Attese con somma diligenza
grandissimo desiderio, insino da
puerizia, a dar opera all'arte oratoria ed agli studi liberali. Scrivono, che nella guèrra di ÌVIodonà in
così Tatti travagli s'eser- citava ogni
giorno nel leggere e nello scrivere e declamare; onde da quivi avanti non si trovò mai a.
parlare in senato, né al popolo, nò
a'soldati, se non con l'orazione composta e molto ben pensata avanti : benché quando gli bisognava
parlare alTimprov- viso, non gli mancava
materia, e molto ben la sapeva accomodare.
E per non s'avere a fidare della memoria, ovvero per non con- sumare il tempo nello imparare a mente, prese
un ordine di re- citare ordinariamente
ogni cosa, che gli occorreva. E quando
aveva a ragionare con particolari persone e con tivia sua di 'i|ualche cosa importante, distendeva e
scriveva prima il tagio- namento tutto
per. ordine : acciocché nel parlare airimprowiso '
W non gli venisse parlato più o manco
di quello, che era necessario.
Pronunziava con un suono _dolce é sonoro. Teneva cohtihova- mente appresso di sé un maestro, che gli
insegnava pronun'Aiare od accomodare la
voce secondo la materia: ma qualche volta
ch*era affibcalo, parlamenta.va al popolo per bocca del banditore. I lì^ri ed altre operette, da lui
pubblicate. Compose mohe cose in prosa
sopra varie materie, delle quali alcuna
ne recitò nel cospetto de' suoi amici e famfiliari, non al- trimenti che se e' fusse stato in un luogo
pubblico, come sono i rescritti di
Catone e Bruto; la quale opera, sondo già vecchio, ed avendola in gran parte'letta, stracco
finalmente la diede a Tiberio, che la
finisse di leggere. Compose certe esorta2ioni a
gli studii della filosofia, ed alcune cose della sua vita, avendone fatti tredici libri, e distesosi insino alla
guerra de' Cantabri. Quanto alle cose di
poesia se la passò così leggermente. Ecci un
suo libro scritto in versi esametri di sua mano, il cui argomento- e titolo è Cicilia, dove tratta della guerra
fatta inXicilia contro a Sesto Pompeo.
Eocene un altro di e()igrammi piccolo, come il
predetto ; i quali epigrammi usava di comporre, quando eirli si stufava e bagnava. Vero è, ch'egli aveva
cominciato una tragedia con grande
spirito e veemenza, ma non gli riuscendo lo stile, vi dette sopra colla spugna e la scancellò ;
e domandato dagli amici quello che
faceva il suo Aiace, rispose, che il suo Aiace si era dittato e morto sopra alla spugna.; Del suo stile e maniera dì fiacre. . Andò sempre seguitando uno stile e mqdq di
parlare elegante e dolce, schifando i
concetti e le sentej^ze inetto, e male acco-
modate, e, come egli usava di dire^ i fetori e puzze delle parole e, de' vocaboli antichi e disusali; ed attese
più che ad altro a dichiarare e bene
esprin\ere i concetti e pensieri del suo animo.
Il che acciocché più agevolmente ^li riuscisse, e per non coi- fondere, o tener sospeso in alcun passo delle
opere suo eh leggeva, chi l'udiva,
aggiugneva a' verbi le proposizioni e bene
spesso replicava le copule e le congiunzioni, le quali levate vi? arrecano un certo che di oscurità, sebbene
accrescono assai grazie e leggiadria al
parfate. Avea a noia cosi i troppo esquisiti ed a fetta ti, come quelli ch'andavano dietro a'
vocaboli antichi, ecB^ oiù nr^n erano ih
uso : aues*» pe^ 'v^ior j)j»«innf)n er
poter di nuovo sacrificare, usqì in un subito fuor di Perugia una biuida di nimici, i quali rubarono e
portarono via tutte le cose
apparecchiate pel sacrifizio ; onde si accordarono gli aruspici, elle la mala fortuna, che in cotal sacrifizio
s'èra dimostra, tutta tornerebbe sopra
di coloro., che se ne avevano portate via. le
interiora: nò altrimenti avvenne loro. Il giorno avanti ch*ei ve- nisse alle mani c^n Sesto Pompeo in Cicilia,
andando a spasso lungo la marina, saltò
un pesce fuor dell'acqua e se gli fermò
a' piedi. E vicino ad Azio promontorio di Albania, andando per appiccare il fatto di arme con Marco Antonio,
riscontrò un uomo con un asino, il cui
nome era Eutico (che vuol dire fortunato) e
l'asino si chiamava Nicon (che vuol dire vittoria). Onde dipoi sendo vincitore, fece porro nel tempio
edificato da lui nel luogo, dove aveva
posti gli alloggiamenti, un uomo ed un asino di
rame. Pronostici della di lui
morte. La sua morte, della quale
appresso diremo, e come dopo quella
doveva esser connumerato tra gli Iddii, si previde per molti segni evidentissimi. Facendo la cerimonia, che ogni
cinque anni era so- lita di farsi net
Campo Marzio, di rassegnare, purgare e benedire
il popolo, dove si ritrovava un gran numero di gente, un'aquila gli andò più volte svolazzando d'intorno; e
pigUando poi un volo nel tempio ivi
vicino, si pose sopra la prima lettera del nomo di Agrippa, cioè sopra la lettera A; il che
considerato. Augusto non volle
permettere, nò obbligarsi a quelli voti, che in tal cerimonia per gli anni cinque avvenire si usava di far
per salute del po- polo romano,
quantunque avesse apparecchiate e ordinate le
tavole, dove detti voti promessi si notavano alla presenza di molti a maggior chiarezza e testimonianza ;
ma gli fece fare e promettere a Tiberio
suo compagno nello uffizio censorio, a cui
ciò s'apparteneva ; dicendo che non voleva promettere agli Iddii quello, che pensava non poter presenzialmente
attenere al tempo debito. Nel medesimo tempo in circa, una saetta portò via
la prima lettera del nome di Cesare
scritto appiè della sua stàtua; onde gli
fu predetto dagli indovini ciò significare, che ei non doveva viver più che cento dì, denotandosi
tal numero per la lettera del^ (7,
portata via dalla saetta ; e che egli sarebbe collO' rato nel numero degli Iddii, perchè Esar,
cioè il rimanente del nome di Cesar in
lingua toscana significava Iddio. Avendo dun-
que a mandar Tiberio nella Schiavonia, e volendolo accompagnare insino a Benevento, ritenendolo molti che ne
avevano bisogno, per espedii^ chi una
causa e chi un'altra; disse ad alta voce, che
da quivi innanzi per qual si volesse cagione non era per di- morar più in Roma : il che fu dipoi
conn'umerato tra gli augurii della sua-
morte. E messosi a cammino pervenne ad Astiira. . Le cause del suo male, e curae se la
passasse nel tempo della sua
malattia. * E quindi partitosi di
notte, fuor del suo costume, essendosi
levato un venticello, il che fu cagione o principio della sua malattia, per essersigU mosso il ventre, andò
costeggiando tutte le regioni marittime
di Terra di Lavoro. E dato una ricerca alle
isole circonvicine, si stette quattro giorni a diporto nell'isola
di Gapri, ed ivi posto da canto ogni
pensiero, solo attese a godersi quel
tempo piacevolmente e famlgliarmente con ciascuno. E pas- sando il golfo di Pozzuolo, era per ventura
appunto allora arri- vata in porto un
nave alessandrina ; i marinari e i passaggieri
della quale veggendo Augusto, ornatisi di veste bianche, e con cèrte corone in testa, spargendo incenso, gli
dierono grandissime lodi ; pregando gli
Iddii che gli concedessero lunga vita e felicità, dicendo che per lui si godevano la loro
libertà e le loro ricchezze. Per la qual
cosa Augusto oltre modo rallegratosi, distribuì a quelli che erano in sua compagnia quattro cento
scudi; e volle, che ciascuno giurasse e
di sua propria mano si obbligasse a non
ispendere in altro quelli danari, che in comperare di quelle mer- canzie, che erano in sulla detta nave. Ancora
ne' giorni seguenti, intra varii doni
che dava loro, ogni giorno distribuì alcune vesti alla romana, ed alcune alla greca ; con patto
che i Romani usas- sero l'abito' greco,
e i Greci l'abito ed il parlare romano. Mentre
che egli stetto a Capri,' si pigliava del continovo piacere di stare a veder esercitare certi giovanetti al giuoco
delle braccia ; i quali osservavano
ancora il costume antico de* Romani nello eserci- tarsi; e fece loro un convito, al quale si
volle trovar presente. dando loro
licenza e quasi costrignqndoli, che alla tavola sì pi- gliasser piacere, o si togliessero l'uno a
l'altro i pomi é le altre cose da
mangiare, e sitnilmentó molte altre cose, eh* e'gittava loro : in cotale modo ed in simili altre
maniere ricreanda e pas- sandosi tempo
allegramente. Chiamava la isola vicina a Capri
Apragopoli, dalla j>igrizia e vita oziosa di coloro, che per
viyerei oziosamente da lui si
dipartivano ed andavano a stare in detta
isola. -Uno molto amato da lui, detto Masgaba-, era solito chia- mare in greco Ctisi (che vuol dire
edificatore), volendo significare, ch'ei
fusse edificator di detta isoha ; avendo yisto dal luogo, dove e' mangiava, al sepolcro del detto Masgaba,
che un anno innanzi era morto,
concorrere una gran quantità di persone, e con molti lumi, disse un verso in greco, fatto da lui
all'improvviso, in i|ucsla sentenza : Io
veggio dal conditore arder la tomba ; e ri-
voltosi a Trasillo compagno di Tiberio, che gli sedeva a tavola a dirimpetto, il quale non sapeva a che
proposito T avesse detto, gli domandò di
qual poeta ei pensava che e' fusse : non sapendo Trasiilo, che rispondere, ne soggiunse un
altro: Vedi Masgaba co' lumi onorato? e
domandandogli ancora di^ questo, né gli ri-
spondendo altro, so non. ch'egli erano mollo biioni versi, di qua- lunque e' fossero, levò un gran riso, e tutto
si diede al burlare ed a cianciare.
Partendosi di poi da Capri passò a Napoli ; e
benché per la mala disposizione, ch'egU aveva dentro, o poco, assai il flusso l'andasse tuttavia
molestando, stette nondimeno a vedere il
giuoco Ginnico delle braccia, che ogni cinque anni si faceva in onor suo. Accompagnò Tiberio
insino al luogo de- stinato ; ma nel
tornare sondo peggiorato 'assai della malattia,
finalmente si mori a Nola: e fatto tornare indietro Tiberio, a- vanti che e' morisse, lo tenne lungamente in
segreto a parlar seco, né dipoi applicò
più l'animo ad alcuna faccenda d'im-
portanza. La sua morte, e sua
presenza di spirito. Poco avanti ch'ei
morisse, domandava ad ogni poco se fupra
ancora per lui si faceva garbuglio. Fattosi dare uno specchfo si fece acconciare i capelli e rassettare le
mascelle, che gli casca- vano; e domandò
gli amici, ch'erano entrati dentro a vederlo, se pareva loro, che nella favola di questo mondo
avesse fatto bene gli atti suoi ;
soggiunse dipoi queste parole in greco : Fate ancora voi. allegramente gii atti vostri.' Dipoi
licenziato ognilno, mentre ch'egli
domandava coloro, che venivano da Roma, come stava SECONDO IMPERATORE 133 Lucilla figliuola di Druso, in un subito
cascò in braccio di Livia, e dicendole
queste ultime parole : LIVIA VIVI E STA SA^A., E RICOBDATI DELLA NOSTBA DOLCE COMPAGNIA, passò
di questa vita; la cui morte fu agevole,
secondo che sempre aveva desiderata^
perchè ogni vòlta ch'egli intendeva, alcuno essere morto presto e senza torménto o stento
alcuno, pregava gli Iddìi, che
concedessero tantg alni, quantp a tutti i suoi sinuli. Eutanasia, che così era sohto chiamarla (che yuol dire
buona morte). Innanzi die egli mandasse
fuori lo spirito, solo in una cosa fece ségno
d'essere uscito fuor di sé : questo è', che séndosi in un subito spaventato, si rammaricò, parendoli che
cinquanta giovani lo- portassero'via ;.
e questo ancora voglion dire, che fusse più tosto unio indovinamentò, che allenamento di mente;
conciossiachè morto che fu, altrettanti
soldati pretoriani, sua guardia del
palazzo, cioè de' primi della guàrdia, lo portarono fuora, in pubblico.
n giorno della di lui morte, l'età, i funerali. Morì nel Iettò medesimo, dove era morto
Ottavio suo padre, sendo consoli Sesto.
Pompeo e Sesto Apuleio* a' diciannove dì ^
d'agósto a ^re ventuna: ed aveva sessantasei anni, manco tren- taginque dì. Il corpo suo fu portato dai
senatori delle città parti- cipanti
de'benefizii de'Romani, e di quelli, i cui abitatori v'erano stali mandati da Roma, da (i)Nola insino a
Boville di notte, per la stagione calda
ch'era allora, ed il giorno si riposavano e tig- navano il corpo morto nelle loggie regie,
ovvero nel maggiore è più onorato tempio
di qualunque terra egli entravano. Da
Boville sino dentro alla città lo portarono i cavalieri romani, e posaronlonell'antiportodella sua casa. 1
senatori nell'arnamentp e pompg delle
sue esequie, e nel celebrare la sua memoria,
talmente fecero a gara, che, tra molte altre cose, vi furono al- cuni che giudicarono, che e' si dovesse fare
entrare il corpo in Roma per la porta
trionfale, portando innanzi la statua della
vittoria^ ch'era nel senato, e che figliuoU de' più nobili, così maschi come fenfiminè, cantassero quel canto
flebile, che si chiama nenia. Alcuni
volevano, che nel giorno dell'esequie i se-
natori, deposti gli anelli d'oro, che e' portavano, sì-mettessero quelli di ferro (il che non si era mai usato,
se non in segno di (1) Intendesi, che
Nola era di quelle Città, i di cui abitatori vi
erano 3tati mandati da Roma. grandissima
mestizia ed afflizione). Alcuni furono di parere, che le sue ossa fussero raccolte dai più
degni sacerdoti ^ che erano in Roma; e
fuvvi alcuno, che persuadeva, che il cognome
del mese di agosto si trasferisse nel mese di settembre, perchè in questo Augusto era nato, od in quello
morto. Altri volevano, che tutto quello
spazio di tempo, che era corso dal primo di del
suo nascimento insino al dì della sua morte, fusse chiamato il secolo Augusto : e così fusse scritto ne'
libri, dove si notavano le feste e
cerimonie sacre, chiamati, fasti. Ma poi che si furono risoluti, in che modo volevano onorarlo, fu
laudato in due luo- ghi con orazion
funebre : la prima dinanzi al tempio di Giulio
Cesare da Tiberio, la seconda nella ringhiera vecchia di Druse figliuolo di Tiberio, e dai senatori fu
portato in Campo Marzio e quivi fu arso
: dove fu uno, che era stato pretore, il quale af- fermò insino con giuramento, che, poi che e'
fu arso, avea vista la effigie di quello
andarsene in cielo. Baccolsono le,sue ceneri
i principali dell'ordine de'cavalieri, scinti, in camiscia e
scalzi, e le riposono nel mausoleo, il
quale sepolcro era stato fette edificare
da lui tra la via Flaminia e la riva del Tevere, la sesta volta che ci fu consolo : ed insino allora
volle che fussero del pubblico le strade
e selve, ch'erano intorno a detto sepolcro.
Il suo testamento ed" ultima volontà. Fece testamento un anno e quattro- mesi
avanti ch'ei si rtio- risse, alli tre
d'aprile, essendo consoli Lucio Plance e Gaio Silio; e scrissclo in due volumi, parte di sua mano
e parte dì mano di Polibio ed llarione
suoi liberti ; e lo diede in serbanza alle sei
velini vestali, insieme con tre altri volumi segnati col segno medesimo che il testamento, i quali cavati
fuora, furono tutti aperti e recitati in
senato. Lasciò suoi principali eredi' Tiberio
per due terzi, e Livia per la terza parte : a'guali ordinò che si chiamassero pel suo nome. I secondi eredi
furono Druse figliuolo di Tiberio per il
quarto, e per quello che restava, Germanico e
tre suoi figliuoli maschi. Xel terzo luogo sostituì molti suoiamici e parenti. Lasciò al popolo romano un milione
d'oro; ed alle tribù ottantasette mila e
cinquecento scudi ; ed ai soldati preto-
riani venticinque scudi per uno ; ed allo compagnie de' soldati ch'erano a guardia della città, dodici scudi
e mezzo per ciascuno: ed ordinò che
subito fussero pagati a ciascun di contanti, che insino a quel dì gli aveva tenuti riposti e
serbati per tali'effeUi. Fece molti
altri lasciti a varie persone^ e ad alcuni lasciò iDfìno alla somma di cinquecento scudi di entrata i'
anno : dicendo che l'avessero per
iscusato, che le facoltà non si distendevano più oltre e che a' suoi eredi non veniva a
toccarne più che tre mi- lioni e
settecento cinquanfa mila: non ostante che ne' venti anni prossimi gli f ussero venuti in mano, per
testamento de' suoi amici,, la somtna di
cento milioni d'oro ; perciocché quasi ogni cosa, con due eredità paterne insieme con le altre
«redità lasciategli, aveva consumato
nelle occorrenze della Repubblica. Ordinò che
Giulia sua figliuola e Giulia sua nipote, venendo a morte, non f ussero messe nel suo sepolcro. Delli
v'oUihii lasciati insieme col
testamento, in uno scrisse tutto quello ch'ei voleva che si fa- cesse nelle sue esequie; nell'altro era una
breve annotazione di tutte le cose fatte
da lui ; le quali ordinò che fussero intagliate
in tavole di rame e poste dinanzi al mausoleo; nel lerzo era no- tato brevemente in che termine si trovavano
allora le cose dello imperio romano e
quanti soldati vi erano, e dove e sotto quali
insegne, e quanti danari si ritrovavano nello erario pubblico, e quanti nel fisco privato, e tutti i residui
che restavano a riscuo- tersi delle
entrate pubbliche. Lasciovvi ancor notato i nomi- dèi suoi servi e de' suoi fiberti, acciocché ei
potessino dopo la sua morte riveder loro
il conto di tutto quello che del pubblico ave-
vano maneggiato. . 'LA VITA ED I FATTI DI
TIBERIO CESARE NERONE TERZO IHPERATOR ROMAHO La famiglia de' Claudii,
patrizia (perciocché e' ne fu anco On'al-
tra plebea, non minore né di potenza, nè,di riputazione) ebbe origine in Regillo, terra de'Shbini. Quindi
sendo Roma nuova- mente edificata, venne
ad abharvi con gran numero-di suoi amici
e partigiani, per mezzo ed opera di TitoTazio, compagno di Rp- mulo nello imperio; ovvero (il che era più
manifesto) sei anni incirca dopo la
cacciata dei re sotto Appio Claudio, capo di quella famiglia, e fu dai padri accettata nel numero
de!patrizii, e le fu assegnato dal
pubblico po' suoi clienti quella parte del contado eh' è di là dal Teverone, e per la sua
sepoltura le fu dato appiè del
Campidoglio. Furono in pro(:esso di tempo nella detta fami- glia venlotto consoli, cinque dittatori,
sette censori. Ottenne sei volte il
trionfo e due volte l'onore della vittoria senza il triónfo. Ed avendo di molti e varii prenomi e cognomi,
s'accordarono tutti insieme a rifiutare
il prenome di Lucio; perciocché due di'
loro, che erano cognominati Lucii, l'uno fu condannato per ladro, l'altro per omicida. Tra gli altri cognomi
prèse ancor quello di Nerone, che in
lingua sabina significa forte o valoroso.
Della gente de' Claudii, con alcune memorre di quella casa. Appariscono molte belle ed egregie opere
fatte da molti della famiglia de'
Claudii in servigio della Repubbhca, per le quali hanno meritato assai ; e molte ancora in
danno di quella e poco onorevoli. Ma per
raccontar quelle che sono più notabili, Appio Cieco dissuase il popolo romano a
'eohfederapsi con PiirO) come cosa poco
salutifera alla Repubblica. Claudio Caudice, essendo stato il primo de' Romani a entrare m mare
con armata e pas- sare lo stretto di
Messina, discacciò di Cicilia i Cartaginesi.
Claudio Nerone, venendo Asdrufoale di Spagna con gran gente, prima che e' si congiugnesse col suo fratello
Annibale, lo ruppe. Dall'altra banda
Claudio Appio Regillano, uno de' dieci uomini
preposti alle leggi delle dodici tavole, acceso dello amore di Vir- ginia figliuola di Lucio Virginio cittadino
romano, ancora pal- mella, ingegnatosi
con produrre falsi testimonii, di farla divenire serva, e condurla in poter d'u« amico suo,
per isfogare per tal via la sua
libidine, fu cagione che la plebe la seconda volta si divise da' nobili. Claudio Druse avendo fatto
fare una statua in suo onore, e
collocatola con la diadema (insegna regale) intesta, lungo la piazza d'Appio, tentò col favore ed
aiuto de' suoi parti- giani e clientoli,
di occupare T Italia. Claudio Fulcro essendo
con l'armata in Cicilia, e per antivedere il successo della guerra^ dando beccare a' polli, né volendo- essi
beccare, facendosi beffe della
religione, gli buttò in mare dicendo che bevessero, poiché non volevano mangiare ; ed appiccata la
zuffa, rimase con tutta l'armata
perdente. Ed avendo per ordine' del senato a nominare il dittatore, per riparare a tale
inconveniente, mostrando pure di farsi
beffe e tener poco conto del pencolo che soprastava alla città, nominò dittatore Iliciasuo ministro.
Simigliantemente delle femmine dì cotal
famiglia ci sono esempii in prò ed in contro :
perciocché di due Claudie che furono in detta casa, l'una fu quella vergine vestale, la quale se n'andò al guado
del Tevere dove era rimase in secco la
nave che portava la immagine di Cibele
madre degli Iddii, con tutti i suoi sagramenti, e la trasse di quel luogo, avendola pregata che s'ella aveva
conservata insino a quel di la sua
pudicizia, ne venisse con lei. L*altra fu la figliuola di Appio Cieco, la quale, come cosa insolita
alle donne, meritò d'esser condannata
per aver usato parole prosontuose contro alla
maestà dei popolo romano : perciocché, tornando da veder la festa, e per la gran calca delle genti non
potendo passare oltre colla carretta che
la portava, disse ad alta voce ; che desiderava
che il suo fratello Fulcro resuscitasse e perdesse un'altra ar- mata come quella di prima, acciocché la calca
e confusione della gente di Roma fusse
minore. Oltre a ciò é cosa notissima che
tutti i Claudii, eccetto solamente Fublio Clodio, il quale per po- ter ottenere il tribunato, e mediante quello
cacciare Cicerone di Roma, si fece
adottare da un uomo plebeo e di mancx) età di lui, IO SvKTONio. Vite dei Cesari. furono sempre degli ottimati ed unici
fautori della dignità ed autorità
de*patrizii, e tanto crudeli nimici d«lla plebe, che es- sendone uno condannato a morte, non si potè
mai indurre a di- chinarsL e
raccomandarsi al popolo in abito mesto a macilento (secondo il costume) per essere assoluto ; e
tra loro ve ne furono alcuni, i quali
nel disputare e litigare ebbero ardire di battere i tribuni della plebe. Fuvvi ancx)ra un'altra
vergine vestale, la quale, trionfando il
fratello contro alla volontà del popolo, montò
sopra il carro trionfale di quello o lo accompagnò insino in Cam- pidoglio; acciocché i tribuni non avessero
ardire contro .alle sacre constituzioni
impedirlo o contrapporsegli. . Da quale
stirpe traesse Tiberio la spa origine.
Di questa stirpe è disceso Tiberio Cesare per padre e per ma- dre ; per padre ebbe origine da Tiberio
Nerone, per madtre da Appio Fulcro, i
quali amendui furono fìghuoli di Appio Cieco.
Fu ancora introdotto nella famiglia de'Livii, essendo stato adot- tato in quella il ^suo avolo materno. Questa
famigha, sebbene era plebea, tuttavia
ella fu di gran riputazione ed. autorità nella
Repubblica romana. Ebbe otto consoli, due censori, trionfò tre volte, ed ebbe un dittatore ed un maestro de'
cavalieri. Fu an- cora illustre per gli
uomini valorosi che in quella si ritrovarono,
e massimamente per la virtù di Livio Salinatore, e dall'uno e dell'altro Druse. Livio Salinatore essendo
censore, condannò tutti quelli delle
tribù come uomini leggieri, perciocché avendolo tutti insieme, dopo il primo consolato, condannato
e punito in da- nari, di nuovo lo
crearono consolo e dipoi censore. Dr^iso am-
mazzò a corpo a corpo il capitano de' nimici chiamato Dfuso ; o dipoi fu cosi cognominato con tutti i suoi
discendenti. Dicesi an- cora, che
essendo vice-pretore in Francia, ricuperò dai Senoni l'oro che eglino avevano già ricevuto
nell'assedio del Campido- glio; e che
non fu loro ritolto da Camillo, siccome è scrìtto. 11 figliuolo del suo bisnipote, per essersi
portato valorosamente contro a' Gracchi,
fu chiamato padrone e difensore del senato; e
lasciò un figliuolo, il quale pel medesimo conto della legge agra- ria, travagliandosi assai, hi morto a
tradimento dalla fazione con-
traria. Del padre di
Tiberio. Il padre di Tiberio, essondo
questore di (iaio Cesare proposto
all'armata nella guerra alessandrina, fu in gran parte cagione di quella
vittoria : perchè sostituito pontefice in luogo dì Publio Scipione, fu mandato in Francia a coodurvi
Romani abitatori, de' quali ne collocò,
infra Tàltre terre, una parte in Narbona e>d. un'altra in Àrli. Nondimeno, ammazzato che fu
Cesare, seudo ognuno di parere^ e
deliberando, per ovviare a' tumulti, che di
tal fatto non si parlasse più, esso, oltre all'essere di opinione •contraria, aggiunse ancora che egli era bene
che f ussero pre- miati quegli che
avevano morto il tiranno. Appresso^ uscito che
•egli fu dell'uffizio della pretura, essendo nata discordia nella
fine dell'anno tra Ottavio,. Marco
Antonio e Lepido, ritenutesi le m- segne
del predetto magistrato oltre al tempo consueto e debito, se n'andò con Lucio Antonio consolo, fratello
di Marc' Antonio, a Perugia. Essendosi
tutti gli altri arrenduti ad Ottaviano, egli
solamente non si volle arrendere, né mutare di opinione ; e prima &\ fuggì a Palestrìna, dipoi a Napoli. E
tentando di commovere e «sollevare i
servi, con prometter loro la libertà, né gli riuscendo il disegno, rifuggì in Cicilia a Sesto Pompeo
; né essendogli stata data audienza così
prestamente, anzi proibitogli lo usare le in-
segne del pretore, passò in Acaia a Marco Antonio, col quale sendo in breve fatta la pace universale ira
tutti, ritornò in Roma ; € domandandogli
Augusto la sua moglie Livia Drusilla, che era
gravida, o della quale gli era' prima nato Tiberio, gliela concesse^
' -e poco dipoi si mori, lasciando due
figliuoli,^ Tiberio Nerone e Druso Nerone. Il luogo e tempo della nascita di
Tiberio. Hanno stimato alcuni Tiberio
esser nato a Fondi, mossi da ' tina
leggier congettura, che la sua avola materna fu di Fondi ; e che poco dipoi per deliberazione del senato
iu posto in Fondi in pubblico una statua
in onore della Felicità. Ma i più e più-
veri autori scrivono che nacque in Roma nella regione del pa- lazzo, a' sedici di novembre, sendo consoli
Marco Emilio Lepido la seconda volta e
Munazio Planco, dopo la battaglia fatta a Du-
razzo contro a Bruto e Cassio : e così é scritto ne' libri delle azioni del senato e delle cose sacre. Sono
alcuni nondimeno che scrivono, lui esser
nato Tanno innanzi che fussero consoli Irzio'
e Pansé ; ed alcuni altri l'anno seguente, sondo consoli Servilio Isaurico ed Antonio. Infanzia e puerizia di
Tiberio. • Essendo ancora in fasce, e
poi che egli fa alquanto più gran-
dicello, ebbe di molti travagli ed anche fu molto accarezzato ed onorato : conciossiachè il padre e la madre,
dovunque e* fuggirono, sempre lo
menarono con loro, e trovandosi vicino a Napoli fu due volte per manifestarsi col pianto, mentre
che e' cercavano ascosamente di un
naviglio per fuggir dinanzi a' lor nimici, che
in un subito s'erano scoperti lor sopra; primieramente quando e' lo tolseno con molta furia e prestezza di
collo alla nutrice che lo -allattava ;
appresso di grembo alla madre; come quelli
che per avanzar tempo cercavano dì alleggerir di peso le donne, onde elle fussero più spedite a montare hi
nave. Avendo ap- presso cerco la Cicilia
e TAcaia fu dai Lacedemoni, che erano
sotto la tutela de' Glaudiì^ ricevuto in pubblico e da persone pubbliche nello andarsene accompagnato ; e
partendosi di notte fu per capitar male,
perciò che nella sei va^.dov' egli erano en-
trati, si levò subito una fiamma di fuoco intomo intórno, e gli circondò in modo, che a Livia sua madre si
abbruciò una parte della veste e
de'càpegH. Sono ancora in essere le cose, che gli furono donate da Pompea sirecchia di Sesto
Pompeo in Cicilia: ' cioè una veste
militare, ed un grembiulino ed un pendente a
guisa di cuore, e si dimostrano a Baia. Poi che egli fu tornato in Roma, essendo adottato da Marco Gallio
senatore pen testa- mento, prese la
eredità, ma non volle pigliar il nome di quello: perciò che questo tale era stato delle parti
contrarie ad Augusto. Aveva nove anni,
quando in lode del padre, che era morto, fece
una orazione in pubblico. Appresso avendo già mutatala voce, accompagnò il carro trionfale di Augusto
nella vittoria che egli ebbe contro a
Marco Antonio e Cleopatra, lungo il promontorio
di Azio, essendo il primo a cavallo vicino al carro dalla man sì* - nistra : conciossiachè Marcello figliuolo di
Ottavia ca valcasse il primo dalla man
destra. Fu ancora capo ne' giuochi e feste che
si facevano in memoria della sopraddetta vittòria: e sìniilmente no' giuochi circensi fu capo di una squadra
di giovanetti nobili della sua età.
f Deiradolescienza e delle di lui
mogli. f Preso che egli ebbe la toga virile, dalla
sua giovanezza per insìno che e' fu
fatto principe, fece le infrascritte cose : primie- ramente fé' celebrare il giuoco de'
gladiatori in memoria del padre e ancora in menaoria di Druso suo avolo: non
già nel mede- simo luogo, né in un tempo
medesimo; perciò che in onore del padre
lo fé' celebrare in piazza, ed in onore delFavolo nello an- fiteatro: dove ancora fece entrare in campo a
combattere alcuni gladiatori vecchi, e
che già erano licenziati, e fatti esenti^ cor.
accrescere loro di premio due mila cinquecento scudi. Fece an- presso di me : ricordandomi di quei versi
d'Omero : Avendo costui in comps^nia ritorneremo Tuno e 1 altro dal fuoco ardente; perciocché gli
òdi .grandissimo an- tivedere. Quando io
o per lettere o a bocca ho nuoVe di te, et che io intendo che tu sei per le assidue
fatiche e travagli cqA estenuato^ non
abbia io mai bene, se io non mi sento tutto alte- rare, e ti prego grandemente che tu ti abbi
riguardo; acciocché lo intendere io e
tua madre che tu sia indisposto e non ti senta
bene, non sia cagione di farci terminare la vita nostra, e che il popolo romano non venga in pericolo di
perdere lo Stato, perchè il mio star
sano o di mala voglia poco importa, purché stia
sano tu. Io prego gli Iddii che a noi ti conservino e ci concch dano grazia che tu stii sano ora e sempre; se
già il popolo romano non è venuto loro
in odio. Uccisione del giovane Agrìppa
ed altre di lui operazioni. - Egli non
prima palesò la morte dì Augusto, ch'ei fece ammaz- zare il giovane Agrìppa da un tribuno de'
militi il quale lo aveva in guardia.
Costui lette alcune lettere che ciò gli comandavano, messe tutto in esecuzione. Non si sa bene se
Augustarlasciò le predette lettere con
quella commissione al suo moriréy per tor
vìa ogni occasione di scandolo e di garbuglio; o se p^n;^.Ìe fu- rono dettate da Livia con saputa di Tiberio;
ovvero cbe^Tiberio non ne sapesse cosa
alcuna. Tiberio una volta scrivendogli il
tribuno che aveva fatto quello che gli era stato comandato, ri- spose, che non gli aveva comandato cosa
alcuna : e che di tutto ciò che gli
aveva fatto ne avrebbe a render conto al senato : o vedesi manifestamente che rispose allora in
questo modp per fuggire il biaisimo ed
evitare quel carico, pprciò che egfi dipoi
lasciò passar la còsa senza farne parola alcuna. Suoi gemiti sulla lettura fatta in Senato
del testamento d'Augusto. Avendo
appresso, per Fautorità ch'egli aveva come tribuno, fatto ragunare il senato, cominciò a parlare
sopra a' casi della Repubblica; e quasi
che egli non potesse resistere al dolore,
messe un gran sospiro mostrando di aver desiderio, che non so- lamente la voce, ma ancora lo spirito gli
mancasse e porse a Druse suo figliuolo
l'orazione ch'egU aveva scritta, acciò che
egli finisse di leggerla. Appresso fatto venire il testamento d'Au- gusto non messe dentro alcuno di quelli che
s'erano soscritti, se non chi era
dell'ordine senatorio ; agH altri fece ricx)noscere la mano fuori della corte ;
facendolo recitare e leggere a un suo
lìberfo. Cominciava il testamento in questo modo : Poi che Tavr versa fortuna mi ha tolti ì miei figliuoli
Gaio e Lucio, voglio che . sia mio erede
per i due terzi Tiberio Cesare : e da queste parole si confermarono neiropinione loro quelle
persone che afferma- vano che Augusto lo
avesse eletto per suo successore, più per
non aver potuto fare altro, ohe perchè egli lo avesse giudicato a' proposito, non avendo potuto astenersi di
usare parole così fatte. ', Quanto si facesse pregare prima di
acconsentire di ricever Tlmperio.
Àncora che senza rispetto alcuno egli avesse preso il governo (li Roma e cominciato a trattare quelle cose
che occorrevano, con aversi fatto una
guardia attorno di soldati, il che dimostrava,
che violentemente e per forza voleva signoreggiare ; nondimeno stette un gran pezzo alla dura, ricusando
molto audacemente, e mostrando di non
volere accettare un tal carico : ora confortando i suoi amici, ora riprendendogli con dire dhe
ei non sapevano " quanto. gran
bestia fusse lo imperio: ora dando certe risposte irrisolule e che si potevano interpretare in
più modi; stando astùtaiAénte in su
l'onorevole, e tenendo sospesi i senatori i
quali se gli erano gittati a' piedi e caldamente lo pregavano che volesse accettarlo. Di maniera che alcuni di
loro cominciarono it non potere aver più
pazienza; é tra gli altri ve ne ^u uno che
in quella confusione e tumulto disse ad alta voce^ talché fu sen- tito da ognuno : Se ei lo vuol pigliare,
piglilo ; e se non lo vuole, lasci^
stare. Un altro fu che gli disse, che gli altri eran soìiti attenere tardi quello che e' promettevano, ma
che egli promet-r leva tardi quello che
di già aveva ottenuto. Finalmente, quasi
necessitato e sforzato, con dolersi che il carico, ché^li era posto
' sopra alle spalle, era una misera e
gravosa servitù, accettò l'im- perio ;
tuttavia con dare speranza di aversene qualche volta a liberare e di porre quel peso ; lo cui parole
furono I9 infrascritte : Pure che io
arrivi a quel tempo, quando e' vi parrà cosa giusta (li dare qualche riposo alla mia
vecchiezza. L«» ragioni por le quali si
era mostrato difficile ad assumere Tlmperio,
ed altri di lui fatti. La
cagione perchè egli «lava così alla dura, era il timore dei jx^ricoli che da ogni banda gli soprastavano
; tale che diceva spesse volte che ei teneva il lupo per gli orecchi. E percip
che un servo di Agrippa^ chianmto
Clemente, aveva ragunato buon numero di
gente e da non se ne far beffe, per vendicar la morte del suo padrone, e Lucio Scribonio Libone
uomo nobile nascò- mente andava
roachinando cose nuove centra a Tibeho, s'erano
abbottinati i soldati che erano nella Schiavonia, e quelli che erano in Germania; e Tuno e Taltro di questi
eserciti addoman- davano cose
strasordinarie e non solite di concedersi. E primie- ramente volevano che i soldati pretoriani e
che erano a guardia deirimperadore,
fussero pagati a ragguaglio de' soldati romani
che si ritrovavano in Germania. Altri di' loro erano che dicevano che lo imperadore che si era eletto non
piaceva .loro, e che non s'erano trovati
a crearlo; e facevano gran forza a Grermanico ni- pote d'esso Tiberio e da lui adottato, il
quale era loro capitano, e lo
stimolavano che egli occupasse la Repubblica : non ostante ch'ei s' ingegnasse in tutti i modi di
raffrenarli e far loro resi- stenza.
Tiberio adunque temendo grandenfientedi questi tumulti, pregò i senatori che dividessero lo imperio e
gli dessero a go- verno quella parte
della Repubblica che a loro pareva cotweniente ; perciò che un solo senza compagnia non era
sufficiente a gover- narla e che aveva
più tosto bisogno di parecchi che.di lin solo,
i quali gli aiutassero a reggere tal peso. Finse ancora di essere ammalato, acciò che Germanico quietasse
l'animo con pensare di avergli presto a
succedere o almeno di avere a esserli com-
pagno nel principato. Avendo in cotal guisa fermo gli animi dei soldati, astutamente e con inganni a Clemente
fé' por le mani addosso. Con Libone non
fece altro, se non che ivi a due anni in
presenza del senato lo riprese, mostrandogh ch'ei non^yeva ben fatto a macchinare contro al principe ;
né volle precedere seco più avanti e per
non inasprire la cosa, acciò che non n'a-
vesse a solver qualche maggiore scandolo : bastandogli in quel mezzo di starsi a buona guardia. Onde sacrifìcando
esso Libone tra i pontefici, ordinò che
in vece del coltello chiamato secespita,
col quale essi pontefici sacrificavano, gliene fusse dato uno di piombo per assicurarsi di lui ; e quando ei
veniva a parlargli in segreto, faceva
sempre venire alla presenza Druse suo figliuolo : i né altrimenti gli dotte mai udienza. E quando
alcuna volta pas- seggiava con lui,
usava sempre tii tenerlo per la man destra,
insin a tanto che e' fusse fornito il ragionamento : mostrando così di appoggiarsi sopra di quello. Ottimo
suo introito al principato. Assicurato
che ei si fu dal sopraddetto. sospetto e timore, da principio si portò molta civilmente nel
conversiare, trattando le cose non
altrimenti che se fusse stato una persona privata. E tra' molti e grandi onori che gÙ furono
oiffertì, non ne accettò alcuno, se non
alquanti e di poca importanza; tal che appena
concesse che il suo natale, il quale era nel dì che i giuochi circensi si celebravano, per dare spasso al
popolo, fussei onorato in cosa alcuna .
fuori deirordinario. Solo acconsentì che sì ag-
giugnesse in onore suo una carretta di quelle che son tirate da due cavalli ; né mai volle che in suo onore
fussero edificati tempii, né ordinatoli
sacerdoti, né. poste statue ovvero immagini: e se pure lo permesse alcuna voita^ lo fece con
patto che la sua statua non fusse posta
tra quelle degli Iddii, ma per ornamento dei
tempii. Non volle ancora che si giurasse in suo nome, nò che il mese di settembre fusse chiamato Tiberio e
quello di ottobre Livio. Ricusò il
titolo d*imperadore e il cognome del padre della patria e la corona civica heirantiporlo delle
case Palatine: né mai si fece chiamare
Augusto (con tutto che ciò gli fusse eredi-
tario) nelle lettere che da lui erano scritte, da quelle in fuori che egli scriveva ai re e potentati. Fu
solamente tre volte con- solo; e la
prima volta stette pochi giorni nel detto magistrato, la seconda tre mesi, e la terza, non
essendoin Roma, la tenne dal primo di
gennaio insino a quindici di maggio.
Sprezzò e vietò le adulazioni;
Fu intanto nimico delle cerimonie e adulazioni, che er non volle mai d'intorno alla sua lettiga alcuno
de' senatori, o per accompagnarlo o per
altri affari. Oltre a ciò gittandosegli una
volta a' piedi, per fare il debito suo, un cittadino che era stato consolo, si tirò indietro con sì fatta
prestezza e-furia,.che el venne •a
cadere rovescio. E quando alcuno parlando secofamigliarménte, o veratnente parlando in pubblico, diceva di
lui cosa che avesse dello adulatore,
senza riguardo alcuno gli rompeva le parole in
fiocca e lo riprendeva e mutava il vocabolo che quella tal per- sona aveva usato ; talché essendo ima volta
stato chiamato si- gnore, fece intendere
a quel tale che altra volta non volesse in-
giuriarlo, chiamandolo per nome così odioso ; e dicendo un altro te tue sacre occupazioni, gli fece mutare
quel sacre e volle che e' dicesse
laboriose. Un altro dicendo, che per sua autorità era venuto in senato, volle
che e' mutasse quel per sua autorità e
che dicesse per sua persuasione.
Sua tolleranza) nel comportare le ingiurìe e maliUcenze. ' Sopportava ancora molto pazientemente quelli
che dicevano mal di lui e quelli ancora
che lo diffamavano e componevamo versi
vituperosi in dispregio di lui o de'supi amici e parenti; usando di dire che in una città libera gli
anioii e lingue dovevano ancora, esser
libere. E pregandolo il senato con grande istanza che si andasse ricercando chi fussero quelle
male Knguee che e' fussero gastigati e
fattone dimostrazione, i^spose:. Noi abbiamo
da fare davanzo, e troppa briga sarebbe la nostra a volere atten- dere ancora a cotesto. Se voi aprite una tal
finestra, non ci sarà mai altro che fare
; perciò che sotto questo colore ciascuno cer-
cherà di sfogarsi e vendicarsi co' suoi nimici, accusandogli per male lingue. Dicesi ancora oggidì che egli
usò di dire nel senato le infrascritte
parole, le quali furono molto umane e benigne,
cioè : Se alcuno ci vorrà dire in contrario, io m'ingegnerò in
tutto quello che io avrò detto e fatto
di dar buon conto di me ; e se ei
seguiterà di volere esser nimico a me, io sarò nimico a lui. Suo rispetto e stima del Senato. Ma più notabile è, qhe nel chiamare e
riverir ciascuno in par- ticolare e
similmente in universale, egli aveva in un certo modo trapassato il segno della umanità; talché
essendo in senato il suo parer contrario
a quello di Quinto Aterio, gli disse : Io ti
prego che tu mi perdoni, se parlando come senatore un poco alla libera, io sarò di contraria opinione. E
parlando in univer- sale, disse non
solamente al presente, ma molte volte ancora
per Taddietro: Affermo, padri conscritti, che al buon principe, a cui voi date così piena e libera autorità,
s'appartiene non sola- mente di servire
al senato ed a tutto il popolo insieme, ma an-
cora di riconoscere per suo maggiore e superiore óiascun citta- dino in particolare. Né mi pento d'aver
questa opinione, né d'aver parlato in
questo modo; perèiocchè io vi ho trovati seiS-
pro giusti e favorevoli inverso di me, come miei signori e padroni che io vi tengo. . TKRzo iMsmk'sqn» 457 Restituito i*antÌGO potere alSénato. Oltre a ciò iiitrodusse in Roma una certa
apparenza di libertà, conservando al
senato ed a tutti. i magistrati T^utorità che prima aveano ; riferendosi in qualunque cosa
piccola o grande die ella si fusse, così
pubblica come privata, a' padri conscritti, come delie entrate e gabelle; degli arrendatori ed
appaltatori ; dello edificare o rifar di
nuovo alcuno edifìzio : oltre a ciò dello eleg-
gere e licenziar soldati, del far nuove genti de' romani, ovver de' soldati ausiliarii: e finalmente si
riferiva ancora al senato. di coloro
acquali si dovevano prorogare i governi degli eserciti e l'amministrazione delle provincie; ed a cui
si doveano com- mettere le guerre, se
alcuna ne sopravveniva per lo strasordi-
nario; e come. ed in che modo piacesse loro di rispondere alle lettere che i re scrivevano. Oltre a ciò costrinse
un capitano di cavalli, il quale era
stalo accusato per uomo rapace e violento,
a esaminarsi dinanzi al conspétto de' senatori. Sempre entrò solo in senato, salvo che una volta che egli si
fece portare in lettiga, per essere
infermo : e non volle che nessuno lo accompagnasse, se non quelli che lo portavano. Sua pazienza eoa quelli che combattevano le
sue opinioni. Non fece mai pure una
minima parola di cosa che fosse deli-
berata contro al suo parere; onde una volta essendo di parere che e' non fusse bene che coloro, a* quali
era dato thagistrato alcuno, si
trovassino assenti, acciocché ei potessino esercitar l'uffizio e contentarsi del carico che era
dato loro, ritrovandosi presenti ;
nondimeno contro al suo parere, uno cVera stato di- segnato pretore, ottenne dì potere essere
presente ed assente, come a lui pareva.
Un'altra volta parendo a lui che certi da-
nari che erano stati lasciati a quegli di Trebbia per edificare un teatro, si dovessero convertire in rifare e
lastricare ima strada, non potette
ottenerlo, e bisognò che ifiisse eseguita la volojatà del testatore. Oltre a ciò mandandosi a
partito in senato una certa
deliberazione, dove quelli ch'erano d'una opinione s'ave- vano a ritirare da una banda e quelli
ch'erano d'opinione con^ traria
s'avevano a ritirare dall'altra; Tiberio accostandosi a queUi ch'erano manco di numero, non ebbe
alcuno cbe lo se- guitasse : e cosi ogni
altra cosa si governava in Roma per Tor-
dinario e per via de' magistrati. E tanta era l'autorità de' con- soli, che gli ambascìadorì delF Africa ebbero
ardire d'andar a trovarli e dolersi che
Tiberio, al quale da' suoi superiori eran
stati mandati, non voleva spedirli e gli mandava per la lunga. Né ciò è cosa da maravigliarsene, essendo
manifesto, ch'egli ancora, quando i
consoli comparivano, si rizzava in pie, e ne)
passare per la via dava loro luogo.
Alcuni suoi modi civili e cittadineschi. Riprendeva oltre a La lussuria e libidine. ^ Dimorandosi a Capri fece accomodare un luogo
ed una stanza con certe seggiole attorno
attorno a guisa di un bordello, dove
egli potesse sfogare segretaoiento la sua libidine : e vi fece con- durre, di qualunque luogo ei potette averne
un gran numero di femmine e di fanciulli
e di garzonotti assai ben grandi : oltre -a
ciò fé' venire alcuni maestri, che insegnavano i modi di usare l'un con l'altro disonestamente, ì quali da
lui erano chiamati spintrie. Faceva
adunque che i predetti giovani s'abbracciavano
insieme a tre a. tre, l'un dietro all'altro, ed in sua presenza
usa- vano carnalmente insieme ; e ciò
faceva^ìer riavere il gusto « le forze
della perduta libidine. Ed avendo fatto apparecchiare camere e letti da dormire in diversi luoghi, in
ciascuna camera aveva fatto appicare
certe tavolette, dove eran dipinti molti stravaganti modi di venire all'atto della libidine,
facendo loro studiare certi libri
lascivi e disonesti che erano stati composti da uno chia- mato Elefantide: acciocché ciascuno di loro
sapesse, in che modo egli si aveva a
maneggiare ed atteggiare, secondo da che
banda e' sidri trovava. Aveva oltre a ciò in certi boschetti e luo- ghi ameni e dilettevoli, fatto fare alcune
stanzette vicine l'una all'altra molto
lascive e libidinose ; dove i maschi e le femmineper antri, spìlonche, grotte e tane, s'andavano a
guisa di satirettf e (ii ninfe
arrovesciando l'un l'altro : e già tutti quelli che di Capri tornavano in Roma, volgarmente e senza
rispetto alcuno lo chia- ^ inavano
Caprineo. infami sue oscenità. Le cose che appresso si diranno e che di lui
sono stale scritte sono ancora molto più
vituperose e da vergognarsi, non che al-
tro a crederle, non che dirle o starle ad udire. Procacciava i fanciullini ancor tenerelli, i quali da lui
erano chiamati i suoi piscicoli ; mentre che e' si bagnava, voleva ehe essi gli
sguiz- zassero tra le gambe e gli
scherzassei-ó intorno cosi dolcemente
mordendolo e leccandolo. Oltre a ciò, si accostava i bambini un pochette grandicelli, ma non perciò ancora
spoppati^ alla testa del membro come a
un capezzolo di poppa ; e nel vero la na-
tura e l'età, nella quale egli allora si ritrovava, lo inclinava
più a questa che ad alcuna altra sorte
di libidine. Perchè essendogli stato
mandato una tavola, dov'era dipinta Atalanta, la qual pi- gliava in bocca il membro di Meleagro ed
avendogli quel tale mandato a dire che
se quella istoria non gli piaceva, gli man-
derebbe in quel cambio venticinquemila scudi, egli non sola- mente per cosa bella l'accettò, ma ancora la
fece appiccaiÌB nella camera dove egli
dormiva. Dicesi ancora che una volta sacrifi-
cando ^'accese tanto sfrenatamente di quel fanciullo che gli te- i neva innanzi il turribile deirincenso che
appena compiuto inte- | ramente il
sacrifizio, egli lo tirò da banda e quivi nel medesimo ; luogo sfogò la sua libidinosa voglia ; e
allóra in quel punto an- ^ cera usò con
un fratello del predetto ch'era sonator di piffero; . ed ivi a pochi giorni fece spezzarle gambe ad
amendui, percioc- ché e' si
rimproveravano l'uno all'altro tale scelleratezza. Disonestà vituperosa colle donne
nobili. Non risparmiava ancora
le'nobili e gentil donne, Volendo che
ancora esse con bocca sfogassino la sua focosa e spòrca libidine; e che ciò sia vero, ne fa fède una certa
Mallonia, la quale egli j fece venire a
sé per tale effetto e perciocché ella non volle più, soffrire un sì fatto vituperio^ ordinò
ch'ella fosse accusata per adultera. £
dipoi essendo condannata e sentenziata, non si vergognò a dimandarla, s'ella
ancora si pentiva; talché levatasi di- j
nanzi a' giudici se n'andò prestamente in casa e col ferro te^ ! minò la vita sua : palesemente rimproverando
a Tiberio il \ vituperio ch'ella con
bocca aveva sopportato, chiamandolo vec- |
chio setoluto e puzzolente. Onde in certe feste ch'ivi a pochi | giorni si celebrarono, prese il popolo
grandissimo piacere e di- j mostrò
d'aver molto caro e d'ascoltare con grandissima atten- zione certi versi che pareano fatti in suo
dispregio e disonore, i quah appresso
s'andarono divulgando: la- cui sentenza è che il becco vecchio si leccava ed ingoiava la
natura delle capre.Sua avarizia e Sordidezza-
Fu molto avaro e meschino nello st>endere. A' suoi cofCigiani che andavano seco in compagnia ó in viaggio o
in qualche spedizione, faceva solamente
le spese senza dar loro salario alcuno.
Solo una volta usò liberalità con i danari di Augusto suo patrigno: e questa fu, che avendo fatto in
mare tre armate, donò alla prima, per
essere più onorevol dell'altre, quindici
mila scudi, alla seconda dieci]j|||a j alla terza cinquemila : di- cendo che gli uomini di questa ultima la quale
era di manco dignità, erano Greci, né
jsi dovevano propriamente cennumeraure
tra gli amici. Ch'egli non fece alcun ediftzio pubblico, né rappresentò
mai spettacoli, e sua scarsezza mei dar
altrui provvisioni. Poi che égli fu
prihcipe, non fece in pubblico edifizio alcuno
che fusse bello o magni6co: perciocché avendo Cominciato a fare edificare il tempio di Augusto e fare
rinnovare e f istaurare il teatro di
Pompeo^ dopo molti anni lasciò Tuna e l'altra di queste opere imperfette. Non fece anco
celebrar feste di sorte alcuna: rare
volte si ritrovò ^ quelle che da altri erano cele- brate; e tutto ciò faceva, perché non
l'avessero a richiedere, o a domandargli
qualche, grazia, per essere stato costretto a li- berar Azio componitore di commedie ch'era
prima scjliavo*. Avendo ancora sovvenuto
a' bisogni di certi senatori che furono
pochi, per non avere più a soccorrere alcuno di loro, disse che non era per sovvenire più alcuno di danari,
Sje^ non provavano o facevano fede in
senato d'essere in necessità; e che le cagioni,
per le quali eglino addomandavano d'essere sovvenuti, fussero giuste e legittime. Onde \^ maggior parte di
loro, per esser persone nobili e
costumate, vergognandosi, non si rappresen-
tarono altrimenti in senato ; tra' quali fu Ortafò nipote di Quinto Ortensio oratore, il quale a persuasione di
Augusto aveva preso moglie e ne aveva
quattro fìgliuoli a nutricare. Sua
tenacità e miseria ed altre sue azioni.
Due volte solamente apparve^ in lui, quanto all'universale, qualche liberalità : l'una fu, ch'egli servi
in pubblico per tre anni senza interesse
alcuno, di due milioni e cinquecentomila
scudi ; e l'altra fu che essendo arsi, nel Monte Celio alcuni casamenti
posti in Isola, fece stimare quello che valevano, e gli pagò a coloro di chi erano. Quanto alla prìma
liberalità fu for- zato ad usarla,
perciocché essendo grande strettezza di danari
(j romoreggiando il popolo, ed addomandando che si trovasse qualche rimedio alla necessità nella quale
allora si ritrovava, ordinò per un
decreto del senato, che gli usurai spendesaero i due terzi de' danari che sì trovavano ne'
terreni del pubblico, e che quelli che
erano debitori del comune fussero costretti a
sborsare allora i due terzi dellf^to. L'altra liberalità l'usò per quietare gli animi, essendo allora i
temporali molto tristi ; ma egli si
compiacque tanto di un tale benefizio, e gli parve^che ei Tasse sì grande, che mutando il nonie di
Monte Celio, volle die e' fusse chiamato
Augusto. A' soldati, poi che fu aperto e pub-
blicato il testamento di Augusto, nel ^uale egli aveva Ifisciato loro i danari, che di sopra abbiam ^etto, non
diede cosa a solo dette cento scudi per
ciascuno a' soldati pretotwni^'' e* non
avevano voluto acconsentire à Sciano nella C(K^p6 ('.ontro di lui. Fece ancora certi donativi
alle legioni di Boria : perciocché sole
tra le loro insegne non ritenevano ne^una im-
magine di Seiano. Usò ancora molto di rado di fare esenti -della milìzia ì soldati vecchi, come quelli, che
dipoi che gli erano vecchi, stava
aspettando che e' morissero e dopo la morte di
usurparsi quello che sì avevano acquistato. Quanto alle Pro- vincie non diede mai lóro sovvenimento, nò
soccorso alcuno, eccetto r Asia ; dove i
tremùoti avevano fatto danno a^sai e ro-
vinato alcuna città. Rapine ed
estorsioni dello stesso. Non passò
molto tempo che egli si diede ancora alle rapine e ruberie manifeste. Ciascuno afferma per
cosa certa, che ei condusse Gneo Lentolo
augure, il quale era mblto ricco .e le
cui entrate erano grandissime, con minacciarlo a uccidersi da se medesimo, solo perchè e' morisse senza
fìgliiloli e rimanere suo erede.
Condannò ancora a morte Lepida donna nobilissima, por compiacere a Quirino uomo consolare
ricchissimo, e senza figliuoli, il quale
l'accusava con dire ch'essa l'aveva voluto av-
velenare, che erano già passati venti anni, ch'egli l'aveva presa per moglie e dipoi l'aveva licenziata.
Confiscò oltre a mò i beni de'
principali di Spagna, della Gallia e dì Seria e di Grecia, per cose minime e di pochissima importanza; e
tanto iugiarìosa- mente, che tra gli
altri vi furono alcuni acquali non fu apposto altro, se non che eglino avevano
parte della lor roba in danari. Tolse
ancora a molte città ed a molte persóne private i loro antichi privilegii eia giurisdizione ch'eg4i
avevano sopra 'alle gabelle ed entrate
pnbblicho. Oltre, a ciò fece ammazzare a
tradimento Vonone re de' Parti e torgli ciò ch'egli aveva; il quale era stata discacciato del suo regno, e
con grandissima ricchezza s'era ritirato
in AntÌQc|4ajt come quello che avea fede
ne' Romani e s'era promesso ][Jjj^- l'avessero a difendere ed aiutare.
DeH'odìó, che portava ai suoi congiunti e pe^renti. L'odio che e' portava a* suoi. parenti,
cominciò primieramente a dilnos|trarlo
contro a Druse suo fratello : perciocché egli ma- nifesta una lettera, che il detto Druse gli
scriveva, conforts^ndolo che sì.an^i^^
con seco a costringere Augusto a restituire la
libertà ^ popolo romano. Appresso scoperse il suo mal animo contro a tutti gli altri. Non si piegò mai,
pure a usare un mi^ nimo atto di umanità
inverso Giulia sua ni)oglie, come era suo >
debito, la quale era stata confinata da Augusto; talché non so- lamente le fece intendere ch&ella non.
uscisse di quella terra ^ ove ella era
confinata, ma ancora le proibì lo uscir di casa :. né volle acconsentire ch'ella parlasse o
praticasse con pei'sona alcuna. Oltre a
ci.ò-ordinò che e' non le fussero pagati i danari che da Aligusto pel suo vitto gli erano stati
assegnali ; mostrando di non voler fare
cosa alcuna contro al dovere e contro a quello
che le leggi comandavano, . e che non avendo Augusto . fatpD menzione alcuna della sopraddetta prpvisiene,
non era ragione- vole ch'ella le fusse
pacata. Parendogli che Livia sua madre si
volesse anch'ellà travagliare del governo della Repubblica, se l'aveva recato a noia e fuggiva di trovarsi a
ragionar con 1«^^ talché di rado le
parlava, nò voleva che i ragionamenti fussero
niolto lunghi è segreti, acciocché le brigate non si dessero ad intendere ch'egli si governasse secondo il
papere e consiglio di quella: ancora che
molte volte se ne servisse e n'avesse di
bisogno. Ebbe similmente niolto per male cheli senato,. oltre agli altri titoli, lo chiamasse figliuolo di
Augusto e di Livia; onde non volle
acconsentire ch'ella fussé chiamata madre della pa- tria, né che in suo onore fusse fatta
alcun'altra dimostrazione dal pubblico;
anzi la riprose molte volte, con dirle, che a lei non istava bene di travagliarsi ne' casi
importanti della Repub- blica ed in
quelle faccende che a donna non si convenivano:
li SvETONio. Vite dei Cesari. ed allora massimamente la riprese, quando
èi vide che in quella arsione che seguì
vicino al tempio della Bea Ve^ta, ella s'era
mossa in persona a confortare il popolo ed i soldatf che pronta- mente soccorressino la città in quel bisogno,
siccome a tempo dei marito era solita di
fare. Suo odio colla madre. " ?••
Cominciarono appresso a tenersi favella l'uno -airaltro; e di- cono che la cagione fu quella che appresso si
dirà. Aveva più volte pregatolo Livia
chefusse contento^i fare abile uno ìlquale
era stato fatto cittadino romano, a potere essere nel numero dei giudici che di sopra abbiamo detto ; e
fihalmente le fa risposto da Tiberio che
voleva che nella tavola dove si notavanó4 nomi do' giudici fusse scritto ancor questo, cioè
che la madre lo aveva forzato a fare
quell'abilità a quel tale e che altrimenti |
non era per farne nulla. Onde ella ne prese sdegno e gli mostrò 1 corte lettere da lei conservate di Augusto,
nelle quali, venendo, a un certo passo, si dimostrava quanto Tiberio fusse
intollera- bile e di perversi costumi.
Dicono adunque che Tiberio ebbe tanto
per male ch'olla avesse conservato tanto^tempò le predette lotterò con si fatta rabbia rinfacciatogli le
parole di Augusto, che alcuni pensano
che tra le cagioni che lo mossonò a . pairtirs
di Roma ed andarsene ad abitare a Cdpri, qtiésta fosse la prin- cipale; he mentre che egli si dimorò nella
predetta . isola . vide mai la madre, se
non una volti in tempo di tre ani^i che ella
visse; e quella volta ancora non istette :n)olto seco, a ragiona- mento, né l'andò mai a visitare nella sua
infermità. E poi ch'ella fu morta, tenne
più giorni lo gènti sospese eoo dare speranza di voler ritrovarsi alle sue esequie, tanto che
finalmente essendo già il corpo corrotto
e guasto, la seppellirono senza lui; 'Non
volle ancora ch'ella fusse consagrata e deificata, mostrando che ciò gli fusso stato imposto da lei. Non.
tenne conto alcuno dH testamento ch'ella
aveva fatto. Perseguitò In breve tem^k) tutti
i suoi amici e familiari, per insino a quelli ai quali^nel suo mo- rire aveva lasciato- la cura di far celebrare
le sue esequie ; nno de' quali, ch'era
dell'ordine de' cavalieri, fu da lui condannato e confinato nell' isola di Anticira. ',.
" Sua crudeltà ed odio Verso i
figiryoUv .. Quanto a' figliuoli, nò
01*1180 cirera legittimo' e naturale, né
Germanico ch'era adottivo fu da lui amato con paterno affetto. Dispiacevangli i difètti di Druéo, parendogli
che e' fosse ttna per- sona molto
rimessa e fredda e troppo facile di natura, onde egli non mostrò plinto dr contristarsi della §ua'
morte ; e quanto se- ^ guo di dolore e'
fece, fu che celelyrate l'esequie, non cbsì subito' tornò alle sue faccende ordinarie e consuete.
Non volle che le . botteghe stessine
serrate molto, nò che si facesse altra xlimostra- zione : oltre a ciò sehdo venuti gli ambasci
atori.d' Ilio alcjuanto tardi a
condolersi cori es^osecq e confortarlo a pazienza, come se il dolore fusse in tutto passato via,
rispose loro ridendo, che ancora egli si
doleva della loro mala sòrte, poi ch'egli avevano perduto un cittadijio tanto egregio -come fu
Ettore. -Quanto a Germanico, fu sempre
nimico dall'opere va lo rose di. quel lo ^ mo-
strando che le non fussero tanto quanto si slimava ;.e die molle cose ch'egli avea fatte erano state senza,
proposito ; eie sue glo- riose vittorie
biasimava come dannose «l poptjlo romano. Ma ^
sopra a ogni altra cosa. gli dispiacque tJhe per fa gran carestia che in subito era venuta in Alessandria egli
vi fusse andato senza sua saputa, e si
querelò dì lui grandemente in senato. Credesi
ancpra che Gneo Pisone legato della Siria lo" facesse morire
per ordine di Tiberio. Costui
esse;ido.iyi a poco tempo accusato per,
tale omicidio, pensano alcuni ch^egli avrebbe manifestatole com- missioni avute da Tiberio, ma che non lo fece,
perciocché elle eran segrete e non si
potevano provare per tesiimonii. Egli adun-.
que n'acquistò gran biasimo e m fu incaricato assai ; e molle volte si senti a gridare di notte : «
Rendici. Germanico. » Con- fermò
appresso questa mala opinione che si aveva di lui, avendo trattato mollò crudelmente la moglie ed i
figliuoli di GermaliiccK Sua crudeltà
ed odio verso. la nuora. Èssendosi
Agrippina sua nuora per la morte del suo' marita . Germanico rammaricata un poco troppo
hbepam&nte ; la grese per jnano con
dirgli questo verso in gr^co: « A tè pare, figliuola . mia, die li sia fatta ingiuria perche tu non
sjbì l'impei^atrice ; » né ella da quel
terhpo innanzi ebbe mai grazia dì potergli parr' lare, perciocché una sera a tavola non volle
guMare certi,poiì[ìi che da lui gli
furon dati, e d'allora in poi non la convitò mai più, mostrando ch'ella avesse fatto quello per
darù a credere alle 472 TIBERIO CESARE
NERONE persone ch'egìi Tcivesscì voluta
avvelenare; ma vero era ch'egli ji;li
porse i delti pomi per vedere s'ella si fidava di lui e dipoi av- velenarla ; e ch'ella si guardò di notagli
assaggiare, comef quella ! che
indubitatamente credeva che fussero avvelenati. Ultima- mente dandole carico ch'ella voleva rifuggire
alla statua d'Au- gusto, come facevano i
servi, j^er muovere di so a compassione
il popolo e concitarlo contro a Tiberio, ora dicendo ch'ella vo- . leva rifuggire all'esercito, la confinò nell'
isola Panclatana ; e non restando lei di
biasimarlo e dirne malo, la fece battere da un cen- turione, il quale con un^ battitura le cavò
un occhio ; ed avendo deliberato per
morire di non mangiare, lo fjpce aprir la bocca
per forza e comandò che i bocconi le fussero impinzati giù per la gola. £ poiché ei non vi fu ordine a farla
mangiare e ch'ella fu morta, l'andò
diffamando e vituperando in tutti que'modi che : ei potette, dicendo esser bene che il giorno
nei quale era nata ^ fusse cqnnumerato
tra i giorni di male augurio e ne' quali non e ■ ben- far cosa alcuna. Parvegli ancora di
essere stato molto pie- toso inverso di
lei e meritare d'esser lodato assai ; perciocché ei non gli aveva attaccato un capestro alla gola
e strangolatola e . gittatola giù dalle
scale Gemonie (onde si gettavano gli .uomini
scellerati ) e per sì fatta cortesia e clemenza usata verso di lei acconsentì che il senato per un decreto
unitamente lo rihgra- ziasse, e che a
Gioye Capitolino, per memoria di cosi buona
opera, fusse dedicata e consagrata una cosa d'oro (4). Sua crudelt.^ ed odio contrn i
nipoti. « Rimasergli di Germanico tre nipoti, Nerone,
Druso e Gaio; e di Druso solamente
Tiberio; onde non avendo fìgliqoli, racco-
mandò Nerone e Druso, ch'erano i maggiori di Germanico, ai, padri conscritti ; ed il giorno che l'uno e
l'altro si rappresentò ( la prima volta
in piazza, ed avendo presa la toga virilo,- voi le che i fusse celebrato ed onorato, e dette la mancia
al popolo. Ma ve- j duto l'anno seguente
che per salute loro s'erano fatti .pubblica- '
mente i voli, parlò in senato, con dire che una tal cerimonia inverso di que' due fanciulli era superflua e
che e' non si doveva usarla, se non
inverso di coloro che fussero già oltre di età e che avessero fatto qualche cosa per la Repubblica
e data buon sà^o di loro; e così venne a
discoprire qiial fusse l'aniino suo verso
i due giovanetti ed a dargli in preda alle male lingue, cercando (1) Svetonio dice, fosse consagrato un dono d'oro.
astutametìte ch'egli avessero a dir male
di lui;, per aver cag;ione di fargli
capitar male. All'ultimo scrìsse al senato, accusaiklogli e mostrando come loro avevano fatto molte
cose -vituperose e ti iste; tanto che e'
furono sentenziati per nimici del- popolo ro-
mano, e così gli fece morir di fame, Nerone neir isola di Ponzo- e Druso appiè del monte Palatino. Pensano
alcuni che Nerone fosse costretto a
morire volontariamente ; e dicono ohe il carne-
fice andò a trovarlo, mostrando di esser mandato dai senato, e gli mostrò il capestro per affogarlo e
Tuncino per istrascinarlò ; e che Druso
fu tenuto' sènza mangiare, in modo ctìp ó'dettiaài morso in un pezzo di coltrice: e poi ch'e'
furono morti, fece get- tare le lor ossa
in diversi luoghi, talché con gran fatica furono ritrovate e raccozzate insieme. Sua crudeltà con gli amici. ; ^. . Quanto a' suoi antichi amici è familiari, di
venti ch'egli ne aveva eletti tra'
principaH e più nobili della città, co' quali si consigliava ne' casi della Repubblica, da tre
in fuora,'gli fece tutti ammazjÉare ehi
per una cosa e ehi per un'altra ; e tr? questi
fu Elio.Seiano, il quale fu ucciso còh un gran nuniero di suoi seguaci. Aveva Tiberio fatto grande costui
non per bene che ei gli •volesse, ma
solo per avere uno per la. cui fraudo egli facesse capitar male i figliuoli di Germanico,
acciocché Tiberio suo nr- pote e
figliuolo naturale di Druso venisse dopo ki a succedere nell'imperio. . " Sua crudeltà e durezza con i grammatici e
maestri. Fu parimente rigido e crudele
contro a certi Greci che teneva appresso
di 3é, de' quali prendeva grandissima Consolazione e sollazzo ; tra' quali un certo i^nojie,
ragionando con seco e par- landp così
esquisitamente, fu da lui domandalo iqual delle cinque lingue greche era quella nella quale egli'
allora cosi fastidiosa-^ mente parlava ;
é rispondendo il Greco ch'^U' ei*a la Jingua do- rica, lo confinò nèir isola di Ginara,
stimando che costui gli avesse voluto
rimproverare il tempo anjico, quand'egli partitosi di Roma se ne andò a Rodi ad abitare, perciocché i
Rodtotti parlano in lingua dorica. Oltre
a ciò avendo per usanza'di proporre sempre
a tavola ìqualche disputa e quistione, ed avendo inteso come Seleuco granin^tico cercava d'informarsi da'
'suoi ministri e^r- vidori quali fossero
gli autori ch'egli era sehto di studiare, per
venire preparato alle dìspate, primieramenéte gli comandò che non gli capitasse a casa ; od appresso, non
gli- bastando questo, lo fece
morire. Sua crudeltà dimostrata ancora
nella sua gioventù. Dimostrò d'esser
crudole, malignò e tardo di natura insinoda
fanciulletto ; o Teodoro Cadareo che fu suo precettore neirarte della rettorica parvo che fusso il primo che
come. persona sa- gace e di giudiìsio se
ne accorgesse ed in poche parole avesse
saputo bone esprimere la sua natura, chiamandolo a ogni poco, nel riprenderlo^ con parole greche, loto
macerato, nel sangue. Ma molto più si
scoprì di così perversa natura poiché egli fu prin- cipe ; ingegnandosi nel principio per
acquistarsi, come uomo mo- derato e
benigno, il favore e la benevolenza del popolo^ di na- sconderla e di simulìarla. Un certo buffone,
nel passare uno che era portato a
sotterrare, glj disso forte che ognuno lo .sentì, che facesse intendere ad Augusto che i lasciti
ch'egli aveva fatti al popolo ancora non
erano stati consegnati. Onde Tiberio, fattolo
venire a sé, gli diede quella parte che se gli appettava ; e di poi faCtolo giustiziare, gli disse che
rapportasse il vero ad Augusto. E non
miolto di poi negandogli un certo Pompeo cnvàlier ro- mano non so che pertinacemente, minacciando
di farlo ipetteroin prigione, gli disse
che di Pompeo lo farebbe diventar pompeiano;
mordendolo in cotal guisa e quanto al nome,_ e quanto alla fa- zione anticamente nimica della casa de'
Cesari e ohe era capitata male. I delitti di lesa maestà atrocemente.
vendicati. In questo medesimo tempo
domandandogli il pretore se ei voleva
che si raunassero i giudici sopra a quelli che avesifero offesa la maestà dell'imperatope, rispose,
che e' bisognava met- tere in esecuzione
quello che comandavano le leggi ; e le fece
osservare atrocissimamente. Levò un certo il Capò da una statai di Augusto per porvene un altro;, venne la
cosa in senato, e perchè si stava in
dubbio se gli era vero d no, fu con tormenti '
esaminato e condannato il reo': a "poco a poco questa soHé di calunnie venne a quello, che ancora queste
cose jdivontarono capitali, l'aver
battuto un servidore vicino alla immagine di An- gusto; l'aversi dinanzi a quella scambiata la
veste; Tavere pM^ tato la sua effigie
scolpita in anello o in moneta neV lardello pisciatoio pubblico ; Favér tenuto
contraria opinione da queUo che Augusto
avesse detto o fatlo. Capitò finalmente male ancora uno il quale nella sua città acconsentì
che^glì fosse dato lin magistrato in
quel dì medesimo ch'egli erano "già stati dati ad Augusto. \ .: ' \ ' Aìcune cose dà lui barbai-amente fatte sotto
apparenza di gravità. Fece oltre a ciò
molle altre cose sotto spèzie di Severità e di
gravità, mostrando di voler ridurre la città a vivere, civilmente, e tor via le male usanze; dove egli, sefcondo
che la natura gli porgeva, si portò
tanto crudelmente, che furono alcuni, i qiiali
Ì3Ìasimandolo del presente ed avvisandolo del fi^turo e del male ch'era per intervenirgli, composono questi
versi, la cui sentenza è questa: . Aspro e crudele, vuoi tu che io brevemente
diea.ogni cosa? Poss'io capitar male,
s'egli è possibile che tua madre t'ami.
Tu non se] Cavaliere, perchè ? perchè tu non hai i centomila. . £ se. tu andrai ben ricercando il tutto,
ìlodi ti fu dato per contino. Tu hai.
Cesare, scambiato i secoli d'oro ;
Perchè mentre che tu sarai al mondo, saranno sempre di ferro. ' Ha costui in fastidio il vino, peirchè^
comincia ad aver sete del sangue ; _J1
quale or bee tanto avidamente, quanto prima il vino j)retto. Risgnarda Roma il tuo Siila felice per sé,
non per te. " E Mario ancora puoi,
volendo, in lui considerare, ma quando tpi-uò di esilio: Oltre a ciò le mani di Marcantonio suscitanti
le guerre civili,. Non pure una sol
volta di sangue imbrodolate. E di' : Roma
è spianata, molto sangue spargerà.
Qualunque di esule sarà fatto impcradore. . I quaH prima voleva, che e' fussero ripresi,
come composti da uomini che in Roma non
potevano sopportare il dominio e come
dettati più dalla collera e dalla rabbia che ragione alcuna che egli avessero centra di lui, ed aveva in bocca
a ogni poco: Ab-, bianmi in odio e
facciano a mio modo. Appresso fece fede che
ell'erapo cose al tutto vere quelle che in cotal guisa dicevano. Come per leggieri peccati condannasse a pene
severissime. Fra pochi giorni, poi che
e'^fu arrivato a Capri, avendogli portato
un pescatore, mentre ch'egli trattava alcune cose in segreto, un gr^n barbio, ed essjBndoglì sopraggiunto
addosso posi allalm- provvista, comanda
che gli fusse stropicciata la f^icòia coft e^só, come quello'che venne tutto a rìmescolarsi,
vistosela comparir sopra dalla banda df
dietro decisola che per certi luoghi aspri
e beiiza via era venuto su carponi airovarlo: e parendo a quel poveio uomo di averne avuto buon mercato, e
l'allegrandosi, menln; (.!!fiRATOIie
183 Scienze ed arti possedute" da
lui. Fu molto studioso e letterato in
tutte 1^ scienze ed arti libe- rali;
quantoallo stile latino imitava Messala Corvino, alxjuale, essendo già vecchio, egli insino da
giovanetto aveva sempre por- tato
grandissima riverenza : jna per essere nello scrivere troppo(l) fìsicoso ed aifeltàto, lo rendeva alquanto
oscuro, talché riusciva meglio parlando
.all'improvviso che stando a pensare quelle 'Che egli avesse a dire. Compose ancora un'opera
in versi lirici, la quale è intitolata:
Lamentò della morte di Giulio Cesare. Com-
pose aiìcora alcuni poemi in greco imitando Eufurione, Ariano e Partenio ; e perciocché i predetti poeti
gli piacevano oltre modo, aveva nella
sua libreria le loro, immagini e tutti i libri ' che da loro erano stati composti ; e gli
teneva tra i libri degli scrittori
antichi e più riputati. Onde una gran parte de* Jetterati '' ch'erano in quel tempo, composono a gara
molle opere io loae di questi tre.
Dilettossi sopra a ogni altra cosa di storie- favolose ; in tanto che insino alle sciocchezze e cose
ridicole sommafinente gli
soddisfacevano: e perciò i grammatici, de' quali si difettava sopra a x)gni altra sorte di -letterati,
erano dk liii di molte voke
addirtìandati per vedepe come e' se la sapevano qual fussé stata la madre d'Ecuba: che nome avesse avuto
Achille e quando a ^isa di donzella
stette nascoso tra quelle vergini, quello ohe le sirene ^rano soKledi cantare. Il primo di
ch'egli entrò in- senato dopo la inorte
d'Augusto, per mostrarsi pietoso e religioso sa- crificò àgli Iddii col vino e con lo inceilso
ma. senza trombetta ; imitando m questo
Mings re di Candià, il quale nella* morte del
figliuolo in quella guisa aveva sacrificato. Cognizione della lingua greca, sebbene ei
mai l'usava. . ^ Ed ancora che il
parlare in greco gli fusse pronto e facile,
nondimeno si riguardava in alcuni luoghi di non parlare altri- menti che latino, e massimamente nel senato ;
di maniera ohe avendo a nominare
monopolio, che è vocabolo greco, chiese per-
dono, sendo necessitato a usare quel vocabolo forestiero. Simil- mente in una certa deliberazione del senato,
recitandosi emblema,, che pure è
vocabolo greco, disse che a lui" jftireva bene di levar via quel vocabolo e vedere di trovarne un
latino che significasse il medesimo: e
non si ritrpvando, jesprimerlo con piìj parolei (1) Fisicosó lo stesso, che scrupolóso. 'Comandò
ancora a un soldato, cìi'era slato interrogato in greco pfT Ipstimonio, che rispondosso in
latino. Sua inylalli.i e »lie
(s^^endosi duo volte, dui'ante il tempo del suo ritiro, avvicinalo a Hoina por enlran'i, tutte due le
vrtlte ritornò addietro. Mentre ch'egli
si dimorò noirisola di Capri, solo due volte
mostrò di voler tornarsene in Roma; la prima si condusse per mare sopra una galea rnsino all'orto che
è-vicino al luogo dove si fanno le
battaglie navali, e lungo la via del Tevere da ogni banda foca stare i suoi soldati che facessero
tornare addietro quegli che venivano per
incontrarlo. Un'altra volta sì condusse
per la strada Appia, vicino a sette miglia a Róma ; ma seDza entrar dentro, avendo solamente (lato una
occhiala alle mura della città, dette
medesimamente la volta addietro tornandosene
a Capri. La prima volta che essendo venuto per la via di mare, so ne tornò indietro, egli medesimo non seppe
la cagione: la se- conda ch(^ fu questa
per la strada Appia, se ne t(Jrnò indietro
per un caso maraviglioso che gl'intcrvenne : e questo fu che avendosi domesticato un dragone, e cibandolo
di sua mano, andò per dargli mangiare e
trovò che le formiche se Tavevano man-
giato. Fu pertanto avvertito che si guardasse dalla furia del popolo. Tornandosene Jidunque a Napoli e
trovandosi ad Astnra, cominciò a
sentirsi un poco di mala voglia, appresso parendogli essere assai bene alleggerito, camminò alla
volta di Cercelli. E per non dare
sospezione alcuna della sua infermità, *i'on solo si ritrovò presento a' giuochi che i suoi
soldati celebravano, ma ancora, sendo cacciato fuora un pòrco salvatico, gli
trasse alcune saette cosi da alto : e
per essersi scontorto alquanto il fianco e
nello ansare ripieno di ventp, venne a riaggravarci nella malat- ; tia : nondimeno alcuni giorni se n'andò
comportando assai bene. : E come ch'egli
si fosse fatto portare insino a Miseno, non per- ■ ciò lasciò indietro alcuna cosa del suo
vivere ordinariq, ban- ! chettando al
solito e pigliandosi i medesimi piaceri a diletti) i parte per non saper astenersi e parte per
mostrare di non aver male. Onde Caricle
medico partendosi dal convito per andarsele
a casa e volendo chiedergli licenza, gli prese la mano per baciar- ' gliene : ma Tiberio ^credendo che il medico
gli volesse toccare il ! )ol30, lo
pregò piacevolmente che non si partisse e che si pò- i nesse un-poco a sed'^'-e e soprattenne il
co^"'*'^ r»iii del solito e f '^li
bastarono le fo'"' ' « ' ^ siccome eg vumato quivi i convitati se
D'andavano e gli domandavano licenza, gK diceva, ad uno ad uno chi e* fussero. Luogo e tempo ftlla di lui morte. In questo mezzo avendo tiiovàto nel libro,
dove si notavamo giornalmente le azioni:
del senato che certi erano stati liberatr,
anzi non pure uditi, de' quali egli aveva scritto al senato, perchè e' fussero esaminati e condennati, con aver
detto brevemenfe non altro, se non che
uno gliene aveva accusati,. mugghiando e
dolendosi e parendogli d'esser disfurezzato, aveva deliberato ìix ogni modo di tornarsene a Capri per non
tentare di far cosa at- cuna se non al
sicuro ; ma ritenuto dal temporale e dalla ma-
lattia che tuttavia andava aggravando, non passò molti giorni ch'egli si mori in villa a un luogo di
Lucullo, avendo settantotto anni e
ventitre anni essendo stato nell'imperio, a' sedici di marzo, essendo consoli Gneo Acerronio Proculo e Gàio
Ponzio Nigra. Sono alcuni che pensano
essergli stato dato il veléno da Gaio a
tempo e che a poco a pòco lo consumasse. Altri che nello allen- tare della febbre presagli fortuitamente,
desiderando di rnsingiare, non gliene fu
dato. Altri dicono che e' fu affogato, sendogli stato rinvolto il capo (\) nel primaccio; perchè
essendo ritornato al- quanto in sé,
aveva ridomandato l'anello che gli era stato cavato di dito. Seneca scrive che avendo conosciuto
di mancare, si eavò l'anello di dito,
facendo segno di volere darlo a qualcuno e dipoi di nuovo se lo rimesse e che tenendo stretto
il pugno della mano sinistra, stette un
pezzo senza muoversi ; appresso chiamati in uh
subito quegli che lo servivano, né gli essendo risposto da alcuno,, che e' s'era levato e cascato non molto
lontano dal letto per es-. sergli
mancato le forze. I segni che
pronosticarono la di lui morte. ^
• L'ultimo di che fu da jui celebrato
del suo nasciméunto, essen- dogli stato
portato da Siracusa un Apollo, cognominato Tejmenite, ìi quale era molto grande e ben fatto, e
volendolo pqrre nella libreria del
Tempio, ch'egli nuovamente aveva edificjito e con- sagrato, glie le parve vedere in sogno
affermante che da lui non poteva essere
dedicato. E pochi giorni avanti che ei morisse, la torre del Faro a Capri fu rovinata
da'tremuoti. Oltre a ciò nel (1)
Primaccio, lo stesso che piumaccio. monte Misono la cenere, le faville ed i
carboni ch*6rakìo stati posti nella
stanza dove egli mangiava per riscaldarla, essendo stati spenti una gran parte del dì, in un
subito nel farsi sera si ridccesono ed
arsono una gran parte della notte; né mai vi fu
ordine a poterli spegnere. Festa
del popolo romano per la di lui morte.
Tanta fu l'allegrezza ch'ebbe il popolo romano della sua morte, che al primo avviso cominciarono le genti a
discorrere per le strade ; e chi gridava
che e* fusse gittate in Tevere ; e chi pre-
gava gli Iddii infernali che non gli dessero luogo alcuno nello inferno, se non tra gli empi e scellerati.
Altri minacciavano il corpo così morto
di attaccargli un uncino alla gola e gittarlo giù dalle scale Gremonie ; come quelh ch'erano
accesi contro di lui, ricordandosi della
suaantica crudeltà. E perchò nuovamente era
intervenuto per sua cagione un caso molto atroce, e questo è, che avendo il senato fatto un partito che i
sentenziati a morte ave ssero tempo
dieci di a essere giustiziati, accadde per ventura che il decimo giorno di certi ch'erano stati
condannati, venne appunto ad esser
quello, nel quale venne l'avviso della morte
di Tiberio ; costoro adunque raccomandandosi a tutte quelle per- sone che e' vedevano e pregando per la fede
che in loro avevano gli volessero
aiutare, perciocché non si ritrovando Gaio in Roma, non potevano andare a raccomandafsi a luì;
quelli pertanto che erano alla guardia
della prigione, acciocché e' non sieguisse cosa
alcuna contro a quello ch'era ordinato; gli strangolarono e gli gittarono giù dalle predette scale, chiamate
Gemonie. Ciò fu cagione di accrescere
carioo al morto Tiberio appresso del popolo;
come quello a cui pareva che un tale tiranno, ancora poi ch'egli era morto, perseverasse nella sua crudeltà.
Né prima si mossero quelli che
conducevano il corpo dal monte Miseno, che la mag- gior parte di quelli ch'erano presenti
levarono le grida con dire che fusse
portato ad Aversa ed abbronzato nello Anfiteatro : non- dimeno i ìsuoi soldati lo condussero a Roma e
fu- arso e seppel- lito
pubblicamente. Suo testamento ed ultima
disposizione. Aveva fatto testamento
due anni innanzi e scrittoio di man
propria e fattane fare una copia a un suo liberto ; e così l'ori- ginale come la copia aveva fatto soscriver e
suggellare da persone vili e di molto bassa condizione. Lasciò eredi Gaio
fi- gliuolo di Germanico e Tiberio figli
uol di Diruso suoi nipoti, cia- scuno
per metà ; e voile cbOéie' redassero Tun Taltro. Fece ancora di molti lasciti a diverse persone, come alle
vergini vestali, ai suoi soldati tutti
insieme ed alla'*plebe romana : lasciando a cia- scuno un tanto e spezialmente ai maestri de'
vichi, cioè capi de' borghi e delle
strade maestre. LA VITA EJ) l FATTI
DI GAIO CALIGOLA QUARTO IIPERATOR ROIARO Di Germanico padre di Caligola. Germanico padre di Cesare, figliuolo di
Druso e di Antonia giuniore, adottato da
suo zio Tiberio^ fu questore cinque anni
innanzi) che per legge gli fusse lecito; e dopo tal magistrato immediate fu fatto consolo. È mandato a
governo per capitano generale dello
esercito che sì ritrovava in Germania,. dove intesa la morte d'Augusto, raffrenò quelle genti che
pertinacemente ricusavano Tiberio e
volevano lui per loro imperadore; nella
qual cosa egli si dimostrò non solamealiB costante e forte, ma ancora pietoso ed amorevole. Ed avendo ivi a
poco tempo supe- rato e vinto i nimìci,
trionfò in Roma. Appresso fatto la seconda
volta consolo, prima ch'egli entrasse in magistrato; fu mandato a comporre lo Stato dell'Oriente ; dove
avendo vinto il re d* Ar- menia, ridotto
la Cappadocia in forma di provincia (cioè fattola distretto de' Romani), morì di trentaquattro
anni in Antiochia, avendo avuto una lunga
infermità, non senza sospezione di ve-
leno : perciocché oltre a' lividi che per tutto il corpo si gli
vede- vano e la schiuma che per bocca
mandava fuord, nello essere abbruciato
il corpo, fu ritrovato tra le ossa e cenere di quello il cuore intidgro e senza macula alcuna ; la
natura del quale si stima esseii^j che
avendolo tocco il veleno, non possa dal fuòco
esse offeso nò consumato. Morte
di Gennanico. Fu opinione che Tiberio
per opera di Gnoo Pisone lo facesse
avvelenare. Questo Pisone, essendo governatore della Soria^ diceva
apertamente che a lei bìsognayà, offendere o il padre o il figliuolo. E come se la necessità lo
strignesse a- farlo, usò inverso di
Germanico, quando egli era infermo, di molte stranezze, in- giuriandolo di fatti e di parole molto
villanamente ; onde ritor- nato a Roma,
fu poco meno che sbranato dal popolò edilse-
nato lo condannò a morte. Virtù
sì del corpo che deiranimo di GermaDico.
È assai manifesto che e' non fu mai uomo alcuno, nel quale tanto eccellentemente fussero accolte tutte
le virtù deH^an^mo del corpo, quanto in
-Germanico. Egli quanto al corpo fu ben
fatto e gagliardo e benissimo di aspetto, rarissimo d'ingegno, eloquente così in greco come in latino,
amorevole e benigno inverso di ciascuno
e nel farsi ben volere e guadagnarsi gli uo-
mini maraviglioso. Quanto alla proporzióne delle membra aveva un poco le cosce sottili ; ma usando di
cavalcare, poi ch'egli aveva mangiato,
del continovo le aveva assai bene ripiene. Nei
fatti di arme si trovò molte volte alle mani- col nimico a oolo^a solo e ne riportò onore. Avvocò ed orò, non
solamente essendo ancora cittadino
privato, ma ancora dipoi avendo trionfato ; e
tra' suoi scritti si trovano alcune commedie composte da lui in greco. In Roma e fuori nello esercito fu
sempre umano e cor- tese e di animo
civile ; andava a trovare le tèrre libere e confe- derate senza littori e come privato
cittadino; ovunque egli in- tendeva
ch'erano sepolcri d'uomini valorosi, gli.andaydi a vedere e celebrava onorevolmente le loro esequie. Egli
fu il primo che di man propria si messe
a ragunare l'ossa di quelle genti, che
sotto il governo di Varo erano state uccise, per ridurle tutte in un luogo e fattone un monte, edificarvi
sopra, un sepolcro. Fu tanto dolce e
placabile inverso di coloro, che^ne dicevano
male e che lo biasimavano, everso ancora di quelli GheBaiese mente erano suoi nimici, qualunque egH si
fiiésero e per miafun- que cagione, che
avendo il sopraddetto Pisene ahnuUftta le sue
deliberazioni ed angariando i suoi amici e partigianiyrwoàprinja si sdegnò condro di lui ch'egli ebbe scoperto
di essere ancora in persona propria con
incanti e veleni da lui perseguitato. Né con
tutto ciò fece altra dimostrazione centra di lui, salvo che, se- condo il costume degli antichi, ricusò P
amicizia di quello; e commesse a suoi
domestici e familiari che facessero le sue ven-
dette, se per opera di Pisene gli avveniva più un male che un altro. ' . 190 GAIOCAUGOLA L'amore e propensione di tutti verso di
lui. Egli di cosi fatte virtù fu
largamente rioompeusato e ne sentì
neilanimo grandissima consolazione; perciò che tutti i suoi lo stimarono tanto e tanto lo amarono, che
Augusto (per lasciare andare gli altri
suoi parenti) stette lungamente in proposito di
lasciarlo suo erede e successore, e finalmente comandò a Tiberio che lo adottasse per suo figliuolo. Fu oltre
a ciò tanto amato e riverito
dalVuniversale, che molti scrivono che ogni volta che egli andava o veniva in alcun luogo, era
tanto grande il numero delle genti, che
venivano ad incontrarlo o che Taccompagnavano,
che per calca e' portò alcuna volta pericolo della vita : e che tornando di Germania, poi ch'egli ebbe
quietato gli animi dei suoi soldati (che
volevano, come di sopra è detto, elegger lui
per loro imperadore), gli uscirono incontro tutte le compagnie de' soldati pretoriani^ non ostante che e'
fosse stato comandato loro che due
solamente gli andassino incontro: e che tutto il popolo romano, uomini e donne, giovani e
vecchi, nobili ed ignobili se gli
sparsono d'intorno e gli andarono incontro fuor
della città venti miglia.
Presagii che annunziarono la morte di Germanico e come fu pianto ancora dai barbari. Vidersi nondimeno molti maggiori e più certi
segni della be- nevolenza de' popoli
inverso di lui in morte e dopo morte che
in vita. Quel giorno ch'egli morì, i tempii furono rubati e gli altari degli Iddìi mandati sottosopra, ed
alcuni vi furono; che gittarono i loro
Iddii domestici e familiari nel mezzo della strada; e similmente i bambini, che pure allora erano
nati^ furono da loro posti fuor di casa
ed abbandonati. Oltre a' ciò dicono che i
barbari nimici capitali e che tuttavia guerreggiavano con esso noi, come se il danno di una tal morte fosse
comune ancora a loro, acconsentirono di
far triegua, dolendosene acerbamente.
Alcuni re si levarono la barba e tosarono i capelli alle mc^li, [)er dimostrare in cotal guisa grandissimo
dolore. Dicono ancora che il re de'
Parti si astenne dello andare a caccia e di ritro- varsi in convito co' nobili e grandi del suo
regno, il che ap- presso di loro è segno
di pubblica mestizia. Mestizia e pianto fatto In Roma per là di lui morte. In Bomà avendo avuto le nuove della sua
malattia, stava la città mesta ed
attonita aspettando i secondi avvisi ed in un su- bito in sul fare della sera sì sparse, una
voce^ senza sapere onde ellasiTusse
uscita, ch'egli era migliorato ; onde d'ogni banda corsero le genti con molta fretta in
Campidoglio coi lumi e colle vittime per
sacrificarle, e parendo loro esser tenuti a bada, fu- rono per isgangberare le porte del temjpio :
tanto erano deside- rosi di soddisfare i
voti che per la salute ili Germanico fatti
avevano. Fu svegliato Kial sonno-Tiberio per le grida di coloro che facevano festa e si rallegravano, e per
tutte le strade anda- vano cantando :
Salva è Roma, salva è la patria^ ch'egli è salvo Germanico. Ma
Drusilla e Livilla^ nate l'una dietro all'altra,, ed. altr^tiiai)iti' maschi, Nerone, Druse e Gaio Cesare: de^
quali Nerone e Druse furono accusati da
Tiberio in senato e giudicati ribeUi e ne-
mici del popolo romano. Luogo e
tempo della natività di Gaio' Cesare.
Gaio Cesare nacque a' trentuno d'^agosto, eseendo consoli suo padre e Gaio Fonteio Capitone ; non si sa
dove «egli nascesse, per la diversità
degli scrittori. Gnep Lentulo Getulico scrive
che e' nacque in Tigoti ; Plinio secondo scrìve che e' nacque a Trevirì nel borgo Ambiatine sopra ai
confluenti; e in fede di questo dice che
nel predetto luogo è ancora uno altare dove è
scrìtto : per il parto di Àgrìppina. l versi che furono divulgati, poi eh' e' fu fatto principe, dimostrano
ch'e' nacque nello esercito, quando i
soldati erano alle stanze^ la cui sentenza è questa: L'esser nato nell'esercito, ed allevato tra
ranni paterne, Era presagio,, costui
esser disegnato imperadore. Io rìtruovo
nel libro, dove son notate le azioni del senato^ lui esser nato in Anzio. Plinio scrive che
Getulico per adularlo ha scrìtto il
falso; perchè essendo il giovane borìoso e volendo ren- derlo glorìoso, volle mostrare che e'
partecipasse ancora in qual- che parte
di quella città ch'era consagrata ad ercole e tanto più venne a dar colore a questa sua menzogna,
quanto che uno anno innanzi era nato in
Tigoli un figliuolo a Grermanico, chia-
mato ancora egli Gaio Cesare, della cui piacevolezza e come ei morisse in fasce, di sopra abbiamo detto.
Contro a quello che scrive Plinio, e' è
il numero degli anni, per ciò che coloro, i
quali hanno scritto le cose d'Augusto, convengono che Grerma- nìco, finito il consolato, fusse mandato in
Gallia^ essendhr l'onplin gri? fiicoA ì*^v^{jo (Ji dito.: e perche e' faceva:
segno di non se lo voler lasciar tórre, lo fece af- fogare con avvolgergli il prìmàccio intorno
alla bocca, ed ancora con le sue mani
gli strinse la gola. E perchè un servidore, ve-
duta si fatta crudeltà, avea cominciato a levare il rumore, lo fece porre in croce spacciàtamente. E tutto
questo che s'è detto, par verisimile,
perciocché alcuni scrivono, che se :bene e' non
confessò mai d'averlo fatto morire, tuttavianon lasciò di dire che aveva avuto ih animo di farlo;
massimamente ch'egli usò^. molte volte
di gloriarsi d'essere stato pietoso^ amorevolein vetso- di Tiberio ; con dire, che essendo una volta
entrato in camera dì quello, mentre che
e' dormiva, con un pugnale per vendicar la
morte della. madre e dei fratelli, s'era dipoi pentito, mosso » compassione di lui, e che partendosi aveva
gittate via il pu- gnale : dicendo
ancora, che Tiberio, benché e' se ne fusse accorto, . nondimeno non aveva avuto ardire d'andar
altriménti ricercando- la cosa. Imperio di Gaio Cesare Caligola. Successe adunque nell'imperio con
grandissima soddisfazione del popolo
romano,, anzi, per dir così, di tutto il mondo ; perciò- che da ognuno era desiderato grandemente per
principe e mas^ simamente dai sudditi e
da soldati, i quali, per la maggior parte, ^-
Piccolino l'avevano conosciuto. Fu ancora -sommamente grato all'universale della plebe, per la buona
memoria del suo padr& Germanico,
come quelli che avevano compassione di quella
casa; parendo loro ch'ella fusse quasi spenta. E però subito che ó' si mosse da Miseno, accompagnando il
t^orpo di Tiberio, quantunque e' fu^se
vestito a brun o, nondimeno tra le fiaccole
ardenti e nel rappresentarsi all'altare e nel sacrificare e in
tutte quelle cerimonie fu sempre
accompagnato da grandissima mol-
titudine di gente ch'erano verniti a incontrarlo ; i quali ripieni d'allegrezza, oltre a'nomi felici e fausti
per i quali lo chiaiVia- vano, dicevano
ancora, come egli era la loro stella ed il loro
bambolino che s'erano allevato.
Le cose da lui fatte neiringresso al principato. Così entrato in Roma per consentimento del
senato e del p^ polo, che per forza si
mescolava tra' senatori^ fu annullata l^
irolontà di Tiberio, il quale nel suo testamento aveva fatto ere^gli
dierono piena autorità e balìa di governare ogni cosa a suo arbìtrio, e si fece grandissima festa ed
allegrezza : talché in tre mesi e non
anco interi, si scrive essere stato ucciso e dacrì6cato più di cento quaranta mila bestie. Ed ivi a
pochi giorni andando a vedere risole che
sono intorno a Napoli, furono fatti pubblici
voti perchè e' tornasse salvo ; e ninno era che lasciasse indietro a far nulla dov'egli potesse dimostrare di
averlo grandemente a cuore e di tenere
conto della sua salute e del suo bene essere;
tal che essendo cascato in un poco d'infermità, subitamente gli furono d'intorno a casa, standovi tutta la
notte, e vi furono an- cora alcuni che
votarono di combattere a corpo a corpo s'egli
riaveva la sanità : ed alcuni altri appiccarono pubblicamente le scritte, come e' sì votavano d'ammazzarsi.
Allo smisurato amore che gli portavano i
cittadini romani s'aggiunse ancora quello dei
forestieri, che fu cosa notabile e meravigliosa quanta grazia egli ebbe appresso di loro. E tra gli altri
Artabano re de' Parti, che sempre aveva
dimostro di aver in odio Tiberio e di stimarlo
poco, sp^jntanoamentc venne a chieder grazia di essergli amico e venne a parlamento con lo ambasciatore de'
Romani, e passato l' Eufrate adorò^
l'aquila e le insegne romane e te immagini dei
Cesari. Suoi costumi civili ed
umani nel principio del suo governo. .
Era ancora tanto umano e popolare, che egli accendeva gli unimi di ciascuno ad amarlo e riverirlo ;
onde avendo fatto una orazione in laudo
di Tiberio con influite lagrime e magnifica-
mente sotterratolo, subitamente se n'andò alla volta dell'isola Pandataria e dì Ponzo, per trasferire le
ceneri della «madre e del fratello in
Roma : né si curò per dimostrarsi maggiormente pie- toso, che il tempo fusse turbato. Ed arrivato
che e'Iù, le andò a trovare con molta
riverenza e di propria mano le acconciò e
pose nelle urne ; e con le medesime cerimonie posta una inse- gna in poppa dr un brigantino, se ne venne a
Ostia. Dipoi pel levcn*. entrò in Roma,
facendo tirare il brigantino contro al-
l'acqua a' primi dell'ordine de' cavalieri di mezzo giorno, in pnj- sonza quasi di tutto il popolo. E così
avendole messe in due ar- chetto, le
pose dentro al mausoleo : e ordinò che ogni anno si celebrassero in pubblico le loro esequie.
Oltre a ciò volle, che in onore della
madre si celebrassero ancora i giuochi circensi: e che quando e' s'andava processione, vi
fusse ancora un carro r,hiamato Carpento
in onor dì quella. E per memoria del padre volle che il mese dì settembre fusse
chiamato germanico. Ap- presso feoe fare
un decreto al senato nel quale furono attribuiti ad Antonia sua avola tutti quelli onori e
titoli ch'erano stati concessi in
divèrsi tempi a Livia Augusta. Elesse ancora Clau> dio suo zio (in quel tempo cavalier romano)
per compagno nel consolato. Adottò il
suo fratello Tiberio il di ch^ e' prese la toga
virile e lo chianiò prìncipe della gioventù. E perchè le sue so- relle fossero di maggior riputazione e più
onorate, volle ch'elle fussero
consagrate solennemente in tutti i modi soliti ; talché i cittadini romani usavano di parlare e di
scrivere in questo modo : Io non tengo
più caro me stesso ed i miei figliuoli, che io mi faccia Gaio Cesare e le sue sorelle. Cosi
avendo i consoli a rìfo- rire cosa
alcuna in senato, nel principio del parlar sempre di- cevano : con felicità e buon prò di Gaio
Cesare e delle sorelle. Dimostrossi
ancora umano e compassionevole inverso di quelli ch'erano condennati o confinati : rendendo
loro i confini e libe- randogli. Oltre a
ciò, tutte le accuse, atti ed esamine ch'erano
state fatte al tempo di Tiberio contro alla madre, contro a' fra- telli e contro alle sorelle, acciò che tutti
quelli che v'erano in- tervenuti, come
accusatori, o come testimoni, o come giudici
non avessero per lo avvenire a dubitare di cosa alcuna, furono da lui fatte portare in piazza; e
primieramente avendo ad alta voce
chiamato gli Iddii in testimonio che non aveva né letto né tocco cosa alcuna, le fece abbruciare. Ed
essendogli porto una scritta che gli
dava notizia di una congiura che gli era fatta con- tro, non la volle pigliare nò vedere chi
fossero i congiurati ; con dire, che non
aveva commesso cosa alcuna onde persona
gli avAsse a voler male : usando ancor dire, che per le spie e che per quelli che rapportavano non aveva
orecchi. Alcuni di lui modi civili e
della sua moderazione . Cacciò di Roma
i maestri di quella disonestà, che da Tiberio
erano chiamati spintrie : e vi fu che fare assai a temperarlo che e' non gli gittasse in mare. Fé' cercare
delle opere che avevano composto Tito
Labieno e Cordo Cremuzio e Cassio Se-
vero, che dal senato erano state fatte levar via ^ e dette licenza
che ognuno che voleva le potesse leggere
e. tenere in casa, con dire, che per lui
si faceva assai, che dei fatti di ciascuno ne restasse memoria a quelli che avevano a venire. Dette
conto in pubblico dell'amministrazione
dell'imperio ; il che era solito di fare Au- piena e lìbera autq|rità ; né
voile che a lui si potesse appellare
alcuno. Fu molto rigido e severo in rassegnare cavalieri e rive- der loro il conto ; ed a tutti quelli che avevano
fatto qualche ribalderia, ovvero
poltroneria, toglieva pubblicamente il cavallo,
« di quelli che manco avevano errato, nel rassegnare faceva trapassare il nome senza leggerlo. Per tor
briga a' giudici, ag- giunse la quinta
alle quattro prime decurie de' giudici. Tentò
ancora che il popolo al costume antico potesse raunarsi e ren- dere i partiti. Soddisfece e pagò fedelmente
e senza pregiudicare a persona, tutti i
lasciti che Tiberio aveva lasciati per testa-
mento, benché ei fussero stati annullati : e quelli ancora del te- •stamento di Livia che da Tiberio era stato
nascoso. (4 ) Licen- ziò il mezzo per
cento a coloro che compravano alcuna cosa
all'incanto: i quali danari erano soliti di pagarsi agli arrenda- tori deirentrate pubbliche. Rifece a molti i
danni ricévuti' per le arsioni. Ed a
que' re, i quali furono da lui rimessi in istato, rifece loro tutte l'entrate di gabelle e
d'altro, del tempo che era corso di
mezzo ; come ad Antioco Comageno due milioni e cin- quecento mila scudi, che tanti delle sue
entrate s'erano riposti nel fìsco. E per
mostrare che tutte le buone usanze gli piace-
vano e di voler dare agli altri buon esempio, donò a una donna libertina due mila scudi; perciocché essendo
tormentata con gravissime torture, non
però aveva manifestate cosa alcuna delle
scelleratezze del suo padrone. Per le quali buone opere tra gli onori gli fu per deliberazione del senato
concessa uno scudo d'oro, il quale ogni
anno in un di determinato i collegi de' sa-
cerdoti avessero a portare in Campidoglio, accompagnati dal se- nato e da' fanciulli nobili cosi maschi come
femmine: i quali cantavano certi versi
della sua lode e virtù, messi in musica.
Fece ancora il senato un decreto che il di nel quale egli aveva preso l'imperio fusse chiamato Palilia : come
se in quel giorno Roma fusse stata
riedificata di nuovo. Dei suoi
Consolati e della liberalità usata col popob.
Fu quattro volte consolo. Nel primo consolato stette due mesi, nel secondo trenta giorni, nel terzo
tredici e nel quarto undici. Questi due
ultimi seguirono l'uno'dietro airaltro*: nel
terzo ch'egli prese, trovandosi in Lione, non ebbe compagno alcuno : né ciò fece per superbia o
negligenza, come alcuni si (1) Licenziò
qui sta per rimise. Stimano, anzi perchè il suo compaio era appunto morto in
quei di ch'egli aveva a pigliar
l'uffizio e Caligola non si trovando in
Roma, non aveva potuto avere avviso della morte di quello in tempo. Diede due volte la mancia al popolo,
sette scudi e mezzo per uomo. Fece
ancora due bellissimi conviti a' senatori ed a' ca- valieri: e convitò ancora le lor mogli ed i
figliuoli insieme.- Nel secondo convito
donò per ciascuno uomo una veste molto ono-
revole da andare fuori con essa : ed alle donne ed a' fanciulli donò per ciascuno certi grembiuli di porpora.
E per accrescere, ancora in perpetuo la letizia pubblica, aggiunse un dì a'
Satur- nali e lo chiamò Giuvenale. Spettacoli da lui fatti rappresentare: Fece fare il giuoco de' gladiatori una volta
neiranfìteatro di Tauro Statilio e
-l'altra in Campo Marzio : e vi fece ancora fare il giuoco delle pugna, avendo mandato per
gente in Africa e nel regno di Napoli e
fatto scorre i migliori e i più atti a-quell-eser- cizio. Stava come giudice sopra una residenza
a vedere i detti giuochi, ma non (\)
tuttavia: usandoci dare alcuna volta tale
uffizio a certi magistrati ed: ^ qualche suo amico. Usò ancora molto spesso di fare recitare commedie e
rappresentazioni di varie sorti : e
molte ne fé' recitar di notte e tenere i lumi accesi per tutta la città. Gettò ancora dalle
finestre molte cose al po- polo, come
veli di lino, odori ed altre cose simili. Dette oltre a ciò a tutto il popolo un panier per uno di
cose da mangiare : e perchè un cavaliere
che gli stava dirimpetto a tavola mangiava
molto allegramente e di buona voglia, gti mandò' a presentare la sua parte : simigliantemente a un senatore
per la medesima ca- gione scrisse una
polizza con dirgli che lo aveva fatto pretore
per lo strasordinario. I giuochi ch'e' fé' celebrare nel Circo
Mas-. Simo, furono di varie sorti e
durarono dalla mattina insino alla sera
: perciò ch'egli vi fece far caccio di pantere di quelle che vengono di Barbeì*ia. Fecevi ancor far il
giuoco chiamato Troia. Ed in alcuni de'
predetti giuochi, ch'erano i principali, tinse di minio il pavimento del Circo Massimo e lo
fece i^verniciare di vernice gialla; e
volle che quelli che correvano sopra alle car-
rette, fossero tutti dell'ordine de' senatori. Mossesi ancora in un subito a fare celebrare alcuni de' predetti
giuochi a richiesta di certe persone
ch'erano sopra a' palchetti- vicini a lui : mentre (1) Tuttavia qui significa continuamente. eh
egli andava veggendo se lo apparato era secondo la legge so* pra a ciò fatta. Nuova maniera di spettacolo da lui
inventato. Fece ancora celebrare certe
feste non mai più udite né re- dute ;
perciò ch'egli gettò un ponte sopra il mare di tre mila se- cento passi circa, che teneva da Pozzuolo
insino a Baia, dove egli aveva messo
alla fila di qua e di là di molte navi e ferma-
tole in su le àncore e fattovi sopra una bàstia di terra ; ed ac- conciollo in modo ch'e' veniva appunto a
dirittura della via Ap- pia ed egli
passò in persona sopra il predetto ponte andando e tornando : il primo giorno sopra a un
bellissimo cavallo con la sua testiera
ed altri abbigliamenti, avendo in testa una corona di quercia, una targa di cuoio e la spada ed
una clamide indosso ; l'altro giorno
appresso vi passò sopra a una carretta tirata da (lue superbi corsieri in abito di uno di
quelli che guidano le carrette che sono
tirate da quattro cavalli, rappresentando un
fanciullo chiamato Dario, ch'era uno degli statichi de' Parti, avendo intomo a sé una squadra di soldati
pretoriani e dentro certe carrette un
gran numero di suoi amici. So che molti hanno
stimiate tal ponte essere stato edifìcato da Caligola ad imitazione (li Serse ; il quale ne gittò ancora egli uno
alquanto più stretto sopra l'Ellesponto
che fu tenuto cosa maravigliosa. Altri dicono
che lo fece per ispaventare i Germani e gl'Inglesi con qualche opera maravigliosa; a' quali popoli egli
aveva disegnato di muo- ver guerra. Ma
io essendo ancor fanciullo sentii dire al mio
avolo che i cortigiani più intrinsechi di Caligola gli dissono che la cagione fu, che Trasiilo matematico aveva
affermato a Tibe- rio, il quale
desiderava di sapere chi gli avesse, a succedere, come che egli con l'animo fusse più inclinato
al suo vero nipote, **he Gaio a
quell'ora sarebbe imperadore, ch'egli correrebbe a avallo pel golfo di Baia. Spettacoli da lui fatti ne' suoi viaggi in
paesi stranieri. Fé' celebrare ancora
alcune feste in paesi forestieri, come in
Cicilia nella città di Siracusa i giuochi aziaci ; ed in Francia
nella Mik di Lione alcuni giuochi
chiamati Miscelli (per essere una
"nescolanza di varie cose) ed ancor messe in campo uomini elo- luentissimi in greco ed in latino, i quali
feciono a chi faceva Aiì bella orazione
: e dicono che i vinti premiarono i vincitori e furono ancora costretti a
comporre la lode di quelli. Ma a quelli
le.cui orazioni erano assai dispiaciute, fu connandato che con la spugna o con la lingua le
scancellassero se e' non vo* levano
toccare delle sferzate o essere gettali nel fiume. EdifiziT pubblici da lui stabiliti e
terminati. Finì di edificare il teatro
di Pompeo ed il tempio di Augusto che da
Tiberio erano stati lasciati imperfetti; e cominciò gli acquedotti che vengono di versa Tigoli e
l'anfiteatro che è vi- cino al Campo
Marzio- Ma gli acquidotti furono finiti di edificare da Claudio suo successore, ed il tempio di
Augusto rimase im- perfetto. Rifece le
mura di Siracusa rovinate per l'anlichilà, e
vi fece ancora riedificare il tempio degli Iddii. Aveva in oltre disegnato di ristaurare la loggia regale di
Polieràte neHa città di Samo e di
fornire nella città di Mileto il tempio di Apollo chiamato Didimeo e di edificare una città nel
giogo dell'Alpi. Ma sopra ognialtra cosa
aveva nell'animo di tagliare lo stretto della
Morea; e di già aveva mandato Gaio suo centurione che vedesse quello che faceva di mestiero per la detta
impresa. Sua hurbanza ed
alterigia. Le cose narrate insino a qui
sono state di principe ; quelle che si
hanno a narrare saranno come d'un mostro. F^cevasi adunque chiamare in più modi; come Pio figliuolo e
padre degli eserciti e Cesare Ottimo
Massimo. E sentendo a caso alcuni re ch'erano
venuti a Roma per far il loro debito e rèndergli onore, i quali cenando in casa sua disputavano insieme della
nobi'Uà de' loro antichi, disse ad alta
voce in grecò : Un solo signore, un solo
re deve esser riverito dagli uomini ; e poco mancò che egli non prese la diadema, riduceudo il governo della
Repubblica a guisa di regno. Ma perciò
che gli fu detto che la sua grandezza avan-
zava quella de' j»e e de' princìpi, cominciò da quivi innanzi at- tribuirsi quelli onori che si convengono alla
maestà divina ; e dato commessione che
tutte le statue degli Iddii ch'erano pre-
clare per arte e per religione insieme con. queUa di Giova Olim- pio gli fussero portate, e che levato loro
il, capo vi fusse posto il suo. Accrebbe
il palazzo, e venne con la muraglia insino alla
piazza ; talché il tempio di Castore è Polluce venne a essere l'an- tiporto del detto palazzo. Usava adunque
spesse volte di porsi nel mezzo delle
statue di que' due fratèlli Castore e Polluce,
14 SvKTONio. Vite dei Cesari.
30^ GAIO CALIGOLA acciocché 'le
genti che passavano l'adorassero ; e furono alcuni che lo salutavano chiamandolo Giove Laziale.
Ordinò ancóra un tempio particolare m
onore della sua divinità; e cosi volle i suoi
particolari sacerdoti e certi modi di sacrificare le vittime molto esquisite. Stava nel tempio la sua statua
d'oro, la quale corri- spondeva con
tutte le membt*a alla sua persona ; e la vestiva ogni giorno dei medesimi panni ch'egli
vestiva se niede^mo. Ciascuno de' più
ricchi ambiziosissimamente e con grandissime
offerte comperava l'uffizio defl detto sacerdozio; il qiiàlé rioni da
Fondi. È roSa manifesta che volendo la
sua avola Antonia parlare secretamente
con Aufìdio Lingòne che in Roma era stato di magistrato, egli disse che non voleva ch'ella gli parlasse, se
non aila presenza di Macrono capitano
de' soldati pretoriani ; Hche fu cagióne della
sua morte, parendogli esser maltrattata da lui, benché alconi dicono ch'egli la avvelenò; né poi ch'ella fu
morta gli fece al- cuno onore e stette a
vedere ardere il suo corpo dalle finestre
delia sala dove egli mangiava. Kece amfViazzare il suo fratello Tiberio in un subito da un tribuno de' militi
all' improvviso, e quando egli manco se
lo pensava. Costrinse allora Sillano suo
suocero a morire e scannarsi con un rasoio, dicendo che la ca- gione perchè ei l'aveva indotto ad uccidersi
ora perchè o'non aveva voluto andare in
sua compagnia per mare, avendolo visto al- -
quanto turbato; e ch'egli ciò aveva fatto con disegno d'insigno- rirsi di Roma, so per disgrazia avveniva
ch'egli per fortuna di mare fusse
annegato. La cagiorìedi aver fatto ammazzar Tiberio- diceva essere stata, perciocché egli usava di
fiutar certe cose contro al veleno,
mostrando di aver sospetto di lui: ma Sillano
non era andato seco perchè il mare- gli dava noia e per ischi- fare quek disagio; e Tiberio usava di tener
ih bocca certe cose appropriate alla
tossa, la quale gli da\a -grandissimo fastidio. E se egli non incrudelì contro a Claudio suo
zio, e lo conser\'T) in vita come suo
successore nell'imperio, ciò fu da lui fatto più per burla e dispregio che per altro. Sua lussuria con tutte le sorelle. Ebbe che fare carnalmente con tutte le sue
sorelle, ed allora che la tavola sua èra
piena di persone^ se ne poneva quando Una
e quando un'altra a sedere a canto da man sinistra ^ avendo sempre la moglie da man destra. E credesi che
e' togliesse la virginità a Drusilla
essendo ancor fanciulletla. E dicono che Ab-
Ionia sua avola, in casa della quale si allevavano insieme, lo trovò una volta a giacer con lei.. Tolscla
ancora a Lucio Cassio Longino, ugmo
consolare, al quale era maritata, e pstlesemente se la tenne come sua legittima sposa. Ed
essendo infermo, la fece ancora erede
de'suoi beni e dell' imperio: e poi che ella fa
morta, comandò per tutta la citt^chesi serrassero le botteghe e si facesse segno di pubblica mestizia e
dolore : nel qual tempo fu peccato capitale' llavere riso, l'essersi lavato,
l'aver cenato col padre o colla madre o
colla moglie o con i figliuoli. E non
potendo resistere al dolore^ né trovar luogo in modo alcuno, ^ì parti di notte in un subito di Roma, e
facendo la via di Napoli prestamente se
n'andò ii Siracusa: e senza dimorarvi punto, su- bitamente se ne ritornò a Roma con la barba e
con i capelli lunglii ; né mai dipoi in
presenza del popolo o de' soldati parlò
sopra cosa di grande importanza, ch'egli non giurasse pel nome di Drusilla. Le altre sorelle non furono da
lui amate con si sfre- nato ardore e ne
tenne manco conto assai : perciocphè egli molte
volte le dette In preda a'suoi cinedi. Onde nell'accusa di Emilio Lepido che aveva congiurato contro di lui,
egli le condannò con manco rispetto come
adultere e còn^apevpli della predetta con-
giura ; e non solamente mostrò le scritte di mano di ciascuno de' congiurati, che per via d'inganni ed
adulterii gli erano per- venute nelle
mani, ma mostrò ancora tre spade apparecchiate
per ucciderlo, e le consagrò a Marte Vendicatore con appiecarvi le scritte.
De* suoi matrimonii e delle mogli. • .
Non si può agevolmente discernere se egli fu più vituperoso in quella moglie che e' prese, o in quelle
che ei ^ic^ziò, o in quelle che e' tenne
per sue senza licenziare. Essendo Livia Ore-
stiHa maritata a Gaio Pisone, e Gaio Pisene essendo venuto in compagnia degli altri per onorarlo e /are il
debito suo, comandò che la gli fusse
menata a casa, e fra pochi giorni repudiatola,
in capo di due anni la confinò; perciò ch'ella in quel tenapo aveva ripreso la pratica del primo marito.
Altri sprivonoche es- sendo stato
invitato alle nozze, comandò a Pisone che gli sedeva al dirimpetto, che non si aggravasse sopra
alla sua moglie, e subito la fece levar
da tavola : usando di dire il giorno appresso
che aveva di nuovo introdotto in Roma il costume antico di Ro- molo e d'Augusto in guadagnarsi la moglie.
Lollia Paolina era maritata a Gaio
Memmio, uomo consolare e capitano dell'eser-
cito ; e sentendo far menzione dell'avola sua, come di quella ebe era stata già bellissima, subito la fé'
tornare in Roma insieme col marito, e
toltola per sua moglie ed ivi a poco^ licenziatala, gli comandò che in perpetuo non usasse più
con persona. Amò molto ardentemente
Cesonia, e perseverò assai nello amor di
quella, la quale non era di viso molto bella, né per età molto giovane, e deiraltro marito aveva partorito
tre fn^liuoie, ma èra donna molto lussuriosa e lasciva oltre misura. Egli usò
molte volte di vestirla alla soldatesca
con la clanìide in dosso, lo scudo in
braccio e la celata in testa ; e cavalcandole così alla seconda, . ne fece la mostra a' suoi soldati: ma agli
amici la mostrò egli ignuda, e subito
ch'ella ebbe partorito la prese per moglie;
ed il di medesimo confessò d'essere suo marito e padre di quella bambina che di lei era nata, alla quale egli
pose nome Drusilla : e la menò attor-no
per lutti i tempii delle Dee e posola in grembo
a Minerva, raccomandandogliele ch'ella l'allevasse ed ammae- strasse. Ne per alcuno più fermo indizio
credeva ch'ella fusse del -suo seme, che
per la sua fìerezza ; perciocché ella ora tanto stiz- zosa e fiera, che con le dita distese
percoteva la bocca e gli occhi de'
fanciulli che scherzavano con lei. Sua
crudeltà verso i suoi congiunti ed altri.
Sarà cosa leggieri e fredda aggiognere a quel che di sopra è detto, in che modo egli trattò i suoi parenti
ed amici, e tra i primi Tolomeo re,
figliuolo di Juba suo cugino; perciocché egli
ancora era nipote di Marco Antonio, cioè figliuolo di Elena sua figlia. E cosi c^me egli, trattò Macrone ed
Ennio che lo favori- rono in farlo
imperadore, i quali tutti gli erano parenti ; e per grado de' benefiziì che alni gli avevano
fatti ricevettono in pa- gamento la
morte. Fu parimente crudele contro al senato, nò gli ebbe piò rispetto che a' sopraddetti. Non
si vergognò che al- cuni cittadini che
s'erano ritrovati ne' primi magistrati in toga
gli avessino a -correr dietro e d' irttorno alla carretta parecchie miglia; e che cenando gli stessero ritti
davanti, ora a' piedi suoi, ora intomo
alla credenza col grembiule bianco innanzi. Oltre a ciò ne fece ammazzare alcuni di loro
ascosamente, e di poi gli fQ'citare^
dando voce' ivi a pochi giorni che e' s'erano morti da per loro. Privò del consolato alcuni
cittadini perchè s'orano di- menticati
di far bandire il giórno del suo nascimento; e la Re- pubblica per tre 'giorni stette senza il
primo e più importante magistrato. Fece
battere il suo questore nominato nella con-
giura, con fargli cavare i panni di dosso e porre sotto a' piedi d*' quelli che lo battevano : perchè senza
sdrucciolape meglio lo po- tessero
battere. Usò la medesima superbia e crudeltà contro ai cavalieri e contro a' popolani; perciò
ch'essendo inquietato pe> gran romore
che facevano coloro che pigliavano i luoghi a mezzi notte nel circo per non avere a spendere^
tutti a suon di bastr nate gli lece
cacciar via ; e venti oava^^eri o più f^^^nà i" sando^i per esser malato, mandò la lettiga:
un altro, poi Che egli fu stato a vedere,
lo fece andar secò a mangiare, e cori ogni
piacevolezza e intrattenimento Tandò accarezzando perchè egli stesse allegro e si flettesse a burlare e
cianciare. Quello ch'era sopra alle
cacce e ^opra 'alle feste, fattolo ^tare per alquanti di incatenato con farlo battere, non prima fece
ammazzar^ che e' si senti offeso
dall'odore del cervello putrefatto. Fece abbruciare nel mezzo doU'anfiteatro. un conoponitore di
farse, per un verso- lino ch'era un poco
ambiguo. Fé' gettare un cavalier romano alle
fiere; e perche ei gridò ch'era inijocente, lo fece ritirare in- dietro e tagliargli la lingua; ed appresso lo
rimandò a farlo di- vorare. . - Sua crudeltà verso i relegati e òon un
senatore. Domandato uno ch'egli aveva
fatto tornare d'esilio, dov'era
invecchiato, quello^ ch'egli faceva in detto luogo, e rispondendo colui per adularlo: -Io pregai sempre Iddio
che (come accadde) Tiberio morisse e tu
fossi fatto inaperatore ; immaginandosi che
quelli ch'erano stati conBnati da lui, contro di lui pregassero il medesimo, mandò intorno a quell'isole dove
égli eraiìt) a farli tutti ammazzare e
tagliare a pezzi. Ed essendogli venuto capriccio di fare ammazzare un senatore, messe eerti alle
poste, i quali^ mentre ch'egli entrava
in senato, chiamandolo nimico pubblico,
subito io assalirono, e sforacchiatolo coi^ gli stiletti. di ferro
lo dettone in preda al pòpolo che ne
facesse brani ; nò prima .fu sazio ch'ei
vide tutto il suo corpo tagliato a membro a pembro e strascinato per le strade ; e dipoi si vide
dinan.zi agli occhi tutti i pezzi di
quel corpo, raccolti insieme con le interiora in un monte.,
Alcuni di lui detti pieni di ferocità e violenza. Le parole crudèli ch'egli usava facevano
parer più crudeM i suoi crudelissimi
fatti ; dicendo di se stesso .che d^lle buone parti che egli in so avQSse, l'era (per usare il suq
proprio .vocabolò)'la AàriO' tepsia
(cioè l'èssere sfacciato e sen^a vergogna alcuna). Bijprendendolo Antonia sua
avola, gli rispose (come quello che sUmaTa
poco l'esserne ubbidiente e riverirla): Ricordati che a me è lecito di fare ciò ch'io voglio contro a qualunque .persona.
Quando ei fece ammazzare, il fratello,
dubitando che per paura d'essere av-
velenato e' non si fusso provveduto di qualche rimediò contro al veleno, disse: Rimedio contro a Cesare?
Minacciava le aorelle che dà lui erano
state confinate, con dire che, non bastando di
averle confinate nell'isole, aveva ancor modo di farle ammazzare con le spade. Un cittadino il quale era stato
pretore, essendo tor- nato dell'isola di
Anticira, dove egli ei^ andato per essere mal
sano, e addimandando, per guarire affatto, nuovamente licenza, comandò Caligola che e' fusso ammazzato :
dicendo che_bisognava trar sangue a chi
in tanto tempo non aveva giovato lo elleboro.
Ogni dieci dì era splito di rivedere le carceri e scrivere quelli che fussero ammazzati, usando di dire che
recava i conti al netto. Avendo in un
medesimo tempo sentenziato alla morte
alcuni Greci ed alcuni della Gallia, si gloriava di aver soggio- gata la Gallogrecia, la quale è una provincia
nell'Asia. • Peggiori e più atroci di lui fatti. Voleva che a coloro che e' faceva ammazzare
fussero solamente date certe punture
minute e spesse : avendp- sempre in bocca
quel suo precetto divulgato : Feriscilo in modo che ei s'accorga di morire. Avendo pei* errore fatto ammazzare
uno in cambio di un altro, disse che
ancora egli aveva meritato il medesimo. A
ogni poco usava di dire quel detto tragico: Stiano pure in timore e voglianmi male a lor modo. Incrudelì ancora
contro a tutti i senatori, come
partigiani di Sciano, e come queHi che, per avere accusato sua madre ed i suoi fratelli, erano
stati cagione che Tiberio gli avesse
fatti morire ; producendo gli scritti i quali egli "aveva fatto vista di avere arsi: e
scusando Tiberio di averli fatti
ammazzare, con dire che, essendo tanti gli accusatori e di sì grande riputazione, egli era stato
necessitato di prestar loro fede.
Continovamente diceva villania e con parole ingiuriava i' cava- lieri romani ; dicendo che eglino, erano
uomii)! da servirsene a commedio e
feste, perciò che non sapevano fare altro. Adiratosi contro ai-popolo perchè mostrava di favorire
nel fare le carrette a correre la parte
coritraria a quella che esso desiderava che
vincesse, gridò ad alta voce : Iddio volesse ^che il popolo romano avesse un sol collo. Essendogli addimandato
che un certo ladrone chiamato Tetrinio
fusse punito, disse che quelli che lo Addimandavano tutti erano Tetrinii.
Combattendo cinque Féziarii (cioè gla-
diatori che combattevaiio con una réte da pigliar pesci, con la quale avevano a scoprire il nimico', e con
una pettineMa per uno in mano che aveva
un pesce per insegna in testa), e senza fere
difesa alcuna essendosi lasciati vincere avendo ceduto agli av- versari!, comandò Caligola a' predetti
avversarii che gli ammaz- zassino : .
onde uno de* reziarii presa la pettinella in mano am- mazzò tutti i predetti avversarii. Pianse
allora Caligola questa uccisione come
cosa atrocissima e crudele ; e pubblicamente per via del banditore maledisse tutte quelle
persone alle quali era bastato l'animo
di stare a vedere. Suoi lamenti per la
felicità dei suoi tempi. Era ancor
solito di rammaricarsi palesemente della condizione de' tempi ne* quali egli viveva, perchè e'
non seguiva qualche rovina universale e
grande da fare che e' fussino ricordati appresso di quelli che avevano a venire: dicendo che
a' tempi di Augusto era seguitata la occisione
Variana ; aiiempi di Tiberio la rovina
dello anfiteatro nella-città Sei Fidenati, doVe erano morti quei ventimila ; le quali rovine amendue erano
state notabili ; e che de' tempi suoi
andando le cose tanto prosperamente non era per
esserne fatta menzione alcuna. E ad ogni poco diceva che desi- derava che qualche uno di quelH eserciti che
erano fuora fusse rotto e mandato à fil
di spada ;,o veramente sì che e* seguisse
qualche fame o qualche pestilenza o arsione, o ch^ la terra si aprisse in qualche luogo. Sua crudeltà nelle
cene, nei giuochi, ne' spettacoli e ne' sagrifizìi. Giuocando, diportandosi e ne' conviti ancora
in fatati ed in parole sempre usava la
medesima crudeltà. Spesse volte dinanzi al suo
cospetto mentre e' mangiava era esaminato qualcuno per via di torture. Ed un soldato il quale aveva buona
maniera in quell'arte tagliava quivi
loro la testa in sua presenza. Quando egli ebbe
edificato il ponte di Pezzuole, che di sópra abbiam detto, ed es- sendovi sopra, fece venire a sé un gran numero
di gente di quelli che stavano a vedere
in sul lite del mare, e subito che e' furono
arrivati gli fece, gittare in mare ; e appiccandosi alcunidi loro ai timoni ed alle navi gir faceva ricacciar
sotto co' pali con le stanghe e con
rèmi. Facendo in Roma un convito al popolo in pubblico, vi fu un servo cb^ levò da uno dì quei
lettucci dove si Rta a sedere a tavola una bandella di argento; onde égli fé'
\^nire spac- ciatamcntejl carnefice e
gli fece tagliar le mani e appiccargliele
al collo, acciò eh' elle gli pendessero ^ù del petlo: e fattogli [)ortare una tavoletta nella quale era
sciitto il furto che egli aveva fatto,
lo fo' menare attorno alle t3:vole di tutti coloro che erano convitatii Scherzava con un gladiatore,
ed avevano una bacchetta in man per uno
con la quale schermivano ; distesesi in
terra il gladiatore in pruova mostrando d'essere da lui supe- rato^ di che eg)ì prese il pugnale e
raramazzò, o secondo il costume de'
vincitori scorso il campo eoa la palma- in mano. Una volta sacrificando, vestita solennemente secondo il
costume, e fatto accostare la vittima
allo aitarci,. al^ò il "mazzo e dette con esso in su la testa al ministro ch'era quivi per
iscànnare quello animale. Trovandosi a
un bellissimo convitò, cominciò in un subito senza proposito alcuno a sgangasciare delie risa :
e domandato dai consoli che appresso
Risedevano piacevolmente perchè egli cosi
ridesse, rispose : perchè credete, se notì perchè io posso con un sol cenno farvi 'scannare amendue òr
ora? Àpelle fatto da lui staffilare, e
altri suoi detti. Trovandosi accanto
alla statua di Giove in varii ragionamenti
e molto piacevoli, si rizzò in piedi e domandò un certo Apelle istrione e rapprèsentatore di tragedie,
accostandosi così alla pre- detta
statua, chi gli pareva maggiore, o lui o Giove, e penando quello a rispondere lo fece scoreggiare ; e
raccomandandosi e do- lendosi Apelle,
lodava la sua voce, dicendo ch'ella nel sospirare- e rammaricarsi era: àncora molto soave e
chiara. Ogni volta che e' baciava il
collo della moglie o della amica sua usava di dire: io posso pur fare spiccare a mia posta quésto
mio colUcino così buonjD. Oltre a ciò
usava di di/e a ogni poco che Voleva un dì a
ogni modo tormentare la sua Cesonia^ e colle cordelle esaminarla e farle confessare qual fusse la cagione,
ch'egli cosi fortemente l'amaVa. !^ Sua malignità e. superbia verso tutti. Era non manco invidioso e matignq che
superbo e crudèle; nò fu quasi sorte
alcutìa di uomini di qualunque età ch'egli non
perseguitasse. Le statue degli uomini illustri,^ che per la stret- tezza del luogo erano stateievate da Augusto
di su la piazza del Campidoglio e poste
nei. campo Marzio, furono da lui rovinale e gua^; in modo, che chi -le avesse
volute rifare non avrebbe non che altro
potuto-ritrovarne i titoli . E da quivi innanzi comandò che nìuho ardisse di porre statue o immagini
di persona in luogo alcuno senza sua
espressa licenza. Ebbe ancora in animo di faro
ardere tutte le opere di Omero dicendo : perchè non è lecito a me il medesimo che a Platone il qnale gli
dette bando della sua ^ Repubblica? E
poco mancò ancora che d«3lle librerie ch'erano in Roma egli non facesse levar via tutte l'opere
di Virgilio e quelle di tito Livio
insieine con le loro immagini ; biasimando Virgilio come persona senza lettere e di nessuno
ingegno, e di Tito Livio dicendo ch'egli
era un ciarlatore ed uno scrittore a caso. Mo-
strava ancora di ypler levar via tutti i li|3ri delte leggi ;
dicendo che un di aveva a fare in iiiodo
cht^ i dottori non potrebbpno al- legare
altri Che lui., '. Sua invidia verso
lutti. Tolse a tutti i più nobili le
insegne do' loro antichi, come a
Torquato il Torqae (cioè quella collana che e' portavano al collo), a Cincinnato il Cincinno (cioè il capello
ricciuto), a Gneo Pompeo tolse ancora il
cognome di Magno. Fece ammazzar Tolomeo (il
quale io dissi di sopra), che fatto venire in Roma, da lui era
stato molto onorevolmente ricevuto, non
per altra cagione, «e non perchè
facendosi il giuoco, de' gladiatori, vide che nell'entrar il detto Tolomeo nel teatro, per la veste di
porpora la. quale egli, aveva indosso
molto ricca e bella, aveva fatto che tutti quelli che erano presenti si erano vòlti a
guardarlo. Tutti i belli e che avevano
bella zazzera, ogni vòlta che evenivano davanti a lui, . gli faceva tosare nella collottola e gli
'rerideva brutti. Era un certo Esio
Procolo figliuolo di un centurióne, il quale per essere molto compariscente e bello e_ di grande
statura era chiamato Colosso, egli lo
fece. levar da vedere il giuoco de' gladiatori e lo fece mettere in campo è provarsi con uno di*
quelli gjadiatgri che sono chiamati
Traci ; ed appresso con un altro di quelli che
combattevano con lo scudo; e perciò ch'egli era rimasto vinci- tore amendue le volte, comandò subito che
&' fusse legato e rivolto . in certi
stracci di pannp e alenato a mostra per tutta
Roma che le donne lo vedessero; e di poi lo fece scannare. E finalmente ninno fu di sì abbietta condizione
nò di sì basso stato ' a' comodi del
quale egli non fusse nimico e cercasse di guastarli per tutte le vie che poteva. Il sacerdote che
abitava nel boschetto cònsagrato a Diana,
e perciò era chiamato il re Nemorense, aveva
212 GAIO CALIGOLA molti anni
godutosi quel nome e quel sacérdoziì) : onde Caligola mosso ad invidia gli messe addosso un fuggitivo
molto valente e gagliardo, acciocché e'
venisse contjuello alfe mani e lo spogliasse
insieme della vita e del sacei«dozio. Avendo il popolo romano fatto grandissima festa ed allegrezza por cagiono
di un certo chiamato Porlo, e mostro di
esser molto ben vólto inverso di hii perciò
ch'egli aveva liberato un suo schiavo il quale combattendo era restato vittorioso, si levò con tanta furia
da vedere le feste che allora
celebravano ; che postosi in piedi sopra a un lembo della toga cascò giù a terra de' gradi a
scavezzacollo ; e tutto ripieno di
sdegno andava gridando e dicendo che Un popolò, romano il (juale è signor del mondo, per sì leggier
cosa renda più onore a un gladiatore e
ne faccia più stima che de* principi i quali sono socrosanli, e massimamente di me ed in mia
presenza. I Della sua lussuria e libidina. Fu |)ari mente disonesto con altri come
altri fu disonesto con lui ; e dfcesi
che Aon per altro volle bene a Marco Lepido e a
Marco Nestore- Pantomimo e ad alcuni altri datigli per istatìchi, se non perchè disonestamente avevano usato
Tun con l'altro. Valerio Catullo
giovanetto nobile e consolare disse palesemente
che aveva dormito con lui e che lo aveva tante volte stuprato, ch'egli era indebolito per modo che e' non si
potè va, reggere in su fianchi. Oltre ar
portamenti disonesti ch'e' tenne con le sorelle, è notissimo quello ch'e' fece con Piralìidfe
vile meretrice. Non si astenne ancora
dalle donne nobili ed illustri ; anzi usava molto spesso di convitarle insieme co' mariti> a
cena, e dipoi a suo bell'agio le andava
considerando ponendo mente come se egli
n'avesse avuto a far mercanzia, alzando il viso a quelle (iheper vergogna lo abbassavano. Appresso ogni volta
che gliene veniva voglia, partitosi di
sala, chiamava quella che gli andava'più a
gusto ed ivi a poco, rosso ancora in viso e mostrando palese- mente in cera ciò ch'egli aveva faito,
tornato in sala palesamento le lodava
vituperava secondo 1^ buone lo triste parti ch'elle avevano; così quanto all'esser buona roba,
come al sapervisi arre- care, contandole
ad una ad una. Licenzionne alcuna per non gli
essere riuscite, in nome de' mariti che allora non si ritrovavano in Roma ; e volle che se ne facesse ricordo
in su' libri dovè si notavano le azioni
del senato. Suo lusso nelle cene, bagni, fabbriche ed altre opere. Nelle delicatezze e superfluità del vivere
fu grandissimo spen- ditele e superò in
questo ogni altro prodigo. Egli ritrovò un
nuovo modo di stufarsi e bagnarsi. Trovò ancora maniera di vi- vande ed ordini di cene molto stravaganti e
fuori di natura. La- vavasi adunque ed
ugnevasi con unguenti freddi e caldi. Beevasi
le pietre preziose di grandissimo valore, struggendole con lo' aceto, e faceva porre in tavola il pane e le
altre vivande indorate : dicendo che a
lui bisognava o essere Cesare o un da poco e {\) massaio nello spendere. Oltre a ciò geltò al
popolo certe monete che valevano assai,
e durò parecchi giorni stando a gettarle. so-
pra alla loggia edificata da Giulio Cesare. Fece fare alcune libur- niche (cioè navi così chiamate) di cedro; le
cui* poppe erano piene di gemme e le
vele erano di colori-cangianti, -nelle quali
erano stufe, loggie e sale assai ben grandi ; eranvi ancora viti ed altri ^.Iberi fratlifert dentro : nelle
quali tra mugiche e canti e balli,
standosi a banchettare tutto il giorno, se ne andava co- steggiando la riviera di Napoli. Edificò pel
contado casamenti e palazzi bellissimi,
non avendo né regola nò misura alcuna nello
spendere. E quanto le cose erano più impossibili a fare,. tanto più si accendeva di farle. Edificò adunque nel
profondo del mare allora ch'egli era
turbato. Tagliò hjilze di durissima pietra. Alzò le pianure al pari de' monti, e spianò i
monti con prestezza in- credibile:
perciocché indugiando coi9rb a chi e' commetteva simili cose a metterle in esecuzione, (àceva
tor loro la vita: e per non^ndare
raccontando queste cose ad una ad 'una, in mancò di un anno consumò ^un tesoro infinito e
tutti que' danari che aveva ragunati
Tiberio, clie erano sossantasei milioni e cinque- cento mila scudi. Rapine ed estorsioni dello stesso. Venuto adunque in necessità di danari, si
volse con l'animo alle rapine, tenendo
modi molto sofistici in valersi contro a' pò
>oli così nel vendere allo incanto, come por gabelle e gravezza' j mandare a terra privilegii. Primieramente
diceva che color- .lon erano cittadini
romani giuridicamente, i quali avevano im
vetrato quel privilegio per sé e per i suoi posteri, se già noi uss*»ro i figliuoli: perciocché questo
vocabolo posteri noi - distendeva più óltre di quel gradò. E producendo alcuno
privilegii e decreti impetrati da Cesare
e da Augusto, se ne faceva beffe comedi
cose che fussero indietro parecchie usanze. Diceva ancora che coloro avevano dato male e falsamente la
nota dei l'or beni per censuarli,
l'entrate de* quali per q4ialun(iuo cagione fussero accresciute. Arunullò i testamenti de'con
turioni /come di persone ingrate, fatti
dal principato di Tiberio insino a quel tempo, i quali non avessero lasciato eredo Tiberio o lui. E
se alcuno diceva che aveva inteso che'l
tal cittadino aveva disegnato, morendo,, di la-
sciar suo erede Cesare e dipoi non l'avesse fatto, annullava quel testamento come vano e dì nessun valore :
ónde nriolte persone basse che non
'erano così ben conosciute, avendolo fatto suo
erede in compagnia de' loro amici e familiari, e così molli padri in compagnia de' loro figliuoli erano da liti
-chiamati cianciatori, perchè e' non si
morivano poi che e' l'avevano eletto per suo
erede; e molti di lóro ne avvelenò, con mandar Igro certe vi- vande preziose e ghiotte a presentare. Nel
giudicare e dar sen- tenza sopra alle
predette cause, usava di tassare gli accitàati in danari, ponendo a ciascuno quella somma che
e' pensava di po- ter riscuotere, né
Bipartiva della sua residenza s'egli non l'aveva riscossa; e perchè l'indugio gli dava grande
affanno, ne condannò una volta quaranta
che per diverse cause ^rano accusati con
una sola sentenza. E svegliato la sua Cesonia che dormiva, si gloriò con seco di quanto egli aveva fatto
mentre ch'ella si stava a dormire di.
mezzo giórno. Vendè ancora all'incanto lutti t ri- masugli de' panni d'arazzi e d'aìtrc cose
simili ch'erano avanzati delle feste che
si erano celebrate ; ed egli in persona le vendeva ed incantava, facendole alzare tanto di
pregio, che alcuni, costretti di
comperare certe cose ad un prezzo smisuralo, e bisognando lor vendere i loro beni per pagarle, si segarono
le vene. É cosa ma- nifesta che dormendo
Aponio Saturnino tra le panche e inchi-
nando così la testa, Caligola aver detto al trombetta che non la- sciasse passar di contentar quell'uomo da
bene che tante vplte gli aveva accennato
con la testa; e tanto disse che gli fé' coni-
perare senza sua saputa tredici gladiatori la valuta di ducénto venticinque mila scudi. Suoi infami guadagni. Avendo ancora venduto in Francia le
masserizie e gli orna- menti delle sue
sorelle che da lui erano state condannate, ed
oltre a ciò alcuni schiavi, e cerli ancora .che di già erano, fatti liberi
a prezzi smisurati, parerid^xgli chele CQse vi si tèndessero bene e che e' fusse da guadagnarvi assai, vi
fe*condurre tutte le inasserizie e robe
che avevano servito per la corte di Tiberio ;
e perciò che per farle portare e' fo* tórre tutte le carrette
vettu- rine e le giumente da' mugnai,
mancò in Roma molte volte il il pane ;
ed una gran parte di quelli che litigavano per non aver carrette, e bisognando loro, venire a piede,
non potevano essere ^ a tempo a
comparire e dar mallevadori/ onde e' perdevano laiito. Nel vendere adunque le sopraddette robe non
mancò di usare ogni inganno, astuzia e
ribalderia;òra riprendendo i compera tori
ad uno ad uno come persone avare e che non si vei'gognavano d'esser più ricchi di luì ; ^ra facendo
sembiante di pentirsi di aver messo
innanzi a uomini privati coso si nobili e di sì gran valore. Intese che un paesano aveva dato a
uno de' suoi ministri, che invitavano le
g^nti 3\ suo convito, cinque mila scudi per
esser ancor lui de' convitati; né egli punto ebbe por male che gli uomini stimassero tanta quel favore di
ritrovarsi alle sue cene. H giorno
appresso essendo questo tale a sedere ed a veder vendere all'incanto, gli mandò uno che da
parte sua gh fe'com- perare un non so
che di poco prezzo cinque mila scudi ; e gli
disse che Cesare in persona lo diiamerebbe a cena con esso seco. Nuove gabelle e sordidi civanzi. Aveva da principio dato la cura di
riscuotere queste gabelle da lui
nuovamente poste* e gravezze non mai più U(Hte agii arrendatori delle entrate pubbliche; dipoi
multiplicando le fac- cende, dette loro
in compagnia i centurioni ed i tribuni pretoriani, avendo poste le gravezze sopra a qualunque
sorte d'uomini : né era cosa alcuna di
si |)oco pregio della quale e' non facesse pa-
gare la gabella ; e delle grasce e cose da mangiare che in Roma si vendevano faceva ancora pagare un tanto.
Voleva che tutti quelli che litigavano
gfì avessero a pagare la quarantesima parte
della somma che si litigava; e quelli che erano accusati d'essersi accordati e d'aver com|)osto la lite erano da
lui condannati. Vo- leva l'ottava parte
del guadagno che facevano i bastagi giorno
per giorno : e dalle meretrici quanto ciascuna guadagnava in' una volta. E fece fare una giunta al capitolo
della detta legge ove questo si
conteneva, che s'intendessero obbligate a pagare non solamente quelle che erano meretrici, ma
quelle ancora chefus- sero state o
meretrici onruflìane: e cosi le gentildonne fossero' obbligale alla medesima pena essendo trovate
in adulterio. nel fare la rassegna
de' soldati, privò dell'uffizio una gran parte
di quelli centi/rioni ch'erano già oltre di età ^ ed alcuni ve n'e- rano che furono daini privati dall'uffizio, i
quali fra pochi giorni, se- condo gli
ordini della milizia, venivano ad esser liberi ed esenti dalla milizia ; dicendo che gli privava
dell'uffizio, perciocché egli erano
oramai vecchi e deboli. Dipoi avendogli ripresi come troppo avari, scemò loro la provvisione ed insino
alla somma di quindici mila scudi. 'Sé
avendo fatto altro in tale impresa^ se non preso., prigione Minocino Bellino figliuolo del rode'
Batàvi, il quale era stato scacciato
dàLpadre e s'era fuggito con pochissimi compagni, non tìltrimenti che se. egli si fusse
insignorito di tu tta^ l'isola, mandò a
Roma lettere molto magnifiche : comandando a coloro J5 SvETOKiO. Vite dBt CpsarL che le portavano che se ne andassero a
dirittura in. piazza e si
rappresentassero nel tempio di Marte, dov« si raguiiava il senato, e non presentassero le lettere a' consoli, se
prima non erano rau- nati tutti i
sonatori. Selva da lui fatta rìcidere,
premii dispensati a* soldati, ■ e altre
cose da esso operate. Dipoi mancandogli
occasione di guerreggiare, fé' partir^ certi
germani ch'egli aveva in prigione e gli fece nascondere di là dal Reno. Appresso ordinò che, mangiato che egli
aveva, venissero alcuni con gran fretta
a fargli intendere che i nemici si accosta-
vano ; il che essendo fatto, come da lui era stato ordinato, si levò su in compagnia de' suoi amici e eoa
parte de' cavalieri pretoriani, e' tirò
via alla volta d'una ^elva ch'era vicina allo
esercitò ; e fatto tagliare gli alberi di quella ed acconciare a
guisa di trofei, tornò in campo di notte
e co' lumi: e -quelli che non l'avevano
s^ùitato, riprese come timidi e poltroni. Ed a' suoi compagni partecipi della vittoria donò certe
corone da lui nuo- vamente trovate, dove
era il sole e la luna e l'altre stelie, bene
accomodate e distinte, e le chiamò esploratorio. Appresso fatto levare dalle scuole certi statichi ch'egli
aveva seco in campo, comandò loro che
ascosamente si fuggissero; né priiha si furono
parti ti> ch'egli abbandonato il convito con la cavalleria si
mise a seguitarli, ed. avendogli presi
come fuggitivi, li messe alla ca- tena:
e parendogli la invenzione bella oltre modo, non capiva in se medesimo, talché tornato a cena ed essendo
avvisato come e' venivano gente in suo
soccorso, confortò i suoi soldati che
co$ì armati come egli erano, si ponessero a tavola ; allegando lorò^quel verso di Virgilio che è tanto
divulgato, cioè che stes- sero forti e
si riserbassero alle cose prospere. In quesjto mezzo ordinò che in Roma fusse mandato un bando,
nel quale- e' rì- T)rendeva il popolo ed
il senato, che combattendo Cesare ed es*
sendo esposto a cosi fatti pericoli, si stessero pe' teatri e
pe'giar- Jini in conviti e feste. Suoi preparamenti contro TOceano, ed altre
sue imprese. I ' . • • Finalmente come se e' volesse fare qualche
gran fatto d*arme, fé' metter l'esercito
in ordinanza ; e si addirizzò con esso alla
volta deirOceano. Appresso fatto mettere in ordine le baliste e l'altre artiglierie da combattere, stando
ognuno a vedere; .nò potendosi
immaginare quello ch'egli avesse in animo di fare,, in ^ un subito comandò lóro che andassero
raccogliendo nicchi e se ne riempiessèro
le celate ed i grembi, chiamandogli spoglie -del- l'Oceano debite al Campidoglio ed ai palazzo.
Ed in segno della vittoria edificò una
torre altissima in sul lito del mare, dove
stessero di notte i lumi accesi per insegnar la strada a'
naviganti. £ fatto intendere che si
desse cento giulii per ciascHft soldato,
parendogli aver trapassato ogni termine di liberalità, disse: or oltre andatevene allegri, andatevene,
ricchi. Sua cura del. trionfo ed altre
sue opere. Quindi rivoltosi a procurare
il trionfo, scelse e pose da pacte,
perchè e* fosse magnifico, oltre a- barbari ch'egli aveva prigioni G fuggitivi, certi Francesi di smisurata
grandezza, ch'erano (come egli diceva
per una parola greca) degni che di loro si trionfasse^; tra' quali ve ne furono alcuni de' principali
e più nobili, e gli co- strinse a
biondirsii capelli e lasciarseli crescere ; ed oltre a ciò volle che egli imparassero la lingua
germanica e che e' si ponesr sere certi
nomi barbari. Comandò ancoraché una gran parte
delle galee, con le quali era entrato nell'Oceano, f ussero con-- dotte a Rpma per terra; e scrisse a'
procuratori suoi che gli ap-
parecchiassero un trionifo con pochissima^spe^a, ma- si fattp che non mai per l'addietro ne fosse stato un
altro, poiché si potevano servire e
valere de* beni de' cittadini'.Romani come a- loro pareva. . Scellerato pensiero di trucidar e mettere
a (il di spada le leeoni. Prima che e'
si partisse di quel paese, aveva- fatto un disegno molto scellerato, cioè di Ì9gliare a pezzi
que' soldati i quali dopo la morte di
Augusto si erano abbottinati ; perciocché lui, il quale era ancora molto piccolo, ed ilsuo padre
Germanico lor capitalo avevano assediato
: e fu gran fatica a faHo mutare di proposito
e levargli della fantasia un cosi strano capriccio. Non restò per questo che e' non volesse ammazzarne di dgni
dieci uno; e cosi- fa ttigU chiamare
senza armi a parlamento e tolto ancor loro le
spade, gli attorniò con la cavalleria armata. Ma accorgendosi che e' sospettavano e che la maggior parte alla
spicciolata andavano ripigliando l'armi,
per non si lasciar far villania si fuggi loro
Unanzi e prestamente se n'andò alla volta di Roma^ con animo ii sfogare tutto il suo veleno contro al
senato : minacciandola lalesomonte
/^h'o»**» «^»' ^olAre rinvenire '» cagione di si fatt' • $%0 GÀIO GAUGOLA- multi e romori che seguivano con tanto suo
disonore. E dòme che poco innanzi egli
avesse fatto loro intendere che a pena della
Tita non trattassero per conto alcuno di apparecchiargli il trionfo, tuttavia, oltre alle altre querele, egli si
dolse clie e'^non glielo avevano
apparecchiato secondo che e' meritava. •
Suo ritorno alla città, pessimo di lui proponimento, e veleni ritrovatigli in casa dòpo la morte. Andandolo adunque a incontrare pel cammino
gli ambasciatori del senato e pregandolo
che e' sollecitasse la sua venuta, disse
con grandissima voce : Io verrò, io verrò e costui con esso «leco ; percuotendo parecchie volte ccfn la mano
sopra il pomo della spada. E fece
intendere pubblicamente .che tornava solamente
per trovarsi in compagnia de* cavalieri e del pòpolo^ da* quali egli era desiderato; perchè né come
cittadino, uè come principe, non
intendeva di avere a far più cosa alcuna col senato. Non volle ancora che alcuno de' senatori venisse
ad incontrarlo: e pretermesso il
trionfo, solo vittorioso entrò il giorno del suo na- tale in Roma, ed indi a quattro mesi fu
ammazzato: conoe che egli avesse avuto
ardire di commettere grandissime scelleratezze
e di andarne tuttavia macchinando delle maggiori. Perciocché egli s'era proposto di andarsene ad Anzio e
quindi in Alessan- dria, con aver fatto
prima ammazzare così dei senatori come dei
cavalieri i principali* ed L più nobili. E perché nessuno dubiti ciò esser vero, furono trovati tra le sue
cose segrete due libretti, uno de^quali
era intitolato spada, l'altro pugnate : ed amendue contenevano i nomi di coloro ch'erano
destinati alla morte. Fu ritrovata
ancóra un'i^rca -grande piena di- varii veleni; i quali essendo dipoi da Claudio gettati ^n mare, si
dice che tutto lo infettarono^ jion
senza grande mortalità di pesci., i quali dall'onde erano gettati morti alla riva. . Natura del corpo e sue indisposizioni. Fu di statura alto, di color pallido, di
corpo brutto e sgarbato, aveva il collo
e le gambe sottili oltre modo, gU occhi e le tempie in dentro, la fronte arcigna e larga, i
capelli radi^ era calvo sul cocuzzolo, e
peloso in tutte le altre parti. del corpo. E perciò quando e' passava, era cosa pericolosa e
mortifera il guardarlo alto, per alcuna
c^*« nominar la^ ca«^-^ ^v^^va naturalmente
.dcconcìandoselo allo specchio
per farlo avere deb terribile e del
crudele. Non falsano né di mente liè di corpo; da fanciullo si gli dette il mal maestro. Fu in giovanezza
soppoii;atore de^disagi; tuttavia gli
venivano alcuna volta certe fiacchezze in un subito che appena che e' potesse andare 9 star in
piedi d riaversi aiutarsi in modo
alcuno. Erasi accorto per se medesimo dello
essere mal sano della mente, e pensò molte volte di andarsene in qualche luogo a purgarsi. Credesi che da
Cesohia gli fusse dato bere qualche cosa
per farlo innamorare, la quale lo aveva^ fatto
diventar scemo di cervello. Spaventavaai la" notte e massima- mente iti sogno. Non si riposava più che tre
ore della notte, né anche in quelle «i
riposava interamente, parendogli spesse vòlte
vedere figure molto' strane e maravigliose ; e tra le altre gli pa- reva vedere la presenza del mare parlar con
esso seco*: ef còsi una gran parte della
noète, per istar tanto desto, gli veniva in
tedio lo stare a giacere, ed ora si rizzava a seder in sul letto,
ed ora si andava a spasso per certe
loggie lunghissime, chiamando a ogni
poco il. dì che sì affrettasse di venire.
Sua debolezza di mente, disprezzo degli Dei,' ed altre sue t>perazioni. Potrebbesi ragionevolmente attribuire a
questa sua infermità di ménte alcune
estremila di vizi molto contrarie, cioè una spmniB audacia ed una gratidissima paura' che in lui
si ritrovavano. Quan- tunque egli
dispregiasse né tenesse conto alcuno iiegli Iddii, non- dimeno per ogni poco che e' balenasse
tonasse, si chiudeva gli occhi e si
ravvolgeva il capo cò'paimii, e quando tonava balcr nava punto forte, si levava da giacere e
nasòondévasi sotto il letto. Quando egli
andò in Cecilia, ed essendosi fatto beffe delle
maraviglie che in molti luoghi vedute aveva, nondimeno si fuggi una notte di Messina ripieno df spavento pel
fumo e remore cbe si sentiva su la cima
del monte Etna. Oltre a ciò, come che. egli
facesse moHo del bravo contro a i barbari, nondimeno ritrovan- dosi sopra un carro di là dal fiume Reno, in
certi luòghi stretti e tra le sue genti,
le quali erano ancora molto ristrette insieme
-ì dicendo uno che se i nemici fussero comparsi da banda alcuna, )ra da dubitare che e' non seguisse qualche
gran disòrdine nelfo 3sercito, egli
incontinente montò a cavallo, e datola a dietro, s nise a correre verso il ponte ; e trovando
che i carriaggi er ^ccomanni lo avevano
occupato di modo che e'.non si po.te^ e' si allargassero e gli dessero la yia,
passò loro sopra a i capi, facendosi
porgere le mani di mano in mano. E quindi a pochi giorni, inteso come i Germani s'erano
ribellati, sì messe non solamente in
ordine per fuggire, ma andò ancora pensando in
che parte del mondo egli si potesse ritirare al sicuro ; ed altra speranza non gli era restata che la Barberia,
ogni volta che, già come ferono i Cimbri
al tempo di Mario o come feron i Senoni
al tempo di Camillo, i nimici, come egli dubitava, avessero oc- cupati i gioghi deirÀtpi^ adi Roma si fossero
insignoriti. Perciò credo io che quelli
che fo ammazzarono avessero disegnato di
faro credere a' soldati, quando eglino avessero cominciato a tu- multuare per vendicarlo, ch'egli per se
medesimo si fosse morto^ come quello die
s'era sbigottito avendo inteso la battaglia essere andatamele. . - - Delle vesti e degli abiti ch'ei
portava. Noi vestire e nel calzare ed
ogni altro portamento non andò mai come
romano nò come cittadino; nò mai portò àbito da
uomo dà bene e valoroso, anzi non pure da uomo : percipchè molte volto con le cappe, ovvero mantelli da
acqua, dipinti e ripioni di gomme
compariva in pubblico, avendo contro al co-
stume la tonaca con le maniche lunghe e con certe collane larghe al collo che gli pigliavano tutte le spaile.
Alcuna volta sr vestiva tutto di seta
con la bornia sopra a guisa di donna. Alcuna yolta se ne andava in pianelle ed altra volta coni
que' calzari che nelle tragedie s'usano.
Ora portava le calze che usano i soldati quando
e* vanno a fare le sentinelle, ora le portava da donna. Andava la maggior parte del tempo con la barba
indorata, e portava in mano o là saetta
a guisa di Giove^ o il tridente a ^isa di Net-
tuno la bacchetta avvolta co'serpenti a guisa di Mercurio^ Fu veduto ancora alcuna volta acconcio e vestito
a. guisaìli Venere. Andò ancora spesso
vestito alla trionfale, ancora innanzi alla
impresa che e' fece contro a' Germani ; e qualche volta portò indosso la corazza di Alessandro Magno,
avendola fatto cavare del luogo dov'egli
era sotterrato. Della sua eloquenza ed
arte di dire. Quanto alle scienze ed
arti liberali, studiò solamente ine^sere
eloquente, copioso e pronto nel parlare. Ed avendo a parlare contro di alcuno quando egli era adirato^ non
gU mancavano né le paròle né i concetti. Ne'gesti e nella
voce era tale che perjo ardor del dire
lion potevd fermarsi ; e quelli ch'erano lontani assai udiyanobenissimo scolpite le sue
parole. Quando egli aveva, in animo di
parlare t^ontro di alcuno', usava di dire : 40 caccierò nano alla spada delje mie fatiche e vigilie.
Dispiacevagli tanto lo stil delicato e
molto esqoisito, che e' diceva, di Seneca, del
cai stile si faceva in quel tempo assai conto, che il suo scrWere pareva una muraglia di pietre commesse insieme
senza rena e senza calcina. Era ancora
solito di comporre orazióni contro agli
oratori che, difendendo altri, erano restati superiori. Fingevano ancora in difensione,. ovvero
in^accusiazìone. di quelli che per-
quakhe cosa grave e d'importanza f ussero stati accusati into- nato; e secondo che la fo^ (ì) Io '
trasportava nel difendere nell'accusare,
veniva con la sua autorità a sollevare i delinquenti ovvero ad aggravarli. Mandava ancora il
banditore a chiamare pubblicamente i
cavalieri che andassero ad udirlo. Sua
Brt« di cantare, saltare e guidare le carrette. • Fu nondimeno molto studioso ih apprendere
certe altre arti e scienze molta diverse
tra di loro; come il giiiocare ^'arme a
guisa de' giuocatori chiaoiati traci, ed il guidar le carrette e appresso cantare e ballare. Schermiva con le
spade di filo ; ed avendo a correre con
la^carretta, feceva accomodare la piazza,
ora in un modo, ora in un altro. Pigliavasi tanto piacere e s'ac- cendeva in guisa del canto e del ballo, che
quando si celebravano le feste, egli, in
presenza di ognuno, non poteva contenersi di
non cantacchiare insieme con gli istrioni, contrafacendo pale- semente i lor gesti, ora mostrando dì
lodargli, ora di corregèrgli. n di che
e* fu ammazzato, aveva fatto intendere che voleva che in Roma si vegliasse tutta la notte seguente;
solo (secondo che par verisimile) per
potere più licenziosamente a quella ora com-
parire in su' palchetti come gli altri istrioni e recitatóri. Usav^ ancora di ballare alcuna volta la notte. Una
volta a mezza notte mandò in fretta a
chiamare tre cittadini consolari che venissero
a palazzo ; e come che e' temessero assai, e che andasse loro pel capo di molte e strane fantasie, tuttavia si
rappresentarono je furono fatti sedere
sopra un palchetto : ed eccoli in un stibito con gran remore di piferi e di predelle (2) venir
fuora Caligala con (1) Foga, lo stesso,
che impeto. (2) Arnese di legname, sul
qual sedendo si tengono i piedi. una tonaca- insino a* piedi e sopra con un
mantello da donna, il quale, ballato
ch'egli ebbe sopra una certa canzone messa in
musica, senza altro dire spari loro dinanzi. Ora essend' egli molto facile a imparare tutte le sopraddotte cose,
nondimeno egli non potette mai imparare
a notare. Quanto fosse irasportatiò nel
favoreggiar alcuni, e perverso nelPodiar
alcuni altri. Le persone che gli
andavano a gusto erano da lui favorite
pazzamente e senza ritegno alcuno. Marco Nestore,^ il quale era uno di quelli che sono destri di persona e
sanno contrafare ognuno, rappresenta
toro di farse, mentre che e'.si celebravano
le feste, era da lui baciato in presenza del popolo ; e se aictino, ballando Nestore, avesse pur fatto un minimo
remore, diceva subito: mandatelo via; e
lo batteva dì sua mano. A uno cava- lier
romano, che faceva tumulto, fece intendere per un centu- rione che allora allora senza altro
intervallo si méttesse la via tra le
gambe e se n'andasse ad Ostia, e quindi imbarcatosi, pas- sasse in Mauritania a portare certe sue
lettere a Tolomeo re : contenevano le-
predette lettere questo : Al preseate apportatore non gli fare né bene né male. Favorì intanto
alcuni dèi gladia- tori chiamati Traci,
che gli fece capitani dei Grermani ch^erano
a guardia della sua persona. £ tanto ebbe in odio certi altri gla- diatori chiamati Mirmilloni che e' fé' lor
guastare tutte quante le armi : ed a
Colombo, che era uno di loro, restato vincitore, ma leggermente ferito, pose il veleno nella
piaga : e dipoi chiamò il detto, veleno
colombino : come tra le annotazioni degli altri
suoi veleni si ritrova scritto. Favorì tanto, svisceratamente quella banda de' guidatori delle carrette che dal
colore de' vestimenti era chiamata
Prasina (cioè, la banda verde), che egli del conti- novo si ritrovava a cenare ed a dormire nella
stalla in \ot com- pagnia ; ed a uno de'
predetti, chiamato Cìtioo, ritrovandosi a
bere con lui dopo cena, nel presentarsi l'un l'altro, (secondo il solito) alcune cose dì poco pregio, esso gli
donò cinquantamila scudi. Similmente a
un altro di loro chiamato Incitato^ perciò
che non gli fusse rotto il sonno la notte dinanzi al giorno nel quale egli aveva a correre ne' giuochi
circensi, faceva coman- dare pe' suoi
soldati^ alla vicinanza che la notte facessero silen- zio. Donò a costui, oltre a una stalla di
marmo con le mangia- toie di avorio pel
suo cavallo, ed oltre a una coperta di porpora
ed una catena di pietre preziose, a una casa con tutte le sue appartenenze^ per in§ino a' servidoiu^
acciocché i convitati 4n nome suo
fusseix) da lui più splendidamente ricevuti : e si dice ancora che e' lo fece consolo. Congiura ordinata contro di lui.. Mentre ch'egli così pazzamente si governava,
si ritrovarono molti a' quali bastò
l'animò di congiurare contro di lui ; ma
delle predétte congiure alcune si scopersero ; ed alcuni alu-i, per non avere occasione, si stettono a vedere
; solamente due conferirono Tuno a
l'altro i lor disegni e gli mandarono ad ef-
fetto, non senza saputa ed intendimento di alcuni liberti e ser- vidori di esso Caligola, i quali allora
potevano assai in Roma: accon^ntironvi
ancora i prefètti dei soldati pretoriani, i quali, quantunque che falsamente fussero stati
accusati, come c«nsa> pevoli di
un'altra congiura,' nondimeno s'accorgevano che'Cali- gola gli teneva a sospetto ed aveva loro male
ànimo addosso; perciocché scoperta la
predetta congiura, Caligola dubito gli tirò
da parte e gli fece loro un gran carico, affermando, con. aver tratto fuori la spada^ che parendo loro che
e' fusse degno della morte, si
ammazzerebbe per se medesimo. Né da quivi innanzi restò di dolersi ora. con questo ed ora coit
quello di loro, ed ac- cusargli l'uno
all'altro e di. mettergli in discordia. Parve adun- que a costoro di assaltarlo di mezzo giorno,
quando égli usciva da vedere le feste
che allora in palazzo si celebravano. E Cassio
Chérea, ch'era tribuno di una compagnia de' soldati pretoriani, chiese di grazia d'essere il- primo a manometterlo;
perciocché Caligola, essendo egli' già
vecchio, usava molto di dispregiarlo e
disonorarlo, chidinandolo poltrone ed effeminato ; e quando da lai gli era addimandato che gli desse il nome
per mettere le sen- . tinello, gli dava
pei- nome Venere o Priapo ; e quando ^gli an-
dava per ringraziarlo di qualche cosa e baciargli le mani^ gli porgeva la mano, e volendola esso baciare,
gli faceva una fica altre simili^
sporchine. Segni che si mostrarono
a,vanti la di lui morte. Molte-cose maravigliose
apparirono, le quali significavano la
sua morte vioJenta. In Olimpia volendo scommettere la statua di Giove e portarla a Roma, ella cominciò in un
subito sì fortemente a ridere, òhe
gl'ingegneri, abbandonato le macchine e lasciatole andare indovina, si diedero a fuggire chi
qua, chi là: ed in quel punto sopravvenne un certo ch'era ancora egli chiamato
Cassio^ affermando che in sogno gli era
pairuto di sacrìficfire un.toro a Giove.
li Campidoglio di Capua a' quindici di marzo fu percosso dalla saetta ; e così in Roma fu percosso
dalla saetta la cella che era nel
cortile del palazzo. E trovaronsi alcuni interpreti che affermavano che per la saetta di Capua il
principe portava pe- ricolo d'esser
ucciso dai soldati della sua guardia; e .che per quella di Roma manifestamente si comprendeva
ch'egli aveVa a seguire una notabile
uccisione, come altra volta era intervenuto
nel medesimo dì. Fugli ancor detto da Siila matematico, al quale e' fece fare la sua natività, che senza
dubbio alcuno egli aveva a esser ucciso
di corto. La dea Fortuna ch'era in Anzio gli disse ancora che sì avesse cura da Cassio ; onde
egli aveva ordinato area in sogno d'essere in cielo, vicino alla sedia di
Giove, e che Giòve col dito grosso del
piò destro gli avesse dato un calcio e preci-
pitatolo dì cielo in terra. Furono ancora notati, per segni della sua futura morte e per cose notabili che
pochi anni innanzi nel medesimo dì orano
accaduto ; tra le quali fu che un pappagallo,
nell'essere da lui sacrificato, lo bagnò di sangue. £ Marco Ne- store in quel dì rappresentò una tragedia la
quale già era stata rai)presentata da
Neoptolemo il dì della festa nella quale fu am-
mazzato Filippo rodi Macedonia; e recitandosi una favola com- posta da Lauroolo, uno di quelli ch'era la
più importante voce della commedia, nel
levarsi dinanzi a una rovina, mandò fuori
sangue per bocca, onde gli altri recitatori volendo fare il me- desimo e gareggiando insieme a chi più ne
sputava, si riempie tutta la scena di
sangue. Erasi ancora per la notte apparecchiato
di fare una rappresentazione dove gli tjgizii e gli Etiopi avevano a rappresentare gli abitatori
dell'inferno. Della di lui morte ed
ammazzamento. A ventitré di gennaio
circa a ore dicianove, stando appunto su
l'andarsene a mangiare, né si risolvendo ancora, per sentirsi lo stomaco gravato dal cibo del giorno
dinanzi, finalmente per- suaso dagli
amici, uscì fuori per andare verso palazzo, ed avendo a passare per una certa grotta, s'erano
apparecchiati certi gio- vanetti nobili
dell'Asia per fare certi giuochi sopra la scena
dove le commedie si rappresentavano, onde égli si fermò per vedergli e
dar loro animo ^ e se non che il capo e maestro di que' fanciulletti disse ch'era agghiadato,
voleva tornare indietro e che tutta
quella festa da capo sì rifacessie. Dicési là cosa in due modi. Alcuni scrivono che mentre ch*egli
stava a parlare con que' fancfuUi,
Cherea venendogli di dietro gli dette un gran
mandirixto attraverso al collo, avendogli prima detto: volgiti a me : appresso che Cornelio Sabino, l'-altro
de' (Congiurati, gli passò il petto con
una punta da banda a banda. Altri dicono che Sa- bino, avendo per opera de' centurioni, i
quali erano consapevoli della congiura,
sollevato gli^ animi de' soldati, gli dimandò,- se- condo il costume, che gli desso il nome che
il dì le guardie avevano a usare ; e
dandogli Gaio per contrassegno il nome .di
Giove, Cherea allora gridò: piglialo che gli è ben dato, e rivol- tandosi Gaio indietro, egli in quel, medesimo
tempo con un colpo gli mandò giù una
mascella e che allora gli altri, essendo Cali-
gola a giacere in terra e colle membra rannicchiate, e gridando che era vivo^ con trenta ferite lo finirono
di ammazzare. £ che il segno che fra
loro si erano dati era questa parola,^repe^e, che vuol dire, ridagli. Furonvi alcuni che gli
cacciarono i ferri da basso per le parti
vergognose, ed al primo romorecòrsono quelli
Qhe portavano la lettiga, e con que' bordoni èoprà i quali e' si appoggiavano portando la lettiga cercarono di
soccorrerlo; e quindi a poco comparsone
i Germani ch'erano a guardia della
persona sua, od ammazzarono alami dei percussori insieme con alquanti senatori che non vi avevano
colpa. Mortorio di Gaio, e morte della
moglie e. figlia. Aveva, quando e' fu
morto, trentanove anni ; era stato neirini-
perio tre anni, dieci mesi ed otto dì. Il corpo suo fu portato ascosamente negli orti chiamati Lamiani, e
posto così a caso sopra un monte di
legne^ e mezzo arso fu ricoperto con un poco
di terra. Appresso essendo ritornate le sorelle di esilio, lo cava- rono fuora e l'arsone affatto e dipoi lo
seppellirono. È cosa ma- jìifes(a che i
guardiani dell'orto, mentre che 'l corpo suo vi stette sotterrato in quel modo, erano inquietati
dall'ombre di quello ; ed ancora nella
casa dovè egli morì non passava mai notte al-
cuna che e' non vi si sentisse qualche remore, tanto che final- mente l'abbruciarono. Fu morta insieme con
lui Cesonia sua moglie d'unaxoltellata
che gli dette un centurione ; e la figliuola
fu battuta ed infranta nel muro. Ciò
che fece il Senato dopo la di lui morte.
Puossi considerare in che termine si rifrovavano allóra le cose della Repubblica ; cònciossiachè essendosi
divalgatò come Cali- gola era stato
ucciso, tutto il Spopolo stette sopra di sé; nò vi fii alcuno che in quel subito si movesse, non
dando fede a cosa che sì dicesse, ma
dubitando ch'ella non fusse una voce mandata
fuora da Caligola per conoscere qual fiisse la disposizione degli animi inverso di sé: né i congiurati ardirono
di creare alcuno imperadore. Il senato
fu intanto unito e d'accordo per ria^sur
mere la sua libertà che i consoli al primo lo raunarono : né si raunò nella curia solita, perciocché ella sì
chiamava Giulia, ma in Campidoglio : ed
alcuni di loro, in cambio di dirQ il loro pa-
rere sopra il creare il nuovo imperadore, giudicarono ch'e'si dovesse in tutto spegnere la memoria de'
Cesari e rovinare i tempii da loro ed in
lor nome edificati. Osservarono ancora per
cosa notabiljB che tutti i Cesari cognominati Gali erano morti vio- lentemente, cominciandosi a contare insino al
tempo di Cinna. LA VITA ED I FATTI DI CLAUDIO CESARE QUIllf IHPERATOR ROMANO Del padre di Claudio e de' di lui
fatti. Dr usQ cognominato Decimo e poco
appresso Nerone, padre di Claudio Cesare,
naque di Livia, tre mesi dipoi che Augusto pre-
gnante la tolse altrui. Credetesi per alcuni che e' fusse figliuolo di Augusto, stimandosi ch'egli avesse avuto a
fare con lei prima che ella fusse sua
moglie. Una volta subito che e' l'ebbe presa,
furono mandate f uora queste parole in greco r Agli uomini .for- tunati nascono ancorai figliuoli di tre mesi.
Questo Druse, prima fatto questore,
dipoi pretore, ed appresso capitano contro a' Reti e contro a Germani, fu il primo de' Romani che
navigasse l'Oceano settentrionale. Egli
ancora fece Tarerà' suoi soldati di là dal fiume Reno certe fosse profondissime, e dove
duravano molta fatica, le quali oggi son
chianiate Drusine. Ed avendo rotto i nemici e fat-. Igne grandissima uccisione e perseguitatogli
addentro nelle più ascoste e deserte
parti .della Germania, non mai fece fine per
insino a tanto che e' non gli apparse una donna che pareva bar- bara alla vista, di apparenza più grande che
ordinaria, la quale gli parlò in lingua
latina e gli disse, che, poi ch'egli era vinci-
tore, e' non volesse procedere più avanti. Per queste cose adun- que fatte da lui in guerra, entrò in
Roma,J;riònfante e vittorioso, ma non
sopra il carro trionfale. Questi, dopo l'essere stato pre- tore, fu creato consolo; e tornato alla
medesima impresa, « mori d'una infermità
ch'egfi ebbe di state,, riposandosi alle stu..^i co' suoi soldati ; le quali abitazioni per la
sua morte furono d\r^ chiamaf'^
scellerate. U '"""po sun fu co"^o"o a Roma daip» pali
di quello città cho godevano i privilegi de' cittadini romani e di coloro che di Roma erano stati mandati
ad abitare in qiiei paesi. A costoro si
fecero incontro gli ordini dogli scrivani, e
presono il corpo e portarono a seppellire in campo Marzio. Ma i suoi soldati, là dov'egli erano, gli
edìcarono un bellissimo sepol- cro,
avendo ordinato cho ogni anno i soldati avessero a corpere intorno a guisa di venire a un fatto d'arme,
e che in Gàliia per tutti i tempii
facessero supplicazioni e sacrìficii solenni in onore (li quello. Oltre a ciò il senato, tra molte
altre cose, ordinò che nel mezzo della
via Appia sì edificasse di marmò un arco trion-
fale in suo onore, nel quale fussero scolpiti i suoi trofei e lo
sue vittorie; e volle che i suoi
discendenti fussero cognominati Crer- manici.
Credesi che, oltre all'essere stato d'animò civile, egli avesse ancora del borioso; perchè, oltre
all'onore della vittoria ricevuta, e'
cercò di riportarne le ricche spogliò. E molte volte' ne' maggiori pericoli a briglia sciolta si
messe baldanzosamente con tutta la
squadra a perseguitare i capitani de' Germani; usando ancora di diro che voleva un dì a ogni modo
rendere a Roma la sua libertà. Onde io
stimo alcuni avere avuto ardire di scrivere
ch'egli era sospetto ad Augusto ; e che avendogli fatto intendere che tornasse a Roma e lasciasse l'esercito,
perciò che egli non aveva ubbidito,
l'aveva fatto avvelenare: il che da me è stalo
riferito [)iù per non lasciare indietro cosa alcuna di quelle che sono state scritte di lui, che perchè io giudichi
che e' sia vero oppure abbia del
verisimile ; perciocché e' si conobbe che Augusto l'amò grandemente non solo in vita, ma ancora in
morte, e lo institiii suo eredo in
compagnia de' figliuoli, siccome egli disse pubbli- camente in senato. E nella orazione ch'e'
fece in suo onore poi ch'egli era morto,
venne a lodarlo in tanto che pregò gli Iddii
che a lui concedessero grazia che i suoi Cesari fussero a quello simiglianti ; e che il fine ch'egli aveva a
fare fusse onorato come quello di Druse.
E non contento di avergli fatto un epitafìo e
fattolo intagliare nella sua sepoltura, scrisse ancor la vita di quello. Ebbe Druse più figliuoli di Antonia
minore, ma tre sola- mente ne lasciò
vivi, Germanico, Livilla e Claudio.
Nascimento di Claudio e sua infanzia.
Nacque Claudio al tempo che Giulio Antonio e Fabio Africano orano consoli nella città di Lione il primo
di d'agosto; nel me- desimo giorno che
nel predetto luogo fu primieramente consa-
grato l'altare di Augusto e fu chiamato Tiberio Cfaudio Druso. Appresso fu adottato dal fratello maggiore:
nella famiglia Giulia. Lasciollo il
padre in Roma ancora in fasce. Da fanciullo e da gio- vane ebbe dì molt^e infermità e molto difficili
a curarle; tanto che indebolito di animo
e di corpo non solamente da giovane,*•
ma poi che egli era già in età conveniente, lo giudicarono ina- bile ad alcuno governo o magistrato pubblico
o privato.' Ebbe ancora il tutore ed il
pedagogo poi che era molto ben'griàtide.^ ^
da sapere governarsi e reggersi per se medesimo'. Duolsi egli .. stesso di questo suo pedagogo ili una certa
operetta da lui com- posta, come di
persona barbara o rozza in verso di lui, e datogli in pruova per precettore solo perchè e' nste
festp li M'»»'te: '^onvoornr-p'» simendue che e' sìa benf risolversi una volta sopra a fatti suoi e
vedere quello che e* sia da fame ;
perciocché essendo sano e, per dir così, in tutta per- fezione, a me non pare per conto alcuno che noi
dobbiamo man- eare di aiutarlo e dargli
riputazione, tirandolo su per quefl gradi
che noi abbiamo tirato il suo fratello. Ma parendoci che e' vada tuttavia perdendo ed ingrossando più Tun di
che Tal tre, e che e* sia non solamente
infermo del corpo ma ancor deiranimo, io
non voglio che noi diamo occasione alle persone di ridersi di lui e di noi, che siamo soliti in simil cose
d'uccellare altri. Perchè se noi una
volta non ci risolvessimo e non venissimo a qualche conclusione sopra i casi suoi, staremmo
sempre con questa an- sietà d'animo.
Farci però che e' sia uomo dei governi? non mi
dispiace già, come tu di', ch'egli in queste feste di Marte pro- vegga al convito dei sacerdoti e che a lui
sia commessa celesta cura, pur ch'e'
faccia a senno del figliuolo di Silvano e da lui si lasci governare, acciocché e' non gli venga
fatto qualche scioc- chezza onde e'
n'abbia ad essere uccellato. Ch'egli abbia a stare a vedere i giuochi circensi tra gli altari
degli Iddii a noi non piace; perché
\errebbe appunto a sedere in testa della piazza
dove ognuno lo vedrebbe. Né a me ancor piace che e* vada nel monte Albano, né ch'egli stia in Roma in
queste ferie latine ; perché, se ci pare
che e' sia sufficiente di far celebrare le feste latine in compagnia del fratello nel monte
Albano, noi possiamo sicuramente dargli
ancora il governo della città. Io t'ho scritto,
Livia mia, il parer nostro; il quale è di risolverci una volta
sopra i casi di costui per non andar
sempre ondeggiando tra il timore la
speranza. Tu potrai, volendo, mostrare ad Antonia questa parte di questa nostra epistola. Scrive
ancora in certe altre sue lettere :
Mentre che tu starai lontana, ogni giorno farò che Ti- berio verrà a cena meco ; acciocché essendo a
quel modo giova- netto, e' non ceni solo
col suo Sulpizio e col suo Antenodoro.
Quanto mi sarebbe caro ch'egli fusse un poco più diligente, nò avesse tanto dell'intronato, e che nel
muoversi, nel vestire e nell'andare e'
ponesse mente a qualche persona garbata e s*in-
gegnasse d'imitarla. Poverello a lui, come ha egU poca grazia.nel conversare con lo persone virtuose. Bene é
vero che quando egU sta in corvello si
riconosce in lui assai prontezza e virtù d'animo. Ed in un'altra lettera scrive: E potrebbe
essere che'l tuo nipote Tiberio, quanto
al declamare non riuscisse male e che in questo
e' non mi dispiacesse. Possa io morire, Livia mia, se io non me ne fo le maraviglie: come può egli essere,
che uno che è tanto sciocco nel parlar
familiare possa in pubblico dire acconciamente cosa che buona sia? la non so
che mi ti dirne. Yedesì appresso
manifestamente qual fusse la risoluzione di Augu3to sopra i fatti suoi ; perciocché da lui non
ebbe niai né magistrato, nò governo
alcuno, $alvo che sacerdote degli auguri : e lo m^se nel suo testamento tra i terzi eredi e quasi
tra gli strani, e per Ia dìcp^r*» cb'*»*?'
16 SvETONio. Vite dei Cesari.
Ì:U ili'UiIo mal sano, e clie
era per ristorarlo in qualche altra cosa
l' lii mostranti la sua liberalità; il quale nondinoeno venendo a morto (h1 avendolo lasciato ne' terzi eredi
solamente per la terza (Kirto e fattogli
un lascito di scudi circa cinquanta mila, non fece altro se non raccomandarlo ai soldati ed al
senato e al popolo dì Roma,
nominatamente tra gli altri suoi parenti e familiari. Del suo consolato, ed altre cose da lui
fatte. Finulmonte al tempo di Caligola
suo nipote, il quale nel princi- pio del
suo imperio s'ingegnò con ogni segno d'umanità o beni- volenza d'acquistarsi buon nome e buona
riputazione, cominciò i\ ritrovarsi nei
magistrati e nei governi della Repubblica e fu
creato consolo \)ev due mesi in compagnia di esso Caligola. Ed il primo dì che e' comparì in piazza
accompagnato come consolo con i littori^
un aquila venne volando e se gli pose da man de- stra. Fu ancora ivi a quattro anni creato
consolo tratte per sorte. Tmvossi
ancora, quando le feste si celebravano, alcuna volta a sedei-e come giudice di (piclli in luogo di
Caligola; di che il po- polo mostrò di
rallegrarsi assai, chiamandolo unitamente ed a
viva voce zio dell'imperadoro o fratello di Germanico. Srhemi fattigli come per burla. Con tutto questo non si potè difendere dal
noQ essere scher- nito e beffalo ;
perciocché quando e' tornava la -sera a cena un
poco pili tardi dell'ora ordinaria, con fatica gli- era permesso che si ponesse a tavola con gli altri e* gli
facevano dar prima una volta intorno
alla sala. Ed ogni volta che e' dopmiva còme egli era quasi sempre solilo dojK) cena, così a
tavola gli traevano i i nocciuoli delle
ulive e de' datteri ed alcuna volta con la sferza ovvero con lo (4) scudiscio gli ronzavano
intorno agli orecchi a similitudino
(j|ifiai^li vento. Usavano ancora, mentre che ei rus- sava, di mettergli i calzari alle mani:
acciocché svegliandosi in un subito
venisse a stropicciarsi gli occhi con essi.
Pericoli da lui fuggiti. Porto
ancora qualche pericolo e primieramente quando egli era consolo fu per esser privo del magistrato,
perchè non cosi (1) Scudiscio, lo
stesso che presto aveva fatto fare le statue di Druso e di Nerone fratelli
di Cesare e porle dove elle avevano a
stare. Fu ancora accusato molte volte e
da persone forestiere ed ancora' dai suoi domestici ed amici ; e del conti novo travagliato ora
fu un modo ed ora in un altro. Quando e'
fu scoperta la congiura di Lepido .e Getu-
lico, mandato in Germania con gli ambasciadorì a rallegrarsene, portò pericolo di non vi lasciar la vita ;
perciocché Caligola si sdegnò
grandemente con dire che e' lo avevano stimato per un fanciullo, avendogli mandato per sopracapo il
zìo che lo gover- nasse : e scrivono
alcuni che lo fece gittare in fìume cosi veatito come egli era venuto. E da quel tempo innanzi
sempre che ei si aveva a parlare in
senato, era Tultimo a dire il suo parere;
perciocché sempre per dispregiò dopo tutti gli altri ne era ad- domandato. Fu ancora accusato d'essersi
trovato a sottoscrivere un testamento
falso ; e fu da chi lo aveva a giudicare accettata la predetta accusa. Ultimamente, costretto a
pagare ventimila scudi, per essere stato
messo nel numero de' sacerdoti di Augu-
sto, venne a tanta povertà che essendo obbligato allo erario, né avendo il modo a soddisfare, i prefetti
dello erario, secondo che disponeva la
legge sopra a ciò fatta, lo ferono stare appic-
cato per un piede. in pubblico,. come so egli ;jji avesse avuto a vendere.
Principio deirimperio di Claudio.
Trattato in cotal guisa la maggior parte del tempo che egli visse, fu fatto di cinquanta anni imperatore
hiolto a caso e ma- ravigUosamente
quanto dir si può ; perciocché essendo in com-
pagnia degli altri ributtato nò voluto metter dentro dagli ucci- ditori di Caligola, i quali stando in su la
porta licenziavano ognuno, mostrando che
esso Gaio parlasse in segreto con qual-
che persona, s'era ritirato in una certa stanza dgve'Bi mangiava chiamata Ermeo. £ poi che e' fu seguito il
cago>it|gpB$ così il pie fuor della
soglia dell'uscio e dipoi si nascose ùìottìù [Vj all' usciale e stando in cotal guisa passò a sorte un soldatello
che andava discorrendo per la casa e gli
venne veduto i piedi di Claudio ; e nel
voler domandare chi egli fosse lo riconobbe, e presolo pei tirarlo fuora, Claudio tutto pauroso se gli
inginocchiò a' piedi, ma il soldato gli
fece riverenza e lo salutò chiamandolo impera
dorè. Quindi lo condusse dove erftio gli altri soldati ; '
o"*»! 236 CLAUDIO CESARE attendevano a gridare e correre in qua ed in
là. Posonlo adun- ((ue dentro a una
lettiga ; e ^ìerciò che i suoi servidori orano
fuggiti, lor medosìmi lo portarono scambiandosi Tiin Taltro di mano in mano. E tutto maninconioso e ripieno
di paura lo con- d «isserò all'esercito
; le genti elio lo riscontravano erodendo che
e' fusse condotto senza sua colpa alla morte ne avevano compas sione. Fu adunque ricevuto dentro a* bastioni
tra quelli cho fa- cevano la guardia;
più presto rifìdandosi in quei soldati, ch'egli
avesse molta speranza che le cose fussero por succedergli bene. Perciocché i consoli col senato e colle genti
ch'erano a guardia della città avevano
occupato la piazza ed il Campidoglio per ri-
cuperare la libertà ; i (]uali mandarono ancóra un tribuno della plebe a chiamar Claudio che venisse ancora
egli a cpnsuUare e dire il suo parere;
ma egli rispose che non poteva andare e che
i soldati a forza lo ritenevano. Il giorno seguente essendosi raf- freddala la caldezza de' senatori, nò venendo
a conclusione di cosa alcuna, per non
ossero d'accordo e volerla chi in un modo
e chi un altro, si levò su il popolo e cominciò a gridare che vo- leva un governatore, nominando
particolarmente Claudio. Ondo egli
acconsenU che i soldati gli rendessero ubbidienza e gli giu- rassero fedeltà ; promettendo a ciascun di
loro in premio tre- cento sottantacinque
scudi. E così fu il primo imperadore che
facendosi impegnare la fede s'obbligò a' soldati con danari. Suoi portamenti nel suo ingresso al
principato. Poi che egli si fu
assicurato e che egli ebbe stabilito il go-
verno, cercò primieramente come- cosa di maggior importanza, di far che gli uomini, quanto era possibile,
venissero a dimenti- carsi di que' due
giorni ne' quali ^ra stato per mutarsi lo Stato. Ordinò adunque che e' fusse a ciascuno
perdonato e si dimenti- casse in
perpetaO tutto quello che si era detto e fatto in quel giorno, e coél attenne a ciascuno. Solamente
fece ammazzare al- cuni (li que' tribuni
e centurioni che s'erano trovati nella con-
giura fatta contro a Caligola ; il che egli fece, è per dare esem- pio agli altri e per avere inteso come essi
avevano cerco di ammazzare ancora lui.
Quindi voltossi con animo alle opere
sante e pietose. E quando egli aveva a confermare alcuna cosa con giuramento, usava più il nome di Augusto,
che di alcuno degli altri imperadori,
equeUo più degli altri osservava. Ordinò
che Livia sua avola fusse, come gli altri ch'erano fatti divi, rive- rita e adorata ; e che nella processione e
pompa, che si faceva il di che si
celebravano i giuochi circensi, vi fusse ancora an carpo tirato dagli elefanti in onor di lei,
simigliante a quel di Augusto. Al padre
ed alla madre ordinò, jhir 6i facessero l'ese-
quie pubbliche; e di più in onore dd^pàdJN^^'iCusserp ogni anno nel giorno che egli era nato celebrati i
gittbcki circensi, ed in onore della
madre ordinò una carretta che avesse a dare la volta intorno alla piazza del Circo Massimo e la
fece ancora cogno- minare Augusta: il
che dall'avola era stato ricusato. In onore
del fratello, il cui nome, sempre ch'egli n'ebbe occasione, fu da lui celebrato e fattone memoria, ordinò
ancora che a Napoli fusse recitato una
commedia in greco, nel dì che i Napoletani
celebravano l6 lor feste ; e coronò il componitore della predetta commedia, secondo, che dagli uomini ordinati
sopra^ ciò fu giu- dicato che egli
meritasse. Celebrò ancora il nome di Marco An-
tonio e mostrò di esser grato alla memoria di quello ; percioc- ché avendo fatto intendere pubblicamente al
popolo come ei volea che il giorno, nel
qual era nato il suo padre Druse, fusse
celebrato, disse che lo domandava ancora con più istanza per esser nato in quel dì Marco Antonio suo
avolo. Fornì di far edi- ficare un arco
trionfale di marmo, vicino al teatro di Pompeo,
in onor di Tiberio; il quale già s'era inó;]y^ciato a edificare per deliberazione del senato, né dipoi si
cra^inandato a perfe- zione. E benché da
lui fussero annullata mte le, cose che da
Caligola erano state fatte e deliberate, nondimeno ancora che il giorno della morte di quello fusse stato
principio del suo impe- rio, egli non
volle ch'e' fusse connumerato tra i festivi.
Onori da lui sprezzati, ed altri suoi modi civili. Quanto al dare riputazione a se medesimo ed
al farsi onorare e riverire, andò molto
destramente e si dimos^Ò molto umano e
d'animo civile. Egli primieramente non Yjf W™ 8Sit chiamato imperadore ; degli onori e -magistrati ne
ricqfJSBBflK j^on volle che in pubblico
si facesse festa o dimostp^MHSKuna nelle
nozze della figliuola, né ancora quando gli jgtdSfBHM Non fece grazia mai ad alcuno bandito di tornare
16 Sjìina, se non con licenza e volontà
del senato. Non volle entrare in Senato
accompagnato dal prefetto de' soldati pretoriani e dai tribuni dei militi, senza prima impetrarne lioeBilEa dei
senatori ; e similmente non tenne per
ben fatta alcuna ^^QB^. che da' suoi procuratori fusse stata giudicata o mandàt^'lV^ esecuzione
per suo ordine, se i senatori prima non
la approvavano. Pregò i consóli che gli dessero autorità di poter fare la fiera
del vendere e comperare nelle sue
private possessioni. Molte volte si rappregeniò dentro a' magistrati, non comeJmperadoi*e ma come
persona privata ; per consigliare e non
per comandare. E quando alcuno di loro
celebrava alcuna festa, egli jnsieme con l'altra moltitudine si levava in piedi e con la voce e con le mani
mostrava di ralle- grarsene. Fece scusa
co' tribuni della plebe, i quali erano ve-
nuti à trovarlo dinanzi alla sua residenza, dicendo sapergli male d'avere a dar loro udienza stando ritti per
esser in luogo stretto. Per queste coso
adunque in breve spazio di tempo venne a farsi
tanto ben volere dall'universale, ch'essendo venuto lo avviso come egli era stato morto a tradimento
nell'essere cavalcato ad Ostia, il
popolo non restò mai con grandissima afflizione d'animo di bestemmiare crudelmente i soldati ed il
senato e sparlare contro di loro,
chiamando i soldati traditori ed il senato parri- cida, insino a tanto che e' cominciò a
comparire quando uno e quando un altro,
ed appresso una gran quantità di gente con-
dotta dinanzi al popolo dai consoli, i quali dettone nuove come egli era salvo e vicino a Roma che
tornava. Insidio tesegli, e con^'iure
contro di lui fatte. Con tutto questo
si trovarono alcuni che cercarono di am-
mazzarlo; ma furono persone particolari e gente che cercavano di mutar lo Stato per le discordie ch'eran
nate tra' cittadini. Fu adunque trovato
a mezza notte un plebeo vicino alla camera
dove egli dormiva con un pugnale in mano. Furono ancora tro- vati in pubblico due cavalieri che avevano
dentro a una mazza da cacciatori un
coltello e l'aspettavano per ammazzarlo ; uno
de' quali lo voleva assaltare uscito ch*egli era del teatro,
l'altro mentre che dinanzi all'altare di
Marte sacrificava. Congiurarono contro
di lui per mutare il governo. Gallo Asinio e Statilio Cor- vino ed i nipoti dì Pollioue e di Messala,
amendue oratori, avendo un gran seguite
di loro liberti e schiavi. Furio Cammillo Scri-
boniano fu queHo che tentò di muovere la guerra civile, il quale era legato nella Dalmazia, ma fra cinque dì
fu oppresso ; per- ciocché i soldati non
gli tennono il fermo e si pentirono per ti-
more degli Iddii : perciocché essendo loro detto la via ch'egli avevano a tenere per rappresentarsi al nuovo
imperadore, mira- colosamente accadde
ch'e' non poterono né accomodare l'aquila,
né smuovono l'insegne ch'erano fiatate in terra. Suoi consolati e delle
cose da lui fatte in «ssi. Fu cinque
volte consolo: i primi due consolati furono l'uno dopo Taltro ; quelli che appresso seguirono,
vi fu quattro anni dall'uno all'altro;
l'ultimo fu di sei mesi e gli altri di due sola- mente : nel terzo fu sostituito in luogo di
un de' consoli ch'«ra morto : il che non
era per addietro mai intervenuto ad alcuno
imperadore. Fu molto dilìgente e durò grandissima fatica nello amministrare giustizia e tener ragione quando
egli era con- solo e fuori ancora del
consolato, non risparmiando li dì festivi
e solenni, e che per antica usanza erano religiosi, né quelli che particolarmente per^conto d'alcuno de' suoi
parenti si guarda- vano. Né sempre andò
dietro appunto a quello che dicevano le
leggi, ma andava moderando la dolcezza e l'asprezza di quelle secondo che gli dettava il suo giudizio
naturale e che a lui pa- reva che fusse
giusto e. ragionevole : perciò ch'e' fece abilità di potere riassuniere la causa a quelli che
dinanzi a'giudici privati,, per
addomandar più che e' non dovevano, avevano perdute le lor ragioni ', e quelli che fussero stati
ritrovati in frodo in cose di maggiore,
importanza, gli condannò a esser divorati dalle be* stie, trapassando in questo gU ordini delle
leggi. Sua instabilità e variabilità
nel render ragione. Nel dare sentenza e
nel risolversi sopra alle liti, clic gli capi-
tavano innanzi, faceva di grandi svarioni : perchè ora mostrava d'essere molto considerato giudice e di
sottile intendimento; ora si dimostrava,
pel contrario, senza considerazione alcuna avven- tato e furioso ; altra volta appariva una
persona debole e sciocca. Egli
primieramente nel far grazia ad alcuni giudici di non es- ser obbligati a. rappresentarsi in compagnia
degli altri a giudi- care per giusti.
impedimenti, ed cssendovene uno disobbligato,
per avere tre SgUfiióD^ il quale nondimeno, ohittjvfo, aveva ri- sposto come dó:^*^^ non fusse stato
disobbligo, ^«9 che e' fusse disobbligo
a ogni modo e lo priyò di quello uffiz^ieme persona ambiziosa e troppo desiderosa di ritrovarsi a
Òkr sentenze. Un altro de' predetti
giudici fu chiamato da uno che litigava seco
dinanzi alla medesima residenza in giudizio, onde egli rispon- dendo disse ch'ella era una causa che se
n'andava per l'ordinà- rio^ nò bisognava
ch'ella fusse messa loro innanzi in quel* luogo ; ma Claudio comandò che subito in sua presenza
egli decidesse la dotta lite e vi desse
sc^ra sentenza: acciocché dal giudicare le coso proprie egli desso saggio di sé
e mostrasse quanto nel giudicare lo
altrui e' fusse por dovere e^ere giusto e ragione- vole. Litigavano dinanzi a lui la madre ed il
figliuolo, negando ella quello essere il
suo figliuolo, e per le ragioni e conietture
che dairuiia e l'altra parte si allegavano era cosa molto difficile a conoscer chi dicesse il vero di loro due.
Ma Claudio comandò alla donna, che poi
che quel tale non era suo figliuolo, ella se
lo prendesse per marito, il che dà lei fu ricusato; e in cotal guisa si venne a comprendere come egli era
veramente suo fi- gliuolo. Dava le
sentenze in favor di quelli che erano presenti^
senza considerare, se coloro che per qualche impedimento o necessità non si erano rappresentati in
giudizio, avevano o più meno errato ; *o
se lo impedimento ch'essi allegavano per es-
ser giusto, meritava d'essere ammesso. Avendo dinanzi un falsi- ficatore, e nel st^ntire a caso uno che gridò
e disse : e' merita che gli sia tagliato
le mani, subitamente e con grande istanza
comandò che e si facesse venire il carnefice col ceppo e con la mannaia. Un'altra volta avendo dinanzi un
forestiero che s'era voluto spacciare
per cittadino romano^ e contendendo insieme
l'accusatore e quello che lo difendeva in che guisa egli avesse ad essere \estito o da forestiero o da romano,
mentre che la sua causa sì agitava,
Claudio gli fece mutare i vestimenti più
volte secondo che egli era accusato o difeso ; quasi ch'egli vo- lesse dimostrare d'essere un giudice
spogliato d'ogni passione e che non
piegava più d'una parte che da un'altra, se non tanto quanto le ragioni comportavano. Avendosi
oltre a ciò a scrivere il suo parere
sopra una certa faccenda, si crede che il suo voto fusse che la intendeva come coloro che
avevano detto il vero ; per le quali
coso venne in tanto dispregio^ che ognuno palese- mente se ne faceva beffe. Egli aveva fatto
citare un testimonio, e scusandolo il
suo procuratore con diro che e' non poteva com-
parire in tempo, gli domandò la cagione; il procuratore poiché e' fu stato un pezzo a rispondere, disse
ch'egli era morto ^ al- lora Claudio
soggiunse : la scusa è lecita. Un altro ringrazian- dolo come per burla, che egli acconsentisse
cke uno il . quale era stato accusato
fusse difeso e avesse chi dicesse le sue ra-
gioni, soggiunse ancora, ch'ella nondimeno era cosa solita. Ri- cordomi ancora aver sentito dire da' nostri
vecchi che i causi- dici e gli avvocati,
per esser lui persona tanto paziente, gli
avevano in modo preso rigoglio addosso, che quando e' volevano scendere giù della residenza, non solamente
lo chiamavano di- cendo che e' tornasse
indietro, ma lo pigliavano per un lembo %ih
della toga o per un piede e lo fermavano. E acciò che e' non paia ad alcuno le predette cose essere da
maravigliarsene^ un Greco, persona vile
e di poco affare, nello questioneggiare seco
con parole, si lasciò uscir di bocca in greco: ed ancora tu sei vecchio e matto. Fu accusato un cavalier
romano d'usare con le femmine a mal
modo, il che era falso ; ma perciocché i suoi
avversarii potevano assai, era in diibbio il fatto suo. Egli adun- que vedendosi esaminare contro i testimonii e
le pubbliche me- retrici^ si volse a
Claudio con dirgli ch'egli era un crudele ed
uno stolto; e venne in tanta rabbia che e' prese le scritture e
||ii stiletto del ferro e gli trasse
ogni cosa nella faccia e gli fece un
poco di male in una guancia.
Uffizio della censura da lui amministrato e altre cose da esso fatte. Amministrò il magistrato della censura, il
quale uiì gran tempo addietro, aopo che
Paulo e Fianco furono censori, non s'era eser-
citato; ma nel predetto magistrato fece ancora di molti svarioni. Ebbe dinanzi un giovane cavalier romano il
qUale era stato ac- cusato per le sue
disonestà ; e perchè e' sapeva che il suo padre
era uomo dabbene e sempre era stato di buoni costumi, lo li- cenziò senza alcuna punizione, dicendo che
egli aveva in casa il suo censore. Un
altro gli fu accusato per molto vituperoso e che avesse commesso di molti adulterii, il quale
egli non condannò altrimenti, ma solo
gli ricordò che essendo ancor giovane e di
tenera età, avesse cura di non si affaticar troppo e di non so- praffare la natura, o almeno di essere più
cauto e segreto nel farlo, soggiugnendo
: « Parti egli che e' sia ragionevole che ab-
bia a sapere ancora io qual sia la tua amica? » Avendo oltre a ciò a preghiere di certi suoi amici
acconsentito che e' si scan- cellassero
alcune parole ch'erano in disonore d'uno che gli era stato accusato, disse : « Io son contento, ma
io voglio nondimeno che e' sì riveggià
la scanceUatura. » Era un Greco (Je' principali
del suo paese, pejrsona molto splendida, il quale ^nel numero de' giudici ; ed ^ì, perchè e' non sapeva
parlare in latino, non solamente lo
privò di quel magistrato, ma ancora lo ridusse t vivere come forestiero. Volle sempre che
quelli che avevano ? render conto della
vita loro^ lo facessero da per loro senza a\
vocati, con dir loro che facessero il meglio che potevano. Con> dannò molte persone, ed alcune ve ne furono
che non se lo poL savano, perchè non mai
per l'addietro era stato cop'^a»^^»*^
al^iii^n x)er simili ^^/siioni, rWme tw^r Assers' Dartk ^'^^^i- sua licenza : e tra gli altri condannò uno
|)or avere accompagnato un re nel suo
paese, dicendo che anticaoiente Rabirìo Postumo, per aver seguitato Tolomeo in Alessandria,
desiderando di va- lersi d'un suo
credito, era stato accusato dinanzi a' giudici d'aver fatto contro allo Stato. Era nondimeno molto
maggiore il numero di coloro ch'egli
avrebbe voluto condannare, ma per la negli-
genza di coloro che gli esaminarono, gli trovò quasi tutti senza colpa, il che seguì con suo grandissimo
disonoire; perciocché quelli che furono
accusati di non aver moglie, di non aver fi-
gliuoli d'essersi lasciati sopraffare dalla povertà, provarono di aver moglie, d'aver figliuoli e d'esser
ficchi : e così ancora al- cuni i quali
erano stati accusati d'aversi date delle ferite per loro modesimi, spogliandosi ignudi, dimostrarono
il corpo e la per- sona loro senza
offesa alcuna. Fu ancora in questo suo uffizio
della censura notabile ch'egli comandò che una carretta d'ar- gento sontuosamente fabbricata, la quale si
vendeva^^ntf borgo (WSigillari, fusso
ricomperata e sminuzzata e disfatta là^iia pre-
senza. Mandò ancora in un giorno venti bandi, tra' quali ve ne fu uno che ricordava al popolo che per essere
buona ricolta di vino, avessero cura che
le botti fussero ristuccale bene ; nelFal-
tro ricordava che al morso della vipera non era il miglior rimedio che il sugo di quell'albero eh' è chiamato
tasso. Sua spedizione neir Inghilterra
e del trionfo. Fece a' suoi di
solamente una impresa, o quella di poca im-
portanza : perciò che avendo ordinato il senato che per suo onore gli fussero concessigli ornamenti trionfali,
e giudicando un simil titolo scemare più
tosto che accrescere il grado il quale egli te-
neva, e desiderando di trionfare interamente e come si doveva, elesse, per mandare ad effetto questo suo
desiderio, tra tutte le altre l'impresa
d'Inghilterra: la quale impresa, dal divo' Giulio in poi, da ninno era stata tentata. Eransi in
quel tempo levati su i popoli di queir
isola; perchè i fuggitivi, secondo .Ig conven-
zioni, non erano stati renduti loro. Partendosi adunqiìè Claudio d'Ostia e andandosene alla volta di quésta
isola per mare, fu due volte per
affondare intorno alla riviera di Genova vicino all'isola di Jori, per un vento provenzale che s'era
levato molto gagliardo Onde andatosene
da Marsiglia infmo a Gessoriaco per terra
quindi se ne rientrò in mare e passò nella detta isola. Ed aveii' dola senza alcuna battaglia e senza sangue
tra pochissimi giorni ridotta in suo
potere, tornò a Roma il sesto mese dipoi ch?egl
s'era partito e trionfò con grandissimo apparato. E permesse che non solo venissero a vedere in Roma quelli
ch'erano al governo delle Provincie, ma
alcuni sbanditi. E tra le spoglie ostili ap-
piccò una corona navale, vicino alla corona civica, la quale come imperatore aveva ricevuta nella sommità del
palazzo; volendo che per quelle si
comprendesse come egli era passato insino
nell'oceano, e lo aveva quasi domato. Andò dietro al suo carro trionfale in carretta Messalina sua moglie; accompagnaronlo
ah- cora quelli che nella medesima
guerra avevano conseguitato gli
ornamenti trionfali, ma tutti a piede e con la pretesta, da Crasso Frugo in fuora ; il quale andò sopra a un
cavallo bene abbigliato e con una veste
trionfale ornata a palme, perciocché altra volta aveva ricevuto tale onore. Cura che ebbe della città e delle
vittuarie. Usò grah diligenza in far
che la città, quanto agli edifìzii ed
altre appartenenze si mantenesse e che ella stesse abbondante. Onde ardendo gli edifizii chitimati Emiliani,
ed essendo il fuoco appiccato in mala
maniera, stette due notti alla fila in un luogo
a quelli vicino, chiamato Dilib^torio ; e perchè i soldati e fami- liari suoi non potevano supplire, ordinò che
i magistrati chia- massero il popolo,
mandando le grida per tutta la città: ed egli
facendosi loro incontro mostrava loro le borse piene di danari, confortandogli ài dar soccorso in quella
necessità, promettendo di pagar ciascuno
secondo che egli si portava. Quanto alla ab-
bondanza, per essere stato parecchi anni un gran secco, era grandissima carestia di tutte le grasce ; di
maniera che trovan- dosi egli in piazza,
il popolo se gli messe' d'attorno, e con dirgli
grandissima villania lo ricopersono quasi co' pezzi del pane; ed egli bisognò, per uscir loro delle mani,
fuggirsi per l'uscio di die- tro e
ritirarsi nel palazzo. Onde da quel tempo innanzi, per tutti que' modi che fu possibile, cercò sempre di
provvedere la città nel tempQ della
invernata di vettovaglie ; convenfitosi co' merca- tanti di dar. loro uo tanto per cento di
guadagno, e che i gran» venissero a suo
risctuo, dando grandissimi privilegi a tutti quell' che per condurre robe in Roma fabbricavano
navi. Privilegiì da lui concessi. Ordinò che ciascuno secondo il grado suo
potesse pigni' -yììQ d*)]l1a aI^
'^h'c' "*"^l^va a non fimpA obbliiQ'atr *n (jt-te*^ ., log^o Pappia Poppea, che vietava ch*e non
potesse ter moglie clii passava i
sessanta anni. Oixlinò cbe i Latini godessero tutti i privile;;!! come cittadini romani, che le
donne tutte godes- sero quel privilci^io
che si dava a (piclleche avevan fatto quattro
figliuoli, i ({uali ordini ancora oggi si osservano. Kdifìzii pubblici da lui costruiti. Fece di molli grandi ediGzii, ma non già
molto necessarii ; e tra i principali fu
l'acquidotto che era st-ato cominciato da Cali-
gola. Fece seccare il lago Fucino. Edificò il porto d'Ostia, an- cora che egli sapesse che Augusto a' prieglii
de' Marsi non mai aveva voluto seccare
il predetto lago : e che il divo Giulio s'era
messo più volte por edificare il porto d'Ostia, e dipoi essendogli paruta la impresa ditTicile, l'aveva
abbandonata. Fece fare due fonti
abbondantissimi d'ac((ua fresca, che derivano dall' acqua (Claudia, l'uno do^iuali è chiamato Ceruleo,
l'altro Curzio ed Ai- budino. (Condusse
oltre a ciò in Roma un ramo d'acqua di quella
del Teverone ; e murando i condotti di pietra, la divise per Roma in molti bellissimi laghi. Entrò nella
impresa del lago Fucino, non tanto por
acipiistarsi quel nome e quella gloria; quanto per- chè gli fu dato intenzione di avere a spender
poco : e vi furono alcuni che gli
promìsono di riseccarlo a spese loro, oche e'fus- sero concessi loro i terreni che rimanevano
secchi. Fece, per isgorgare l'acqua del
predetto lago, un canale di tre mila passi,
attraversando una parte del monte ed una parte tagliandone; la quale impresa con gran fatica si condusse in
capo a undici anni: e vi tenne contino
vamente a lavorare trenta mila uomini, senza
mettere in mezzo punto di tempo. Quanto al porto d'Ostia, tirò un'ala di muro dalla destra e uno dalla
sinistra ; ed allo entrare, dove il mare
era ancor profondo, tirò un molo attraverso. £ per giltare i fondamenti più gagliardi e stabili,
aflbndò nel detto luogo la nave che
aveva portato faguglia grande d' Egitto ; ed
accozzati insieme molti pilastri, vi edificò sopra una torre altis- sima come quella del Faro Alessandrino, per
tenervi il lume ac- ceso la notte,
acciocché i naviganti conoscessino il cammino.
Diede oltre a ciò più volte la mancia al popolo. Alcuni spettacoli da lui rappresentati. Fece ancora molto belle feste magnifiche, e
non solo quelle che si costumavano ne'
luoghi soliti, ma ancora alcune altre.
Qvi>rTo nii»BMflroi(fi ^45
parte ritrovate da lui e parte tratte dagli antichi. E perchè il teatro di Pompeo era arso, egli lo fece rifare,
e nel dedicarlo e consagrarlo fece
celebrare le feste che ai costumavano ; avendo
fatto porre la sua residenza nel luogo dove sedeano i senatori, e supplicato in quel tempio ch'era dalla parte
di sopra del teatro, passò per mezzo di
quello, stando ciascuno a sedere, né si fa-
cendo strepito alcuno. Celebrò ancora i giuochi secolari, come se Augusto gli avesse celebrati innanzi al
tempo ; ancora che egli medesimo scriva
nelle sue storie che essendo stati tralasciati
i predetti giuochi, Augusto gli aveva riordinati, avendo con gran- dissima diUgenza fatto il conto degli anni :
onde il popolo si rise del banditore, il
quale secondo il costume invitava ciascuno a
vedere celebrargli con dire che ninno gli aveva mai veduti, né era per vedere in temjK) di sua vita ;
avvenga che molti ch'erano presenti si
fussero ritrovati a vedergli celebrare al tempo di Au- gusto, ed ancora v'erano di quelli che
s'erano trovati a rappre- sentargli, che
allora gli rappresentarono un'altra volta. Fece
oltre a ciò celebrar i giuochi circensi più volte nel Vaticano; ed ogni volta che le carrette avevano corso
cinque volte, interpo- neva una caccia ;
e dove i cavalli stavano alle mosse, fece coprir di marmo e le mete fece indorare, come che
prima le mosse fussero di legno e le
mete di tufo* Ordinò ancora che i senatori
avessero un luogo appartato nello stare a vedere celebrare i detti giuochi, dove prima solevano stare alla
mescolata. Ed oltre al correre delle
carrette fé' celebrare ancora il giuoco chiamato Troia. Messe ancora in campo le pantere
d'Africa, e le fece am- mazzare da una
squadra di cavalieri pretoriani, de' quali erano capi i tribuni e capitan generale il prefetto
loro stesso. Fece an- cora comparire in
campo i cavalieri di Tessaglia, i quali si ag-
girano per la piazza menando attorno tori ferocissimi ; e dipoi quando e' conosc-ono che sono stracchi, vi
saltano sopra e per le corna gli tirano
a terra. Fece ancor celebrare il giuoco dei
gladiatori più volte in diversi modi. Fece ancor celebrare le fe- ste solite di farsi ogni anno negli
alloggiamenti pretoriani ; la prima
volta senza la caccia, e senza alcun altro apparato ap- presso ; la seconda volta le fé' celebrare
nel Campo Marzio con la caccia e con
tutte quelle appartenenze che si rìtercavano.
CelebròancQra le medesime feste un'altra volta in Campo Marzio, per lo strasordinario, e durarono pochi
giorni e chiamolle Spor- tule, perciò
ch'egli aveva fatto convitar il popolo così all'im- provvisa per dargli cena e fargli alcuni donativi.
Fu la predetta festa assai fredda e
comunale ; onde il popolo nel premiare i vincitori, ponendo egli la sinistra
innanzi, gli aiutava a contare i danari
; e pregandogli ad ogni poco che stessero allegri, gli chia- mava i suoi signori, mescolandovi certe sue
facezie fredde e sfor- zate, quale fu
questa : che domandando il popolo che meitesBe
in campo Colombo ch'era un gladiatore, egli rispose ch'era per farlo volentieri quando e' fusse preso. -Solo
una cosa fece ch'ebbe del buono e fti
utile esempio all'universale ; e questa fu che,
pregandolo quattro fratelli che fusse contento di far esente ior padre e disobbligarlo dal giuoco de'
gladiatori, egli subitamente si fece
portare la verga ch'era solita darsi a quelli che si face- vano esenti, e gliene dette, e sopra una
tavoletta fece notare come e' l'aveva
disobbligo, per dimostrare al popolo quanto ei
dovevano ingegnarsi di generare e far figliuoli, veduto quanto e' fossero utili e come egli erano bastanti
di favorire inaino a ub gladiatore. Fece
oltre a ciò combattere un castello in Campo
Marzio, dove e' rappresentò il fatto d'arme d'Inghilterra e come i re di quella provincia se gli dettone ; ed
egli medesimo nei pre- detto spettacolo
sedette come giudice, vestito alla soldatesca ed a guisa di capitano. E nel seccare e dar la
via al lago Furino, fece prima fare una
battaglia navale. Ma gridando quelli che
avevano a combattere : « tu sia il ben trovato, imperatore, sia sano da parte di coloro che hanno a morire :
» ed avendo egli ri- sposto : « state
sani voi; » eglino parendo loro che tal parola gli avesse licenziati e liberati di mettersi a
quel pericolo di morire, non volevano
combattere ; di che egli stette gran pezzo sopra di sé pensando se e' faceva appiccar fuoco alle
navi e tagliargli tntti a pezzi.
Finalmente levatosi da sedere e disceso a basso, co- minciò a correre intorno al lago, tuttavia
balenando e stando per cadere ; tanto
ch'esso gli costrinse a combattere parte conte mi- nacce e parte con preghi. AflFrontaronsi
insieme nel predetto itacelo Tarmata
siciliana e quella di Rodi, dodici galere per
la ; e nel mezzo del lago surse per via di c^rti ingegni un ne d'argento, il quale sonava la
trombetta. Instituzione, riforina e
riordìnazione di alcune costumanze.
Quanto a' sacrifizii ed alle cerimonie degli Iddìi corresse alcune jose ; ed ancora quanto alle cose civili ed a
quelle della milizia. Riordinò oltre a
ciò alcune cose quanto a' senatorré^pavalìérì,
così dentro nella città come di fuori ; rinnovando gli ordini an- tichi e che si erano tralasciati ed
ordinandone de* nuovi. Aven- dosi a eleggere
i sacerdoti, egli prima che ne nominasse alcuno sempre giurava di nominare
quello che a lui fusse paruto il mi-
gliore di tutti. Osservò ancora con diligenza che ogni volta che in Roma fusse venufò alcun tremuoto, il
pretore ragunasse il popolo a parlamento
e comandasse le ferie, cioè che in que' dì
. non si stesse a bottega ; e cosi quand'egli appariva cosa alcuna prodigiosa o di male augurio, ordinò che per
la città si facessino processioni
solenni e che gli Iddii con preghi si placassino : nelle quali processioni egli come pontefice massimo
precedeva a tutti ed in piazza faceva
un'orazione al popolo sopra a tal cosa, ricor-
dandogli quello che e' doveva fare. Ordinò ancora che le cause le quali si trovavano in diversi tempi
dell'anno, cioè una in alcuni mesi del
verno ed una parte in quelli dell'estate, si tenessero insieme congiunte senza intervallo di tempo ;
e tolse via un gran numero di servi e
d'altra simile generazione che servivano in .
quell'affare. - Statuti e regole
da lui messe. Il decidere e seutenziare
sopra a' fidecommissi, come che per lo
addietro fusse solito di crearsi il magistrato ogni anno sopra a questo solamente in Roma, egli ordinò che
il magistrato fusse a vita; e che ancora
quelli ch'erano a governo delle provincie
avessero la medesima autorità. Mandò ancora un bando nel quale egli annullò quel capitolo che Tiberio Cesare
aveva aggiunto alla legge Pappia
Poppea;f i che e' non potessero stare in
Roma né discostarsi da quella pifr'?"'*" " di tre miglia; il che per lo addietro non
s'era mai costumato,.*;' Avendosi a
trattare cosa alcuna d'importanza faceva porre laT--. residenza del tribuno tra quelle de' consoli,
ed egli vi sedevi» * / ^^ sopra in mezzo
di loro. Volle oltre ciò che quelli che solevano dimandare licenza al senato di andar fuor di
Roma per loro affar si facessino a lui e
da lui riconoscessino tal grazia. Sua
facilita o compiacenza e liberalità.
Concesse a' procuratori chiamati Ducenarìi, che da Augusto erano stati ap:i2;iiinti allo tre decurie
degli altri procuratori, ch'ei potessero
usare gli ornamenti consolari. Privò dell'ordine def^ cavalieri quelli che ricusavano d'esser fatti
senatori. E benché nel principio avesse
affermato che non era per eleggere alcuno
senatore se non nipote in terzo grado d'un cittadino -romano, nondimeno dette la veste senatoria a un
figliuolo d*un libertino, cioè d'uno, il
padre del quale era stato fìglitiQ||||^ di servo; ma gliene la dette con cx)ndizione ch'egli
avesse jj^iìma ad esaere adottato da-un
cavalier romano. K dubitando tuttavia- di non
essere ripreso e biasimato, disse, che ancora Àppio Cieco, il quale aveva accresciuto la sua stirpe essendo
censore, aveva eletto per senatori i
figliuoli de'libortini, e che da lui aveva imparato: come quello' che non sapeva che a' tempi di
Appio e di poi per alcun tempo,
libertini erano chiamati non quelli ch'erano fatti liberi, ma ancora i cittadini che da loro
erano discesi. Al collegio de'questori,
in cambio di far lastricare'le strade, dette la cura di far celebrare il giuoco de'gladiatori e tolse
loro il governo della provincia Gallia e
Ostiense ; e rendo loro la cura e guardia dello
erario di Saturno, che in quel mezzo tempo avevano avuto i pretori quelli ch'erano stati pretori. Concessegli
ornamenti trionfali t Sillano marito di
sua figlia, il quale ancora era sbarbato ; ed
a quelli ch'erano di più età gli concesse con tanta agevolezza ed a si gran numero, ch'e' si ritrovava una
epistola scrittagli in comune da' suoi
soldati, per la quale gli addomandavano che ai
legati consolari insieme con lo esercito fussero concessi gli or- namenti trionfali, per non dar loro causa
d'avere, a tunfiultuare e cercare
occasione di guerra. Volle che Aulo Plance entrale in Roma ovante, cioè vittorioso: e si gli
fece incontro nello an- ^are in
Campidoglio e nel tornare gli andò sempre accanto. A abinio Secondo, il quale aveva superati i
Cauci, popoli di Ger- nania, permesse
d'essere cognominato Caucio. Alcuni
modi civili e ordini da lui pubblicati.
Ordinò la mihzia de' cavalieri in questo modo : che il primo grado che dava a uno de' predetti uomini a
cavallo era il pro- porlo a una coorte,
cioè compagnia de' cavalh ; appresso gli dava
il governo d'un'ala e dopo questo lo faceva tribuno d'una legione. Ordinò ancora una milizia nuova di soldati
solamente in nome, 9 a'
quali dava un certo soldo e chiamava la detta milizia il sopra numero : né importava che quelli che ne erano
fussero presentì^ ma potevano essere
assenti servendosi solo del nome. Proibì ai
soldati di entrare in casa de' senatori per salutargli- e vi fece
far sopra ancora al senato un decreto.
Vendè come schiavi ì libertini che
s'erano usurpato il nome e l'autorità di cavalìer romano ; e quelli ancora de' quali i padroni si
querelavano, come d'ingrati é che non
riconoscevano ibenefìcii ricevuti, gli ridusse di nuovo in servitù facendo intendere agli avvocati
loro che non era per tener ragione né
dar sentenza in favor di quelli. Furono esposti
alcuni de' predetti schiavi nell'isola di Esculapk) ch'è nel
Tevere, perciocché a' padroni era venuto
a fastidio il fargli medicare : onde
egli comandò che tutti quelli che fussero stati in tal modo esposti, s'intendessero d'esser fatti liberi
e eh' e' non fussero più obbligati di
tornare in servitù de' padroni, riavendo la sanità. E trovandosi alcuno che più tosto gli volesse
ammazzare che espor- gli, ordinò ch'e'
fusse accusato per omicida. Mandò un bando
che i viandanti non potessino andare attorno per le città d'Italia, se non a piede ò in seggiola o in lettiga.
Ordinò che n Pozzuolo ed a Ostia
stessero alcune compagnie di soldati per tnr via la occasione degli incendii ed arsioni. Non
volle che i forestieri po- tessino usare
i nomi de' cittadini romani, cibò di quelli ch'erano di casato e nobili. Fece percuotere con la
scure nel campo E- squilino -quelli che
si attribuivano il nome di cittadini romani.
Rendè l'amministrazione della provincia della Acaia e della Ma- cedonia al senato ; la quale Tiberio si aveva
tolta per sé. Tolse, la libertà al Licii
per le discordie mortifere che tra loro erano
nate. Volle che i Rodiotti gli domandassero perdono de' loro vecchi delitti. Liberò gl'Iliensi in perpetuo
dal pagare i tributi, perciocché i
Romanf erano discesi da loro; recitando una epistola antica del senato e popolo romano scritta in
greco a Seleuco re, dove si promette al
predetto re l'amicizfà e confederazione del
senato e del popolo romano, ogni volta che egli avesse liberato gl'Iliensi lor consanguinei e parenti da'
tributi e gravezze che a lui pagavano.
Cacciò i Giudei di Roma, i quali mossi e persuasi da Cristo ogni giorno mettevano Roma
sottosopra. Concesse agli ambasciatori
de' Germani che sedessino nella orchestra, luogo dove sedevano i senatori, mosso dalla
semplicità e fiducia di quelli ; perciò
che essendo stati posti a sedere dove sedeva il
popolo, e veggendo che i- Parti e gli Armeni sedevano in senato, spontaneamente trapassarono ancor loro a
sedere in quel luogo, con dire
palesemente che non si tenevano in conto alcuno nò per valore né per nobiltà da meno de' Parti
e degli Armeni. Spense la religione dei
Druidi appresso de* Galli, la quale era
di somma crudeltà e bestialità ; ed al tempo di Augusto solo dii ciltadìni era stata interdetta. E per
contrario s'ingegnò di tras- ferire a
Roma i sacrifizi di Eleusina della regione Attica. Fece oltre a ciò rifare in Sicilia il tempio di
Venere Erìcina, il quale per antichità
era ruinato^ a spese del popolo romano. Fece le
confederazioni co' re in ])iazza pubblicamente col far uccidere la porca ed aggiugnere quella prefazione che
anticamente costuma- vano i sacerdoti
Feciali. Ma queste cose e tutte l'altre ed in gran parte ancora tutto il suo principato
amministrò, non tanto per suo arbitrio
quanto della moglie e de' suoi liberti, governandosi il più delle volte secondo che a loro piaceva
e veniva comodo. Le spose e mogli di
esso. Sendo ancora molto giovanetto,
ebbe due mogli, Emilia Le- pida,
bisnipote d'Augusto e Livia Medulina, cognominata Cam- mina, della casa antica di Gammillo
dittatore. Ripudiò la prima ancora
vergine, per avere i parenti suoi offeso Augusto; la se- conda essendo malata si mori il giorno che le
nozze si avevano a celebrare. Appresso
tolse per moglie.Plauzia Erculanilla, il cui
padre aveva trionfato ; dipoi Elia Petìna, il padre deHa quale (ira stato consolo, e con amendue fece
divorzio : ma con Petìna per offese
pìcciole ; con Erculanilla, perchè ella era molto vitu- perosa e disonesta, e perchè ancora si
sospettava ch'ella non avesse tenuto
mano a qualche omicidio. Dopo le predette tolse
per moglie Valeria Messalina fìgliuola di Barbato Messala suo cugino, e trovato, oltre alle altre cose
vituperose e disoneste che da lei erano
state commesse, ch'ella s'era maritata ancora a
Gaio Silio, gli consegnò la dote in presenza degli aruspici e la fece ammazzare. E parlando a' suoi soldati
.pretoriani^ affermò che poi ch'egli
aveva sì mala sorte con le mk)gli, non ne voleva più tórre alcuna : e che se e' faceva
altrimenti, dava loro libera commessione
che e' lo ammazzassino. Nondimeno non potè con-
tenersi ch'egli non trattasse tuttavia qualche parentado e ma- trimonio, emassime di Petina da lui repudiata
e di Lollia Pau- lina ch'era stata
moglie di Caligola. Ma allettato dalle piacevolezze di Agrippina figliuola del suo fratello
Germanico, nel baciarla, accarezzarla e
trastullarsi con essa, se ne innamorò; e convenne con certi suoi famig^'^n che la prima volta
che il senato si ra- fifiinnva
r»ronr»nf»c gua, aveva ordinariamente il
parletico nel capo, ma più quando egli
era in cptal guisa aidirato in ogni suo minimo movimento. Sua complessione. Come che per lo addietro fusse sempre stato
mal sano, cosi, poi ch'e' fu fatto
principe fu sanissimo, eccetto che alcuna volta
aveva certe doglie di stomaco ; di maniera ch'egli usò di dire una volta ch'elle lo orep'^no f^^t^ T»treva
pensato insino ad am- mazzarsi. Conviti ed altri suoi fatti. Usò molto spesso di far conviti i quali
erano sempre abbonde- voli e sontuosi,
ed eleggervi luoghi spaziosissimi ; onde il più
delle volte si ritrovarono seicento, a tavola. Quando e' deitte la via al lago Fucino^ fece un convito dov'egli
fu per affogare : per- ciocché nello
sboccare impetuosamente Tacqua, traboccò e ri-
coperse quasi tutto il luogo dove egli erano. Sempre che ei faceva tali conviti, voleva che i figliuoli
stessero a tavola .in compagnia d'altri
fanciulletti e fanciulle nobili : ì quali, secondo il costume antico, sedevano cosi a canto agli
appoggiatoi dei lettucci e quivi
cenavano. A uno de' convitati che'^ il di dinanzi si credeva ch'egli a vesso -rubata una coppa
d'oro, fé' porre in- nanzi il di
seguente un calice di terra. Dicesi ancora ch'egli aveva pensato di mandare un bando e dar
licenza che a tavola si potesse sfiatare
da basso ; per avere inteso che un povero
uomo e vergognoso, sendosene rattenuto, se n'era morto. Del suo mangiare e bere, del sonno, sua
lussuria, e libro da lui composto del
giuoco dei dadi. Ad ogni ora ed in
qualunque luogo sempre fu avidissimo di
bere e di mangiare. Tenendo una volta ragione nella piazza di Augusto, gli venne al naso l'odore d'un
convito che nel tempio di Marte ch'era
qui vicino, si faceva a' sacerdoti del predetto
Iddio, chiamati Salii ; onde levatosi da sedere, subitamente andò a trovare i detti sacerdoti e si pose con
loro a tavola, e man- giò e bebbe tanto
che- sopraffatto dal cibo e dal vino, gli venne
una sonnolenza si fatta che e' si pose a giacere a rovescig a bocca aperta, e gli fu cacciato una pernia in bocca
per isgravargli lo sto- maco. Era di
pochissimo sonno, perciò che le più volte vegliava insino ^ mezzanotte; pure alcuna volta tra '1
di, nel tenere ragione, sonnifera va, e
appena che gli avvocati, alzando la voce
in pruova, lo potessino destare. Quanto alle donne fu molto lussurioso, né punto gli andavano a gusto i
maschi. Fu molto dedito al giuoco de'
dadi, e ne compose un'operetta e la mandò
fuori. Giuocava insino quando in carretta andava attorno per Roma, acconciando il tavoliere in modo che il
giuoco non vemsse a confondersi. QUUfTO IMPSEATOBB 255 Sua crudeltà. Che per natura e' fusse crudele e sitibondo
del sangue, si conobbe nelle cose minime
come nelle grandi. Faceva esaminare e
tormentare e punire gli omicidi in sua presenza; e desiderando di vedere punire uno in Tigoli, secondo il
costume antico, già erano legati i
colpevoli ad un palo, siccome in quei tempi si
usava ; ma non ci essendo il carnefice, lo mandò a chiamare insino a Roma, e tutto il dì stette ad
aspettarlo per fino alla sera. Ogni
volta che egli o altre persone facevano celebrare il giuoco de' gladiatori, volle che quelli, che a caso,
e non per virtù del nimico
sdrucciolassino, fossero scannati, e massimamente i re- zia rii : facendogli volgere col viso verso
lui per vedergli, mentre che e'
mandavano fuori lo spirito. Sendone una volta cascati in terra un paio per lo ferite date e ricevute.
Tuno all'altro, ne prese tanto piacere
che e' comandò che subitamente gli fusse
fatto un paio di coltelli piccoli del ferro di quelle spade. Tanto era il piacere che si pigliava di vedere gli
uomini esser divorati dalle fiere, che
facendosi il detto giuoco a mezzo giorno, si rap- presentava a vedere come prima si faceva d);
e venuto Fora del mangiare^ licenziava
il popolo, ma egli non si partiva. Ed oltre
a quelli che a tal morte erano sentenziati per ogni piccola ca- gione, sempre ve ne metteva qualcuno degli
altri, come fabbri, legnaiuoli ed altri
simili ministri ; i quali nello acconciare qual- cuno di quegli ingegni che da per loro si
giravano o che a poco a poco surgevano
in alto o altre cose simili, non si fussero così bene apposti. Messevi ancora un dì coloro che
gli nominavano i cittadini romani, còsi
togato come egli era. Sua timidezza e
viltà d*animo. Niuno si ritrovò già mai
che fbsse più timido e sospettoso di lui.
Ne' primi giorni del suo principato con tutto che egli, come di sopra abbiamo detto, facesse grandemente
del civile, nondi- meno non ebbe mai
ardire d'andare a convito alcuno, se non
con lo avere d'attorno a guardia della sua persona alcuni soldati con le partigianette da lanciare ; e questi
tali lo servivano alla mensa ed in tutto
quello che faceva mestiere. Né mai andò a
visitare niuno infermo ch'egli prima non facesse molto bene cer- care la camera e por le mani sopra alla
coperta del letto e sotto la coltrice e
scuotere molto bene ogni cosa per vedere se v'era arme. E inentre ch'egli stette nell'imperio,
senza rìsparmivre 256 CLAUDIO
CBSABE alcuno, faceva cercare molto
bene tulli quelli che lo venivano a
salutare se e' portavano arme : avendo per tal uffizio scelto i più rigidi soldati e senza manco rispetto. E
cominciò ivi a molti anni quasi a non la
perdonare ancora alle donne, né a'fanciuUetti, nò alle pulzelle; facendole molto bene
brancicare e cercare per tutto, se per
ventura si fusse loro ritrovato arme addosso. £ con fatica concesse a' suoi scrivani ed a quelli
che gli tenevano com- pagnia di portare
a cdnto i pennaiuoli. Ebbe ardire Cammillo
Scriboniano, in sollevamento di -popolo, di mandargli una epi- stola piena d'ingiurie e di minaccio e
comandargli che lasciasse l'imperio e si
desse al vivere privatamente ed iù ozio ; e fu tanta la «uà timidezza ch'egli- stette in dubbio,
fatto chiamare a con- sigli i primi
dottori di legge, se egli in quel caso era tenuto ad ubbidirgli.
Sua paura delle congiure.
Essendogli fatto credere che alcuni cercavano di ammazzarlo a tradimento^. se ne spaventò in modo che e'
tentò privarsi del- l'imperio. E
ritrovandosi, come di sopra ho riferito, mentre che egli sacrificava uno con l'arme sotto, fé'
prestamente raiiuare il senato per i
trombetti, e lagrimaudo e lamentandosi, si dolse della sua disgrazia e dello stato nel quale egli si
ritrovava ; e che per lui non fusse
sicuro luogo alcuno. E la durò gran tèmpo ch'egli non si rappresentò in pubblico. La cagione ancora
ch'egli raffrenò l'ardentissimo amore
che e' portava a Messalina fu non tanto Tes-
ser da quella beffato ed ingiuriato quanto la paura di non in- correre per lei in qualche pericolo ;
perciocché gli era stato dato a credere
ch'ella andava cercando di fare imperadore Silio suo adultero : e fu tanto allora il suo timore
che vituperosamente si rifuggì allo
esercito; niun'altra cosa per tutta la via ricercando, se non se l'imperio per lui si
conservava. Pene severe colle quali
furono' castigate persone innocenti per
lievissime sospezioni. Per ogni pìccolo
sospetto, per qualunque persona, ancora che
leggerissima^ per ogni poco di scrupolo che gli fusse messo, si metteva in guardia ed al sicuro e cercava di
vendicarsi. Uno di coloro che litigavano
nel salutarlo lo tirò così da banda egli disse
ohe in sogno gli èra paruto di averlo visto ammazzare da una ' ta persona ; e quindi a poco come se egli
avesse rìoonosciuto quella tal persona che a lui era paruto che Tammazzasse,
gli mostrò il suo avversario che gli
porgeva \in memoriale; onde subito gli
fece por le mani addosso, e fu menato via per essere giustiziato, parendo a Claudio d'averlo còlto
in sul fatto. Nel medesimo modo dicono
essere stato oppresso Appio Sillano; per-»
ciocché avendo deliberato Messalina e Narciso di farlo capitar' male, si eonvennono insieme del modo nel
quale si avevano a governare, e così
Narciso una mattina innanzi giorno tutto at-
tonito e smarrito, entrò furiosamente in camera del suo padrone Claudio, dicendo che ih sogno chiaramente
aveva conosciuto che Appio era per
fargli villania. Allora Messalina ancora ella accon- ciatasi in atto di maraviglia, disse che anco
a lei parecchie notti alla fila era
paruto in sogno il simigliante. E quindi a un poco, come da loro era stato ordinato, entrò uno in
camera e dette avviso come Appio tutto
infuriato veniva a Ila volta della camera,
come che 'l giorno davanti gli fusse stato comandato. che nel detto luogo si rappresentasse : perchè egli
stimando vero il so- gno, comandò che
Appio subitamente fusse citato e fatto mprire :
né s'infinse il giorno appresso il prefato Claudio di raccontare in senato ogni cosa per ordine e ringraziare il
suo liberto Narciso, il quale per la sua
salute ancora dormendo vegliava. Quanto
fosse stizzoso e stolto. Come quello,
il quale si conosceva collerico e stizzoso, ne fece scusa al popolo per via d'un bando e distinse
l'un difetto dal- l'altro con fare
intendere che la sua stizza era cosa che passava vi^ prestò e ch'ella a veruno non era per
nuocere, e la collera che non era per
tenerla a torto e senza cagione. Egli riprese
gravemente quelli che abitavano ad Ostia, perciocché entrando nel Tevere non avevano mandato le scafe ad
incontrarlo e molto gh biasimò e dette
loro carico d'averlo in quella guisa mandato
alla (1) stregua degli altri, né mai volle loro perdonare s'eglino incontanente non gli ebbero soddisfatto e
ricorretto il loro er- rore. Oltre a ciò
egli stesso, e con le proprie mani scacciò da sé e mandò via alcuni, i quali non così in tempo
lo andarono a tro- vare in pubblico.
Confinò ancora uno scrìvano, il quale era stato
questore ed uno senatore, il quale era stato pretore, senza volere intendere scusa o ragione alcuna che da
quelli fusse allegata com'^ eh' e'
fussero senza colpa. Lo scrivano fu da lui in tal modo col dannato, perchè
quando egli era ancora privato cittadino gli aveva fatto contro molto apertamente e senza alcun
rispetto. Il sèna- natore, perchè
essendo edile, aveva condannato certi suoi fit-
taiuoli che contro il bando avevano venduto cose cotte ; e perchè il suo fattore della villa vi si era voluto
intromettere, lo aveva battuto. Per la
medesima cagione ancora tolse agli edili Fauto-
ri là che avevano di porre freno alle taverne quanto aLcucinare. Fece oltre a ciò menzione della sua
stoltizia, mostrando in certe
orazionette che aveva fatto in prova del goffo e dello stinto sotto riro[)erio di Caligola; avendo conosciuto di
non avere altra via da scampare delle
sue mani, e di pervenire al grado.al quale egli
»?ra pervenuto: né prima ad alcuno Dece credere questa sua astuzia che intra pochi giorni egli uscì
fuori un libretto, il cui titolo in
greco era Insolenza, o si veramente Resurrezione degli stolti, e lo argomento e sostanza di quello
che è' conteneva era che ninno fìngeva
la stoltizia. Della sua smemoraggine ed
altre sue azioni. Tra gli altri suoi
difetti, de' quali gli uomini si maravigliavano, fu la dimenticanza è lo essere inconsiderato.
Egli avendo fatto ammazzare Messalina,
quindi a poco postosi a tavola domandò
della signora ; e perchè ella non veniva a cena. Molti di quelli, ai quali egli aveva fatto tagliare la testa,
furono il giorno seguente mandati da lui
a chiamare in gran fretta, perchè e* venissino o a consigliarlo o a giuocare con seco ai dadi;
e parendogli che troppo stessero a
comparire, gli mandò per un servidore a ri-
[)rendere come persone sonnolenti. Oltre a ciò avendo deliberato (li pigliare Agrippina per moglie, il che por
(1) attenérgli ella (luello ch'ella gli
atteneva, era cosa fuori di ragione e contro al
dovere ; nondimeno ad ogni poco si lasciava uscire di bocca nella orazione ch'egli faceva per persuaderlo
ch'ella era sua fi- gliuola, ch'egli se
l'aveva allevata e creata e che nel suo grembo
ora cresciuta. Quando e' volle ancora adottare Nerone nella fa- miglia de'Claudii, non gli parendo errore
abbastanza lo adottare il fìgliastro e
non tenere conto del figliuolo, ilquale già era di ragionevole età, usò di dire che niun per il
tempo addietro era mai stato adottato
nella famiglia de'Claudii. (1) Per
attenergli ella quello, che gli atteneva, significa per essergli ella parente in quel grado, nel
quale gli era parente. Suoi discorsi ed ora^iòQi. Egli nel parlare e nell'altre cose ancora si
mostrò spesse volte' tanto niBgligente e
trascurato, che er si stimava che e'non sapesse
sì veramente ch'egli non considerasse, né avesse cura alla per- sona ch'egli rappresent|iva, nò appresso di
cui o in che tempo o ' in che luogo egli
si parlava. Trattandosi de' beccai e de' vinattieri, egli a piena voce nel senato gridò senza
proposito : Ditomi per vostra fede chi è
qnello che possa vivere senza un pezzuole di
carne? e quivi si distese assai sopra alle taverjie, dalle quali egli era già solito di pigliare il vino,
mostrando quanto in quei tempi le
fussero abbondevole Kel favorire uno che addimandava di essere fatto questore, tra l'altre cagioni
perchè egli lo favoriva, addusse che il
padre di quello una volta, quando egU era infermo,, lo soccorse di un poco di acqua fresca molto
a tempo. Ed avendo fatto comparire
davanti al senato una donna, perchè ella facesse testimonianza sppra un certo affare, disse
per acquistargli cre- dito ; costei fu
liberta e {{) mazzocchiaia di mia madre, ma me . ha ella sempre tenuto in luogo di padrone ; e
ciò vi ho io voluto dire, perciocché in
casa mia vi ha di quelli che non mi hanno
in luogo di padrone. Oltre a ciò essendo venuti quelli di Ostia a pregarlo di non so che per la loro comunanza,
egli standp in residenza e grandemente
acceso in collera, gridò ^d alta voce,
che non aveva cagione alcuna, onde egli avesse a fare loro ser- vizio e rendersegli obbligati ; e che mollo
bene egli ancora era libero dove si
fusse un altro: e còtali parole gli erano molto
familiari e le usava ad ogni ora e ad ogni punto, cioè : Non ti pare egli che io sia nato degli Dii? non ti
paio io eloquentissimo? e molte altre
simili sciocchezze gli uscivano di bocca disdicevoli ' ad una persona privata, non che ad un
principe, massimaménte . non essendo
egli se non dotto ed eloquente, anzi dedito grande- mente agli studi delle buone lèttere ed arti
liberaH. Libri e operette da lui
composte. Cominciò da giovanetto,
confortato da Tito Livio e Sulpizio
Flavo, il quale ancora lo aiutò a scriver la istoria; e la prim? volta ch'egli ne volle fare esperienza per
vedere come ella.riu selva, la recitò in
pubblico essendo ripiena l'audienza di p«c^.
(1) Mazzc^-cb'^ìA chiamane' quelle, cHe ornano' ^^^ tft.«^r ™.*. donD«
'a'oi!. e dar ^r;jn fvica a t»*;;^erla i usino al frae; spesse
volle f->r r*^ m»^'ìeiLTi«''
ra^reiiiìtOTsi. f*?r::iocch^ nel comineiare a re- 'i^are ^t f'i »in jra*=*> oh^. p. ejiU ricordandosi
del f'tUo ad o_'ni :ic-«"M. non
LHjten lo a^teners^«n*». si metteva a ridere
a pi»:*^a h»*:ooa. Stts^ accora ài mMte i^-^se poiché egli fa fatto princifM?: e teR»^v:i uno. al q^ial»? ezli le
faceva le^iere e recitare. Ojm'mnh a
'ii.**en«iere la sia istoria dalla iiccision di Cesare f:itfa»ore: ma n^l discorso dello scrivere si
fece ancora più ad- i\*Mrf>.
comin«"ian iosì 1 rlal'.a pace civile, come quello a cui non parexa iji potere Uh>eramente scrivere
la verità de' tempi a hii più vicini,
massimaraente che la madre e l'avola più volte ne lo sgridarono. D'.'Ila prima materia ne
lasciò due libri, della se- ronda
qiiarantuno. (Compose ancora otto volumi della sua vita con assai leirLMadro stile, ma. anzi che no.
sconciamente trattato. Si-risse oltre a
-ciò la difensione di Cicerone contro ai libri di Asinio Gallo: dove edi ebbe assai del buono e
dell'erudito. E^li rincora rifrmò tre
nuove lettere e le aggiunse al numero delle
altro, come non poco necessarie ; della ragione e qualità delle quali avendone nel tempo che egli era ancora
privato, mandato Inora un trattalo,
venne appresso, poi che e' fu fatto principe,
molto agevolmente ad ottenere che insieme con le altre mesco- latamente si usassero: e nelle scritture e
titoli delle opere an- tiche, molto
spesso si ritrovano le predette lettere.
Quanto attendesse allo studio delle lettere greche Imi non mono studioso delle lettere greche e
sempre ch'egli no aveva occasione, faceva
apertissima professione dj essere
{grande amatore della lingua greca, predicando la eccellenza' di 'il6 qui intende dopo che Augusto ebbe quieta
ogni cosa. dogli un tribuno, al quale toccava la
guardia secondo il costuma) che gli
desse il nome, gli dette per nome e contrassegno un verso greco, la sentenza del quale, è: Vendicati
Sempre mai monchi ti offende primiei'o.
Scrisse ancora alcune istorie in grecò, cioè
venti, libri dell'istorie Cirenaiche ed otto dell' istorie
Cartaginesi: e per questa cagione fu
aggiunto allo antico luogo di Alessandria,
consagrato alle muse e chiamato.Museo, un luogo chiamato Clan- diano, dove. ogni anno, in certi di determinati,
nell'uno si recita-^ vano l'istorie
Cirenaiche, nell'altro le Cartaginesi r non altriménti che in una audienza pubblica ed a ciascun
toccava la sua volta a recitarle. - Pentimento d'essersr ammogliato ad
Agrippina, e d'aver adottalo Nerone.
v Vicino al termine della sua vita
mostrò per alcuni segni ma- nifestamente
di pentirsi di avere preso Agrippina per moglie e avere adottato Nerone, conciossiacosacliè
licordandogli i suoi li- berti, e
lodandogli che il giorno davanti avesse oondannaUji una certa donna per adulterio, gli disse, ancora
a sé esser fatale che tutte le sue mogli
fussero disoneste, ma non già ch'elle restas-
sero di non essere punij,e. E poco appresso riscontrando Britan- nico, strettamente lo abbracciò e confortò a
crescere, acciocché da lui pigliasse il
conto della amministrazione dello Imperio, e
nel partirsi da lui disse queste parole in greco: Fate bene. Dipoi avendo deliberato ch'egli prendesse la toga
virile come che an- cora fosse in tenera
età e senza barba, ma nondimeno di fattezze
e statura conveniente a quell'abito, usò di dire che lo faceva, acciocché il popolo romano allora cominciasse
ad avere un vero Cesare. Del di lui testamento e morte. V
Non mollo dipoi fece ancora testamento e vi fé' porre il segno loro a tutti li magistrati ; ma fu impedito
da Agrippina prima ch'egli potesse
procedere più avanti : la quale, oltre a ciò, gli era stata accusata per molte altre cose.
Ciascuno si accorda lui essere stato
avvelenato; ma sono discrepanti dove e chi*fusse quello che lo avvelenò. Alcuni scrivono nella
ròcca mangiando co' sacerdoti ; altri
dicono, che Alollo Spadone suo credenziere
lo avvelenò ; altri dicono che Agrippina gli pose innanzi uno uo- volo avvelenato ; essendo molto goloso di
quella sorte di funghi. Sono ancora discrepanti gli scrittori nelle cose che
appresso se- guirono: perciocché molti
affermano che subito preso il veleno
ammutolì; e che i dolori tutta notte il tormentarono ; e che in sul fare del dì passò di questa vita. Altri
scrivono che nel prin- cipio si
addormentò: dipoi che rigonfiandogli il cibo in su lo stomaco, per bocca lo cacciò fuori e che di
nuovo fu avvelenato. Ne si risolvono se
ciò fu nella poltiglia, che per ristorarlo gli
dettone, o sì pure gli avvelenarono il cristero, il quale gli fec- cionó per evacuarlo ancora da basso;
conciossiacosaché dallo essere ripieno
si sentisse molto affaticato e travagliato.
Sua molle tenuta nascosta, tempo della morte e funerali. Celarono la sua morte per fino a taiito che
quanto al succes- sore fusse ordinato
ogni cosa, onde e' fecionò alcuni. voti per la sa- lute come se fusse ancora vivo, e c"he
la infermità durasse. Man- darono àncora
per certi rappresentatori di còmniédie, fingendo di volere ch'essi lo intrattenessino e gli
déssino spasso e che ciò fusse da lui
desiderato. Mori àlli tredici di ottobre, essendo consoli Asinio Marcello ed Acilio Àviola,
avendo sessantaquattro anni ed essendo
stato quattordici anni nello Imperio. Fu ifìesso nel numero degli Iddii e sotterrato con pompa
solenne. Ed aven- dolo Nerone privato di
quello onore di essere ascritto tra gli Id-
dii, gli fu appresso renduto da Vespasiano. ProiTostici della di lui mòrte. Tra i principali segDin^he apparsone innanzi
alla sua morte, fu una cometa ed una
saetta che percosse il monumento di Druso
suo padre ; come che nel medesimo anno molti ancora ch'erano di magistrato fussino morti. Pare ancora per
manifesti argomenti che a lui non fusse
ascosto il termine della sua vita né dissimu-
lato ; perciocché nel disegnare i consoli ninno ne disegnò oltre il mese nel quale egli morì. E quando
ultimamente si ritrovò in senato,
confortò molto i suoi figliuòli allo essere uniti e d'ac- cordo ; e molto supplichevolmente pregò i
padri conscritti che, avendo rispetto
alla tenera età dell' uno e dedl'altro, gli avessero per raccomandati. *E l'ultima volta ancora
ch'egli sopra alla re- sidenza rèndè
ragione, disse una e due volte, ch'era già per\'e- nuto al fine della mortalità: r'^'^'> f'he
gli ascoltane' ^'^«trassoro di aver
&' ''*'^ •'u*^ malr •\arrklt r.'cf''
«ir ••n/ LA VITA ED I FATTI DI NERONE
CESARE HfEST^ IHPERATOB ftOUMd Due furono le famiglie che derivarono dalla
casata dei Domizii, runa de'Calvini
l'altra degli Enobarbi. Il primo, onde ebbonó
origine gli Enobarbi e dal quale e* presdno ilnome del easatg, fu Lucio Domizio^ al quale dicono, ohe
tornandosi egli di villa, apparvono due
giovani di biella e magnìfica presenza, e d*un fatto . d'arme, del quale ancóra non si sapeva la
verità del successo, gli annunziarono 4a
vittoria, comandandogli che lo facesse iriten-
dere al senato; e per fargli fede qual fusse la maestà fòro, gli stroppicciarono il mento e la barba, che era
nera, gli cambiarono rn rossa
simigliante al colore del rame. Ed andò la detta cosa per successione, perciocché una gran parte di tal
casata ebbeno la barba di quel colore ;
e come che in detta famiglia fusserò stati
sette consoli, due censori e due che trionfarono, messa appresso' nel numero dei patrizii, tutti mantennero per
cognome della casa loro il predetto nome
di Enobarbo, né .mai altro prenome si^
usurparono salvo che -di Gneo e Lucio, e questi (il che fu cosa notabile )^i andarono scambiando Tun l'altro;
prima di tre in tre l'un dietro
all'altro si chiamarono Lucii ; ed i tre che ap- presso seguitarono, intendiamo essere stati
chiamati Gnei. E così scambfevolmente
aiidarono dipoi seguitando di mano in mano
ora chiamandosi Lucifera Gnei. Giudico che e' sarà a propositi dare notizia di alcuni nella predetta
famiglia, acciocché più agr volmente si
conosca ^ Nerone dalla virtù dei suoi avere degen^ rato in modo, ch'egli ancor ne rappresentò
i-vizii come H«i o"**^» ric^vu»»
oe'- eredità. Gneo Domizio, utavo di Nerone.
Per farmi adunque un poco più da principio, il suo bisarcavolo flneo Dontizio sdegnato, quando era tribuno,
contro a* pontefici por aver in luogo
del padre eletto un altro e non lui, tolse loro
l'autorità di potere sustituire e la dette al popolo. Questi
avendo, quando e' fu consolo, superato
gli Allobrogi e gli An'erni, ac-
compagnato dai suoi soldati a guisa di trionfante, cavalcò per quel paese sopra uno elefante. Di costui,
disse Lucio Grasso ora- tore, che e' non
era tla maravigliarsi che colui, il quale aveva la bocca di ferro ed il cuore di piombo, avesse
ancora la barba di rame. Il suo
figliuolo, essendo pretore, chiamò Cesare in giudi- zio, dinanzi al senato a dare conto della
amministrazione del suo consolato; nel
quale egli si era governato contro agli auspizìi e contro le leggi. Dipoi fatto consolo tentò di
levargli il governo dello esercito
ch'era in Gallia, e col favore della fazione pom- peiana gli nominò il successore. Egli nel principio
della guerra civile fu preso a Gorfinio
; ondo licenziato e lasciato liberamente
andare da Cesare, se ne andò a Marsiglia. Ed avendo col suo arrivo confermato gli animi de' Marsigliani
già per lo assedio tra- vagliati assai,
a un tratto si abbandonò. Finalmente o' fu morto nella guerra farsalica, uomo per natura non
molto stabile e cru- dele, assai ; e
trovandosi disperato ne' predetti garbugli, cercòdi ammazzarsi. Dipoi se ne spaventò in modo che,
pentitosi del veleno da lui proso, lo
ributtò fuora ; e fece libero il medico, per-
ciocché industriosamente lo aveva temperato e fatto manco no- cevole. Costui, domandando Pompeo quello che
aveva -a fare degli uomini che si
stavano di mezzo, nò si accostavano dalPuna
dall'altra parte, fu solo di parere che si dovessero tenere per neniici.
Gneo Doraizio, proavo di Nerone.
Lasciò un figliuolo da essere senza dubbio preposto a tutti quelli della sua casata, il quale essendo nel
numero di quelli ch'erano consapevoli
della morte di Cesare, quantunque senza
colpa condannato per la legge Pedia, se ne andò a trovare Cassio e Bruto, i quali erano suoi parenti stretti ;
e poi che e' furono morti mantenne
l'armata, alla quale egli era stato preposto, e la accrebbe non senza danno e rovina, in
'^'lalunque luogo egli si ritrovò, della
fazione contraria n:-..!*. . -^presso nelle mani di SESTO m^^ATOBB 2165 grandissimo favore e beuefizio. Onde egli
solo tra tutti gli altri che per legge
parimente erano stati osito, lo fece comparire in pubblicò, -avendo, intoniD
ù tempii della piazza messo in ordine i
suoi soldati e poatou iw- dere sopra una
sedia curule (cioè b-ianfale] vicino a' rostri e-ve- stito ancora in abito di trionfante, con le
insegne e veMHli raili: tari intorno ; e
fattolo satire da ((uella banda, onde il palcketto, dove egli era sopra, andava piegando a
terra tandosegli II re'alle ginocchia, e
sollevatolo con la mano destra, In
baciò. Appresso preg trasse di capo la
tiara (ornamenta sacerdotale dema
[insegna ed ornamenlo regio), e feCe dipi^ sii
fece riverenza e lo salutò come imperatore, ed in Gampiila^ fu posta in grembo di Giove Capitolino una
corona di allpro io Le porte di Giano
Gemino diiuse al soo tempo. Egli nel
medesimo tempo chiuse il tempio di Giano Gemìoo
(cioè che aveva due raccie], perciocché allora non ero guerra in alcuho lui^o ; anzi tutt« erano terminale, né
alcuna reliquia se era rimasta.
Amministrò qnaUro consolati, il primo di due, il secondo e l'ultimo di sei, il terzo dì
quattro mesi ; il aecoìdo ed il ter^o
furono l'uno dopo l'altro, negli altri interpose un ano. ' Sua costume nel render giustizia. (Jiianto al tenere ragione, usò sempre di
non rì^ieadeno quelli, che si
richiamavano, il di medesimo ch'alino ai richia- mavano, ma nel giorno s^uente ed in iscrìtto
: e ne) HftUn- 0BSTO mmiATéiis
S73 zìare ed esaminare le cause, non le
spediva Tuna dopo Faltra, ma tutte
insieme, con dare audienza ora a questo ed ora a quello, e toccava a ciascuno la volta sua. E sempre
che egli si ritrovava in senato per
deliberare e consultare sopra le faccende dello
imperio, egli non mai parlava, né palesemente ìa compagnia degli altri diceva il suo parere, ma
tacitamente e da per so leg- geva i
pareri degli altri, che da quelli erano stati scritti, e pi- gliava quello che a lui piacevate dipoi, come
se fusse stato il parere dei più, lo
pubblicava. Seguitò un tempo che e' non volle
che i figliuoli de' libertini fusero intromessi nel senato; ed a quelli che dagl'imperadori innanzi a lui vi
erano stati intromessi non permesse mai
di ottenere alcuno magistrato. I competitori
del consolato che passavano il numero di due, per non mandar- gli scontenti dello avere a indugiare a
un'altra volta, gli prepo- neva al
governo delle legioni. Usò il più delle vojle di concedere il consolato solamente per sei mesi. EgH,
essendo morto uno de' consoli, intorno
alle calende di gennaio (quando i nuovi si
avevano a creare) non volle in luogo di quello sostituire alcuno ; biasimando assai che anticamente Caninio
Rebulo era stato con- solo solamente un
giorno. A coloro ch'erano pervenuti alla di-
gnità questoria (cioè che erano stati questori o che avevano avuto in casa questori) concesse ancora gli
ornamenti trionfali; e fece i4
simjgliante ancora inverso di alcuni di quelli ch'erano debordine dei cavalieri. E le orazioni ch'erano
scritte e man- date al senato che
appartenevano alla milizia ovvero a qualche
altra cosa," non le faceva recitare, come era usanza, al questore, ma le faceva leggere e recitare al consolo. Martorìi ritrovali per i Cristiani, ed altre
sue ordinazioni. Fu sua nuova
invenzione che intorno a' casamenti posti in
isola (cioè spiccati da ogni banda dagli edifìzii) e cosi intorno alle case, fussero edificati portici, dai
terrati de' quali si veniva a riparare
alle arsioni e gli fece edificare a sue spese. Aveva an- cora disegnato di tirare le mura della città
insino ad Ostia; e quindi per un canale
ovvero fossa condurre il maro infìno alle
mura vecchie di essa città. Sotto al suo imperio furono molt^ cose vietate e raffrenate severamente ; e
molte ancora di nuove ne furono
ordinate. E primieramente si moderarono le s^iese su perfine; e le cene che in piTbblicosi
facevano furono rido^*'» '^ "antica
parsimonia. Ordinossi che alle taverne qiiT»»-^ m . ■•ipa Hr' 'ojyiim* ^ -x» '^'^grgr 'p fnnra
ninna noaq /»/\H'' S7i GLAOf^IO
lYBRONB CESARE avvenga che prima vi si
vendesse ogni cosa da mangiare. Furono
da lui tormentati è morti i cristiani ch& nuovamente si erano scoperti. Vietò il giuoco delle carrette
tirate da quattro cavalli, i guidatori
delle quali per costume antico si avevano pre^Q tanta licenza, che nell'andare attorno per la
città, scherzando e buffo- neggiando,
rubavano ed ingannavano ognuno. Furono adunque
sbanditi da lui questi tali insieme con i facitori e
rappresentat-ori di commedie e di altre
favole simiglianti d'ogni sorte. Contro
i -falgìfìcatorì de' testamenti. Contro
ai falsificatori di scritture e testamenti, si trovò allora nuovamente, che i testamenti si suggellassero
e segnassero, con fare loro tre bachi e
tre volte passargli con lo spago. Ordinossi
ancora che le due prime parti del testamento dov'erano scritti i primi e secondi eredi f ussero mostre
solamente a coloro che le avevano a
suggellare e soscrivere col nome del testatore. Oltre a ciò che i notai ovvero scrittori d'essi
testamenti non potessero scrivere sé
medesimi eredi per alcuna porzione. Ordinossi oltre a ciò salarii e premii convenienti agli
avvocati di coloro che li- tigavano, da
pagarsi da essi litiga tori; ma che a' senatori non si avesse a dare cosa alcuna, perciocché loro
dal piibblico erano pagati. Ordinossi
ancora che le cause^ le quaH erano giudicate
dai prelori dello erario, sì riducessero a giudicarsi e decidersi alla corte davanti a' giudici, chiamati
recupera tori ; e che i sen- tenziati e
condannati per qualunque cagione non si potessero appellare, se non al senato. Imperio non ampliato sotto Nerone. E perciocché né speranza di' acquisto, né
voglia di accrescere e distendere i
confini dello imperio in lui si ritrovava, ebbe in animo di licenziare ancora l'esercito che
allora si ritrovava nel- l'isola
d'Inghilterra ; né si ritenne di mandare ad effetto questo suo disegno se rwn pei* vergogna e per non
parere di contraffare agli ordini del
padre e di macchiare e diminuire la gloria di
auello. Ridusse in forma di provincia (cioè fece distretto dei Ro- «nani) per concessione di Polemone, il regno
di Ponto ; e simi- glianteme^tp np'^ii'x
^^\\p \\ry\ n^Q^A/ nnf\-\Q (jvr'*^ fQ (Jì quol
>aese. •£STO IMf SHATORT
S7K Le 'sue spedizÌQni e viaggi in
Alessandria e neirAcaia. * \ Fece
solamente due imprese, cioè quella di Alessandria e quella di Acaia; ma da quella, di Alessandria
si tòlse giù il giorno medesiriìo,
ch'egli si era messo in ordine per andare via,
perturbato dalla religione e da paura di non avere a capitar male; perciocché nel visitare i tempii, egli
in quel di Vesta si pose a sedere, e
volendosi appresso levare in piedi, rimase pri-
mieramente appiccato per un lembo deHa veste, ed appresso so gli parò dinanzi agli occhi si fatta caligine
ed-, oscurità, ch'egli non vedeva cosa
alcuna. Quanto all'Acaia^ facendo cavare l'Istmo (cioè tagliare la gola e stretto df)l
predetto paese, chiamato oggi la Morea)
egli fece un'orazione ai soldati pretoriani, confortan- dogli a principiare detta opera ; dipoi dato
il segno della trom- betta, fu il primo
che prese la zappa in mano e cominciò a ca-
vare; e posto la terra dentro un corbello, fu ancora il primo a porselo sopra le spalle e portarla via.
Mettevasi oltre a ciò in ordine per fare
l'impresa contro alle porte Caspie, avendo
fatto una legione, ovvero colonnello dj soldati nuovi, cioè di . giovani alti sei piedi, i quali non si erano
altra volta trovati in guerra ; e
chiamava il predetto colonnello là falange di Alesr- Sandro Magno. Ora io ho ridotto le
sopraddette cose insieme, una parte
delle quali non sono degne di riprensione, e parte ve ne ha che meritano di essere sommamente lodate,
per separarle dai vituperi! e
scelleratezze, delle quali è bisogno che io dica per lo innanzi. Sua passione per il canto e per la
musica. Avendo Nerone adunque, oltre
alle altre scienze da lui impa- rate
appreso ancora a cantare di musica, come prima ebbe con- seguito lo imperio, volle appresso di sé
Terpno Citaredo, che allora eccedeva
ogni altro di quella arto, e lo faceva ogni giorno cantare dopo cena, standogli a sedere a canto
gran pezzo della notte, tale che egli
ancora cominciò a poco a poco esercitandosi
a comporre. Né lasciava a fare alcuna cosa che i maestri di quell'arte di fare usassero i)cr conservare
la voce e renderla chiara e sonora. Egli
si teneva sopra il petto, stando così a gia-
cere rovescio una sottile piastra di piombo. Usava oltre a ciò di purgarsi, vomitando e facendosi far eie'
cristei. Astenevasi dai pomi e dai cibi
nocevoli, talmente che godendosi- tìentro al-
l'animo di vedersi andare profittando a poco a poco, come eh* egli
ordinarìamento avesse piccola voce e fuase roco, gli comm- ciò a venir voglia dì comparire sopra i
palchetti e per le scene dinanzi al
popolo : usando ad ogni poco di dire tra i suoi dome- stici e famigliari quel proverbio greco : Che
niuno ò^ che ponga monte alla musica
segreta. Rappresentossi adunque primiera-
mente a Napoli sopra la scena, né con tutto che il teatro per un tremuoto che venne in un subito tutto quanto
si scuotesse, restò mai di cantare fìno
a tanto che egli non ebbe compiuto la canzone
incominciata ; e durò parecchi giorni a rappresentarsi nel mede- simo luogo a cantare riposandosi e
tramettendone alquni per ri- pigliare
lena e ristorare la voce: e parendogli che la musica fusse aucora troppo segreta, dai bagni-
comparì nel teatro *in mezzo dove
sedevano i senatori. Ed avendo intorno un grandis- simo numero di gente, postosi a mangiare,
disse parlando in greco : Che bevendo un
pochette vedrebbe, non senza sue lodi,
di alzare alquanto la voce. E quivi invaghito della musica di certi- Alessandrini, i quali novamente per
loro mercanzie erano arrivati a Napoli,
fece venire di Alessandria gran quantità di
essi musici. E con la medesima prestezza scelsce . tra T ordine de' cavalieri alcuni giovanetti e della plebe
cinque migliaia o più di giovani
robustissimi, i quali, egli divise in livree ac- ciocché eglino imparassino quella maniera del
festeggiare Ales- sandrino. Chiamavano
gli Alessandrini i detti loro modi del
cantare e del festeggiare, Bombi, Embrici e Testi (secondo la diversità del suono). Volle oltre a ciò^ che
al servigio di lui, mentre ch'egli
cantava, stessero fanciulletti bellissinii con belle chiome e odorate, e molto riccamente ornati e
vestiti con Io anello nella mano
sinistra ; a' maestri e capi de' quali, egli dava per ciascuno il valsente di dieci mila scudi
(facendoli in cotale guisa dell'ordine
de' cavalieri). Canta tragedie. Egli
adunque acceso in grande maniera .della mùsica e del •anto, e stimando assai di ritrovarsi a
cantare ancora in Roma, ece innanzi al
tempo celebrare il gareggiamento che di sopra
'i è detto, cui lui faceva chiamare le feste Neronee;'nel quale ^ridando tutta la moltitudine e con grande
istanza addomandando li udire la sua
celeste voce, rispose, che nel suo giardino era
fer farne copia a tutti quelli che di udirlo desideravano. Ma crescendo le preghiere del vulgo e quelle de'
soldati insieoie, che allora facevano la
guardia, molto allegramente promise chs
SESTO IMPERATOaE il77 di buona
voglia seuza indugio alcuno si rappresenterebbe in pubblico; e comandò che il. nome suo
subitamente fosse scritto insieme con
quello degli altri tnusici e citaredi che volevano ritrovarsi a cantare. £ cosi messo la polizza
del suo nome in- sieme con l'altre
dentro ad un vasetto secondo che gli toccò per
sorte entrò nel suo luogo. I prefetti de' soldati pretoriani la ce- tra gli sostenevano. Seguivano appresso i
tribuni de'soldati, dopo i quali lo
accompagnavano i suoi amici più intrinsici e fami- liari. Comparso adunque e fermatosi in piedi,
fece prima uùa bella ricerca con le dita
; appresso fece intendere per Clivio
Ruffo, cittadino consolare,. come egli canterebbe Niobe ; e cosi durò-a cantaro insino alla decima ora del dì
: e per aver ooca- ca^ne di cantare più
volte, non volle accettare la corona per
allora; né volle che il gareggiamento si terminasse, ma indugiò all'anno seguente. £ parendogli che il tèmpo
tardasse a veniro troppo,, non potè
contenersi ch'egli in quel mezzo molte volte
non si rappresentasse in pubblico. Non si vergognò . ancora di mettersi in opera alle feste de' privati in
compagnia degli altri ministri e
festaiuoli ; avendogli uno de' pretori offerto per sua mercede e premio il valsente di scudi
venticinque mila. Cantò oltre a ciò in
maschera alcune tragedie, nelle quali baroni e'dii si rappresentavano. Fece ancora fare certe
maschere che lui rassimigliavano, o sì
veramente alcune delle sue donne, se-
condo ch'egli amava più ciascuna di esse ; e Ira le altre cose, ch'egli rappresentò cantando, fu Canace,
quando ella partoriva; Oreste, quando
egli ammazzò la madre ; Edipo accecato ; ed Er-
cole matto e ftirioso. Dicesi che nella predetta rappresentazione Vn giovanetto soldato, il quale era posto a
guardia della porta, veggendolo legare
ed incatenare, come in tale rappresentamento
si conveniva, corse là per aiutarlo.
Suo diletto ael guidar i cavalli e sonar di cetera. Dalla sua prima età sopra ad ogni altra cosa
si dilettò gran- demente di maneggiare
cavalli ; e sempre aveva in bocca (benché
egli molte volte ne fosse ripreso) i giuochi circensi : e lamen- tandosi una volta che uno guidatore di
carretta della fazione prasina (cioè
della livrea verde) era stato strascinato, e dicen- dogli villania il podagogOs fìnse di parlare
e lamentarsi (1) (Ji Ettore. E come clic
nel principio del suo" imperio egli avesse in (1) Perchè ancor Ettore fu strascinato da
Achille. i^stume di passarsi tempo
ogni giorao con certe sue quadrighe
d'avorio, sopra la credenziera, non mancava mai ancora di tor- nare in Roma dovunque egli si fosse, che si
av^va a celebrare la festa de' Circensi,
quantunque piccola ; e da principio lo faceva
ascosamente . ma dipoi cominciò palesemente a comparire, di maniera che a niuno era dubbio che in quel
giorno Nerone si' aveva a rappresentare
in Roma. E senza rispetto alcuno usava
dire, che voleva accrescere i premiì e le palme acciocché il giuoco durasse insino alla sera e si avesse a
correre più volte ; talmente che i capi
delle fazioni e livree avevano cominciato a
non volere condurre compagni^ se non era promesso loro, che il giuoco durerebbe tutto il giorno. Volle
appresso essere ancora lui uno de*
guidatori di esse carrette, e più volte ih quella guisa si fece vedere in pubblico. E per non dire
ch'egli nel suo giar- dino si esercitò
tra gli schiavi ed uomini plebei e vili, è da sa- pere ch'egli si rappresentò ancora nel Circo
Massimo dinanzi al cospetto di tutto il
popolo, e dove i magistrati erano soliti di
dare il segno, quando e' si aveva a correre se lo faceva dare a qualcuno dei suoi liberti. Nò bastandogh
d'aversi fatto cono- scere in Roma in
cotale esercizio, egli (come di sopra abbiamo
detto) se n'andò in Acaia, cioè nella iMorea, la cagione
principale. fu por avere inteso, che le
città di quel paese dove cotaU feste e
giuochi e gareggiamenti di musica erano soliti di celebrarsi, avevano ordinato di mandare a lui tutte le
(1) corone d'essi musici e citaredi, le
quali da lui erano tanto gratamente rice-
vute, che quelli ambasciadori che l'avessero portate, non pure erano de' primi messi dentro per avere
udienza, ma ancora erano posti alla sua
tavola a mangiare seco familiarmente ed alla do- mestica. E dandogli un d'essi ambasciadori la
quadra, &pregan- iolo così a tavola
che volesse cantare un poco, disse che sola-
'^ente i Greci s'intendevano dello stare a' udire il canto; e che /^'o soli erano degni degli sludi, de' quali
egli si dilettava. E prestamente si
messe in cammino per la volta dell' Acaia. Nò
)rima fu arrivato alla città detta Casiope, ch'egli dinanzi all'altare ii Giove cominciò a cantare. J) Col mandargli le corone ìp^-^ndr '"o
di giudicano il più '^ccellentt ^ '*'**^
"'>Uf Y^nair» > Sue gare coi commedianti e spa ansietà
e timore ^ di essere superato. Arrivato clie e' fu volle vedere tutte le
juaniere e modi che fn quel paese
usavano circa ì gareggiamenti del cantare e della musica, perciocché e' fece celebrargli tutti
l'uno dopo l'altro in ; un medesimo
tempo, come che in diversissimi tenipi dell'anno fossero soliti dì celebrarsi; ed alcuni ve ne
furono ch'egli fece più di una- volta
celebrare. Fece ancora in Olimpia celebrare il
predetto gareggiamento de' musici fuori del tempo consueto ; e perchè ninna cosa lo disturbasse, essendo
avvisato dal suo li- berto Elio, che le
cose della città avevano bisogno della sua
presenza, gli rispose in questo tenore : Benché tu desideri e mi consigli eh* io debba prestamente tornare,
tqUavia a te si con- viene, innanzi ad
ogni altra cosa persuadermi e consigliarmi che
io tomi degno di Nerone. Mentre che e' cantava, a niuno era lecito, né per cosa necessaria ancora,,
partirsi del teatro; onde e' si dice^
che alcune donne stando a vedere partorirono ; e che molti ancora per il tedio dello udire, e per
non avere a lodarlo,, veduto che le
porte delle terre erano chiuse, usarono, ò di par- tirsi nascosamente scalando le mura, o di
fìngere d'essere morti, e dì farsi
portare a sotterrare fuori delle porle. Ma quanta fusse l'ansietà, sollecitudine, timore è sospetto
ch'egli aveva in cotali gareggiaménti,^
quanta fessela invidia che portava a quelli che
con lui contrastavano, quanto fosse il timore e sospetto di co- loro che erano deputati a giudicare, appena é
possibile a crederlo. Egli andava
d'attorno a' suoi emuli ed avversari Come se proprio fosse stato uno di loro, e gli accarezzava,
ingegnandosi piace- volmente di farsegli
amici e tirarsegli dal suo -fato ; dall'altra
banda non mancava ii\ segreto di lassargli e di:rne male, e ri- scontrandogli disputare loro contro qualche
motto o parola ingiuriosa. Oltre a ciò
s'ingegnava di corrompere con danari
quelli che e' vedeva, che in tale arte gli altri avanzavano'. E prima che cominciasse a cantare, usava con
molta riverenza e sommessione di parlare
e di raccomandarsi a' giudici con dire
che dal canto suo non aveva mancato di usare ogni diligenza, e fare tutto quello ch'era da faro, ma che il
successo e l'eVénto delle cose era posto
nello arbitrio della fortuna ; ch'eglino, come
persone saggio e discrete, non dovevano imputare a suo difetto quelle cose, che fortuitamente fossero per
dovere accadere. E confortandolo essi
che animosamente desse dentro e non dubi-
tasse di cosa alcuna, lo vedevi partire tutto racconsolato ; non ^0 CLAUDIO NERONE CESARE perciò senza qualche sospezione e
sollecitudine d'animo : per- ciocché
molti i quali erano per natura persone taciturne, ver- gognose e costumate, come invidiosi e maligni
gli erano a sospetto. Quanto fosse ossenante delle leggi ed ordini
dei giuochi. Nel celebrarsi il predetto
gareggiamento tra i musici e cantori
osservava con tanta ubbidienza i capitoli e leggi sopra ciò fatte, ch'egli non avrebbe giammai avuto ardire né
pure di spurgarsi (per non far remore)
ed il sudore del viso se lo asciugava col
braccio. Accadde una volta, che in un certo atto tràgico, il ba- stone gli usci di mano, di che egli con
prestezza ripresolo stava tutto tremante
e pauroso, dubitando per tale errore di non esserne rimandato ; nò mai vi fu ordine a rincorarlo,
fino a tanto che un certo adulatore gli
disse, che per le grida, festeggiamenti
e saltare del popolo, le brigate non vi avevano posto mente e non se ne erano accorte. Usava di fare
intendere ai popolo per se medesimo,
come egli era vincitore e per questa cagionò ei
gareggiò ancora co' trombetti. £ perjchò di ninno altro restasse vestigio memoria alcuna, comandò che tutte le
statue ed im- magini poste in onor
d'altri che di luf, per la vittoria ricevuta
in tali contese, che in quel tempo in piedi si ritrovavano, fos- sero gittate a terra^ e con Tuncino
strascinate nelle fogne e pi- sciatoi
pubblici. Guidò ancora molte volte le carrette, e nei giuochi olimpici ne guidò una tirata da dieci
cavalli, quantunque in una certa opera
da lui composta egli di già avesse rìpfeso e
biasimato il re Mitridate d'avere fatto il medesimo ; ma gittato e scosso a terra del carro, e di nuovo
ripostovisi, non potendo per modo alcuno
attenervisi, finalmente prima d'essere perve-
nuto alla fine del corso abl)andonò l'impresa; nò per questo mancò che e' non fosse coronato. Onde e'
fece, partendosi, tutto quel paese libero,
od i giudici, oltre a gran quantità di danari,
che dette loro, fece ancora cittadini romani ; ed egli in persona in mezzo al luogo il dì che si celebravano ì
giuochi ismici, a di bocca propria
pubblicò e fece intendere tutte le predette cose, de' privilegii, grazie e donativi, ch'egli
aveva fatti a' popoli di quel
paese. ' SBSTO IMPEKATOIIB 984 Suo ritorno dalla Grecia e trionfi dello
stesso. Tornato di Grecia, passò per la
città di Napoli, pcrciui'char- lare da.
un altro, E sempre che egli o scherzando o da vero aveva a parlare o fare cosa alcuna, gli era
d'intorno il maehtro dello acconciare la
voce che gì' insegnava e ricordava che avesse rura di non si affaticare troppo e. si ponesse
alla bwca il fa/zolello. Egli oltre a
ciò spontaneamente si offerse a molti jH;r amico: «> dall'altra banda tenne favella a molti,
secondo che più o wnith lodato lo
avevano. 19 SvEio^tìO. VUe dei
Cesari. Delle rapine ed altre sue
ribalderìe. Fu ancora dei primi anni
prosontuoso, lussurioso, disonesto,
avaro e crudt'lo, ma ascosamente, come se ciò fusse difetto di giovanezza ; nondimeno ninno era che ance
allora non conoscesse che tali difetti
erano in lui per natura, né dovevano alla età at- tribuirsi. La vita che e' teneva era, subito
che il sole andava sotto, di mettersi un
cappello in testa con la zazzera riposta, ed
in cotale guisa se ne entrava per le cucine e taverne di Roma, e si andava a spasso per le strade non
facendo altro che baie e bischenche (1)
o mali scherzi alle genti che passavano, e nou
senza gravo offesa e danno di questo e di quello: perciocché egli usava di battere quelli che tornavano da cena
di casa qualche amico parente; e se quo'
tali si difendevano o facevano resi-
stenza, faceva dare loro delle ferite e gittàrgli per le fogne.
SconGc- cava e rubava le botteghe, ed
aveva ordinato in casa sua un magaz-
zino dove e' vendeva le robe guadagnalo allo incanto ed a chi più ne dava. E fu molte volte, trovandosi in dette
mischie, per capitar male e perdere gli
occhi e la vita ancora ; perchè un senatore, in- tra l'altre, la moglie del quale era stata da
lui malmenata e branci- cata, cercò e fu
per ammazzarlo, e lo lasciò per le battiture come morto. Onde egli da quel tempo innanzi non
andò mai fuora senza i tribuni, i quali
di lontano e dissimulatamente gli andavano die-
tro. Oltre a ciò si fece un giorno portare sopra una seggiola nel teatro, ed essendo nata discordia tra i
rappresentatoli e facitorì di commedie,
e venuti alle mani, egli stando sul palchetto dalla ' parte di sopra non solamente come
spettatore, ma come uno di quelli che in
(al mischia portasse la insegna j combattendosi con le pietre e co' pezzi delle panche e predelle
quanto e' poteva si aiutava a gittare
giù e trarre sassi fra la moltitudine: obde ei
ruppe ancora la testa a un pretore.
Sue gozzoviglie e banchetti. Ma
come che tali vizii a poco a poco in luì si andassero au- mentando e crescendo in gran maniera,
cominciò a lasciare an- dare i
sopraddetti scherzi e lo ascondersi ed il fargli segreta- mente; e palesemente senza dissimulazione
alcuna, messe mano a coso di maggiore
importanza. Egli a mezzo giorno si poneva
a tavola e non se no levava se non a mezza notte ; rìconfortan' - (1) Bischenche, lo stesso che
insolenze. SESTO HIPBRATOIUI 883 dosi spesso con. éerti bagni d'acqua cakia,
e di 3tate bagnandosi nella gelata e
nella neve. Usavsi ancora di cenare in pubblico
dove si facevano le battaglie navali o si veramente in Campo Marzio nel Circo Massimo, facendo chiudere e serrare
intorno intorno; ed a tavola lo
servivano quante meretrici, pollasCriere e donne di male affare e vili in Roma si ritrovavano.
E quando egli pel Tevere andava insino
ad Ostia, © se per ventura navigava insino
a Baia per il lito del mare e por la ripa del Tevere, gli eran ap* parecchiate le osterie e le taverne fornite
maravigliosamente di tutto ciò che
faceva di mestieri ; dove stavano le matrone e gen- tildonne ad ogni passo a guisa di
rivenditrici le quali quinci e quindi lo
confortavano ed invitavano a smontare in terra ed an- dare a posarsi ne' loro alloggiamenti. Età
ancora solito di dire ora a questo ed
ora a quello de' suoi famigliari che.gli oixlinassìno da cena: e vi fu uno di loro che nelle còse
acconcie con mele solamente spese il
valor di centomila scudi; e ad un altro
costarono alquanto più gli. unguenti, profumi e composti di rose. Sua nefanda libìdine, e del giacimento colla
madre! Oltre a' vituperi verso i
giovanetti da bene e gli adulterìi versò
le maritate, sforzò ancora di acconsentire alle sue disoneste vo- glie Rubea vergine vestale ; e poco mancò eh'
e' non togliesse per sua legittima sposa
Attea sua liberta ; avendo segretamente or-
dinato con certi suoi aoiici, uomini consolari, utti i modi che e*
poteva senza rispetto alcuno
d'inquietarla e tribolarla, avendo ordinato
con certi suoi segretanr"'^»'^ die con patti e litigii la molestas- sino. E quando eP"^ '"""t
««'«i» -aggio per terra o per mare,
comanda'"^ "x '•o^o ' .. .. n -^r-vinaorp:?^, o\\Q
iQotteg- giando e romoreggiando non- gli dossino agio
di dormire ne di riposarsi. Ma
perciocché ella con. minacele e per essere donna violenta e feroce, venne a spaventarlo, egli
al tutto deliberò scoperto..Usò, oltre alla |>i*cdettaj molte altre crudellà
più atroci,. ^ scritte da persone
conosciute e degne di fede. Egli corse a ve-
derla così morta, e le andò toccando e brancicando tutte le mem- bra, biasimandone una parte e parte ne lodò
sommamente; e preso (Iella sete beve mwi
tre che egli ciò faceva: tuttavia an-
cora che il senato e il popolo romano con lui si rallegrassiuo e p^r ben fatto approvassino il seguito, égli
non potè mai rassi-curarsi da quel tempo innanzi, rimorso grandemente dalla
co scienzia per sì fatta scelleratezza.
E confessò più volt-e che la madre gli
era apparita in compagnia delle furie infernali, le quali con fiaccole ardenti lo avevano battuto-e
torm.entato e travagliato grandemente. E
fece, per via di certi magi, fare alcuni incanti, tentando di chiamare ed invocare l'aiiima e
lo spirito di quella per impetrare da
lei quiete e riposo. E quando egli andò in Gre-
cia, rappresentandosi ai sacrifizii della madre Eleusina, e sen- tendo la voce del trombetto che, prima che e'
cè^ypìi^aBsero, comandava agli empii e
scellerati che non entrasseii^u^^tentro e
che si appartassero, egli non ebbe ardire di appresBàrsi né di ritrovarvisi presente. Tson gli bastò avere
morta la madre, che egli ammazzò ancora
la zia, sorella del padre, ch'era andato a vi-
sitarla, perciò che ella si giaceva non potendo andare del corpo. Costei adunque, essendo già oltre di età e
toccando là barba di Nerone che appunto
cominciava a spuntare fuora, disse così a
caso per accarezzarlo: Rasa che sarà questa barba, come ella mi sia presentata, io sono contenta ailora di
non vivere più. Ne- rone allora
rivolgendosi a quelli che dattorno gli erano, preso a scherno le parole di lei, disse, che in quel
punto si voleva ra- dere, e comandò a'
medici che operassero in modo ch'ella se ne
andasse largamente del corpo; e così occupò i suoi beni, non sendo ella ancora morta, trafugando il
testamento per non per- derne parte
alcuna. Ammazzamento delle mogli e de'
suoi più prossimi. Ebbe, oltre ad
Ottavia, per moglie ancora Poppea Sabina, il
cui padre era stato questore, e prima che a Nerone, era stata maritata ad un cavalier romano ; appresso
Statilia Messalina ni- pote in quarto
grado di Tàuro, il quale due volte era slato con- solo ed aveva trionfato. E per aver costei,
fece tagliare a pezzi Àttico Vestine suo
marito che allora era consolo. Ottavia gli
venne presto a fastidio, e ripreso dagli amici del tenerla appar- ^^ta da sé, disse, che a lèi doveva bastare
dello essere ornata :> vestita come
sua moglie. Tentò dipoi più volte in vano di farla strangolare ; e finalmente in tutto la
licenziò come sterile. Ma )ia8Ìmando il
p'^oolo tal divorzio, né cessando ella di dime male, ^gli la con^^'"' >er ultimo rimedio
la fece ammazzare; con iverla fatv ijare
come ad""era tanto sfacciatamente e con si fatta falsuu ^'^ afFerma""'''
ti ' *'^a»''"onii da lui fatti esa-
SUO pedagogo, il quale
fraudolentemenle confessò (Ji avere avuto a fare con lei disonestamente. Ivi a dodici
giorni ch^égli ebbe (come di sopra
abbiamo detto) licenziato Ottavia, tolse per moglie Pqppea, la quale fu da lui unicamente amata;
e con tutto ciò, pure anco lei ammaztó
con un pàlcio, però che gravida ed in-
ferma gli avevs^ detto villania un dì, che soprastato ai giuochi dei guidatori di carrette. era tardi tornato
a casa. Di costei- gli . nacque Claudia
Augusta ; la quale, essendo ancora in fasce, si
morì. laS^i' suoi più intrinseci e parenti di qdaluhque sorte, furono d%Sòiioffesi con qualche
scelleratezza. Antonia^ la figliuola di
Claudwy^cusando, dopo la morte di Póppea, di volerlo per marito, fu da lui fatta uccidere sotto
pretesto ch'ella macchinasse eontro allo
imperio. Ibsimigliante avvenne a tutti gli altri, che : per parentado o per affare gli erano
intrinseci e familiari, tra. i quali fu
il giovane Aulo Plancio. E prima che egli lo facesse ammazzare, per forza usò con lui
disonestamente^ e fattolo ucci- - dere
disse; vada ora mia madre e si baci il mio successore; per-, ciocché egli aveva tratto fuora una voce come
il giovane era stato' amato da sua madre
e ch'ella loaveva confortato e sollecitato di ^
occupare lo itnperio. Ordinò ancora a' servi di Rufo Crispino suo figliastro e nato^di Poppea, il quale ancóra
era sbarbato che, per- ciocché egli
faceva del capitano e dello impéradpre, un dì naen- . tré che e' pescava, lo gittassero inumare e
lo affogassero. Confinò Tusco figliuolo
dèlia sua nutrice, perciocché, essendo procura-
tore dello Egitto, s'era lavato in certi bagni appareccbiati-per la venuta sua. Costrinse a mprire Seneca suo
precettore; con tutto che esso Seneca
più volte (di ciò temendo) gli. avesse ad-
doìnandato licenza, e voluto lasciargli tutto ciò che posse- deva ; e che Nerone a lui avesse, in tutti i
modi che si poteva migliori, con solenne
giuramento affermato che a torto era
avuto da lui a sospetto; e che più presto era per morire che fargli nocumento alcuno. Promesse a Burro
prefetto di mandar- gli un rimedio per
la canna della gola dove egli aveva male ; ed
in quel cambio gli mandò il veleno. Avvelenò, oltre a ciò, parte cQn cibi e parte con bevande, alcuni suoi
liberti di già vecchi e molto ricchi ; i
quali a tempo di Claudio per farlo adottare e
dipoi per fargli acquistare l'imperio, l'avevano aiutalo c-favorito assai. Sua crudeltà coi strani e stragi fatte
dei più nobili uomini romàni. Fu non
meno crudèle contro a' forestieri. Era Gomiaciala ad apparire parecchie notti alla (ila una
cometa^ la quale univer- salmente sì
ci-ede che sii^nifichi la morte di quahhe gran prin- cipe; e^li adunque sollecito ed ansio di tal
rx)sa intese da.Babilo «astrologo, che i
le erano soliti di soddisfare a quel tristo an-
nunzio e volgere altrove la malignità di quella influenza, con fare uccìdere qualche i>ersona illustre. Onde
egli si deliberò di faie ammazzare tutti
i principali e più nobili, massimaaiQl^te Aven-
done giusta occasicme; per ciò che si erano scoperte due con- giure, runa delle quali. chiamata Pisoniana,
che era là principale, si fece e fu
scoperta in Roma, l'altra in Benevento^ chiamata Vinciniana. Furono i congiurati nello
esaminarsi legati con ca- tene in tre
doppi, trai quali alcuni spontaneamente e senza tor menti confessarono ; altri vi furono che
audacemente dissero che egli stesso si
era stato cagi,ono di uiìa tal cpngiura fatta contro di lui oche la colpa era tutta sua, perciò
che eglino, atteso, le feue
scelleratezze e quanto e' fusse vitu|)ecato e disonorato, non avevano veduto migliore rimedio per aiutarlo
e cavarlo di quel vituperio che.
cei-care d'ammazzarlo. I flgliuoli di costoro con- dannati e confiiìati tutti, o \ìcr veleno o
per fame furono fatti morire. Tra' quali
è manifesto che alcuni furono avvelenati a
tavola insieme co' loro maestri e pedagoghi; altri uccisi c^Uoro servitori; altri vi furono, a' quali fu
vietato e proibito lo andare accattando
e mendicando il vivere., . Macello da
lui fatto di molti è altre sue ferità.
Da quel tempo innanzi, senza fare differenza alcuna più da uno che da un altro, posto da canto tutti i
rispetti, per qualun- que cagione
cominciò a faro ammazzare tutti quelli che a lui piaceva di levarsi dinanzi ; e por lasciarne
una gran parte indie- tro, senza farne
menzione, fece ammazzare Salvidieno Orfido
solo per essere stato accusato ch'egli sotto la sua casa aveva fatto tre botteghe, le quaU appigionava a'
forestieri che venivano . per
riposarvisi. E Cassio Longino Cieco e dottore di leggi, perciò che nel descrivere il ramo de' suoi
antecessori, vi aveva posto la immagine
di Gaio Cassio, uno de' percussori (li Cesare; e Peto Trasia, perchè egli a guisa di pedagogo si
mostrava nel viso se- vero. Ai
sentenziati alla morte non dava spazio più che un'ora, e per non metter punto di tempo in mezzo,
sollecitava i medici, vedendo che e' tardavano, con dire cha spacGiatamonte gli
cu- rassino ; perciorxhè egli por
ammazzarli faceva tagliare loro Iq vene;
e chiamava quel modo di uccidere gli juornini unaci^ra. Credesì ancora ch'egli avesse in animo di
dare a mangiare e divorare gli uomini
vivi a un certo Egizio chiamato Polifago ; il
quale era solito di cibarsi di carne cruda e di tutto ciò che gli qra posto innanzi. Levatosi in superbia,
parendogli che le cose gli succedessino
prosperamente, usò di dire che niunoprincipe
innanzi a lui aveva conosciuto le sue forze e, quanto e* poteva faro. E più volte dimostrò in aioitimodi
apertamente, come egli avfeva in animo
di non lasciare vivo alcuno de' senatori ch'e*
rano rimàsti ; e di volere in tutto spegnere quoll'ordine e torlo via
della Repubblica, e di dare la cura e govenio degli eserciti ai cavalieri romani e a' liberti. Egli una volta
uisava palesemente nello andare o
tornare fqori di Roma di non risponderle ài saluti - di alcuno di loro, né àlcoiio baciarne
secóndo il costume, fi- quando e' messe
mano a fare- tagliare l'Istmo, dove era gran nu- mero di gente,, disse con chiara voce che
desiderava clie-quella, impresa
riuscisse prospera mQpte a se ed al popolo romano, e - non fece menzione alcuna del senato. . Arsione fatta da lui fare di Romsi. ^ Nondimeno egli noti- la perdonò nèal popolo
rònwno, né an- cora alle mura della
patria. Trovandosi aduniqué a ragionamento
con certi suoi familiari, e dicendo uno di loro queste paròle in . greco: morto io, vada tutta la terra a fuoco
e a fiamma ; sog- giunse Nerone : anzi
vivendo io ; e cosi appunto: mandò ad effetto :
[ìerciocchè mostrando che la difformità e la sproporzione degli edifizii, e che i biscanti e la strettezza
^delle strade in Roma gli avessino
offeso l'animo, fece mettere ftioiJO per tutta la città; "e tanto espressamente fu da sua pai te messo in
esecuzione, che parecchi uomini
consolari, ch'erano suoi cubicularii, avendo tro- vati ne' poderi, che in Roma avevano, alcuni
dei ministri di Ne- rone con la stoppa «
con fiaccole, in mano pei* dare fuoco, non
si ardirono a dir loro nulla, nò a manomettergli. Erano intorno alla sua casa aurea certi magazzini e granai,
de' quali egli oltre modo aveva
desiderato farne piazza; furono pertanto prinna ir deboliti e magagnati con certe macchine da
guerra, percioccht il muro era di
pietra, e dipoi vi attaccarono il fuocx). Durò quel' rryy^aW'r^ Koi gior"' ^ ro^'ìnaro
guastare Rom^. Fu la ploH • ceneri dei
corpi morti porre i suoi allc^giamenti. Arsono allora, (iltre a numero infìnito di casamenti posti
in isola, le case di quelli antichi
capitani, arricchite e adorne di trofei e di spoglie ostili. Arsono li' sairrate case degli Iddii,
dai re per voto edilì- cate e
consaiirale, e quelle ancora che nelle guerre contro ai Carlaizinesi e contro a' dalli edificate e
consagratosi erano. Arse tinalmeiitc
tutto ciò che degli antichi in Roma era restato bello (* memorabile. Egli sopra la torre di Mecenate
tutto allegro e lieto si stava a
riguardare sì fatto incendio, pigliandosi piacere Iconio egli diceva) di si bella e lucente
fiamma^ e vestito a guisa d'istrione e
rappresentatore di fa^x)le, . secondo il suo costume, cantò la presa e l'incendio dllio; e per
valersi in quella im- presa di più roba
e danari ch'egli poteva, non permesse ad al-
cuno di entrare tra le rovine delle sue case por ricercare i da- nari, ma promesse a sue spese di fare levare
via i calcinacci ed i corpi morti. E non
solamente aspettò di riscuotere, ma con
grande importunità addomandò, che le collazioni (cioè danari da pagarsegli per rata da ciascuno de*
cittadini) gli fussero pagate. E cosi
votò e riarse di danari non solamente le provincie intere, ma ancor le facoltà degli uomini
privati. Polla morìa clie fu ai tempi
suoi e delle contumelie colle quali
veniva lacerato. A' vitu)>erii ed
alle scelleratezze di costui si aggiunsero an-
cora alcuni accidenti di fortuna, e questa fu una pestilenza, la (piale durò tutto lo autunno; nel quale
spazio di tempo si tenne conto che e'
morirono più di trenta mila ))ersone. La rotta an- cora ricevuta in Inghilterra, dove furono
mandate a sacco con grande occisione di
Romani e di loro amici, due terre delle prin-
cipali. Il dispregio e la vergogna ricevuta in Oriente, dove i sol- dati romani nella provincia di Armenia furono
fatti passare sotto il giogo; e dove la
Soria con grande fatica si mantenne a divo-
zione dello imperio. Con tutti i suoi difetti fu cosa notabile in lui e da fai^scne maraviglia ch'egli sopra ad
ogni altra cosa sop- portò
pazientemen»'^ 'e villanie ed il male che di lui si diceva. E fu più dolce ^ '«''abile inverso di quelli,
da* quali o con -Trotti o con vers ^eso
che inverso di alcuna altra ivirte
d'uomini. » . . • ^»»'^ "» *'♦'> - 'i— iJq:ate contro ■i lui in latir^o e^ - - -,.- nf-^gerìtte lì
Nerone Oreste ed Àlcmeone uccidftori delle madri, Nerone la nupvr sposa ha ucciso, la qjiadre
jfiro'pria. e cosi questi versi in
latino; Chi dirà che Nerone non sia
della stirpe del grande Enea? Questi ha
tolto via la madre, e quegli portò via" il padre. • e questi altri due ; Mentre che il nostro Nerone tempra la cetra,
e '1 Parto l'arco (1),. . II nostro sarà
Peana, ed il Parto Heoatebdete, e
questi altri apprèsso ; Roma diventerà
uba casa ; Quiriti andatevene a Veju :
Se già questa casa, non oconpa ancora -fa città di Vejo-. de'. quali egli non andò ricercando giammai
i componitori. Ed avendone una spia
accusati alcuni dinanzi a' senatori, non volle
Nerone che molto aspramente fussero puniti. Isidoro Cinico, pas^, sando egli per la via, pubblicamente e con
voce alta lo biasimò e riprese, dicendo
ch'egli cantava bene i mali di (2) Naùpio e
disponeva male i suoi "beni. E Dato, istrione di farse, di quelle che anticamente si facìevano ad A versa,
chiamate Atellane, disse in ^ua
ipresehza : V*d sanò, padre mio, va sana, madre mia; avendo rappresentato il padre, come se e' fu
sse a tavola a'man- * giare e bere, la
madre, come se ella nuotasse : volendo signifi-
care, in che modo Gaio Claudio suo padre e la madre Agrippina avevano terminata la vita loro. Soggiunse
appressò nell'ultima -parte di questa
sua canzone, volgendosi ed accennando inverso
il senato: L'orco ora verso voi addrizza il piede. Non fece altro • Nerone né al cinico, né all'istrione, se non
ohe e' dette loro ^ bando di Roma e di
tutta Italia. GrOvernavasi adunque inquesta
maniera, perciocché egli non stimava di essere infamato aqaèHa guisa, ovvero per non incitare. ed aguzzare
gl'ingegni cof mo- strare di. averlo per
male. Significa che Nerone sarà a guisa di Apollo Ceteratore, e il Parto d; AppUo lanciator di saette : essendo
questa la interpre- tazione della parola
greca Hecatebelete. (2) Nauplio padre
di Palamede, che intervenne nella guerra di
Tròia. / Ribellione di'lla Francia contro di
Ini. Avoii'lo il nionflo
su|>i>ortalo un sì fatto principe poco nneno di Ribellion dellu Spugna e di Galija. Poi eh egli ebbe inteso che Galba ancora e
l'ùna! e l'altra Spa- gna si erano
ribellate, abbandonatosi d'animo è mal disposto, lungamente si stette a giacere quasi mezzo
morto senza par- lare, e come o'fu
ritornato in sé, stracciatosi la veste e battutosi il capo, disse palesemente ch'era spacciato ;
e confortandolo e racconsolandolo la sua
balia, con ricordargli che il simile era
ancora accaduto agli altri principi, rispose che la disgrazia stia- quella di tutti gli altri avanzava, ed era
cosa non mai più udita nò veduta, esser
vivo e perdere si grande imperio. Con tutto
questo non usci punto del suo ordinario, dandosi a' suoi piaceri libidinosi e vivendosi al solito nella sua
infingardaggine e pol- troneria; anzi
avendo avuto appf||bo nuova che le coso erano
andate un poco prosperamente, fece una bellissima cena, e molto ab])ondevole e copiosa ; ed oltre che
egli vi recitò alcuni versi faceti da
lui composti c-ontro a' capi della ribellione ed ap- presso lascivamente gli sonò, e con molta
delicatezza (i quali versi si dettone
fuora in pubblico) egli ancora a guisa d'istrione fece gli atti suoi, e fattosi ascosamente
condurre a vedere nel teatro, mandò
segretamente a dire a uno strione, il quale al po- polo piaceva assai ch'egli si usurpava le sue
-fatiche e le sue oc- cupazioni. Di un fiero suo proponimento, limove i
consoli, e si fa creare lui
consolo. Credesi che a' primi avvisi
de' tumulti e delle ribellioni, egli
avesse in animo di fare molte cose bestiali e crudeli, ma non punto aliene nò contrarie alla sua natura ; e
quest'era di man- dare nuovi eserciti e
successori a' governatori delle provincie,
con commissione che e' f ussero ammazzati, non altrimenti che se tutti insieme si f ussero congiurati e la
intendessiho in un medesimo modo. Voleva
ancora faretagUare a pezzi quanti sban-
biti fuori si ritrovavano e tutti i Francesi ch'erano in Roma : gli "^banditi, acciocché non si
accostassint) coi popoh che si ribella-
'ano; i Francesi, come consapevoli e fautori della loro nazione. '^oleva dare in preda a' soldati l'una e
l'altra OaHia; convitare senatori ed in
quei ^^'^do tutti avvelenargli; cacciare fuoco in ■mento e dicevano che non erano per ubbidir
a cosa alcuna: o,d unitamente
addimandavano ch'egli più tosto si facesse ren-
lere quello che insino a quel tempo si era pagato alle spie ec igli accusatori. Scritture infami contro di lui
pubblicate. Accadde ancora che essendo
la carestia grande venne un a' (SO
■^cTìQ ima r\i . .V|»i -r^T-Q -li AlocegpHrìn ili ramt^ÙJi^ V0> tovaglie portava polvere che aveva a servire
a' lottatori della corte di Nerone ;
onde e' s'accrebbe la mala grazia ed il mal
nome ch'egli aveva nello universale, e contro a lui si concitò lo sdegno e l'odio d^ ciascuno, talmente che
ognuno lo svillaneg- giava e ne diceva
male. Al capo d'una delle sue statue fu ap>.
piccato un carro con certe lettere (1) greche, che dicevano -che oramai era venuta la festa de' lottatori, che
attendesse a trai- nare. £d al collo d'
un'altra statua fu legato (2) una granata con
un titolo che dicea : e che posso io farne ? tu una volta hai me- ritato il capestro. Per le colonne fu scritto,
che oramai i galli, cantando, Tavevano
desto. E molti la notte facendo vista d'essere
alle mani co' loro schiavi e servi e con eissi avere parole, do- mandavano ad ogni poco: Dov'è il vindice?
cioè, dov'era Tuffi- zfale sopra i servi,
ma intendevano, di Giulio Vindice, che si
era (come di sopra si è detto) ribellato. Spav;enlasi per cèrte orribili visióni. Spaventavano oltre a ciò molti se^ni e
predigli e sogni mani- festi che prima
ed allora nuovamente erano appariti.' Egli non
essendo mai solito prima di sognare, poi ch'egli ebbe fatto ucci- dere la madre, gli pareva in sogno, essere al
timone di una nave e comandarla e
governarla, e che la sua moglie Ottavia gli so-
praggiugneva addosso, e per forza gli toglieva di m^iio il timone e lo strascinava in tenebre oscuri^ime. Ora
gli pareva essere coperto d'una grande
quantità di (3) formiche alate ed ora es-
sere attorniato dalle statue, ch'erano dedicate nel teatro di Pom- peo, e vietatogli il passo e lo andare più
oltre ; e che (4) la chi- nea, della
quale egli grandemente si dilettava, dalle parti di dietro era diventata bertuccia; e che
solamente, avendo il capo di cavallo,
molto accesamente annitriva. Fu sentito una voce del mausoleo, le porte del quale da loro si
erano aperte, che io chiamava per nome.
Nelle calende di gennaio gli Iddii Lari (cioè
(1) L'interpretazione delle parole greche aggiunte sotto il carro era^ che ormai s'avvicinava il tempo delle
feste, che attendesse a trainare. (2) Granata è un mazzo di scope ; e
significava, ch'ei meritasse d'essere
scopato. (3) Il sogno delle formiche
awisavalo, che si guardasse dagli
insulti della moltitudine. (4)
Il cambiarsi del cavallo in scimia significava, che Nerone muter«Mi)6 condizione. del focolare) essendo stati ornati mentre
jche il sacriGzio s'appa- recchiava,
cascarono in terra; e nel prendere gli auspizii Sporo gli presentò un anello, nella gemma del qtìalé
era scolpita Pro- sorpìna quando fu
rapita da Plutone. Volendo sacrificare in pub-
blico e porgere secondo H costume nelle calende di gennaio le solite preghiere agli Iddii e fare i voti
accostumati essendosi di già ragunato
una gran quantità cosi de' patrizii, come de' cava- lieri, con fatica grande si trovarono le
chiavi del Campidoglio. Recitandosi
nello epilogo d'una orazione, ch'«gli aveva fatta in senato contro a Vindice, che prestamente gli
scellerati sareb- bono puniti e
farebbero la fine che meritavano, fu gridato uni- versalmente da tutti : Farai tu Augusto. Era
ancora stato osàor- - vato, che la
favola ultima ch'egli pubblicamente aveva cantata, era Edipode sbandito e che appunto era venuto
a cadere e po- sarsi in quel verso che
dice in greco : Padre, madre fe moglie
mi comandano ch'io muoia. Vien
abbandonato da tutti. Avuto avviso in
questo mezzo, come ancora gli altri eserciti
s'erano ribellati ; stracciò le lettere che a tavola gli erano
state presentate, mandò la mensa sotto
sopra, gittò in terra due bic- chieri, i
quali e' teneva molto cari, da lui chiamati Omerici, per esservi dentro intagliato alcuni versi di
Omero. £ fattosi dare il veleno alla
locusta, e messolo dentro a un vasetto di legno se ne ' andò nel giardino di Servilio ; là dove egli
innanzi aveva man- dato de' suoi liberti
i più fedeli che apparecchiassino l'armata
ad Ostia. Tentò i tribuni e centurioni de' soldati pretoriani, che
. nel fuggire gli facessirio compagnia,
ma una parte di loro scon- torcendosi,
l'altra palesemente dicendo che non voleva, e. tra gli altri gridando uno: è egli però il morire
così misera cosa? si andò ravvolgendo
varie cosa per la fantasia :, pensando, se
supplichevolmente era bene che andasse a trovare i Parti o%ì veramente Galba, o se pure vestito a negro si
doveva rappre- sentare in pubblico e ne'
rostri (cioè in ringhiera) quanto e' p^
teva più umilmente e con più dolore e contrizione del passav» addimandarc perdono, e non gli venendo fatto
di piegare ^^ animi loro, pregare che
almeno gli fusse conceduto il goveniv
iell'Egitto. Fu di poi trovata nel suo scrittoio una orazione sopn a tal materia, ma e'*>si crede eh' e' non
mandasse a effetto ta )roposito per p?
ir« ''i non essere lacerato dal popolo prima ^
jgisopo; rop'^otf .ìaT'jrp ^nHu^nlla adunque *»l;!;giorn'* ' •^niente ; e la notte destossi a mezza
notte', e trovato che i' sol- ila ti che
stavano a guardia della sua persona si erano partiti, saltò fuori del letto e mandò fuora ì suoi
amici che si andassino spargendo per
intendere quello che si diceva. E perchè niunoife tornava a riferirgli cosa alcuna, con pochi
gli andò a trovare a casa iid uno ad
uno; ma trovandone serrate le porte di ciascuno e t'ije ninno gli rispondeva so ne tornò in
camera. Onde già quelli (-.ho n'erano a
guardia s'erano fuggiti in qua e in là, e pòrtatene via le coperte del letto e quel vasetto dove
era dentro il, veleno. Onde egli
spacciatamente si messe a cercare di Spettilio Mir- millone o di alcun altro che lo ammazzasse, e
non trovando cilcuno, disse: Adunque io
non ho né amico nò nemico? e corse a
furia verso il Tevere e fu quasi per gittarvisi dentro.' Abbandonasi e fugge
dalla .città. Ma di nuovo raffrenato
questo suo impeto e furore domandò (li
avere qualche luogo segreto per tornare in sé e riavere Ta- ìiimo. Ed offerendogli Faonte liberto un
podere ch'egli aveva vicino a Roma circa
quattro miglia, tra la via Salaria e la via
Nomentana, cosi come era scalzo ed in camicia, gittatosi addosso una cappa di un coloraccio non usato, e
copertosi il capo ed avvoltosi al viso
il fazzoletto, montò a cavallo sólo con quattro
compagni, tra i quali era Sporo; e subitamente spaventato da un tremuoto ed un baleno che gli diede in
faccia, udì dal campo che gli era vicino,
il grido de' soldati che sparlavano contro di
lui, e gli annunziavano male, e di Galba parlavano onorevol- mente, predicendone bene. E così, udì un
certo di coloro, che e' riscontrò nel
fuggire, il quale diceva : Costoro perseguitano
Nerone : ed un altro che dimandava se nella città era seguito niente di nuovo di Nerone. E spaventato il
cavallo per l'odore d'un corpo morto
ch'era gittate ivi attravèrso nella strada se gli venne a discoprire il volto, onde fu
conosciuto e salutato da un «certo
Missizio pretoriano. Come ei fa pervenuto alla svolta del canto, lasciato andare i cavalli tra
certe siepi e vetricioni (4) per un
viottolo di un canneto male agevolmente, facendosi disten- dere la veste sotto ai piedi, pervenne
scampando al muro di quella villa che
gli era rincontro. Ivi confortandolo il medesinio Faonte, che intanto si andasse ritirando
dentro ad uno speco, dove la rena era
stata cavata, disse che non era per entrare vivo (1) Vetricioni, lo stesso che arbusti. sotto
terra. E fermatosi così un poco insino che procacciato gli fusse lo entrare segretamente nella caga
della predetta villa, ed . avendo sete,
prese dell'acqua con le mani da una pozzanghera
che gli era tra i piedi, e disse: e questa t l'acqua cotta di Ne- ' rene? Appresso appiccandosi la cappa a
pruni e stracciandosi, osso gli andava
rimondaiido. E così camminando carponi per
- una caverna stretta e sfossata, se np andò in una cella che ivi era vicina; e posesi a dormire sopra ad un
letto dove. era una . coltrice molto
piccola e gli fu gittato sopra un mantello vecchio. E di nuovo assaltandolo la sete e la fame,
ributtò un poco di panaccio lordo che
gli fu portato innanzi e beve alquanto d'ac-
qua tiepida. Sua morte e come
l'incontrasse. Allora attorniato e
stretto da ogni banda, per torsi via spac-
ciatamente agli oltraggi che gli soprastavano, comandò, che alla sua presenza fosse cavata una fossa alla
misura e grandezza del suo corpo, che e'
f ussero composti insieme alcuni pezzi di marmo, ritrovandosene in alcun luogo ; e ch'e' si
ragunasse delle legne^ e conducessesi
dell'acqua per curare e governare il suo corpo
morto. E piangendo a ciascuna delle predette cose, diceva ad ad ogni poco : Che arte io mi son condotto a
fare in morte? Mentre che si andava a
questo modo intrattenendo, venne un
servidore di Faonte con lettere, al quale egli le tolse e lesse
" come il Senato l'aveva giudicato
per nimico, e come e' lo anda- vano
cercando per punirlo, secondo il costume degli antichi: Domandò allora Nerone, che sorte di punizione
fosse quella che davano gli antichi ; ed
avendo inteso, come l'uomo ignudo s'im-
piccava per il collo ad una forca, e con, le verghe si batteva tanto che e' morisse, spaventato prese due
pugnali che seco aveva portati e tentata
la punta di ciascuno, di nuovo gli ripose
con dire, che l'ora sua fatale non era ancora venuta. Ed ora confortava il suo Sporo, che cominciasse a
piangere e lamen- tarsi; ora andava
pregando chi era d'attorno, che qualcuno dì
loro gli facesse la via innanzi, ed ammazzandosi gli agevolasse la strada ; ora si biasimava e riprendeva
come timido e poltrone, usando cotali
parole : Vituperosa e brutta cosa è che io viva in questo modo. E soggiungeva in greco : a
Nerone questo non si appartiene, non si
appartiene questo a Nerone. In tali casi fa
di mestieri essere svegliato e sobrio, orsù svegliati oramai. E' già i cavalieri si appressavano, ai quali era
stato comandato che noi inciiassino vivo ; del che come egli si accorse,
tremando |)arlò in greco in questo modo
: Lo strepito de' veloci cavalli mi
|)ercuote gli orecchi da o^ni banda ; ed accostossi il ferro alla gola, e fu aiutato ferirsi da Epafrodito
scrivano de memoriali. Hntrò dentro un
centurione, ch'egli era ancora mezzo vivo, e
postogli la cappa alla ferita fìnse di essergli venuto in soccorso, al quale o' non rispose altro, se non :
tardi, questa è la fede? ed in tal voce
mancò avendo gli occhi stralunati e burberi, tal che o' metteva spavento e paura a chi gli vedeva.
Pregò méntre che penò a ferirsi, sopra
ad ogni altra cosa i suoi compagni, che la
sua testa non fosso lasciata venire alle mani di alcuno, ma che in (lualunciuo modo ella fusso tutta arsa ;
il che gli fu promesso da Stn orino
liberto di Galba, che di poco era stalo cavato
Hle, che la plebe co' cappelli in testa (a guisa di schiavi fatti li-,1)
Il dirizzatoio è uno strumento simile ad un fuso, ma acuto, del quale le donne si servono per partire i
capelli in due parti eguali. beri) andava discorrendo per. tutta la cUtà.
Trovaronsi nondi- meno alcuni, ì quali
durarono gran tempo di ornare ogni anno
di primavera e di state il suo sepolcro di fiori ; ed Ora ponevano in ringhiera alcune immagini con la pretesta
indosso (che lui rappresentavano) ed
alle volte vi appiccavano comandaménti e
bandi da parte sua, come se fusse ancora vivo e fusse in brève per ritornare a Roma, malgrado de' suoi
nimici e con loro gran- dissimo danno.
Oltre a ciò avendo Vologeso re de' Parti man-
dato ambasciatori al senato, per rinnovare la lega; lo pregò an- cora grandemente che la memoria di Nerone
fusse onorata e celebrata. Finalmente
venti anni appresso, essendo io giovanetto, .
si trovò uno, il quale non si-sapeva chi egli si. fusse, che an* dava dicendo che era Nerone ; e fu il suo
nome di tanto favore appresso de' Parti
che grandemente fu aiutato, e quasi rimesso
in istato. LA VITA ED I FATTI SERGIO GALBA SETTim IHFERATdB BOHàM Del lignaggio de/ Cesari finito in Nefone,
e dei presagii che ciò dinotarono. La stirpe de' Cesari mancò in Nerone ; il
che si conobbe in- nanzi dover seguire^
oltre a più segni, per due molti chiari ed
evidenti, t, da sapere adunque che Livia, come prima furono col(;brate le nozze tra lei ed Augusto,
andando a rivedere una sua possessione
ch'ella aveva nel contado V.eientano, accadde
che un'aquila volandole sopra le lasciò cadere in grembo una gallina bianca, la quale teneva in becco un
ramicello di alloro, proprio in quel
modo che quando dall'aquila era stata rapita.
Piacque a Livia di nutrire ed allevare quella gallina e di pian- tare quella ciocca di alloro. Le galline, che
di questa nacquero, crebbero in sì gran
quantità che ancora oggi il luogo,- dove è
la predetta possessione, si chiama alle galline. Gli allori ancora di maniera vi moltiplicarono che i Cesari
trionfando quindi pren- devano i lauri,
per farsene le ghirlande, avendo per costume
di piantarne subito un altro nel medesimo luogo. E fu osservato 'Che, sempre che uno dei predetti era vicino
alla morte, lo al- loro da lui piantato
si appassiva. Ora neiraiino ultimo dello
im|)erio di Nerone, quando e' mori, tutti i lauri, ch'erano nel predetto luogo, si seccarono insino allo
radici ; e tutte le galline ancera si
morirono che ninna ve ne restò; e la casa de' Cesari fu immedìaie percossa dalla saetta ; ed i
capi delle statue loro cascarono in
terra, ed a quella di Augusto cascò ancora lo scettro di mano. Stirpe di Gaìba antichissima. A Nerone successe Galba, il quale in niuua
cosa alla casa dei Cesari apparteneva ;
ma egli senza dubbio fu di sangue nobilis-
simo e di gran famiglia e molto antica ; conciossiacosaché nei titoli delle statue sue sempre si faceva
scrivere bisnipote ài Quinto Catulo
Capitolino. £ poi che égli fu fat1;o imperadore, pose nel cortile del suo palazzo l'albero dei suoi
antecessori, dove egli mostra di avere
origine da Giove quanto al padre e quanto
alla madre da Pasifae moglie di Minos.,
Della sua famiglia, cognome, e perchè fosse detto Galba. L'andare ora rinvenendo le immagini ^ titoli
e glorie di tutta la famiglia e
parentado degli e^ntichi di Galba sarebbe cosa
troppo lunga. Ma io ne verrò raccontando alcuni brevemente solo della istessa famiglia ; perciocché onde
il primo della fa- miglia dei Sulpizìi
si trasse il soprannome di Galba non ce. n'è ^
certezza alcuna. Sono alcuni che pensano che avendo lungamente c;ombattuto in vano una terra in Ispagna,
filialmente egli si risolvè a mettervi
fuoco; e perciò unse con (4) galbano le fiaccole. Altri scrivono che egli usava per rimedio di una
lunga infermità che egli aveva avuta
certe fasce e rinvolti con la lana sudicia che
si chiama Galbeo. Dicono alcuni altri, che perciò che egli era pieno inviso e mólto grasso, era così
chiamato: conciossiacosaché i Galli così
chiamino quelli che sono grassi e di volto rigogliosi; o sì veramente per il contrario, perché egli
fu sparuto di viso, come sono gli
animali che nascono nelle (2) civaie, che sono chia- mati galbe. Il primo che illustrò e fece
risplendere la predetta famìglia fu
Sergio Galba, uomo consolare a' suoi tempi eloquen- tissimo, del quale si scrive che dopo essere
stato pretore ottenne il governo della
Spagna ; dove avendo fatto tagliare a pezzi per
via di trattato trenta mila Lusitani (cioè Portogallesi)/fu cagione della guerra che appresso fu mossa ai Romani,
della (piale fu capo Viriate. Il nipote
di costui avendo dimandato di esBerfattO" - '' consolo, era state. ributtato da Giulio
Cesare ; si sdegnò contro a quello di
cui egli in Gallia era stato rommessarioe gli congìarò, contro in compagnia di Bruto e di Cassio ;
per il che fu condan- nato secondo la
provvisione e legge fatta da Quinto Pedio. Da
(1) Galbano, liquor di una pianta.
(2) Civaia, lo stesso che legumi.
dio costui appresso
discenderono Tavolo ed il padre di Galfa
ratore. L'avolo, per essere })ersona studiosa e letterata, per altra dignità fu chiaro ed eccellente.
Egli non avendo^ ottenuto altro
magistrato che quello della pretura, scrisi
elegantemente e con assai diligenza la storia che contene la notizia di molte cose. Il padre fu consolo
e quantii fusse piccolo di statura e
gobbo o di non molta eloquen dimeno fece
il procuratore ; dove egli usò molta airte ed in Ebbe costui per moglie Mummia Acaia, moglie
prima d bisnipote di Lucio Mummie, il
quale distrusse e spiaii ai fondamenti
la città di Corinto. Ebbe ancora per mogi
Occllina molto ricca e bella. Stimasi nondimeno ch'eli; \ esse spontaneamente a domandar lui, per
essere quel nobile ; e gliene facesse
ancora forza, perchè egli imp^ da quella
si condusse con lei al segreto e trattosi la > fo' mostra (1) dello scrigno, acciocché ella
non potesse dir lo aver saputo e
d'essere stata ingannata. Ebbe costui
gliuolì di Mummia Acaia sopraddetta, Gaio e Sergio ; ( Gaio ch'era il maggiore mandò male tutte le
sue faci parti di Roma ; e perciocché
Tiberio nella età legittima il proconsolato,
si mori di morte volontaria. Nascila di
Galba e delle rose che gli presagirono il princi] Sergio Galba imperadore nacque nell'anno che
in Ron consoli Marco Valerio Messala e
Gneo Lentulo a' ven dicembre, in quella
villa ch'ò sotto il collo vicino a T da
mano sinistra andando inverso Fondi. Fu adottato d matrigna e da lei fu chiamato Livio Ocellare.
E per fln e' fu fatto imperatore si
chiamò Livio in cambio di S( cosa
manifesta che Augusto essendo da lui salutato qua fanciullo in compagnia di alcuni altri della
sua età, lo p le gote e gli disse in
greco: fatti innanzi ancor tu, figli ed
accostati al nostro imperio. Ma Tiberio, al quale era si dotto Galba dover essere imperadore, ma in
sua vecchiezz, Viva a suo piacere poscia che questo a noi nulla riliev B ciò facondo il suo avolo alcuni sacrifìzi
per purgare € il male influsso di una
saetta che era caduta, venne u gli rapì
di mano le interiora dell'animale che da lui ei
ficaio e le pose sopra una quercia carica di ghiande. Fi (Ì! Scrigno, lo stesso che gobba. det!lo che
ciò aigniBcava che uno della sua famìglia, ma ivi a gran tempo, aveva ad essere imperatore^
perchè egli ridendosene rispose; Sì,
quando una mula avrà partorito; tal che ninna cosa più assicurò l'animo di Galba a tentaro'cose
nuove che una mula la quale partorì. E
come che gU altri se ne contristassino corno
di cose di male augurio, egli solamente lieto lo ricevette per buono ; ricordandosi del sacrifizio e delle
parole del suo avolo. Preso che egli
ebbe la toga virile sognò che la fortuna gli stava dinanzi all'uscio, dicendo che. era §tracca e
che se egli presto non gli apriva e non
la riceveva, era per essere preda di chiunque
la riscontrasse. B tostò come egli si fu levato, aperto l'uscio del cortile, trovò vicino alla sòglia la immagine
di tiuell'Iddea ch'era di rame e più
alta di un cQbito, e se la pose in grembo e portolla a Tuscoli dove la state era solito di
dimorarsi ; e consacratogli una parte
della sua casa, dipoi sempre la onorò e riverì, ed ogni mese a lei supplicando si raccomandava.
Celebrava ogni anno la sua festa
vegghiando tutta la notte : e non ostante che e' fusse ancora di tenera età, nondimeno mantenne
molto severamente quella usanza antica,
che già in Roma si era tralasciata e solo
si osservava in casa sua, cioè che di tutta la sua famiglia, così gli schiavi come i fatti liberi, due volte il
giorno se gli rappre- sentassero davanti
e la mattina gli dicessero : Dio vi salvi ; e la sera : fatevi con Dio. Studioso delle arti liberali, e
particolarmente della ragion civile ;
delle mogli e dei figli. Quanto
alle arti e discipline liberali studiò in legge e prese ancora moglie in que' tempi. Ma essendogli
dipoi morta Lepida due figliuoli che di
lei aveva, non volle appresso tórre altra
donna ; né si potè mai persuaderlo nò indurlo con alcuna 'con- dizione a pigliarne. Né ancora essa Agrippina
che, essendo JQOcto Domizio era rimasta
vedova, potè fare sì ch'egli si dìspoo^f^e a
prenderla per moglie, di che ella, vivente ancor Lepida sua
moglie,, l'aveva importunato. Di maniera
che trovandosi una volta trif un numero
di altre gentildonne, e fregandosegli intorno gli e^be insino ad essere detto villania; e la madre
di Lepida le diide nelle mani. Egli
sopra ogni altra osservò ed ebbe in riverenza
Livia Augusta, e mentre che ella visse si valse assai del suo fa-r vere, e poi che ella fu morJ^ ne divenne
ricco; perciocché ella lo fece nel
testamento suo legatario principale ; e gli lasciò un milione e dugento ciriquai\ta mila scudi. Ma
perciocché la pre- delta somma era solamente notata per abbaco e non distesa
in scritto, Tiberio che era io erede
racconciò lo abbaco e ridusse i|uel
lascito a dodici mila cinquecento scudi. Onde egli non po- lendo avere quanto gli era Stato lasciato non
volle ancora accettare la sopraddetta
somma. Onorì da lui conseguiti, e sua disciplina
nelle cose militarì. Ottenne alcuni
magistrati innanzi al tempo, e quando e' fu
pletore, nel fare celebrare i giuochi e le feste della Dèa Flora, trattenne il popolo con una nuòva invenzione,
né mai più vista; e ciò furono elefanti
che camminavano sopra il canapo. Appresso
ivi a imo anno fu mandato al governo della Àquitania (cioè Gua- scogna), poi fu fatto consolo, e stette sei
mesi nel detto magistrato, il quale
aveva ottenuto per lo ordinario. Volle appunto il caso olì" egli venisse a succedere a Lucio
Domizio, padre di Nerone, e che a lui
succedesse Silvio Ottone, padre di Ottone imporadore, con presagio ed indovinamente di quello che
avvenne, cioè, che egli fu imperadore
nel mezzo tra amendue i figliuoli dell'uno e
deiraltro. Sustituito (1) da Gaio Cesare, quando egli in Licia si rappresentò nello esercito; il dì appresso
celebrandosi una solenne festa^ volendo
i soldati rallegrarsi con lui e fargli festa con le mani. egli si oppose a questa loro voglia con dar
loro per nome e con- trassegno che
ténessino le mani dentro alle cappe, onde per tutto Io esercito si sparse questo detto : Imparate
soldati a fare Tarte del soldo, Galba ò
questo (2), non G^tuhco; Usò ancora la me-
desima severità quando i soldati gli domandavano licenza, non la concedendo a nessuno. Faceva divenire
robusti i soldati vecchi e i nuovi col
tenerli assiduamente in opera. Egli con prestezza raffrenò i barbari, ch'erano trascorsi insino
in Gallia, e diede di sé e del suo
esercito tal saggio a Gaio presenzialmente, che tra i soldati e gente senza numero ' che da ogni
banda e di tutte le Provincie s'erano
fatte venire e ragunare in quel luogo, non vi
fjirono alcuni che ricevessino maggiori premii né più ampia te- stimonianza della virtù loro. Avendosi egli
acquistato nome e fattosi conoscere
sopra tutti gli altri per avere guidato la scorreria (1) Le parole di Svetonio sono :
sostituito da Gaio Caligola a presieder
a* spettacoli. * (2) Significa, che
Galba è persona'seve-'^ non, come Getulico,
'ondiscendente ; qual '^■^♦uIk'* *- ^^^^^ p"^ ip^ppoo/^-:»
nella che facevano in campo i soldati
ger esercizio, portando lo scudo e
camminando innanzi a tutti, corse ancora venti miglia accanto alla carretta dello, imperadore. Della sua giustizia ed equità. Come e' fu venuto l'avviso che Caligola
era stato ucciso, molti lo confortavano
e stimolavano che non volesse perdere quella
occasione: ma egli prepose la quiete ad ogni altra cosa. Per tali cose adunque gli fu posto da Claudio
grandissima affezione, e fu ricevuto da
quQllo nel numero de' suoi amici e familiari. E
venne in tanto grado e riputazione, che avendolo assalito una su- bita infermità e non molto grave, il dì -che
si avevano a movere le genti alla
impresa d'Inghilterra, s'indugiò tale espedraione. Fu eletto come proconsolo, e per lo
strasordiriario al governo del- l'Africa
per due anni, solo per riordinare quella provincia, la quale dalle discordie civili o dai tumulti
de' barbari era'inquietata, dove egli si
governò con molta severità e giustizia così nelle cose grandi come nelle piccole: onde ^d un
soldato, il quale, per es^ sere allora
la* carestia grande, aveva venduto un mezzo staio di . grano dieci scudi, dette per punizione ^he
ninno, venendo in necessità, gli
porgesse soccorso nò cosa alcuna da mangiai^,-
onde egli si morì di fame. Mentre che teneva raglonp gli capite- rono innanzi due che litigavano una giumenta,
né avendo alcdrfB^ delle parti
testimonii né argomenti sufficienti, onde nìale agevol- mente si poteva conietturare di chi ella con
verità e ragioifievol- mente fusse,
dichiarò e sentenziò in questo modo, che la bestia còl capo coperto e rinvolto fosse menata ad
un lago dove era solita di essere
abbeverata, e in quel medesimo luogo gli fusse
scoperto, e,così che ella avesse ad essere di colui a casa del
quale; dopo aver bevuto, ella per se
medesima se n'andava., Onori
conferitigli e segni che gli pronosticarono il principato. Per le cose, ed allora in Africa e prima
fatte in Germania, gli furono concedute
le insegne e gli ornamenti trionfali ; e fu creato in un medesimo tempo uno de' XV sacerdoti,
chiamati Sodali, e similmente uno di
quelli chiamati Tizii, ed uno dei consagrati ad
Augusto, chiamati Augustali. E da quivi innanzi fino a mezzo il principato di Nerone tenne la maggior parte
del tempo vita so- litaria, standosi a
suo piacere «diporto. E sempre ch'e* faceva
viaggio alcuno, se^jene si faceva portare in carretta, si faceva 21 SvETONio. Vite dei Cesari. 34 4 SERfilO GALBA condurre dietro in un altro carro
venticinque mila scudi in tanto oro. per
insino che dimorandosi in Fondi, gli fu dato a governo la Spagna Taragonese. Nella quale provincia
arrivato e sacrifi- cando nel tempio
pubblico . accadde che uno de' ministri, cioè
quel fanciullo che teneva la cassetta dello incenso, in un subito diventò canuto tutti i capelli del capo; e
non mancò chi inter- pretasse ciò
significare mutazione di Stati, e che un vecchio suc- cederebbe a un giovane, cioè che esso doveva
succedere a Nerone. Né molto tempo
appresso cascò in un lago, che è ih Cantabria
(cioè nella Biscaglia; una saetta, e vi furono ritrovate dodici
scuri, il che fu segno manifesto come e'
dove\'a -succedere neirimperio. Sua
variabilità nel governo (iella pro\1nqia.
Governò otto anni quella provincia molto variamente, percioc- ché egli da principio fu molto rigido e
severo in punire e raf- frenare i
delitti, e passò anzi che no i termini della modestia; conciossiacosaché a un banchiere, il quale
cambiava monete che non erano a lega,
gli tagliasse le mani e facesse conficcarle nel
banco. Crocifisse ancora un tutore, perchè egli aveva avvelenato un pupillo al quale esso era sostituito
erede. E ricorrendo esso alle leggi, e
mostrando come egli era cittadjno romano, Galba
per fargli onore, ed acciocché la morte gli avesse a* parere più leggiera, gli fece imbiancare la croce e
porla più alta delle altre. Cominciò
appresso a poco a poco a lasciarsi andare nello strac- curato e nella infingardaggine, per non dare
occasione a Nerone di offenderlo ; e
perciocché, secondo ch'egli era solito di dire,
ninno era costretto a rendere conto dello starsi. Nel fare le
visite ritrovandosi in Cartagine nuova,
ed avendo inteso la Francia es- sere in
garbuglio, e domandandogli l'ambasciadore deirAquitania {cioè Guascogna) soccorso, gli sopravvennero
appunto le lettere di Vindice, por le
quali esso lo confortava a pigliare l' impresa,
per salute e liberazione dell'universo contro a Nerone: ai che egli si risolvè tosto, mosso dal timore e
dalla speranza. Avendo scoperto le
commissioni che segretamente aveva mandate a' suoi procuratori per farlo ammazzare, sperava ne'
buoni augurii ed in quello che gli era
stato pronosticato e profetato da una vergine
di vita molto santa e religiosa ; e tanto più che un sacerdote di Giove nella città di Cluvia gli aveva
mostrato i medesimi versi 'iella
sopraddetta vergin** i quali, esso diceva, che avvertito da jriovo in sogno ci' ^vft^> rovatinei
Penetrale (cioè in un luogo
*"ìtte*' * ** Sflf»''^ "^n»'"» unni 'nnoi^-r " in^
'i.t^iì ^30StÌ da una vergine
profetessa, come la sopraddetta. La sentenza dei quali versi era questa : Che
un dì il principe e Signore def mondo
aveva a nascere in ìspagnà.
Entratura al principato ed altri suoi fatti. Postosi adunque a sedere nella sua
residenzlf, mostrando d i volere
attendere alla liberazione degli schiavi e fattosi porre in- nanzi gran quantità d'immagini di coloro
ch'erano ^tati condan- nati ed uccisi da
Nerone, e fattosi ancóra comparire innanzi un
fanciullo nobile, il quale apposta aveva fatto venire dall' isola di Maiorica dove era stato confinato da esso
Nerone., cominciò a parlare piangendo e
dolendoci dello stato e della condizione dei
tempi ne' quali allora si ritrovavano. E salutato dallo esercito come imperadore, disse che era commissario
del senato e del po- polo romano.
Appresso fatto serrare le botteghe e i traffichi e levare ognuno dalle faccende, dette l arme
alla plebe e fece uh, nuovo esercito di
SpagnuoU e lo aggiunse all'esercito vecchio, '
il quale esercito era una legione e tre compagnie displdati e due squadre di cavalli. Scelse ancora quelli
ch'erano più valorósi e saggi e di più
età, i quali avessero ad essere in luogo dì sena- tori ed ai quali s avessino a riferire,"
ogni volta che fusse stato di bisogno,
le cose di maggior importanza. Pece ancora uria
scelta di giovani tra l'ordine di cavalieri, e volle che e' non la- sciassino di portare come prima l'anello
d'oro, ma gli odiamo. Evocati,
tenendogli in cambio de' soldati a fare la guardia in- torno alla sua camera. Mandò oltre a ciò per
tutte le provincie - a fare intendere a
ciascuno in universale ed ancora in partico-
lare, com'egli s'era fatto capo per aiutare la causa comune e che volessino unirsi con esso lui, e ciascuno, in
quel modo eh' e' po- teva, porger
soccorso. Quasi in quel medesimo tempo, tra le mu- nizioni d'una terra la quale egli avendo a
fare guerra s'aveva eletta per seggio e
luogo principale, fu trovato un anello antico,
nella gemma del quale era scolpita la vittoria con un trofeo ; ed ivi a poco surse una nave alessandrina per
fortuna di mare in quel luogo carica
d'arme, sehza governatore e senza nocchiero
e senza passaggiere alcuno. Per i quali segni ciascuno giudicò ^he assolutamente la guerra che si pigliava
fusse giusta e pia. avendo gli Iddii in
favore. Ma in un subito tutte le cose anda
lono sottosopra, ed una delle ale dello esercito fece sforzo di ah bandonarlo appressandosi egli allo esercito,
parendo loro di avet • mal f3»to a
Inficiare N«ron"•' - - * — -TT-» artenevano, potessino du- rare più che due anni ; e che e' non volesse
da quivi innanzi concedergli se non a
quegli che gli ricusavano e che di mala
voglia e forzatamente gli accettavano. Ordinò che cinquanta ca- valieri avessero la cura di farsi rendere
indietro tutto ciò che Nerone aveva
donato a diverse persone con lasciarne lor sola- mente la decima parte; e che avendo questi
tali venduto o pa- ramenti di scena, o
altre cose simili- di quelle che gli erano state donate, i comperatori fussero tenuti a
restituirle ogni volta che i venditori,
avendosi consumato i danari, non avessero avuto il modo a pagare. E dall'aUpa banda pentiesse a'
suoi compagni e liberti di vendere e
donare per favore tutto quello che a loro
piaceva, come i tributi, l'esenzioni, punire i non colpevoli e non punire quelli che avevano errato. Oltre a ciò
addimandando il popiolo romano che Àloto
e Tigillino, due dei più tristi e sciagurati satelliti di Nerone, fussero
puniti, non solamente gli lasciò andare
salvi, ma concedette ad Àloto una bellissima procurazione,' e per conto di Tigillino mandò un bando, nel
quale egli riprese il popolo come rigido
e crudele. Ribellion degli eserciti
deHa Germania contro di lui., • Per
queste cose adunque venuto in odio a tutti universal- mente dal minimo al grande; sopra ad ogni
altra cosa si concitò contro gli animi
de' soldati ; perciocché .avendogli fatti giurar in suo nome, non essendo egli presente ed avendo
promesso di fare a loro un donativo
maggiore deX solito, non lo aveva loro atte-
nuato, anzi si era lasciato uspir di bocca ch'era uso ad eleggere i soldati e non comperargli: per le quali
parole inaspri gli animi di tutti gli
eserciti che fuori si ritrovavano e quelli de' soldati preterii. Mosse ancora a paura e sdegno
rimovendogli a poco a poco, ed avendone
già licenziato la maggior part^ di quelli che
glLerano a sospetto ed erano amici di Nìnfìdio. Ma sopra tutti gli altri, l'esercito ch'era nella Germania
superiore, non poteva stare* alle mosse
gridando di esser defraudato de' premii che si conve- nivano alle fatiche loro per essersi portati
valorosamente cóntro ai Galli e contro a
Vindice* Avendo adunque cominciato a rom-
pere l'ubbidienza nelle calènde di gennaio, dissono, che non si volevano con sagramento obbligare se non in
nóme del senato ; e subitamente
mandarono ambasciadori a' soldati pretorìami che esponessino, come a loro non piaceva lo
imperadore che era stato eletto in
Ispagna, e vedessino eh' e' se he eleggesse un al- tro il quale fusse approvato da tutti gli
eserciti. 'Adottazione di Pisone. il che subito che aGalba fu fatto intendere,
pensandosi che il senato non tanto lo
avesse in odio per essere lui vecchio, quanto
per non avere figliuoli^ a un tempo tra quelli che lo salutavano chiamò a sé Pisene Frugi, giovane nobile e
valoroso; del quale egli per lo addietro
sempre aveva fatto grande stima e connu-
morato tra i suoi eredi e fattolo ancora partecipe del suo nome. Chiamandolo adunque figliuolo, lo condusse
alla presenza dei soldati, e fece loro
una orazione e lo adottò per suo figliuolo ;
nella quale orazione egli non fece menzione alcuna del donativo : onde e' dette più facile occasione di mandare
ad effetto i suoi disegni a Marco Silvio
Ottone sei giorni dopo tale adozione. Presagii ehe deuunziaroDO la di lui
iufelice morte. Molti segni prodigiosi
e grandi aveva sempre veduto, 1 quali
continuamente insino da principio gli pronosticarono quanto gli avvenne : e primieramente quando e* veniva
inverso Roma, es- sendogli in ciascuna
terra dalla destra e dalla sinistra uccisele
vittime, un toro spav(;ntato dal colpo della scure ruppe i legami ed assaltò il suo carro, e co' pie dinanzi
alzatosi, lo sparse tutto di sangue. E
quando egli scese del carro, uno di quelli che ave- vano lo spiedo, nel volere spingere indietro
la moltitudine e fare iargo^ fu per
ferire lui con quell'arme in aste. Neirentrare an- cora in Roma, vicino al palazzo si senti un
trcmuoto con un certo suono simile ad un
mugghiare: ma i segni che appresso
racconteremo furono alquanto più manifesti. Aveva Galba tra le cose sue più preziose elettosi una collana da
tenere al collo tutta ripiena di gemme e
di pietre preziose, la quale voleva Dresen-
tare alla sua Fortuna che in Tuscoli aveva ; ma subiflroaente mutato di proposito, come se un tal dono si
convenisse a per- sona più degna e di
maggiore qualità, ne fece un presente
alla Venere ch'era in Campidoglio. E la notte vegnente gli parve in sogno che la Fortuna gli apparisse
rammaricandosi di essere stata
defraudata del dono ch'egli per lei aveva disegnato, e lo minacciasse di torgh ancora ella quelle cose
ch'essa gli aveva date. Onde spaventato,
subitamente nel farsi giorno corse con
fretta a Tuscoli, avendo mandato innanzi a dare ordine ch'e' si apparecchiasse il sacrifizio per purgare e
tórre via la malignità che nel predotto
sogno si conteneva; egli non vi ritrovò alcuna
cosa salvo che alquante faville quasi spente quivi in sull'altare, accanto alle quali era un vecchio vestito a
negro, che in un ca- tino di vetro
teneva un poco d'incenso e dentro ad un calice pur di vetro un poco di vino. Fu ancora osservalo
che nello calende di gennaio, mentre
ch'egli sacrificava, gli era cascata la corona
di testa ; e nel prendere gli auspizii gli erano volati via i polli
; e nel giorno ch'egli adottò Pisene,
volendo parlare a' soldati, la seggiola
che in campo si usava secondo il costume, non gli era stata posta nel tribunale, avendoselo
dimenticato i ministri ; e nel senato la
seggiola trionfale e curule gli era stata acconcia al contrario. Della sua mprte e
ammazzamento. Prima che fusse ucciso
gli fu detto fa matthia\, mentre ch'ei
sacrificava^ dallo aruspice, che s'avesse cura da un pericolo che gli soprastàva e che i suol percussori non
molto erano lontani ; e quindi a poco
intese come Ottone aveva occupati gli alloggia-
menti, e confortandolo la maggior parte di coloro che gli erano lattorno che verso quelli che si addirizzasse,
perciocché e' po^ 9va ancora colla sua
autorità e presenza rimediare e giovare
ssai ; egli nondimeno si dispose di non fare altro se non fermarsi Dve egli era, e quivi fortificandosi co'
soldati delle legioni, i lali in gran
numero e da diverse bande venivano a trovarlo,
are a vedere quello che seguiva. Messesi nondimeno indosso la camicia di maglia, dicendo tuttavia, che
poco era per gio- \rgli centra a tante
punte. Appresso essendosi cavati fuora certi
vnì rumori dai congiurati, che in prova gli avevano seminati tra li moltitudine per farlo comparire in
pubblico, ed affermandosi die la cosa
era fermata, che i tumultqanti erano stati oppressi, e che gli altri venivano per rallegrarsi con
esso seco ed essere presti ed
apparecchiati a tutti i suoi comandi; per far^i loro.in- contro usci fuora con tanta confidenza, che
un certo' sodato^ il quale si vantava
d'aver ucciso Ottone, rispose: Chi te l'ha fatto fare? ed andò oltre insino in piazza. Quivi i
cavalieri che ave- vano commessione di
ucciderlo, avendo fatto una scorreria coi
cavalli e fatto discostare i borghigiani e i contadini, che ivi erano in gran numero, e fermatisi a rincontro di
lui di lontano e stati alquanto sopra di
loro, di nuovo appresso si messonp a corsa,
e da' suoi abbfandonato lo tagliarono a pezzi. Cosa facesse al tempo delia sua morte, e del
funerale. Sono alcuni che scrivono che
al primo tumulto e' gridò : Che \o- lete
voi fané, compagni e soldati miei? io sono vostro e voi siate miei. E dicono ancora che e' promesse loro un
donativo. La mag- gior parte degli
scrittori affermano che e' porse loro la gola per se medesimo, e gli confortò che attendessero
a mandare ad effetto quanto avevano
disegnato, e lo ferissero poi che cosi a loro pa- reva. Pare oltremodo mardviglioso, che niuno
di coloro ch'erano ' presenti, facesse
segno alcuno di muoversi in sorxx>rso dell'im- peratore ; e tutti quelli che furono mandati
à chiamare, dispre- giarono il messo,
eccetto che i Germani. Costoro, per essere
stati frescamente beneficati da Galba, perciocché sendo infermi iti SBMIO VALBA f i1otcr [ligtiare po' rnpei^li, essendo
calvo, se lo naet l-rpmliu ; di po>
cacciatigli il dito grosso in bocca lo poi
Ottone, il quala lo dette in preda a' saccomanni e farai] campo, ed (%li lo ficcarono in un'asta. E non
senza sche jjorlaroiio intorno agli
aìlu;;giainenli, gridando ad ogni poi
tialba ingordo, (pditi della tua ctù, mossi a dirgli le pr |tarole, percioccliè pochi giorni innanzi si
era divulgatoci dandogli uno il suo bfl
viso come fresco aitcora o colorita in
gnwo gli aveva rìsposlu : lo mi sento sticora gagliardo K|H!r0' Fu comperato il suo cajw da un
liberto di Patrobio uiano CAttto ducali,
il quale lo gittò in quel luogo do^
Himandamento di Ualba ora stalo giustinaio il suo pai Finalmente Ai^io, suo disponsaiore, Beppelll
questa e tutb niHncnU! del tronco no'
suoi orti particolari della via Aur
Della slaluia del corpo e de' suoi membri. Fu di statura ragionevole, calvo di t«ata,
con gli owlii ai col naso aquilino, con
le mani e co' piedi, per cagione della
distortissimi ; tale che e' non poteva sopportare la scarpe! rivoltare o tenere in mano libri per alcun
modo. Eragli, da luì strettissimamente
abbracciato e ba- ciato^ né solamente
gli bastò questo ch'egli ancora lo pregò che
spacciatam^nte si facesse una pelatura e si ritirasse con lùi^ in un luogo appartato e segreto. Tempo che darò il di lui imperio, e della
sua età. Fu morto di settantatre anni :
ed essendo stato sette mesi imperadore,
il senato, come prima gli fu lecito, ordinò che gU fusse fatto una statua e posta sopra a una
colonna rostrata Jn quella parte della
piazza dove e' fu tagliato a pezzi : ma Ve-
spasiano annullò tal deliberazione, avendo opinione che Galba,- ìnsin di Spagna, avesse ascosamente mandato
in Giudea uomini per ammazzarlo. LA VITA
ED I FATTI 0' OTTONE SILVIO OTTàfO IlPBRàTOR ROMANO Degli antenati d'Ottone. Gli antichi di Ottone nacquero in Ferentino,
famiglia antica ed onorata, e delle
principali di Toscana. Il suo /avolo Marco
Silvio Ottone fu per padre figliuolo di un cavaliere romano, e la madre sua fu di bassa condizione; né era
ben certo se ella era nata di persona
libera, cioè che non fusse schiava. Costui
col favore di Livia Augusta, in casa di cui si era allevato e cre- sciuto, fu fatto senatore e non ascese se non
al gradoni pretore. Il padre suo,
chiamato Lucio Ottone, fu nobile ancora per istirpe materna e per molte grandi ed onorate
parentele ; e fu tanto amato da Tiberio
e tanto simile a lui di volto e di fattezze^ che molti credevano che e' fusse suo figliuolo.
Egli in Roma-ammi-, nistrò con
grandissima severità i magistrati di quella, e simi- glianteraente il proconsolato dell'Africa ed
alcuni governi di eserciti che gli
furono dati per lo strasordinariò. Ebbe ancora
ardire di far tagliare la testa ad alcuni soldati dello esercito
che i nella Schiavonia, i quali nel
tumulto che aveva eccitato Ca- lo,
pentendosi di essersi abbottinati, avevano ammazzato i governatori, e propostigli come capi e autori
di essa ribel- ) contro a Claudio. E ciò
fece fare in presenza sua dinanzi
cospetto di tutto lo esercito ; non ostante che égli sapesse che dio per tal fatto aveva alzati que' tali a
maggior grado o di- ta. Per la quale
opera, siccome egli si accrebbe dì gloria,
'artecipe di tutti i disegni e secreti di Nerone; eil di, nel quale Nerone aveva ordinato di ammazzare
la madre, fece una bellissima cena
all'uno ed all'altro per tor via ogni sospe-
zione che ne fusse potuta nascere. Tenne oltre a ciò in casa come sua moglie Poppea Sabina, amica di
Nerone la cpiaie esso Nerone aveva
levata al marito ed a lui datala in custodia ; né solamente ebbe a far con quella
disonestamente, ma se ne in- namorò di
maniera che e* non poteva sopportare che Nerone
j^li fiisric rivale. K si credo che egli non solamente ne riman- dasse coloro elio gli orano stati mandati a
casa per rimenamela, ma che o' serrasse
ancora una volta T uscio in sul viso a Nerone;
il quale ritto dinanzi alla porta pregando e minacciando indarno si stava aspettando che gli fusse aperto, e
addimandava che esso gli rendesse coI(m
che da lui gli era stata data in serbo. Per que- sta (;agiono aduncfuo si disfece quel matrimonio,
e fu mandato Ottone in Lusìtania, sotto
spezie di legazione ; il che a Nerone
parve abbastanza, per non divolgare col punirlo più aspramente tutta rpiclla cantafavola, la quale nondimeno
fu manifesta per il distico infrascritto
: Volete voi sapere perchè Ottone, sotto nome
d'essere mandato governatore, è sbaiiditadi Roma? perchè egli aveva cominciato a essere adultero della sua
moglie. Governò quella provincia,
essendo stato questore per dieci anni, con gran- dissima modestia e con singolare
astinenza. Le sue speranze di aver a
regnare. Finalmente come egli vide il
bello e l'occasione di vendicarsi, fu
de' primi a risentirsi, accostandosi a Galba. E nel medesimo istante entrò ancora esso in speranza non
piccola d'avere a ot- tenere il
principato, si per la condizione de' tempii sì ancora molto più per quello che gli affermava
Seleuco Matematico : il quale avendogli
già promesso e predetto che e' sopravviverebbe
a Nerone, allora spontaneamente e fuori di opinione era ve- nuto a trovarlo, con predirgli ch'egli ancora
in breve tempo era per essere fatto
imperadore : onde e' non lasciava indietro a fare cosa alcuna, usando ogni uffizio e
sottomettendosi a ognuno con dichiararsi
ed andar loro dattorno : e sempre ch'egli andava a cena coir imperadore, dava pi^r ciascuno una corta
quantità di scudi a coloro che facevano
la guardia. Nò per questo mancava di non
bì guadagnare gli altri soldati, chi por una via e chi per un'al- OTTAVO OfPERATORE ^ . 327 tra. Oltre a ciò essendo un'altra volta
chiamato per arbitro da. un certo che
litigava co' suoi vicini de' confini, egli comperò tutto quel campo de' confini del quale si
disputava e ne fece liberamente un
presente a quel tale, che l'aveva chiamato per
arbitro : talmente che ni uno appena si ritrovava che non lo giu- dicasse e non l'andasse predicando degno di
succedere nel> l'imperio. Gli fallisce la speranza di esser adottato
da Gàlha. Aveva avuto speranza d'essere
adottato da Galba ; il che era stato
aspettando di giorno in giorno. Ma poi ch'e' vide come Pi- sene gli era stato anteposto, mancato di
quella speranza, si voltò alla forza,
mosso non solamente dall'ambizione e passione dell'a- nimò, ma ancora dalla grandezza del debito
ch'egli aveva. E senza ascondersi,
palesemente diceva che non poteva reggere
né mantenersi per modo alcuno se e' ilon era fatto principe. E che stimava tanto ^ cadére in battagha
superato da' nimici, quanto il cadere in
piazza oppresso dai creditori. Servissi per
dar principio a quella impresa di venticinque mila scudi ch'egli aveva cavati da un servidore di Galba per
avergli fatto ottenere la dispensa. E
primieramente fu dato il carico di uccìdere Galba a ginque spiculatori ; appresso a dieci altri,
avendone i cinque eletti due per
ciascuno ;.a' quali fu dato per ciascuno alla mano dugento cinquanta scudi, e cinquecento ne
furono loro .pro- messi. Questi appresso
sollevarono gli animi degli altri, i quali
non furono però molto gran numero, perciocché e* stimavano as- solutamente che in sul fatto molti avessero a
concorrere in soc- corso di esso
Ottone. Suo ascendimento al
principato. Aveva disegnato, subito dopo
la adozione, di occupare gli al-
loggiamenti e di assaltare Galba nel palazzo mentre che egli cenava : ma non mandò ad effetto questo suo
proponimento, avendo avuto riguardo a
quella compagnia di soldati che allora
faceva la guardia, per non le aggiugnere carico sopra carico : conciofussecosachò i medesimi fussero stati
in guardia, quando e' fu ucciso Caligola
e quando ancora Nerone era stato abbando-
nato. Fu oltre a ciò cagione di farlo indugiare qualche giprnp più Seleuco sopradetto; con dirgli, che
secondò il corso dei pianeti il tempo
non era ancora accomodato a mettere mano a
328 OTTONE SILVIO quella
impresa. Convenutosi adunque dèlia giornata con. quelli che erano consapevoli d^' suoi disegni, disse
loro, che lo aspet- tassi no in piazza
dal tempio di Saturno al miglio d'oro. E la
mattina salutò Galba, e come ancora era solito, lo abbracciò e baciò. Fu ancora presenta quando egli
sacrifìcava, ed udì tutto ciò che dallo
aruspice gli fu predetto della sua morte. Appresso fiicendogli un suo liberto, che gli
architettori erano compariti, che così
era rimasto d'accordo per segno si dicesse, si partì da Galba mostrando d'andare a vedere una casa
per comperarla : e dalla banda di dietro
del palazzo usci via, e rappresentossi al
luogo da lui e da' suoi determinato. Altri dicono, che finse di aver la febbre e che e* fece intendere a
quelU ch'erano più vi- cini, che essendo
malato, appresso degli altri lo scusassero, i
quali di lui cercavano. E cosi ascosamente in quel punto si fé* portare agli alloggiamenti de' soldati, sopra
una seggiola da ilonna. E non potendo
quelli che lo portavano reggere più al
})eso, scese in terra e cominciò a correre v;Si^ppresso si fermò a rimettersi una scarpetta che gli era
uscitìrrhsino a che e' fu ripreso di
nuovo (1). E dalla compagnia che era con lui, ssonza mettere tempo in mezzo^ fu salutato
imperadore. E tra le grida che facevano
lo genti rallegrandosi, e tra le spade sfoderate per- venne alla testa dell'esercito : e tutti
quelli che riscontrava si accostavano a
lui non altrimenti che fussero stati partecipi e consapevoli di quella impresa. Quivi dato la
commessione a co- loro che e' voleva che
ammazzassino Galba e Pisene, gli mandò
via, e per conciHarsi gU animi de' soldati col far loro grandi of- ferte e promesse, disse nel parlamento, che
e' fece loro permolte riprese, che quel
solo era per riserbarsi per sé che da loro gli
fusse per essere concesso. Comi
da lui fatte nel principio del suo imperio.
Appresso essendo già consumato una gran parte del giorno, entrato in senato, fece una breve orazione ;
e quasi come rapito tlal popolo e
costretto pei* forza a pigliare il governo, e come s'egli lo dovesse amministare, di comune
consenso di ciascuno e al loro arbitrio.
Ed oltre agli altri accarezzamenti di coloro che seco si rallegravano e lo adulavano, fu
ancora dalla infima plebe chiamato Nerone;
nò fece segno alcuno di non volere essere chia- (1) Ripreso di nuovo deve intendersi, che i
suoi partigiani se io posero in collo
per condurlo allo esercito. «iato in
quel modo; anzi, secondò che alcuni hanno scritto .tra le prime bolle che egli spedi, ed episto le
che egli scrisse ad al- cuni governatori
delle provincié, soscrivendosi aggiunse al nome
-proprio'il cognome di Nerone. Certo è una vòlta che e' permésse, che le immagini'e statue di quello fussero
riposte ne' luoghi loro, e rendè ai,
procuratori e liberti suoi i medesimi uftìzii. E i primi jdanàrì che egli per sua soscrizione, còme
imperadore, ordinò che' ^ fussero
pagati, furono un milione e dugento cinquanta mila scudi, per fornire |a casa aurea cominciata da esso
Nerone. Dicesi che la notte medesima,
che seguitò dopo l'uccisione di Galba, spa-
ventato in flc^no, messe grandissime strida e sospiri e fii
ritrovato da quelli àie là corsero,
giacere in terra a pie del letto ; e^ che
e' tentò con molti sacrifizii e purgamenti di placare l'anima di Galba e- rendersela propizia e favorevole,
dalla quale gli era parso- d'essere
stato gittato a terra e discacciato dell'imperio ; e che jl giorno appresso neV^rendere gli augurii,
essendo venuta una gran tempesta,
eg^Mfeìvemente sdrucciolò ; e che a ogni poco '
usò di dirsi cosi fra i denti in greco : Che ho io a fare con sì grandi (ly tafani? Ribellion deiresercito della Germania centra
di lui. Quasi liermedesimo tempo i
soldati ch'erano in ;Germania, giurarono
feddtà a Vitèllio ; il che come egli ebbe inteso, ordinò, che il senato- mandasse ambasciadori, i quali
avvisassero lo im- peradore già essere
eletto e gli persuadessero alla quiete e con-
cordia universale. E nondimeno dall'altra banda per messi e per lettere, si offerse a Vi telilo per compagno
nello imperio e per suo genero. Ma di
già essendo la guerra scoperta, appropin-
quandosi-i' capi e le genti che Vitellio* aveva mandate innanzi, XJonobbe per isperienza l'animo e fede de'soldati
pretoriani verso di s.è, quasi con la
rovina dell'ordine senatorio. Erano rimasti
d'accordo di armare le galee e metterle in ordine; e traendosi l^arme degli alloggianaenti di notte, vi furono
alcnni che inso- spettirono, e dubitando
di qualche tradimento contro all'impe-
radore, levarono il remore e subitamente senza capo o guida alcuna corsero in palazzo, con grande istanza
addiniandando, i senatori per
ammazzargli. E ributtando i triBuni che cercavano di far loro resistènza, ed alcuni ammazzatine,
così sanguinosi (1) Pare che Ottone
prendesse mal augurio dall'éssór dai tafani
stati sturbati i sacrifizii. come egli erano, ricercanido pure dello
imperadore dove e* f usse, si si)insono
oltre per fino dentro alla sala, né mai si quietarono insino a tanto che e' non l'ebbero veduto.
Questa impresa contro a Vitellio, fu da
lui cominciala molto pigramente e con grande
confusione ó senza cura alcuna di religione o di altto : concios- siacliè essendo in quel tcmjK) tratti fuori
gli scudi chiamati Anelli, e portandogli
attorno i sacerdoti di Marte, nò avendogli ancora riposti, egli messo mano alla impresa : il
che anticamente era tenuta cosa infelice
e di malo augurio. Era oltre a ciò il giorno
che i sacerdoti della madre degli Iddii cominciavano a piangere e lamentarsi : senza che, oltre lo predette
cose, nel sacrificare ancora si videro
gli auspizii . totalmente contrarli : ancora fra' suoi atnici e domestici tutti
i danari e facoltà ch*egli allora si
trovava in essere. Sua morte e
funerale. r Essendosi in cotal guisa preparafo ed avendo
Tanimó intento alla morte, tiacque per
l'indugio, che egli ancor faceva, tumulto
e garbuglio tra i soldati; perciocché quelli, che cominciavano a partirsi ed andarsene, erano ripresi, e
sostenuti come fuggitivi ; di chQ come
égli si accorse, disse ; aggiugniamo ancBe alla vita questa notte ; e con altrettante parole vietò
il far violenza ad al- cuno, ed insino
al tardi tenendo Tuscio della camera aperto,
fece copia ed abilità di sé a chiunque lo volle anxiare a trovare. Dopo queste cose bebbe un poco di acqua
fresca, per ispegnere la sete ch'egli
aveva ; e così prese due pugnali e cercato dili- gentemente là punta dell'uno e dell'altro, e
postosi l'uno sotto il capezzale con gli
usci aperti della camera, s'andò a riposare e
fece un grandissimo sonno: e finalmente svegliatosi sul far del giorno, si ferì sotto la poppa manca. Ed a
quelli che corsero al primo gemito, ora
colando ora scoprendg la piaga, passò di
questa vita : e fu sotterrato incontanente, come egli aveva co- mandato, vitine a Veliterno, di età di
trent'otto anni, essendo stato nello
imperio novantacinque dì. Statura e
governo del suo corpo. All'animo grande
d'Ottone non si confece punto la statura,
né la foggia del vestire: perciocché e' dicono, lui' essere stato di statura pìccola e male in piedi, e calvo e
delicato e pulito, quasi a guisa di
donna, col corpo spelato, con una zazzeretta
riposta, per avere i capelli radi^ la quale egli aveva adattata e commessa in modo che ninno se ne acporgeva.
Era oltre a ciò consueto di radersi ogni
giorno la faccia e stropicciarsela col
pane bagnato ; e ciò aveva cominciato a fare, insino quando co- minciò a metter la barba, per non la metter
mai. Dicono an- cora, lui palesemente
spesse volte aver celebrato i sacrifizi della
dea Iside in veste lina e religiosa. Onde io mi penso, esser nato, che la morte sua, non punto dicevole alla
vita, fu tenuta cosa assai maravigUosa.
Molti de' soldati, ch'erano presenti, con gran-
dissimo pianto baciando le mani ed i. piedi di lui che cosi gia- ceva, lo celebravano come uomo fortissimo, ed
unico e raro im- peradòre. E subito noi
medésimo luogo, non molto lontano dove, il corpo s'era abbruciaftò, ammezzarono
se medesimo ;.molti an- cora jdi quegli
ch'erano assenti, ricevuto lo avviso, pel dolore vennero all'armi l'uno con l'altro insino
allò ammazzarsi; Final- mente una gran
parte degli uomini che in vita gVavissimamente
lo avevano maledetto e biasimato, morto grandissimamente lo lodarono; tanto che nel volgo si sparse
ancora una voce che ' Galba da lui era
stato ucciso, non tanto per cagione di signo-
reggiare, quanto dì restituire la libertà alla romana Repubblica.LA MTA
ED I FATTI DI AULO VITELLIO lli^Rt llPEEATti leiAKf Dell^orìgìne della casata de'
Vitelli. La origine de' Vitellii alcuni
hanno descritta in un modo, al- cuni
altri in' un altro; enei vero son molti discordanti intra loro: perciocché questi dicono, quella essere stata
antica e nobile, (fuegli oscura^ nuova,
anzi di persone vili e n)eccaniche ; il che
io mi persuaderei che nascesse dagli adulatori e malevoli dello imporadoro Vitellio, se gli scrittori
alquanto innanzi a Vitellio non fiissero
slati, parlando di esso, contrarii l'uno a Taltro. Tro- vasi un'operetta del divo Augusto,
indirizzata a Quinto Vitellio questóre,
nella quale si contiene, i Vitelli esser discesi dà Fauno re d(;j^i Aborigini e da Vitellia che in quei
luoghi come cosa divina era adorata; e
che loro anticamente signoreggiarono tutto
il j)aeso latino ; e che i discendenti che di questi restarono, di Sabini diventarono Romani e furono accettati
nel numero de*pa- trizii ; e che per
testimonianza della antichità di tal famiglia, gran tempo era durata e durava ancora la via detta
Vitellia; la qualo dal ìnontc laniculo
(cioè Montorio) si distendeva insino al mare.
Jyl oltre a questo, ancora essere in piedi una colonia del mede- simo nome, porcioccbò i Vitellii già si orano
offertiidi pigliare la protezione di
quella e difenderla con le lor genti proprio dagli Kcpiictdi; e che appresso in protesse di
tempo, quando e' si mandò il ^occorso in
Puglia contro a'Sanniti, alcuni de' Vitellii
si fermarono a Nocera, e di quivi a gran tempo tornarono di nuovo'in Roma e furono accettati nel numero
de' senatori. Del padre ejnadre di Vitellio, e della sua fanciullezza. Dall'altra banda sono alcuni, che hanna
scritto, phe, il primo che diede
principio a cotal famiglia, fa libertino ; e Cassio Se- vero é certi altri ancora scrivono, quel tale
essere stato ciabat- tino, il cui
figliuolo mediante quell'arte di cucire e rattacconare, venuto in grande abbondanza di danari, ebbe
per mogrie una plebea figliuola di un
certo Antioco, il quale era fornaio ovvero
prestava i fórni a prezzo; della quale ebbe un figliuolo che di- venne cavalier romano. Ora noi abbiamo
raccontatale opinioni contrarie degli
scrittori, acciocché ognuno si apprenda a quella che più gli piace. Questo una volta è certo
che Vitellio dèlia car sala di Nocera, o
che sia disceso di quella antica stirpo de' Vi-
tellii oppure che i suoi antichi fussero persone ignobili e vili,
fu cavalier romano e procuratore delle
cose di Augusto. Costui la- sciò quattro
figliuoli tutti chiamati Vitelli!, variando solamente ne' soprannomi ; perciocché tino fu chiamato
Aulo, TaltroQuintò,. il terzo Publio ed
il quarto Lucio. Aulo morì consolo, il quale
magistrato gli fu dato in compagnia di Domizio padre dì Nerone, e venne in crédito e riputazione per la sua
eloquenza ; e gli dette mal nome lo
essere magnifico e splendido negli apparec-
chi delle cene. Qainto, il secondo, non fu né deirordine de' ca- calieri, né di quello de' patrizii :
perciocché Tiberio volle che ei fussero
ammoniti e cavati del numero de' senatori tutti quegli che non erano sufficienti, né atti a quel
governo, tra' quali egli vclme a essere
uno. Publio, il terzo, il quale andò in compa-
gnia di Germanico in Asia, accusò e fece condannare Gneo Pi- sene, nemico ed ucciditore di esso Germanico.
Appresso essendo pretore, fu pigliato
come consapevole e compagno di Sciano^ e
dato in custodia al fratello, dove egli si tagliò le vene con unp scarpello da librai ; e non tanto perchè egli
si pentisse d'essersi voluto uccidere,
quanto a preghiera de' suoi con permissione
dello imperadore si lasciò governare e medicare, e finalmente morì nella medesima prigione di naturale
infermità. Lucio, il quarto, fu consolo;
dipoi gli fu data in governo la Siria dopo
tale magistrato, dove egli con tanta astuzia eprudénza si governò che non solamente condusse Artabano re de'
Parti a venir seco a parlamento, ma lo
inclusse ancora a dichinarsi e fare riverènza
alle insegne delle legioni romani^. Appresso in compagnia di Claudio imperatore fu due volte consolo
ordinariamente e" cen- sore una
volta. 'E ritrovandosi esso Claudio in Inghilterra, restò in suo luogo ^1 governo dello imperio romano.
Fu uomo dab- 336 AULO vrmxio bene, e molto industrioso e valente, ma
s^acquistò gran biasimo, per essere
stato innamorato (i*una libertina^ con la cui scili va mescolata col mele egli era solilo non rade
volte o di nascojBO, ' ma ogni giorno e
palesemente di stropicciarsi e riconfortarsi i
polsi e canne della gola. Il medesimo nello andare a verso -e nello adulare fu di marayiglioso ingegno, e
fu il primo che diede ordine che Cesare
fusse adorato come Iddio ; conciossiacosaché
tornato dal governo della Siria, mostrò di non avere ardire d'an- dare dinanzi allo imperatore, se non col capo
velato, e girandnmo volesse ancora cognominarlo Augusto, disse Uìnt rlie ìndiii'ìa.^sino a un altro tempo :
quello di Cesare ricuso e;rii in
iK,'r[>etuo. S'iiitnide nd
prinripato. (>>mo e^rli el)he lo
avviso della uccisione di Galba, acconcie e
arcoKiodate le cose della Germania, fé* due parti del suo eser- c'ìU) e ne mandò una parte innanzi ad Ottone,
l'altra riserbò ap- presso di sé. A'
soldati che furono mandati innanzi apparve un
Ifiiono e lieto augurio ; conciossiacosaché dalla parte destra di (pielli si vide sopra in un subito volare
un'aquila (I), la quale datd una
giravolta intorno allo insegne, a poco a poco fece la via ìnuair/i airesi^rcilo ])oi che furono
entrati in camnùno. Ma pel contrario nel
muover luì l'esercito, tutte le statue che in
abito di cavaliere erano state poste in suo onoro, le quali erano un gran niimoro, si troncarono le gambo e
tutte a un tempo ro- vinarono; e la
corona dell'alloro la quale egli con molta religione 8 era avvolta intorno alla testa, gli cascò
in una corsia d'acqua K poco poi essendo
a Vienna e rendendo ragiono nel tribunale,
un pollastro ('i) gli volò sopra alla spalla, e quindi se gli fermò in capo; ai ([uali segni venne a
corrispondere egualmente il fine ;
perciò elio egli non i)otè perso medesimo mantenere quello imperio che da' suoi commessarii gli ora
stato acquistato e con- fermato. Sue intraprese dopo la morte d'Ottone, e suo
ritomo a Roma. Hitrovandosi ancora in
Francia, ebbe avviso della vittoria ri-
c(ivuta a Bebriaco e della line che Ottone aveva fatta ; e subita- mente mandò un bando pel quale privò de'
privilegii della mi- lizia tulli i
soldati pretoriani, come quelli che avevano dato un pessimo esempio agli altri, e comandò, loro
che dessino Tarme a' tribuni, domandò
ancora che centoventi, de' quali si erano ri-
trovati i memoriali presentati ad Ottone, che atldimàndavano il premio por essersi adoperati nella occisione
di Galba, fussero Il prodigio dell'aquila significava, che i legati di
Vitellio sarebbero stati
vittoriosi. (2) Il prodigio del
pollastro, o sia gallo, significava, che sa-
rebbe ucciso da un Gallicano : come di fatto avTenne cercati e puniti,
la quale opera. certamenta fu molto egregia e
ipagnifica ; talmente che egli avrebbe dato speranza d'avere avuto a fare una ottima riuscita, e di essere un
vajorosb ed eccellente principe, se
nelle altre cose non si-fusse governato più secondo la sua natura e costumi .Sella vita di prima,
òhe secondo la maestà dell'imperio :
conciossiacosaché subito che egli si messe in
cammino, cominciò a farsi portare pel mfez^o duella -città a guisa di trionfante e passare i fiumi dentro
a'navilii delicatissimi or- nati e.
circondati con yarie fogge di corone e con bellissimi ap- parecchi di vivande abbonbànlissimi, senza^
disciplina o regola ' alcuna. Quanto
alla sua famiglia e quanto ai soldati, delle Loro rapine e presunzione egli si rideva e la
rivolgeva in fèsta e in giuoco ; onde
non contenti di vivere a discrezione in qualunque ' luogo essi arrivavano, si avevano ancora
presa autorità di fare liberi gli
schiavi che a loro piaceva: ed a' padroni. che facevano loro resistenza davano spesse volte in
pagamento ferite e batti- ture, e talora
la morte. E come eglino entrarono nella pianura, ove si era fatta la giornata, corno che
alcuni di loro abbominas- sino la
corruzione è mal odore de' cpri^i morti, ebbe Vitellio ar- dire con voce detestabile e biasimevole di
persuadergli in modo che essi medesimi
affermarono che l'avversario uccisa rèndeva
ottimo odore, e molto migliore il cittadino. Tuttavia per alleg- gerire e addolcire la gravezza di quell'odore,
bevve q^uivi alla presenza di ciascuno
di molto vino pretto, e coYi parli vanità ed
insolenza ne fece bere a tutti. E risguardando la pietra dóve erano scolpite alcune lettere in memoria
d'Ottone, disse che quella era degna di
esser posta nel mausoleo. E mandò il pugnale, col quale egli s'era ucciso, in Colonia^ gli
abitatori della qiial città vi furono
condotti da Agrippa, perchè lo dedicas^mo a Marte ; ^ e ne' gioghi dell'Apenninó fece ancora stare
ciascuno tutta la notte desto e
vigilante. Cose da lui fatte nel
principio del suo governo. Entrò
finalmente in Roma col far sonare a battaglia, vestito da soldato e con la spada a canto nel niezzo
delle insegne e ves- silli
dell'esercito; essendo ancora i soldati ch'erano in sua com- pagnia con saloni indosso alla soldatesca.
Cominciò appresso più di giorno in
giorno a dispregiare ogni legge umana e divina^ E nel di che i ^lomani riceverono la rotta ad
A^ia, prese il pontifi-. cato massimo.
Squittinò per dieci anni tutti i magistrati, e sé fece consolo a vita. £ per manifestare a
ciascuno chi egli voleva imitare noi govornaro la Repubblica, nel mezzo del
campo Marzio con ji;ran numero di
sacenloti pubblici celebrò Tesequie di Ne-
rone. E trovandosi in un solenne convito, comandò a un cita- redo r\\{) assai ^lì piaceva che palesemente
cantasse qualche cosa in lode di Domizio,
e cominciando cpicllo a cantare le canzoni
neroniane, fu il primo, fra quelli ch'erano presenti, che per Tal- legrezza cominciò a battersi le roani a
palme, ed a' gridare e far festa. Di altre sue aziuni nel primo tempo del suo
principato. Colali furono i suoi
portamenti nel principio del suo imperio, e
così andò seguitando, governandosi secondo il consiglio e arbi- trio di ciascuno istrione e guidatore di
carrette, quantunque vi- lissimo ; e
massimamente d'un suo liberto asiatico, col qoale, essendo ancora molto giovanetto, aveva usato
scambievolmente e disonestamente. Costui,
essendogli venuto a fastidio Vitellio,
si fuggì da lui, ma egli lo riprese a Pozzuolo, dove e' si stava a vendere una certa bevanda d'aceto inacquato,
e di nuovo lo cacciò ne' ferri ;
appresso gli ripose amore e cominciò di nuovo
a tenerlo'tra le sue delicatezze. Dipoi un'altra vdlta non potendo sopportare la presunzione e. ferocità di
quello, lo vendè a un maestro di scherma
che abitava vicino alla piazza ; e un di che
egli si rappresentò nel gioco de' gladiatori, subito lo riprese, ed ottenuto il governo della Germania, lo fece
libero il dì medesimo che egli fu fatto
imperadore. Cenando gli donò l'anello d'oro,
cioè lo fece dell'ordine de' cavalieri, non ostante che la mattina, pregando per lui ciascuno di quelli che gli
erano d'attorno, se- verissimamente
avesse detosUito e biasimato 11 segnare con tal
macchia l'ordine de' cavalieri. Dcll»^ sue gozzoviglie e banchetti. Ma perciocché sopra a ogni altra cosa era
molto dedito a ca- varsi le sue voglie e
soddisfare alla sua gola, siccome ancora alla
crudeltà, usava di mangiare tre volte il giorno e quattro ancora alcuna volta ; e compartiva questi suoi
mangiari in (4) asciolvere, in desinare,
in cenare e pusignare; oreggeva a tutti i predetti pasti, essendosi avvezzo a vomitare. Comandava orsi
a questo ora a quello la sua volta di
convitarlo; nò ad ale uno costarono manco ciascuno (1) Asciolvere, lo stosso che far
colazione. NONO IHPEKATORE, 343 apparecchio dì diecimila scudi. Fu sopra
tutte le altre ffimosissima una cena
fattagli dal suo'fratello il dì che e' fece Tentrata in Roma; nella quale si scrivo che in tavola furono
poèti due migliaia di pesci elettissimi
e sette di uccelli. Rendè ancora ejgli questa cena più abbondevole e splendida, dedicando in
quella eoonsagrando'' un piattello, il
quale per là smisurata grandézza da lui era chia- mato lo scudo di Minerva, ed in greco
l'egida, (1) ài padrone della città dove
erano dentro mescolati fegati di scari, cervella di fagiani e di pagoni, lingue di papp9galli,
latte di [mufenó, avendòleTaXte pescare
dal mare Carpazio jnsino al mare dr Spagna.
E come uomo non solo di profonda gola ma ancora di disordinata e lordissima, non si potè temperare nel
-sacrifizio o in alcun viaggio, che tra
gli altari in quello medesimo luogo dove e' sa^
crificava non si mangiasse allora allora le viscere; e (2) le
panate subito cho ell'eraho levate dal
fuoco, e così per il cammino, en- trando
per le cucine dell'osterie che erano su la strada, si man- giava le cose cotte che vi erano che ancora
fumavano, ed alcuna volta gli
avanzaticci e l'ossa, e reliquie del giorno dinanzi. . Della sua crudeltà. ' . »
Essendo, come di sopra abbiamo detto, oltre all'esser goloso, crudele e vendicativo per ogni minima cosà,
usava di punire e d'uccidere senza avere
rispetto ad alcuno. Fece ammazzare alcuni
nobili suoi condiscepoli p coetanei, ingannandogli chi in ìin'moda e chi in un altro ; ed accarezzandogli in
tutti quei modi che egli sapeva, insino
a farsegli compagni nello imperio, de' quali ne
aramazzò uno col porgergli il veleno di sua mano a bere in cambio di acqua fresca, la quale egli
aggravato dalla febbre aveva addimandata.
E di quelli usurai o di coloro a' quali egli
promettendo per altri si era obbligato, o dogli arrendatori delle gabelle ed entrate pubbliche, che in Roma lo
avevano vohito ritenere [)er essere
pagati, o fuori di Roma, perchè e' pagasse
i dazii e le gabelle consuete, pochi ve ne furono che dalle :sue mani scampassero; tra' quali avendone dato
uno, mentre che da lui era salutato,
nello mani della giustizia e subitamente Tattolo richiamare indietro, lodando ognuno la sua
cleniienza, comandò che e' fusse
ammazzato quivi alla presenza sua, dicendo, che
voleva pascer l'occhio : ed avendone sentenziato un altro, vi ag- (1) Padrone della città, cioè a GiQve. (2) Panate, lo stesso che focaccie., giunse
ancora due figliuoli di quello, per essersi ingegnati con preghiere di scampare il padre loro. Oltre a
ciò avendo condan- nato un cavalier
romano, e gridando quello mentre ch'egli an-
dava alla morte : Io t'ho .fatto mio erede ; lo costpinse a rappre- sentare le tavole del testamento, e leggendo
che costui gir aveva dato per compagno
della eredità un suo liberto, comandò .subi-
tamente che lui il liberto fussoro scannati. Fece, ancora ara- mazzare alcuni plebei perchè palesemente
avevano avuto ardire di biasimare i
guidatori delle carrette, ch'erano della Kvrea e fazione azzurra ; sospettando ch'eglino ciò
avessino fatto in suo dispregio, avendo
speranza di cose nuove. Fu sopra a ogni -altra
sorte di uomini capitale nimico de' servidori allevati in casa e de' matematici ; e come vUno glie n'era
accasato, subito, s6nza udirlo
altramente, gli faceva tagliare la testa: essendo incrudelito centra i matematici, perciocché subito che
egli ebbe mandato un bando, nel quale e'
comandava che per tutto il 1 ® dì di ottobre
i matematici avessino sgombro di Roma e di tutta Italia, fu ap- piccala una (\) scritta che diceva, che i
Caldei affermavano che le cose
andrebbono bone so Yitellio Germanico in quel tempo, cioè per lutto il di primo di ottobre, non si
ritrovasse in alcun luogo. Credeltesi
ancora lui avere ammazzato la madre e proibito
che essendo inferma non lo fusse dato da mangiare ; perchè una donna chiamata Calta, alle cui parole
prestava fede come alle parole d'un
oracolo, gli aveva predetto che egli allora regnerebbe lungo tempo, e che il suo imperio sarebbe
stabile quando ei sopravvivesse alla
madre. Altri dicono, ch'ella infastidita delle
cose presenti e temendo delle future, con grandissihaa difficoltà impetrò dal figliuolo d'avvelenarsi. Apparecchio dell' esercitò contro
Vespasiano.' Nel mese ottavo del suo
imperio si ribellarono da ta in Roma;
nella quale si scrivo che in tavola furono poèti due migliaia di pesci elettissimi e sette di uccelli. Rendè
ancora ejgli questa cena più abbondevole
e splendida, dedicando in quella eoonsagrando''
un piattello, il quale per là smisurata grandézza da lui era chia- mato lo scudo di Minerva, ed in greco
l'egida, (1) ài padrone della città dove
erano dentro mescolati fegati di scari, cervella di fagiani e di pagoni, lingue di papp9galli,
latte di [mufenó, avendòleTaXte pescare
dal mare Carpazio jnsino al mare dr Spagna.
E come uomo non solo di profonda gola ma ancora di disordinata e lordissima, non si potè temperare nel
-sacrifizio o in alcun viaggio, che tra
gli altari in quello medesimo luogo dove e' sa^
crificava non si mangiasse allora allora le viscere; e (2) le panate subito cho ell'eraho levate dal fuoco, e così
per il cammino, en- trando per le cucine
dell'osterie che erano su la strada, si man-
giava le cose cotte che vi erano che ancora fumavano, ed alcuna volta gli avanzaticci e l'ossa, e reliquie
del giorno dinanzi. . Della sua
crudeltà. ' . » Essendo, come di sopra abbiamo detto, oltre
all'esser goloso, crudele e vendicativo
per ogni minima cosà, usava di punire e
d'uccidere senza avere rispetto ad alcuno. Fece ammazzare alcuni nobili suoi condiscepoli p coetanei,
ingannandogli chi in ìin'moda e chi in
un altro ; ed accarezzandogli in tutti quei modi che egli sapeva, insino a farsegli compagni nello
imperio, de' quali ne aramazzò uno col
porgergli il veleno di sua mano a bere in
cambio di acqua fresca, la quale egli aggravato dalla febbre aveva addimandata. E di quelli usurai o di
coloro a' quali egli promettendo per
altri si era obbligato, o dogli arrendatori delle gabelle ed entrate pubbliche, che in Roma lo
avevano vohito ritenere [)er essere
pagati, o fuori di Roma, perchè e' pagasse
i dazii e le gabelle consuete, pochi ve ne furono che dalle :sue mani scampassero; tra' quali avendone dato
uno, mentre che da lui era salutato,
nello mani della giustizia e subitamente Tattolo richiamare indietro, lodando ognuno la sua
cleniienza, comandò che e' fusse
ammazzato quivi alla presenza sua, dicendo, che
voleva pascer l'occhio : ed avendone sentenziato un altro, vi ag- (1) Padrone della città, cioè a GiQve. (2) Panate, lo stesso che focaccie.,giunse
ancora due figliuoli di quello, per essersi ingegnati con preghiere di scampare il padre loro. Oltre a
ciò avendo condan- nato un cavalier
romano, e gridando quello mentre ch'egli an-
dava alla morte : Io t'ho .fatto mio erede ; lo costpinse a rappre- sentare le tavole del testamento, e leggendo
che costui gir aveva dato per compagno
della eredità un suo liberto, comandò .subi-
tamente che lui il liberto fussoro scannati. Fece, ancora ara- mazzare alcuni plebei perchè palesemente
avevano avuto ardire di biasimare i
guidatori delle carrette, ch'erano della Kvrea e fazione azzurra ; sospettando ch'eglino ciò
avessino fatto in suo dispregio, avendo
speranza di cose nuove. Fu sopra a ogni -altra
sorte di uomini capitale nimico de' servidori allevati in casa e de' matematici ; e come vUno glie n'era
accasato, subito, s6nza udirlo
altramente, gli faceva tagliare la testa: essendo incrudelito centra i matematici, perciocché subito che
egli ebbe mandato un bando, nel quale e'
comandava che per tutto il 1 ® dì di ottobre
i matematici avessino sgombro di Roma e di tutta Italia, fu ap- piccala una (\) scritta che diceva, che i
Caldei affermavano che le cose
andrebbono bone so Yitellio Germanico in quel tempo, cioè per lutto il di primo di ottobre, non si
ritrovasse in alcun luogo. Credeltesi
ancora lui avere ammazzato la madre e proibito
che essendo inferma non lo fusse dato da mangiare ; perchè una donna chiamata Calta, alle cui parole
prestava fede come alle parole d'un
oracolo, gli aveva predetto che egli allora regnerebbe lungo tempo, e che il suo imperio sarebbe
stabile quando ei sopravvivesse alla
madre. Altri dicono, ch'ella infastidita delle
cose presenti e temendo delle future, con grandissihaa difficoltà impetrò dal figliuolo d'avvelenarsi. Apparecchio dell' esercitò contro
Vespasiano.' Nel mese ottavo del suo
imperio si ribellarono da lui l'esercito
della Mesia e quel della Schiavonia, e similmente quelli ch'erano di là dal mare, cioè il Giudaico e quello di
Seria; uiii.a parte dei quali
s'obbligarono a Vespasiano giurando di rendere a lui ob- bedienza : il quale Vespasiano era allora
assente. Vitellio adunque per mantenersi
gli altri in fede, senza misura o regola alcilna (1) Il sentimento della scritta era questo ;
che le cose andreb- bono bene, perchè
Vitellio per il primo di ottobre,' qual era il
giorno destinato alla cacciata de' matematici, non si ritroverebbe in alcun luogo. NONO IMPERATÓRE . 345 donò pubblicamente e privatamente con
grandissima larghezza lutto quello
ch'egli potette ; e fece dentro di Soma h descrizione, ^ di ciascuno per fare uno esercito,
promettendo a quegli che ve? nivano
volontaf ii ad obbligarsi e a farsi scrivere non solamente dopo la vittoria di licenziargli e
disobbiigàrgli, noia ancora di d^r loro
tutte quelle provvisioni e far loro tutte quelle abilità che si facevano a' soldati veterani e che avevano
militato il teoìpo or-, dinario.
Strignendolo appressò il nimico per terra e per mare, da una banda se gli oppose 11 fratello con
una squadra di gla- diatori e con que'
soldati nuavamente descritti ; dairaltra banda
i capitani e le genti che coipbatterono a Bebriaco. Ma superato e vinto nell'uno e nell'altro luogo o sì
veramente tradito, s^ con- venne con
Flavio Sabino fratello di Vespasiano, et promesse, se egli lo salvava, di pagargli due milioni e
cinquecento mila scudi. E subito sópra
alle scale del palazzo in -presenza di tutti i -suoi soldati disse, che cedeva e riniinziava
l'imperio il quale' contro a sua voglia
aveva ricevuto. E gridando tutti quegli ch'erano dattorno, che non volevano acconsentirlo,
indugiò tale delibera- zione e vi
interpose una notte. La mattina a buon'ora si rappre- ' sento in ringhiera mal vestito, e con rholte
lagrime testificò il medesimo, e per via
di memoriale replicò le medesime parole.
E di nuovo pregandolo il popolo e i soldati che non volesse per modo alcuno mancare a se niedesimo ; e
promettendogli a gara questi e quegli
l'opera sua, riprese animo -e costrinse Sabino e gli altri Flaviani, che di già si erano
assicurati, né temevano di cosa alcuna,
con subita violenza a rappresentarsi in Campidoglio. E messo fuoco nel tempio di Giove Ottimo
Massimo, gli ammazzò, standosi in casa
di Tiberio a rimirare quella battaglia è quello
incendio mentre ch'egli mangiava. E non molto appresso, pen- tondosi di quello che fatto aveva e dandone
la colpa ad altri> ragunato il
parlamento, giurò e costrinse gli altri a giurare, che niuna cosa sarebbe loro più a cuore che la
pace e quiete '.pubr blica ; e trattosi
in quel punto un pugnale dal fianco e porgen-
dolo prima al consolo, dipoi, ricusandolo, agli altri magistrati ed
^ appresso a ciascuno de' senatori, né
lo ricevendo alcuno, si parli come se
volesse andare a porlo nel te.mpio della Concordia. E gridando alcuni ch'esso era la Concordia,
affermò clic nonrsolq riteneva il
pugnale per sé, ma che ancora accott«va il non>(3 della (^.onrordia. 'Cerca di aggiustai'si con
Vespasiano. Persuase a' senatori a
mandare ambasciatori e lo vergini ve-
stali in compagnia di quelli per addimandare la pace, o ahneno tempo a prender consiglio e risolversi. E
così il giorno seguente aspettando la
risposta, gli fu dato avviso da una spia come il nemico si avvicinava.. Subito adunque,-
postosi sopra a una seg- giola di quelle
che si portano, avendo in compagnia solamente
il cuocx) ed il fornaio, si diede ascosamente a fuggire nel Monte Aventino a casa- del padre, per quindi
fuggirsene in campagna. Dipoi levatasi
una voc^, né sapendosi onde ella si fu3se uscita, che la paco s'ora impetrata, acconsenti
d'esser ricondotto in pa- lazzo ; dove
avendo trovato abbandonata ogni cosa^ si cinse una cintola piena dì ducati e si fuggì in una
certa stanzetta piccola del portinaio, e
quivi si aflbriìficò, legando il cane fuora dell'uscio ed attraversandovi la coltrice e il
letto. Ignominiosa di lui morte. . . Erano di già entrati dentro rantiguàrdia-,
né si facendo loro alcuno incontro,
andavano minutamente (come éi fa) ricercando
ogni cosa : costoro adunque trovatolo, gli addimandarono obi egli fusse, perciò che essi non lo conoscevano, e
se egli sapeva dove era Vitellio : egli
adunque fingendo una menzogna gli uccellò.
Appresso, riconosciuto; non restò di raccomandarsi, é mostrando di voler dire alcune cose a Vespasiano che
importavano alla sa- lute dì quello,
pregava di esser dato in guardia a quàlciTno, o sì veramente messo in prigione. Ma finalmente
gli legarono le mani dì dietro e gli
attaccarono una cavezza alla gola, e così colla veste stracciata, mezzo ignudo, fu strascinato in
piazza tra mille ol- traggi e scherni di
parole e dì fatti per tutta la via Sacra ; aven- dogli mandati lì capelli addietro, come si
suol fare a' colpevoli, e postogli
ancora la punta di un pugnale sotto il mento, acciocché e' fusse forzato a tenere il capo alzato per
esser veduto, né po- tesse abbassarlo.
Alcuni gli gittavano nella faccia lo sterco e la mota, altri a piena voce lo chiamavano
incendiario e patinano 'cioè appicca
fuoco e lecca piattelli), ed una parte del volgo gli improverava e rinfacciava ancora i difetti
del corpo ; perciocché 3gli era d'una
grandezza sproporzionata, aveva la. faccia il più Ielle volte rossa pel troppo bere, era
corpacciuto e grasso, debole su l'uno
de' fianchi, per esser stato una volta urtato da una car retta nel Tare
ilmannerìno (\) à GaìoXaligola-, mentre, che egli aurìgava (cioè guidava una carretta).
Finalmente lancettato e punzecchiato
minutamente e con ferite molto piccole appiè delle scale Gemonie, e finito di ammazzai^lo^
quindi con uno uncino lo strascinarono e
gittarono in Tevere. Dichiarazione di un
portento . Morì msieme col fratello e
col figliuolo avendo >anni cinquan*-
tasette : né quegli indovini s'ingannarono,- i quali gli predissero -
^ in Vienna, per quello augurio ólie noi
dicemmo essergli intervenuto in quel
luogo, ch'egli aveva a. venire in potere di qualche uomo gallicano : conciossiacosaché il primo che
gli pose le mani addosso \^ e che
l'oppresse fusse uno chiamato Antonio Primo^ capitano della. . parte avversa, il quale era nato in Tolosa e
in sua puerizia era chiamato Becco per
soprannome, il qual vocabolo in quella lingua -
significa becco di gallina. (1)
MannerinQ, qui significa lo stésso che lacchè.
L\ VITA ED I FATTi ' «Il VESPASIANO
BECIM UPEIATOR RilAllO Della
gente Flavia e degli antenati di Vespasiano . > Avendo lo imperio romano, per la ribellione
ed uccisione dei tie principi
sopraddetti, non avuto in un certo modo luogo fermo, ma andatosi aggirando, fu ultimamente accolto
dalla gente Flavia e da quella
istabilito. La quale famiglia fu certamente ignobile, né da alcuno de' suoi antecessori fu
illustrata : tuttavia la ro- mana
Repubblica non può se non lodarsene ^ quantunque tra i Flavii fusse Domiziano, il quale (come è
manifesto) pagò le de- bite pene delle
sue sfrenate voglie e della sua crudeltà. Tito
Flavio Petronio, terrazzano di Rieti, fu nelle g.uérre e discordie de' cittadini romani dalla banda di Pompeo e
suo centurione, e dalla battaglia
Farsalica fuggendosi se. ne tornò al paese ; lìè è ben certo se egli si partì volontariamente e
senza addimàudar licenza, o se pure si
partì con licenza e permissione di Pompeo.
Egli adunque impetrato perdono da Cesare e fatlo esente .dalla milizia, fece appresso il venditore
all'incanto, ovvero riscotitore de'
banchieri ed argentieri pubblichi : il figliuolo di costui fu co- gnominato Sabino, il quale non fece mai il
mestiero del soldo, ancora che alcuni
abbiano scritto lìii averlo fatto ed essére stato centurione ; alcuni altri, che essendo egli
pur capitano, fu sciolto e liberato dal
sacramento e obbligo della milizia, per esser ca- gionevole e mal sano. Fu in Asia riscotitore
della quarantesima, dove si vedevano le
statue posto in suo onore y dalle città di
quella provincia con lettere in greco in questa sentenza : Al suf- ficente riscotitore deirèntrate pubbliche.
0"»ndi se ne andò in -T db;cimo
imperatore 31^ Elvezia, dovo egli
prestò a usura, é passò dì questa vita. Lasciò'
Yespasia Polla sua moglie con due figliuoli, il maggior de' quali - chiamato Sabino venne a tanto grado in Roma,
che egli fu fatta pretore; il minore,
cioè Vespasiano, pervenne al principato.
Nacque Yespasia- Polla in Norcia e fu di nobil famiglia, il cui padre Vespasiano Pollione fu prefetto e
provveditore dello eser- . cito, e tre
volte tribuno de* militi. Ebbe costui un fratello che ascese alla dignità pretoria e fu ancora
senatore. Dimostrasi og- gidì ancora il
luogo chiamato Vespa§ia, che è vicino a Norcia a sei miglia, suso alto nel monte, per la via
che va a Spoleto, dove • sono molte
ricordanze de' Vespasii, e cose da. loro per memoria edificate; il che è. grande indizio dello
splendore e della antichità di quella
famiglia . Non voglio lasciare indietro, come alcuni hanno vanamente scritto, che il padre del
sopraddétto Petronio fiì lom- bardo, di
quelli che abitano di là dal Po e capo ed appaltatore di coloro che lavorano a prezzo i terreni e
gli ortaggi, i quali ogni anno sono
soliti di passare dell'Umbria nella Marca, e così \m es-* sersi fermo a Rieti, e quivi aver preso
moglie. Io di tal cosa, benché molto
curiosamente ne abbia ricerco, non ho però tro-
vato giammai vestigio alcuno. ' . ^
Nascita e nodritura di Vespasiano.
Nacque Vespasiano nel paese de' Sanniti di là da Rieti, in un pic- colo borgo chiamato Falacrine a' diciasette
di novembre altardi, essendo consoli
Quinto Sulpizio Camerino e.Gneo Poppeo Sabino,
cinque anni avanti che Augusto morisse. Fu allevato da Tertulla sua avola da lato di padre, a certe
possessioni ch'essi avevano nel Cosano :
tale che poi ch'egli fu fotto principe, molto spesso se n'andava a stare alle dette possessioni
dove egli era stato nu- trito ed
allevato : non toccando la casa che prima v'era^ ma la- sciandola stare appunto in quel modo medesimo
per soddisfare agli occhi suoi, e
ricordarsi con piacere della antica dimora e
pratica avuta nel detto paese. E tanto svisceratamente amò' la memoria della sua avola, che ne' giorni
solenni e festivi usò e perseverò sempre
bere con un bicchiere di argento che di lei .
s'era risen^ato. Preso ch'egli ebbe la toga virile, durò gran tempo a non voler acconsentir per alcun modo di
mettersi la veste se- natoria, ancora
che il fratello se l'avesse acquistata, né mai ^ lasciò persuadere d'alcuno a prenderla ^e non
finalmente dalla madre, la quale ancora
con gran fatica impetrò da lui -tal grazia
più con morderlo quando con un motto e quando con un altro, 350 . VESPASIANO, . che c(m pregarnelò o con autorità ch'ella,
seco avesse: perchè ella ad ogni- poco
lo chiamava il famiglio del fratello e quello che gli andava innanzi a fargli darla via. Meritò
in Tracia d'esser fatto tribuna de'
miliU e questore ancora. Ottenne per tratta il go- verno di Greta e quello di Cirene. Appresso candidato
(cioè in vesta bianca) chiese di esser
fatto edile ed -ancora di esser fatto
pretore, e fu le prime vòlte dal popolo rifiutato e con fatica al- l'ultimo ottenne^^ tra' suoi competitori a
domandare d'esser fatti edili li toccò
il sèsto luogo; e tra.i competitori delia pretura il primo. Come egli ebbe ottenuto di esser
creato pretore, il se- nato se lo recò a
tioia, onde per acquistarsi la grazia di Caligola e farselo in qualunque mode e' poteva benigno
e favorevole, lo ' pregò di celebrare (
ancora bhe dò a lui non si appartenesse ) i
giuochi e le feste per la vittoria .oh'essò Calìgolipi in Germania aveva ottenuta. Fu ancora di parere, che
oltre alla pena di moi'te, alla quale
erano sentenziati i congiurati contro al detto -impera- dorè, si aggiuhgesse ancora che e' fussero buttati
alla' campagna • senza èssere
seppelliti; e lo ringraziò in presenza del senato che egli' si fusse degnato di accettarlo aVla sua
cena '»ii'^»*r * '^^ e ìainmin «^Tjà avesse
(l^ 'j\iO fialiiiA^'* ''•\f cominciato
a rirnbainbire. Ivi a non molto tempo, essendosi adi- rato Caligola con Vespasiano, perciocché,
essendo egli edile, non aveva avuto
avvertenza di far nettare le strade, comandò che ei fusse ripieno di loto, onde i soldati gliene
posono alqiianto ilei lembo della
pretesta. E furono alcuni che -allora interpretarono che ciò significava che e' verrebbe ancor
tempo, che la' Repub- blica calpestata e
abbandonata per qualche garbuglio civile, si '
ridurrebbe sotto la sua protezione, ed egli quasi ricevendola in grembo la difenderebbe. Oltre a ciò desinando
egli una volta, un (4) cane forestiero
portò dentro alla sua casa" in sala una.
mano da uomo e la pose sotto la tavola; e così un bue che arava, mentre che egli cenava, scosso il giogo in
terra, entrò con fu- rore in sala; e
spaventati e discacciatine i ministri, quasi stracco in un subito gli cascò quivi dove ei sedeva
a' piedi e gli sotto- messe il collo.
Oltre a ciò, uno arcipreéso, che era in campo, il quale anticamente era stato di sua casa,
$enzà violenza alcuna di venti sbarbato
dalle radici cascò in terra, e nel -^ giorno .se- guente per se medesimo si rizzò e divenne più
verde che mai e più rigoglioso.
Ritrovandosi néll'Acaia, sognò che -1 principio
della sua felicità comincierebbe allora, che a Nerone fusse cavato
. un dente. E la mattina appresso
comparì un medico in corte e mostrò a
Vespasiano, un dente che di fresco aveva cavato a Ne- rone in Giudea. Consigliandosi con Toracolo'
dell'Iddio del mowte Carmelo e domandandogli
del futuro, gli fu risposto in questa. ma-
niera: che gli IddiL gli promettevano dovergli succedere tutto quello che ei pensava e si rivolgeva
heiranimo, quantunque grande. Oltre a
questo, uno de' nobili di questa città,.suo pri- gione, chiamato Giuseppe, essendo da lui
incarcerato, gli affermò
costantissimamente, che in breve tempo egli lo doveva trarre di carcere, ma che a quel tempo sarebbe di
già fatto imperadore. Fugli ancora dato
avviso di certi segni, che in Roma si erano
intesi essere- accaduti, cioè che Nerone negli ultimi giorni della sua vita fu ammonito in sogno, che facesse
trarre il tabernacolo di Giove Ottimo
Massimo del sacrario e condurlo in casa e nel
cerchio di esso Vespasiano. E non molto dipoi che il popolo s'era ragunato a squittinare, quando Gaiba la
seconda vòlta fu fatto consolo, che la
statua del divo Giulio per se medesima . s-erà
volta verso l'Oriente ;. e che avanti che si appiccasse la zuffa a Bebriaco, due aquile nel cospetto di ogni uno
si erano appiccate (1) Il portento del
cane significava, che l'umana potertza e
l'estere nazioni sarebbero soggette a Vespasiano. 35 i' VESPASIANO insieme, delle quali essendone restata uha
-superata,. era soprav- venuta la terza
d'onde il sole nasce ed. aveva, discacciata la vin- citrice. . ' ' Sua 'assunzione ali* impèrio^ . x - \ Con tutto questo'non volle mai Vespasiano
tentar cosa alcuna, ancora che i suoi
amici e conoscenti si dimostrassino molto
pronti, e gliene facessino grande instanza; 30 prima e^li non ne' fu sollecitato e richiesto da alcuni da
lui non conosciuti, e che erano lontani
e scopertisi' in suo favore da per loro, e senza che egli Taspetlasse. E questo fu che essendo
mandato daire- serCito, che era in Mesìa
di tre legioni, due mila fanti in soc-
corso di Ottone, mentre che essi erano in cammino, fu loro dato avvisò, come Ottone era stato superato e che
per se medesimo s'era .ucciso ;
nondimeno loro seguitarono di camminare avanti
e si condussono insino ad Àquileia, quasi che e' non prestassino fede a quello che sì diceva ; e quivi presa
occasione, licenziosa- mente mandarono a
saccomanno ogni cosa^ usando ogni sorte di
rapina; temendo appresso ^ ritoiliati che e' f ussero, di non avere a. render conto dì quanto avevano fatto, e
dubitando di non esser puniti, si
consigliarono fra loro e si risolveremo a eleggere un capitano a ior modo, come quelli, a cui non
pareva esser da meno che l'esercito, il
quale era in Ispagna che aveva eletto
Galba ; né ancor dell'esercito pretoriano, il quale aveva eleUo Ottone; né del, Germanico che aveva, eletto
Vitellio. Furono adunque messi innanzi,
e proposti tutti i commessarii e legati
consolari ch'erano fuori di Roma in qualunque paese; e biasi- mando ciascun di loro per qualche difetto,
appónendo a chi una cosa e a chi
un'altra, alquanti della terza legione, la quale, nel passar che Nerone fece in Siria, era stata
mandiata in Mesìa^ sommamente lodarono
Viespasiano. Onde tutti insieme si accor-
darono di eleggere lui ; e senza indugio scrissono il nome di quello in tutte le loro insegne : ed allora
vennóno a quietarsi interamente, e
ciascuno a pòco a poco tornò all'uffizio -suo, Ès- sendosi pertanto divulgato, quanto costoro
avevano deliberato^ Tiberio Alessandro
prefetto xieirEgitto, il di primo di luglio,
fece che le sue genti giurarono fede a Vespasiano ; il qual giorno fu dipoi osservato essere stato il medesimo
del suo principato. Appresso lo esercito
giudaico a nove di di luglio prese il giurà-
inento in sua presenza. Favorì assai le predette iihprese la copia ^> una lettera vera falsa ch'elfa si fusse
del. mòrto Ottone; il DECIMÒ
IMPERATORE 355 quale per ultimo suo
ricordò scongiurava e pregava Vespasiano,
che f usse contento di vendicarlo, pregandolo ancóra clie volesse aiutare e soccorrere la Repubblica. Aiutò
ancora assai la cosa la voce che si era
sparsa, cioè che Vitellio, restando vincitprp,
aveva deliberato di scambiare le stanze degli eserciti e far pas- sare l'esercito di Germania in Oriente, per
più loro sicurtà, ed acciò che potessino
vivere corf più comodo e più delicatamente.
Oltre a ciò tra i governatori delle provincie Licinio Muziano, de- posto l'occulto odio che insino a quel tempo
aveva portato a Ve- spasiano, volendo
competere con lui, gli promesse Teserei to che
era in Siria in suo favore ; -e Vologeso re de' Parti gU promesse quaranta mila sagittaria Cose prodigiose avvenute nei principio del
suo" govèrno. . Preso adunque la guerra
civile, mandò innanzi li suoi capir tani
con gli eserciti; ed egli, in quel mezzo, passò in Alessandria per insignorirsi di quel paese ctìfe è la
chiave delVÌEgitto. Dove essendo entrato
nel tèmpio di Serapide, e mandato via ognuno
per restar solo e conàigharsi con quello Iddio, come egli avesse a stabilire il suo imperio, se lo venne a
fare mólto favorevole; e volgendosi
attorno, gh parve vedere Basilide liberto porgergli le verbene', cioè l'erbe sagrate, le corone
ed i pani che ivi s'u- sano per
sacrificare. Era manifesto, costui da nessuno essere" stato messo dentro : e che per essere statò
gran tempo rattrap- pato de' nèrbi, non
poteva appena àndar.e, e che egli, oltre a
ciò, quindi molto lontano si ritrovava. Maia quello istanle ven- nero lettere die davano avviso, come le genti
di Vitellio vieino- a Cremona erano
state rotte ed egli entro. alla città ammazzaU). Mancava solamente a Vespasiano, per essere
persona nuova e principe non aspettato,
lo acquistarsi appresso de' popoli auto-
rità e maestà ; il che ancora gli venne a succedere in questo modo. Era un certo plebeo cieco, e similmente
un altro debole da una gainba; questi
du^' insieme lo andarono a trovare in-
nanzi al tribunale dove egli sedeva, e lo pregarono chesid^ gnasse di avere compassione alla loro
infermiti^ e di polvere loro soccorso,
affermando il cieco che Serapide in sc^no gli
aveva detto che Vespasiano, sputandogli negli occhi, gli poteva rendere la vista; e'I zoppo che, degnandosi
di dargli un calcio, verrebbe a sanarlo
della gamba. Non poteva credere Vespasiano
che tal cosa per modo alcuno gli avesse a succedere, e perciòt non aveva ardire di farne esperienza.
Finalmente pregato e confortato dagli amici, in presenza di tutti fece i'una e
Taltra cosa; e succedette quanto i due
avevano dettò. Nel medesimo tèmpo in
Tegea città di Arcadia, a persuasione di certi individui, fu- rono dissotterrati d'un luogo sagrato certi
vasi di lavoro antico, ne' quali era una
testa, simile a quella di Vespasiano. '
. Risiabilimertto della Repubblica vacillante'. Tale con si gran fama essendo ritofnato in
Roma,, trionfò de' Giudei. Ed oltre alla
prima volta che un tempo addietro era
stato consolo, fu ancor consolò otto altre volte. Frese ancor l'uf- fizio della censura; ed in tutto '1 tempo che
esso regnò, non- at- tese quasi ad altro
che a riordinare e stat)ilire quella afflitta
Repubblica, e che tuttavia stava per andare in rovina, è dopo questo di renderla ornata. E primreramente
quanto a' soldati, essendo una parte di
loro insuperbiti per la vittoria ricevuta, ed
una parte di loro sdegnati ed offesi per essere stati notati vitu- perosamente, erano trascorsi e *diyenutt licenziosi
ed insolenti. Oltre a questo le
provincie apcora e le città libere, e con quelle insieme alcuni reami erano tra loro in
discordia e tumult'uosar mente si
governavano. Egli adunque, per riparare a' sopraddetti inconvenienti, a' soldati
Vitellianicl^'erànogli spdegnati, tolse ogni
privilegio clL'essi- avevano, egli privò della milizia e gran parte di loro furono puniti. A' suoi, cbe per la
vittoria erano insuper- biti, non volle
mai concedere cosa alcuna altro che ordinala ;
anzi di quello, che debìtamento si aspettava Iqro, indugiò un t0mpo ia soddisfargli. £ per corregger la
disciplina militare in tutti tjue'modi,
che e' poteva e con tutte le occasioni che se gli i 'esentavano innanzi, essendogli venuto
davanti un giovà- tto, per.
ringraziarlo d'avere impetrato d'esser fatto prefetto, j pirofumato e ripieno di buoni odori, gli
fé' cenno che si ap- ] asse e levassé^
via, come se tali odori l'avessino offeso; e lo
riprese an(;ora gravissimamente, dicendo: più tosto avrei voluto che tu sapessi d'dgli; e si fé' rendere
it)dietrO le lettere di fa- Vere ch'esso
gli aveva fatte. I soldati delle galee, i quali ordi- nariamente da Ostia a Pozzuolo Vanno é
vengono per terra a piedi^ gli
addiniandavano che e'fiisse concesso loro. qualche provvisione, sotto nome delle scarpe che
logoravano in andare innanzi e indietro;
ma egli, non gli parendo abbastanza non
aver risposto loro cosa alcuna, ordinò e comandò lóro che da quivi innanzi andassino scalzi, e così da
indi in qua sempre npre sono andati e
vanno ancora oggidì. Quanto alle città e Provincie, ridujsse in forma di
provincia, qiòè fece distretto dei
Romani TAcaia, là Licia, Rodi, Costantinopofe e Samo., e tolse loro la libertà. \\ simile fec^ ancora alia
Tracia, alla Cicilia ed a Comagene
ch^erano reami .stati insiiio a quel, tempo,, e da luL furono ridotte in forma di provincia. Mandò
nuove legioni^ di soldati in Cappadocia/
oltre a qaelli che ordinariamente vi sla-
vano, per esser quel paese infestato assiduamente dalle scorrerie de' barbari . ^E per governatore vi mandò un
cittadino consolare, essendo solito di
mandarvisene uno dell'ordine de'cavaHeri,
Roma per l' antiche arsioni e rovine era tutta disformata e guasta; onde per riempierla dì casamenti. ed
èdifizii, diede a ciascheduno licenza, a
cui veniva bene di edificare, che occupassero i luoghi e gli spazii che trovavano vóti,, quando i
padróni proprii aveS' sero indugiato
loro a edificarvi. Egli prese à restituire e rifare il Campidoglio, e fu il primo che messe le mani
a purgarlo dai calcinacci e portargli
via; e sopra le sue spalle ne portò via al-
quante corbellate. Fece oltre a ciò rifar di nuovo tre mila tar vole di rame che tutte erano arsicciate e
guaste dal fuòco ; avenda con diligenza
ricerco e ritrovato i modelli e le scritture antiche di quelle. Fece oltre a ciò come uno
infetrùmento ed inventàrio delle cose
pubbliche, insino dal tempo antico, molto bello e bene accomodato ; nel quale si contenevano tutte
le deliberazioni del senato e tutte
quelle delia-plebe, tutte le leghe e confederazioni, fatte, tutti i privilegii conceduti a
qualunque persona, insino quasi da che
Roma fu edificata. ' ~ Edifizii
pubblici da lui innalzati. ^ ., Fece
ancora alcuni èdifizii di nuovo, cioè iHempio della Pace . vicino alla piazza; quello del divo Claudio
cominciato da Agri p* pina, ma da Nerone
disfatto e rovinato quasi insino a' fonda*
menti. Edificò similmente lo anfiteatro nel mezzo di Roma se- condo il disegno e modello che trovò, che
Augusto ne aveva fatto fare. Ridusse
l'ordine do' cavalieri e de' senatori allo antico splendore e nobiltà, i qo'ali ^rano già quasi
ridotti a niente, per essere slati
trascurati, e molti di loro uccisi e ripienitli persone vili e i|znobili. Egli adunque gli ridusse.
al solito numero, e pri* mieramente fece
una rassegna di quegli che allora ne' predetti
ordini si ritrovavancJ; enocavò tutti quegli che non .meritavano tal dignità, e in lor cambio messe uomini
dabbene e nobili di ogni sorto, Italiani
e forestieri. E \)er dare a conoscere che i se-
natori e i cavalieri erano solamente dilferenti quaàto dignità, ma che rautòntà e licenza aveva .'in
vun cèrto modo a esser del parf;
eissendo oocof^o parole ingiuriose Ira un. sena- tore ed un cavaliere romano, sentenziò in
questo modo, che ei non era heueche a'
senatori fussero dette parole ingiuriose, ma
cl\^ rispondere alle ingiurie di qiiegli jngiuriosam^nte era ben cosa civile ^ lepita. . . *; Liti da lui somm^rìamente dedse. . - Le liti che si avevano a decider erano
cresciute in grandissimo numero ;
perchè non si essendo per gran teiripo addietro tenuto ragione, molte dèlie antiche destavano
ancora in pendente, e- per garbugli e
tumulti de* tempi che allora erano corsi, ne sur- 'gevano su delle nuove ogni di. Egli adunque
fece un magisti'ato diuomini, i quali
trasse a sorte, che avessino autorità sopra
alle cose che nella guèrra, s'erano rubate di farle restituir a di chi elle erano. Oltre a -ciò creò un
magistrato che per lo stra^or- -dinario
sentenziasse e giudi ma Tito. sì, il. quale allora gli era accanto. Erano tanto amici e
familiari che si crede ancora Tito,
dormendo accanto a Britannico, aver gustato di quella be- vanda, della quale morì Britannico, ed
esserne stato lungainente V U VITA ED J FATTI DI TITO VESPASIANO UNDECIHO INPERATOR
ROMANO Dell'amore di tutti verso
Tito. Tito, il cui cogiiome fu quello
del padre, cioè VespasianOj^fù tanto
ingegnosoL, tanto industrioso e favorito dalla fortunati^ !SuP6i ben volere e rendersi ciàscìino obbligato,
che meritamente fu chiamato l'amore e
lexielizie dell'umana generazione, E quello
che sopra a ogni, altra cosa è difficile, fu che egli ciò fece
nello imperio; conciossiacosaché quando
egli era privato e poi che -l padre
pervenne al principato, non mancò chi lo avesse in pdio, e fu ancora pubblicamente vituperato e
biasimato. ^ Nascita ed educazione di
Tito., Nacque a' trenta di dicembre, il
quale anno fu ricordevole per la morte
di Gaio Cahgola dentro a una cksa povera e vile, vicina al Settizonio' ed in unacamera molto piccola
ed oscura, la quale ancora, oggi è in
piede e si può vedere. Fu allevato in corte in
compagnia di Britannico e dette opera' a' medesimi studi e sotto i medesimi precettori. Nel qual tempo dicono
che Narciso.lib^rto di Claudio, avendo
fatto venire uno di questi che, a' |||^i. del
viso predicono il futuro, perchè e* guardasse il viao'éTBritan- nico, colui afferaiò per cosa cejrta ' che
Bri tàonico per modo alcuno non era per
esser imperadore, ma Tito' sì, il. quale allora
gli era accanto. Erano tanto amici e familiari che si crede ancora Tito, dormendo accanto a Britannicp, aver
gustato di quella be- vanda, della quale
mòri Britannico, ed esserne stato hìngamente
còlòno6Uo d'una legione in
Giudea^ dove e' prese ed espugnò due
città poteintissime, Tarichea e Gamala. Ed in un certo fatto . d'arme avendo sentito mancarsi il cavallo
sotto, saltò sopra un altro il cui
padrone e cavaliere, combattendo seco, era rimasto * mfortò. ~." - Espugnazione di Gerusalemme. Avendo poi ottenuto Galba il governo della
Repubblica, fu maiìdato dal padre a
rallegrarsene con esso seco, e per qualun-
que luogo egli passava era guardato ed ammirato; credendosi - ognuno cbe e' fusse.stato chiamato dall'
iinperadore per adottarlo e farlo suo
successore. Ma come egli intese le cose di nuovo es- sere intorbidate ed ingarbugliate, se ne
tornò indietro. Ed essendo andato a
visitare l'oracolo di Venere Pafia, gli domandò del - viaggio che per raiare aveva a fare, quello
che gli doveva inter- veiiire ; dalla
cui risposta fu ancora certificato di avere a otte- nere rimperio, il che in breve tempo gli
succedette, secondo il SUO: desiderio.
Ma lasciato in quel mezzo a ridurre la Giudea
sotto l'ubbidienza de' Romani, nell'ultimo assalto che si dette
alla città di Gierosolima, con dodici
saette ch'egli tirò ammazzò dodici di
quelli che la difendevano, e la prese nel medesimo giorno che la sua figliuola nacque; in si fatta
allegrezza e favore de' suoi soldati,
che facendone festa e con lui rallegrandosene, lo saluta- ' tono e c^iiamarono imperadore. Quindi
volendosi partire lo ri- tennonò -con
preghiere^ e' coìi minaccio ancora, dicendo o che rimanesse insieme con esso loro, o che essi
parimente insieme con lui si
partirebbono^ Di che nacque sospezione che dal padre . non fusse voluto ribellare e dell'Oi^iente
insignorirsi. La quale . dipoi si
accrebbe, quando egli andò in Alessandria, perciocché trovandosi nella città di Melfi e
sacrificando un bue ad Api, portò. il
diadema secondo il costume e usanza antica di Quella religione, né mancavano persone che
malignamente interpre- tassino le sue
azioni. Per la qual cosa si affrettò di tornarsene in Itaha, e montando sopra una nave prese porto
a Reggio ; dipoi sopra alla medesima
nave pose in terra a Pozzuolo, -e di quivi
senza iinpedimento o carriaggi per tèrra se ne venne a Roma. E rappresentatosi dinanzi al padre, che non lo
aspettava, come ri- spondendo alle false
calunnie che gli erano date, disse : io.son
venuto, padre mio, io son venuto.
( opportunità, e ricevere mance
e premii. Appresso palesemente ' era
tenuto e da ognuno chiamato un altro Nerone. Ma questa - mala fama e sinistra opinione che di lui
s'aveva gli tornò in ^ tiene e convertì
in sue lodi grandissime ^ però die in lui ninno de' predetti vizii si ritrovarono, anzi pel
contrario grandissime virtù.
Primièramente i conviti che e' faceva avevano più del '-piacevole e dello allegro, che f ussero di
superchioabbondevoli. - Gli amici che
da lui furono eletti furono tali che i principi che . seguitarono dopo di lui se ne contentarono,
parendo loro d'iaverne necessità, e che
fussino a proposito per la Repubblica. Oltre a
ciò, subito che egli ebbe ottenuto il principato, contro a sua
voglia • licenziò Berenice, e mal
contenta la mandò fuori di Róma, che per
sua donna si aveva eletta : è non solamente lasciò d'intratte- nere e favorir più alcuni di quei suoi
giovauetti, più graziosi o belli come
prima soleva, quantunque e' fussero molto bene ac- costumati in danzare e recitare ; tanto che
nelle commedie e feste che si. facevano
essi le comandavano ed ordinavano, ma ancora
là dov'era tutta Róma non si curò mai di rappresentarsi in pub* blico per istare a vederli. Non tolse mai
cosa alcuna a ninno cittadino, e dalle
cose altrui si astenne quanto per lo addietro
ninno avesse fatto giammai, tale che egli, non che altro, lasciò éS riscuotere le solite collazioni e tributi.
E con tutto questo qusinto a
magnificenza e liberalità non fu inferiore ad alcuno dei suoi antecessori, perciocché avendo dedicato
e consagrato lo ^ anfiteatro, ed in
poco tempo vicino a quello edificato le terptie, fé' con bellissimo apparecchio e gran pompa e
magnificenza fare il giuoco de'
gladiatori. Fece ancor fare nel suo antico luogo la batta^ià navale, e quivi ancora fé'
rappresentarsi in campo i gladiatori, e
fece in un sol giorno comparire al cospetto del po- polo cinquemila fiere di ogni
generazione. ~ Dì una pietosissima
natura. ' ' jFu per natura molto
amorevole e benigno, perciocché avendo
Tiberio ordinato che tutti i benefizi donati e concessi da^ prin- cipi passati non s'intendessino altrimente
rati è fermi da quegli che succedevano
nello imperio, se da essi medesimi non erano
^le persone che ricevute gU avevano confermati ; egli fu il primo che per un sol baindo confermò tutte quelle
cose che' per l'ad- dietro erano state
concesse da' suoi antecessori, senza aspettarti . d'esserne pregato o ricerco. E in qualunque
altra cosa che gli ^ra addomandata
trattenne sempre ognuno e se lo mantenne af- deirordine de' cavalieri,
acciocché ad ogni cosa si desse con più
prestezza perfezione. Quanto alia pestilenza non lasciò indietro rimedio alcuno né umano he divino per mitigarla
e spegnerla, avendo fatta provveder a
tutti i rìmedi.cl^e trovare pongano, e così' .
fatto celebrare tutte le maniere de' sacrifizii, ch'in quel tempo s'usavano in alcun luogo. Era la città
ripièna, (i) per sì fatta av- versità
d'accusatori e di maligni, che per mal fare mettevani> altri al punto, per aver durato assai il male,
n'erano divenuti gli uomini licenziosi.
Egli adunque per rimediare a tali inconvenienti
comandò che que' tali fussero con flagelli e con pezzi di legno battuti in piazza, ed ultimamente per
vituperio gli fece passate per mezzo
l'anfiteatro, ed unu parte ne fé' vendere per ischiavi; e parte ve ne fé' condurre e confinare ia
isole asprissime e di- ' " serte.
Ed acciocché in perpetuo non avesse a seguir più simili disordini, ordinò che le cause e liti che si
trattavano s'avessero a decidere per una
legge sola : né più leggi che una si potesse
addurre sopra una causa. E che dello stato e de' beni di coloro ch'erano morti, non si potessino fare
inquisizioni, né altriittlnU pretendervi
sopra cosa alcuna o molestargli, se non per insino a -. un certo numero d'anni che da lui furono
determinati. Sua clemenza e
mansuetudine. - Quando fu creato
pontefice massimo, disse che accettava quo!
sacerdozio per essere costretto a conservare le sue mani pure ed innocenti ; il che da lui fu osservato e
mantenuto : perciocché da quel tempo
innanzi ninno fece ammazzare giammai, né mai
della morte di alcuno fu consapevole, ancora che e' non gli man- casse cagione di vendicarsi: ma egli con
giuramento affermò che voleva più presto
capitar male ed esser morto, che imbrattarsi
le mani del sangue d'alcuno. Onde essendo accusati due patrizi! e fatti confessare, come e' cercavano di
farsi capi di Roma, so- lamente gli
riprese e disse loro, che si togliessino da quella im* presa, però che il principato si otteneva per
fato e per destino: e che da quello in
fuora, avendo loro voglia o desiderio di più
una cosa che un'altra, liberamente l'addomandassero che era loro " per concederla. E prestamente mandò uno alla
madre d'uno di (1) Questa narrazione
della tristizia de' calunniatori non deve
esser collegata con la cosa della pestilenza, e le parole di Sve- . tonio semplicemente tradotte sono tali. In
oltre frale altre avver- sità regnandovi
ancor quella degli accusatori e maligni avvezzai alle licenze de' teonpi passati, egli per
rimediare, ossi ; percìoccliè essendo
assai lontana di Roma ella fusge avvisata
ron prestezza, come il suo figliuolo era salvo. E non solo dette loro cena familiarmente, ma nel dì seguente
Se gli fece sedere a canto al giuoco de'
gladiatori ; e dette loro in manca considerare
e por nK'n?e Tarme, con le quali Combattevano essi gladiatori, che a lui erano state porte. Dicesi ancora
che e' fece la natività tielTuno e
doll'altro, e disse ad amendue come e' portavano pe- ricolo: e che e* sarebbono morti ma da altri
che da lui. Domiziano suo fratello non
restava di tendergli insidie, anzi palesemente
lercò di sollevare gli animi de' soldati centra a lui. Dipoi cer- cando di fuggire non sofferse l'apimo a Tito'
né di ucciderlo, né di confìnarlo, nò
ancora d'averlo in meno grado e riputazione;
ma ancora atfermò che dal primo giorno insino a quel tempo io aveva avuto per compagno e successore
nell'imperio, e cosi vo- lava ch'egli
perseverasse. Ed alcuna volta in segreto con preghiere lagnine gli chiese di grazia, che finalmente
gli piacesse una volta di avere il
medesimo animo verso di sé che egli aveva verso
di hii. Come incontrasse la
morte. McMitro che egli in cotal guisa
si governava, gli sopravvenne la morte
con maggior danno dello universale che suo. Essendosi adunque dato fino alle feste e giuochi
sopraddetti, all'ultimo dei quali egli
in presenza del popolo molto dirottamente aveva pianto, se no andò ne' Sabini alquanto maninconioso,
perciocché nel sacrificare se gli era
fuggita la vittima. E perciocché essendo
1 aere sereno e chiaro si era sentito tonare; ed alia prima posata che e' fece fu assalito dalla febbre. E
fattosi levar di quivi in lettiga, si
dice che egli alzò la coperta e guardò verso il cielo, e molto si dolse e rammaricò che la vita gli
fosse tolta, non avendo lui meritato ;
perciocché in tutta la vita sua ninna cosa si ritro- vava aver fatta della quale si avesse a
pentire, salvo che una 80la, e quale
ella si fusse, nò esso allora la manifestò, né alcuno fu mai che potesse immaginarsela. Pensano
alcuni che venne a ricordarsi d'aver
tenuto pratica meno che onesta con la moglie
del suofralello. Ma Domizìa con giuramenti grandissimi affermava, che non aveva avuto affare gianamai cosa
alcuna con esso Tei ; o che quando e'
fusse stato non l'avrebbe negato giammai, anzi
se lo avrebbe* *pu»«»*' • onore, e se ne sarebbe vantata e glo- liata come e' '^"'•-
""nfarnen*** Ara pnii»!- ^i fjir^ ÌQ tutte le Luogo e tempo della sua morte. m
Morì di quarantadue anni, nell^a villa medesipia che il. padre, essendo stato nello imperio due anni, due
mesi e venti, di. U che subito che fu
appalesato, se ne fece in- pubblico querela e pianti grandissimi, non altrimenti che se a ciascuno
fosse morto qual- cuno de' suoi più cari
amici e parenti di casa. Il senato, non
aspettando (Tesser chiamato per bando, corse^ spacciatamente aHa., curia, trovandosi le ()orte ancora serrate; e
quelle avendo apecte> . entrarono
dentro e ringraziarono, e lodarono il morto più a^sai che in presenza sua, quando èra vivo,
avessino fatto giaminai.^ I i che o'
fu morto, niun'altra dimostrazione fece in suo onore, se non di consugrarlo ; anzi molte volte
nelle orazioni -che esso UìCtì e ne'
bandi che e' mandava si ingegno malignamente di bia- sinìarlo e di acquistargli carico. Cose da luì fatte nel principio del suo
imperio. Nel principio del suo imperio
era solito ogni giohio di starsi un'ora
appartato e solo in un luogo segreto, né ad altro atten- deva che a pigliare mosche e dipoi inGlzarle
con uno stiletto bene aguzzo che egli
aveva: talché domandando uno se niuno era
«Itaitio con Domiziano, gli fu acconciamente risposto da Yibio C'.i'ispo: « Nò pure una mosca. » Appresso
ripudiò e licenziò Do- nii/ia sua moglie
come guasta ed innamorata di Paride istrione,
(iella quale nel secondo suo consolato aveva avuto un figliuolo, e Tanno appresso l'aveva salutata come Augusta.
Ma dipoi in breve spazio di temiM) non
potendo più sopportare di stare da lei lon-
tano, mostrando che il popolo con grande istanza ne lo pre- gasse, se la riprese e ricondusse a casa.
Quanto al governo della repubblica, andò
alcun tempo variando, mescolando i vizii cjon
le virtù; tanto che in processo di tempo converti ancora le virtù in vizii. E per quanto si può conietturare e
comprendere di lui, egli ne' bisogni e
necessità fu rapace, e ne' sospetti e nelle paure crudele, trapassando i termini della sua
natura. Spettacoli da lui fatti
rappresentare e della sua liberalità.
Usò molto spesso di far celebrare giuochi e feste molto son- tuosamente e con gran magnificenza non solo
nell'anfiteatro, ma ancora nel circo
Massimo, dove oltre a' bei corsi delle carrette a due e ({uattro cavalli, vi fece ancora
combattere a piedi ed a cavallo, e nello
anfiteatro fece ancor fare una battaglia navale. H fé' faro il ^uoco dò' gladiatori di notte a
lume di fiaccole e di torce, né
solamente fé' combattere agli uomini, ma ancora allo donno. Oltre a questo rimesse in usanza le
feste che facevano celebrare anticamente
i questori, cioè un giuoco di gladiatori
che si era tralasciato, e volle sempre esservi presente. E poi che gladiatori de' questori avevano finito di
combattere, conduceva al popolo un paio de' suoi a scelta ed elezióne di
()uello, i quali ultiraamenlo
comparivano in campo Vestiti riccamente ed. al co- stume de' suoi cortigiani. É mentre che e' duravano
a stare alle mani, si teneva dinanzi a'
piedi' un fanciullino vestito 'di grana,
con un capo piccolo a maraviglia, col quale egli ragionava assai, favoleggiando, ed alcuna volta in sul sodo.
Fu certamente ujia volta udito che esso
gli domandò se a lui pareva di darò a Mezio
Rufo il governo dell'Egitto, avendosi di prossimo a riordinare la. dettg provincia. Fece ancora.fare b'attagh'e
navali, quasi a modo di una grossa
armata e bene ordinata di mare, avendo fatto ca- vare un lago in cerchio vicino al Tèvere, e
piovendo un'acqua grossissima gli stette
a vederexombattere. Fece ancor celebrare
ì giuochi secolari che ogni cento anni erano soliti celebrarsi, fe- condo il conto degli anni non da quelli che
Claudio aveva fatto celebrare, ma da
quelli che già anticamente erano stati cele-
brati da Augusto. Tra le quali feste nel giorno de' giuochi cir- censi, acciocché in quel' di si desse, come
e' si aveva a dare, cento volte le mosse
alle carrette, ordinò che dove elle avevano
a girar sette volte intorno alla meta, solamente cinque volte in- torno a quella si avvolgessino. Ordinò, in
onore di Giove Capi- tolino, che ogni
cinque anni si celebrasse un gareggiamento di
musici, uno di cavalli ed uno di lottatori e corridori' a piedi ignudi ; dove si dava la corona ed il premio
alquanto a maggior numero che oggi non
si fa. Gareggiavasi ancora a chi meglio re-
citava un'orazione in prosa, j:osì in greco come, in latino. Oltre a questo vi erano introdotti non solamente
quelli che sonavano e cantavano in su la
lira, ma ancor quelli che lasonavan a ballo
tondo a danza. Sedè ancor come giudice al corso degli uomini, ed ancor fece correre alle fanciulle non
maritate, avendo in quel dì lo pianelle
alla foggia de' Greci ed una toga di porpora indosso, ed in testa una corona d'oro con l'effigie di
Giove, di Giunone e di Minerva al
costume de' Germani, essendogli a sedere a canto un sacerdote di Giove, ed avendo ancora
intorno i sacerdoti della gènte de'
Flavi!, vestiti come lui, salvo che nelle corone di quelli era la immagine d'esso Domiziano. Celebrava
ogni anno nel monte Albano la festività
di -Minerva, chiamata Quinquatria, alla
quale festività aveva ordinato un collegio di sacerdoti e traeva di loro a sorte un certo numero, i quali
avevano a esser procu- ratori di tale
uffizio e sacerdozio, ed essi avevano cura di far caccio magnifiche ed altre feste e giuochi,
con rappresentazioni di commedie e di
tragedie. Ed oltre all'avere festeggijato il popolo co' sopraddetti gareggiamenti degli oratori e
de' poeti, gli diede nofa tn^ volte ia mancia, con dar per ciascnno e per
ciascuna ;.-.i :: vjlorv ili scudi sette
in circa. E nel giuoco de* gladiatori
:Vvv ÀDCvva uno splendidissimo convito. E nel di che si celebrò .1 rV^^a Seuimonziale la qual si faceva per
memoria del settimo ;v.*.^i:e che en
stato aggiunto alla città di Roma) distribuì tra i >ecj;ori e tra' cavalieri un paniere
grande per ciascuno di pane c\i alsre
cvx»e da mangiare, e tra' plebei certe sportellelte pic- .-"^e : e^ o^ii fu il primo a cominciare
a mangiare. È nel giorno >uiK-het(a
òeiromine de' cavalieri e de' senatori cinquanta po- lirle, le quali es^ avevano a rappresentare ;
ed era lor pagato ivr ciascuna di dette
(H)lizze una certa somma e quantità di da-
Cdiùzii pubblici da lui fabbricati.
K)fev*e molti grandi e belli ediGzii ch'erano stati guasti q con- sumati dal fuoco. tra\]uali fu il Campidoglio
ch'era arso ; ma a tutti (H>se il suo
nome, senza fare menzione o ricordanza alcuna
di quei primi che gli avevano edificati. Edificò ancora di nuQvo nel iampidoglio un tempio in onore di Giove
Custode. Fece an- cora egli farla piazza
la quale oggi è chiamata la piazza di Nen^a,
e cosi il tempio della gente Flavia. Ed oltre a questo fece acco- modare un luogo dove si esercii assino i
lottatori, saltatori e cor- ridori, ed
un'altro pe' cantori di musica. Fece accomodare un luogo per le battaglie navali ; delle pietre
del qual luogo è stato di poi
riedificato e racconcio il Circo Massimo ; i fianchi del quale da ogni banda erano abbruciati. Spedizioni e guerre da lui intraprese. Fece alcune imprese, parte a volontà e parto
per necessità : a volontà contra a'
Catti, per necessità centra a' Sarmali, dove fu
morta una legione di soldati insieme col capitano e due contra a'Dacìi, nella prima delle quali restò moito
Oppio Sabino uomo consolare, e nella
seconda Cornelio Fusco, prefetto e capitano
de' soldati pretoriani, il quale da lui ora stato fatto capitano
ge- nerale di quella impresa. De' Catti
sopraddetti trionfò, ed ancora de'Dacii,
dopo molte e diverse battaglie: quanto a' Sarmati, solo per la vittoria ricevuta, presentò una corona
d'alloro a Giove j>troDficiiio
dipisratorìk 384 Capitolino. Terminò la
guerra civile cha gli mosse conlra Lucio
Antonio, il quale era al governo della Germania superiore €on felicità maravigliosa ; nò egli si ritrovò,
in p^sona a tale espe- diziono ; e la
cagione perchè egli spedì la predetta guerra così felicemente, fu perchè il Reno traboccò ed
allagò le pianure in- torno, appunto nel
venire al fatto d'arme, onde le genti che ve-
nivano in soccorso di Lucio Antonio, non poterono passare. Bella quale vittoria fu prima avvisato da certi
presagi e segni che dalli messi;
perciocché nel giorno medesimo che quella giornata si fece, volò un'aquila sopra alla sua statua in
Roma, ed abbrac- ciatola e sparnazzando
l'ale fece grandissimo strepito. E poco
appresso uscì su un remore per tutto che Antonio era stalo uc- ciso e tanto si affermava per cosa certa, che
molti vi furono che dissono d'aver
veduto portarne la sua testa. Di alcune
sue leggi ed ordinamenti. Rinovò di
molte usanze antiche ad utilità pubblica e tolse via il dare la parte nelle sporte; è rimesse in
consuetudine. (1) i ti- nelli. Aggiunse
alle prime quattro livree de' guidatori e corridori delle carrette, due altre, una vestita d'oro
e l'altra di porpora. Vietò agli
istrioni esercitarsi nella scena, facendo loro abilità di potere esercitarsi in casa. Proibì il
castrare i maschi; e fece che i
rivenditori di essi fanciulli castrati non potèssino vendergli, se non un prezzo da lui determinato. Essendo
stato uìi anno gran- dissima abbondanza
di vino e molta carestia di grano, stimando
ciò avvenire, perchè mettendosi troppo diligenza nelle vigne, si venissero a straccurare le sementi, mandò un
bando per tutta Italia che niun
ricoricasse o rinnovellasse vitr; e che le vigne per tutto il distretto de' Romani fusscra
tagliate e solo al più se ne lasciasse
la metà : ma egli lasciò questa impresa imperfetta". Diede alcuni uffizii de' più importanti a'
suoi libertini e soldati. Non volle che
i. bastioni e ripari dove alloggiavano gli eserciti romani, si facessero più doppii in alcun
luogo. Vietò ancora, che ninno soldato
potesse dare in diposito e in serbanza a quello che portava la insegna più di venticinque scudi,
perchè avendo Lucio Antonio sopraddetto
(essendo alle stanze con due eserciti) vo-
luto fare innovazione, mostrò di fondarsi in parte sopra i danari ch'orano depositati appresso delle insegne.
Dette, oltre a tre (1) I tinelli, cioè
voleva che si dessero a' clienti le cene, non
le sportule. paghe ordinarie che
avevano i soldati, ancora la quarCa di tre
Bcudi per ciascuno. « Sua diligenza ed attenzione nel render
ragione. Fu molto industrioso e
diligente in tener ragione ; ed il più
dello volte nel fòro sopra alla residenza, annullò le. sentenze che avevano date i cento giudici, ch'erano state
date per ambizione. Fece intendere ai
recuperatori ch'erano sopra al rendere a cia-
scuno il grado e la dignità che ragionevolmente se gli aspettava, che non sempre dessino fede alle belle od
accomodate parole di quegli che andavano
a raccomandarsi loro. I giudici, che per da-
nari fussero stati corrotti, furono da lui ignominiosamente notati, ciascuno secondo che e' meritava, insieme con
quegli che si erano ritrovati in (1)
quo' ricorsi e consigli. Ordinò a un tribuno della plebe che accusasse uno edile per avere
atteso a certi guadagni vili e non
leciti ; e che addimandasse al senato che ordinasse una mano di giudici per esaminarlo e
condannarlo. Pose ancora tanta cura in
correggere e raffrenare quegli ch'erano di magi- strato in Roma e quegli ancora die erano
governatori delle Pro- vincie, cl^ mai
per alcuil tempo furono nò i più costumati né i
più giusti di quegli: la maggior parte de' quali, dopo la morte sua, abbiamo veduti essere stati accusati e
condannati per ogni aorte di
scelleratezza. Tolse ancora a correggere i costumi e primieramente standosi nel teatro a vedere le
feste i popolani e cavalieri mescolati
insieme, senza fare distinzione di grado o
qualità, levò via quella usanza licenziosa. Fece spegnere e tor via quante cose scritte si ritrovavano,
mandate fuora nello uni- versale che
biasimassero dicesslnomale, essendovi notati dentro i principali uomini e donne di Roma; il che
egli fece con danno e disonore di coloro
che ne erano stati gl'inventori. Privò del-
l'ordine de' senatori un cittadino ch'era stato questore, per di- lettarsi de' balli e di recitare sopra ai
palchetti.. Vietò alle donne di mala
fama lo andare in lettiga ; e tolse loro' l'autorità di po- tere accettare lasciti o eredità di alcuna
sorte. Fece levare del numero de'
giudici e cancellare il nome suo di su la tavoletta dove erano notati, un cavalier romano, perchè
avendo accusata la moglie per adultera e
licenziatola, se l'aveva dipoi ripresa.
Condannò alcuni cavalieri e senatori per aver contraffatto alla (ì) il) Ricordi, lo stesso che giudizii
d'appellazione. La legge Scatinia
castiga i sodomiti. legge Scatinia. Pani ancor molto severamente le vergini
vestali cli'e' trovò in adulterio; la
qualcosa dai padre e dal fratello suo
era stata negletta : e le prime che e' trovò in peccato, le fece
sen- tenziare a morte ; le seconde le
pimi secondo che costumavano di punirle
gli antichi; perchè avendo conceduto a due sorelle degli Occellati ed a Varonilla,-che si
elegessino una mòrte a loro arbitrio e
confinato quegli cho le avevano corrotte, trovato ap- presso Cornelia, che era la priora, in
peccato, la assolvè. Ap- presso
essendovi ricaduta un'altra volta, la fece esaminare e confessare, e dipoi comandò che la fusse
sotterrata viva, come s'usava
anticamente, e che quegli che avevano avuto/a fare con lei, fussero battuti con le verghe ed uccisi
nel Comizio (cioè dove si raunava il
popolo), salvo che un cittadino pretorio, per non essere ben certo se egli aveva errato, avendo
confessato per via di tormenti e non
raffermando, né dicendo nello esaminarsi l'una
volfa quello che l'altra, fu nondimeiio da lui confinato. Ed ac- ciocché non si offendesse o contraffacesse
allo religioni di alcuno Iddio, senza
punizione di quegli che erravano, avendo un liberto fatta la sepoltura a un suo figliuolo delle
pietre ch'erano dise- gnate pel tempio
di Giove Capitolino, h) fece rovinare a' soldati, e gittare in mare le ossa e le reliquie che
vi erano dentro. Sua clemenza e
liberalità nel principio del suo governo.
Quando era ancora giovanetto, aveva tanto in odio ogni ma- niera di uccisione, che ritrovandosi ancora
il padre lontano di Roma, ricordatosi di
quel verso di Virgilio che dice.: Ittipia quam
csBsis gens est epulata juvenciSy cioè: Che Tempia gente costu- masse di mangiare carne di bu», disegnò di
mandare un bando, che ne'sacrifìzii non
si potessino uccidere buoi. Mentre che ei
visse privatamente, e gran tempo poi che e' fu principe-, non dette mai un -miùimo sospetto di sé, né di
avaro, né di troppo cupido e voglioso ;
anzi per contrario dette molte volte saggio
di liberale e di essere molto astinente : conciossiacosaché a tutti i suoi familiari ed ansici facesse tutto il
dì grandissimi doni. La principai cosa,
e della quale egli più strettamente gli ammoDiva, era che e' non facessino cosa alcuna vile o
vituperosa. Non volle accettare
l'eredità, che gli erano lasciato da coloro, i quali aves- sino avuti figliuoli. Annullò ancora un
lascito fatto da Ruscio Cepione nel suo
testamento ; il quale era, che il suo erede ogni anno, quando i senatori si raunavano nella
curia, avesse a pagare a loro per
ciascuno una certa, somma di danari. Liberò dalla pena tutti gli accusati, i
quali cinque anni fusséro stati con le cause
sospese, e agli accusatori vietò il potergli richiamare in
giudizio, se non in capo di un anno e
con questa condizione, che non ot-
tenendo i detti accusatori di fargli condannare, s'intendessino essere sbanditi. Perdonò e rimesse la pena
agli scrivani de' que- stori, di quanto
avevano errato nel tempo addietro ; i quali contro alla disposizione e comandamento della legge
Clodia, s'erano dati al negoziare, per
esser stata cosi un tempo quella consuetudine.
Certi resticciuoli di terreni, i quali nella divisione fatta tra i soldati veterani erano rimasti, dove un pèzzo
e dove un altro, concedette a coloro che
un tempo n'erano stati posseditori, come
se per uso se gli fussero appropriali e fatti loro. Punì asprissi- mamente i calunniatori ed accusatori, le
accuse e calunnie dei quali si
convertivano in utilità del fìsco ; e così venne a porre freno alla licenza e malignità di questi
tali. E dice vasi volgar- mente per
ognuno questo suo detto, cioè : che il principe che non castiga le spie e gli accusatori, dà loro
animo e gl'incita a far peggio. Sua crudeltà contro molti. Ma non molto tempo perseverò nello essere
dementa e nello astenersi ; bene è \'^ro
che più per tempo cominciò a efeér cru-
dele che rapace. E primieramente quanto alla crudeltà fece am- mazzare un discepolo di Paride pantomimo, il
quale era ancora fanciulletto, ed aveva
in quel tempo una grande infermità, solo
perchè in quell'arte del contraffare persone e repitare e di fat- tezze ancora era molto simile al suo maestro.
Similmente fece ammazzare Ermogene
Tarsense, perchè, scrivendo la istoria,
aveva in un certo luogo parlato per figura e doppiamente ; e fece crocifìggere coloro che avevano copiata la
predetta istoria. Un padre di famiglia
stando a vedere il giuoco de' gladiatori, per
aver detto che il gladiatore chiamato Trace, per aver l'arme alla foggia de' Traci, era pari al suo avversario
che si chiamava Mir-' milione, ma che
egli non era già pari al Munerario, cioè a Do-
Tiiziano che faceva celebrare que' giuochi, lo fece trar fuora di luel luogo e condurre nel teatro e quivi lo
dette in preda ai ani che lo
mangiassino, con lettere sopra che dicevano un Par- iiulario (cioè un gladiatore e persona vile),
per aver parlato em- )iamente. Fece
ammazzare niolti senatori, tra' quah ve ne furono ^'cuni consolari, e Civi'**» '^Areale tra gli
altri, mentre era procon- esuli, quasi
che gli andassero macchinando cose nuove. Tutti gK ' altri fece ammazzare per leggerissime
cagioni, come Elio Lamia per certi suoi
modi di parlare piacevoli che nel vero avevano del sospetto, ma erano suoi motteggi familiari e
da lui usati per ordinario^ né
offendevano alcuno ; cioè che avendogli Domiziano tolto la moglie e lodando là voce di esso
Elio, gli aveva risposto . Elio: Oimè,
io taccio (1). E perchè ancora aveva risposto a Tito che lo confortava pigliarne un'altra, a
questo modo in greco : È tu ancora ne
vorresti tórre una? Fece ammazzare Salvie Coc-
eeano per aver celebrato il giorno del nascimento di Ottone im^- peradoresuo zio; e Mezio Pompt)siano, perchè
universalmente si diceva che egli aveva
natività dà essere imperatore, e perchè
egli aveva fatto descrivere in carta pecora il cir^^uito della
terrà ed i parlamenti de' re e de'
capitani, secondo che da Tito Livio .
èrano stati distesi ed andavali mostrando; e perchè a un suo servi- dore^ schiavo aveva posto nome Magone ed
all'altro Annibale. Fece ammazzare
SalustioLucullo legato ih Inghilterra, per aver
fatto fare certelancie a nuqva foggia e chiamatole Lucullee: Giu- nio Rustico, perchè aveva composto e mandato
fuora le laudi, di Peto Trasea e di
Elvidio Prisco, chiamandoli uomini santissimi.
E sotto -guósta occasione scacciò di Roma e d'ItaliartutU i filo- sofi. Elvidio (2) il figliuolo, perchè in un
certo canto nell'ultimo di una
fàlxpresentazione sotto la persona di Paride e di Enone pareva che avesse tassato e biasimato il
divorzio che esso Domi- -ziano aveva
fatto con la mog'ie ; e Flavio Sabino, uno de' suoi fratelli cugini da lato di padre, perchè il
trombetto nel giorno \ che si avevano a
fare i consoli, essendo disegnato consolo il
detto Flavio, lo aveva nominato al popolo imperatore e non con- solo per errore. Ma dopo la vittoria della
guerra civile si mostrò ancora più
crudele. Ed una gran parte di quegli della parte av- versa che, come quegli che avevano errato, si
stavano ancora ascosti e fuggiaschi,
fece pigliare e tormentare con nuova ma- .
niera di tormenti, cacciando loro il fuoco nelle parti oscene; e ad alcuni di loro tagliò lo mani. E solamente
(come è manifesto)- perdonò a due di
loro de' più conosciuti, cioè a un tribuno del:
l'ordine de' senatori e a un centurione, i quali per mostrar me- glio di non avere errato, provarono dinanzi
a' giudici come loro erano persone
disoneste e vituperose, e che per tal cagione non (1) Intendeva Elio con queste parole di dire
: E tu ancora me- ne vorresti torre una,
come ha fatto Domiziano? (2) Vi si deve
sottintendere ; uccise Elvidio il figliuolo. )>oU'vano esser stali di alcuna slima, nò
appresso del capitano, n(» appresso de
sf>l(iati. Ancora della di lui
crudeltà e fierezza. Krn la sua
crudeltà non solamente $;raiKJe, ma ancora astuU e non aspettala. Un computista e ragioniere,
il giorno avanti che lo facesse croci
ri:j;>j:ore, lochiamo in camera e lo costrinse a seder- u;li accanto in sul letto, tale che e' si
partì da lui tutto allegro e senza
sospetto alcuno ; ed oltre a ciò gli mandò ancora a presen- tare alcune cose della sua cena. Clemente
Aretino, uomo conso- lare, uno de' suoi
intrinseci e mannerini da lui condannato e
sentenziato a morte, lo tenne sempre in quel medesimo grado e mag>>;iore ancora appresso di sé che
prima lo aveva tenuto; e comparito,
mentre che e' si andavano a spasso, quello che lo aveva accusato, gli disse; Vuoi tu che noi
udiamo domani ciò (•h(^ vuol diro questo
sciagurato di questo schiavo? E per tentare
izli uomini nella pazienza con più dispregio allora che e' voleva })iù crudelmente punire alcuno, usava sempre
nel dare la sen- tenza qualche preambolo
di clemenza e di compassione ; tale che
il più certo segno che il fme del suo parla re. avesse a esser cru- dele, era la dolcezza e mansuetudine che nel
principio di quello usava. Avevasi
fiitto comparire davanti e dinanzi a' sanatori alcuni ch'erano stati accusati di aver offeso la
mpj»no jl' '''^pc»n in Panr>bÌO dl:)lla
quinta ; onde tutto allegro, come s'egli avesse passato il peri- colo, sollecitò di andare a curare il corpo.
Ma Partenio suo cu- biculario lo fece
tornare indietro, con diro che uno gli portava
* un non so che di grande importanza, e da non mettere tempo in mezzo; e cosi mandato via ognuno, si ridusse
in camera solo e fu ammazzato. Delle insidie tesegli e come venisse
morto. Del modo, nel quale ei fu morto
e della maniera del tradi- mento si sono
divulgate le cose infrascritte. Stando i congiurati iù dubbio^ quando e dove e' dovessino
assalirlo, se mentre che ^li si lavava o
mentre e*^ cenava, Stefano procuratore di Domi-
cilia, e che allora era stato accusato d'avere intercetto certi danari, dette jl segno ed offerse l'opera sua
cosi. Avendosi fa- sciato il braccio
sinistro jeon certe lane e pezzo, come se fusse
siato infermo per alquanti giorni, acciocché di lui non si avesse a sospettare, usò questa astuzia, che e'
disse che voleva mani- * festare a
Domiziano la congiura che se gli era fatta contro ; e perciò messo dentro, mentre che e' leggeva la
scritta de' congiu- rati, che esso gli
aveva data nelle mani e stava così attonito, gli passò d'un colpo l'anguinaia. Domiziano
sentendoci ferito, cercò di fare
resistenza ; in quel mentre lo assaltarono Golodio Gorni- culario, e Massimo Liberto di Partenio, o
Saturio Decurione dei ^cubicularii, ed
alcuni altri de' suoi gladiatori, e con sette ferite lo ammazzarono. Il suo paggio, il quale era
sopra il fuoco della camera, secondo la
consuetudine, si ritrovò presente alla oc-
casione, e raccontava questo di più ; essergli stato comandato .da Domiziano subito alla prima ferita che
gli porgesse il pu- .gnalè, ch'egli
aveva sotto '1 capezzale e che chiamasse i mini- stri, e che cercando trovò sotto il capezzale
solamente la manica delpugnale, e di più
serrato ogni cosa e chiuso; e che egli in
quel mezzo si era abbracciato con Stefano e lo aveva tratto in terra, e gran pezzo con lui rivoltolatosi,
ingegnandosi ora di ca- vargli il ferro
per forza di mano, ora, quantunque colle dita la- cerate, di cavargli gli occhi. Fu ucciso a'
diciassette di settem- bre, di
quarantacinque anni, e nel quindicesimo anno del suo imperio. Il suo cadavere fu portato dai
becchini dentro a una bara ordinaria e
plebea, e Fillide sua nutrice celebrò le sue ese- quie a una sua possessione che ella^eveva
vicino alla città, lungo la via Latina.
E portò ascosamente le ossa e ceneri di quello nel tempio della gente Flavia, e le mescolò con
le ceneri di Giulia figliuola di Tito,
che pur da lei era stata nutrita ed allevata. Della sua facondia e di alcnni
suol detti notabili. Poi che e' fu fatto principe, non dette molto opera* agli
stu- £1 né alle arti Kberali, ancora che
con somma diligenza procu- rirsse che e'
fussero rifatte alcune librerie che erano arse ; facendo ?enìr libri di ogni parte del mondo, ed
avendo mandato in Àles- làndria alcuni
che gli copiassero ed emendassero. Non dette mai )pera alla istoria né alla poesia né pure a
far la stile in prosa lecpssario per
iscrivere; e dai comentariì e fatti di Tiberio Ce- sare in fuora, niuna altra cosà leggeva. Le
epistole^ orazioni e landi gli faceva
dettare a suoi ministri. Tuttavia fu egli nel par- are elegante e leggiadro; e gli usciva alcuna
volta di bocca cose >eUe e notabili.
Disse una volta: Io vorrrei esser bello come a
Hezip par di essere; e di uno che aveva il «apo parte canuto e [Mirte rosso disse, che era neve sparsa di
vino. Diceva la con- iizióne e lo stato
de' principi esser cosa misera sopra ogni altra ; 1^ quali non si crede mai delle congiure che
se gli scuoprono ìk non poi che son
morti. Suo diletto nel giuoco, dei
conviti e di altre sue opere.
Avanzandogli tempo se lo passava ghipcando. Usava ancora ii giuocare nei giorni di lavoro e la mattina
di buon'ora hinànzi 3^orno. Bagnavasi e
lavavasi di giorno, faceva buon pasto a de-
sinare, e la sera a cena mangiava solo una mela maziana ed un [)Ochetto di bevanda in una ampolla. Piaceva
molto spesso con- citi e molto
abbondanti ; ma era presto e quasi furioso in le- varsi da tavola ; e sempre gli terminava
avanti che il sole anf- iasse sotto, né
di poi mangiava altrimeDti. E nella ora delfo
andare a dormire non faceva altro se non che solo e secreta- mente si passeggiava. Della sua libidine e lussuria. Fu molto libidinoso, e chiamava lo u^sare il
coito spesso Cle- lopale (che vuol dire
esercizio e palestra di letto). Dicevasi per
voce e fama pubblica, che egli stesso con le sue mani la pelava alle sue concubine e si bagnava tra le
pubbliche meretrici. Né lyendo per modo
alcuno voluto accettare per moglie la figliuola
ii Tito suo fratello, quantunque ella fusse vergine, per essere innamorato di Domizia ed aver presa lei per
moghe, ivi a non inolto tempo, essendo
maritata ad un altro, spontaneamente la
26 SvETONio. ^iU àtyCwiiri Gu Editori Vita di Gaio Svetonio TranquiUo GIULIO
CESARE I IMPERATORE Cesare dittatore Della prima volta che militò Va la seconda
volta a militare, dd di lui ritorno a
Roina . voi L'accusa di Dokbella Vi fl Tribunato de' soldati, e altre. cose da
lui intraprese . . » il La Questura, e
i suoi fatti . . '. ;, . » m Lamento di
Cesare alla statua di Alessandro Magno, e il suo- sogno . del giacimento colla madre Le cose da lui
fatte nella città .- m Venuto Hj
sospezione di aver congiurato con Crasso,. Siila, e An- tonio L'Edilità, e le .104
Onore conferitogli dal Senato e dal Popolo Romano Onori fatti al suo
medico per averlo risanato, e di quelli a lui confe- ' riti spezialmente da alcun cittaditao o
città Altro onore conferitogli HOM111 CBSARB AUGUSTO Quel ch'egli fosse internamente e fieR&
còse- domestiche. Delle sue spose e
mogli Della figlia e dei matrimonii di quella De' suoi nipoti per via di Giulia
Malavventurato nella sua discendenza. Difficile nel far le amicizie e costante
nd conserv^arie Suo rigore e clemenza
verso i liberti Vituperii della sua prima gioventù Gli adulterìi e libidini
dello stesso Della lautezza d'una cena,
nella quale i convitati sederono vestiti ^
foggia di dei Taccia datagli di troppo piacergli le ricche masserizia e
di dilettarsi troppo del giuoco Sua
continenza ed i luoghi dove 'aveva case Della sua frugalità e della modestia
neHe suppellettili e nelle vesti I suoi
conviti e cene Come celebrasse i giorni
festivi e solenni De' suoi cibi e
dell'ora di prenderli Sua continenza e
sobrietà nel bere Ciò che operasse dopo
il cibo . Statura del corpo e de' suoi
membri . Tacche che aveva su per il
corpo e di alcuni gagliardi Delle sue
malattie . Governo del suo corpo Suoi esercizii Sua eloquenza ed arte nel dire
. I Kbri ed altre operette dà lui
pubblicate Del suo stile e maniera di
parlare Alcuni detti da lui'più frequentati Ortografia, e di una sua maniera pròpria di
scrivere Sua cognizione delle lettere
greche, e sua pazienza- nell'ascoltar le .
coftiposizioni altrui Sua paura
de' tuoni . . Faceva molto caso de'
sogni . Credenza che prestava agli
anspizii . Venerava le. cerimonie
fincora peregrine Sedici portenti, dalli
quali potè pr suoi membri non
troppo >AO "xf
vrftì mA TIBBaiO CBSARB HBhOHE
101 Prodigii, per i quali potè
conoscere qual s«ret)be resito delle gaerrt
da lui intraprese Pronostici della di lui morte Le cause del suo male, e
come se la passasse nel tempo della sua
malattia La sua morte, e sua presenza di spirito Il giorno della di lui
morte, Tetà, i fìmeralì II suo testamento ed ultima volontà TIBERIO CESARE
NERONE HI IMPERATORE Tiberio Cesare
Della gente de* Claudii, con alcune memorie di quella casa Da quale stirpe traesse Tiberio la sua
origine Del padre di Tiberio 11 luogo e tempo della nascita di
Tiberio Infanzia e puerizia di Tiberio
. Dell*adolescenza e delle di lui mogli
. VtOzu civili da hii
amministrati. La di lui milizia e le
guerre da lui fatte, e gli onori connegiiiti
Suo ritiro e allontanamento dalla città, e le cause Il suo soggiorno a Rodi e ciò che ivi
facesse Altri di lui fatti a Rodi
.... Della cosa stessa e del suo
ritorno . Predizioni, che gli
annunziarono Tlmperìo . Adottazione di
lui fatta da Augusto La Dalmazia da lui
soggiogata. Onori decretatigli dal
Senato Sue imprese nella Germania Sua disciplina nelle cose militari Trionfò della Dalmazia vinta, ed altre cose
da lui ftitte.Sue imprese ed ii^ qual concetto fosse Tiberio appresso
Angusto, e del di lui principato » Uccisione del giovane Agrippa ed altre di
lui operaàoni. . » Suoi gemiti sulla
lettura fatta in Senato del testamento d^Augusto » Quanto si facesse pregare prima di
accoasentire di ricever Tlmperìo » Le
cagioni per le quaU si era tnostrtto dUBcile ad assmnere Hm- perio, ed altri di lui (atti Ottimo suo
introito al prindpato Sprezzò e vietò le adulazioni TIBERIO GBSARB NBAOIfE Sua tolleranza nel comportare le ingiurie e
maldicenze Suo rispetto e stima del Senato .- » tvt Restituito Tantico potere al Senato Sua
pazienza con quelli che combattevano le sue opinioni » ivi Alcuni suoi modi civili e cittadineschi Della
cosa stessa e di altre sue opere . . » ivi
Moderate le spese, che si facevano ne* giuochi e ne* donativi, ed altre sue operazioni Alcune cose ottimamente
da lui ordinate Proibisce le cerimonie ed i riti stranieri Alcune cose ben
fatte da lui tanto in Roma, che fuori . » ivi
La sua continua dimora nella città e perchè non abbia visitale le - provinole
.- - • j La morte de' di lui figli ed il suo rìt»o nella Campania
iH^u^^étUàit/ Terra di Lavoro 'Il suo
ritiro nell'isola di Capri ed altri di lui portamenti ^ ^.> j - » . ili Abbandona il pensiero della Repubblica . . ^'
'' . - fi I suoi vizii, ebbrezze e gozzoviglie . ^, v "*»* Jrt La lussuria e libidine *^ l, ^ Infami sue oscenità. Disonestà vituperosa
colle donne nobUi, Sua avarìzia e sordidezza. Ch'egli non fece alcun edifizio
pubblico, né rappresentò mai spetta-
coli, e sua scarsezza nel dar altrui provvisioni . » tvt Sua tenacità e miseria ed altre sue azioni .
. . » m Rapine ed estorsioni dello
stesso Deirodio, che portava ai suoi congiunti e parenti Suo odio colla madre Sua
crudeltà ed odio verso i figliuoli Sua. crudeltà ed odio verso la nuora .%
ivi Sua crudeltà ed odio contra i nipoti
Sua crudeltà con gli amici » 173 Sua
crudeltà e durezza con i grammatici e maestri . » ivi Sua crudeltà dimostrata ancora nella sua
gioventù . » 174 I delitti di lesa
maestà atrocemente vendicati, . ^' ini
Alcune cose da lui barbaramente fatte sotto apparenza di graviti »
175 Come per leggieri peccati
condannasse a pene severissime . i^ i»i
Come infierisse con ogni genere di crudeltà coolro tutti. » 176 Come aumentassesi la sua crudeltà e furberia
..»jl78 fì sospetto col qual visse in
mez2o ai d^tti Le cose da lui fatte nell'ingresso al principato ^ im Suoi costumi civili ed umani nel principio
del suo governo » 196 Alcuni dì lui
modi civili e della sua moderazione. Dei suoi Consolati e della liberalità
usata col popolo Spettacoli da lui (atti r^ppcsesentare Nuova maniara di
spettacolo da lui inventato iOi GAIO
CjUJGOLà Spetucdi da lui fotti oe' suoi
viaggi io paesi stnoieri Edifizìi pubblici da lui stabiliti e terminati . •
tOl Sua burbanza ed alterigia » in Sua crudeltà e fierezza coi parenti •
202 Sua lussuria con tutte le sorelle »
203 he suoi matrìmonii e delle mogli Sua
crudeltà verso i suoi congiunti ed altri Della sua crudezza Sua crudeltà verso
i relegati e con un senatore ...» 207
Alcuni di lui detti pieni di ferocità e Wolenza . » im Peggiori e più atroci di lui fatti • 208 Suoi lamenti per la felicità dei suoi tempi Sua
crudeltà nelle cene, nei giuochi, ne* spettacoli e ne* si^rifizii t tri Apellc fatto da lui staffilare, e altri s^oi
detti Sua malignità e superbia verso tutti » nn Sua invidia verso tutti Della sua lussuria e
libidine » 212 Sno lusso nelle cene,
bagni, fabbriche ed altre opere Rapine ed estorsioni dello stesso * iti Suoi infami guadagni » tl4 Nuove gabelle e sordidi civanzi » ^HJr Della cosa medesima -% %i% Natagli una figlia mendica, e riceve le
contribuzioni e mande per costituirgli
la dote Sua mossa e spedizione nella
Germania Le cose da lui fatte nel
campo. Selva da lui fatta ricidere,
premii dispensati a' soldati, da esso
operate Suoi preparamenti contro
TOceano, ed altre sue imprese Sua cura
del trionfo ed altre sue opere
Scellerato pensiero di trucidar e mettere a fil di spada le legioni Suo
ritorno alla città, pessimo di lui proponimento, e veleni ritro- vatigli in casa dopo la morte Natura del
corpo e $m indisposizioni » tri •lua
debolezza di mente, disprezzo degli Dei, ed altre sue operazioni 221
i)elle vesti e degli abiti cb'ei portava lAiia sua ^^^"HPnTa fiA ^te di dire . * »
ivi e altre cose un ^us
'Smonti- U' LlP"• «t.
-o^M t CLAUDIO CESARE àlcimi altri. Gòni^ura ordinata contro di lui. Segni che si mostrarono avanti la di lui
morte DeHa di lui morte ed
ammazzamento. Mortorio di Gaio, e morte
della moglie e figlia Ciò che fece il
Senato dopo la di lui morte CLAUDIO
CESARE V IMPERATOftE. SSi N ivi Del
padre di Claudio e de* di lui fatti
Nascimento di Claudio e sua infanzia
Quanto si affaticasse intorno alle discipline liberali Lettere di Augusto a Livia della persona di
Claudio Tl^rìo non volle mai crearlo
console, e del suo ritiro Quanto fosse
accetto e caro a tutti . Del suo
consolato, ed altre cose da lui fatte
Schemi fattigli come per burla Pericoli da lui fuggiti Principio
deirimperio di Claudio Suoi portamenti nel suo ingresso al principato . 5!f-»^0lM)ri da lui sprezzati, ed altri suoi
modi civili . 15 ' «HMflie tesegli, e
congiure contro di lui fattedttoi consolati e delle cose da lui fatte in essi Sua
-instabilità e variabilità nel render ragióne . Uffizio della censura da lui amministrato e
altre cose da esso fktte Sua spedizione
neir Inghilterra e del trionfo Cura che
ebbe della città e delle vittuarie.
Privilegii da lui concessi
Edifizii pubblici da lui costruiti.
Alcuni spettacoli da lui rappresentati
^ Instituzione, riforma e rìordinazione di alcune costuifranze Statuti e regole da lui messe Sua facilità e
compiacenza e liberalità Alcuni modi
civili e ordini da lui pubblicati Le
^pose e mogli di esso .... De*
figliuoli e generi del medesimo Liberti a lui carissmii . . Malefizii da lui commessi col mezzo dei
liberti e delle mogU Figura del corpo e
sua statura. Sua complessione CLAUDIO 19BB0NB CESARE Imperie nen ampliato sotto
Nerone Le sue spedìzioiii e viaggi iu Alessandria e jiell'Àcata Sua passione
per il canto e per la musica. . . » ivi
Canta tragedie Suo diletto nel guidar i cavalli e sonar di cetera «
277 Sue gare coi commedianti e sua .
ansietà e timóre di essere superato Quanto fosse osservante delle leggi ed ordini
dei giuochi Suo ritorno dalla Grecia e trionfi dello stesso Delle rapine ed
altre sue ribalderìe Sue gozzoviglie e banchetti » im Sua nefanda libidine, e del giacimento colla
madre Delle sue prostituzioni » %Si
Quanto fosse prodigo e spendereccio r^ ivi Edifizii pubblici da lui eretti Sue ruberìe,
estorsioni e sacrìlegii » 286
Parrìcidio di Claudio e Brìtannico Parrìcidio della madre e della zia Ammazzamento
delle mogli e de' suoi più prossimi » 290
Sua crudeltà coi strani e stragi fatte dei più nobili uomini romani »
292 Macello da lui fatto di molti e
altre sue ferìtà . . », ivi Arsione
fatta da lui fare di Roma Della moria che fu ai tempi suoi e delle contumelie
colle quaH veniva lacerato Ribellione
della Francia contro di lui Suo rìtomo nella città e villanie che gli furono
dette contra.Ribellion della Spagna e di Galba » 298. Di un fiero suo proponimento, rimove i
consoli, e si fa creare lui consolo »
.' ti;* Apparecchio d'una sua
spedizione contro la Francia Scritture infami contro di lui pubblicate . ' . .
» itti Spaventasi per certe orribili
visioni ..... a 300 Vien abbandonato da
tutti Abbandonasi e fugge dalla città Sua morte e come rincontrasse Pmierali
fattigli Statura e governo del suo corpo . v Un Studioso delle arti liberali Suo diletto
della pittura e scultura . . a 'ti^
Voto da lui fatto «e fusse ritornato vittorioso . SERGIO GALBÀ Avido di fama e nome Sprezzatore degli
Dei . Della sua età, e cose successe
dopo la sua mòi^ SERGIO GAL*A VTI itaPEUAtOR*.Del lignaggio de* Cesari finito
in Nerone, e dei presagii che ciò
dinotarono . » 308 Stirpe di
Gaiba antichissima DeHa sua famiglia» cognome, e perchè fòs^e détto Gaiba . »
ivi Nascita di Gaiba e delle cose che
gli presagirohò il pilàcipato » 310
Studioso delle arti liberali, e particolarmente della irà'glón Wì\e
; delle mogli e dei figli .Onori da lui
conseguiti, e sua disciplina nelle cose ttilliiiarì » 312 Della sua giustizia ed equità Onori
conferitigli e segni che gli pronosticarono il principato » ivi Sua variabilità nel governo della provincia Entratura
al principato ed altri suoi fatti Abbattimento del suo animò per la morte di
Vindice Della sua crudeltà ed avarìzia n ivi
Venuta sua a Roma. Le cose da lui fatte nei primi tempi del suo ^ovei^o Perseguita
i creati di Nerone Ribellion degli eserciti della Germania contro di lui Adottazione
di Pisone Presagii che denunziarono la di lui infelice ìù^orte Della sua morte
e ammazzamento Cosa facesse al tempo della sua morte, e del fùiierale » w Della statura del corpo e de* suoi membri. Del
suo mangiare, bere e della sua lussuria .tvt
Tempo che durò il di lui imperio, e della sua età OTTONE SILVIO Vffl
IMPERATORE Degli antenati d*Ottone . .
. Nascita di Ottone e sua
adolescenza. La sua amicizia con Nerone
. . Le sue speranze di aver a regnare .
. ^ Oli fallisce la speranza di esser
adottato dà Gaiba . duo ascendùnento al
principato A17L0 YITELLIO Cose da lui
fatte nel principio del suo imperio
Ribellion dell'esercito della Germania cantra di lui Combattimento e zuffa con i capitani di
Vitellio Quanto avesse in odio le guerre
civili Sua morte e funerale Statura e governo del suo corpo. N ivi AULO VITELLIO IX IMPERATORE, i
Deirorigine della casata de* Vitellii Del padre e madre di Vitellio, e
della sua fanciuHezzs Della sua adolescenza » 336 Infamie della sua vita Onori da lui
conseguiti . » ivi Delle mogli e de*
figliuoli » ivi Assegnatogli il governo
della Germania ; sua povertà e sua piacevo-
lezza con tutti Sua prodigalità con tutti S'intrude nel principato Sue
intraprese dopo la morte d'Ottone, e suo ritomo a Roma » ivi Cose da lui fatte nel principio del suo
governo Di altre sue azioni nel primo tempo del suo principato » 342 Delle sue gozzovìglie e banchetti »,
ivi Della sua crudeltà Apparecchio
dell'esercito contro Vespasiano Cerca di aggiustarsi con Vespasiano Ignominiosa
di lui morte » ivi. Dichiarazione di un
portento VESPASU.NO X IMPERATORE.
Della gente Flavia e degli antenati di Vespasiano Nascita e nodrìtura di Vespasiano Della moglie e de* figli Delle sue spedizioni nella Germania e nella
Giudea Segni che gli pronosticarono
l'imperio Sua assunzione all' imperio Cose prodigiose avvenute nel prìncipip del
suo Ristabilimento della Repubblica
vacillante . Edifizii pubblici da lui
innalzati governo YESPAS1A?(0 Liti éa
Ini sommariamente decise Suo stanziamento contro gli nsnrai ed altre le^ »
tvf Non dissimula la bassezza de* suoi
natali .... » ivi Sua tolleranza verso
i maldicenti » 359 Dimenticanza delle
ingiurie rìc«Mite » 360 Sua clemenza
co' re accusati n ivi Sua avarizia e
ingordigia Sua liberalità e magnificenza • iiH
Come avesse in pregio gli uomini dotti e della stima che faceva di tutti »Giuochi da lui fatti rappresentare e
dei conviti . . » ivi Statura del
corpo, de' membri e della sua complessione Distribuzione dell'ore al tempo del
suo principato . n ivi Bei giuochi dopo
cena e di alcuni festevoli di lui detti » ivi
Versi greci da lui pubblicati Della sua malattia e morte Presagio che i
fìglìuoU gli sarebbono per succedere . » iri
TITO VESPASIANO XI IMPERATORE,
DelKamore di tutti verso Tito .
Nascita ed educazione di Tito .
Della virtù e dottrina Delle di
lui mogli, onori e vittorie
Espugnazione di Gerusalemme .
Amministrazione dell'imperio .
tlomc cambiasse i suoi costumi di mali in Di una pietosissima natura Sua clemenza e mansuetudine . Come incontrasse la morte Luogo e tempo della sua morte buoni
DOMIZIANO GERMANICO XIT IMPERATORE.
Nascimento e adolescenza di Domiziano .
Le cose da hii fatte innanzi che fosse prmcipe . Cose da lui fatte nel principio del suo
imperio . Spettacoli da b" fotti
rappresentar " ''"Ha. sua liberala
Edifizii pu^ 'ahhrJpat spedir im DOMIZIANO GmUiAFtlCO Di akiine sue le^^ ed ordioamenii . Sua diligenza ed attenzione nel render
ragione. Sua clemenza e liberalità nel
principio del sdo governo. Sua crudeltà
contro molti. Àncora della di lui
crudeltà e fierezza Sue rapine ed
estorsioni Sua^ superbia ed alterigia Congiura contro dì lui fatta e come
stasse in continuo sospetto Un suo
cugino da lui ucciso, e dei presagii della di lui morte Altri segni della di lui morte Delle insidie tesegli e come venisse
morto Statura e bellezza del suo
corpo Sua grande maestria nel saettare
e intolleranza delle fatiche Della sua
facondia, e di alcuni suoi detti notabili .
Suo diletto nel giuoco, dei conviti, e di altre sue opere Della sua libidine, e lussuria Tristezza de' soldati^ e gioia del senato
per la di lui morte . 4H •» 38i
» 389 » 384 » 386
» ivi n 387 » 388
n n ivi M
ivi n ivi' ÌSmu«?5''»»»Mi. Gaio Svetonio Tranquillo. Keywords:
Cicerone, repubblica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Svetonio.” Svetonio.
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