Luigi Speranza -- Grice e Scevola: la ragione conversazionale del pontefice
– divisione – dal portico? -- la nascita della giurisprudenza come rama della
filosofia politca -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Questore, tribuno
della plebe, pretore, console, proconsole d’Asia e si attira, per la sua
giustizia e il suo disinteresse, l'affetto dei provinciali e l’odio dei
cavalieri romani, che accusarono il suo legato Rutilio Rufo, che egli
difese. Pontefice massimo. Cadde vittima delle lotte civili. Giurista insigne.
Compose libri XVIII juris civilis, in cui per la prima volta tenta una
trattazione sistematica dell’argomento, e un’opera intitolata
"Horoi," che contiene definizioni di concetti e di rapporti
giuridici. E molto ricercato il suo insegnamento di diritto. Insegna,
derivandola, pare, da Panezio di Rodi, la distinzione di tre teologie, ripresa
da Varrone: teologia poetica (falsa), teologia ufficiale (falsa) e teologia
naturale (vera). Console. Giuristi romani e politici romani. Console della
Repubblica romana. Gens: Mucia. Tribuno della plebe, pretore, consolae Pontificato
max. Filosofo del portico, giurista e politico romano. Me ad pontificem
Scaevolam contuli, quem unum nostrae civitatis et ingenio et iustitia
praestantissimum audeo dicere.” Mi sono recato da Scevola pontefice, che oso
dire superiore per ingegno e rettitudine a tutti i nostri concittadini. -- CICERONE,
Laelius de amicitia. Appartenente alla gens Mucia, è considerato uno dei più
grandi giuristi della storia del diritto romano e in parte l'artefice
dell'introduzione, nella giurisprudenza romana, del metodo dialettico e
diairetico, mutuato dalla filosofia. Questore, tribuno della plebe, pretore, console
- insieme a Lucio Licinio Crasso, pro-console e pontefice massimo. Durante il
consolato promulga la “lex Licinia Mucia”, che fissa dei rigidi limiti al
conseguimento della cittadinanza da parte degl’italici. Fra le sue opere
letterarie si ricordano gl’ “Horoi,” titolo in greco che corrisponde al latino definitiones,
e i Libri XVIII iuris civilis. Quest'ultima opera può considerarsi il primo
manuale sistematico di diritto civile basato sull'impiego delle categorie liceali
di genus e species, preso a base di trattazioni civilistiche posteriori che ne
seguivano la sistematica – il cosedetto “sistema muciano”), i cosedetti “libri
ad Quintum Mucium”, tanto che e il più antico giurista compendiato nei “Digesta
del Corpus iuris civilis” e il primo in ordine di apparizione nell'Index
Florentinus. Ce ne fornisce notizia il
giurista Sesto Pomponio in un brano dell'opera “Enchiridion” conservatoci dal
Digesto giustinianeo: Post hos Quintus Mucius Publii filius pontifex maximus
ius civile primus constituit generatim in libros XVIII redigendo”. Sempre
Pomponio annovera tra i discepoli di S. illustri giuristi romani: Aquilio
Gallo, Lucio Lucilio Balbo, Sesto Papirio, Gaio Giuvenzio, e Servio Sulpicio.
Venne soprannominato "Il pontefice" per distinguerlo dal cugino, S. detto
l'"Augure". Morì sotto il
consolato di Gneo Papirio Carbone e Gaio Mario il Giovane, ucciso nel tempio di
Vesta dai seguaci di quest'ultimo. Digesto, Pomponius libro singulari enchiridia.
S. su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S. su PHI Latin
Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore Gaio
Cassio Longino e Gneo Domizio Enobarbo con Lucio Licinio Crasso Gaio Celio
Caldo e Lucio Domizio Enobarbo Predecessore Pontefice massimo Successore Gneo
Domizio Enobarbo Quinto Cecilio Metello Pio Portale Antica Roma Portale Biografie Portale Diritto Categorie: Giuristi romani Politici
romani Giuristi Consoli repubblicani romani Mucii Pontefici massimi. MUZIO. There are at least III philosophical
jurists by the family name of MUZIO. The most prominent among them is S., a
pontifes maximus who is consul. He is an outstanding jurist. His treatise on
ius civile (DEFINITIONES) is the most important juristic work written under the
republic. It is the first attempt of a systematic presentation of law and is
commented on by later jurists (Gaius, Pomponius). The SISTEMA MUZIANO is
adopted by several writers on ius civile. His predecessors are S., consul, ALSO
a pontefice massimo, and S., consul, an AUGUR and teacher of law -- Cicerone
attended his lectures. As jurists they are of lesser importance in the history
of Roman jurisprudence, but as philosophical jurists, the augur’s utterance
shines bright! Kübler e Münzer, RE, Orestano, NDI, Lepointe, “S.” Paris, Bruck,
Sem., Kreller, ZSS on S: Münzer; on S. the
augur: Münzer . About the method of dividing the material into kinds, the
excerpt from Pomponius's Handbook in Digest tells us that MUZIO becomes the
first man to divide the civil law into kinds by arranging it in XVIII books.
The result would eventually be - as Schiavone put it – a metaphysics of social
relations, reduced to a defined number of archetypal models. Here, Pomponius'
account appears reliable enough. Elsewhere examples of S.’s divisions survive.
In Gaius' Teaching Manual, Lenel. S.’s division of kinds of tutela is
preserved. From this it can be seen how many kinds of TUTELA there are. Some,
like S., have said that there are V kinds. Others, like Servio, that there are III.
Others, like Labeo, II . In Digest, from Paulus, On the Edict, Lenel, S.’s
division with regard to the legal notion of “possessio” has been preserved,
albeit in a hostile version. Paolo: “What S. includes among the kinds of
possession is truly absurd – not just absurd.” Quinto Muzio Scevola. Keywords:
sistema muziano. Scevola.
Luigi Speranza -- Grice e Scevola: la ragione
conversazionale dell’augure -- MIHI AGMINA MILITVM QVIBVS CVRIAM CIRCVMSEDISTI
LICET MORTEM IDENTIDEM MINITERIS NVMQVAM TAMEN EFFICIES VT PROPTER EXIGVVM
SENILEMQVE SANGVINEM MEVM MARIVM A QVO VRBS ET ITALIA CONSERVATA EST HOSTEM
IVDICEM – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Console della repubblica
romana. Augure. Gens: Mucia. Edile, tribuno della plebe, pretore, console. Politico
romano vissuto durante il periodo della repubblica ed un esperto di diritto
romano. Da non confondere col pontifice, autore degl’ “Annales Maximi.” Venne
educato in legge dal padre e in filosofia da Panezio di Rodi, filosofo del
portico. Venne eletto tribune, edile, e pretore. Inviato come governatore nelle
province dell'Asia,inore. Tornato a Roma, dove difendersi da un'accusa di
estorsione rivoltagli da Tito Albucio da cui riusce a difendersi. Venne eletto
console. S. ha grande interesse per la legge e gl’affari all'interno di Roma.
Trasmitte la sua conoscenza del diritto romano ad alcuni dei più famosi oratori
di quei tempi, tra cui Cicerone e Attico. Difende Gaio Mario dalla mozione di
Silla che lo vuole rendere nemico del popolo, asserendo che mai avrebbe
approvato un tale disonore per un uomo che aveva salvato Roma. Cicerone
utilizza la figura del suo maestro come interlocutore in tre opere: “De
oratore”, “De amicitia”, e “De re publica”. S., su sapere.it, De Agostini.
S. su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Predecessore Console
romano Successore Marco Porcio Catone e Quinto Marcio Re con Lucio Cecilio
Metello Diademato Quinto Fabio Massimo Eburno e Gaio Licinio Geta. Portale
Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politici romani Consoli
repubblicani romani Mucii Auguri Governatori romani dell'Asia. Gaio Mario. Se stai cercando il figlio di Gaio
Mario, vedi Gaio Mario il Giovane. Considerata la caratura del personaggio e
l'abbondanza di fonti, il numero di riferimenti puntuali inseriti nel testo è
particolarmente desolante Sebbene vi siano una bibliografia e/o dei
collegamenti esterni, manca la contestualizzazione delle fonti con note a piè
di pagina o altri riferimenti precisi che indichino puntualmente la provenienza
delle informazioni. Puoi migliorare questa voce citando le fonti più
precisamente. Gaio Mario, Console della Repubblica romana. Presunto busto di
Gaio Mario, Gliptoteca di Monaco. Morte: Roma. Figlio: Gaio Mario il Giovane
Gens: Maria Tribunato della plebe, Pretura, Legatus legionis, Consolato, Proconsolato
in Africa. Nasce a Cereatae. Etnia: Romano. Dati militari Paese servito: Repubblica
Romana Forza armata: Esercito romano Arma: Fanteria Grado: Imperator, Dux
ovvero comandante in capo Guerre: Guerre cimbriche Guerra giugurtina Guerra
sociale Guerre mitridatiche Guerra civile tra Mario e Silla. Battaglie: Battaglia
di Aquae Sextiae Battaglia dei Campi Raudii Assedio di Numanzia Altre cariche: Console
della Repubblica romana voci di militari;
C·MARIVS·C·F·C·N. Generale e politico romano, per VII volte console
della Repubblica romana. Lo storico Plutarco gli dedicò una delle sue
Vite parallele, raffrontandolo al re d'Epiro Pirro. È comunemente noto per la
rivalità con Lucio Cornelio Silla. La carriera di Gaio Mario è
particolarmente emblematica della situazione sociopolitica della tarda repubblica
romana, in quanto si sviluppa attraverso fatti e circostanze che, in seguito,
porteranno alla caduta della stessa. Mario era un homo novus, cioè proveniente
da una famiglia italica che non faceva parte della nobiltà romana, e seppe
distinguersi e giungere alla ribalta della vita pubblica di Roma per merito
della propria competenza militare. L'oligarchia dominante fu perciò costretta,
suo malgrado, a cooptarlo nel proprio sistema di potere. A causa del
verificarsi di una situazione di grande pericolo per la minaccia di invasioni
su larga scala, gli si dovette concedere un potere militare senza precedenti
nella storia di Roma, e questo a scapito del rispetto delle leggi e delle
tradizioni vigenti, che dovettero essere adattate alla nuova situazione di
emergenza. Alla fine fu varata una profonda riforma della leva militare, che in
passato raccoglieva solamente proprietari terrieri, e che da allora fu aperta
anche a cittadini provenienti dalle classi dei nullatenenti. Nel lungo termine
questa riforma ebbe l'effetto di cambiare in modo radicale e irreversibile la
natura dei rapporti fra l'esercito e lo Stato. Gaio Mario nacque ad
Arpinum, precisamente nella zona che ancora oggi porta il suo nome, Casamari --
in una zona chiamata Cereatae, nell'attuale comune di Veroli. La città,
d'antica origine volsca, era stata conquistata dai Romani verso la fine del VI
secolo a.C., e aveva ricevuto la cittadinanza romana senza diritto di voto -- civitas
sine suffragio -- e soltanto nel 188 a.C. le vennero concessi i pieni diritti civili.
Plutarco riferisce che il padre era un manovale, ma la notizia non è confermata
da altre fonti, e tutto lascia pensare che sia falsa. Infatti i Marii
intrattenevano importanti relazioni con gli ambienti della nobiltà romana,
partecipavano da protagonisti alla vita politica della loro cittadina e
appartenevano all'ordine equestre. Le difficoltà che incontrò agli esordi della
sua carriera a Roma dimostrano semmai quanto fosse arduo per un homo novus
affermarsi nel novero dell'alta società romana dell'epoca. Si distinse
per le notevoli attitudini militari dimostrate in occasione dell'assedio di
Numanzia, in Spagna, tanto da farsi notare da Publio Cornelio Scipione Emiliano,
soprannominato Africano Minore. Non è dato sapere con certezza se venne in
Spagna al seguito dell'esercito di Scipione, oppure se si trovasse già in
precedenza a servire nel contingente che, con scarso successo, da tempo cingeva
d'assedio Numanzia. Sta di fatto che Mario parve fin dall'inizio molto
interessato a far carriera politica in Roma stessa. Infatti si candidò per la
carica di tribuno militare di una delle 4 prime legioni -- in tutto i tribuni
elettivi sono XXIV, mentre tutti gl’altri venneno nominati dai magistrati
preposti agli arruolamenti. Lo storico Sallustio ci informa che il suo nome era
del tutto sconosciuto agli elettori, ma che alla fine i rappresentanti delle
tribù lo elessero per merito del suo eccellente stato di servizio e su raccomandazione
di Scipione Emiliano. Successivamente si ha notizia di una sua candidatura alla
carica di questore ad Arpino. È probabile che egli utilizzasse le posizioni di
comando ad Arpino per raccogliere dietro di sé un consistente numero di clienti
su cui fare affidamento per le successive mosse che aveva in animo di compiere.
Tuttavia sono solo congetture in quanto nulla si conosce della sua attività
come questore. Nel 120 a.C. Mario fu eletto tribuno della plebe. A quanto
sembra si era già candidato alla carica, ma senza successo. Un ruolo
determinante ebbe, nell'occasione, il sostegno della potente famiglia dei
Cecilii Metelli, verso i quali probabilmente aveva un rapporto di clientela.
Durante il suo tribunato Mario perseguì una linea vicina alla fazione dei
popolari, facendo in modo che venisse approvata, fra l'altro, una legge che
limitava l'influenza delle persone di censo elevato nelle elezioni. Infatti,
era stato introdotto il metodo del ballottaggio scritto nelle elezioni per le
nomine dei magistrati, per l'approvazione delle leggi e per l'emanazione delle
sentenze legali, in sostituzione del metodo tradizionale di votazione orale.
Poiché i nobiles cercavano sistematicamente di influenzare l'esito dei
ballottaggi con la minaccia di controlli e ispezioni: Mario fa approvare
un'apposita legge tabellaria – “Lex Maria de suffragiis ferendis” -- per
restringere i ponti sui quali passavano gli elettori per votare, in modo che
non si potesse controllare la loro scheda di voto: fece costruire uno stretto
corridoio da cui i votanti dovevano passare per depositare il proprio voto
nell'urna, in modo che fossero al riparo dagli sguardi indiscreti degli astanti
e dagli eventuali tentativi di manipolazione. Questa sua azione provocò il
deteriorarsi dei rapporti tra Mario e la potente famiglia dei Metelli, di cui
gli esponenti della famiglia di Mario erano clientes per tradizione.
Successivamente Mario si candidò per la carica di edile plebeo, ma senza
successo. Riusce, di stretta misura, a farsi eleggere pretore per l'anno
successivo (a quanto pare si classificò solo al sesto posto su sei), e fu
immediatamente accusato di brogli elettorali -- il termine latino è ambitus.
Riuscito a malapena a farsi assolvere da questa accusa, esercitò la carica
senza che si verificassero avvenimenti degni di particolare menzione. Terminato
il mandato ricevette il governatorato della Spagna ulteriore, dove fu
necessario intraprendere alcune campagne militari contro le popolazioni
celtiberiche mai del tutto sottomesse. Il governatorato e le guerre gli
fruttarono ingenti ricchezze personali, come sempre accadeva ai comandanti
romani. Le vittorie ottenute gli permisero, tornato a Roma, di richiedere e
ottenere il trionfo. La carriera di Mario non sembrava destinata a grandi
successi. Gli è proposto un matrimonio con una giovane esponente
dell'aristocrazia, Giulia Maggiore, sorella del senatore Gaio Giulio Cesare il
vecchio e futura zia di Giulio Cesare. Mario accetta, divorziando dalla sua
prima moglie Grania di Pozzuoli. La gens Iulia era una famiglia patrizia di
antichissime origini -- fa risalire la propria discendenza a Iulo, figlio di ENEA,
e Venere, dea della bellezza --, ma, nonostante ciò, i suoi appartenenti
avevano, per ragioni finanziarie, notevoli difficoltà a ricoprire cariche più
elevate di quella di pretore (solamente una volta, nel 157 a.C. un Giulio
Cesare era stato console). Il matrimonio permise alla famiglia patrizia di
rimettere in sesto le proprie finanze e diede a Mario la legittimità per
candidarsi al consolato. Il figlio che ne nacque e Gaio Mario il Giovane. Legato
di Metello. Moneta raffigurante Giugurta, il re numida, nemico di Roma. La
famiglia di Mario era per tradizione cliente dei Metelli, e Cecilio Metello
aveva appoggiato la campagna elettorale di Mario per il tribunato. Sebbene i
rapporti con i Metelli si fossero in seguito deteriorati, la rottura non
dovette essere definitiva, tanto è vero che Q. Cecilio Metello, console., prese
con sé Mario come suo legato nella campagna militare contro Giugurta. I legati
erano originariamente semplici rappresentanti del Senato, ma, gradualmente, era
invalso l'uso di adibirli a compiti di comando alle dipendenze dei comandanti
generali. Quindi, molto probabilmente; Metello ottenne che il Senato nominasse
Mario legato, in modo che potesse servire alle sue dipendenze nella spedizione
che si accingeva a compiere in Numidia. Nel lungo e dettagliato racconto che
Sallustio ci fa di questa campagna militare, non si fa menzione di altri
legati, e ciò lascia pensare che Mario fosse quello di rango più elevato,
nonché braccio destro dello stesso Metello. Questo rapporto conveniva a
entrambi, in quanto, mentre Metello si avvantaggiava dell'esperienza militare
di Mario, questi rafforzava le sue possibilità di aspirare in seguito al consolato.
Va osservato che, se la gravità della rottura con Metello., alla luce di quanto
avvenne in seguito, fu probabilmente riferita in modo esagerato, quella che si
determinò riguardo alla condotta della guerra in Numidia fu invece molto più
seria e foriera di conseguenze. Mario si convinse che i tempi fossero maturi
per candidarsi alla carica di console. A quanto pare chiese a Metello il
permesso di recarsi a Roma per portare a termine il proprio proposito, ma
Metello gli raccomandò di astenersi, e probabilmente gli consigliò di aspettare
il tempo necessario per potersi candidare insieme con il figlio ventenne dello
stesso Metello, cosa che avrebbe rimandato tutto di almeno venti anni. Mario fu
costretto a fare buon viso a cattivo gioco, ma nel frattempo, durante tutta
l'estate del 108, fece in modo di guadagnarsi il favore della truppa,
allentando notevolmente la rigida disciplina militare, e di accattivarsi anche
i commercianti italici del posto, ansiosi di intraprendere i propri lucrosi
traffici, assicurando a tutti che, se avesse avuto mano libera, avrebbe potuto,
in pochi giorni e con la metà delle forze a disposizione di Metello, concludere
vittoriosamente la campagna con la cattura di Giugurta. Entrambi questi
influenti gruppi si affrettarono a inviare a Roma messaggi in appoggio di
Mario, con cui si suggeriva di affidargli il comando, e si criticava Metello
per il modo lento e inconcludente con cui stava conducendo la campagna
militare. In effetti la strategia di Metello prevedeva una lenta, metodica e
capillare sottomissione di tutto il territorio. Alla fine Metello dovette
cedere, rendendosi conto, a ragione, che non gli conveniva mettersi contro un
subordinato tanto influente e vendicativo. In queste circostanze è facile
immaginare il modo trionfale con cui Mario, alla fine del 108, fu eletto
console per l'anno successivo. La sua campagna elettorale fece leva
sull'accusa, rivolta a Metello, di scarsa risolutezza nel condurre la guerra
contro Giugurta. Viste le ripetute sconfitte militari subite, nonché le
accuse di spudorata corruzione rivolte a molti esponenti dell'oligarchia
dominante, è facile comprendere come l'onesto uomo fattosi da sé, e affermatosi
percorrendo faticosamente tutti i gradini della carriera, fu eletto a furor di
popolo, essendo visto come l'unica alternativa a una nobiltà divenuta corrotta
e incapace. Tuttavia il Senato aveva ancora un asso nella manica. Infatti, la
lex Sempronia de provinciis consularibus stabiliva che il Senato aveva facoltà
di decidere ogni anno quali province dovessero essere affidate ai consoli per
l'anno successivo. Alla fine dell'anno, e appena prima delle elezioni, il
Senato decise di sospendere le operazioni contro Giugurta e di prorogare a
Metello il comando in Numidia. Mario non si perse d'animo e si servì di un
espediente già sperimentato. Si era stati, infatti, in disaccordo su chi
avrebbe dovuto comandare la guerra contro Aristonico in Asia, e un tribuno
aveva fatto approvare una legge che autorizzava un'apposita elezione per
decidere a chi affidare il comando (per la verità c'era stato un altro
precedente in occasione della seconda guerra punica). Mario fece approvare una
legge simile, risultando eletto a grande maggioranza. Metello ne fu
profondamente offeso, tanto che, al suo ritorno, non volle nemmeno incontrarsi
con Mario, dovendosi accontentare del trionfo e del titolo di Numidico che gli
vennero generosamente concessi. Moderna ricostruzione di un centurione
romano. Mario riformò l'esercito dell'epoca allargando il reclutamento a tutti
i cittadini romani. Lo stesso argomento in dettaglio: Riforma mariana
dell'esercito romano, Esercito romano e Legione romana. Mario aveva un estremo
bisogno di raccogliere truppe fresche e, a questo scopo, introdusse una
profonda riforma del sistema di reclutamento, foriera di conseguenze di
un'importanza di cui lui stesso, al momento, probabilmente non comprese la
portata. Tutte le riforme agrarie attuate dai Gracchi si basavano sul
tradizionale principio secondo cui erano esclusi dal servizio di leva i cittadini
il cui reddito era inferiore a quello stabilito per la quinta classe di censo.
I Gracchi, con le loro riforme, avevano cercato di favorire i piccoli
proprietari terrieri, che da sempre avevano costituito il nerbo degli eserciti
romani, in modo da fare aumentare il numero di quelli che avevano i requisiti
per essere arruolati. Nonostante i loro sforzi, tuttavia, la riforma agraria
non risolse la crisi del sistema di arruolamento, che aveva avuto lontana
origine dalle sanguinose guerre puniche del secolo precedente. Si cercò quindi
di trovare una soluzione semplicemente abbassando la soglia minima di reddito
per appartenere alla quinta classe da 11.000 a 3.000 sesterzi, ma nemmeno
questo fu sufficiente, tanto che i consoli erano stati costretti a derogare
dalle restrizioni sugli arruolamenti imposte dalle leggi graccane. Mario ruppe
ogni indugio e decise di arruolare senza alcuna restrizione riguardo al censo e
alle proprietà fondiarie del potenziale soldato. Da quel momento in poi le
legioni di Roma furono composte prevalentemente da cittadini poveri, il cui
futuro, al termine del servizio, dipendeva unicamente dai successi conseguiti
dal proprio comandante, che era solito loro assegnare parte delle terre frutto
delle vittorie riportate. Di conseguenza i soldati avevano il massimo interesse
ad appoggiare il proprio comandante, anche quando si scontrava con i voleri del
Senato, composto dai rappresentanti dell'oligarchia dominante, e anche quando
andava contro il pubblico interesse, che, a quell'epoca, veniva di fatto
impersonato dal Senato stesso. Va notato che Mario, persona fondamentalmente
corretta e fedele alle tradizioni, non si avvalse mai di questa potenziale
enorme fonte di potere, ma passeranno meno di vent'anni che il suo ex questore
Silla, lo farà per imporsi contro il Senato e contro lo stesso Mario. Altri
30-40 anni e il suo esempio sarà seguito da Giulio Cesare, nipote acquisito di
Mario. Cartina della Numidia all'epoca di Giugurta. Lo stesso
argomento in dettaglio: Guerre contro Giugurta e Bellum Iugurthinum. Ben presto
Mario si rese conto che concludere la guerra non era così facile come egli
stesso si era in precedenza vantato di poter fare. Dopo essere sbarcato in
Africa verso la fine del 107 a.C. costrinse Giugurta a ritirarsi in direzione
sud-ovest verso la Mauritania. Nel 107 suo questore era stato nominato Lucio
Cornelio Silla[4], rampollo di una nobile famiglia patrizia caduta
economicamente in disgrazia. A quanto pare Mario non fu contento di avere alle
proprie dipendenze un simile giovane dissoluto, ma, inaspettatamente, Silla
dimostrò sul campo di possedere grandi qualità di comandante militare. Nel 105
a.C. Bocco, re di Mauritania e suocero di Giugurta, nonché suo riluttante
alleato, si trovò di fronte l'esercito romano in avanzata. I romani gli fecero
sapere di essere disponibili a una pace separata e Bocco invitò Silla nella sua
capitale per condurvi le trattative. Anche in questa circostanza Silla si
dimostrò particolarmente abile e coraggioso; in effetti, Bocco rimase a lungo
dubbioso se consegnare Silla a Giugurta oppure, come poi avvenne, Giugurta a
Silla. Alla fine, Bocco fu convinto a tradire Giugurta, che fu subito
consegnato nelle mani dello stesso Silla. La guerra era così conclusa. Poiché
Mario era il comandante dotato di imperium e Silla militava alle sue dirette
dipendenze, l'onore della cattura di Giugurta spettava interamente a Mario, ma
era chiaro che gran parte del merito andava riconosciuto personalmente a Silla,
tanto che gli fu consegnato un anello con un sigillo commemorativo dell'evento.
Al momento la cosa non fece particolarmente scalpore, ma in seguito Silla si
vanterà di essere stato il vero artefice della conclusione vittoriosa della
guerra. Mario, intanto, si guadagnava fama di eroe del momento. Il suo valore
stava per essere messo alla prova da un'altra grave emergenza che incombeva su
Roma e sull'Italia. L'arrivo in Gallia del popolo germanico dei Cimbri, quasi
immediatamente seguito dalla loro schiacciante vittoria sulle truppe di Marco
Giunio Silano, il cui esercito venne infatti del tutto sbaragliato dall'orda
nemica, aveva indotto ad un ammutinamento a catena delle tribù galliche delle
regioni meridionali recentemente assoggettate dai Romani. Il console Lucio
Cassio Longino venne completamente sconfitto da una tribù gallica transalpina,
e l'ufficiale di grado più elevato fra quelli sopravvissuti (Gaio Popilio
Lenate), figlio del console dell'anno 132, riuscì a mettere in salvo quanto
restava delle forze romane solo dopo aver ceduto metà degli equipaggiamenti e
aver subito l'umiliazione di far marciare il proprio esercito sotto il giogo,
in mezzo allo scherno dei vincitori. L'anno successivo un altro console, Quinto
Servilio Cepione, marciò contro le tribù stanziate nella zona di Tolosa, che si
erano ribellate a Roma, e si impossessò di un'enorme somma di denaro custodita
nei santuari dei templi -- il cosiddetto Oro di Tolosa. La maggior parte di
questo tesoro sparì misteriosamente durante il trasporto verso Marsiglia e,
molto probabilmente, fu lo stesso Cepione che ordinò il finto furto per
impossessarsi dell'oro. Cepione fu confermato nel comando anche per l'anno
successivo, mentre uno dei nuovi consoli, Gneo Mallio Massimo, si unì a lui
nelle operazioni in Gallia meridionale. Al pari di Mario, anche Mallio era un uomo
nuovo, e la collaborazione fra lui e Cepione si dimostrò subito impossibile. I
Cimbri e i Teutoni erano entrambi composti da tribù di ceppo germanico che, nel
corso delle proprie migrazioni, erano apparse sul corso del fiume Rodano
proprio mentre l'esercito di Mallio si trovava nella stessa zona. Cepione, che
era accampato sulla riva opposta del fiume, si rifiutò in un primo momento di
venire in soccorso del collega minacciato, decidendosi ad attraversare il fiume
solo dopo che il Senato gli aveva ordinato di cooperare con Mallio. Tuttavia
egli si rifiutò di unire le forze dei due eserciti, e si mantenne a debita
distanza dal collega. I Germani approfittarono della situazione e, dopo aver
sbaragliato Cepione, distrussero anche l'esercito di Mallio il 6 ottobre del
105 a.C. presso la città di Arausio. I Romani dovettero combattere con il fiume
alle spalle che li impediva la ritirata, e, stando alle cronache, furono uccisi
80.000 soldati e 40.000 ausiliari. Le perdite subite nel decennio precedente
erano state molto gravi, ma questa sconfitta, provocata soprattutto
dall'arroganza della nobiltà che si rifiutava di collaborare con i più capaci
capi militari di rango non nobiliare, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Non soltanto le perdite umane erano state enormi, ma l'Italia stessa era ormai
esposta all'invasione delle orde barbariche. Il malcontento del popolo contro
l'oligarchia aveva raggiunto ormai l'esasperazione. Busto di Gaio Mario
(Museo Chiaramonti). Mentre si trovava ancora in Africa, Mario fu rieletto
console. L'elezione in absentia era una cosa abbastanza rara, e inoltre una
legge successiva all'anno 152 a.C. imponeva un intervallo di almeno 10 anni fra
due consolati successivi, mentre una del 135 a.C. sembra che proibisse
addirittura che questa carica potesse essere rivestita per due volte dalla
stessa persona. La grave minaccia incombente dal nord fece tuttavia passare
sopra a ogni legge e consuetudine, e Mario, ritenuto il più abile comandante
disponibile, fu rieletto console per ben 5 volte consecutive, cosa mai avvenuta
in precedenza. Al suo ritorno a Roma, vi celebrò il trionfo su Giugurta,
che prima fu portato come un trofeo in processione, e infine morì nel Carcere
Mamertino. Nel frattempo i Cimbri si erano diretti verso la Spagna, mentre i
Teutoni vagavano senza una meta precisa nella Gallia settentrionale, lasciando
a Mario il tempo di approntare il proprio esercito, curandone in modo molto
attento l'addestramento e la disciplina. Uno dei suoi legati era ancora L.
Cornelio Silla, e questo dimostra che in quel momento i rapporti fra i due non
si erano ancora deteriorati. Sebbene avesse potuto continuare a comandare
l'esercito in qualità di proconsole, Mario preferì farsi rieleggere console
fino all'anno 100, in quanto questa posizione lo metteva al riparo da eventuali
attacchi di altri consoli in carica. L'influenza di Mario divenne in quel
periodo talmente grande che era addirittura in grado di influenzare la scelta
dei consoli che in ogni anno dovevano essere eletti insieme con lui, e pare che
egli facesse in modo che venissero scelti quelli che riteneva più malleabili. I
Germani indugiavano ancora nelle proprie scorribande in Spagna e in Gallia, e
questo fatto, insieme con la morte del console collega Lucio Aurelio Oreste,
consentì a Mario, che stava già marciando verso nord, di rientrare a Roma per
venirvi confermato console per l'anno 102, insieme con un nuovo collega.
Francesco Saverio Altamura, Mario vincitore dei Cimbri. I Cimbri dalla Spagna
tornarono in Gallia, e, insieme con i Teutoni, decisero di invadere l'Italia.
Questi ultimi avrebbero dovuto puntare a sud dirigendosi verso le coste del
Mediterraneo, mentre i Cimbri dovevano penetrare nell'Italia settentrionale da nord-est
attraversando il passo del Brennero – “per alpes Rhaeticas”. Infine i Tigurini,
la tribù celtica loro alleata che aveva sconfitto Longino pensavano di
attraversare le Alpi provenendo da nord-ovest. La decisione di dividere in
questo modo le loro forze si sarebbe dimostrata fatale, poiché diede ai Romani,
avvantaggiati anche dalle linee di approvvigionamento molto più corte, la
possibilità di affrontare separatamente i vari contingenti, concentrando le
proprie forze laddove era di volta in volta necessario. Nel frattempo
Mario aveva organizzato nel migliore dei modi la propria armata. I soldati
erano stati sottoposti a un addestramento che mai in precedenza si era visto,
ed erano abituati a sopportare senza lamentarsi le fatiche delle lunghe marce
di avvicinamento, dell'allestimento degli accampamenti e delle macchine da
guerra, tanto da meritarsi il soprannome di muli di Mario. Dapprima decise di
affrontare i Teutoni, che si trovavano in quel momento nella provincia della
Gallia Narbonense e si stavano dirigendo verso le Alpi. In un primo momento
rifiutò lo scontro, preferendo arretrare fino ad Aix en Provence, un
insediamento fondato da Gaio Sestio Calvo, console nel 109 a.C., in modo da
sbarrare loro il cammino. Alcuni contingenti di Ambroni, avanguardia
dell'esercito dei Germani, si lanciarono avventatamente all'attacco delle
posizioni romane, senza aspettare l'arrivo di rinforzi, e 30.000 di essi
rimasero uccisi. Mario schierò poi un contingente di 30.000 uomini per tendere
un'imboscata al grosso dell'esercito dei Germani, che presi alle spalle e
attaccati frontalmente, furono completamente sterminati e persero 100.000
uomini,[6] e quasi altrettanti ne furono catturati. Il suo nome è ancor
oggi ricordato non solo nell'etimologia della località, allora arpinate, di
nascita, Casamari (Casa Marii, per l'appunto), ma persino nell'etimologia della
regione francese della Camargue (Caii Marii Ager), come sostenuto dallo storico
francese Louis-Pierre Anquetil nella sua opera "Histoire de France".
La tradizione orale della città di Arpino sostiene che Mario, dopo aver
sconfitto i Germani ad Aix-en-Provence e nella battaglia dei Campi Raudii,
all'apogeo della sua gloria, non dimenticasse la sua patria d'origine e,
disponendo della Gallia transalpina come terra di conquista, donasse ad Arpino
quei territori, le cui rendite servirono a mantenere i templi e gli edifici
pubblici della città. Il collega di Mario Quinto Lutazio Càtulo, console,
non ebbe altrettanta fortuna, non riuscendo a impedire che i Cimbri forzassero
il passo del Brennero avanzando nell'Italia settentrionale Mario apprese la
notizia mentre si trovava a Roma, dove fu rieletto console per l'anno 101 a.C.
Il senato gli accordò il trionfo ma lui rifiutò perché ne voleva fare partecipe
anche l'esercito, quindi lo posticipò a una vittoria contro i Cimbri. Immediatamente
si mise in marcia per ricongiungersi con Catulo, il cui comando fu prorogato
anche per il 101. Infine, nell'estate di quell'anno, a Vercelli, nella Gallia
cisalpina, in una località allora chiamata Campi Raudii, ebbe luogo lo scontro
decisivo. Ancora una volta la ferrea disciplina dei Romani ebbe la meglio
sull'impeto dei barbari, e almeno 65.000 di loro (o forse 100.000) perirono,
mentre tutti i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. I Tigurini, a questo
punto, rinunciarono al loro proposito di penetrare in Italia da nord-ovest e
rientrarono nelle proprie sedi. Catulo e Mario, come consoli in carica,
celebrarono insieme uno splendido trionfo, ma, nell'opinione popolare, tutto il
merito venne attribuito a Mario. In seguito Catulo si trovò in contrasto con
Mario, divenendone uno dei più acerrimi rivali. Come ricompensa per avere
sventato il pericolo dell'invasione barbarica, Mario venne rieletto console
anche per l'anno 100 a.C. Gli avvenimenti di quell'anno, tuttavia, non gli
furono propizi. Sesto consolato (100 a.C.) Il mondo romano, al
termine della seconda guerra punica (in verde), e poi attorno al 100 a.C.
(arancione). Nel corso di questo anno il tribuno della plebe Lucio Appuleio
Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui
si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per
l'assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la
distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di
mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di
violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta
popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene
egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e
l'alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene
riluttante, a questo compito. Dopodiché lasciò ogni carica pubblica e partì per
un viaggio in Oriente. Guerra sociale (95-88 a.C.) Busto di Lucio
Cornelio Silla, il rivale di Mario. Lo stesso argomento in dettaglio:
Guerra sociale. Durante gli anni di assenza di Mario da Roma, e subito dopo il
suo ritorno, Roma conobbe alcuni anni di relativa tranquillità. Nel 95 a.C.,
tuttavia, venne approvata una legge che decretava che tutti coloro che non
fossero cittadini romani, cioè coloro che provenivano da altre città italiche,
dovessero essere espulsi da Roma. Marco Livio Druso fu eletto tribuno e propose
una grande distribuzione di terre appartenenti allo Stato, l'allargamento del
Senato e la concessione della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi di
tutte le città italiche. Il successivo assassinio di Druso provocò l'immediata
insurrezione delle città-Stato italiche contro Roma, e la Guerra sociale -- da
socii, gli alleati italici. Mario e chiamato ad assumere, insieme con Silla, il
comando degli eserciti chiamati a sedare la pericolosa rivolta. Finita la
guerra in Italia si aprì un nuovo fronte in Asia, dove Mitridate, re del Ponto,
nel tentativo di allargare verso occidente i confini del suo regno, invase la
Grecia. Posto di fronte alla scelta se affidare il comando dell'inevitabile
guerra contro Mitridate a Silla o Mario, il Senato, in un primo momento, scelse
Silla. In seguito, tuttavia, quando il tribuno della plebe Publio Sulpicio
Rufo, appoggiato da Mario, cercò di far passare una legge per distribuire gli
alleati italici nelle tribù cittadine, in modo da influenzare con il loro voto
i comizi, nacque uno scontro nel quale il figlio del console Quinto Pompeo Rufo
trovò la morte. Silla, sfuggito alla confusione, si rifugiò nella casa
dello stesso Mario. Intanto la legge venne approvata e le tribù che adesso
contenevano anche i nuovi cittadini fecero passare una legge secondo la quale
veniva affidata a Mario la guerra contro Mitridate. Intanto nell'88 a.C. Silla
aveva già raggiunto l'esercito a Nola e Mario fece mandare due tribuni per
riportarlo a Roma. Ma l'esercito uccise i tribuni e Silla con esso marciò alla
volta di Roma. Mario, dichiarato nemico pubblico da Silla, all'arrivo di questi
abbandonò precipitosamente l'Urbe, rifugiandosi in un primo tempo tra le paludi
di Minturnae. I magistrati locali decretarono la sua morte per mano di uno
schiavo cimbro, il quale, però, mosso a compassione o intimorito per la sua
fama, non diede corso all'esecuzione. Plutarco, in Marium, scrisse che i
Minturnesi, mossi a compassione, lo aiutarono a imbarcarsi sulla nave di Beleo,
diretta in l'Africa, ove visse per un po' di tempo in esilio. Data l'assenza di
Mario, Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna furono eletti consoli nell'87 a.C.,
mentre Silla, nominato proconsole, si mise in marcia verso oriente con
l'esercito. Mentre Silla conduceva la sua campagna militare in Grecia, a
Roma il confronto fra la fazione conservatrice di Ottavio, rimasto fedele a
Silla, e quella popolare e radicale di Cinna si inasprì sfociando in aperto
scontro. A questo punto, nel tentativo di avere la meglio su Ottavio, Mario,
insieme con il figlio, rientrò dall'Africa con un esercito ivi raccolto e unì
le proprie forze a quelle di Cinna, che aveva radunato truppe filomariane
ancora impegnate in Campania contro gli ultimi socii ribelli. Gli eserciti
alleati entrarono in Roma, di modo che Cinna fu eletto console per la seconda
volta e Mario per la settima. Seguì una feroce repressione contro gli esponenti
del partito conservatore: Silla fu proscritto, le sue case distrutte e i suoi
beni confiscati. Tuttavia nel primo mese del suo mandato, Mario muore. Dopo la
morte di quest'ultimo Cinna divenne di fatto il padrone della repubblica e
mantenne il consolato per altri due anni di seguito per poi morire, vittima di
un ammutinamento, mentre si dirigeva con l'esercito verso la Grecia. L'armata
di Silla, dopo aver concluso vittoriosamente la campagna nel Ponto, rientrò in
Italia sbarcando a Brindisi., e sconfisse il figlio di Mario, Gaio Mario il
Giovane, che muore in combattimento a Praeneste, a circa 50 chilometri da Roma.
Gaio Giulio Cesare, nipote della moglie di Mario, sposa una delle figlie di
Cinna. Dopo il ritorno di Silla a Roma si instaurò un regime di restaurazione
che perpetrò le più feroci repressioni, tanto che Giulio Cesare fu costretto a
fuggire in Cilicia, dove rimase fino alla morte di Silla nel 78 a.C. Il busto
bronzeo di Gaio Mario si trova collocato attualmente nel Municipio di Minturno.
Lo storico greco riferisce anche che Gaio Mario ebbe una relazione di lunga
data con un comandante che era al contempo un erudito intellettuale
spiccatamente filoellenico, che gli dedicò vari epigrammi molto raffinati e a
carattere omoerotico. Il praenomen "Gaio" è forma corretta rispetto
al pur comune "Caio". La forma "Caio", infatti, si è
diffusa a seguito di un'errata interpretazione dell'abbreviazione epigrafica
"C." (vedi, tra gli altri, Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola,
Giuliano Ranucci, Dizionario della lingua latina, Firenze, Monnier, 2000, sub
voce Gaius: «il fraintendimento dell'abbr., in cui la G si scriveva, per
conservazione di grafia arcaica, C., ha generato la forma "Caio"»).
Encyclopædia Britannica: Gaius Marius, Roman general., su britannica.com. Che è diffusa convinzione sul posto che derivi
dall'espressione latina Casa Marii.[senza fonte] Velleio Patercolo,
Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, Sesto Giulio Frontino,
Strategemata, 150.000 uomini secondo altre fonti, vedi Velleio Patercolo,
Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, II, 12. Filmato audio
Marina Mattei e Maddalena Crippa, Luce sull'archeologia - Le idi di marzo a
Largo Argentina - Incontro, su Marina Mattei (Sovrintenza ai Musei Capitolini),
You tube, Roma, Teatro di Roma, Appiano di Alessandria, Historia Romana Ῥωμαϊκά
Internet Archive.). Aulo Gellio, Noctes Atticae. (testo latino e
traduzione inglese). Cesare, Commentarii de bello Gallico. Progetto Ovidio. Dione
Cassio, Storia romana. Floro, Epitoma de LIVIO (si veda) bellorum omnium
annorum DCC libri duo. Frontino, Strategemata. (testo latino e traduzione
inglese). Plutarco, Vite parallele, "Gaio Mario", "Silla" e
"Giulio Cesare". Sallustio, Bellum Iugurthinum. Svetonio, De vita
Caesarum libri VIII. Tacito, De origine et situ Germanorum. Progetto Ovidio. Tacito, Annales. Tacito,
Historiae. (testo latino ; traduzione italiana ; traduzione inglese qui e
qui). Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo.
(testo latino e traduzione inglese qui e qui ). Fonti storiografiche
moderne Giuseppe Antonelli, Gaio Mario, Roma Carcopino, Silla, Milano 1981.
Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza, 1Carcopino,
Giulio Cesare, traduzione di Anna Rosso Cattabiani, Rusconi Libri, Piganiol
André, Le conquiste dei romani, Milano, Il Saggiatore, Scullard, Storia del
mondo romano. Dalla fondazione di Roma alla morte di Nerone, Milano, BUR,
Consoli repubblicani romani Gens Maria Mario, Gaio, in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Màrio, Gàio, su sapere.it, De Agostini.
Dacre Balsdon, Gaius Marius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di Gaio Mario, su open MLOL, Horizons Unlimited srl.
Gaio Mario, su Goodreads. Portale turistico di Minturno Scauri - Minturnae, su
minturnoscauri. it. Mario e Silla, su janusquirinus.org. La vita di Gaio Mario,
su jerryfielden Predecessore Console romano Successore Servio Sulpicio Galba e
Lucio Ortensio107 a.C. con Lucio Cassio LonginoQuinto Servilio Cepione e Gaio
Atilio SerranoI Gneo Mallio Massimo e Publio Rutilio Rufo con Gaio Flavio
FimbriaLucio Aurelio Oreste e Gaio Mario IIIII Gaio Mario II e Gaio Flavio
Fimbria con Lucio Aurelio OresteGaio Mario IV e Quinto Lutazio CatuloIII Lucio
Aurelio Oreste e Gaio Mario III con Quinto Lutazio CatuloManlio Aquillio e Gaio
Mario VIV Quinto Lutazio Catulo e Gaio Mario IV con Manlio AquillioLucio
Valerio Flacco e Gaio Mario VIV Manio Aquilio e Gaio Mario V con Lucio Valerio
FlaccoAulo Postumio Albino, Marco Antonio OratoreVI Lucio Cornelio Cinna I e
Gneo Ottavio con Lucio Cornelio Cinna IILucio Cornelio Cinna III e Gneo Papirio
CarboneVII V · D · M Gaio Giulio Cesare V · D · M Marco Tullio Cicerone V · D ·
M Plutarco Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie:
Generali romaniPolitici romani del II secolo a.C.Politici romani Generali del
II secolo a.C.Generali Nati ad ArpinoMorti a Roma Gaio Mario Condottieri romani
antichi Consoli repubblicani romani Marii Auguri. Our concern is with the debate
in the Senate on the “hostis” declaration proposed by SULLA, who presumably
presided over the meeting in his capacity as consul and framed and put the
“relatio.” VALERIO MASSIMO gives a graphic description of S.'s part in the
proceedings. SULLA coerces the senate into adjudging Mario a “hostis”. No one
ventures to oppose him except S. who, on being asked for his opinion, refuses
to say anything. When Sulla begins pressing him ever more menacingly Scevola
says: “You can make a display of the troops whom you have thrown around the curia,
you can threaten me with death as often as you like, but you shall never force
me, old and weak as I am, to adjudge Mario, the saviour of Rome and Italy, a
hostis.' - Sulla ... senatum armatus coegerat ac summa cupiditate ferebatur ut
C. Marius quam celerrime hostis iudicaretur. cuius voluntati nullo obviam ire
audente solus Scaevola de hac re interrogatus sententiam dicere noluit. quin
etiam truculentius sibi instanti Sullae 'licet' inquit MIHI AGNIMA MILITVM QVIBVS
CVRIAM CIRCVMSEDISTI LICET MORTEM IDENTIDEM MINITERIS NVMQVAM TAMEN EFFICIES VT
PROPTER EXIGVVM SENILEMQVE SANGVINEM MEVM MARIVM A QVO VRBS ET ITALIA
CONSERVATA EST HOSTEM IVDICEM. 'mihi
agmina militum, quibus curiam circumsedisti, ostentes, licet mortem identidem
miniteris, numquam tamen efficies ut propter exiguum senilemque sanguinem meum
Marium, a quo urbs et Italia conservata est, hostem iudicem.' S. is making two
points. The first, and more obvious, is a declaration of friendship for Mario
and a reminder to his audience that they are dealing with the man who had saved
Italy from the Cimbri. The statement that S. stood alone against Sulla may be
an exaggeration, but other names are hard to come by. The one that we should
most like to know about is Q. Scevola Pontifex. At this point we merely note
the highly relevant fact that of the X known names on Sulla's list, no less
than V are of *non*-Roman origin, thus confirming that the focal point of the
crisis was the rights of new citizens. It can be inferred that the augur stood
with Mario on that issue; where the Pontifex stood remains to be seen. No one
else comes into the reckoning: Crasso is dead; and M. Acilius Glabrio, the
Augur's grandson and future president of the court which tried Verres, is too
young. The *other* point made by Scevola
is a conceptual, philosoophical point of law or jurisprudence. It depends on
the words, S. DE HAC RE INTERROGATVS SENTENTIAM DICERE NOLUIT. The words mean
exactly what they say: S., being asked about this matter, refused to express an
opinion. VALERIO MASSIMO is telling us that S. did not vote for or against the
motion. He refuses to vote at all. The reason is that, as S. sees it, the
clause in GRACCO’s law – NE DE CAPITE CIVIVM INIUSSV VESTRO INDICARETVR – means
that any capital adjudication on a citizen *without* the authority of the
people is prohibited, irrespective of whether it is a vote for condemnation or
for acquittal. This may not have been the intention of the framers of the
“hostis” declaration, for the theory behind that decree is that the “hostis”
forfeits his citizenship retro-actively to the time of his treasonable act. But
once there is talk of adjudication – HOSTIS INDICARETVR, HOSTEM IVDICEM --, in
S.’s view there is a danger of the LEX SEMPRONIA being contravened. S. is not
alone in this view. CICERONE observes that a number of populares stays away
from the Catilinarian debate for the same reason as that which prompts S. to
abstain from voting. VIDEO DE ISTIS QVI SE POPVLARIS HABERI VOLVNT ABESSE NON
NEMINEN NE DE CAPITE VIDELICET CIVIVM ROMANORVM SENTENTIAM FERAT. S. is the
first to detect this conceptual difficulty – philosophical puzzle -- in the
application of the law, and he does so ex tempore, the moment the very first “hostis”
declaration is proposed. It is clear that S. has this area of law at his
fingertips. Our confidence in his ability to have assisted Mario with the
special wording of the s. c. ultimum of C is greatly increased. Was there
anything else that S. could have done to block Sulla's relatio? In particular,
could S. have used his office as an
augur for which he was so famous that it was almost a cognomen? The obvious way
would have been by announcing auspices unfavourable to the convention of the
senate. But the question is whether that body's sessions need the taking of
auspices. In Mommsen's opinion, “auspicatio” is required. But, in historical
times, “auspicatio” is carried out by haruspices and pullari and the augur is only
called in where there was some doubt. There is no record of acts of signal
bravery by haruspices or pullarii, and it must be concluded that S. is not able
to function officially in the matter. There is, however, a broader issue, and
that is whether his augural skills are ever enlisted on behalf of his friend
Mario. The reason for raising this is that his grandson, the S. who was tribune
of the plebs, is an augur, was consulted by GIULIO CESARE on whether a praetor
could conduct consular elections, and undoubtedly rules that he can. Caesar's
uncle may have needed augural assistance in another matter connected with the
consulship, namely his election for a second term and in absentia and the augur
could have done some research then, which not only helped Mario but laid the
foundation for a favourable ruling for Caesar. For all we know, GIULIO CESARE might
have consulted the grandson on Bibulus' obstructive tactics. There will have
been much material reflecting the augur's views in the family archives. Keywords: il concetto di stato nel diritto
romano, Cicerone, Mario, Silla. He thought there were three theologies: that of the poets – fanciful and
false – that of the philosophers – true but unsuitable to the masses – and that
of the politicians – beneficial. Quinto
Muzio Scevola.
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