Luigi Speranza -- Grice e Soave: la prammatica filosofica – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Lugano). Filosofo italiano. Soave. Figlio di Carlo Giuseppe Soave, italiano, e la tedesca Clara Herik. SOAVE Francesco Soave, all'anagrafe Gian Francesco, nacque a Lugano, città della Svizzera italiana che a lungo seguì le sorti della vicina regione Lombardia e in particolare della città di Milano, sotto il cui dominio rimane fino all'occupazione francese e infine svizzera dei primi anni del Cinquecento. Al momento della nascita di S. il comune fa quindi parte della confederazione elvetica, ma la sua configurazione socio-linguistica presentava caratteri fortemente italiani. S. è ben presto avviato agli studi canonici presso il collegio S. Antonio della sua città natale, sotto la guida dei padri somaschi, e dove veste l'abito. Spostatosi a Milano per concludere il suo anno di noviziato, prende i voti nel convento di S. Pietro in Monforte e nello stesso anno si trasfere a Pavia nel collegio di S. Maiolo, dove rimane per i due anni successivi e compì i suoi primi studi di carattere FILOSOFICO. Continua poi con gli studi a Roma presso il collegio Clementino, dove si dedica nuovamente alle teologia e affinò le sue conoscenze nelle lingue classiche, oltre che nelle lingue moderne romanze e non (l'inglese, il tedesco, il francese e presumibilmente anche lo spagnolo). Lascia Roma e, dopo un periodo a Milano, si stanzia a Parma dove lo aspetta VENINI, suo amico e confratello, direttore, su nomina del ministro Tillot, del collegio della Reale Paggeria, dove S diviene docente di lettere. Successivamente S., a causa della chiusura del collegio e sempre sotto la protezione di Tillot, insegna poesia a Parma, ruolo per il quale compose un'antologia latina e una grammatica della lingua italiana. Il testo e le teorie linguistiche annesse richiamano la dottrina sensista di Condillac e dello stesso VENINI (si veda). S. s’interessa ben presto dei problemi relativi al linguaggio, ispirandosi alle riflessioni di altri studiosi, per lo più stranieri, come Leibniz, Descartes, Wilkins, Kircher, Dalgarno, Locke, e nei confronti dei quali poco ha d’invidiare in fatto di riconoscimenti. Partecipa a un concorso che vaglia le teorie sull'origine del linguaggio bandito dall'Accademia delle scienze di Berlino, fondata da Leibniz stesso, dove raggiunse il secondo posto, preceduto solamente dal lavoro di Herder. Il saggio che gli valge il podio si intitola “Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni,” ed è rivisto, tradotto in italiano e pubblicato a Milano nell'opera miscellanea Istituzioni di logica, metafisica ed etica. È da sempre affascinato dalle teorie di Locke, di cui cura la traduzione in italiano del compendio di Wynne dei libri II, III, e IV, relativi rispettivamente ai suoi ragionamenti intorno alle idee – the way of ideas --, alle PAROLE – the way of words – title of Grice’s collection -- e alla conoscenza dell'allora già celebre Saggio sull'intelletto umano. Empirista, grammatico, traduttore e, assieme a CESAROTTI (si veda), maggior esponente del sensismo italiano, S. frequenta gl’ambienti più prestigiosi del suo tempo. CESAROTTI (si veda) nacque a Padova e ivi muore. È abate e professore di retorica e belle lettere nella sua città natale, prima di trasferirsi a Venezia come precettore della famiglia Grimani, dove conosce, tra gli altri, Goldoni. Traduttore di Voltaire, è nominato professore di lingua greca ed ebraica a Padova. Traduce opere dal latino e dalle lingue moderne, divenne teorico dell'estetica e della lingua come dimostra il Saggio sopra la lingua italiana, stampato in edizione definitiva col titolo di Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana. Nel saggio, che si appoggia alle idee sensiste di Brosses e Condilllac, lo studioso condivide le sue teorie circa l'origine della parola e delle parole - teorie del tutto simili a quelle di Soave- e, dopo aver spiegato, secondo idee anche piuttosto moderne, che non ha senso considerare alcune lingue migliori di altre, parla dei rapporti arbitrari che sussistono tra le parole (i suoni) e le idee che esprimono, e delle incomprensioni che questi possono comportare: «Il rapporto tra I...] il vocabolo e '1 corpo visibile è vago, confuso, moltiplice, avendo un corpo molti e molti aspetti per cui può appartenere ad un altro, né potendo chi ascolta aver mezzo di conoscere in che si faccia consistere cotesta relazione» [CESAROTTI (si veda), Saggio sulla filosofia delle lingue, Padova, Brandolese]. Nel corso del suo saggio affronta i più comuni problemi di retorica e scrittura, analizzando le varie parti del discorso, lodando o rimproverando i vari usi, ma rimanendo comunque conscio del fatto che la lingua muta continuamente e che «Le cause morali e politiche colla loro lenta influenza portano un'alterazione nel sistema intellettuale del secolo, e ne configurano il genio, la scelta linguistica. In questo senso egli costruisce una sorta di grammatica universale, una grammatica che deve tendere all'etimologia e deve essere libera da tutti gli elementi che possono creare ambiguità.fu maestro personale del nipote del governatore austriaco di Milano, Carlo Gottardo di Firmian, lo stesso che gli affidò la cattedra di filosofia morale e poi di logica e metafisica presso il liceo di Brera. Trovandosi nuovamente a Lugano, insegna lì dove i suoi studi erano cominciati, al collegio S. Antonio, e dove ebbe come alunno MANZONI (si vda) – si veda: TRABALZA (si veda). Ancora si trasfere a Napoli su invito del principe di Angri Marcantonio Doria che lo volle come precettore del figlio. Viene richiamato a Milano per dirigere le scuole cittadine. Ènominato, da Napoleone Bonaparte in persona, membro dell'Istituto nazionale, ente nato per conservare e riunire le nuove scoperte dell'arte e delle scienze. Fu autore della Grammatica ragionata della lingua italiana che, assieme alla Grammatica di CORTICELLI (si veda), si situa tra le grammatiche più importanti. CORTICELLI nasce a Piacenza e muore vicino Bologna. Prete, filosofo, teologo, studioso della lingua e membro dell'Accademia della CRUSCA (“I don’t give a hoot what the dictionary says” – Grice), tratta ampiamente della lingua toscana nella grammatica Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo e nello scritto dal sapore boccaccesco intitolato Della toscana eloquenza discorsi cento detti in dieci giornate da dieci nobili giovani in una villereccia adunanza. Nei suoi ultimi anni si dedica alla critica della dottrina fenomenica kantiana, che si situa su posizioni opposte rispetto al suo empirismo moderato, e delle idee di altri filosofi come Darwin e Tracy, pur sempre empiristi, ma evidentemente volti all'aspetto materialistico di quelle teorie. S. si spense infine di un male improvviso a Pavia. Le informazioni biografiche qui riportate si trovano nella pagina relativa a S. alla Treccani, Dizionario-Biografico dell’ENCICLOPEDIA, cur. Micheli. Gli Opuscoli Metafisici come summa: Locke, Herder, Condillac e il linguaggio. Nella ricerca italiana di una lingua internazionale e, prima ancora, di una lingua "perfetta", trova un posto di riguardo la figura di S., per il suo interessante contributo e la sua vivace curiosità verso questi argomenti. Nei suoi Opuscoli metafisici. Istituzioni di logica, metafisica ed etica troviamo i due saggi, “Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni” e “Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale,” in cui S. riflette sul linguaggio, sulle sue origini, sulla perfezione di una lingua. Il carattere evidentemente FILOSOFICO di questi trattati deve spiegarsi in relazione agli studi coevi d’altri filosofi e del dibattito linguistico tanto attivo in quell'epoca. La linguistica risiede ancora tra le attività della RIFLESSIONE FILOSOFICA – l’opinioni di Grice --, non potendosi avvalere di un metodo e di una trattazione scientifica e rigorosa. L'interesse di S. per la materia deve sicuramente avere tre radici ben distinte: da un lato la sua ampia conoscenza delle lingue moderne e delle lingue antiche, nonché la sua attività di traduttore, devono aver creato la base per le prime elucubrazioni sui disagi che le differenze linguistiche portano nel campo della comunicazione scritta e orale internazionale; in secondo luogo gli studi filosofici sull'empirismo e i suoi propugnatori devono aver sollecitato le riflessioni sull'origine del linguaggio e, di riflesso, sulle caratteristiche che una lingua perfetta - o naturale - dovrebbe avere e il cui risultato è la teorizzazione di come dovrebbe apparire un'ipotetica lingua artificiale ad uso internazionale; in ultimo, la sua professione di professore, nonché la pubblicazione di opuscoli e grammatiche per l'assimilazione della lingua italiana, devono aver allenato la sua capacità di spiegare le intricate forme di una lingua e svolto una qualche influenza sulla volontà di rendere più semplice l'apprendimento.La filosofia di S. si fa sostenitrice della teoria sensista, come dimostrano le parole di apertura del secondo capitolo delle Ricerche che recitano «Che le umane cognizioni come da prima sorgente derivino dalle sensazioni, ella è cosa già troppo manifesta. S., «Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni», in Istituzioni di logica, metafisica ed etica, Venezia, Graziosi. la conoscenza deriva allora per S. dall'esperienza che l'uomo fa del mondo, e in particolare dalle sensazioni che questa esperienza provoca in esso. Poiché non sarà allora conoscibile qualcosa che non siasperimentabile, egli rigetta la teoria innatista, che vuole che vi siano nella coscienza umana delle idee o dei principi ingeniti, così come qualche anno prima aveva fatto anche Locke nel suo Saggio sull'intelletto umano, dove, parlando delle idee e da dove esse derivino, così dichiara: Supponiamo dunque che lo spirito sia per così dire un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo verrà ad esserne fornito? Da dove proviene quel vasto deposito che la fantasia industriosa e illimitata dell'uomo vi ha tracciato con una varietà quasi infinita? Da dove si procura tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall'ESPERIENZA. Su di essa tutta la nostra conoscenza si fonda e in ultimo deriva. LOCKE, Saggio sull'intelletto umano, a cura di Abbagnano, Abbagnano, Milano, RBA Italia S.r.l., 2017 («I grandi filosofi RBA»), e come sostenne anche Herder circa un secolo più tardi nel Saggio sull'origine del linguaggio del 1772: Se proprio vogliamo chiamare linguaggio questi accenti immediati della sensazione, a me pare, dunque, che l'origine di esso sia affatto naturale. Non soltanto essa non è sovrumana, ma è innegabilmente animale, in quanto legge naturale di una macchina sensitiva. HERDER, Saggio sull'origine del linguaggio, cur. Amicone, Milano, RBA Italia («I grandi filosofi RBA»). Le idee di S. offrono un evidente e continuo richiamo alle teorie di questi studiosi, sebbene le espressioni con cui egli si riferisce agli stessi concetti siano a volte differenti: succede allora che le sensazioni di Locke e Herder, ovvero l'azione primariamente inconscia attraverso la quale l'animo - termine che valga qui come sinonimo di coscienza o ragione - riconosce le cose esterne e, in ultimo, le idee stesse delle cose, vengano chiamate percezioni, e l'atto riflessivo, cioè l'atto che permette di determinare e individuare le singole idee e di comporle fra loro a creare idee più complesse, modificazione. Il linguaggio per Soave è una diretta derivazione di questa facoltà umana di disporre della ragione: esso si sviluppa fin dal primo pensiero, che si ha in occasione della propria nascita. Ecco che la facoltà di linguaggio, e la sua stessa struttura e grammatica cominciano a costruirsi nel momento stesso in cui si viene al mondo, ed è condizione fondamentale e costituente dell'essere uomo: la ragione determina l'essenza umana al suointerno, il linguaggio al suo esterno. Ogni esperienza a cui l'individuo partecipa determina la formazione di nuove idee o amplia o combina quelle esistenti, in un processo che non può dirsi finito fino alla sua stessa morte, e la presenza di queste idee suscettibili di ragione scatena parimenti il mutare e l'ampliarsi del sistema di linguaggio che a esse è riferito. Secondo questo principio, il linguaggio, che è espressione esterna dell'idea interna, «si evolve secondo lo sviluppo della mente».RAFFELE SIMONE, «Seicento e Settecento», in Storia della linguistica, II, a cura di Giulio C. Lepschy, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 361. Si consideri anche che «l'idea che le lingue determinino, almeno fino a un certo punto, il carattere nazionale e il modo di pensare dei parlanti, è estremamente diffusa nel diciottesimo secolo e risale anche più indietro. Solo per citare alcuni nomi, idee simili si trovano in Francia con Condillac, Diderot, ecc.; in Italia in parte con Vico e certamente con Cesare Beccaria e Cesarotti» [MORPURGO DAVIES, «La linguistica dell'Ottocento», in Storia della linguistica, cur. di Lepschy, Bologna, Il mulino]. Non è quindi improbabile e, anzi, è del tutto possibile che Soave fosse entrato in contatto anche con le teorie secondo le quali la percezione della realtà è in qualche modo condizionata dal linguaggio. E in ultima si può immaginare che egli concepisse la realtà e il linguaggio come due entità che a vicenda possono condizionarsi. La riflessione poi deve essere anch'essa intrinseca: se l'uomo percepisce fin dal primo istante e ne è in qualche misura conscio, egli deve essere in grado di riconoscere tale operazione, e ciò è possibile solamente tramite la riflessione: così Locke intende quando afferma che «La percezione è la prima idea semplice della riflessione» ° Quest'ultima, coadiuvata dalle operazioni di memoria, che consentono di ripescare idee precedentemente conosciute, è l'aspetto che permette all'intelletto di creare nuove ipotesi e teorie, ovvero in ultimo ciò che permette la scoperta.Proprio l'abbandono di questo secondo requisito fondamentale della conoscenza Soave rimprovera a Condillac: abate francese di qualche anno più anziano, fu il maggiore esponente del sensismo, grazie soprattutto al suo Saggio sull'origine delle conoscenze umane. Tuttavia nella sua ultima opera, il Trattato delle sensazioni, Condillac abbandona la distinzione tra l'esperienza e la riflessione e riconosce nella sola sensazione il principio che sviluppa tutte le facoltà umane, di fatto subordinando ad essa ogni altra azione.'' Étienne Bonnot, abate di Condillac, nacque a Grenoble e muore a Beaugency. Vive a lungo a Parigi, dove entrò in contatto con gli ambienti filosofici illuministici. Il suo Saggio è considerato la più coerente e compiuta formulazione della gnoseologia dell'Illuminismo francese. Nelle Ricerche Soave distingue due tipi distinti di memoria, la memoria dei segni e quella delle idee, la prima delle quali di molto più estesa rispetto alla seconda poiché, asserisce, «è assai più agevole il richiamare i segni delle idee, che non l'idee medesime, specialmente ove trattisi d'idee astratte»: nel caso in cui quindi vi fossero due ragazzi selvaggi che incontrandosi dovessero tentare di comunicare, per loro sarebbe difficile se nonimpossibile ricorrere alla memoria dei gesti, non condividendoli affatto. I secoli successivi vedeno un proliferare degli studi antropologici e linguistici eseguiti non di rado anche su popolazioni lontane dall'Occidente: la scoperta dell'America, l'intensificarsi dell'esplorazione e della colonizzazione dei territori dell'Africa e dell'Asia offrirono agli studiosi notevole materiale di studio. Complicato risulterebbe allora anche affidarsi alla facoltà di riflessione, giacché in mancanza di memoria «le congiunzioni d'idee si faranno in loro quasi tutte fortuitamente»$ il linguaggio, inteso dapprima come sistema di segni - con riferimento sicuro al segno gestuale, ma non si esclude un'allusione forse al segno linguisticamente inteso - appare allora elemento costituente della capacità non solo comunicativa, ma anche di riflessione e di memoria.Il fatto che tra due potenziali interlocutori sia impedita (dalla barriera dell'ignoranza) la condivisione del sistema di segni, preclude qualsiasi tipo di scambio comunicativo e quindi di arricchimento conoscitivo. Ciò, per S., non significa che dalle parole derivi la conoscenza delle cose e a questo proposito egli dubita dell'asserzione di Rousseau secondo il quale «le idee generali I..] non si possono nell'animo introdurre, che col soccorso delle parole, e l'intelletto non le apprende, che per via di proposizioni». S. sostiene piuttosto che le qualità intrinseche alle parole ne permettano la conoscenza e che le stesse, assieme alle proposizioni, permettano di esternare questa conoscenza interna. Certo è che la discussione è permessa solamente se il sistema delle parole è condiviso, altrimenti a ciascuno rimarrebbe oscuro il significato associato alla determinata realizzazione fonica. E cioè, in fondo, parlando lingue difterenti è permessa si la conoscenza del mondo esterno, ma non lo scambio comunicativo. Glice Ceresiano e la lingua internazionale in caratteri mistz Dalle precedenti riflessioni filosofiche deve essere derivato il bisogno di indagare sulla diversità linguistica dei popoli e sulla possibilità o meno dell'adozione di una lingua universalmente utilizzata, quantomeno per le conoscenze scientifiche. Così S. pubblica il saggio in esame, le Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale. Dato alle stampe con lo pseudonimo di Glice Ceresiano Nome che S. utilizza anche in occasione della pubblicazione di un opuscolo contro la Rivoluzione francese e intitolato Vera idea della rivoluzione di Francia, lettera di Glice Ceresiano ad un amico. e dedicato a un certo Clottofilo Euganeo, forse da identificarsicon il linguista padovano CESAROTTI (si veda), costituisce il primo esempio e il più interessante tentativo di ideazione di una lingua internazionale in Italia. L'epiteto 'ceresiano' deriva con ogni probabilità dal secondo nome del lago di Lugano, ovvero il lago Ceresio, dalla leggenda che vede coinvolto il signore del lago, Céreso, e un pesce senza nome. Glice puo valere come nome parlante e significare allora 'dolce', dal greco yukús, ma il riferimento è più incerto. In 'Clottofilo', probabile errore di stampa per Glottofilo, è facilmente riconoscibile un amante della lingua, o del linguaggio, e 'Euganeo' esprime il luogo di provenienza del destinatario così come è per l'autore in 'Ceresiano'. Il trattato si apre con le considerazioni circa l'innegabile utilità che una lingua universale avrebbe nello scacchiere internazionale. Soave argomenta in favore di tale utilità in maniera piuttosto breve, perché ritiene che la praticità di una lingua universale sia immediatamente comprensibile e, come tale, inconfutabile: Una lingua, che intesa fosse da tutte le nazioni, e che riparasse così al disagio della babelica confusione, e chi non vede di qual vantaggio sarebbe? Alla propagazione soprattutto, e all'accrescimento delle scienze sembra ella a' nostri giorni divenuta omai necessaria; perciocché le opere interessanti, che nelle lingue latina, italiana, gallica, Inglese, Tedesca, ec. si van tuttodì pubblicando, o in buona parte riescon nulle per noi, o ci costringono a consumare con lungo tedio quel tempo, e quell'industria nello studio delle parole, che nello studio delle cose più utilmente sarebbesi impiegato. S., Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale», in Istituzioni di logica, metafisica ed etica, Pisa, presso Nistri. S. individua due metodi attraverso i quali è possibile raggiungere l'utilizzo di una lingua internazionale. Il primo, e più complicato, prende come base una lingua gia esistente. Il secondo, per certi aspetti più semplice, compone ex novo un sistema che prende dalle varie lingue le soluzioni più ingegnose e, a suo dire, facilmente praticabili. Muovere da un sistema linguistico già esistente presenta degli inconveniente legati alla successiva supremazia che sarebbe riservata alla nazione dalla quale verrebbe scelta la lingua d'utilizzo. Ogni paese avrebbe interesse che la sua fosse la lingua imposta alle altre poiché ciò dimostrerebbe la sua superiorità, dapprima in ambito comunicativo, e poi in tutti gli altri. Possedere il dominio linguistico significherebbe in un certo senso possedere anche quello sociale e poi economico, a discapito di tutte le altre lingue - e nazioni - escluse. Per questo motivo ogni nazione pretenderebbe di essere la prescelta e un congresso di tutte sarebbe forse l'unico mododi prendere in considerazione tutti i candidati. Ma anche allora il problema non sarebbe di certo risolto. La lingua è parte fondante dell'identità nazionale, tanto che qualora si procedesse con una riunione di tal guisa «ogni verbo, ogni nome, ogni menoma particella vi desterebbe liti infinite, nelle quali volendo ognuno esser giudice, mai non avreste decisione. Senzaché, quando pure si componessero gli animi, dalla misura di tanti varj idiomi qual risultato ne avreste voi? Una lingua a mosaico, un vestito da Zanni, una Babelle peggior dell'antica» 58Egli quindi scarta anche l'idea di comporre la lingua secondo una commistione di quelle esistenti, ovvero di creare una lingua composita a posteriori. E non accetta nemmeno la possibilità di creare una lingua con vocaboli tutti di nuova fattura poiché, spiega, pochi sarebbero pronti ad accettarla e a mettere da parte l'amor proprio in virtù di un bene maggiore. Neanche l'istituzione di una lingua del tutto simbolica, come quelle numeriche o le pasigrafie, sarebbe soddisfacente, visto che la sua lettura risulterebbe particolarmente complicata. E ancora, per ovviare al problema dell'imprecisione semantica delle parole, nemmeno la tentazione di esprimere ogni idea con caratteri a sé stanti risulterebbe praticabile, vista l'incapacità dei più a imparare una tale mole di simboli legati all'infinità di concetti e oggetti potenzialmente esprimibili.Nonostante si dimostri sempre scettico sulla reale applicabilità internazionale di una lingua inventata e consideri più concretizzabile il semplice mantenimento dell'uso della lingua latina tra i dotti, S. non si esenta dal tentare di creare un linguaggio universale e passa quindi all'esposizione del suo progetto, definibile di tipo misto, composto d’elementi di lingue preesistenti e d’elementi di pura invenzione, le cui conditiones sine quibus non devono essere la chiarezza espositiva e la facilità di apprendimento e lettura. Per essere tale la lingua ideale deve presentare due caratteristiche fondamentali: ad ogni idea deve corrispondere uno ed un solo segno, in modo da non lasciare spazio ad ambiguità o interpretazioni. La lingua deve essere composta dal minor numero di segni possibile, così da evitare di sovraccaricare la memoria. Prima di analizzare nello specifico la proposta di S. è bene sottolineare che egli lavorò su di un piano prettamente teorico, così come molti altri fecero a quel tempo: con il suo trattato non consegna ai posteri un nuovo codice pronto all'uso, ma si limita ad esporre le caratteristiche che questo dove avere, evitando di fornire esempi concreti. I caratteri che egli propone per esprimere le cose fisiche non sono alfabetici, ma quanto più imitativi. Per indicare il sole, ad esempio, S. propone che si utilizzi un simbolo che lo richiami il più possibile, e così deve essere anche per i caratteri che designano il fiore, la luna, l'uomo, ecc. Per quanto riguarda invece tutti gli altri nomi egli si avvale del sistema alfabetico latino inteso nelle sue forme tonde, maiuscole e minuscole, corsive, e composto anche delle sue «lettere molteplici» come 's' e 's' (da intendere come [s] e [z]), ¡' e 'j, 'u' e 'v', i nessi di geminate, i nessi composti, le abbreviazioni, le abbreviazioni in corsivo, in maiuscolo, ecc. e così giudica a sua disposizione un parterre di lettere che supera il centinaio. Non contento, assume che il numero di questi simboli possa duplicare, triplicare, e ancora di più se si usassero dimensioni differenti (es. a a a 2). Come ultima ratio, se nemmeno un inventario segnico così formato dovesse bastare, Soave propone di ricorrere agli alfabeti greco, ebraico, arabo e agli altri. Il tutto può essere ulteriormente ampliato grazie all'uso dei segni diacritici come l'apostrofo, i vari accenti, il punto, le linee, le virgolette, dei numeri in esponente e insomma tutti quei simboli e segni che potevano facilmente trovarsi in una stamperia dell'epoca. Sulla disposizione di questi caratteri egli dispone solamente che ogni segno che specifichi il carattere a cui si accompagna sia a questo vicino - ma ben riconoscibile, a mo' delle lingue tipologicamente agglutinanti -, e così sia anche nel caso di parole formate da più caratteri insieme; per il resto, ogni carattere deve essere separato dagli altri. Si veda ora nello specifico com'egli intende questi caratteri. I pronomi e nomi personali identificati dai nuovi caratteri, di cui non fornisce la grafia, significherebbero 'io', 'tu', 'sé', 'egli', 'questo', 'codesto', 'quello', ', 'il medesimo', 'che', 'il quale'. La scelta successiva è quella di non creare altri caratteri ex novo per indicare il femminile, il maschile plurale e il femminile plurale; preferisce piuttosto inserire nel sistema linguistico dei segni diacritici (un apostrofo, una tilde, non viene specificato) che li distinguano dai corrispettivi maschili singolari - segni la cui applicazione è estesa anche alle altri parti del discorso - a guisa di morfemi grammaticali. In aggiunta asserisce che il pronome 'egli' è in fondo superfluo visto che sua la funzione può essere compresa in 'quello' e 'il medesimo'. Infine, 'questo', 'codesto', 'quello' e 'medesimo' possono ricoprire ugualmente la funzione di aggettivi, per cui non è necessario avere caratteri differenti per questi.Le preposizioni e le congiunzioni Per quanto riguarda le preposizioni Soave riconosce che basterebbero ben pochi caratteri per sostituirle giacché sono poche - 'di"', 'a', 'da', 'per', 'con', 'senza', 'sopra', 'sotto', 'tra', 'verso' e 'contro' -, brevi nella realizzazione ed esprimenti idee o relazioni semplici. I caratteri delle congiunzioni esprimono i significati di 'e', 'né', 'ma', 'anzi, 'perché', 'perciò', 'siccome', 'così', 'benché', 'pure'. Le interiezioni Soave propone la riduzione delle interiezioni a soli sei segni, che esprimano i sentimenti di dolore, allegrezza, desiderio, supplica, minaccia e timore.Gli avverbi L'avverbio di affermazione 'sì' e quello di negazione 'no' sarebbero esprimibili ugualmente con due caratteri - ipoteticamente brevi, vista la frequenza d'utilizzo - che indicassero l'affermazione e la negazione. Il carattere esprimente l'avverbio 'no' vale anche per le frasi negative il cui senso sarebbe introdotto da 'non'. L'autore tace sulla possibile posizione di questi avverbi, per cui non sappiamo se essi siano da anteporre o posporre alle particelle del discorso che accompagnano. Ai significati degli avverbi di luogo 'qua', 'là', 'costà', 'su', 'giù' suppliscono rispettivamente: per i primi tre i caratteri che hanno significato di 'questo', 'codesto' e 'quello' assieme al segno avverbiale; per gli ultimi due quelli delle preposizioni 'sopra' e 'sotto'. Gl’avverbi di quantità significanti 'molto', 'poco', 'quasi', 'abbastanza' sono indicati con il segno diacritico avverbiale in aggiunta ai caratteri esprimenti i significati aggettivali di 'molto', 'poco', 'vicino' e 'bastante'. Allo stesso modo sono trattati gli avverbi di qualità 'bene' e 'male'.I verbi Soave sceglie di semplificare la grammatica della sua lingua universale (almeno rispetto a quella italiana o latina) facendo confluire la pluralità di tempi verbali a lui conosciuti in sole tre unità esprimenti l'idea di passato, presente e futuro. Con l'aggiunta di altri due segni diacritici costanti ai caratteri verbali principali è poi possibile dar loro delle sfumature di significato differente, identificando così «i passati di poco o di molto, e i futuri prossimi o rimoti. Per quanto riguarda i verbi che derivano da sostantivi, è necessario indicarli con il carattere del nome da cui derivano assieme al segno che ne indichi la natura di verbo. S. sceglie di creare tre segni distinti: un segno per i verbi transitivi attivi; un segno per i verbi transitivi passivi; un segno per i verbi intransitivi o neutri;assieme ai quali esso indicherà l'infinito del verbo. Per indicare le diverse persone, tempi e modi sono necessari altri segni: per indicare le persone basta premettere i caratteri che indicano i pronomi o i nomi personali; per indicare i tempi sono necessari gli stessi caratteri che indicano gli avverbi di tempo; il modo, se non fosse già intuibile dal contesto, varia da caso a caso: il condizionale sarà dato assieme all'interiezione di desiderio; l'imperativo con il proprio segno distintivo; il congiuntivo nuovamente con un altro segno distintivo; il participio ha un suo segno distintivo e deve esservene uno per ogni tempo, alla maniera dei greci; a ciascun participio è accostato allora un carattere degli avverbi di tempo; l'indicativo sarà riconoscibile perché mancante di questi segni aggiuntivi, ma pur sempre accompagnato dal numero e dal genere della persona. Non è necessario inventare dei segni particolari per il gerundio e il supino in quanto essi possono essere sostituiti: dalla costruzione di [preposizione + infinito] al modo dei latini o dei greci, così come il lat. IN AMANDO (it. 'nell'amare') o AD AMANDUM, it. 'ad amare'; dai participi, come il lat. AMANS, it. 'amando. Per una comprensione più rapida si propone una tabella riassuntiva. Ciascun tempo verbale e le sue peculiari caratteristiche vanno immaginate accompagnate dal carattere esprimente il significato del sostantivo da cui il verbo deriva. I te mpi verbali sono ordinati in ordine crescente di segni diacritici o caratteri da cui sono composti. «NATURA» (transitivo attivo/passivo - intransitivo) ALTRI SEGNI O CARATTERI (caratteri degli avverbi di tempo/segni delle interiezioni) NUMERO E GENERE (carattere dei pronomi o dei pronomi personali con relativi segni aggiuntivi) MODO INFINITO + INDICATIVO +++ IMPERATIVO ++++ PARTICIPIO ++++ CONGIUNTIVO ++++ CONDIZIONALE ++++ Gli articoli Per S. è sufficiente solamente un unico articolo che sia in grado di esprimere il maggior grado di determinatezza qualora accompagni un nome. Di nuovo, esso è un semplice segno diacritico.I nomi Una volta esposte le regole che soggiacciono alla formazione delle parti del discorso per così dire "mobili". "mobili", cioè che fungono da collegamento tra i nomi e ne esprimono i movimenti, le azioni e le relazioni, S. passa alla trattazione della parte del discorso che esprime la cosa in sé e che necessita del maggior numero di caratteri come gli oggetti, i pensieri, i sentimenti, le cose del mondo sensibile, ecc.I significati dei nomi generali sono suddivisi in una prima macrocategoria di classi (di cui non è dato l'elenco completo, ma che l'autore esemplifica in 'animale', 'vegetale', 'minerale') espressa da un carattere ciascuno; successivamente ogni classe presenta al suo interno la specificazione dell'essere particolare (come 'gatto', 'quercia', 'marmo'), anch'essa espressa tramite dei caratteri particolari. I due caratteri vanno allora composti, ad ottenere un duo di grafi che significhi qualcosa di simile a 'animale-gatto' e così che, qualora non si conoscesse il significato dell'essere particolare, ma si conoscesse quello della classe di appartenenza, sarebbe facilmente accessibile - anche deducendolo dal contesto - il significato finale dei due caratteri composti, e viceversa.Per quanto riguarda i nomi propri non è necessario, poiché inutilmente difficile e dispendioso, inventare nuovi caratteri, ma basterà anteporre il carattere esprimente 'individuo' ai caratteri distesi del nome per intero. Supponendo per esempio che il segno per indicare l'essere umano sia un apostrofo anteposto al nome del soggetto, il risultato sarebbe qualcosa del tipo «'Giovanni».Questo tipo di procedura Soave sceglie di mantenerlo anche per tutte quelle classi di nomi che necessitano di essere specifici, come i nomi di botanica, medicina, fisica, anatomia, metafisica, cioè tutti quei nomi la cui abbreviazione comporterebbe, più che una facilitazione, una ulteriore ambiguità. Come suggerisce l'autore infatti, se in un trattato di geografia si scegliesse infatti di utilizzare ad esempio l'abbreviazione «'Ro», chi potrebbe dire se si tratti di Roma e non di Rouen?La possibilità di scrivere per esteso questi nomi affinché vengano compresi in ogni paese, sostiene Soave, è data dal fatto che essi sono nomi universalmente condivisi e conosciuti. Qui però è facile individuare un punto debole di questo sistema di scrittura, poiché è evidente che l'ultimaattermazione non può dirsi veritiera nemmeno per la sola Europa: per fare un esempio piuttosto semplice, il nome della Germania è conosciuto nei vari paesi come Germany, Allemagne, Deutschland, Tyskland, Niemcy, ecc., ed è certo che chiunque - in questo caso italiani e inglesi esclusi - non abbia una certa qual conoscenza delle altre lingue sarebbe spaesato alla lettura di «Germania» nel proprio libro di testo, così come se un italiano che ignora le lingue slave si trovasse di fronte a «'Niemcy». I problemi, ovviamente, si moltiplicherebbero per quanti hanno sistemi di scrittura differenti da quello latino. Per ovviare al problema Soave propone però di redigere un vocabolario che riporti l'insieme di questi nomi propri.Per quanto riguarda i nomi comuni che non appartengono a nomenclature scientifiche, Soave suggerisce di introdurre due segni che indichino 'opposizione' e 'negazione': così ad esempio il concetto di 'tenebre' potrebbe esprimersi attraverso il carattere della 'luce' opportunamente accompagnato dal segno diacritico o dal carattere che ne esprime la negazione, e l'"odio' potrebbe essere indicato dal carattere dell'amore' accompagnato da quello di 'opposto'.Lo sguardo attento dello studioso è alla ricerca, come già detto inizialmente, dell'esattezza linguistica e della non ambiguità tra i significati che le parole (o i caratteri) veicolano. Se questi accorgimenti non sono possibili in una lingua storico-naturale per sua stessa costituzione, essi lo sono in una lingua inventata a tavolino e, per questo motivo, egli prende delle ulteriori decisioni in merito, predisponendo: l'abolizione dei perfetti sinonimi - sebbene nelle varie lingue essi siano pressoché rari, se non inesistenti, a ben vedere; per termini simili ma non perfetti sinonimi, ovvero tutti quei termini che esprimono delle sfumature diverse di significato ma si riferiscono allo stesso referente/idea/ecc., l'indicazione con lo stesso carattere accompagnato da segni opportuni che esprimano questa differenza di significato.Gli aggettivi Tutti gli aggettivi derivanti da sostantivi sono da indicarsi mediante l'apposizione di segni che ne indichino la funzione sintattica. Il significato di 'terrestre' si otterrebbe con [carattere 'terra' segno 'aggettivo'] e il risultato potrebbe essere qualcosa del tipo «Õ», considerando «*» simbolo aggettivale e «O» il carattere per la terra. Lo studioso rende noto al lettore che vi è anche il caso contrario, ovvero quello in cui il sostantivo deriva dall'aggettivo, ma, prosegue, poiché non in tutte le lingue i processi di derivazione seguono le stesse vie e poiché in una lingua inventata nessun senso ha curarsi dell'origine delle parole, ribadisce che i caratteri di base costituiranno i sostantivi e quelli accompagnati dal segno aggettivale gli aggettivi. Per la formazione dei comparativi è sufficiente anteporre al carattere aggettivale i segni «+» (maggioranza) e «-» (minoranza), del tipo intuitivo «+ [carattere che indica 'alto']» = 'più alto di' o «- (carattere che indica 'alto']» = 'meno alto di'. Allo stesso modo, a discapito forse della chiarezza espositiva, ma guadagnando in semplicità, si compongono anche i superlativi relativi e assoluti. Non sono fornite indicazioni sui comparativi di uguaglianza.Il numero Per esprimere il plurale di nomi, aggettivi, verbi, pronomi è necessaria l'esistenza di un segno apposito; nel caso in cui questo segno non sia scritto allora significa che il carattere in questione esprime valore singolare.I generi La distinzione di genere nei nomi è utile solamente nel caso degli esseri animali e fuor di questi ogni altro carattere è di genere neutro e non deve riportare alcun segno. Il vantaggio è che in questo modo, se un carattere è accompagnato dal simbolo del genere, si potrà dedurre con sicurezza che si tratta di un animale o, in generale, di un essere animato. Gli aggettivi seguiranno la stessa soluzione dei nomi che accompagnano e gli avverbi si accorderanno ai nomi che sostituiscono, secondo il genere e il numero.In via del tutto sperimentale, e in mancanza di esempi concreti nell'elaborato di Soave, si propone una personale realizzazione in lingua inventata di una celebre frase di Orazio, tratta dalle Epistole, che Soave sicuramente conosceva poiché ne curò la traduzione in italiano: Caelum non animum mutant qui trans mare currunto? La frase latina di Quinto Orazio Flacco è tratta dalle Epistulae: 'coloro i quali corrono attraverso il mare, cambiano cielo, non animo'] - e con essa egli ricorda ai suoi lettori che non si sfugge mai a sé stessi.Supponendo di utilizzare dei caratteri imitativi per le parole caelum (lett. it. 'cielo', ma qui vale in senso lato per 'luogo') e mare; un carattere intermedio tra l'imitativo e il puro segno per il pronome qui (vale per soggetto, it. 'coloro i quali'), per i verbi mutant (lett. it. 'mutano', 'cambiano') e currunt (lett. it. 'corrono', ma vale per 'attraversano'); caratteri alfabetici per indicare animum (it. 'animo', qui 'mente', 'pensiero'), risulterebbe allora qualcosa di simile: - ANIMUM F X" 0o "Segni aggiuntivi sono il simbolo dei secondi (che si trova in apice dei caratteri per 'mutant', 'qui', 'currunt') che aggiunge il significato di plurale, e i punti sovrapposti ai caratteri dei verbi, che corrispondono a valore transitivo quando sono doppi (anche in riferimento alla valenza verbale), e a valore intransitivo quando sono singoli.In via teorica la lettura e la composizione di questo tipo di linguaggio paiono facilitate dalla non trascurabile componente intuitiva che la lingua comporta, grazie all'introduzione di caratteri imitativi, lettere già note e segni ricorrenti che ne modulano il significato; ma a ben vedere il risultato finale è più un rebus che un codice che goda delle caratteristiche della semplicità e dell'esattezza. Al netto delle sue stesse conclusioni in campo linguistico, Soave in persona scredita l'idea che si possa realmente introdurre dal nulla una lingua studiata a tavolino e pretendere che questa venga assimilata dalla popolazione. Peraltro - aggiunge Soave -, nel caso fortuito in cui pure si riuscisse a diffondere un tale codice, l'operazione non avrebbe nemmeno senso, perché equivarrebbe ad adoperare una lingua gia esistente e ben rodata.La sua proposta a questo punto restringe il campo d'azione, perché «Lascio la difficoltà di recarla fra i popoli dell'Asia, dell'Africa, e dell'America, a' quali pure per essere universale dovrebbe farsi comune. Qual commercio letterario, direte voi, abbiamo noi coi Tartari, cogli Abissini, e cogli Huroni, onde importare ci debba, che la nostra lingua da loro venga accettata? Or ben, e restringiamoci pur soltanto all'Europa» Una volta ristretto il campo alla sola Europa, Soave sostiene che una lingua internazionale (ma non più inventata a questo punto) sarebbe utile affinché tutte le genti del Vecchio Continente possano intendere le opere letterarie degli altri paesi senza dover ricorrere al sussidio di un traduttore. Ma per far ciò ogni opera fino a quel momento composta ed edita avrebbe dovuto essere riscritta nella lingua universale, e quale paeserinuncerebbe a scrivere nella propria lingua madre? E qualora anche vi si riuscisse, perché spendersi per inventarne una nuova e non utilizzare invece una lingua già esistente? A questo punto pare evidente quindi che per Soave la glossopoiesi ad uso internazionale non può essere accolta, non tanto per le sue caratteristiche intrinseche che, anzi, sono da considerarsi più che valide, ma quanto per l'inapplicabilità reale di tali sistemi linguistici dovuta a problematiche di tipo sociale e di supremazia. Così sul finire delle Riflessioni, e dopo aver descritto ampiamente il suo progetto di lingua, l'autore rivela che l'unica lingua che davvero potrebbe - e dovrebbe - definitivamente assurgere a internazionale è il latino, lingua già condivisa dai dotti, ma, in fondo, senza nazione. Soave. Keywords: semantica filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soave”. Soave.
Luigi Speranza -- Grice e Solari: la ragione conversazionale
dell’iustum/iussum, o il tutore fascista – la scuola d’Albino -- filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albino), Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Albino,
Bergamo, Lombardia. Frequenta il collegio S. Francesco di Lodi retto dai Barnabiti
per poi proseguire gli studi a Messina, da dove poi si trasfere presso Torino.
Si forma nel laboratorio di economia politica di MARTIIS, per poi scegliere la
filosofia del diritto sotto la guida di CARLE. Anche membro di una tra le
istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: i lincei. Autore di
un idealismo sociale e studioso di PAGANO, esponente della scuola di filosofia
del diritto di Torino, dove tenne questa cattedra quando succede a CARLE all’anno
in cui è sostituito da BOBBIO. Ha tra i suoi allievi lo stesso BOBBIO, TREVES,
SCARPELLI, GOBETTI, ENTRÈVES, PAREYSON, FIRPO, COLLI, LEONI, EINAUDI, e
GORETTI. Si dedica esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando
qualsiasi incarico pubblico -- non diventa nemmeno preside della sua facoltà
--; le cattedre da lui ricoperte sono state nelle Messina, Cagliari e Torino.
Presta il giuramento di fedeltà al FASCISMO. Saggi: Il diritto naturale nelle
dottrine etico-giuridiche, Torino, Bocca; “L'idea individuale e l'idea sociale
nel diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto” (A.T.U., Torino); “Filosofia
del diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto”; “Studi storici della
filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino). Fiori, Il professorie che dice
"NO" al duce, in La Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto; Carle
e Solari, raccolte da Bruno” (A.T.U., Torino); “Studi storici di filosofia del
diritto” (Giappichelli, Torino); “Nella cultura” (Angeli, Milano); Contu, “Questione
sarda e filosofia del diritto in S.” (Giappichelli, Torino); Cugini, “Commemorazione”
(Albino); “Agostino, Il problema del diritto e dello STATO nella filosofia del
diritto di Hegel (Giappichelli, Torino); Firpo, La filosofia politica (Laterza,
Bari). Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Lib. doc. di Filosofia del diritto
nella E Università di Torino C. LA SCU0LA r7 DELDIRITTO
NATURALE NRLLE dottrine etico -giuridiclie dei secoli XVil e
XVill TORINO. BOCCA LIBRAI DI S. M. IL RB d'iTALIA ROMA MILANO
FIRENZE Corse. 216 Corso Vittorio Em., 21 F. Lumacbi Sucu.
Depoait. gener. per la Sicilia : O. FIORENZA, Palermo
-w«K«sp^^LA SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE .NELLE DOTTRINE ETICO-GIURIDICHE.
Scienza e filosofia. La filosofia e la riforma cartesiana. Le scienze
morali e l’indirisso raiionale. Caratteri propri dei sistemi metafisici. Valore
e significato della scuola del diritto naturale. Il rapporto tra morale e
diritto secondo la scuola del diritto natnrale. La rinnovazione delle
scienze giuridiche e sociali e il grande lavoro. Essa segui l'applicazione dell'indagine
storica e positiva allo studio dei fatti morali e sociali.. Le condizioni
però che prepararono e resero possibile una tale rinnovazione devono
rintracciarsi nel periodo metafisico delle scienze morali che segna il
risveglio dell’intelletto umano in traccia di nuove direzioni air infuori
delle premesse teologiche e dogmatiche. Le grandi idealità
etico-giuridiche che vediamo affermarsi e svolgersi nel campo dei fatti
colla rivoluzione francese trovano la loro elaborazione astratta e
ideale nei sistemi filosofici che sbocciarono vari e numerosi in
quell'epoca di rara fecondità intellettuale che abbraccia questi tempi. Lo spirito
anti-teologico penetra allora nelle manifestazioni del pensiero nella sua
duplice direzione, la scientifica e la filosofica. Ma, nonostante questo
carattere comune, per molti altri rispetti filosofia e scienza tendevano
a distinguersi e a contrapporsi, generandosi tra esse un contrasto che
solo in epoca vicina a noi doveva comporsi. L'origine e i motivi del contrasto
devono rintracciarsi nella distinzione accentuata da Cartesio tra la mens e la
res extensa, tra lo studio della materia di cui si occupavano
sopratutto le scienze e lo studio dello spirito che parve costituire
il campo proprio della speculazione filosofica. Fin dal loro
primo costituirsi le scienze bandirono ogni APRIORISMO teologico e RAZIONALE.
Esse si mantennero rigorosamente empiriche, oggettive, analitiche, né intesero
l'importanza e la necessità di una generalizzazione filosofica dei loro
risultati. Del resto nò lo sviluppo delle scienze e tale da comportare
una filosofia naturale, nell'indirizzo metafisico e razionale della filosofia
puo conciliarsi colle tendenze materialistiche della scienza. La
separazione della scienza dalla filosofia non e che l’espressione della
concezione dualistica dell'uomo e della sua natura, concezione che
Cartesio e sul suo esempio i cultori delle scienze naturali accentuano,
certamente nell'intento di sfuggire alla sospettosa vigilanza della Chiesa. Sta
di fatto che le scienze incontrano sempre minori resistenze da parte
della Chiesa: ciò deve in gran parte attribuirsi alla cura gelosa dei loro
cultori di condurre l'indagine scientifica con metodo rigorosamente
obbiettivo evitando ogni discussione sulle cause prime dei fenomeni
studiati nonché sulle conseguenze ultime per le quali dal campo solido e
sicuro della scienza si passa nel campo infido e pericoloso della
filosofia. La scienza puo solo affermarsi e svolgersi assumendo veste e
significato anti-filosofico. La rinnovazione della filosofia iniziata da
Cartesio deve intendersi in un senso ben diverso da quello con cui e intesa la rinnovazione della scienza,
cosi come l'anima che forma il presupposto della filosofia e concepita
come un principio sostanzialmente diverso dalla materia, oggetto
dell'indagine scientifica. Mcntj'C neìÌQ scienze della natura contro
l'autoriià non pur della fede ma della ragione stessa pre^ialse l’autorità
del fatto osservato, nella filosofia la ragione sola non sorretta ne
dalla rivelazione né dall'esperienza sensibile divenne criterio di verità. Lo
spirito per altro della riforma cartesiana e profondamente sovvertitore.
Per essa la metafisica razionale assurgeva al grado di scienza prima,
sostituendosi alla teologia nel fornire alle altre scienze i principi
primi: scossa la cieca fede nell'autorità, le tendenze razionaliste e
critiche dell'intelletto umano potevano affermarsi in una serie
indefinita di sistemi. Le conseguenze della riforma cartesiana passano
inavvertite finché essa non usce dal dominio teoretico e metafisico: né si deve
dimenticare che il metodo cartesiano rigorosamente deduttivo ricorda nella
forma lo scolastico, e della scolastica e conservata la concezione psicologica.
Il carattere innovatore della riforma cartesiana comincia a farsi palese nelle
sue applicazioni alle scienze morali. I nuovi metodi in uso nelle scienze
fisiche non si comprende come potessero applicarsi alla scienze
morali. Tali metodi parvero propri delle scienze il cui oggetto e la
natura, in guisa che alle stesse menti più spregiudicate e indipendenti
da preconcetti teologici non balenò l'idea, famigliare nei tempi moderni, di
considerare le scienze morali alla stregua delle scienze fisiche e
naturali. A ciò si oppone la concezione psicologica dell'anima
sostanziale, fornita di facoltà intellettive e volitive, fondamento delle
scienze teoretiche e pratiche. Tale dottrina psicologica continua ad
essere la premessa delle concezioni etico-giuridiche che si originarono
dalla riforma cartesiana. Nel sistema del Wolff, che riassume il
lavoro filosofico anteriore, la psicologia figura ancora pressoché inalterata
nelle sue basi tradizionali. Si comprende quindi come le scienze morali
dovessero assumere veste e carattere metafisico e colla filosofia
trasformarsi sulle basi del razionalismo critico. Troviamo pertanto due
elementi nelle discipline morali e giuridiche: un elemento tradizionale
costituito dalla concezione psicologica deiraniraa e delle facoltà
concepite come forze generatrici di tutti i fatti dello spirito: un
elemento nuovo, implicito nella riforma cartesiana, secondo cui la
ragione umana e fatta capace di trovare i principi delle scienze dello
spirito all'infuori della religione e dell'autorità. È bene però fin d'ora
notare che assai prima della riforma del metodo filosofico per
opera di Cartesio, le scienze giuridiche, sotto l'influsso delle
condizioni storiche e sociali mutate, hanno iniziato la loro trasformazione in
senso razionale. Le scienze morali nel loro primo costituirsi a
scienze autonome e indipendenti mostrarono la spiccata tendenza a
modellarsi sulle scienze matematiche e geometriche. Il carattere deduttivo di
queste scienze, la forza di evidenza che scature dalle loro premesse e
dimostrazioni le rendeva particolarmente attraenti in un'epoca in cui la
speculazione anda razionalizzandosi. Meglio di ogni altra scienza esse mostrano
la forza e la potenza dell'intelletto umano, fatto capace di costruire
colle sole, sue forze un edificio mirabile per precisione, simmetria, eleganza.
Parve che un analogo procedimento puo applicarsi alle scienze dello spirito e
che basta andar in cerca di idee chiare e distinte per trarre da esse un
sistema filosofico capace di resistere agli assalti del dubbio e della
critica. E per circa due secoli assistiamo a una singolare fioritura di
sistemi metafisici, che hanno comune fondamento l'ipotesi, essere le
leggi dello spirito umano e collettivo generalizzazioni conseguite mediante lo
studio dei fatti della coscienza individuale e collettiva. Si define
l'uomo, lo stato, la società, il diritto, il bene supremo astrattamente
all'infuori della realtà psicologica e storica. Per lo più il principio
da cui si move risponde al consentimento universale o si fonda sull’OSSERVAZIONE
INTERIORE (INTROSPEZIONE) e necessariamente unilaterale dello spirito
umano: talvolta gli stessi principi tradizionali, spogliati di ogni veste
dogmatica servono di fondamento alla deduzione che procede rigorosa
sdegnando il controllo e la verifica dei fatti. La fctj ultura logica e sistematica
è costante carattere al quale si riconosce la dottrina metafisica, che
si presenta in un numero grande di sistemi, riflettenti le
variabili condizioni d'animo e di mente del filosofo. Lo stesso
principio si presenta in forme e gradazioni diverse per il concorso
di cause soggettive indefinibili. La potenza dell'intelletto misura
l'altezza talvolta vertiginosa delle concezioni metafisiche, che procedono,
sotto l'azione della logica interna che le incalza, senza limiti
prestabiliti, senza freni di sorta. A noi è facile rilevare l'errore di
tali costruzióni metafisiche. Come già Aristotele e più ancora gli scolastici, questi
metafisici fanno consistere la conoscenza nella generalizzazione logica,
la quale consiste nel ricondurre un concetto più determinato a un concetto
meno determinato ma più esteso. Per essi, dice Masci – Logica, Napoli,
Pierro --, la lerie logica dei concetti e la serie reale coincidono e
l'universale è causa. Tale generalizzazione ha come risultato un astratto,
un genere, un'entità mentale che contiene meno dei particolari dai quali
è astratto e come tale non può servire a intendere e spiegare la realtà
complessa e concreta. Ben diversamente procede la generalizzazione nelle
matematiche e nelle scienze naturali. Una formula matematica o una legge scientifiche
e una generalità comprensiva, cioè non contengono meno ma più della
formula che ne derivano, o dei casi particolari da cui la legge e indotta. Il
diritto di natura, l'uomo di natura, lo stato e la società di natura sono
le idealità astratte da cui trassero alimento i sistemi etico-giuridici. E
però errore paragonare le discussioni sul diritto naturale con quelle
scolastiche sui generi e le essenze delle cose. Le teorie sul diritto
naturale acquistano un valore speciale per l'epoca in cui sorsero, per le
condizioni sociali e politiche che le generarono, per le conseguenze che
ne derivarono. Tali teorie non sono né vane né inutili. Esse sono
l'espressione di bisogni reali, di tendenze prepotenti, d’istinti mal repressi
di rivolta, di reazione contro il passato. Esse ufFermavano la volontà di
sciogliersi per ciò che riguarda la vita morale e giuridica dalle tradizioni,
dall'influenza oppressiva dello stato e della Chiesa, alleati a danno doir individuo
e della sua libertà esterna e interna. Esse nascondeno un'idealità
vivamente sentita che tende a tradursi nel dominio del reale. In esse si sente
l'eco dell'anima moderna che sdegna i vincoli creati dal privilegio o
dall'interesse, che astrae dalla realtà oppressiva e anela a un sogno
lontano di uguaglianza, di felicità, di pace. Sotto questo aspetto la
dottrina del diritto naturale è in sommo grado significativa e può essere
studiata con utilità e interesse anche nei tempi nostri non foss'altro
per la corrispondenza con le odierne idealità sociali che preparano, come
quella, nuove condizioni del vivere collettivo. Colla, scuola del diritto
naturale acquista particolare importanza la questione dei rapporti tra la
morale. e il diritto. Sotto le parvenze di una discussione teorica essa
implica una grave questione di indole POLITICA, dalla cui soluzione
dipende il raggiungimento di quelle idealità che costituivano la ragion
d'essere della scuola del diritto naturale. Il terreno per una
separazione della morale dal diritto e stato preparato dalla Chiesa
stessa, la quale per le sìie finalità religiose richiamando di continuo
l'individuo alla spontaneità e alla indipendenza della vita interiore da
ogni costringimento esterno, ha efficacemente contribuito ad acuire il
senso della personalità e della resistenza contro qualsiasi imposizione
di autorità esterna fosse essa ecclesiastica o politica. Il movimento
protestante intese appunto a emancipare la coscienza individuale dalle
imposizioni arbitrarie della chiesa romana. Se la riforma e da un lato un
grido di protesta contro gl’abusi di autorità compiuti dalla chiesa a
danno di quella libertà di critica che anche in materia religiosa deve
essere riconosciuta all'individuo, la scuola del diritto naturale insorge
dal canto suo contro le pretese dello stato di invadere colla sua legge il
campo riservato alla religione e alla morale, di penetrare cioè in quella
sfera di interiorità che deve essere sottratta all'azione dello stato e
del diritto come quella che costituisce la garanzia dell'individuo e
della sua libertà interiore contro lo stato. La scuola del diritto naturale
intuì che nella questione dei rapporti tra diritto e morale e implicita
quella dei rapporti tra l'individuo e lo stato, e tale questione in
un'epoca in cui l'individuo scende in lotta contro lo stato in difesa dei
cosidetti diritti naturali, che sono in realtà i diritti di personalità,
assume significato particolare. Ciò serve in parte a spiegare
l'importanza assunta dalle dottrine giuridiche su quelle strettamente
morali e teologiche. I principi morali non sono in discussion Ci nò si
vagheggiavano riforme morali. La morale evangelica risponde pur sempre
alla coscienza etica generale: e se troviamo per parte dei filosofi tentativi
diretti a dare alla morale un fondamento razionale, bisogna
riconoscere che tali tentativi non riuscirono a scuotere la base
dogmatica della morale, in ordine alla quale la chiesa, fosse cattolica
o protestante, continua a esplicare un'azione decisiva e quasi
incontrastata. La questione dell'epoca più che morale e POLITICA e sociale. La chiesa
stessa più non puo opporre eflìcace resistenza al sorgere di nuove teorie
tendenti a delimitare l'azione dello stato nei suoi rapporti coll'individuo.
Qualunque sia il giudizio che sull'opera della scuola del diritto
naturale si può arrecare, sarà pur sempre per essa titolo esclusivo
di merito l'aver efficacemente contribuito a quel processo di
differenziazione per cui il diritto distinguendosi non pur dalla
religione ma anche dalla morale, ha acquistato un suo contenuto specifico.
Epperò a nostro credere il valore e il significato delle dottrine
etico-giuridiche sorte nei secoli XVII e XVIII è misurato dal grado con
cui seppero tale distinzione porre e accentuare. ar3W8S5Fl*«f
r che mentre regolano i rapporti di coesistenza tra le due
autorità, serveno di norma alla condotta degl’individui e degli Stati.
AQUINO (si veda) ed ALIGHIERI (si veda) personificano in sé le due
correnti e diedero alla morale e al diritto un significato rispondente al modo
diverso con cui intendeno il rapporto tra chiesa e impero. AQUINO riassunse
nell'opera sua monumentale tutti gli sforzi della scolastica diretti a
conciliare il cristianesimo colla filosofia, la rivelazione colla ragione, lo
spirito colla materia, la terra col cielo. Ma tale conciliazione
suona per AQUINO subordinazione e talvolta sacrificio e disconoscimento
dei diritti della ragione, degli interessi umani e civili alle esigenze
religiose e teocratiche. Ciò deve dirsi sopratutto in ordine alle scienze
morali, che dovendo tradurre nei fatto gli ideali cristiani,
abbisognavano di un fondamento saldo ed incrollabile. La volontà divina è
fonte per gli scolastici di ogni moralità pubblica e privata. Il rapporto
tra religione e morale non destò interesse di sorta nel Medio Evo,
tanto e universalmente radicata l'opinione che la morale dove trarre
dalla religione il suo fondamento, le sue sanzioni. Gli stessi avversari più
risoluti della chiesa non sollevarono dubbi al riguardo. Il compito della
filosofia in ordine alla morale si riduce pertanto a dar forma e veste
razionale alle massime evangeliche, e tale e il lavoro compiuto d’AQUINO,
le cui dottrine morali mentre dominarono incontrastate nel Medio Evo,
sono destinate ad esser in ogni tempo abbracciate da quanti non vogliono
appagare la ragione col sacrificio delle credenze religiose. Maggiore
interesse doveva destare il rapporto tra morale e diritto, come quello che si
riconnette al dissidio tra potere laico ed ecclesiastico. Non bisogna
dimenticare che nel Medio Evo il diritto appare generalmente come
l'espressione della autorità civile, mentre in fatto di morale domina
incontrastata l'autorità della chiesa. Tale stato di cose provoca un
secreto dissidio tra la norme giuridica e la norma morale, dissìdio che
teologi e difensori dell'Impero cercarono siastica e laica, di cui l’una
disconosce i diritti della ragione e della società civile, l'altra troppo
servile alla tradizione romana non e riuscita a raccogliere a sistema le
sue dottrine, ALIGHIERI si interpone sovrano. Come nel suo poema cerca di
conciliare gl’interessi del corpo con quelli dello spirito sulla base
della mutua indipendenza e correlazione, cosi nel risolvere la questione
dei rapporti fra i due poteri egli mette in rilievo l’azione morale della
chiesa di fronte a quella dello stato, la cui attività si esplica
sopratutto mediante il diritto. Nel campo morale ALIGHIERI, se si toglie
qualche fugace accenno ad una morale più larga e umana, si mantiene
rigorosamente stretto ai principi e alle dottrine scolastiche: ma ciò non
fa che accentuare viemeglio la sua indipendenza e originalità di criterio
nel trattare la natura del diritto in ordine ai limiti e alle funzioni
dello stato. ALIGHIERI più che giureconsulto è filosofo del diritto;
l'importanza della definizione che di questo diede sfuggi forse a lui stesso,
certo non e compresa dai contemporanei e dovettero passare molti secoli
prima che per opera di VICO il suo concetto e raccolto e sviluppato. Per ALIGHIERI
il diritto scaturisce dalle condizioni sociali, esso è un vinculum humanae societatis inteso a
mantenere tra gl’uomini associati l'equilibrio, che le inevitabili
disuguaglianze umane tendono di continuo a rompere. Esso non ha origini
soprannaturali, più che al perfezionamento dell'uomo singolo tende al progresso
della società, di cui è norma direttiva la legge, destinata ad attuare
quel concetto di misura, di proporzione, di equilibrio che sta a fondamento
del diritto. Se da un lato ALIGHIERI riconosce come precipuo scopo
della morale l'attuazione della virtù e nel suo poema si pro- [CARLE, Vita
del diritto, Così Dante defiaisce il diritto : las est realis ac persona
lisbomiuia ad hominem proportio, qino servata hominnm societatem conserva
t, corrnpta corrumpit -- De Monarchia. La legge è da lui deli n ita : regala
directi va vitae — la ginstizia poi è, secondo ALIGHIERI € quaedam
rectitado sive regala, obliqaam hinc inde abiiciens. a quelli deplorati d’ALIGHIERI
in ordine alla confusione del potere laico e religioso. Tale corrispondenza
accresce- valore ai suoi argomenti, alle sue dottrine, le quali possono
ancor oggi utilmente concorrere alla soluzione della dibattuta
questione. Il tentativo d’ALIGHIERI di gettar le basi di una
filosofia giuridica, non e coronato da successo. E l'opera di un
genio che precorre i tempi. Il seme però da lui posto, gelosamente
custodito per tradizione non interrotta, e raccolto nell'età moderna e
concorse efficacemente allo sviluppo della filosofia etico-giuridica ITALIANA.
Dopo ALIGHIERI, le due correnti ripresero ciascuna la propria via;
l'ostilità si fa più viva, le differenze più profonde. I giuristi con BARTOLO
e BALDO si mantennero sopra un terreno esclusivamente pratico, sdegnando
le teorie, e rifuggendo da qualsiasi tentativo di raccogliere a
sistema filosofico le loro idee. Libero rimase il campo alle teorie
etiche e giuridiche d’AQUINO. La Chiesa dominando sovrana nel campo
dei fatti e in quello delle intelligenze fini per creare intorno a sé una
legislazione, una scienza e un'arte a base teologica; sull'ordine
religiosa si volle foggiare non solo l'ordine morale, ma ancora l'ordine
giuridico e sociale. La teologia scolastica parve assorbire tutte le altre
scienze nella propria grandezza. Ma all'occhio dell'osservatore attento
non riusce diffìcile scoprire nel seno stesso della teologia, il germe della
decadenza, dovutar alla esagerazione del principio a cui si informava.
Particolarmente dissolvitrice e l'opera dei nominalisti nelle scienze
morali. Essi sono i difensori dell’indeterminismo etico, in quanto considerano
la volontà assolutamente libera, non mossa né dalla ragione né
dalla divinità, e riponeno l'eccellenza morale nella conformità tutta esteriore
ai precetti religiosi e morali. Per tal modo l'etica cristiana si
laicizza, nonostante la proclamata obbedienza assoluta in materia religiosa.
Duns Scotus e GuCarle. nasconde una nuova orientazione della mente umana
di fronte ai problemi della natura e della vita. In ordine
sopratutto alle scienze morali, il naturalismo e l’umanesimo sono tra i
prodotti più notevoli del rinascimento. La natura colla ricca varietà de'
suoi fenomeni attrasse gli spiriti irrequieti, infiammandoli di sé, e
sottraendoli alla contemplazione della vita celeste. La scolastica
trascura e disprezza lo studio della natura. Gli spiriti religiosi
del Medio Evo guardano alla natura con un senso di misterioso
terrore, quasi presagissero il pericolo che dal penetrarne i misteri puo
derivare alle loro credenze. Ma per l’uomo moderno lo studio della natura
e la palestra nella quale prima si addestra all'infuori del campo chiuso
della scolastica. Tale studio dove pertanto assumere particolare carattere
antireligioso e antiteologico: aprendo la via alle invenzioni e scoperte,
costituiva un grave pericolo per il principio di autorità e per la
rivelazione. L'umanesimo accenna alla profonda modificazione che il concetto
dell'uomo, della sua natura, della sua finalità subiva nel Rinascimento.
Il corpo rivendica impaziente i suoi diritti da secoli conculcati; le
soddisfazioni dei sensi non trovano più alcun ritegno. Un senso nuovo di
umanità si diffuse in aperto contrasto coll’ascetismo medievale. La vita
terrena non più coordinata colla futura, cessa di apparire un mezzo
per acquistare una finalità sua propria. Il desiderio di vivere in un
mondo le cui bellezze si svelano sempre più attraenti allo sguardo, di
soddisfare stimoli a lungo repressi oppera indomiti, il ridicolo gettato
a larga mano sulle idealità che formano la delizia del Medio Evo, finirono
per dar vita al SENSUALISMO morale, più che esposto nei saggi praticato
nel fatto, al quale non riusci a sottrarsi neppure la Chiesa. La
filosofia dell’ORTO nella sua parte meno nobile, e nel suo significato
volgare, divenne l'ideale morale del Rinascimento. Quest'ultimo trova
nello stato delle coscienze un terreno predisposto al suo sviluppo, opperò si
comprende come la morale, SI Le idee morali che si generarono
dalla riforma e dal rinascimento non sono raccolte a sistema
filosofico: ciò in parte si deve alla chiesa di Roma che dopo di avere
riformato sé stessa, inizia un movimento di reazione contro lo spirito
del rinascimento e il moto protestante, in parte si deve allo spirito non
meno intollerante ed ascetico delle nuove confessioni religiose. Gl’audaci
tentativi di pensatori forti e originali, quali TELESIO (si veda), BRUNO (si
veda), e CAMPANELLA (si veda) sono soffocati: ad essi rimase la gloria di esser
stati i precursori perseguitati e incompresi dei metodi e dei sistemi
filosofici dell'età moderna. L'Etica e soprafatta dallo spiritualismo
risorgente, e rimane asservita alla-religione. Il protestantesimo non fa
che ribadire tali vincoli e ritardarne l'emancipazione. Le voci che invocano
per la morale un'esistenza indipendente dalla religione non mancano. Montaigne
e Charron in Francia, BRUNO in Italia, pensano e scriveno in tal
senso. Ma passano per sovvertitori della religione e della morale e i
loro sforzi, rimasti isolati, non esercitarono azione efficace sul
progresso scientifico della morale. Su quest'ultimo esercita un'influenza
diretta e decisiva il rinnovamento delle scienze giuridiche, le quali nel
costituirsi a scienze filosofiche indipendenti attrassero nell'orbita
loro la morale, sottraendola cosi lentamente all'azione della religione e
preparandone la definitiva emancipazione. Nel Medio Evo non
si e formato un diritto filosofico distinto dalla morale, e le scienze
giuridiche propriamente dette si riassumevano nell'opera dei pratici
intesa a piegare la norma di DIRITTO ROMANO agl’usi, consuetudini,
statuti che la scomposta vita medievale genera. Ma tale lavoro di
adattamento a misura che i tempi progredeano, e le condizioni sociali si
modificano si fa sempre più diffìcile e ingrato. Col Rinascimento sorge
tutta una nuova schiera di giureconsulti che Vico chiama FILOLOGI. Non
distratti dai bisogni della pratica, essi si preoccuparono solo di FAR
RI-VIVERE IL DIRITTO ROMANO nelle sue fonti e ne' suoi testi antichi,
che 2à — )0 e degl’interpreti
hanno profondamente di revisione e di ricostruzione storico-filo>mpiuta,
segna un'era nuova negli studii di la se e di grande giovamento alla
conoscenza fonda dei testi dell'antico diritto, essa scredo dei pratici,
accentuando la discrepanza tra e le condizioni nuove di vita sociale,
rendeva 3rso a nuovi principii giuridici. E questa e >nza finale
a cui porta la riforma combate teocratiche della chiesa e la sua azione
30 e sociale. Ma più che tutto e stimolo detudio filosofico del diritto la
formazione degli toria della CONVIVENZA SOCIALE il Medio Evo periodo
di transizione dalla città antica allo lotto un aspetto esso e un
crogiuolo in cui si venne dissolvendo ne' suoi elementi priun altro
aspetto e un periodo di incubazione ma di convivenza sociale. Il feudo
prima, il versi per origine, costituzione, carattere si -zionarsi
della sovranità in un numero grande azioni politiche, che di fatto viveno
di vita idente. Dai feudi e dai municipii in perpetua vennero
svolgendo gradatamente organismi t seconda della prevalenza dell'elemento
feu5, si dissero contee, signorie, principati. Queste associazione
politica in Italia si mantennero 3 prepararono l'asservimento allo
straniero; bissate e abbattute dal potere regio risorto, ritto di
sovranità. Dall'azione concorde del polo si formano pertanto lo STATO
moderni, itrati e con carattere nazionale. 4c Lo Stato Carle, occupa
un posto di mezzo fra il t., particolarismo del Medio Evo,
rappresentato dai feudi e dai municipii, e il cosmopolitismo della chiesa
e dell'impero. Sorto nelle lotte tra la chiesa e l’impero, lo stato si mantenne
ugualmente lontano dalle dottrine teocratiche e dalle tradizioni romane.
Né le une nò le altre potevano efficacemente concorrere al lavoro di
organizzazione interna, di unificazione legislativa, giudiziaria,
amministrativa dello stato. Del tutto insufficienti apparvero quando si pose il
problema dei rapporti di reciproca convivenza fra i diversi stati, sorti
dallo sfacelo dell'unità medievale. In occasione di esso sorsero i
giureconsulti filosofi e i primi sistemi di filosofia del diritto. La
violenza, l'astuzia, la frode, come servirono a formare lo stato, cosi
costituirono l'arte di governo a cui principi e sovrani apertamente
ricorsero per consolidare e conservare il potere, il MACHIAVELLI e
maestro insuperato di questa politica violenta e immorale che si inspira
solo alle dure necessità dei tempi. In ogni epoca l'intelletto
umano traviato dall'ambiente e dalle condizioni di vita esteriore,
si rigenera e si apre nuove vie astraendo dalla realtà, rifacendosi
a certi principii generali che rimangono pur sempre patrimonio inalienabile
della natura ragionevole dell'uomo. La ragion naturale e la fonte da cui
i giureconsulti filosofi trassero norma
e criterio a regolare la vita dello stato. Si venne per opera loro
formando una scienza nuova, detta del diritto naturale la quale, nel suo
comparire, parve riconnettersi ai concetti del IVS GENTIVM e del IVS NATURALE
elaborati dai giureconsulti ROMANI nell'ultima fase di sviluppo
dell'antico diritto. L'espressione jus gentium significa dapprima presso i
Romani i principii di diritto che il magistrato e chiamato ad applicare
quando non essendo comune alle parti in causa la qualità di cittadino
romano, e inapplicabile lo jus civile. Praticamente, lo IVS GENTIVM
comprende i principii di diritto comunemente ammessi e riconosciuti da tutti
i popoli coi quali I ROMANI sono più a contatto . Lo jus gentium non ha
il Bitohiei Naturai righta, London, IC - 3 determinato
del jus civile : applicato sopra argo, regolando rapporti più complessi
dove ispirarsi all'equità e nel fatto accostarsi al e dì NATVRA,
che I ROMANI hanno appreso eca. Lo IVS GENTIVM fini per confondersi col
jus colTestensione progressiva della cittadinanza, e differenze
politiche tra le varie parti delsto xeanQ a comprendere popoli diversi
per li, leggi : allora si forma nel seno dei giureetto largo e generale
del IVS NATVRALE che Ulr. QVOD NATVRA OMNIBVS ANIMALIBVS DOCVIT. generalità e
indeterminatezza e suscettibile iplicazione. In ROMA quindi lo IVS
NATVRALE e ossario delle speciali condizioni politiche deisi svolse per
gradi dal jus IVS CIVILE e dal jus etti di jus gentium e di jus naturale
risorgono carattere e significato diverso. Nel 500 lo jus come in
Roma la generalizzazione del diritto appresenta da un lato un indirizzo di
riforma, lisce una fonte di diritto affatto nuova, che il i
rapporti fra LO STATO ROMANO e un’altro stato, da poco tempo costisaria. Epperò
lo IVS NATVRALE e dapprima invoi rapporti di pace e di guerra fra LO STATO
ROMANO e un altro stato, gentium, che corrisponde solo di nome al
jus nani, e che meglio potrebbe chiamarsi un jus azionale. Questo
nuovo IVS GENTIVM ha caie in quanto la sua norma si inspira ai a retta e
illuminata ragione voleva applicati i diversi Stati. Se non che lo IVS
NATVRALE pur tosse da rapporti di carattere pubblico interiva un nuovo
metodo nel campo delle scienze ava le basi filosofiche del diritto, e
fini per ipo del diritto privato, sottoponendone a re- morale
stessa. Il perfezionamento deiruomo-individuo interessa cosi come
interessano le questioni attinenti la olitica e giuridica degli Stati: la
vita contemplativa di apparire come l'ideale della perfezione, e si
comincia ire LA NECESSITA DI FORMARE PIU CHE L’UOMO, IL CITTADINO -- l'uomo
nella pienezza de' suoi DIRITTI CIVILI E POLITICI: moriva lo svolgersi
delle dottrine giuridiche, così come icuranza degli interessi terreni
favori nel Medio Evo fezionamento interiore dell'uomo, da cui si svolge
la vita Né solo ad una inversione del rapporto tra morale e )
assistiamo nel passaggio dall'Evo medio al moderno, l una totale
confusione di criterii e di principii tra le 3ienze: nel Medio Evo la
confusione si avvera a tutto ^io della morale, nel 500 assistiamo al
sacrificio di ultima agli interessi del diritto. Tutte le opere sul dinaturale
presentano uno spiccato carattere di indistinfra la morale e il diritto, e ben
può dirsi in linea ge) che la scuola metafisica non riuscì a distinguerne
aente i rispettivi dominii, malgrado gli sforzi fatti da ) de' suoi più
celebri rappresentanti. Pure anche la scuola metafisica ha la sua impornello
studio dei rapporti tra morale e diritto. Sorta in zione allo spìrito
teologico, essa raccolse anzitutto i suoi nel trovare alle scienze morali
una base indipendente religione. Era questo compito delicato e difficile,
se si alla natura della questione, all'opposizione vivissima
diverse chiese, cattolica e protestanti, mossero a quanti ano in dubbio
il loro diritto a regolare la condotta, alla one grande delle tradizioni
spiritualiste, che nell'età na trovano nuovi e autorevoli rappresentanti.
Né qui 5stò l'opera della scuola metafisica. Essa affronta la quedei
rapporti tra morale e diritto, che teologi e cultori ritto naturale
continuano per cause diverse a manteconfusi. Essa si rese esatto conto delle
conseguenze ulche datale indistinzione puo derivare nel definire ti
dell'azione dello Stato. Il modo di intendere l'uomo e la sua natura può
assumersi a criterio di classificazione dei diversi indirizzi che in
ordine al rapporto tra morale e diritto sorsero in seno alla scuola
metafisica. Grozio e la sua scuola traggono dalla natura socievole
dell'uomo il fondamento delle loro concezioni etico-giuridiche. Nella storia
del rapporto tra morale e diritto essi rappresentano l'indirizzo giuridico più
che filosofico. Ma il concetto da cui movevano se giova agl’interessi del
diritto, disconosce le energie intrinseche dell'uomo da cui si svolge la
vita morale. Hobbes e in genere i filosofi inglesi fondano la distinzione
tra morale e diritto sulla natura egoistica dell'uomo, e rappresentano
l'indirizzo utilitario e individualista. L'indirizzo cartesiano, che
culmina in Kant, eleva e nobilita la ragione umana, la quale cerca in sé
stessa un precetto categorico e assoluto, che possa esser posto qual
fondamento all'edifizio morale e giuridico. Da ultimo questi diversi
concetti, entrando come elementi costitutivi della filosofia francese, gettano
le basi di una FILOSOFIA SOCIALE, da cui traggono vita e significato la
morale e il diritto. Questi diversi indirizzi derivano il loro carattere
metafisico dal concetto imperfetto o parziale, che si formano della
natura umana: con tutto ciò si collegano strettamente colle vicende
storiche e politiche dei tempi e dei paesi che li produssero: più
particolarmente essi preparano quelle premesse teoriche che la rivoluzione
francese cerca tradurre nella realtà. analizzata nella .sua essenza, ne'
suoi elementi costitutivi, essa parve fornire i principii atti a regolare
la vita degl’individui e degli Stati. Tali principii, superiori alla
volontà degli uomini, non soggetti alle mutevoli vicende storiche,
trovavano nell'ordine stesso delle cose create la loro base salda e
incrollabile. Si anda cosi generalizzando il concetto del diritto
naturale, espressione ultima dell'ordine dell'universo nel campo
dei rapporti individuali e sociali. Mira costante dei cultori del
diritto naturale e di risalire, mediante un processo di astrazione
rigorosamente applicato, dall'uomo storico quale nella realtà si presenta
co' suoi vizii, abitudini, pregiudizii, tradizioni, costumanze all'uomo
naturale, quale appariva al lume di una ragione illuminata, spogliato
delle qualità e determinazioni successive che sono l'opera lenta ed inevitabile
del tempo e della storia. L’uomo naturale venne pertanto a contrapporsi
all'uomo storico, come l'ideale al reale, l'astratto al concreto,
l'universale al particolare, l'assoluto al relativo. Si comprende allora
come il diritto dove intendersi, l'insieme della norma e delle facoltà
spettanti all'uomo naturale, e a somiglianza di questo dove considerarsi
assoluto, immutabile, universale, in contrapposto al diritto storico, quale
era inteso dai giureconsulti pratici e filologi. La ricostruzione
dell'uomo naturale dischiuse la via alla concezione dello STATO DI NATURA.
Si ricostruì l'uomo collettivo cosi come si e fatto per l'uomo singolo. Le
tristi condizioni politiche del 500 parvero giustificare la credenza in
una profonda alterazione della società umana quale là natura e la
ragione consigliano, opperò fa sorgere il concetto di UNA SOCIETA IDEALE,
riunione di UOMINI REGOLATI NEI LORO RECIPROCI RAPPORTI da una norma del
diritto naturale e contrapposta alla società storica e reale.
Nel concetto largo e indeterminato che dell'uomo e dello stato di
natura si formano i giureconsulti e i filosofi, noi possiamo riscontrare
la causa originaria della confusione tra morale e diritto. Questi due
concetti a misura che si allonrealtà storica tendono a confondersi in una
iella quale scompaiono le differenze specifiche, ridica, quando si derivi
non dal concetto di aimente organizzata, ma dall'uomo individuo e
ira, facilmente assume forma e contenuto etico, natura, concepito
all'infuori di ogni organizzagenerava rapporti di carattere morale più
che iva lo svolgersi di doveri più che di obbliga- iparsi del
diritto naturale sono non i filosofi, iulti. Trionfando dei tentativi e
delle incertezze Grozio inizia il nuovo indirizzo nello tto.
Contro di lui uscirono dal seno della chiesa sitori, di cui e mira
costante la conciliazione eriche sul diritto naturale colle dottrine reliali.
Nelle vicende di queste due scuole, si riasione giuridica nelle scienze
morali, in cui vive ed esplica la sua attività Grozio il periodo
delle lotte religiose e dei contrasti quali lo stato parvero uscire
rifatto alle fondamenta. Tutto si rinnova nel periodo chiude colla
pace di Westfalia; il lavoro di diversi elementi dapprima contrastanti, è
comi di guerra, l'arte di governo, si trasformano geniale di uomini quali
Richelieu, Gustavo). Al succedersi non interrotto di uomini illustri la
politica nel campo dell'azione, fa riscontro pensiero la prevalenza
quasi esclusiva degli se politiche e sociali.Grozio ha un'imjerto minore
di quella dei grandi dell'età sua, iicU et comaais utilitatis causa
sociatus. della norma proposta per farla considerare giuridica. Né
meno profondamente radicata e l'idea che la vita morale si concentra
nell'individuo, al cui perfezionamento interiore dove sopratutto mirare: opperò
e naturale la tendenza a considerare come giuridica ogni norma diretta a
regolare rapporti esterni sorgenti tra gli individui, o tra questi e
lo stato, o sopratutto tra Stati diversi, senza por mente che tali
norme si traevano da quello stesso principio, da cui in epoca non di
molto posteriore altri avrebbe derivato la vita morale. Grozio pur
assecondando l'indirizzo generale favorevole alle costruzioni astratte,
tradisce la naturale tendenza del suo ingegno verso gli studii giuridici.
Grozio riconosce l'importanza decisiva della tradizione e dell'autorità
nel determinare i rapporti di natura giuridica, intravede la distinzione tra
morale e diritto quando osserva che la morale è inseparabile dalla
religione e là ove parla di un diritto nel suo vero o stretto senso {eius
juris qvtod propìzie tali nomine appellatur) e di un diritto in un senso
improprio, che noi meglio faremmo rientrare nel campo della morale. Ancora
distingue Grozio tra ciò che è dovuto per debito di giustizia e ciò che è
dovuto per motivi di liberalità, misericordia, affetto, ossia per
obbligo morale. Il dominio di sé e dei propri appetiti costituisce
per Grozio un obbligo che non può imporsi né per forza d'armi. Proleg. $
2, n. 2: altrove osserva ohe le verità del diritto sono tali ohe anche
l'ateo è costretto ad ammetterle e praticarle. Cfr, Op. cìt. Proleg. $ 8,
9, 10: al $ 44 dice: « cum injtistitia non aliaju naturam habeat qnam
alieni umrpationem ecc. ». Con tale espressione Grozio coglie la vera natura
del giusto e dell’ingiusto. Cfr.: Illud quoque sciendum, si quia
quid debet non ex justitia propria sed ex virtute alia, puta
liberalitate, gratia^ misericordia, dilectioue, id sicut in foro exigi
non potest, it^ nec armis depoaci. Altrove fa rientrare il dovere
di allevare i figli nella sfera del diritto in seuao ampio, oasia della
morale. Si noti che Grozio non parla nell'opera sua di doveri : il ano
silenzio prova ch'egli li escludeva dal campo della filosofia giuridica,
e li considerava appartenenti alla religione o alla morale. irtù di legge.
L'adempimento di tale obbligo, se può nella sfera del diritto naturale
largamente inteso, interessare che indirettamente l'ordine giuridico)onde
si vede che Grozio intuì le esigenze della vita e tra i cultori di
diritto naturale solo seppe evitare :uenze estreme, a cui conduceva
l'applicazione del azionale in ordine al diritto, meritandosi
giustamente il nome di giureconsulto del genere umano, tezza che
Grozio dimostra nel distinguere la morale to, si riflette nella
determinazione dei rapporti tra ) e Stato. Secondo la dottrina di Grozio
lo Stato non istenza e una realtà propria, distinta dagli
individui impongono. Lo stato deriva la sua esistenza da UN PATTO
VOLONTARIO che gl’uomini, seguendo i dettami della stringono tra di loro
per conseguire gli scopi propri SOCIETA RAZIONALE, la pace e la sicurezza.
Di qui zione di uno stato immutabile ne' suoi diritti e nelle
igazioni, la cui opera è intesa ad attuare l'utile cobene pubblico. Pur
riconoscendo il carattere astratto irio di tale concezione, non può
negarsi l'idea feconda ssa si conteneva, esser lo Stato distinto e
indipenLlla persona del principe. Fondando la Stato sopra 3 razionale e
immutabile, scuotendo dalle fondamenta e comune al suo tempo che lo
personifica nel prin)zio sottraeva lo stato alle vicende dei governanti,
lastie, delle forme di governo; determinando i limiti lizioni per
l'esercizio della sovranità, egli pronuncia,nna della tirannide e dei governi
assoluti. Grande pertanto viene ad essere l'importanza di Grozio )ria
delle scienze morali. Per apprezzarlo al suo giusto Proleg, ove P A.
afferma che IL PATTO origiuò
civile e la società civile. Op. cit., ove tratta della coudizioiie
giuridica ;i, e sopratutto il capo XIV in cui parla dei doveri e obblighi
pf, ecc. valore bisogna tener conto della condizione creata alla chiesa
e*airimpero dai tempi nuovi. Le dottrine della chiesa inspirate alle massime
evangeliche mal potevano piegarsi a regolare rapporti d'indole politica. Lo stato
e sorto in opposizione al principio ecclesiastico, e svolgevasi
all'infuori dell'azione morale della chiesa, la quale mantene
ancora incontrastato il suo dominio nell'intimità delle coscienze
individuali. E coir autorità della chiesa nei rapporti sociali e venuta
meno l'autorità dell'Imperatore, che in altri tempi personifica in sé
l'ordine sociale e politico ed e chiamato giudice supremo delle controversie
tra i popoli. La teorica dell'illimitata volontà del sovrano in materia
giuridica e politica anda radicandosi ed estendendosi ovunque :
essa porta alla separazione assoluta tra morale e diritto, al
trionfo dell'utile, dell'egoismo, e apre la via alla tirannide più
odiosa. IL POPOLO ROMANO venivano ad esser abbandonato ALL’ARBITRIO DEL
PRINCIPE, e la forza e la violenza diventano sinonimi di diritto e di
giustizia. Grozio che sente vivo nell'animo il desiderio dèi bene,
l'amore alla libertà e alla giustìzia, si leva con tutta la vigoria del
suo intelletto contro il diffondersi di tali teorie: alla volontà
illimitata del principe increduli e spregiudicato Grozio oppose l'autorità
eterna e immutabile della ragione. All'egoismo imperante nei rapporti tra
sovrano e sudditi, e dei popoli tra loro, egli oppone la concezione di un
diritto e di uno Stato naturale, derivati dall'umana natura: nella
guerra stessa egli mostra come le leg^i non rimangono mute. Il popolo dove
pertanto riconoscere in Grozio il primo autorevole difensore dei loro
diritti, e delle loro libertà: come tale egli precorre i razionalisti, ma
di essi non conosce le esagerazioni: passando dalle concezioni
teoriche alle applicazioni pratiche, egli ammise e adottò temperamenti, pei
quali si rileva giureconsulto e uomo d'azione. Grozio esercita una
notevole influenza sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali:
egli fa convergere nel suo sistema
due indirizzi diversi, l'indirizzo filosofico razionale, amente
giuridico, derivata dalla storia sti due indirizzi, il primo più rispone
intorno a sé più numerosi seguaci, va per il momento eclissarsi, e confon[uelle
della scuola storica, che solo più irsi nel campo delle scienze morali.
Tra nente si inspirarono alle dottrine di e Pufendorf. Egli appartiene, quando l'era
delle lotte e il periodo della formazione degli Stati imente
tramontato. La questione dei Stati aveva perduto di attualità e di
L considerare nella coscienza dei popoli ipii proclamati da Grozio.
Maggior inestioni attinenti la sovranità, la costili Stati, i rapporti tra i
sudditi e il del diritto. Pufendorf si propone aplla parte del sistema di
Grozio, che in forma di prolegomeni all'opera sua; originale, ma di
svolgimento e di sistetro questi confini Pufendorf riesce in-: di Grozio egli
svolge il lato filosofico uridica, e disconoscendo la distinzione
le nel sistema di Grozio e adombrata 3nuta: subisce l'influenza de' nuovi
ini all'epoca sua si sono affermati nelle generale per opera di Cartesio,
nelle colare per opera di Hobbes e di Spinoza, ja tenta senza
riuscirvi l'applicazione allo studio del diritto naturale , e jolutiste
subisce l'influenza di Hobbes, li combatterlo e di far trionfare le
idee la jìiris unìversalìs methodo mathematlcaf Hagae Per Pufendorf
Toiiesto e il giusto, che sono gli elemei generatori della vita morale e
giuridica, NON HANNO ESISTENZA OBBIETTIVA: sono qualità soggettive inerenti non
alle cose i alle azioni, in quanto queste si conformano alla legge
pi scritta dalla volontà di un superiore, il quale viene pertar ad
essere la fonte della vita morale e giuridica. Morale diritto hanno
comuni le origini, e la natura. La morale este ai rapporti sorgenti tra
le persone diventa GIUSTIZIA, la e osservanza non pur esteriore, ma
intrinseca costituisce dovere. Con Grozio ammette l'ipotesi dello stato
di natui concepito all'infuori di ogni istituzione civile, nel quale le
leg della condotta sono imposte dalla ragione in conformità al
natura socievole dell'uomo, da cui scaturisce il principio g neratore del
diritto naturale, e tutta la serie dei doveri e l'uomo ha verso sé stesso.
Necessità egoistiche di sicurez più che naturali sentimenti di
benevolenza hanno indotto { uomini a uscire dallo stato di natura, a
stringere un co tratto da cui trae origine la società civile, la legge
positi^ lo Stato. Nella società civile fonte della morale e del (
ritto è la volontà del principe: in questa parte Pufend( Cfr.
Pnfe^idorf : Dejure naturae et gentium, e. 2, $ Honestas sive necessitas
moralis et tarpitudo suut affectiones actiom huiuaDarum, ortae ex
couvenientia aut disconveuientia a norma seu le[ lex vero est inssum
superioris ; non apparet qnomodo honestas aut ti pitndo intelligi possit
ante legeni et citra snperìoris impositionem » Cfr. anche Lib. I, e. vi,
$ 4 : € lex est decretum quo snperior sibi snbìecti obligat ». Cfr,
Pufendorf, e per il conce della giustizia L'A. tratta dello stato di
natura nel Libro II, e. il, Op. cit. Vllo Stato. Cosi se da un lato disconosce
completamente natura del diritto, trasformandone la dottrina in una
dottrina dei doveri dell'uomo, dall'altro fa della volontà del sodano la fonte
di ogni obbligazione morale e giuridica col Lcrificio incondizionato
dell'individuo e delle sue naturali ndenze agl'interessi dello
Stato. A Pufendorf spetta incontrastato il merito di aver lCCoUo a
sistema il materiale che da ogni parte sulle orme Grozio si e
andato accumulando: quindi in lui i caratteri onerali e le conseguenze
ultime dell'indirizzo che mette capo Grozio e che sul continente trovò
largo seguito di cultori, manifestano nelle forme più spiccate.
Studiando Pufendorf )i possiamo misurare tutta là portata scientifica e
pratica dio stqdio sul diritto naturale, il quale costituisce la
scienza iciale dell'epoca, intorno alla quale gli spiriti nuovi, deside»si
di riforme si raccolgono per tentare la soluzione dei più • ariati
problemi religiosi, etici, politici. Si viene pertanto aturando nel campo
delle scienze morali una rinnovazione laloga a quella^ che si andava
dispiegando nel campo delle ienze fisiche e naturali. Nella storia del
diritto naturale, :*ozio rappresenta la mente inspiratrice, Pufendorf la
mente ordinatrice. Si comprende allora come in Pufendorf dovesse
jcentuarsi la confusione tra morale e diritto. Anch'egli di- ci) stingue
tra « forum internum et exteriium », ma quello abbandona alla teologia e fa
materia della filosofia giuridica il vasto campo del forum externum ossia
della condotta in generale ne' suoi rapporti esteriori . Nell'estensione
assunta dalla scienza del diritto naturale, svoltasi all'infuori della
religione e sopra basi razionali, tendente a quella costanza e
immutabilità, che in altri tempi attribuivasi alle manifestazioni della
volontà divina, si nascondeva un pericolo grave per l'avvenire delle
scienze morali. La confusione tra morale e diritto nelle forme esagerate,
ch'essa assume nei sistemi di Hobbes e di Pufendorf, minacciava risolversi nel
fatto in una tirannia delle coscienze per parte dello Stato, analoga a
quella che in altri tempi erasi deplorata per parte della Chiesa* Chi si
rese perfetta coscienza del pericolo e corse al riparo e Thomasius. Spirito
irrequieto e veemente, ingegno satirico, sprezzante Thomasius ebbe la mania del
nuovo, non però, come spesso capita, del paradossale: che anzi il suo
odio per gli aristotelici, il suo disprezzo per la metafisica rappresentavano
in lui la reazione del senso comune contro il convenzionalismo
aristocratico della scienza ufficiale, le sottigliezze inutili e dannose
nelle quali il pensiero del suo tempo si perdeva; fu sua mira costante
rianimare la filosofia col contatto della realtà, infonderle uno spirito
nuovo, e sopratutto indirizzarla ad uno scopo di utilità individuale e
sociale. Era naturale ch'egli si volgesse di preferenza verso gli studii
di diritto naturale, che rappresentavano l'indirizzo nuovo e nello
stesso Vedi in proposito la critica severa che il Leìbuitz fa dei
prinoipii esposti dal Pufendorf, cli^ egli teneva in poco conto e come
filosofo e come giureconsulto. Leibnitz : Opera, Ed. Dutens. Thomasias
insegna matèrie giuridiche a Lipsia: per sfuggire alle persecuzioni esalò
a Berlino presso l'Elettore Federico III, che gli offerse una cattedra ad
Halle. npo pratico della scienza filosofica. Anche in questo campo,
r non uscendo dall'indirizzo iniziato dal Grozio e continuato 1
Pufendorf, ebbe modo di dar prova del suo spirito originale. \bbiamo di
Thomasius due opere sul diritto naturale, ritte a distanza di 17 anni, le
quali misurano il progresso to dal suo pensiero in questo periodo di
tempo. Egli riasme quanto prima di lui si era fatto nel campo degli
studii iridici, e si fa eco delle tendenze nuove, da cui si generono
riUuminismo tedesco e la filosofia kantiana. Nella ima delle opere sopra
ricordate noi possiamo scorgere tutta ifluenza esercitata da Grozio e da
Pufendorf sul suo peniro: con essi concorda nel dare alla scienza del
diritto turale come fondamento la natura socievole dell'uomo sotlendolo
ad ogni vincolo teologico, nell'accettare le finzioni Ho stato di natura
e del patto per la costituzione della scita civile, nel derivare, sull'esempio
di Pufendorf, il •itto dalla volontà di un superiore. Fin da questa
prima e Thomasius mostra di meglio comprendere la natura del •itto,
affermando recisamente che non si dà diritto fuori Ila società, né
società senza diritto : ma non pone ancora 'suoi veri termini la
questione dei rapporti tra morale e 'itto: ciò fece solo più tardi sotto
la pressione di speciali •costanze di fatto e per motivi pratici, che
costituiscono la usa intima e motrice di tutto lo sviluppo della sua
dottrina. 27, La Sassonia, in cui Thomasius viveva insegnando a
psia, era in quell'epoca teatro di aspri dibattiti religiosi,
protestantesimo attraversava in Germania una crisi labo)sa. Le lunghe,
interminabili polemiche teologiche ne avevano InstUutiones jurisprudentiae
divinoCj Fundamenta juris naiurae gentium ex sensu communi deducta ecc.
Cfr. InstUutiones ecc. C(r, Institutiones ecc. profondamente falsato il
carattere: la fiducia del popolo, la influenza sul costume erano scosse,
perchè non potevano conciliarsi col dogmatismo arido, intollerante, scolastico,
al quale si era ridotta la vita religiosa. Si destò allora un
movimento di reazione, noto sotto il nome di « Pietismo » che ebbe
a primo legislatore se non a promotore Spener, e che proponevasi di far
rinascere il sentimento religioso nelle sue forme schiette e popolari. Le
lotte tra ortodossi e Pietisti, condotte con un'acrimonia incredibile
minacciavano risolversi iii moti separatisti: gli eccessi di misticismo,
a cui i Pietisti si abbondonavano, provocarono l'intervento dei principi,
partigiani dichiarati degli ortodossi: si promulgarono editti di
repressione, e i Pietisti furono perseguitati, processati, condannati
come colpevoli di stregonerie: la tortura, l'inquisizione per opera dei
protestanti parvero ritornare in onore. Thomasius prese parte attiva a
questi avvenimenti: nel movimento pietista egli vide il ritorno ad un
sentimento religioso più vero e naturale. I Pietisti e quanti erano
accusati di malia trovarono in lui un difensore tanto più efficace in quanto
alla sua mente di giureconsulto tali processi costituivano altrettanti
attentati alla libertà di coscienza, un'invasione della pubblica autorità
in campo che doveva considerarsi sottratto all'azione punitiva. In
occasione di tali fatti egli si rese conto del pericolo derivante dalla
mancanza del criterio distintivo tra ciò che era di competenza della
morale e ciò che rien-r trava nella sfera del diritto. Tali idee
maturarono nell'esilio, a cui egli stesso andò incontro e si presentano
in forma definita nell'opera sul diritto naturale pubblicata. Thomasius nella
sua tendenza al nuovo, ne' suoi intendimenti pratici fu sotto molti
aspetti benemerito della Thomasius combattè la tortura e i processi
contro le streghe nell'opera 4L De crimine magiae. Federico II disse di lui che
aveva rivendicato alle donne il diritto di vivere senza pericolo. La difesa dei
Pietisti e i primi accenni alla distinzione tra morale e diritto si
trovjino nelVo- filosofia tedesca. Prima di Kant egli intravide il nesso
esistente tra il problema conoscitivo, etico e giuridico: primo osò affermare
che la ragione non deve andar disgiunta dal senso, e che solo la
conoscenza dei fenomeni è fonte di certezza. Nel rispettare ed
accrescere l'essenza delle cose consiste il bene, e la maggior felicità
dell'uomo costituisce lo scopo ultimo della morale. Nel concetto
amplissimo di diritto naturale Thomasius fa rientrare la morale e il diritto,
ma nel determinare il principio generatore abbandona Pufendorf,
sostituisce al principio della socialità l'istinto alla felicità, e su di
questo fonda il criterio di distinzione tra le due scienze, di cui l'una
tende ad attuare la felicità interna, l'altra la felicità
esterna. Né solo per lo scopo diverso a cui mirano si distinguono,
secondo Thomasius, la morale e il diritto, ma anche e sopratutto per la natura
dell'obbligazione, la quale si presenta nelle due scienze diversa per ciò
che riguarda l'origine, l'oggetto, i caratteri. L'obbligazione giuridica nasce
dal comando di un superiore, ossia trae la sua forza obbligatoria da
una forza esterna: l'obbligazione morale invece scaturisce dall'intimo
della coscienza individuale, e più propriamente dall'apprensione di un male o
di un pericolo al quale l'agente si espone nell'atto di agire. In
ordine all'oggetto, l'obbligazione giuridica si riferisce solo a rapporti
esterni sorgenti tra uomini uniti dal vincolo di società. L'obbligazione
morale invece ha una sfera di applicazione molto più larga: essa non solo
comprende i rapporti esterni, ma ancora gli interni che l'uomo ha verso
sé stesso. pera € Sai diritto dei principi evangelici neUe controversie
teologiche ». In questa parte non ho potato valermi, come mi valsi
altrove, dell'opera magistrale di BUFFINI sulla « Libertà religiosa ».
Ed. Bocca, Torino Cfr. Fundamenta ecc.
Precisando meglio il suo concetto Thomasius aggiui oggetto
dell'obbligazione morale possono essere Vhom il decornun, mentre
dell'obbligazione giuridica solo lo, Sotto questi tre concetti rientrano
tutti i doveri: Vhc comprende i doveri che l'uomo ha verso sé stesso,
i riassumono nel principio di fare a sé quello che si à altri
faccia: il decorum e ìojusium abbracciano tutti verso gli altri: ma di
essi, i doveri di convenienza e lenza rientrano nel decorwn, i doveri di
giustizia nello, il diritto pertanto non solo non è ciò che di sua n
semplicemente onesto, ma neppure consiste in ciò e sua natura
semplicemente decoroso. Da queste premesse deriva il carattere negativo
e dell'obbligazione giuridica, il carattere positivo e im della
obbligazione morale. Il diritto deve limitarsi a quelle azioni che
appaiono inconciliabili con una vita ordinata: donde la necessità che abbia
limiti fissi e celle sclei>ze fpotall. Bacone e saa posizione nella
storia del pensiero Bac e le scienze morali Etica e scienza civile in
Bacone Il metod Hobbes ^ 35. Hobbes e i suoi tempi — Sistema
etico-giuridico di Hot Il rapporto tra morale e diritto in Hobbes L'opposizione
a Hobi Cumberland Locke e i suoi tempi Morale e diritto in
Locki Da Locib a Hume Humé e i
suoi tempi Filosofia di Hum Rapporto tra morale e diritto in Hume — Adam
Smith e sua im] tanza. Sistema etico-giuridico di Smith Bacone è il
profeta della nuova epoca, è il Mosè e ha dischiuso la vista della nuova
terra promessa. Questo C( cetto espresso dal Macaulay non risolve la dibattuta qi stione
risguardante il posto che Bacone occupa nella sto: del pensiero. A
risolverla conviene considerare a parte Baco e l'opera sua, Bacone e i
suoi tempi, Bacone in rapporto a sviluppo del pensiero scientifico e
filosofico posteriore. Considerata in sé stessa l'opera di Bacone
racchiude un a significato, come quella che, sotto un'apparente
riforma metodo, prelude ad un nuovo orientamento del pensiero, ad
rinnovamento radicale del sapere. Sotto tale aspetto Bacc occupa un posto
eminente non solo nella storia delle scien come ritiene Adam, ma ancora
della filosofia. Primo e assorse al concetto tutto moderno e per l'epoca
sua prematu dell'unità dello scibile sulle basi della filosofia naturale
r novata dal metodo induttivo. Per Bacone l'unità del metod
correlativa all'unità della scienza, e questa è a sua volta riflesso e il
prodotto della unità che si ammira nella natu Le scienze formano un tutto
unico e continuo in cui le pa si distinguono, ma non si separano; quando
una reale se] razione si verifica, la parte divisa isterilisce e muore.
T; Cfir. il noto saggio del Macaulay (Lord Bacon, EssaySf
ed.Tauchn ). Ch, Adam, Philosojìhie de Francis Bacon, ed. Alcan, sulla via tracciata da Bacone: non la
scienza, poiché il prevalere degli studii astronomici sullo studio
delle scienze naturali propriamente dette, fece preferire il metodo
geometrico al metodo strettamente induttivo di Bacone: non la filosofia
che segui un metodo soggettivo ed empirico più che positivo quale era da
Bacone indicato. Nell'azione diretta a scuotere il giogo della teologia ben si
rivela Bacone figlio dell'epoca sua, ma tra i dogmatici e gli scettici
egli si apri una via sua propria, che non fu né la razionale di Cartesio
né l'empirica di Hobbes. Bacone è il vero precursore di quella filosofia
positiva, che il Comte dove opporre alle aberrazioni metafisiche; di ciò può.
far prova la sua dottrina etico-giuridica. Sotto l'aspetto speciale
delle scienze morali Bacone ò non fu preso in considerazione o non fu
rettamente giudicato sia per parte di coloro che vollero derivare da lui
lo svolgimento del pensiero etico inglese, sia per parte di quelli che
negano alle sue dottrine morali ogni valore. Ciò si deve in parte a
Bacone stesso il quale più che un sistema etico-giuridico svolto nelle sue
singole parti, ci lasciò l'abbozzo di un sistema, il quale non attrasse
mai l'attenzione degli studiosi, mentre pur permetteva la ricostruzione
intera del suo pensiero. Due furono le preoccupazioni costanti di Bacone
in ordine alle scienze morali: sottrarle al dominio della, teologia e
della metafisica. Con Montaigne e con Charron egli ebbe comune lo
Le scienze naturali dopo le scoperte di VINCI (si veda), di SERVETO (si veda),
d’Harvey, subirono un arrèsto nel secolo xvii di fronte ai notevoli progressi
dell'astronomia e con essa delle scienze matematiche : la geometria in
particolare divenne per oltre un secola la scienza madre, alla cui iniSaeDza
non seppero sottrarsi le stesse scienze morali. È noto che Bacone fa
fierapiente avverso all'estensione delle matematiche allo studio della
natura. Comte accennando all'unificazione del sapere come allo scopo
ultimo della filosofia posi ti vn^ e costretto a ricordare le geniali
intuizioni di Bacone {Cours de philosophie posUivef I,). sofi
inglesi che lo seguirono, e solo può riconnettersi ai t tativi fatti per
dare alle scienze morali fondamento positivo. Elemento generatore delle
scienze moi è per Bacone la natura, in ciò coerente al principio
secoi il quale la scienza della natura non solo è scienza madre cui
tutte le altre devono coordinarsi, ma in tanto ha valor significato in
quanto può servire a dar norma e indirizzo a vita individuale e
collettiva. Nella classificazione delle scienze posta da Bacoi l'Etica e
il Diritto rientrano nel largo campo delle sciei relative all'uomo; ma
mentre l'Etica è il ramo più nobile de Filosofia umana, che studia l'uomo
a sé, in quanto consta elementi corporei e spirituali, il Diritto colla
Politica costuisce la parte fondamentale della filosofia civile, la
qu move dal presupposto dell'uomo associato e già eticamei
formato. I rapporti e i limiti tra le due scienze sono in tal me
implicitamente segnati: l'Etica forma l'individuo, la Scien civile
mediante il diritto provvede alla prosperità e alla pi interna di uno
Stato : quindi differiscono tra loro per l'ogget lo scopo, la sfera
diversa in cui si svolgono. Niun dubbio e il contenuto della scienza
civile, risultando di elementi as$ varii e disparati, con grande
difficoltà si lascia ridurre a le| e abbia letto le sue opere. Certo
conobbe VANINI (si veda) a Londra sopratntto apprezza TELESIO (si veda) che
chiama amantem veritatis et scien ntileni, hominam novoram primuin. La
decadenza della filosofia morale e civile è attribuita da Bacne notevole, per
quanto non avvertita, nella ndividuo segue suo malgrado il moto
generale cui riflette i sentimenti, le idee, le tendenze, on può
far assegnamento sull'azione di queste Qè subisce i vincoli e le
repressioni sociali formazione dell'uomo interiore. Ancora l'Etica
ne interna dell'uomo, e sulla bontà dell'inteninsiste: per la vita e per il
progresso sociale liformità esteriore degli atti alla legge, e per D
servire mezzi sensibili e materiali, l'uso dei agli scopi della
morale. Le proporzioni stesse sua stessa perennità di esistenza, la
complesiti che lo costituiscono sviluppano un gioco Bazione, per cui le
cause deleterie agiscono 3 insensibilmente: nei singoli individui,
data vita, e la costituzione più semplice del loro ^uenze delle
azioni disoneste si svolgono più lutamenti nell'opinioni e nei costumi
sono più i. Per tal modo Bacone sotto colore di accenItà diverse, contro
cui l'Etica e la Scienza ttare, tocca le differenze tra le due
discipline, apporti che corrono tra individuo e Stato. Le devono
tener conto delle condizioni variabili vidui : le norme giuridiche valgono per
l'orforme, perchè più vasto, dello Stato, e in esso osserva Bacone (De
Aug,) che Soggettò è pili di ogni altro « materiae immersum^
ideoque mata redncitur. compaiono le differenze dell'individuo, che è
l'atomo della vita sociale. La stessa modernità di vedute
Bacone dimostra nel trattare a parte l'Etica e il Diritto. Dal modo di
comportarsi degli esseri in natura, egli trae la soluzione del problema
teorico relativo alla natura del bene. Ogni cosa in natura,
esistendo ad un tempo per sé e come parte di un tutto, tende a conservarsi,
accrescersi, moltiplicarsi: cosi esiste per l'uomo un bene individuale e
collettivo; nello svolgere sé stesso e le proprie facoltà in guisa da
rendersi atto a far il bene del tutto, di cui fa parte, sta la perfezione
morale dell'uomo. Determinata la natura del bene, bisogna che l'uomo sia in
grado di raggiungerlo con una serie di mezzi, che solo può indicare
lo studio della costituzione psichica speciale di ciascuno, variabile
secondo i tempi, i luoghi, l'età, il sesso. In ciò sta la morale pratica,
nel trattare la quale il moralista deve fare come il medico che studia il
corpo umano per conoscerne i mali e indicarne i rimedii. Lo studio del
bene collettivo fa parte dell'Etica non della filosofìa civile come a
tutta prima potrebbe p/irere. Finché prepariamo ed educhiamo l'uomo
a convivere in società, a preferire il bene comune al proprio, la
vita attiva alla contemplativa, noi non usciamo dai limiti e dai compiti
della morale. I rapporti tra l'Etica e la Scienza civile sono svolti da Bacone
nel De Augmentis. La dottrina etica di Bacone è contennta nel De
Augìnentis : la dottrina giuridica, e. m, sopratatto nell'Exemplum iractatus
de justitia universali; sive de fontibus juris > che è aggiunto come
appendice. Distribuisce Bacone la dottrina etica in due parti: l'una
teorica € de exemplari boni » tratta della natura del bene ; l'altra
pratica « de regimine et cultura animi » tratta delle norme atte a
conformare l'animo al bene : senza quest'oltima, la prima è come una
statua « pulchra quidem aspectu, sed motu et vita destituta » (De Aug.). In
quella guisa che è cosa diversa fabbricare una macchina, e metterla in moto,
così la scienza civile si distingue dalla dottrina del bene collettivo
che conforma l'animo alla vita sociale. senato moralmente l'individuo,
entra in campo la Scienza avente per oggetto l'uomo congregato.
Nell'abbozzo filasciatoci da Bacone è la parte che presenta maggiori 3 e
imperfezioni. Però nel trattare dell'azione dello Stato ipporti interni
fra i cittadini, azione che si esplica meì il diritto, Bacone dà novella prova
di larghezza e orità di vedute. Il diritto non è fine a sé stesso, ma
per procurare il benessere materiale e morale del poNel trattare di
legislazione Bacone dichiara dì voler seun metodo suo proprio, distinto da
quello adottato dai consulti filosofi e pratici, dei quali i primi fanno
leggi jinarie per stati immaginarli, i secondi sono schiavi leggi e
degli usi locali, non hanno la guida dei prinche è condizione di equanimità e
sincerità nei giudizii. :islatore deve conoscere la filosofia civile, e
l'equità ale da un lato, ed essere dall'altro esperto conoscitore
>stumi e dei bisogni del popolo, pel quale fa le leggi ., varietà delle
leggi può bene associarsi, secondo Baalla loro unità, poiché sotto le
moltiformi leggi degli e dei popoli, non é difficile rintracciare certi
principii Lstizia costanti, su cui può elevarsi un sistema di legisle
ideale, a cui tutte le leggi diverse si riconducono, e i tutte discendono
(3). Ma la sapienza del legislatore non solo consistere nel conoscere e
determinare le legum ma ancora nell'applicazione della legge (4).
Quest'aspetto La dottrina deUo Stato è da Bacone distìnta in dne
parti : Tiina mo 8ive de repuhlica administranday l'altra de justitia
universaUf sive ihu8 juriSy ossia la parte politica e la giuridica (De
Atig,). Xr. De Aug,, ove dice: philosopbi multa prò-, dictn pulchra, sed
ab usu remota. Jnrisconsnltì antem, suae qnisqne leguin, yel etiam ROMANORVM
aut pontificiarum, placitis obnoxii, sincero non ntnntnr, sed tanquam e
vincnlis sermocinantur »'• I!fr. De justitia univeì^sali, Aph. 6.
i La saggezza del legislatore, egli scrive, consiste non solo nellMli
giustìzia, ma nella sua applicazione^ nel prendere in consideramezzi per i
quali le leggi sono reso certo, le cause e 1 rimedi delle
Lcertezze. formale del diritto, trascurato dai fìlosofl del diritto
naturale,,ha un'importanza nell'attuare gli scopi della giustizia, che
non sfuggi a Bacone; se vario è il contenuto delle leggi, la forma
è costante e può ridursi ad assiomi; se la perfezione delle le^i non può
facilmente ottenersi, almeno devesi cercare la certezza coi mezzi
formali. Là certezza è condizione necessaria per conseguire VaequUasjuris,
ossia l'uniforme interpretazione e applicazione della legge, da cui dipende la
efficacia e l'autorità del diritto sostantivo. Poco meno di due
secoli dovevano trascorrere prima che le idee di Bacone fossero accolte e
applicate: erano premature. Bacone fece come colui che avendo trovato una
nuova via vi si slancia con entusiasmo e la percorre rapidamente fino
alla fine: ma gli altri per tal via non lo seguirono come quella che
contrastava troppo alle tendenze e ai metodi filosofici del secolo: ailcora la
mente umana non aveva condotto il metodo razionale alle sue estreme conseguenze
per ricredersi, e porsi sulla via più modesta, ma più sicura aperta da
Bacone alle scienze morali. Hobbes fu chiamato il primo discepolo di Bacone :
tale filiazione intellettuale, sostenuta fra gli altri dal Kuno
Fischer, fu generalmente accolta: le stesse relazioni personali che corsero
tra Bacone e Hobbes parvero confermarla. Il Wundt stesso fa dell' Hobbes
un continuatore di Bacone nel campo delle scienze morali. Studii più
recenti vennero in opposto parere, a noi crediamo col Lange, collo Jodl, col
Sidgwick, che si debba negare qualsiasi rapporto di filiazione tra Hobbes
e Bacone. La diversità del metodo rispettivamente usato e ornai
posta fuori di dubbio dal Lange e dallo Jodl. Lange. Il criterio della bontà di
una legge sta in ciò ch'essa sia « intimatione certa,' praecepto jnsta,
executione commoda, cum forma politiae congrua, et generans virtutem in
subditis (Ib. Aph.. Cfr. Wnndt: Ethik, Libro II, e. ni. Cfr.
Sidgwick : Outlines of the history of Ethics, London Cfr. Jodl:
Gesc'xiichte der Ethik, definisce il metodo di Bacone induttivo, quello dell'
Hobbes ipotetico-deduttivo, ossia cartesiano. Mentre il primo procede
analiticamente movendo dall'individuo per elevarsi €\ genere e quindi giungere
direttamente alle cause reali dei fenomeni, salvo poi ricorrere alla
deduzione per utilizzare e generalizzare le verità discoperte, Descartes
e sulle sue traccio l'Hobbes procedono sinteticamente premettendo la
teoria a guisa di ipotesi, spiegando mediante essa i fenomeni, per
poi controllare la bontà della medesima facendo ricorso alla esperienza,
a cui spetta la pai'te principale e decisiva nella dimostrazione. Ninna
comunanza quindi di metodo tra Bacone e Hobbes: entrambi ricorsero
all'esperienza, ma Bacone vi ricorse per elevare su di essa la scienza,
Hobbes per confermare la teoria, posta innanzi come ipotesi. Osserva il
Lange che il metodo ipotetico-deduttivo è assai più vicino al vero
processo seguito nello studio della natura che non quello induttivo di
Bacone: qualunque sia il valore di tale affermazione, essa è vera pel secolo
XVII, nel quale prevalsero l'astronomia e le scienze matematiche. A questo
metodo, prevalente nel campo stesso delle scienze naturali, non ancora
trasformato in razionale puro per opera dei fanatici seguaci di Cartesio,
appartiene Hobbes. Questi contrariamente a Bacone studiò ed apprezzò le
matematiche: in istretto rapporto coi tempi egli riconobbe e accolse
senza restrizioni (ciò che non fece Bacone) gli importanti risultati
ottenuti nel campo delle scienze naturali: e mentre a Copernico
rivendicava l'onore di aver fondato l'astronomia, a Galileo la fisica,
all'Harvey la fisiologia, sperava che altri potesse dire lo stesso di lui
in ordine alla filosofia politica. Come Cartesio egli mosse da un
presupposto teorico alla costruzione del suo sistema, e cercò nella
esperienza e osservazione fisiologica argomenti a sostegno della sua
teoria. Cfr. Lange: Histoire du matórialisme, Lange. IC p''yiHBI'PUV''^l-l'^- 5& -La
filiazione tra Bacone e Hobbes come non e«i I)el metodo cosi non esiste
né diretta né indiretta per la ( trina. Se comune ad entrambi é
l'avversione ai vieti pres posti metafisici e teologici, nonché il
sentimento di ribelli all'autorità di Aristotele e la tendenza a
secolarizzare scienze morali, non per questo si può dire col Wundt
Hobbes continuò Bacone, ma solo che entrambi subir le stesse condizioni
generali dell'epoca, ciò che non impe» Hobbes di elevare una metafisica
di nuovo genere, div€ dall'antica teologica, ma non meno contraria alla
filosofia coniana. Ma se con Bacone subi l'influsso generale del
ten non da lui Hobbes trasse motivo e ispirazione a scrivere cose
morali e civili, ma direttamente dalle condizioni pa colari
dell'Inghilterra del suo tempo. Egli non assiste ind rente e quasi ignaro
come Bacone ai gravi rivolgimenti poli e religiosi che agitavano il suo
paese e che dovevano a\ una importanza decisiva sull'avvenire del popolo
inglese: vi partecipa direttamente, proponendo quella che a lui pa
la vera soluzione, e sopratutto richiamando sui problemi rali, religiosi,
politici l'attenzione degli studiosi e degli uon di Stato che sotto
l'influenza delle sue dottrine dovevano vidersi in due campi opposti e ostili.
E cosi mentre Bac isolandosi dai suoi tempi non sollevò intorno all'opera
proj né le ire né le lodi dei contemporanei, Hobbes inspirandosi
suoi scritti direttamente ai fatti che prepararono la Gra Rivoluzione
inglese, esercitò un'influenza decisiva sull'i rizzo e sullo sviluppo
ulteriore delle scienze morali. La rivoluzione che si andava
maturando nell'Inghilt^ I, era ad un tempo ec( mica, politica,
religiosa; ma nelle sue diverse forme essa ] presentava pur sempre
l'emancipazione dell'individuo dai coli che ne ostacolavano la libera
attività. Proprio in (
l'Inghilterra cessava di essere un paese esclusivam( Wundt:
Op. cit., Lib. II, e. ni. agricolo per divenire in un certo grado
paese commerciale e manifatturiero; la proprietà mobiliare frutto del
lavoro si affermava vigorosamente di fronte alla proprietà
terriera, nata dalla conquista: cadevano le corporazioni d'arti e mestieri,
i monopolii, i privilegi; lo Stato cominciava a legittimarsi in proporzione
della libertà e dei vantaggi che derivavano all'individuo. L'individualismo
economico mette capo all'individualismo politico: una trasformazione in
senso democratico dello Stato si rendeva oramai inevitabile; a misura che
la coscienza della propria forza si diffondeva nella classe media
lavoratrice cresceva l'avversione contro il lusso smodato di Corte,
contro le arbitrarie imposizioni, contro le indebite ingerenze dello
Stato, di cui volevansi ridotte al minimo le funzioni, e si voleva controllata
l'azione nei rapporti coi cittadini. L'individualismo economico e
politico traeva nuova forza dalle credenze religiose sorte dalla Riforma
Protestante. Il Calvinismo penetrato in Inghilterra nella sua forma più
rigida, aveva prodotto i Presbiteriani scozzesi, e i Puritani inglesi. Era
appunto nell'essenza del Calvinismo democratizzare le credenze religiose, porre
l'uomo in rapporto diretto colla divinità, farne l'interprete della legge e
della volontà divina, senza bisogno di intermediarii, che facevano servire la
religione a scopi ambiziosi e politici. Il trionfo dell'individualismo
nelle sue diverse forme non fu senza contrasti: esso lottò contro le
tendenze reazionarie e assolutiste del potere regio che ebbe ad alleata
docile e passiva la Chiesa anglicana o episcopale. Non rimasero i
forti pensatori dell'epoca estranei e indifferenti alla lotta: tra
tutti si distinse l'Hobbes, la cui dottrina concepita quando più accanita
ferveva la lotta, trovò eco profonda negli animi. E l'in Cfr. per le
condizioni economiche deU* Inghilterra in quest'epoca il Cnnningham,
English Commerce and Industry— per le condizioni politiche il
Burgess,Politicai Science and Comparative Constitutional law — per le condizioni religiose il
Ruffini, « Libertà religiosa. fluenza da lui esercitata fu in
proporzione del disinteresse e^ della sincerità dell'opera sua di
scrittore. All'assolutismo non fu condotto da motivi di interesse
personale, ma da quello stesso individualismo che trionfo colla Rivoluzione,
e che in niun tempo trovò un più forte e convinto sostenitore; ma appunto
per ciò parve ad Hobbes che l'assolutismo solo potesse contenere lo
sfrenato egoismo della natura umana. Il vecchio e il nuovo vengono pertanto
stranamente a incontrarsi nella dottrina dell'Hobbes senza confondersi:
la base psicologica del suo sistema, rispondendo ad un lato costante
della natura umana, potè vivere di vita propria, e servir di punto di partenza
allo sviluppo ulteriore del pensiero etico inglese, indipendentemente dalla
forma politica da lui vagheggiata. Per opera d’Hobbes penetrava nel campo
della speculazione fìlor sofica e sopratutto delle scienze morali
quell'individualismo, che fino allora ne era stato lontano per
l'influenza delle opposte teoriche del diritto divino, e della morale
cristiana, e vi penetrava nella sua forma più rigida senza
temperamenti di sorta. Di qui la importanza e il significato della
dottrina etico^iuridica dell'Hobbes. Hobbes intese sopratutto col
suo sistema risolvere un problema politico, e a questo subordina come
mezzo al fine la morale e il diritto. Anche sotto tale aspetto più che
a Bacone egli deve riconnettersi a quella corrente generale di
pensiero, che originatasi dalla Riforma e svoltasi nella formazione degli Stati
moderni, aveva elaborato il concetto di una legge di natura, ossia di una
norma ideale, morale e giuridica ad un tempo, tratta dallo studio della natura
umana, su cui dovevansi modellare i rapporti politici. Ma contrariamente
al Grozio e ai cultori del metodo razionale, l'Hobbes nello studio
dell'uomo e nella concezione di uno stato e di una legge di natura
diffida della ragione e della storia, e si Con frase felice U Tulloch
chiama l’Hobbes un radicale a servizio della reazione. si
esclusivamente dei risultati condotta con criterii empiri %
lui come a un precursore d 5 altri si preoccupa delle esig lobbes
con concetto assai più r dell'operare umano, e sili i eri,
della osservazione psicolc il suo sistema. Quindi è che Hobbes
devonsi, secondo noi, ma fondata sull'osservazione ] jato carattere
empirico-indutti i risultati della prima ha car r runa
l'Hobbes sopravive a' s iza per l'elaborazione ulterio •a partecipa
alle astrazioni mei mpo psicologico Hobbes è un ) nell'uomo due
sostanze, ma ( psichici; il moto dei corpi si ai nostri
sensi, che lo trasmett: segue la sensazione, ossia ui reazione
dall'interno all^esteri d allontanare l'oggetto esterno od
ostacola la vita, ossia a i ile: effetti soggettivi concomitj e e
il dolore. Il piacere è la mis . In questa concezione material ra
si fondano la moralità e il erò non perde nella società civile la sua persoica
e morale: lo Stato riposa pur sempre sul tae sulla tacita cooperazione degli
individui e la rova limiti efficaci in una saggia separazione di
)ntrollo permanente del popolo, nella legge stessa cui le leggi civili
non possono contraddire. nenticare che nel sistema politico di Locke
spiega )cisiva la pubblica opinione, le cui norme risponsialmente a
quelle della legge di natura, modifi. costume e dagli usi locali, sono tali da
tenere acemente cosi le azioni dell'individuo come quelle
iti. sistema etico-giuridico del Locke, come in quello due
diversi indirizzi convergono, l'indirizzo utili;o, e l'indirizzo
metafisico-razionalista, proprio dei iritto naturale. È innegabile che
nella determiflne e dei motivi della moralità, egli continua e 3todo di
osservazione psicologica iniziato dali senza allargarne i limiti fino a
comprendere gli ili tra le condizioni della felicità e i motivi di
combattere poi l'innatismo, egli rappresenta un presso sull'Hobbes, in
quanto dischiuse la via, da non percorsa, alla conoscenza
sperimentale e pomoralità., e.
Bull^Bsteusione e limiti del potere legislatÌTO. D'altro canto
nella parte ricostruttiva Locke è un razionalista, subisce l'influenza della
scuola del diritto naturale, e segue con Cumberland l'indirizzo di Grozio
distaccandosi da Hobbes e dalla sua dottrina. Infatti nel Locke il
concetto della legge di natura presenta un carattere di
universalità e di obbiettività che in Hobbes originariamente non ha, e
la sua teorica del governo, scritta à giustificazione di fatti compiuti,
e rappresentando le aspirazioni popolari è le idealità politiche de'
tempi nuovi, e destinata a esercitare un'influenza notevole in Francia ove la
trasformazione sociale ed economica in senso individualista stava
iniziandosi. La concezione della legge di natura, come norma razionale, il
concetto dell'individuo fatto sovrano ed esecutore della medesima, i
principii della sovranità popolare, d'uguaglianza, della separazione dei poteri
sono dal Locke enunciati nella forma più suggestiva e diventano
patrimonio comune delle coscienze nuove. Ma se era più consentanea alle
aspirazioni^e alle esigenze razionali dell'epoca, la teorica di Locke mancava
di quel fondamento positivo che riscontrasi invece in Hobbes, la
cui dottrina dello stato di natura, fondata sull'osservazione ristretta ma
vera della natura umana, si ravvicina ne' suoi risultati assai più che
non quella del Locke alle reali condi-zioni dell'uomo preistorico. La
teorica della legge merita speciale attenzione in Locke come quella che
rappresenta un tentativo fatto per distinguere la morale dal diritto e
stabilirne i rapporti reciproci sopra una base nuova, suscettiva di
svolgimento e di progresso. In omaggio alle idee dominanti Locke assorge
al concetto di una legge di natura generatrice di ogni altra, misura
obbiettiva, universale, immutabile della condotta in generale: ma questa
legge soddisfa ad una esigenza puramente teorica e ha una esistenza
ideale, mentre nel fatto si risolve in legge civile e in legge del
costume, che rispondono rispettivamente alla legge giuridica e alla legge
morale. L'ordine naturale obbiettivo rappresentato dalla legge di natura
i operatasi in- quel secolo per parte dei NON-CONFORMISTI (Herbert Grice),
là quale colla lunga oppressione scosse 1’influènza tirannica della chiesa
ufficiale. A. misura che il dispotismo politico e religioso perdeva
terreno cresceva l'interesse per le indagini di natura morale, e civile.
Hobbes e Locke avevano posto i germi per un nuovo orientamento degli
studi morali, iniziando l'indagine psicologica: ma mentre l'uno fu
indotto dalla logica inesorabile de' suoi principii a soffocarne i
risultati nel dispotismo, l'altro cercò temperare le premesse
psicologiche, ancor sempre ristrette e unilaterali, facendo ricorso ad elementi
razionali. Il dualismo tra ciò che era risultato dell'analisi psicologica
e le esigenze della ragione e della pubblica opinione, si risolve
dopo Locke in due indirizzi distinti, personificati in Clarke e in
Schaftesbury. In Clarke la ragione riacquista intero e
incontrastato quel primato nella formazione della moralità e del diritto
che la scuola empirica tendeva a scuotere in favore della volontà:
movente all'azione e criterio di moralità è l'evidenza e la certezza dei
principi! morali, non innati nell'uomo o rivelantisi intuitivamente
all'intelletto, ma razionalmente dedotti dai rapporti immutabili e naturali
delle cose. Le idee morali e giuridiche vengono per tal modo a confondersi
colle verità intellettuali, la necessità lògica si converte in necessità
morale, e il dovere diventa Passenso necessario dato alla suprema ragione
delle cose. Il RAZIONALISMO penetra col Qlarke in Inghilterra, distinguendosi a
un tempo dall'innatismo professato anteriormente dalla scuola di
Cambridge, dall'intuizionismo posteriore del Butler e del Reid: esso
rispondeva alla segreta ispirazione di molti di trovare, secondo il
concetto espresso dal Locke, alla condotta una base cosi sicura come
quella trovata da Newton alla meccanica. Ma tale indirizzo inteso a
fondare le scienze morali e giuridiche su principii astratti Cfr.
del Clarke l’opera pubblicata col titolo, A Discourse, concerning the
Being and Attrihutes of God ecc, il quale, sottratto alla ragione e alla
riflessione, è fondato sul senso, divenuto capace non pur di impulsi
egoistici ma anche altruistici. Con Schaftesbury sono definitivamente
acquistati all'etica empirica due concetti nuovi: la naturalezza delle affezioni
socievoli, che concorrono coll’AMOR DI SÉ (H. P. Grice, SELF-LOVE) a regolare
le azioni umane, — il senso morale, ossia un elemento tutto interiore
sostituito alla volontà divina e umana, alla ragione stessa come criterio
di approvazione, e fatto capace di determinare all'azione. Senonchè il difetto
di rigore scientifico nelle affermazioni dello Schaftesbury, l'ottimismo
esagerato che lo anima tolsero efficacia e autorità alla sua dottrina,
ugualmente combattuta da liberi pensatori come Mandeville e da ortodossi.
I germi da lui posti furono raccolti e innalzati a dignità di sistema da
Hutcheson, il noto fondatore della Scuola Scozzese. Nell'Hutcheson
il problema della condotta assume l'ampio e sistematico svolgimento, di
cui dopo Cumberland. non si aveva avuto esempio. Anche per Hutcheson
fonte originaria della vita morale e giuridica è il senso morale, elevato
a criterio modellatore e ordinatore degli affetti umani, tra i quali esso
dà il primo posto alle affezioni benevoli, aventi un grado diverso di
estensione e quindi di eccellenza intrinseca. Dalle forme della simpatia,
pietà, gratitudine, amore, affetti domestici, amicizia, patriottismo,
l'affetto benevolo si eleva gradatamente fino all'amore verso l'umanità
in generale, spogliandosi mano mano degli elementi impulsivi, violenti,
egoistici per raggiungere uno stato di calma determinazione verso il bene
di tutti. La ragione non spiega un'attività sua propria nello sviluppo
della vita morale; essa deve solo con Le opere principali di Hntoheson
sono: An Inquiry into the Originai of our ideas of Beauty and Virtm, e qneUa
postnma edita dal figlio dell' A.: A System of Moral Philosophy, Ci siamo
valsi dì qaest'alttma peU'edizìone francese. Cfr. Systeme, ove
tratta del «enso morale. ire e confermare sulle basi dell'osservazione e
dell'espea le naturali manifestazioni del senso morale. Dall'eserdelle
affezioni socievoli e disinteressate scaturiscono i ri più puri e
durevoli, e deriva all'uomo il massimo : donde la perfetta armonia e
corrispondenza tra virtù icità. Il senso morale come ci fa rilevare la
bontà, così intuire il carattere del giusto nell'azione, carattere
che ^ela nelle affezioni tendenti al bene generale; vien cosi nata
la coincidenza tra bontà e giustizia, tra azione a e giusta in guisa che
basta agire bene per agire giusto, me pertanto è il fondamento
psicologico della morale e liritto. Ma se l'intenzione è condizione
necessaria perchè :ione sia buona e giusta intrinsecamente (bontà aliate),
per gli scopi e le conseguenze pratiche della condotta i, secondo
Hutcheson, la bontà formale, ossia la conforanche solo esteriore ai dettami del
senso morale. ) spiega perchè Hutcheson passando dai principii
teorici costruzione concreta di un sistema di norme etico-giufie si
preoccupa sopratutto di assicurare la bontà forcome quella che più interessa la
convivenza sociale: e scopo sostituisce al criterio soggettivo del senso
moil criterio oggettivo del bene pubblico . per determinare oralità più
propriamente la giustizia dell'azione, adot) il principio che divenne in epoca
posteriore la base istemi utilitarii, ai quali prepara la formola (2).
Preocto quindi del bene pubblico e della bontà formale, l'Hut)n doveva
insensibilmente esser portato a sacrificare alle nze giuridico-sociali,
gli interessi della moralità propriae detta : lo prova il fatto che
nell'indicare le norme di Cfr. Op. cìt.y ibid.y lib. Ili,
ove spiega i concetti di giustizia e di tizia^ di bontà materiale e
formale, di diritto e di legge, di diritti ti e imperfetti. Ecco le parole
precise di Hutcheson: « that action is best which res the greatest
happiness for the greatest numbers. Questa forcorrispoude a quella di Bentham. 1fVa«fr'J»K
•?.!•"% condotta esso segue il sistema e la classificazione
dei giurisi anziché quella dei moralisti. Questo costante equivoco
ti moralità e diritto si rivela ancora nella distinzione da li
posta tra diritti (e quindi obbligazioni) perfetti e imperfetl di cui
solo i primi sono assolutamente necessari alla vii sociale, e possono
essere coattivamente imposti, mentre i s libertà ;, in cui tratta del
governo civile, del contratto sociale, delle leggi civili. Cfr. Miller,
Laio of nature and nationa in Sootland, Edinbur: saggio primo, p. 3-35 ove si
tratta della filosofìa giurìdica del Scuola scozzese, e in particolare
del sistema dell' Hutcbesou, condotta. Senonchè il fondamento ra capace
di analisi ben più prolato della dottrina dell'Ha tcheson th, per opera
dei quali la teorica lo deirosservaÉione psicologica ap)lsero e si
perfezionarono. 'Hutcheson nel campo delle scienze dell'Hume e
dello Smith ed ebbe a a. La rivoluzione
ilterra la triplice trasformazione ja. Col trionfo del sistema
pariaio, della libertà religiosa sull'ina libertà economica sul protezioLlismo
sotto tutte le sue forme si dominio incontrastato. Nella Scozia
storiche, la rivoluzione aveVa preantesimo contro il sistema episcoil trionfo
della libertà nazionale da un lato, dell'intransigenza re:ico dall'altro.
La lotta politica luove energie commerciali e inducata da questioni
religiose: epperò entrambi i paesi conseguita, essa pagnata e
integrata dalla libertà necessario che l'annessione della enuta
definitivamente, e a rivoluzione, esplicassero i loro esse scuotere
il giogo della super-, religiosa. Né deve far meraviglia III, proprio
quando più fioriva lo storia del pensiero uomini come le loro
dottrine, contrarie all'in-, non trovarono eco nella Scozia, M)«a,
Torino, Boccs, mentre esercitarono grande influenza in Inghilterra, ove furono
apprezzate e discusse: secondariamente Tesser essi nati e cresciuti
nell'ambiente scozzese spiega le caratteristiche del loro intelletto, e
sopratutto la natura del metodo seguito, che fu essenzialmente deduttivo
e contrario all'induzione empirica dominante in Inghilterra. Vedemmo
l'Hutcheson trarre dal postulato indimostrabile del senso morale tutto il
suo sistema filosofico: analogamente fece Smith movendo dalla
simpatia: l'Hume fu avversario dichiarato dell'indirizzo baconiano, e subordinò
costantemente il fatto all'idea. Speciale importanza hanno l'Hume e lo Smith in
ordine alla determinazione del rapporto tra morale e diritto: per
opera loro il problema si avviò verso una soluzione che fu sotto
molti aspetti notevole e decisiva. L'osservazione empirica della natura
umana confermata dall'esperienza fece convinto l'Hume che esiste
un'attività interiore originaria e istintiva, il senso morale che
determina all'azione, e che la ragione può solo regolare ed
esplicare. L'Hume non si preoccupò tanto dì studiare direttamente
questa facoltà innata dell'uomo e di penetrarne la natura, quanto
piuttosto di rilevarne gli effetti e le manifestazioni oggettive e soggettive.
L'azione determinata dal senso morale, ossia l'azione virtuosa è
oggettivamente utile, soggettivamente piacevole: perciò il giudizio sulla
moralità dell'azione, il motivo dell'approvazione e disapprovazione morale, la
determinazione di ciò che l'Hume chiama il merito personale si risolvono
oggettivamente nella valutazione del grado di utilità inerente
all'azione, soggettivamente nell'intensità del piacere provato. Né si
creda che l'Hume limiti le manifestazioni del senso morale all'utile e al
piacere individuale: egli riesce a generalizzare e ad umanizzare i concetti
dell'utile e del piacere mediante la simpatia, per la quale ciò che è
solo utile ìndi- ci) SaUe condizioni politico-sociali della Scozia in
quest'epoca e soprattutto si^l ci^rattere della filosofia scozzese cir, i}
Btickle. e piacere soggettivo e variabile diventa utile generale e
comune. Il senso morale e la simpatia vengono per tal costituire i motivi
psicologici della morale dell'Hume, l'utile e il piacere in senso largo
ne costituiscono le maioni e i criteri di valutazione pratica e immediata.
Ma l'minatezza di tali concetti allarga oltre misura il campo 3rale
fino a comprendere in essa, secondo il concetto ;uttociò che è naturale :
il dissidio dell'etica cristiana ihe è utile e piacevole e ciò che è
razionale e morale, tra ha carattere obbligatorio e ciò che è meramente
sponistintivo è pressoché scomparso nell'etica di Hume. Pochi come Hume
hanno inteso e accentuato la distina morale e diritto. L'Hume non era solo
filosofo ma ippassionato, e autorevole parve ogni qual volta emise
rere sopra questioni economiche, politiche, religiose. e e diritto non
hanno comunanza di origine, di natura, . Mentre la morale si svolge
dall'intima costituzione tura umana, la giustizia si origina per
riflessione dalle ì della civile convivenza. La giustizia non può
conciliarsi ito di natura quale era descritto dall'Hobbes, che la
resa impossibile, e neppure collo stato di natura immani Rousseau, che
l'avrebbe resa superflua; essa si svolge lente colla convivenza sociale,
nella quale essa tende to a garantire la proprietà privata. La morale si
svolge riduo, e alla felicità dell'individuo intende: i suoi prenno
carattere di spontaneità e di indeterminatezza, 3lli che si fondano sul
senso morale, proprio di ciascun e di natura misteriosa. La morale si
vale essenzialjlla cooperazione dei singoli, e le fasi del suo progresso
rapporto col grado di sviluppo e di perfezione ragagli individui. La giustizia
non trae origine dal sen'anno prova le sue notevoli opere storiche, e i saggi
namerosi )ta, suUa bilancia commerciale, sul credito, snU' interesse
ecc., noto saggio : The Triturai hUtory oif religion» iimento
ma dalla ragione: essa ha costantemente di mira l'interesse del tutto,
alla cui stregua e non a quella dell'individuo le sue norme devonsi valutare e
giustificare. Frutto di calcolo e di riflessione, imposte dalla necessità
della convivenza, le norme di giustizia costituiscono altrettanti
attentati alla libertà e felicità dell'individuo; quindi mentre sono coattive,
devono essere al minimo ristrette, precise, determinate. Le norme morali
sono come le pietre ciascuna delle quali concorre all'erezione
dell'edificio; le norme di giustizia sono come la volta che sta per la
mutua cooperazione di tutte le sue parti non per l'azione isolata delle
singole pietre che la compongono. La natura stessa della giustizia rende
inevitabili gli Stati e i governi, che la conquista e l'usurpazione più
che il consenso fanno sorgere, e che l'azione del tempo e il consolidarsi
degli interessi finiscono per legittimare La figura di Hume ha un'importanza
notevole nella storia delle idee morali e giuridiche dell'Inghilterra:
egli riassume per molti aspetti il passato e prelude a nuovi indirizzi di
pensiero. Concorda coU'Hobbes e col Locke nel rilevare il carattere
razionale o convenzionale delle norme di giustizia: con Hutcheson difese la
morale del sentimento contro gli Intellettualisti : nel ridurre al minimo
l'azione dello Stato, nel restringere la giustizia alla difesa della
proprietà egli subì l'influenza dell'individualismo dominante all'epoca
sua in Inghilterra: nell'importanza data ai concetti della simpatia e
dell'utile apri la via da un lato allo Smith dall'altro lato a Bentham. Sintomatico
per il metodo è il dispregio che Hume ebbe pei fatti, a cui raramente
fece ricorso per confermare le sue Le dottrine etico-giuridiche deU' Hume
sono contenute particolarmente nei seguenti saggi : 1) e An inquiry concerning
the principles of morals, Of the origin of government, That polìtìcs may
be reduced to a scìence, Of the first principles of government, Of
the originai contract. Questa è la ragione per la quale l’Hume e ingiustamente
severo nel giudicare Bacone Cfr. Ektory ofEngland, Lond» 19d« ai quali ad ogni modo
riservò un posto secondario e aato alle idee. L'eccezionale acume e
potenza d'intelrmise all'Hume di intuire il vero, e di trarre da' suoi lì
conseguenze non contradette dai fatti: per lui la la religione, il
diritto hanno un corso naturale, che me solo può determinare, e che
spesso contraddice alla storica: determinare questo corso ideale delle
cose Ito precipuo della filosofia. L'analisi dei sentimenti in
quanto sono stimoli all'o- umano fu con larghezza e originalità di vedute
contila un terzo grande pensatore scozzese. Smith, isse con metodo
deduttivo tutta la sua dottrina ecodall'esame dei sentimenti egoistici, cosi
come fece dei inti altruistici o simpatici la base della vita
morale. œconomicus da un lato, l'homo eihicus dall'altro secondo
Smith, a movente dell'azione sentimenti Moral sentiments e Wealih
of nations anziché con5i, come vogliono alcuni, si completano a vicenda e
)no due esempi insuperabili di astrazione psicologica a con logica
geniale e rigorosa. mpatia è un sentimento originario e irreducibile
dei- associato. Essa consiste in un accordo di sentimenti, accordo
ha luogo in noi, quando i sentimenti che agnano l'azione nostra si
accordano coi sentimenti di 30sto spettatore imparziale, che si erige a
giudice in provano le sne affermazioni geniali e confermate dagli stadi
pòiiU' origine deUe religioni e dei governi, sulla condizione deU'uomo 1^
sai fenomeni economici ecc. a deUe opere pili originali di Hume è
The naturai history of re* cui arriva alla conclusione vera che il
politeismo ha preceduto n monoteismo : la prova però che ne dà è
essenzialmente teorica ca. le osservazioni del Buckle, Op.
cit. e. xx, sul metodo seguito th, e sui caratteri della sua filosofìa.
Cfr. anche Lange, Histoire aliarne f Paris. Smith pubblicò The
moral sentiinente nel 1759 e nel 1776 pubblicò Wealth of
nations. 'i«^r: noi di noi stessi ; ha luogo fuori di noi quando il
nostro sentimento si accorda coi motivi e col l'intenzione dell'agente da
un lato, coi sentimenti della persona che è termine dell'azione
dall'altro. L'Hume fece scaturire la simpatia dalla considerazione degli
effetti utili e piacevoli dell'azione : non tenne conto dello stato
emotivo proprio di chi compie l'azione e di chi la riceve. Lo Smith più
che agli effetti esteriori dell'azione rivolse la sua attenzione al
sustrato psicologico dell'azione stessa, e distinse nettamente la
simpatia diretta o soggettiva coi motivi e l'intenzione dell'agente, la SIMPATIA
indiretta o oggettiva collo stato d'animo della persona a cui l'azione
si riferisce. Dire che un'azione è conveniente o sconveniente,
buona o cattiva, significa solo simpatizzare o non simpatizzare colla
causa o coi motivi che determinarono l'agente a compierla. Questo senso di
simpatia diretto che nel giudicare l'azione nostra o di altri jion tien
conto delle conseguenze dell'azione, ma dell'accordo di sentimenti di chi
giudica imparzialmente l'azione e di chi la compie costituisce il dominio
proprio della morale. Il fondamento psicologico della giustizia, che Hume aveva
disconosciuto facendo della giustizia opera esclusiva della riflessione e
della ragione, deve ricercarsi nella simpatia indiretta o oggettiva, cioè
nella simpatia che nasce dalla corrispondenza coi sentimenti di chi è termine
dell'azione. L'azione benefica o dannosa fa simpatizzare col
beneficato col danneggiato e desta in questi e negli spettatori
imparziali un senso di gratitudine o di risentimento verso l'autore. In
questo impulso retributivo, in questo stimolo al contraccambio, che dalla
persona interessata si diffonde a quanti contemplano imparzialmente
l'azione, noi troviamo la ragion d'essere del merito e del demerito, del
premio e della pena, Cfr. Theory ecc. Smith tratta della simpatia
diretta o soggettiva nella Parte t dell'opera sua; in occasione dei
giudizi sulla proprietà delle azioni. erio per distinguere le azioni
beneficile é le Le manifestazioni della beneficenza sono posi- mo
limite nella loro esplicazione: il senso di lanifesta sopratutto
negativamente quando cioè )voca la reazione e la pena. Le azioni che
non danno né vantaggio, che non meritano né premio destano né
simpatia né antipatia, o in altre paLtudine né risentimento, costituiscono la
classe giuste, in quanto rivelano in chi le compie il intimento di
giustizia, ma non l'animo disposto Smith che il senso naturale di SIMPATIA
può, to Non sempre noi siamo in condizione di idici imparziali e sereni
delle nostre azioni: le itutto tendono a corrompere il nostro giudizio
e Lizzare con motivi d'azione non degni di appro?o canto nel giudicare le
azioni da altri compiute, 3re tratti in inganno dai risultati
meramente ?imii dell'azione, dall'utile o dal piacere che ne are.
Non é a credere che lo Smith disconosca li questi elementi estrinseci
dell'azione: é prove l'utile e il piacere da un lato, il successo tino
simpatia, e costituiscano un criterio pratico ila bontà dell'azione: ma
tali elementi devono lostri giudizii, nel regolare la simpatia un
posto secondario. re la serenità e imparzialità dei nostri
giudizii e il demerito dell'azione, si rendono pratica)atia oggettiva
Smith tratta nella Parte ii Op. cit. in itinieuto di merito o demerito
deUe azioni. Sui rapporti ) giustizia. ò del traviamento del senso di
simpatia. 3naa dell'utilità sul sentimento di approvazione. inente
indispensabili norme generali direttive. Queste norme, che resp3rienza
ripetuta, non l'intuizione, ha suggerito, si presentano con caratteri e
natura diversa, secondochè tendono a regolare i'esplicarsi dell'attività
benefica, oppure sono dirette a impedire le lesioni del senso di giustizia:
le une non escono dal campo della morale, le altre hanno carattere propriamente
giuridico. La natura della beneficenza è tale che non si presta ad
essere ridotta in formole precise e minute. Il suo campo è illimitato,
opperò la norma che ne regola l'esplicazione non può che esser vaga e
indeterminata. D'altro canto il carattere negativo della giustizia, ne
restringe il campo di esplicazione. Le sue norme segnano i confini oltre i
quali l'attività dell'individuo, esplicandosi, lede il senso della
giustizia: pertanto devono essere precise, chiare determinate. Per
servirmi del paragone dello Smith, le norme di giustizia sono come le
regole di grammatica, poche, precise, determinate: le norme di BENEFICENZA
hanno l'indeterminatezza e l'elasticità propria delle regole del bello
scrivere che ninno può precisare e costringere in poche
formole. L'osservanza delle norme generali, sieno esse di
beneficenza di giustizia, è condizione di benessere e di sicurezza
sociale. Ma nulla è più contrario alla natura della beneficenza
della coazione. Essa vive di libertà, di spontaneità. Per quanto
possa desiderarsi che i vincoli sociali traggano forza e consistenza dall'
affetto e dalla mutua assistenza, l'esercizio delle virtù benevole può
consigliarsi ma non co-attivamente imporsi. Ma se l'osservanza delle norme di
beneficenza è condizione di perfezionamento e di prosperità della vita
sociale, l'osservanza delle norme di giustizia è condizione di esistenza:
la vita sociale è possibile anche se i rapporti tra i suoi membri,
a somiglianza dei rapporti che sorgono tra i membri di una società
commerciale, non sono regolati dalla beneficenza, ma da mere
considerazioni di interesse: ma senza le norme della giustizia si rende
inevitabile la dissoluzione sociale, Che se sj tien conto della naturale
debolezza dei vincoli sociali di fronte alla forza degli stimoli
egoistici, si comprende come solo colla coazione e con un ben regolato
sistema di pene si può garantire l'osservanza delle norme di giustizia, che
rappresentano il minimum di sacrificio individuale che la vita sociale
richiede per sussistere. Nei rapporti colla vita sociale, dice Smith, lo
norme di giustizia stanno alle norme di beneficenza, come in un edificio
il muro maestro sta alle decorazioni. Mostra peraltro Smith di avere della
giustizia un concetto non esclusivamente negativo. Egli osserva che nello
stato di natura, cioè anteriore alla società costituita civilmente,
tutti essendo eguali, la giustizia non può avere che un significato
s erettamente negativo: ma nelle società civili in cui abbiamo
distinzioni di classi, in cui abbiamo superiori e inferiori, l'azione dei governanti
non deve solo esplicarsi nel senso di impedire Vivjuria, ma deve
promuovere la prosperità morale dolio Stato imponendo norme positive di
vera beneficenza. Senonchè, osserva giustamente lo Smith, l'azione del
legislatore nel campo riservato alla beneficenza, quando non sia
prudente e illuminato, costituisce un grave pericolo per la libertà,
la sicurezza, la giustizia. Rimprovera lo Smith agli antichi di avere
esteso l'indeterminatezza propria delle norme morali alle norme
riferentisi alla giustizia. Nel difetto opposto incorsero i casuisti
medioevali nello sforzo fatto di sottoporre a regole minute e complicate tutti
gli atti della vita morale e giuridica degli individui. I cultori del
diritto naturale nel determinare le norme da imporsi coattivamente invasero
bene spesso il campo riservato alla morale. In tutti Smith nota la
deplorevole coufusione tra norme morali e giuridiche, il disconoscimento
dei criteri coi quali le une e le altre devono essere stabilite.
Ammette Cfr. Sull’origine delle norme morali: sai caratteri di tali
norme, sui rapporti tra norme di beneficenza e di giustizia: atìcóra Smith la ragiofle d'essere del diritto
naturale, ÓSàia di un complesso di norme generali e costanti, capaci di
fornire una meta ideale alle leggi positive. La dottrina di Smith è un
capolavoro di analisi psicologica condotta con metodo deduttivo. Per la prima
volta vediamo la questione dei rapporti tra morale e diritto risolta al
lume della psicologia. L'aver fatto astrazione dagli elementi egoistici
concorrenti nell'operare umano, giovò a mettere in rilievo gli elementi
altruistici o simpatici, di cui vivono soprattutto i rapporti morali e sociali,
ma giustificò l'accusa di unilateralità opposta alla sua dottrina. L'analisi
della simpatia ne avrebbe certo allargato la base, non essendovi dubbio
che a costituire la simpatia concorrono pure elementi egoistici. Ma
il difetto maggiore della teoria di Smith, difetto che nel determinare 1
rapporti tra morale e diritto si rende più evidente, è l'assoluta
mancanza della veduta storica, la quale se non poteva distruggere le sue
affermazioni psicologiche, avrebbe giovato certamente à completarle e ad
estenderle. Il progresso delle scienze morali dall'Hobbes allo Smith
fu sotto ogni riguardo notevole : esso fu parallelo alla trasformazione
economica, politica, religiosa che in Inghilterra si anda attuando.
Hobbes e Locke intesero sopratutto a emancipare le scienze morali dalla
teologia e trovare loro un fondamento nuovo : al principio divino
considerato dalla filosofia tradizionale come fonte di moralità, l'uno
sostituì la volontà del principe, l'altro la legge di natura, elaborata dalla
coscienza popolare e che si concreta in legge civile e in legge del
costume. I filosofi scozzesi affermarono il fondamento psicologico delle
scienze morali, derivandole dal senso morale e dalla simpatia. Ad essi
dobbiamo i primi tentativi fatti per distinguere la morale dal
diritto. Notevole a questo riguardo circa i metodi seguiti dai
diversi scrittori nel determinare le norme pratiche di
moralità. Hobbes e Locke non intesero l'importanza teorica e piratica di
tale distinzione. Le condizioni economiche e politiche dell'Inghilterra
richiamarono su di essa l'attenzione. L'invasione dello Stato o meglio
del principe nel campo riservato alla moralità, cosi come nel campo dei
rapporti economici, e norma dominante. La riforma protestante, lungi dallo
scuotere, aveva riaffermato tale principio. L'autorità civile in
Inghilterra asserviva a sé la religione, mentre in Scozia ne era
asservita. In entrambi i casi il risultato era identico, il
disconoscimento (li ogni distinzione tra norme morali e giuridiche. Il
movimento individualista che si diffuse in Inghilterra rappresenta la reazione
contro le indebite ingerenze dello Stato nei rapporti economici, religiosi e
morali, la difesa di ciò che parve patrimonio intangibile dell'individuo.
La discussione circa i limiti del potere dello Stato nei suoi rapporti
coll'individuo, doveva teoricamente presentarsi come questione
concernente i rapporti tra morale e diritto, e cosi fu intesa e trattata
dall' Hume e da Smith. L'Hume fa aperto avversario dell'invasione dello
Stato nel campo dei rapporti non solo economici, ma anche morali: secondo
lui l'azione dello Stato non deve esplicarsi che negativamente e
solo a difesa della proprietà, alla quale riduceva il contenuto del diritto. A
questo poi negava ogni origine psicologica, limitandosi a giustificarne
l'esistenza dal punto di vista razionale e della necessità sociale. Smith
con veduta più larga e scientifica ricerca nella natura stessa
dell'uomo un criterio di distinzione tra morale e diritto. L’impulso
retributivo mentre provoca il senso di gratitudine verso l'azione
benevola, giustifica psicologicamente la reazione verso l'azione
ingiusta: né deve, secondo lui, l'azione dello Stato manifestarsi in senso
esclusivamente negativo, ma deve in determinate circostanze, per quanto
cautamente e colle dovute garanzie, potersi estendere a favorire il progresso
morale. Senonchò la storia posteriore delle scienze morali
abbandona l'indirizzo psicologico perfezionato dallo Smith, per
riattaccar all'Hume, il quale, avendo posto a criterio misuratore del
bei e del male, del giusto e dell'ingiusto il concetto dell' util
schiudeva la via a Bentham e all'indirizzo utilitarista. Ti le cause di
tale arresto devesi ricordare il metodo deduttr seguito dallo Smith
nell'indagine psicologica, metodo che i chiedeva qualità personali di
astrazione e di sintesi, poss dute in grado eminente dallo Smith, ma non
facili a riscoi trarsi in altri. Si aggiunga che alle esigenze della
pratiparve meglio rispondere il criterio oggettivo dell'utile, ci teneva
conto delle conseguenze dell'azione, che non i crite soggettivi fondati
sui moventi psicologici o interiori dell'azioE Che se la dottrina morale
dello Smith per tali ragioni non e venne popolare, ed esercitò scarsa
influenza all'epoca sua confronto alla dottrina utilitaria, essa però al
risorgere de studi positivi di psicologia, fu in molte sue parti conferma
e apprezzata al suo giusto valore. Che se vogliamo stabilire un
parallelo tra la scuola d diritto naturale in Germania, e quella empirica
inglese in o dine alla questione dei rapporti tra morale e diritto, noi
tr veremo che in entrambi i paesi essa fu provocata dalla n cessità
di difendere l'individuo contro l'ingerenza dello Sta in materia di
morale e di religione. Il movimento culmina Germania col Thomasius, in
Inghilterra con Hume e Smitl senonchè là le resistenze furono maggiori,
la questione fu sopr tutto sollevata e con grande calore discussa dai
giureconsu! allo scopo di salvaguardare la libertà morale e religiosa,
ment irf Inghilterra l'invasione dello Stato fu sopratutto combattu
in favore della libertà economica. Ad ogni modo il risulta finale fu in
entrambi i paesi di mettere in rilievo l'import an: teorica e pratica
della questione. Vlf>^itlxzo cmtt^mimtio ideile sclei^ze
ff|otall. SOmiABIO : 4& CftrtMlo l’epoca ioa - 49. Cutesio 1« loianM morali fio. Ma1«branoh« • V
indiriuo spiritaalitta-oartMÌano nella soienae morali L'Olanda a il iitama
atico-ciuridioo di Spinosa. Le oondiaioni politloha • rali^oM dalla Germania. La
dottrina etico-giuridica di Leibnia. L'opera metodica del Wolff. Parallelo
tra l'indiriaio flloeoflco e ginridico nelle loienae
morali. Chiunque voglia ricercare le origini prossime dei metodi e
indirizzi diversi che si riscontrano nel campo delle scienze morali
dell'età moderna, deve risalire e precisamente ai tre paesi che di tali
indirizzi furono i centri di origine e di sviluppo: l'Olanda,
l'Inghilterra, la Francia. Dove la riforma religiosa gettò più profonde
radici, dove le mutate condizioni economiche affrettarono l'avvento
dello Stato moderno, ivi si svolse vivace l'opposizione allo spirito
teologico, e le questioni d' indole morale e politica sorsero numerose e
insistenti. La Riforma non impedi anzi per molti riguardi accentua l’intransigenza
religiosa. Le guerre religiose divamparono ovunque con questo solo
risultato di rendere necessario l'intervento spregiudicato dello Stato,
e di far sentire il bisogno di dottrine politiche e giuridiche
dapprima, morali poi, indipendenti da ogni presupposto religioso. Col comporsi
delle questioni religiose l'attenzione fu rivolta allo Stato e ai
rapporti sorgenti tra Stato e individuo: gli interessi morali e giuridici
vennero per tal modo ad occupare il primo posto. Questo processo
storico, comune a tutti i paesi nei quali penetrò la Riforma, si
manifestò prima che altrove in Olanda, Inghilterra, Francia: in questi
paesi abbiamo con Grozio, con Bacone, con Cartesio i fondatori dei nuovi
indirizzi di pensiero, dei quali alcuni, come quelli di Grozio e di
Hobbes Cfr. Ifuffini, «n^;v;^r--jV' "farono direttamente determinati
dalla necessità di trovare un fondamento nuovo alle sciènze morali,
mentre quelli di Bacone e di Cartesio, mirando a un generale rinnovamento
del metodo e del sapere jOilosofico, solo indirettamente sovvertirono le
basi ti'adizionali delle scienze morali. La Francia in particolare
fu per oltre quarant'anni teatro di sanguinose lotte religiose: la vita
politica e intellettuale del paese parve subire un arresto: più che la
forza dell'armi valse a predisporre gM animi alla conciliazione e alla
tolleranza lo scetticismo morale e religioso, che s' impadroni degli
animi stanchi e disillusi, e che rappresenta la reazione inerte del buon
senso, dello spirito laico e liberale contro il dogmatismo religioso, cattolico
e protestante. Privo di ogni carattere scientifico e ricostruttivo, tale
scetticismo scaturiva dalla impotenza, dalla sfiducia nella capacità
intellettiva, e si svolse sopratutto nel campo pratico per opera di quei
cattolici moderati, chiamati i Politici che formatisi tra l'intemperanza
e l'intransigenza dei partiti, furono efllcaci cooperatori della politica
illuminata e tollerante di Enrico IV. Rappresentanti di questo
scetticismo pratico e popolare furono il Montaigne e lo Charron : essi
non si fecero banditori di metodi e sistemi nuovi, ma entrambi, e
sopratutto lo Charron in forma garbata si fecero a sostenere principii
che in quell'epoca dovevano sembrare rivoluzionarli, quali ad esempio che
l'errore religioso non costituisce reato, che le opinioni religiose sono
il prodotto dell'abitudine, che le differenze che dividono intorno
ad esse gli uomini sono puramente formali, che è possibile la morale
senza il fondamento religioso. L'aver fatto buon viso a quéste idee,
l'esser stati i loro autori letti e apprezzati prova non tanto che i
tempi erano maturi per accogliere tali principii, che lo spirito
irreligioso e l'ateismo fossero diff*usi, quanto piuttosto la stanchezza
e l'impotenza degli animi a reagire contro il diffondersi di tali idee
che trovavano nella storia dolorosa e recente qualche conferma. Ad ogni
modo se tala scetticismo non ebbe alcuna importanza teorica, ne
ebbe una grande pratica: esso preparò quello stato degli animi che
;e possibile il trionfo di Enrico IV, l'Editto di Nantes, e a politica
inspirata non agli interessi religiosi, ma civili e itici del paese. La
politica di Enrico IV e elevata a sa- mie sistema dal Richelieu, di cui fu meta
costante T intense dello Stato inteso come espressione dell'unità
nazionale 'interno, come preminenza assoluta di fronte all'estero,
olto da ogni preoccupazione di classe, di religione, di moe, umiliando all'uopo
la nobiltà, reprimendo i tentativi di lellione dei protestanti, facendo
della tolleranza la base ila politica. Al Richelieu deve la Francia sua
grandezza politica, il consolidamento dell'unità naziole, il risveglio
intellettuale. Ed è degno di nota che proprio andò la politica del
Richelieu aveva toccato il massimo iluppo, appariva il Discorso sul
metodo di Descartes, destinato a produrre nel campo filosofico effetti analoghi
a quelli eseguiti dal Richelieu nel campo della politica. Il
successo e l'opera di Cartesio incontrò in Francia, quando l'eco
delle te religiose non era ancor spenta, dimostra il progresso
delle je; al dubbio pratico sterile e vano sottentra il dubbio
iagatore e scientifico. L'influenza di Cartesio nella storia delle
scienze naturali supera per molti riguardi quella pur tanto notevole
ircitata da Grozio e da Bacone. A tutti fu comune l'avrsione verso i metodi e i
sistemi tradizionali e teologici; L se Grozio fu sopratutto preoccupato
di sottrarre alla inenza della religione il fondamento del diritto e
contrappose metodo teologico il metodo storico-razionale che alla sodone
delle controversie giuridiche mostravasi particolarjnte adatto, Bacone, fatto
audace dai progressi mirabili Ila scienza, e condotto a proclamare la
generale trasfor Cfr. suUe vicende religiose in Francia il Kuffini. Sulle
condizioni storiche deUa Francia U Bnckle, Viilmazione ^el sapere filosofico e
scientifico, sulla plicazione del metodo induttivo. Ma quel dualism
e materia che costituiva l'essenza della filosofia e che Bacone aveva
attenuato nell'unità del met( risorge per opera di Cartesio, la òui
dottrina se della metafisica manifesta evidente la tendenza lismo,
cioè verso l'unità di tutte le cose nello sp mantiene netta la
distinzione tra materia estesa appare essenzialmente dualistica nel
metodo e nel ( L'aver accentuato questo dualismo permise a Ci
ad altri del suo secolo, di essere ad un tempo file ziato: a tale
dualismo provvidenziale devesi se ( volando sul rapporto tra il mondo
psichico e il rale potè trattare con metodo soggettivo i fatt
accogliere nello studio della natura un metodo duttivo, che si avvicina
assai più di quello di Bz processo seguito da chi studia la natura.
Secc la causalità domina sovrana nella natura fisica ( questa esula
ogni concetto di finalità: tutto v forza di proprietà immanenti nei corpi
e secondi riabili, che la scienza deve determinare non eh
particolare al generale, come proponeva Bacone, tosto alle cause reali
dei fenomeni, ma piuttostc corso ad ipotesi da controllarsi
coU'esperienza: L'originalità e l'importanza di Cartesio più eh
delle indagini scientifiche, si esplicò sopratutto ne Cfr. La vi osa,
Filosofia scientifica del diritto in Tngh Claiison. L'osservazioue e la
denomiuazione di metodo ipotet del La Ugo, Histoire du matérialismef
Paris, mazioiitì dui Lauge è vera e trova couferma in alcaui pai
sul Metodo; ma dove completarsi col metter in rilievo il diverso che lo
stesso Cartesio proponeva per lo stadio dt e che i>nò considerarsi
psicologìco-deduttivo. Sotto questo aspetto Cartesio coopera
efficacemente materialismo. Cfr. Lange sofico. Le scienze dello spirito,
di cui le scienze morali erano parte integrante, all'epoca di Cartesio
continuavano a mantenere stretti legami colla teologia. In questa parte Bacone
fu e rimase per lungo tempo nell'Inghilterra stessa un solitario. K
La filosofia che si svolse in Inghilterra sulle traccio di Hobbes, con tendenze
essenzialmente pratiche, rifletteva troppo strettamente il carattere e le
speciali condizioni politiche e k religiose del popolo inglese per
incontrare favore sul conti- Spinoza riasHUiue hi dottrina cartesiana
relativa al nirofoii(la che egli faceva tra il mondo delle idee e il mondo dei
fatli. La quarta pai-te mpie in virtù di sentimenti che il desiderio
della vita ossia il desiderio a perseverare nell'essere fa nascere: la
nozione del male e del bene sta nella tristezza o nella gioia che
accompagna il desiderio contrastato o soddisfatto: questo stato psicologico
unito all'esperienza genera per gradi la nostra scienza e
costituisce la causa vera del progresso morale. E coli' elevazione
morale dell'uomo va di conserva la sua elevazione intellettuale. A
misura che l'uomo si fa libero cioè obbedisce alle determinazioni del suo
proprio essere all' infuori dell'azione degli agenti esterni, la visione
dei rapporti delle cose in Dio si fa sempre più adeguata, finché al sommo
dell'evoluzione verità e virtù si confondono nell'amore intellettuale di
Dio, sintesi della moralità, della conoscenza, della felicità. La dottrina
di Spinoza segna un progresso reale e decisivo nella storia delle scienze
morali: essa costituisce il punto di partenza di tutti gli indirizzi di
pensiero che si delinearono nella filosofia posteriore. L'indirizzo
intellettualista che voleva regolata la condotta su verità eterne, immutabili
stabilite dalla ragione, lo spiritualismo che poneva il fondamento della
vita morale in Dio, l'empirismo edonista e utilitario che ricercava
nell'uomo la tendenza affettiva sul cui predominio doveva elevarsi la
morale, tutti si riscontrano sapientemente coordinati nella dottrina di
Spinoza in virtù del negato dualismo tra spirito e materia. La sua morale si
svolge nell'uomo stesso mediante un progressivo e autonomo
perfezionamento della natura umana che non contemporaneamente ma
successivamente é sentimento e ragione, necessitata e libera, egoistica e
altr teistica. Facendo del sentimento lo stimolo che sospinge l’uomo a
sublimarsi, a spiritualizzarsi, a' conoscere il pQsto che occupa nel gran
mare dell'essere, Spinoza evitò Terrore fondamentale del
razionalismo. Spinoza fonda l'etica sull'egoismo, né parla di tendenze
psicologiche di carattere sociale: a questo riguardo subì l'influenza
dell'individualismo dell'epoca. Come per Hobbes e per Malebranche cosi anche
per Spinoza l'unione sociale è qualcosa di secondario: l'uomo è un modo%
di Dio, non è una cellula dell'organismo sociale: la BENEFICENZA attiva,
le tendenze sociali hanno valore subordinato alla personalità dell'individuo. Il
determinarsi nell'operare da CONSIDERAZIONI ALTRUISTICHE E SIMPATICHE significa
rendersi schiavo di emozioni passive, e trascurare quel perfezionamento
interiore, su cui sopratutto si fonda la vita morale. Ma individualismo e
utilitarismo non significano per Spinoza oppressione del prossimo, sete
di vantaggi esteriori: l'egoismo illuminato e sapiente si identifica
coll'altruismo: il vero utile è solo ciò che è razionale. Da ultimo
facendo l'uomo capace di elevarsi a Dio e di vivere della vita stessa di Dio,
Spinoza diede alla morale un carattere profondamente religioso. L’individuo
al sommo della evoluzione intellettuale e morale si assorbe nella
contemplazione di Dio. Per lui come per Malebranche l'assorbimento
dell'uomo in Dio è indice di perfezione e di scienza. Ma mentre Dio per
Malebranche è un principio vivo e reale che agisce direttamente e
attivamente sull'uomo, per Spinoza è un principio razionale indeterminato, che
risponde a esigenze razionali. Il panteismo di Spinoza è geometrico,
quello di Malebranche è sentimentale. La religione di Spinoza è
privilegio di poche nature elette, capaci di abbracciare i profondi
rapporti che legano Dio all'uomo: quella di Malebranche era pur sempre la
religione tradizionale e popolare nutrita di fede e di amore, fondata
sulle audaci e immediate intuizioni del sentimento. Cfr. Jodl, ove
tfatt sicurezza : per forza di cose sì forma sopra il diritto naturale
e il potere dei singoli, un potere e un diritto collettivo o civile, colla
funzione speciale di mantenere tutti nella sfera del diritto e di
garantirne l'esercizio. Il potere collettivo, una volta sorto, si
organizza, diventa stato e si svolge per gradi secondo le tendenze
proprie di ogni essere. Con una concezione ancora inadeguata de' suoi scopi e
delle sue funzioni, nella necessità di affermarsi contro la prepotenza
delle passioni individuali, lo stato deve dapprima necessariamente
assumere forma dispotica : esso concentra in sé tutti i diritti, regola
con le sue norme le manifestazioni della vita politica, intellettuale,
morale e religiosa degli individui, eccede nella sua azione ogni limite
razionale. Ma il dispotismo, come giàl'anarchia primitiva, trova in sé stesso
rimedio. Esso risponde ad una condizione di cose necessaria ma
transitoria: unica forma di governo possibile quando si deve opporre
la violenza della repressione alla violenza delle passioni, esso
diventa, a misura che la coscienza di sé si risveglia nell'individuo, uno
strumento sempre più debole e pericoloso di governo. Lo Stato non può a lungo
contare sull'obbedienza puramente esteriore degli atti, quando ad essa si
accompagna la ribellione interna dei sentimenti. Epperò il passaggio
dal dispotismo a un sistema liberale di governo, diventa condizione di
vita e di durata per il potere sociale e si concreta nella lotta per la
graduale emancipazione dell'individuo dalla tutela dello Stato, ossia per
la graduale differenziazione tra i diritti naturali e soggettivi da un
lato, di esclusiva spettanza dell'individuo, in ordine ai quali l'azione
dello Stato non può essere che negativa, e deve limitarsi a garantirne la
libera Ad. Menzel, Maohiavelli-Studien in Zeitacrift fUr das Privai
und offent. Bechi tratta dei rapporti e analogie tra MachiaveUi e
Spinoza. Questi cita lo storico fiorentino dae volte (Trac, poliUcu8^ e.) e
mQstr^ di t^i^lo grande
consjd^razio^e, iiritti oggettivi dairaltro costituenti la potentto
proprio dello Stato e che diventano per Tina osservarsi nell'interesse
collettivo. In Spinoza mente espresso il concetto che lo Stato deve
sua azione di ogni considerazione di carattere ISO. Qualunque riserva
altri possa fare circa ntendere il diritto naturale, non vi è dubbio
'0 filosofo seppe come Spinoza affermare con diritti del pensiero e della
coscienza indiviallo Stato. Nella dottrina sua politica si sente >tta
che l'individuo moderno doveva sostenere patrimonio sacro de' suoi
diritti naturali, cioè che riflettono l'esplicazione della sua persocontro
le usurpazioni del dispotismo. Più di non solo intese ma vivamente senti
il rapporto 'a morale e diritto, il quale rientrava nel con> tra
individuo e Stato, contrasto che fu per nello che era stato per il Medio
Evo il consa e Impero. L'ideale politico di Spinoza era rmonica
dell'individuo collo Stato, dell' interi pubblico, della libertà morale colla
libertà :ione morale nell'individuo, l'evoluzione polidevono procedere
concordi e integrarsi reci- regressivo riconoscimento da parte dello
Stato 'ali, corrisponde nell'individuo una coscienza ^
dell'interesse pubblico e una sottomissione itanea e incondizionata alla
volontà sociale, odo gradualmente delineando quello stato di
'azione delle parti nel tutto infinito, che si teol. pol.y e.Cfr. Raffini,
Storia della filosofia del diritto (tradazione Conforti, Lor minio r,
Philoao^hie du dvQitf presentava dapprima come una fanta: gione
umana. La teoria teocratica del diritto di di Hobbes, la teoria del
contratto so( fendorf rientrano nella concezione spi che nel suo
sistema la potenza e qui] partecipa della potenza infinita, ossi
che si genera, secondo Hobbes, dallo sione e di guerra, secondo lo
Spinoza principio della evoluzione morale e se la tendenza alla
vita sociale sia con tendenza a vivere, si può ben parlare tratto
tacito e spontaneo, inteso a re^ dividui e Stato, che sono poi i rappc
e giuridica. La logica dei fatti dove delle idee: nessun altro sistema
filosofi trovò nella realtà storica tanta cor incontrò la
concezione etico- giuridic nell'età moderna ebbe a lottare per
pregiudizio religioso, e al dispotismo azioni ai principi di cui si fece
soster Il Cartesianismo dalla Frane e alleato del dogma,
daH'Olanda, ov trionfo della ragione autonoma, si di opera dei
Leibniz, ingegno universale seppe unire l’immaginazione poetica d e
temperare gli slanci del pensiero C( tica. Di mezzo al popolo tedesco,
di carattere, le aspirazioni, le condizion missione, e più di ogni
altro concorse a Cfr. Delbos, Op. cit., e. vir, vni. Cfr. Delbos,
Op. cit., Farteli, ove tn neU'età moderna. di Stati, ne aveva posto
in evidenza l'interna debolezza; tutto era in essi da riformare e
costituire; mancavano i criterii per regolare i rapporti tra i vari stati,
tra l'autorità civile ed ecclesiastica, tra le varte confessioni religiose
nello stesso Stato: sopratutto importava garantire l' individuo, la sua
personalità contro le indebite ingerenze dello Stato e della chiesa,
alleati a' suoi danni. Gli stessi problemi, le stesse difficoltà
accompagnarono ovunque il sorgere degli Stati moderni, e la loro soluzione fu
compito speciale dei giureconsulti e dei cultori dei diritto naturale
Grozio in Olanda, Hobbes in Inghilterra avevano elaborato sistemi
etico-giuridici rispondenti alle esigenze razionali dell'epoca, e alle tendenze
individualiste dei popoli moderni. Pufendorf, conciliando i principi! di
entrambi, raccogliendoli a sistema chiaro e ordinato seppe renderli
famigliari e noti in Germania, dando loro una portata pratica che
altrimenti non avrebbero avuto. La scuola del diritto. naturale
soprafatta dalla filosofia in Olanda, dalla morale in Inghilterra, si
svolse rigogliosa in Germania, ove mantenne più a lungo il suo carattere
originario, e per oltre un secolo prevalse sopra ogni altro indirizzo di
pensiero: assorta a dignità di scienza sociale, e politica essa forni le
armi all'individuo in lotta contro il dispotismo dello Stato e della Chiesa
ufficiale, per rivendicare le sue libertà politiche e civili, religiose e
morali. La questione della libertà religiosa, quella dei rapporti tra
morale e diritto, altrove trattate da .filosofi, da moralisti, o da
teologi, furono in Germania discusse dai giuristi, come quelle che erano
considerate questioni essenzialmente giuridiche, che rientravano Sai
Damerò e attività dei giarecoasalti pratici e filologi io OteV"
mania cfr. R. Stintzìug, Geachichte der deutechen Reohu swi88en8ohaftf
Mtiuchen - Leipzig, ove però nessana parte è fatta ai enitori del diritto
natarale. Sotto qaesto aspetto, e per la giarispradenza tedesca è da
consaltarsi la contìanazione dell'opera dello Stinzing fotta da E.
Landsberg ohe pubblica il volome teraso e quarto. nelle questioni
più larghe dei rapporti tra Chiesa é autorità civile da un lato, tra
individuo e Stato dall'altro. E mentre i Pietisti rappresentavano la
protesta del sentimento contro le abitudini ufficiali ed esteriori della
Chiesa, nonché contro l'esclusione della comunità dei fedeli dal governo
della medesima, i giuristi, giovandosi della logica giuridica,
prepararono il trionfo della libertà religiosa e di coscienza,
contrapponendo da un lato al sistema episcopale il sistema territoriale^
che limitava i poteri del sovrano al governo esteriore della
Chiesa, contrapponendo dall'altra alla varietà discorde delle confessioni
religiose, il concetto unitario di una religione naturale, sulla base di
pochi dogmi di carattere morale, da tutti facilmente accettabili. D'altro canto
la distinzione tra forum internum ed externuìn elaborata dalla scuola del
diritto naturale, offriva un criterio empirico, ma praticamente opportuno per
separare la sfera giuridica da quella morale e regolare i rapporti tra
individui e Stato. Per opera dei cultori del diritto naturale e dei Pietisti
il movimento in favore delia libertà si era diffuso in Germania, destando
le latenti energie del popolo, avviandolo per vie nuove verso nuovi
ideali. Ad agevolare l'opera del progresso, ad assicurarne i risultati
concorse efficacemente il Leibniz, a cui l'universalità e profondità dell'ingegno,
i lunghi viaggi compiuti in Francia, in Inghilterra, in ITALIA, le
estese relazioni coi dotti e i principi di ogni paese, giovarono per
prender parte attiva a tutte le correnti della vita pubblica e Cfr.
Raffini. Cfr. quanto da noi fa detto saUa Scuola del diritto naturale in
Germania al. Leibniz soggiorna due anni in ITALIA e vi conobbe BIANCHINI
(si veda) a Roma,VIVIANI (si veda) a Firenze, GRANDI (si veda) a Pisa, MURATORI
(si veda) a Modena, MALPIGHI (si veda) a Bologna. Abbiamo lettere scritte
da Leibniz al Fardella, filosofo a Padova, e poi dietro insistenza dello
stesso Leibniz, nominato professore di filosofia a Napoli. FARDELLA, maestro
di Vico. Cfr. Foucher de Careil, Nouvelles lettrea et opusoulee de
Leibniz, Introduzione. dell'attività scientifica del suo tempo, e
per farvi partecipa suo paese. Tutta l'attività veramente prodigiosa di
Leibn costantemente rivolta ad armonizzare le vedute esclusive
dominavano all'epoca sua in politica, in morale, in fìlos nelle scienze.
Egli polemizzò coi Cartesiani per il metodo Locke pel problema
conoscitivo, coi giansenisti e con ^i branche per questioni teologiche,
con Spinoza pe' suoi prin metafisici ed etici, con Pufendorf sul fondamento
del di naturale. Nell'opera sua filosofica convergono le corrent
pensiero più disparate, e dopo di averne rilevato le coni dizioni, le
esagerazioni, talora le riproduce corrette e : grate, talora le ripudia
ricostruendole su altre basi: se d iato integra le idee di Cartesio e di
Locke sul metodo e si rigine dell'idee, dall'altra parte contrappone
teorie sue prc ai sistemi di Spinoza e di Pufendorf. li Leibniz ha
stretti vincoli colla corrente teologico-cc siana che trionfava in
Francia con Malebranche: come qi era credente sincero. A Dio lo portava
il senso dell'uni dell'armonia dell'universo, acuitosi in lui per gli
studi scoperte fatte nel campo delle scienze fisiche e matemati
L'idea di Dio non lo lasciava indilferente, ma lo riempi\ entusiasmo, di
gioia serena e tranquilla, gli comunicava senso schietto e profondo di
venerazione e di amore all'in) e al di sopra di qualsiasi confessione
positiva. Il sensc reale e della vita in tutte le sue forme lo trattenne dal
m cismo e dalle esagerazioni del Pietismo; e mentre in IS branche
teologia e filosofia si compenetrano e quasi si fondono, in Leibniz
procedono parallele e distinte. Nella restaurazione dei diritti della ragione
contro i spregio in cui era tenuta dagli scolastici e dai mistici,
Lei ben può considerarsi successore e continuatore dello sp .
cartesiano: ma allo stesso tempo non crede al contrasto j (1; Sai rapporti
tra Leibniz e MalebraDche cfr. Ollé-Laprunej. da Cartesio tra ragione e fede e
vi sostituisce la necessità dell'armonia; né partecipa alle esagerazioni dei
Cartesiani delllepoca sua, che erigevano a dogma l'onnipotenza della
ragione e ripudiavano qualunque altra forma di conoscenza.
Epperò tra Locke che considera il senso esterno (sensazione)
integrato dal senso interno (riflessione) fonte di conoscenza nel campo
delle scienze morali e Cartesio che riconosceva solo l'autorità della
ragione, Leibniz si attenne a una via intermedia, distinguendo il metodo
razionale (anaZisis per S2lium) diretto a disciplinare la ragione, a
porla in grado di sfruttare i dati del senso e dare chiarezza e
precisione geometrica alle verità conosciute solo imperfettamente e confusamente,
e il metodo naturale (analisis per gradus) che procede per gradi dal noto
all'ignoto, secondo la via offerta dalla natura stessa, trasformando i
problemi semplificandoli, formulando leggi generali, su cui poter fondare
il ragionamento. L'autorità, l'esperienza storica, costituiscono un
valido aiuto per lo studio delle scienze morali, e utile freno alle
astrazioni e alle intemperanze della ragione. In ordine alla
dibattuta questione circa l'origine delle idee che Locke sosteneva
acquisite dal senso, i Cartesiani innate nello spirito chiare e distinte,
Leibniz sostiene che non dai sensi e dall'esperienza solo noi deriviamo
le nostre conoscenze. Cfr. God. Guil. Leibnitii opera philosophica quae exMant
latina gallica germanioa, edidit Erdmann. lu uua lettera a un amico (v.
Erdmaun) il Leibuiz dice, (Erdmanzi) e I e confuse dì Leibniz
rispondono alle rappresentazioni adeguate e inadeguate di Spinoza, e come
questi supplisce la conoscenza mediante Temozione, cosi Leibniz supplisce
la rappresentazione mediante lo sforzo, e la rappresentazione chiara
mediante uno sforzo chiaramente conscio che involge la felicità e consiste
nell'amor di Dio e de' nostri simili. Leibniz facendo dell'individuo
specchio dell'universo e immagine di Dio veniva a porre a ugual grado
l'amor di Dio e del prossimo: e se si pensa alla impossibilità di
esercitare l'amore verso Dio, l'amor del prossimo diventa sorgente
precipua della moralità pratica. In ciò veniva a distinguersi da Spinoza e da
Malebranche, i quali, assorti nella divinità, consideravano secondarie e
derivate le tendenze altruistiche. Ancora distinguono Leibniz da Spinoza
l'ottimismo e l'idea di sviluppo: l'uno procedeva dalla fiducia
illimitata nelle energie inesauribili della natura umana, l'altra dal
considerare la tendenza alla perfezione, legge fondamentale della natura
e dello spirito. Tali caratteri congiunti a un senso vivo di umanità che
traspira da tutta la sua concezione etica, spiegano l'influenza grande
che questa esercitò in Germania. Nel campo del diritto naturale il
Leibniz si pose in opposizione con Pufendorf, il quale dìscostandosi dalla
tradizione di Grrozio, tendeva a far del diritto l'espressione
arbitraria della volontà di un superiore, anziché derivarlo dai
rapporti eterni inerenti all'ordine naturale delle cose. La
distinzione tra forum internum ed eocternum posta dal Pufendorf per
se-Cfr. Noìiveau eoe, lib. U, o. 20. Cfr. Nouveaueoc.f lib. II, e. Nella
parte 3» del tomo IV, dell'edizione delle opere del Leibniz fatta dal
Datens, sono raccolte le piti note opere giuridiche del Leibniz: ma molti
altri scritti di natura giaridica rimangono inediti. L'edizione pili
recente e più completa delle opere del Leibniz è quella curata da I.
Geihardt, t Die phylosophischen Schriften von Leibniz », Berlin: ma videro la
luce solo sette volumi, e le opere giuridìcbe non sono ancora
pubblicate.Cfr. sulle idee giuridiche del Leibniz Landsbefg, era morale dalla
giuridica era un criterio dì ditrinseco e artificiale. Nell'intenzione di
Pufendorf ternum era il campo proprio del diritto naturale, )rum
internum era dominio esclusivo della filosa; con ciò estendeva oltre misura la
sfera Mei ^ale, mentre confondeva la religione colla morale,
[vendica alla filosofia il forum internum, e senza i diritti della
teologia vuol costituita su basi strina razionale dei doveri interni,
ch'egli chiama:ale: d'altro canto non crede possa limitarsi il liritto
naturale ai rapporti esteriori di condotta, ne delle obbligazioni verso
Dio che si svolgono della coscienza. Egli rimproverava al Pufendorf
i di attitudini filosofiche, che gli impediva di rincipii di ragione e derivare
da essi la dottrina diritto di diritto naturale che formano il
contenuto della nno con le verità etiche comune l'origine e lo in
quanto procedono non dalla volontà (Pufendorf) iza di Dio (Spinoza) ma dalla
sua infinità sapienza dai rapporti eterni e immutabili inerenti
alla cose, e si riflettono nello spirito confusamente di
intuizioni innate e di tendenze altruistiche, da )no per gradi sempre più
elevati di perfezione la ;a e la vita sociale. La giustizia è la virtù
sociale za, e di essa è anima la generosità per cui l'uomo ce di
compiere nei rapporti con altri, azioni rae della sua origine divina. Definendo
la giustizia lientis » Leibniz la fa consistere nella benevolenza
ssia nell'abito di provar piacere all'altrui felicità 2k aspra che,
contro il suo costume, il Leibniz move al •ntenuta nei « Monita quaedam
ad 8, Pufendorfii principia » >0. cit.). . rvationes de
principio juris, sotto la guida della sapienza, che è la scienza della
felicità individuale e sociale. Il diritto ha uno sviluppo parallelo alla
vita sociale, e coll’ampliarsi di questa quello allarga il suo contenuto.
Esiste un diritto positivo e volontario frutto del costume e del
volere dei governanti: esso comprende da un lato il jus civile che
regola la vita interiore di uno Stato, e trae la sua forza da colui che
ha nelle mani il supremo potere, dall'altro il jus gentium che regola i
rapporti tra Stati diversi e si forma per tacito consenso di popoli. Il
diritto volontario o positivo svolgendosi tende a modellarsi sul diritto
naturale i cui principii si estendono oltre i limiti di uno Stato particolare
per abbracciare la società del genere umano, e inspirarsi alle esigenze
razionali dell'uomo astrattamente considerato, sciolto dalle limitazioni
di tempo e di luogo, che sono una conseguenza della sua natura animale.
Il diritto naturale concepito dal Leibniz come una facoltà naturale a cui
risponde una necessità morale (dovere, obbligazione) si manifesta sotto tre
forme che ne costituiscono altrettanti gradi di perfezione. Nel periodo
primitivo di sviluppo delle società umane, il diritto si manifesta nella
forma di jus strictum, o di giustizia communativa che si inspira al precetto:
neminem laedere^ precetto che presuppone l'uguaglianza di tutti gli
uomini, e risponde alle più elementari e imprescindibili condizioni del
vivere sociale. In un grado più elevato di sviluppo sociale, le
disuguaglianze derivanti dalle attitudini e dai meriti diversi, dalle
distinzioni di classe e di condizione civile, fanno prevalere il concetto
deWaequitaSy q della giustizia distributiva, che inspirandosi al precetto:
unicuique suum tribuere, genera da un lato doveri di indole morale
(gratitudine, beneficenza), dall'altro la facoltà di chiedere ciò. che
per gli altri è solo compito di equità prestare. Vi è una terza fonte di
diritti e Sai concetto di giustizia cfr. le lettere scritte dal lueibni? a
Hea. Eru. Kestnertpn (si trovano nel Dutens), di obbligazioni, la pietas,
che si inspira al precetto: honeste vivere, attua i fini della giustizia
divina, scaturisce dall'ordine e armonia delle cose: essa risponde alle
esigenze della società universale degli esseri intelligenti che hanno
comune la credenza nella immortalità dell'anima e riconoscono in
Dio il reggitore supremo dell'universo. L'uomo viene
pertanto, secondo Leibniz, a far parte d'una triplice società, della
società particolare di uno Stato, della società più ampia del genere
umano, della società universale divina:. ognuna di queste società ha il
suo legislatore, i governanti, la ragione. Dio; tutte svolgono il concetto di
giustizia, ampliandone progressivamente il contenuto, e generando una triplice
serie di norme, civili, naturali e divine. Ciò che trattiene l'uomo
nell'ambito della legge e lo spinge a conformare le sue azioni
all'interesse collettivo, che è poi quello della giustizia, non è solo la
paura, l'interesse, l'egoismo : 3gli può essere tratto al bene e al
giusto anche da naturale propensione e rettitudine dell'animo, da energie
altruistiche ben più profonde ed efficaci, dall'amore, dalla pietà. Lo
studio poi delle azioni in quanto sono giuste o ingiuste, ossia in [juanto
sono utili o dannose in rapporto alle finalità proprie di ciascun ordine
di società, è compito speciale della giurìsprudenza, la quale, sfruttando le
tendenze altruistiche dell’uomo, si fa interprete dell'interesse generale nel
suo triplice ^rado di sviluppo e detta norme dirette alla
conservazione B al perfezionamento sociale: justum est quod
societatem ratione utentium perficit La teoria di Leibniz sul diritto
naturale e sulle diverse fasi di sviluppo del medesimo è svolta nelle due
dissertazioni premesse al Codex diplomaticus. Cfr. doperà giovanile di
Leibniz : Nova Mvthodus disoendae dooendaeque jurisprudentia. In essa
dice >S55l notevole è il
significato e l'estensione data naturale. Nel suo concetto questo
dovrebbe ie di filosofia pratica universale, ossia di ^ettiva, a
cui spetta porre i principii me alla natura dell'uomo e delle cose:
il ipplicazione spetta all'etica soggettiva, mezzi per i quali l'uomo bene usando
delle ^uendo la virtù conseguire la felicità e arone. In questa parte
soggettiva il rigore neno ed elementi eudemonistici e utilitari r
ai seguaci di opposti indirizzi di pensiero, portanza dell'esperienza e
del senso comune, il dolore gli stimoli direttivi dell'intelletto
cita diventa l'indice misuratore della persta tendenza a fare del perfetto
l'equivaconcepire l'ordine delle cose da un punto e utilitario, doveva
insorgere il Kant. Ac:gettiva il Wolff riconosce la necessità di le del
diritto civile, destinata ad adattare ùtto naturale alle esigenze della
vita so[10 cerchiamo nel Wolff un criterio per la zione del diritto
civile rispetto al diritto presenta l'insieme dei principii etici.
La itto perfetto e imperfetto, posta da Tho-. tema del Wolff
importanza secondaria, né, 1 Wolff indicò il criterio per
distinguere 1 non coattivi. nel Leibniz manca la coscienza
della im^uere la morale dal diritto; in quella vece oggettiva è trattata
dal Wolff neUa Philoaophia . ni è argomento della Philosophia
moralis sive Ethica ractata. i d'essere delle InMHntiones juria
naturae et gentium abbiamo la tendenza a ricondurre entrambi a una
fonte unica, al diritto naturale. L'interesse collettivo distinto e
indipendente dal benessere individuale non fu inteso dal Wolff: la vita
sociale, e quindi il diritto che ne è l'espressione, devono sopratutto
concorrere al perfezionamento e alla felicità dell'individuo: la perfezione
altrui deve intendersi subordinatamente alla propria e come mezzo per
meglio perfezionare sé stesso. Non si può però negare che la filosofia
del Wolff, spogliata della forma scolastica di cui egli si compiacque rivestirla,
era in istrettà corrispondenza collo spirito dei tempi, e preparò quel'
movimento illuminista, di cui l'eudemonismo, l'ottimismo, il perfezionismo
individuale e sociale furono i caratteri più spiccati, e che cooperò
efficacemente a sollevare l'individuo contro le oppressioni dello stato e
della società. La corrente cartesiana nelle scienze morali dalla
Francia ove ebbe le origini si estesa all'Olanda e alla Germania: quivi solo
trovò terreno favorevole al suo naturale sviluppo: il genio profondo e
conciliante del Leibniz seppe tenerla ugualmente lontana dal panteismo
mistico del Malebranche, dal panteismo razionalista dello Spinoza e
dischiuse al Wolff la via per elevare un completo sistema che tutto
abbracciasse il vasto campo del sapere filosofico. In Germania venne per
tal modo delineandosi un sistema razionalista che ne' suoi metodi, ne'
suoi principii, nelle sue finalità si contrappose a quello che dopo Hobbes e
Locke si era venuto jS3rmando in Inghilterra per merito sopratutto della
scuola scozzese. Nel campo etico l' indirizzo tedesco movendo dal
concetto astratto dell'uomo, considerato particolarmente come essere
razionale, aveva prodotto un intero sistema rispondente ad esigenze razionali,
inteso a metter in evidenza l'ideale etico più che l'aspetto concreto e
storico della morale, riuscendo per tal via al realismo e all'ottimismo
etico: l'indirizzo inglese poco tenero della logica concatenazione delle
idee, ma più direttamente interessato a rilevare gli elementi soggettivi
e irrazionali dell'uomo, fu indotto a trovare nelle ' ''AB dsteriose
regioni del sentimento il fondamento della vita lorale. Ma entrambe
queste correnti di cui l'una mette capo I Wolff, l'altra all'Hume,
obbediscono a esigenze filosofiche hanno di mira la soluzione di un
problema etico più che iuridico. Se hanno strette attinenze colla
scuola del diritto aturale non la costituiscono essenzialmente, e
rappresentano iuttosto l'estensione dei principii etici a regolare
rapporti iuridici e sociali, di cui non intendono quasi mai la vera
atura e che subordinano quasi costantemente alla morale. II
particolare la corrente razionalista tedesca, se giovò a ottrarre le
scienze morali alla teologia e all'empirismo, ostaolò sotto un certo aspetto il
processo di differenziazione tra fiorale e diritto, in quanto tendeva a
ricondurre alla ragione .stratta la morale e il diritto, perdendo di
vista i caratteri iifferenziativi, per accentuare a scopo di unità e di
armonia caratteri comuni. A questo riguardo la scuola
del diritto naturale o dei giureconsulti filosofi iniziata da Grozio e che in
Germania sopratutto si svolse col Pufendorf e col Thomasius, mantenen[osi
distinta dalla corrente filosofico-cartesiana, se non sempre ibbedi alle
esigenze logiche, mostrò di apprezzare al loro :iusto valore i problemi
interessanti la vita giuridica in lontrapposizione alla vita etica. La
coscienza di tale opposi;ione appare sopratutto in Thomasius, a cui si deve il
primo entativo realmente efficace per separare la sfera giuridica
[alla morale. La scuola del diritto naturale venne pertanto n Germania a
scindersi in due campi nettamente distinti e ;he si svolsero paralleli:
l'uno filosofico personificato dal Adolfi*, l'altro più propriamente
giuridico personificato dal ?homasius: a Kant spettava riassumerli nel
suo sistema e >orre su nuove basi il problema dei rapporti tra morale e liritto. VICO
6 le sciet^ze elicoH^iatiolicl^e It) ITALIA.
Condizioni generali d'Italia. Galileo eia filosofia naturale. Gli studi
giuridici e il rinnovaménto della filosofia in Italia. Vicende degli
studi giuridici in Italia. Gli studi giuridici in NAPOLI: giureconsulti
pratici Il progresso degli studi giuridici in NAPOLI: giureconsulti
eruditi : ANDREA (si veda) e GRAVINA (si veda). La Vita Civile di DORIA (si
veda). Bisv«glio filosofico in Napoli. Posizione di VICO in ordine agli
indirizzi filosofici del suo tempo. VICO contro Cartesio e la questione del
metodo nelle scienze morali. Il criterio della verità in VICO. VICO e gli studi
giuridici. La filosofia del diritto nel Vico. Il rapporto tra morale e
diritto. Il diritto nella sua formazione storica. Diritto e scienza
sociale. Le sorti di Vico e i critici. Seguaci di Vico: STELLINI (si
veda) e DUNI (si veda). Nei principali
paesi d'Europa si va delineando la struttura dello stato tra le rovine
dei rapporti feudali e dei privilegi municipali, in mezzo agli
sconvolgimenti delle lotte religiose sotto l'azione unificatrice delle
monarchie assolute. Inghilterra, Francia, ed Austria si presentano potentemente
unificate nella persona del sovrano, i cui interessi parvero
identificarsi coli' interesse generale del popolo. La formazione dello stato
si accompagna ovunque col sorgere della scuola del diritto naturale, a
cui spetta indicare i principi giuridici adatti al nuovo ordine di cose.
A questo movimento di concentrazione e di unificazione politica che
percorse l'Europa provocando il ridestarsi di energie nuove, di una
coscienza politica e civile moderna, RIMANE INTERAMENTE ESTRANEA L’ITALIA divisa
in numerosi stati, deboli e discordi i quali come assistettero senza
commuoversi alle controversie religiose e alle guerre di prevalenza con Francia,
cosi accettarono senza opporsi le nuove condizioni create dall'Europa
alla penisola col trattato di Chàteau-Cambrésis. L'umanesimo se fa ri-vivere
l'Italia nel passato glorioso classico, l'ha distratta dal presente in
cui si ma gl’eventi destinati a modificare profondamente il
ll'umanità. Manca all'Italia la coscienza di un in)ubblico e comune, intorno a
cui raccogliere le energie 3, epperò doveva ricevere dal di fuori, da
autorità nemiche forza e impulso a progredire. La reazione e
l'influenza, rivolgendo ai propri scopi e le risorse economiche e
morali di altri paesi, costituirono ;e servitù politica e religiosa, che
pesa per oltre un ille sorti del popolo italiano. atamente il
sistema di governo inaugurato da Filippo jna, fatto per rovinare e
soffocare qualunque forma di ì, ha in sé stesso molte cause di
instabilità e di i. La potenza veramente meravigliosa raggiunta
dalla lel XVI secolo, frutto di fortunate combinazioni sto^ll'abilità
tutta personale dei re che si succedettero da do il Cattolico a Filippo
II, non accompagnata da un idente elevamento della coscienza civile e
dell'intelpopolo, non puo che essere transitoria ed La politica di
Filippo li, diretta a restaurare il Medio )ffocare ogni manifestazione di
vita nuova, a contrarcè uno spirito protettore violento e tirannico ogni
d’emancipazione intellettuale e religiosa, se era de- un sicuro
insuccesso nei paesi nei quali lo spirito Torma, come in Olanda, o l'influenza
del classicismo, Italia, oppone valida resistenza, trionfò
pienamente igna, dove l'alleanza secolare degli interessi nazionali
5i, i sentimenti di fedeltà e di riverenza tradizionali alla
estrema ignoranza e superstizione, tolsero al po^nolo ogni possibilità di
reazione. Per tal modo Buckle e. xv ove si fa la storia
dell'intelletto spa» età moderna, e si mettono efficacemente in rilievo le
oaase di rispetto agli altri paesi. — È sintomatico il fatto ffini,
facendola storia della libertà religiosa nei diì di Earopa non nomina,
evidentemente perchè questa porse l'occasione. toccò iu sorte
n lo spirito reazionario e proto berta e del progresso. In
ciò la quale, dopo di aver riform Concilio di Trento, e di
aver i Gesuiti e l'Inquisizione, spiej sistematicamente inspirata
a denza nuova. E ripetuto e si ripete tut corrente e della ( unica della decadenza
Italia mazione deve rettificarsi di 1 delle condizioni d'Italia nel
s cadenza politica d'Italia in e dominio e alla reas cercarsi nella sopravvivenza
avevan fatto l'Italia forte e fii delle Signorie e del Rinascin in
Italia, come altrove, contri mento protestante e dalla for
partecipò attivamente alle g alle grandi lotte che commos la sua
non fu immobilità, sii e ne segnò la decade le idee, le
passic secolo anteriore attenuate o a dell'Europa iniziano un
nuovo il passato per rinnovarsi dal] il suo corso storico e trae
da La nota pessimista prevale nei preconcetto porta
Ferrari a considerare conio e si
produsse di notevole in Italia. 1 fondamento di tali giudizi
intorno diamo Forti (Istituzioni civilif F gli elementi per
rinnovare sé stessa. Il dominio potè affermarsi e sostenersi giovandosi
dell'indifferenza politica del popolo italiano : ma se influi sulle forme
esteriori di vita, non ne estinse le energie intime e vitali : a misura
che nel corso del seicento andò perdendo di autorità, di dignità, di
potenza, Tltalia vera, quella che sembra estinta sotto il giogo straniero
si ridesta, mostra di conoscere le nuove condizioni di vita moderna, si afferma
d'un tratto tra le altre nazioni, le precorre mostrando che la servitù
politica e civile non significa morte d'un popolo quando l'anima si mantiene
salda e forte. Il classicismo e pur sempre una forza viva e
operante nella vita del popolo italiano e ne costituì l'elemento
unificatore, spiegando un'azione analoga a quella compiuta altrove dalla
religione o dalla monarchia. Come il dominio, cosi la reazione
cattolica, che richiama alla mente l'Inquisizione, i roghi, le arti
gesuitiche, esplica un'azione del tutto esteriore sull'andamento
generale del pensiero italiano. La istintiva ripugnanza degl’italiani
alle guerre di religione, la indifferenza opposta al movimento della
Riforma, l'azione energica spiegata dalla chiesa secondata dai governi nel
reprimere i pochi centri infetti d’eresia, LA DIVISIONE POLITICA DELL’ITALIA IN
PICCOLI STATI, NUMEROSI E RIVALI, aventi vedute diverse in fatto di
politica religiosa, la presenza del papato, che dove seguire una linea di
condotta prudente e moderatrice, se da un lato rendevano inutili le
misure repressive, dall'altro tolsero loro efficacia e intensità. La
reazione dove spuntarsi contro il temperamento degl’italiani,
abituati per lunga consuetudine a quello sdoppiamento psicologico,
non privilegio di poche personalità ma proprio di quanti sono
intelligenti e colti, per cui sanno conciliare la sincerità delle
credenze colle audacie del pensiero: solo la forma esteriore del pensiero e
delle opinioni dove subire restrizioni e accomodamenti, e ciò spiega le
frequenti concessioni e gli accorti espedienti a cui ricorsero anche i più alti
intelletti, per non offrire il fianco a inutili persecuzioni. E invero,
nonostante il malgoverno degli Stati, lo sfruttamento permanente dell’energie
produttive del paese, l'ignoranza delle plebi sistematicamente insubordinate e
affamate, la mancanza di virtù pubbliche e civili, di una coscienza politica
nazionale, il pensiero italiano nelle strettoie in cui doveva muoversi,
si mantenne più che mai desto, dando novelle prove della sua
inesauribile fecondità. L'Italia, unica tra i paesi dell'Europa, offre
l'esempio nel secolo XVII di una produzione intellettuale in cui
l'antico e il moderno si associano, e mentre da un lato conserva e
perpetua la tradizione classica, dall'altro elabora forme nuove e precorre
i tempi moderni. Scienza e filosofia trovano cultori e innovatori, il cui
nome basta per porre l'Italia al livello e al disopra delle altre
nazioni europee. L'Italia ha nel il suo Bacone in GALILEI (si veda), il suo
Cartesio in CAMPANELLA (si veda), come più tardi ha il suo Grozio in VICO (si
veda), il cui pensiero si educò e si formò nell'ambiente e secondo le
tendenze di quel secolo. La Toscana e il Regno di Napoli sono
rispettivamente i centri della filosofia. La Toscana, culla
dell'arte per opera d’ALIGHIERI, e Ja culla della filosofia esperimentale
per opera di GALILEI. Nulla di più inesatto, sopratutto rispetto a GALILEI
della frase di Ferrari « essere stata l'Italia nel seicento il paese
delle grandi eccezioni: non fu una eccezione GALILEI, il quale riassunse in sé
il lavoro di molte generazioni precedenti, e e il capo d'una scuola
numerosa di seguaci che ne continuarono gloriosamente le orme. Un
secolo prima VINCI proclam l'esperienza >ola interprete della natura ed iinaugura
il felice connubio della matematica coi dati sperimentali in cui
propriamente consiste il pregio e la novità del metodo galileiano. Prima
di Galilei, Telesio dice che la natura è il gran libro in Sai
carattere toUerante degli Italiani in materia religiosa efr. Raffini, s
cui si contiene tutta la filosofìa: Galilei addita i caratteri coi
quali il libro e scritto. Prima di Cartesio, Galilei coacepi le forze naturali
come capaci di peso e di misura, e dai rapporti ideali delle quantità
cercò intuire i rapporti reali dei fatti. Prima di Bacone egli insegna che il senso porge la materia greggia
dell'esperimento e che dall'osservazione deve nìuovere la ricerca
scientifica. Per tal guisa Galilei se da un lato precorre, dall'altro
supera, completandoli, Bacone e Cartesio nello studio dei fatti naturali.
In lui l'esperienza e il ragionamento, quella fondata sul senso, questo
sulla ragione, si associano e si completano a vicenda. A Bacone invece
parve sufficiente la semplice osservazione, a Cartesio la
speculazione pura. Il metodo naturale fuori d'Italia si sdoppia in
due indirizzi opposti, in Italia e più specialmente in Toscana per
opera dei continuatori di Galilei si mantenne nella sua integrità e divenne lo
spirito informatore dell'Acciidemia del Cimento. Galilei non usce dal
campo dei fenomeni fisici: sotto questo aspetto e superato da Cartesio e
da Bacone, di cui l'uno crea per le scienze speculative un metodo
nuovo, l'altro consiglia l'estensione del metodo sperimentale alle
scienze morali. Ad associare il metodo razionale e sperimentale, Bacone e
Cartesio, nello studio delle scienze morali sopravvenne Vico che restaura la
filosofia italica, come Galilei aveva restaurato la filosofia
naturale. Il rinnovamento filosofico in Italia e assai più lento e
contrastato. Sulla scorta di Mamiani e di Gioberti noi potremmo
facilmente rintracciare in Italia fin dal secolo XV una triplice azione
diretta contro la scolastica, la teologia, Aristotele. Né mancano nuovi
sistemi che contraddicono Sai precursori di Galilei e sul metodo
galileiano ne' suoi rapporti con quello adottato da Bacone e da Cartesio
cfr. Fiorentino, Beìmardino Tele8i0f Firenze Cfr. A. E e che r, La
fisica spei'imentale dopo Galileo nella Vita italiana. Cfr. Mamiani, Del
rinnovamento della filosofia antica italianaf Parigi. In quest'opera, come
nelle opere più note rinnovamento della filosofìa italica. Tale
corrente è rappresentata dalle scienze giuridiche e morali. Altrove
osservammo che nell'Europa l'impulso ad una trasformazione filosofica deriva
d’esigenze di carattere morale e giuridico. L'ITALIA pur non sottraendosi
a questa le^e tenne diverso cammino. In Olanda, Inghilterra, Germania
sorse e si afferma la scuola del diritto naturale: scarsa e
imperfetta era la tradizione giuridica in questi paesi,' e del tutto
insufficiente a soddisfare le nuove esigenze create dalla formazione
dello Stato. Il concetto di un jiis natiirae che permette alla ragione di
sciogliersi dai vincoli dell'autorità e della tradizione giuridica del
passato, divenne il fulcro intorno a cui si svolse una letteratura
etico-giuridica copiosa, destinata a dare nuove basi alle scienze morali. Ma né
in Francia né in Italia sorge una vera scuola di diritto" naturale.
In Francia e soffocata nel suo sorgere dal dispotismo reazionario
di Luigi XIV. In Italia non ha ragion d'essere per la mancata formazione dello
Stato. Il diritto filosofico che altrove procede dalla ragione in
opposizione alla tradizione giuridica, in Italia scaturisce spontaneo e
per filo non interrotto dalla tradizione giuridica stessa, trasformata e
adattata alle nuove condizioni dei tempi moderni. Solo per questa
via si può spiegare la restaurazione giuridico-filosofica compiuta
da Vico, e vien meno quel carattere di eccezionalità che ancora circonda la
figura del grande filosofo napoletano, a cui spetta nel campo delle
scienze morali, come a Galilei nel campo delle scienze naturali,
riassumere il passato e dischiudere l'avvenire. Le scienze giuridiche fornirono
anche all'Italia occasione alla restaurazione filosofica, la quale per altra
via incontra difficoltà quasi insor/nontabili. Alla glossa di
Irnerio e di Accursio ossequente alla lettera della legge, e seguita con
Bartolo e Baldo la scuola degl’interpreti, i quali applicando alle leggi la dialettica
scolastica, accomodano IL DIRITTO ROMANO alle esigenze del foro e alle
necessità dei tempi, ampliandone e done il contenuto, facendo spesso
opera di legislatc di giureconsulti. Tali interpreti costituirono
la giureconsulti pratici, la quale si mantenne nume fluente in
Italia. Neil' ignoranza e confusione delle leggi, i pratici contrib
serva CARLE, a svolgere quell'aspetto della scienza che chiamasi ora
giurisprudenza. Sul finire del Medio Evo l'amore della critica
stoi logica applicata agli studi giuridici vi produce una schiera
di giureconsulti culti o eruditi, che astraci sogni della pratica,
deplorando le alterazioni che dei pratici i testi del DIRITTO ROMANO
hanno subito, con ardore ammirabile a purgare la lezione dei test;
l'antico diritto « colla cura, dice CARLE, con cui si una statua antica i
cui frammenti sieno disgiunti gì altri. Dalla scuola dei giureconsulti
culti iniziat da filologi come POLIZIANO e VALLA e da giurecom ALCIATO,
svoltasi sopratutto in Francia col Cuiacic i primi romanisti, e i primi
storici del diritto. La diversità di scopi e d’indirizzi mantenne a
li e ostili i giureconsulti pratici e colti, per quanto cassero
tentativi per conciliare e i due indirizzi E mentre in altri paesi di
Euroj CARLE, Vita del diritto, Torino. Vico vi accenna nel De universi
juris eoe. (Proloquiì CARLE. Ricordiamo Jne italiani SIGONIO e PANCIROLO.
Ricordiamo GENTILE il qnale pur appari scuola dei giureconsulti colti ne
criticò aspramente le esaj Dialoghi siigli interpreti delle leggi
(pubblicati a Londra nel GENTILE fu ad un tempo nelle numerose sue opere
pratico ed ^^:''WH.-; terra di conquista e la volontà dispotica del
principe tien luogo di legge, — in cui i viceré nominati per tre anni possono
impunemente violare la legge pur di arricchire nel più breve tempo
possibile, dopo di aver inviato 8,000,000 di scudi.— in cui l'educazione
era affidata ai gesuiti e la chiesa domina le coscienze e la vita civile
colla superstizione, colle sue ricchezze, co' suoi privilegi, col numero
enorme di corporazioni religiose e di fondazioni in cui il popolo
ignorante e affamato e sempre pronto alla rivolta inconsulta — in cui
l'amministrazione della giustizia e corrotta, la distribuzione dei
tributi ingiusta, il commercio insignificante, l'agricoltura abbandonata,
le campagne percorse da banditi in cui l'arte e la letteratura sono servili —
in cui il sistema, feudale si perpetua co' suoi abusi e la nobiltà si
corrompe nell'ozio. In questo periodo di generale decadimento
l'attività filosofica si esercitai a nel foro e nelle materie giuridiche.
La giurisprudenza- e il campo aperto agli studiosi, e raccoglie intorno a
sé quanto di più eletto per ingegno e coltura esisteva in Napoli. I pratici sono
in prevalenza, ma si distingueno per acume giuridico, per l'analisi profonda
dei fatti, per la rara diligenza nel porre le questioni. L'influenza
dei curiali e l'alta considerazione in cui sono tenuti costituie
l'unica difesa contro le frodi, le ingiustizie, i disordini del mal
governo. Il giureconsulto inspirandosi all'equità naturale compie opera sociale
notevole, poiché trova per tal via modo di supplire alla insufficienza o
mancanza della legge scritta. SaUe condizioDÌ generali di Napoli iu questo
periodo ofr. Giano o ne,. Storia eivile del Regno di Napoli. Parlando deUo
stato della giurisprudenza napoletana in questo periodo GIANNONE, e. 8, dice
che « gli avvocati di questi tempi non collocano molto studio
nell'oratoria, sicché i loro aringhi comparissero al foro luminosi e
pomposi: si studiano ricavar l'eloquenza più dalle cose che dagl’ornamenti
dell'arte. Perciò i loro discorsi in Ruota sono corti e tutto sugo: il
principal loro studio e nel porger con metodo ed energia i fatti ecc.
Caravita, Aulisio, giureconsulti di gran nome poranei di Vico. Né solo gli studi giuridici
attinenti alla prat incremento e lustro Napoli, ma anche gli studi
storici del diritto ce intendimento filosofico trovano un degno
rappres Gravina. Questi porta la interpretazi della scuola
napoletana alla sua maggior perfezioi iniziò gli studi sulla storia e
sulle origini del dirit raccogliendo tutte le conoscenze che si hanno
medesimo, indovinando il nesso tra le varie parti le lacune, facendo
opera pe' suoi tempi nuova e Nella produzione giuridica di Gravina è
evidente far servire IL DIRITTO ROMANO a scopi filosofici. Tra
restringevano la legge naturale alla legge raziona che ne allargano il
concetto fino a derivarla dal golanti l'universo, Gravina si attiene a
una so termedia che dove più tardi svolgere e accentu; L'uomo,
secondo Gravina, per la sua natura corporei alia legge generale delle
cose che è legge di moto di conservazione e d’evoluzione continua : per
la i spirituale ha una legge sua propria che è legge di di moti
volontari. Per diritto naturale il senso de^ narsi alla ragione, il cui
cibo è la virtù, e il cui ] pace dell'animo, conseguita per mezzo della
conosc naie delle cose. La vita sociale si inizia colla far flcata
nel padre a cui spetta per diritto naturale Ti mestico. Dalla necessità
degli scambi sorgono i cont: Lo riconosce il Vi 11 ari nel
suo saggio sol FILANGIERI, (S critica, politica, Firenze. I principi di
filosofia giuridica di Gravina si trovane nel juris oivilis libri treSy
Napoli, Mosca, Nel I libro fa 1 origini e del progresso del DIRITTO
ROMANO pubblico e privai (3; Gravi na. De origine juris. generano
rapporti più ampi, fondati non sopra vincoli uè, ma sulla considerazione
del VANTAGGIO COMUNE, di isura la legge, definita giustamente da Platone
« distrilentis. Su questa base dell'INTERESSE COMUNE e sulio delle società
private di commercio, si formano le civili, di cui sono organi necessari,
la legge ossia la voluntas intesa a REGOLARE I RAPPORTI SOCIALI, e
la potestas a cui spetta prevenire e reprimere anche amente le
violazioni delle leggi. Se l'idea dell'ONESTA mto universale e costante della
legge, questa può assurrme diverse secondo i tempi, i luoghi, il carattere
dei inche i rapporti tra levarle società civili devono essere L da
ragione, e il diritto che ne deriva costituisce il disile genti, le cui
violazioni giustificano le guerre intese ionfare nei rapporti fra due stati
la ragione sugli istinti ì antisociali (2). Come nell'interno dello stato
ai saggi mti alla ragione espressa in leggi scritte spetta goverai
sudditi, schiavi del senso, obbedire, così nei rapporti zionali spetta a
un stato più civili dominare e sottometuno stato che violano le norme del
diritto naturale. Il a. previene Vico nella ricerca delle cause per le
quali i sorgono, si conservano, rovinano. Se non che Gravina )n essendo
assorto al concetto di società come un tutto ;o e considerandola solo
come la somma degli individui compongono, ricerca tali cause nell'uomo e
fa dipendere t)rio sociale dall'equilibrio di tutte le facoltà dell'indi^).
Precorrendo il futuro egli mostra le sue predilezioni sverno popolare e
mette in evidenza l'importanza 3 medio o terzo stato per mantenere
l'ordine e l'armonia [verse classi sociali. jNel diritto e nella
costituzione p. Gravina, Op. cit., Lib. II, e.
lO-lS". r. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. 14. r. Gravina, Lib.
III, ci. r. Gravina, Lib. III, e. 16. r. Gravina, Lib. Ili, e.
14. politica del POPOLO ROMANO, alla cui illustrazione l'opera sua
di giureconsulto è sopratutto intesa,' Gravina, come più tardi Vico, vede
l'esempio ideale da semr di guida e di insegnamento agli uomini politici e ai
giuristi. La filosofia giuridica del Gravina non ha valore che per
l'epoca e le circostanze in cui sorse. In essa la funzione etica del
diritto non si distingue dalla sua funzione sociale. La legge naturale si
confonde colla legge morale, come per gl’antichi il sommo bene è riposto
nella virtù congiunta alla felicità e acquistata colla scienza. Ma in
Gravina troviamo i germi dell'indirizzo che dove prevalere in Italia con
Vico, cioè LO STUDIO STORICO DEL DIRITTO ROMANO fatto servire A ILLUSTRARE
PRINCIPI TEORICI, e alla ricerca delle leggi regolanti il corso della
nazione italiana. Del risveglio effettuatosi in Napoli nelle scienze morali e
giuridiche, è novella prova la Vita Civile di BORIA, alla cui pubblicazione Doria,
non ancora distratto dalle polemiche cartesiane, e forse indotto
dalla lettura delle opere di Gravina, o più probabilmente dalla
famigliarità con Caravita, nella cui casa conveniva con Vico. Doria nell'opera
sua si dimostra, a differenza del Cfr. del Gravina H libro “DE ROMANO
IMPERIO” - in cai tratta della costituzione dell’Mmpero romano come della COSTITUZIONE
IDEALE. Le idee religiose di Gravina sono dal lato dogmatico qulle dei
cattolici del suo tempo, ma con questi e in disaccordo nel campo etico.
La sua “Hydra mistica” è una critica severa della morale gesuitica
mostrando una grande indipendenza di pensiero. VICO conosce Gravina,
lo ricorda con espressioni di stima e di affetto nella Autobiografia. Se
non ne cita le opere, ciò non deve attribuirsi a malanimo o a distrazione
come afferma Cantoni (VICO, Torino), ma al fatto che in Vico anche le
idee altrui si elaborano e si trasformavano in guisa da diventare sue
pròprie e originali. Doria, di famiglia genovese, visse e
morì a Napoli dove erasi recato fanciullo. E amicissimo di Vico il quale
lo ricorda nell’Autobiografia, e gli dedica il iasimano quelli che
vogliono ricavare la politica dalla sola pratica e i filosofi che credono
potersi governare il mondo ooll'astralta metafisica. Nella Vita Civile dice
che la politica e la morale sarebbero la stessa cosa e non vi sarebbe punto
bisogno di politica qualora le norme di moralità fossero da tutti
comprese e attuate. Doria. La politica deve fondarsi sulla conoscenza della
natura umana quale appare alla ragione: solo per tal via si potrà
evitare l’empirismo e ridurre la politica a sistema. Come non è vero
giureconsulto chi dalle leggi particolari del luogo non sa elevarsi alla
ragion della legge, cosi non è vero politico colui che ha solo una
naturale e raffinata malizia, spoglia di ogni conoscenza dell'uomo, de' suoi
rapporti coll'ordine delle cose, dell'essenza della vita civile, di ciò che
contribuisce alla felicità degli uomini. Dalla metafisica, che per Doria
significa conoscenza degli universali a scopo di applicazione pratica,
deve la politica trarre il suo fondamento scientifico. Nello studio
dell'uomo Doria segue l'indirizzo psicologico mediano proprio della
filosofia italica e che Vico dove svolgere. Rileva il dualismo tra
spirito e materia, ammette che a costituire la vita morale concorrono la
ragione e il senso, l'universale e il particolare, che la felicità
consiste nella retta conoscenza e nel buon uso dei sensi, che naturale è
l'inclinazione alla vita sociale, che l'uomo per necessità della sua
natura tende a emendarsi, a cercar rimedio ai mali, a sollevarsi
gradatamente dal senso, ossia dai particolari agl’universali principi,
cioè alle idee innate del vero e dell'onesto. Tutti questi concetti ravvalorati
dalla esperienza storica ritornano in Vico. Alla morale impossibilità
dell'uomo di possedere tutte le virtù e al fatto che tutti sono forniti
di qualche virtù, supplisce la vita civile, la cui vera essenza sta nel
comporre armonicamente insieme le energie virtuose disperse nei singoli,
in guisa che SI AIUTINO RECIPROCAMENTE, e si formi una condizione di
cose atta ad assicurare a ciascuno la felicità. Doria dopo aver RI-COSTRUITO
RAZIONALMENTE o piuttosto PSCIOLOGICAMENTE L’ORIGINE E L’ESSENZA DELLA VITA
CIVILE, cerca, come Doria. Cfr. il Capo II delia parte prima
dove è esponila la dottrina i)sicologica del Doria. Cfr. Doria, più tardi
Vico, nella storia conferma a' suoi principi. Respinta l'ipotesi di una pretesa
età dell'oro, riconosce che gl’uomini, cresciuti di numero, premuti dal bisogno
attravesano un periodo di lotte e di violenze, da cui uscirono raccogliendosi e
organizzandosi intorno a uno di loro più forte che li difendesse: ROMOLO.
Ssi costituirono allora le famiglie e si hanno i governi patriarcali.
Quando gl’uomini non paghi della difesa aspirarono a un genere di vita
più regolare e civile, fanno ricorso al prudente – NUMA -- che detta
leggi ordinate alla umana felicità. Colle leggi e ordinamenti si inizia
la vita civile che si svolge dapprima nelle città di ROMA, poi nei regni
e si hanno le monarchie, trasformatesi col tempo in aristocrazie e in
democrazie. Col graduale estendersi e complicarsi della vita civile,
l'economia domestica si fa commercio, la difesa della casa si
trasforma in vasta arte di guerra, la naturai prudenza diventa
scienza di governo o politica. Una progressiva divisione di poteri
ossia d’ordini si rende necessaria, e si formano le classi dei guerrieri,
dei legislatori, dei magistrati, i quali a loro volta vanno
distinguendosi in magistrati di politica, di giurisdizione, di commercio.
Tra i sudditi poi si vanno formando le classi dei padroni e dei servi: da
quelli si svolge la nobiltà, da questi la ricca varietà dell'arti
servili. Dalla STORIA DI ROMA trae Doria argomenti ed ESEMPI alla
dimostrazione della sua dottrina. Passando dalla costituzione politica a
descrivere le fasi del progresso sociale, quale risulta dalla storia,
Doria pone come legge regolante il corso dell'umanità il graduale
passaggio dalla vita barbara o difettosa alla vita civile moderata da
leggi e da ultimo alla vita civile pomposa, in, cui la civiltà si
accompagna col lusso e colla magnificenza degli esteriori ornamenti. La
vita pomposa genera l'ozio e il popolo ricade nella servitù. Cfr. Doria, Op.
cit., I, e. in e iv. Cfr. Doria, Op. cit., I, e. v, ove si descrivono
diffusamente le diverse fasi deUa vita civile. Per quanto erroneo
sia il concetto fondamentale della dottrina civile di Doria, noi crediamo di
trovare in essa i germi di molte idee e dottrine svolte più tardi da Vico.
Il concetto che la filosofia deve tendere a scopo pratico, che anche la
politica può fondarsi su principi saldi e costanti tratti dalla
conoscenza dell'uomo e delle sue passioni, la storia e sopratutto la
romana invocata a conferma della dottrina, la progressiva
differenziazione degli ordini e dei poteri, il passaggio graduale dell'umanità
dalla barbarie alla vita civile e il ritorno fatale alla barbarie, il
progresso identificato col passaggio dal senso alla ragione, sono
concetti che ritornano in Vico svolti ed estesi a nuove e più lontane
conseguenze. L'opera di Doria, molto apprezzata ai suoi tempi, non e.
senza influenza sui principi italiani ancora infetti da
machiavellismo, incitandoli a saggie e razionali riforme. Essa precorre i
tempi e non merita l'obblio in cui è tenuta dagli storici della filosofia
del diritto. Ad ogni modo essa getta viva luce su quell’ambiente di Napoli in
cui e concepita e pubblicata, e nel quale si matura il genio di
Vico. Il progresso negli studi giuridici e sociali in Napoli
non e che il riflesso di una. ben più larga e profonda trasformazione del
pensiero napoletano al contatto delle correnti filosofiche, le
quali, penetrate in Napoli malgrado l'attenta vigilanza della chiesa, si
sono rapidamente diffuse conquistando gli spiriti oramai maturi ad
accoglierle. Prime a conquistare il favore delle nuove generazioni sono
le dottrine dell’ORTO e di Locke, come quelle che interessavano la vita
pratica e schiudevano un ideale morale che e in aperto contrasto colle
idee e coi sentimenti tradizionali. La rivoluzione iniziatasi n Vico uéìV Autoìnografia ci dice che del
tempo nel quale egli partì da Napoli si e cominciata a coltivare la
filosofia dell’ORTO sopra Piar Gassendi, e due auui dopo ebbe novella che
i filosofi a tutta voga si era data a celebrarla. Ciò conferma Doria
nell'introduzione air opera : Difesa della metafi»ioa degl’antichi contro
G, Locke eco, nel costume si estese al campo speculativo e l'occasione
fu offerta da Cartesio nelle cui opere filosofi, giuristi,
matematici, fisici e fisiologi trovano argomenti per un nuovo
indirizzo di metodo e di studi. Cartesio e in Napoli nome di
battaglia e di partito. Esso significa libertà di pensiero, opposizione
ad Aristotele, al principio di autorità, allo scolasticismo, all'erudizione
filolcfgica e storica, all'empirismo. Esso divenne l'arma poderosa che
servi a scuotere, dice Giannone, il durissimo giogo che la filosofia dei
chiostri ha posto sopra la cervice dei napoletani. Primo a introdurre in
Napoli e a far conoscere la dottrina di Cartesio e CORNELIO (si veda), naturalista della scuola del Telesio, il
quale ha ad alleati influenti il giureconsulto Andrea, Capoa, e sopratutto
Caloprese, che approfondi la dottrina cartesiana e primo si da a
insegnarla. Del favore che Cartesio incontra in Napoli fa prova gli’investiganti
istituiti in casa propria dal marchese dell'Arena, allo scopo di studiare
e discutere la filosofia cartesiana col concorso e l'adesione di quanti
si distinguevano in Napoli, per coltura e ingegno nei più diversi rami
della filosofia. Al primo periodo di entusiasmo e di fanatismo, di
ammirazione cieca per le nuove idee che venivano dal di fuori, succede un lungo
periodo di reazione e di opposizione tendente a richiamare le menti alle
buone tradizioni della filosofia italica, a restaurare l’accademia che e
stato -- Cfr. Giannone. Di Cornelio parla Fiorentino. Vico (Auiob,) lo
chiama gran filosofo renatista. In quest'epoca abbiamo una vera ri&oritura
di gruppi di gioco in Napoli. Oltre a
quello degl’investiganti ricordata da Giannone, notiamo quello fondato d’Argento
alla quale convenne Giannone; quello
fondato dal duca di Medina Coeli; quello degl’infuriati ricordato da Vico nella
Autobiografia, quello degl’oziosi, senza tener conto delle numerose
private. -- valido strumento di guerra contro il LIZIO e la scolastica.
Anima dell'opposizione contro Cartesio, l'idolo del giorno, e Vico, al
quale le varie correnti di filosofia che si sono andate svolgendo in
Napoli convergono. Egli potè apparire un genio solitario solo perchè e
l'astro luminoso, dice Villari, in cui si concentra la luce di
tutta uaa moltitudine di minori pianeti, perchè riassunge in sé
tutta un'epoca e sui materiali da questa forniti eleva un sistema di cui i
contemporanei non possono valutare l'importanza, e di cui parve egli stesso vuole
rimandare all'avvenire la prova dei fatti. Nell'opposizione
contrergli indirizzi filosofici prevalenti all'epoca sua Vico non e solo.
Egli ha ad alleati quanti per avversione a Cartesio e allo scolasticismo
miravano a restaurare la filosofia dell’accademia e a richiamare gl’ingegni al
culto della tradizione italica. Tra questi devesi ricordare Doria,
il quale dopo aver combattuto Cartesio nel campo della della metafisica, si fa
sostenere l’accademia. Il suo tentativo lascia gl’animi indifferenti. A lui nocque il carattere polemico delle
sue opere, l'esagerazione con cui combattè senza distinzione tutti gl'indirizzi
nuovi di filosofia solo perchè non rispondenti alle sue predilezioni o
prejudizij. CIt. il saggio su Filangieri du Villari in Saggi di storia
aHitea e politica, Firenze. Villari, iJ Carle sono tra quelli che
cooperarono a sfatare la leggenda di genio solitario che unita all'altra
di genio incompreso si e andata dopo Ferrari creando intorno a Vico,
e che e accolta sopratntto dai critici francesi: Michelet, Michaud,
Janet. Bovio -- Conferenza su Vico in Vita i^aZiana -- dice che Vico non e
genio incompreso, ma deve annoverarsi tra i filosofi solitari, che sono quelli
che hanno larghe visioni e piccola prova. Giustamente osserva Villari che tale
errore nasce dall’esser generalmente poco o punto conosciuta la storia degli
studi che allora fiorisceno in Napoli. Vico nella AtUobiografia
dice che Doria frequenta con lui le conversazioni le quali hanno luogo in
casa di Caravita e di . Ben altra importanza ed efl Vico. Essa
trova fondamento zione ricevuta, negli studi da 1 delle sue
naturali tendenze ini scientifiche e particolarmente n INGEGNO
SPICCATAMENTE ITALIANO. Vatolla ritorna in Napoli nel suoi studi, e le
sue opinioni fi sono quelle che troviamo svolte discorso sul metodo
degli studi tìquissima. In questo pei soflche del sapere. Delle
diverse che agitano l'ambiente di ? sfuggi all'osservazione e alla
mei Vito di Sangro. Parlando di Doria il mira come sublime ed originale
in ( e cornane negl’accademici >. Ciò fa a mi tesiano, mentre il
p.'isso di Vico prov; tempo in maggior pregio di Vico la do se
Doria e per qualche tempo seguac un deciso avversario. Egli comincia
v l'applicazione da lui fatta del metodo lo combatte nel campo
metafisico n alla filosofia di Renaio des CarieSy non loaofia di Doria
con la quale si Queste due opere gli suscitarono cont principe
della Scalea, discepolo del Gal contro Doria nell'opera intitolata
Bi Doria oppone nello stesso auuo le su monografia citata del
Geriui: Difesa della metafisica degl’antichi e che in questi
contrasti tra cartesiani e di Vico: ciò deve, secondo noi, attr in
quest'epoca ne' suoi nuovi studi gii diretta parte a questioni di
carattere fil comune il desiderio che gl’italiani delle scienze degl’oltramontani,
dov pienza in quella guisa che fecero i 1 Misantropo. egli
accolse interamente poiché era profondamente convinto che nessuna
risponde al carattere nostro nazionale e alle esigenze delle scienze morali
che costituirono il campo proprio in cui si afferma sin dal principio il
suo ingegno, e alle quali ha sempre rivolto il pensiero sia nella scelta
degli autori da formar oggetto di studio, sia nella scelta del metodo
da seguire, sia nel porre il criterio della verità, sia nel determinare
la natura e la finalità (metier) dell'uomo. Nelle sue predilezioni per l’accademia
e TACITO già si intravvéde quel dualismo tra il senso e la ragione, che
dove essere il fulcro intorno a cui si svolgono le scienze morali e il
corso storico dell'umanità. Coll’accademia lo spirito, il mondo delle
idee esce per la prima volta fuori dall'involucro mutevole del
senso. Niuno prima e dopo di lui seppe dare dell'uomo, quale dove essere
secondo la sua natura razionale, un concetto più vero e profondo. Colla
guida dell’accademia Vico puo in seguito rintracciare nell'uomo e nelle sue
manifestazioni individuali e collettive gl’elementi costanti e
universali. TACITO descrivendo l'uomo reale dominato dai sensi e
dalle passioni, che opera spesso inconsciamente dietro lo stimolo
degli istinti, dei bisogni, delle utilità puo costituire ottima guida per
la conoscenza dell'uomo storico e di ciò che vi è di vario e di mutevole
nelle azioni umane. TACITO completa Platone e sulla scorta di entrambi la
chiave per la comprensione dell'uomo singolo e collettivo era trovata. n
carattere mentale di Vico possiamo desumere dalla serie delle sne opere,
e dalla vita scritta da lui stesso. 'NéìV Autohiografia Vico fa sé stesso
oggetto di osservazione, descrive la saa vita mentale, ci dà la genesi
delle sue opere, il procedere dela sua filosofia. Primo Carle rileva la
stretta analogia tra il Diaoorso sul metodo di Cartesio e la Vita del Vico. Ma
Tanaìisi psicologix^a fatta dai due filosofi sopra sé stessi li conduce a
conseguenze opposte. Cartesio si convinse della necessità di concentrarsi
in sé stesso e di ricavar la sciènza col proprio intelletto. H Vico
invece si convince che l'uomo deve guardarsi bene dall'esser solo a
pensare una cosa^ perchè o si mata nel divino o si pone in contraddizione
col senso comune. Per ciò che riguardava l’ordine e il metodo da seguire
nello studio dell'uomo, Vico, guidato dal suo ingegno divinatore
ferma l'attenzione su Bacone. Non dimentichiamo che le opere di Bacone passano
inosservate nella stessa Inghilterra per la prevalenza incontrastata che
vi assunse il metodo soggettivo nello studio delle scienze morali. Gli
stessi enciclopedisti, ammiratori di Bacone, lo celebrarono come
fondatore del metodo induttivo, ma non ne rilevarono l'importanza in
ordine alle scienze morali. Pochi danno dvalore al suo trattato De Avg
mentis che a Vico parve giustamente dischiudere un'era nuova nello studio
delle scienze morali, come quello che mentre fa rientrare anche
quest'ultime nel vasto campo delle scienze sottraendolo all'impero della
metafisica, indica alla loro restaurazione il metodo induttivo. Nel culto
per Bacone Vico rimane a lungo solo in Italia e fuori. Vico comprende
e svolge il concetto adombrato da Bacone di porre le scienze morali sulla
salda base dell'osservazione storica e psicologica. Egli costituisce l'anello
di congiunzione tra Bacone e Comte che con piena coscienza volle
restaurato tutto il sapere filosofico sulle basi del metodo induttivo. Ma se
Bacone rileva le lacune del sapere umano e indicato il nuovo metodo di
indagine, non dice il modo con cui colmare tali lacune, come praticamente
applicare il metodo dell'osservazione allo studio delle scienze morali:
l'una e l'altra cosa fa Vico e puo con giusto orgoglio dire di aver
creato una scienza “nuova”. Platone, TACITO, Bacone, vengono per tal modo
a personificare i tre capisaldi della filosofia vichiana applicata agli
studi morali e sociali, la ricerca dell'universale nel particolare,
dell'idea nel mutevole succedersi delle azioni umane mediante Vedi sopra
pag. 49 e seg., saU'opera e suUe sorti di Bacone. Primi a far conoscere
Bacone in Francia sono Voltaire nelle sue Lettere Persiane e Diderot nel
sno discorso preliminare all’enciclopedia. -- un procedimento di
induzione. L'uomo nel concetto di Vico deve assumersi nelle scienze
morali nelle integrità della sua natura, né deve esser lecito al filosofo
di foggiarsi una natura umana che contraddice al senso comune e alla
realtà delle cose. L'analisi psicologica non deve spingersi al punto
di far violenza alla natura. La specializzazione soverchia delle
scienze se rende gl’uomini dotti nei particolari li rende meno atti ad
abbracciare il sapere nella sua integrità. Essa poi riesce
particolarmente dannosa alle esigenze delle scienze morali aventi
carattere e scopo pratico e che presuppongono l’uomo operante
nell'interezza della sua natura tra i due poli estremi del senso e della ragione,
dell'istinto e della libertà, secondo una legge di progressivo predominio
degli elementi razionali sopra i sensibili. Le scienze morali devono
valersi di concetti sintetici e i cultori delle medesime devono
essere uomini d'ingegno, cioè, capaci di scorgere il comune tra
cose lontane e disparate. Fermo in tali concetti Vico dove trovarsi in disaccordo cogli
indirizzi della filosofia dominante in Napoli e che in piccole proporzioni
riflettevano gl’indirizzi che in seno alla filosofìa si erano andati
delineando e che Vico riconduce genialmente a correnti di idee che hanno
dominato nell'antichità. Scarsa e difettosa e la conoscenza che Vico ha
dei sistemi filosofici antichi e moderni: ma suppliva con una
intuizione lu una lettera a Gaeta VICO definisce l'indazione secondo
il concetto di Bacone. Per le opere del Vico ci siamo valsi della
edizione napoletana curata da Ferrari: ad essa ci riferiremo per le
citazioni. "L^ Epistolario del Vico fa parte di quella edizione.
Vico svolge tale concetto nella sua orazione tenuta a Napoli. V orazioni di
Vico ancora inedite sono pubblicate da Galasso e formano parte dell’edizione
citata. Cfr. De Antiquissima. Sappiamo che Vico conosce Platone nelle
opere di FICINO, L’ORTO In quelle di Gassendi. Egli confuse il semita
Zenone del PORTICO coll’italiano Zenone di VELIA e cadde in altri simili
errori. U asi sempre felice, la quale gli permette di
rilevare il catterò generale delle varie dottrine e sopratutto di intraverne le
lontane conseguenze nel campo pratico. Senza preocparsi dei pericoli e delle inimicizie
a cui egli, povero e cora oscuro, si espone, parla un linguaggio nuovo di
verità standosi pubblicamente contro i critici compiacenti, contro l’ostinati
delle sette, contro gl’impostori che infestano il anda degli studiosi,
contro i falsi dotti che studiano per sola utilità, e i dotti
cattivi che amano più l'erudizione Le la verità. Tra coloro che si
occupano di scienze moli condanna senza pietà gli stolti che non vedono né le
verità trticolari né le universali, gl’illetterati astuti abili
nell'altare la scienza alla pratica, i dotti imprv/Xenti sprezzanti
realtà e tendenti a tradurre nella pratica le loro teorie. Non e invidia
o umore bilioso o spirito di parte che iniravano Vico ma profondo amore del vero,
nobile risentiento contro quanti, sfruttando la scienza, ne compromeno
serietà con grave danno dell'educazione. L'intimo connubio L'egli
vagheggia tra filosofia ed educazione, lo rende avirsario delle dottrine
filosofiche che non si indirizzano a nder migliori gl’uomini e a guidarli
verso la felicità indiduale e collettiva. Dell’ORTO combatte il
materialismo che non riesce a spie-,re le cose della mente: e la sua morale
chiama morale di iccendati CHIUSI NEI LORO ORTICELLI fatta cioè per
uomini litari NON DESTINATI A VIVERE IN SOCIETA, che pretende regore i
doveri della vita coi piaceri dei sensi. Morale solitaria
[1) Cfr. Orazione terza. [2) Cfr. Orazione quarta. Cfr.
Lettera a Giaoohi, Ediz. cit., 1. VI. '4) Cfr. il De nostri
temporis eco, Il carattere pedagogico dell'opera di Vico e rilevato da
Tommaseo, ìggio 8U Vioo)\ da Flint (Vico, Edinburgh); dai Gerini
{Soì^ttoH ìagogici italiani Paravia). cioè di meditanti che studiano
non sentir passione la morale del PORTICO, alleati dei Cartesiani, come qu I, §
3, 4, 7, 9), nel De Antiquisaima, nella Risposta seconda al « G-iornale
dei letterati d* Italia, nelle lettere ad Esperti, al Vitry, a Solla. Aòntamente
osserva Vico che il metodo geometrico trasportato in cose che non sono
numeri e misure prova qualunque cosa {Bisp, al Oiom, eoo»).
che può raggiungersi nelle scienze fisiche aventi un oggetto
determinato e nelle quali si cerca la causa per cui molte cose si
eflTettuano in natura, non nelle scienze morali che hanno per oggetto i
fatti degl’uomini, la cui natura è incertissima per l'intervento dell'arbitrio,
in guisa, che delle molte cause di un sol fatto non si può mai dire quale
sia la vera. Porre alle scienze morali per fine il vero, bandire da
esse il verosimile è condannarle alla sterilità e all'impotenza. Vico,
superando Bacone, precorre le più moderne dottrine positive circa il
metodo da seguirsi nelle scienze morali. Tra ì cartesiani fautori della
critica, che vogliono banditi i veri secondari e pongono il primo vero
fuori del senso, che vogliono educate le menti all'analisi, logorandole
in sottigliezze e minuzie senza tener conto dell'indole dell'animo umano,
delle sue tendenze alla vita civile, dei vizi, delle virtù, del carattere
e del costume secondo l'età, il sesso, la condizione, la famiglia, la
nazione italiana, che si illudono di ridurre a norma tutto ciò che si
attiene alla vita e fanno troppa fidanza sulle norme der metodo, che
finiscono per ostacolare l'ingegno e distruggere la curiosità — e i fautori
della topica, seguaci del LIZIO, che, paghi di un sapere empirico, si affidano
ciecamente all'autorità, Vico propugna l'unione della critica colla
topica, cioè della dimostrazione coll'invenzione, dell'analisi colla
sintesi, del vero col verosimile, della ragione col senso comune. Solò
per tal via l'uniformità si consegue nell'operare e si formano non gli
scienziati, ma gl’uomini prudenti, gl’oratori, gl’uomini di stato, che è
lo scopo proprio delle scienze morali. La dottrina del metodo si completa
in Vico con quella relativa al criterio di verità ch'egli contrappose al
criterio cartesiano della percezione chiara e distinta ottenuta per mezzo
dell'osservazione interiore. Vico affrontando una delle più ardue
questioni di metafisica non perdette mai La questiouò del criterio di
verità è trattata da Vico nel De Antiqui88ima S. di mira le esigenze delle
scienze morali, e il suo pensiero riassunse nella formola della
conversione del vero col fatto, cioè che conoscere una cosa significa
farla. Mediante l'intelletto l'uomo conosce e conoscere significa comporre
insieme tutti gl’elementi di una cosa e formarsene la perfetta
idea. L'intelligenza umana ha un potere di comprensione limitato,
poiché degl’elementi costitutivi delle cose solo gl’esterni, e
parzialmente anche questi, riesce a combinare: opperò se l'uomo può
pensare a tutte le cose, non può che intendere quelle che fa, ossia
quelle di cui arriva a comprendere la genesi o la guisa di
formazione. La scienza per Vico è essenzialmente genetica ìr\ quanto
si riduce alla conoscenza del modo o delle cause con cui una cosa è
prodotta -- vere scire per causas scire. I limiti della conoscenza sono
quelli del potere. Di qui l'incertezza e imperfezione delle scienze morali, le
quali avendo pell’oggetto le azioni umane che non possono riprodursi e
sono continuamente mutevoli, non possono proporsi a loro unico scopo il
vero, mentre le scienze sperimentali hanno un grado di verità assai
maggiore in quanto studiano la natura riproducendola, e le scienze
matematiche racchiudono il grado massimo di verità in quanto sono
prodotti mentali, vere e proprie creazioni dello spirito.Vico parlando di
produzione della cosa come sinonimo di conoscenza della cosa non intende, come
mostra di credere Cantoni, una produzione ideale, ma una produzione
reale, che trova cioè un qualche riscontro nella realtà quale appare ai
nostri sensi. La chiara e distinta idea della cosa non può assumersi a
criterio del vero, come sostiene Cartesio, poiché il pensare
distintamente a una cosa non significa ancora conoscere il contenuto della
medeisima, e iioh ci autorizza ad affermare la realtà della cosa pensata,.
La certezza di pensare non é scienza ma COSCIENZA: scienza si ha
Cfr. Cantoni. La miglior interpretazione del pensiero metafìsico
del Vico ò quella data da Flint. delle cose la cui verità è dimostrata o
dimostrabile, cioè delle cose che riusciamo a fare, mentre la COSCIENZA è
proprio di quelle cose di cui non possiamo dimostrare il modo di loro
e^- stenza. Neppure la scesi dubita di pensare e di esistere, ma
dichiara solo di ignorare le cagioni del pensiero, ossia come esso ha
esistenza. Il pensiero è indizio, non causa della realtà. Una critica più
acuta e stringente del principio metafìsico cartesiano non si potrebbe
immaginare e ninno prima di lui può vantare di averla fatta. La coscienza
può attestarci la esistenza delle cose ma per intuizione non per
dimostrazione. Apprendere le cose non ancora significa conoscerne la natura.
Per tal modo Vico eleva una distinzione netta tra verità di scienza e di
coscienza, tra verità di ragione e di sentimento ò per usar la sua
espressione abituale tra ciò che è vero e ciò che è CERTO. Dell'esistenza
dell'anima, dei principi delle scienze morali possiamo avere una
cognizione CERTA ma non vera. Di quanto Vico restringe il campo del
vero di altrettanto allarga la cerchia del CERTO, pel quale
riconosce che unico criterio applicabile è il senso comune. Vico
però a differenza dei positivisti, non eleva una barriera
insuperabile tra la sfera del CERTO, delle CREDENZE e- la sfera della
verità, della scienza. Egli ammette che le verità di sentimento, di intuizione,
sono capaci collo svolgersi della riflessione di trasformarsi in veri
scientifici. Anzi egli pone come legge generale dello spirito individuale
e collettivo e delle sue singole manifestazioni il graduale e progressivo
passaggio dalla coscienza alla scienza, dalla autorità alla ragione, dal
certo al vero. Quanti nell'età moderna si fanno sostenitori della
relatività del sapere, accolgeno, senza ricordarlo, il prudente criterio di Vico.
Ma di essi più accorto, Vico mostra Vico usa le espressioni
vero e certo in un significato speciale. Per lui è vero ciò che si
converte col fatto. Certo è tutto ciò che si fonda sul senso comune,
ossia le verità intuite ma non dimostrate. Noi invece siamo soliti
considerare termini equivalenti il vero e il certo.] di intendere e di
apprezzare anche le idee e sentimenti che hanno il loro fondamento
nell'autorità del senso comune. Vico e profondamente convinto che le scienze
morali non possono astrarre dal verosimile per correr dietro a una vana e
formale apparenza di vero che trova nella realtà continue smentite. Il De
Antiquissima chiude il periodo filosofico-critico del pensiero di Vico.
Le dottrine in esso esposte sono in regolare armonia colle sue opere
posteriori, di cui formano il presupposto metafisico. Il Libet meiaphisicus
ribadisce il concetto che la vera sapienza è operativa e la filosofia non
deve solo proporsi la solitaria e sterile verità ma ancora l'utilità e
la dignità della vita. Vico non si restrinse a una critica negativa,
mentre critica integra: e come sul terreno metafisico e metodico integra
Bacone e Cartesio, cosi si prepara a integrare Grozio nel campo etico e
giuridico. Le predilezioni di Vico per gli studi giuridici rimontano al
primo periodo della sua vita, allorché imbevuto ancora di metafisica
scolastica, dietro consiglio del padre si applica àgli studi legali. La
casuistica giuridica, rappresentata allora in Napoli da Verde indispone Vico,
come quella che si perde nel casi particolari senza elevarsi a principi
razionali -- ottimo esercizio di memoria, egli osserva, ma tortura
dell'intelletto. La dottrina metafisica di Vico ancora aspetta di esser
giudicala al suo giusto valore. Esagerarono nelle lodi per uiì sentimento
di legittimo orgoglio nazionale, ROVERE, Gioberti, Siciliani: la
snaturarono adattandola ai propri sistemi filosofici gli hegeliani -- Spaventa,
Vera, Fiorentino -- e gli spiritualisti – Serbati --: mostra di non
comprenderla affatto Cantoni, che chiama W^Liher metaphiaious una strana
anomalia nella storia del pensiero di Vico. Non ci convince interamente
l'affermazione di Labanca -- (6^. B, Vico e i suoi orifici oaitolioif
Napoli -- che Vico fa della metafisica dogmatica, fondandosi sul fatto che i
critici la considerarono tale e non sollevarono dubbi al riguardo.
Cfr. Autobiografia per tutte le notizie biografiche in questo paragrafo
indicate. li interpreti antichi e gli interpreti parve
riscontrare i filosofi dell'EQUITA storici del DIRITTO CIVILE
ROMANO: fin i di far convergere i due indirizzi a itto
filosofico. A formarsi una coltura ale scopo, Vico attende per un
periodo li a elaborare è a fissare quei principi
lostituire il sustrato metafisico di tutte . Non trascura Vico
neppure in giuridici. Ne abbiamo la prova nella so sul
metodo delle vicende sto per metterne in evidenza il carattere
)mento per un nuovo indirizzo degli rva Vico che in Grecia la giurispruntemente
divisa tra filosofi, prammatici, onevano i principi razionali
attinenti gl’altri fornivano le leggi agl’oratori eloquenza
l'equo. IN ROMA la giurispruorigini divisa tra giureconsulti-filosofi no
dal lungo esercizio delle pubbliche elaborazione della civil prudenza
sacra ano dalla parola allo spirito della legge [uo, gli uni
custodi del GIUSTO, gl’altri ir età moderna le diverse parti della
assunte in una sola dottrina gli giurearatore, ha cessato di essere
filosofo; interesse privato, a cui giova particoifica IL PUBBLICO
INTERESSE, meglio tute 1 VICO traeva motivo per insistere sulla EQUITA
NATURALE colla filosofia giuridica per lui era la dottrina del
pubblico rende i uove anni passati nlla solitndiue di
ani poi trascorsi in Napoli fino alla pubblica
reggimento che i Greci apprendevano dai filoj dalla pratica stessa
delle cose pubbliche, mentr Vico e trascurata tanto dai pratici
preoccup trionfare l'equo e l’utile privato, quanto dagli er far
risorgere in tutta la sua purezza il diritto; rendersi conto delle nuove
esigenze dei tempi. Il divisamente di richiamare gli studi giurid
sua divisi tra la pratica e l'erudizione ad una b si venne meglio
determinando in Vico colla coi di Gravina e sopratutto colla lettura di
Grozio ai tempi di Vico Grozio e pressoché ignora Gravina mostra di
non averne approfittato. Tale verso Grozio e naturale in Italia, estranea
al mazione dello stato e strettamente lej dizione giuridica e all'AUTORITA
DEL DIRITTO ROMANO cercato reagire Grozio. Ma ben intese i scuola del
diritto naturale di cui e stato fonda aveva efficacemente cooperato a
restaurare qi del pubblico reggimento, di cui difettavano i no
sulti. Si comprendono pertanto le sue simpatie lui posto nel novero degli
autori prediletti acca a TACITO, a Bacone. Grozio era assorto al e
Vico neìV Autobiografia ci fa sapere che la Vita é pubblicata gli conciliò € la stima e l'amicizia d
letterato d'Italia Gravina col quale coltiva s denza infiuo ch'egli morì.
Le provano che egli conosceva di fama anche prima di qu£ vina, e
certamente ne aveva letto le opere, Vico p( l'opera di Grozio nell'
apparecchiarsi a Scrivere la F L'opera di Grozio era stata messa sìlV
Index Ex^ Chièsa cattolica. La sincerità delle credenze religiose
no Vico di studiare e apprezzare scrittori condannati dalla ma per
prudenza si astenne molte volte dal citarne i n citandoli li cita
vagamente e quasi di sfuggita. In leti abbondano le citazioni di
scrittori stranieri e mostra di co: nei concetti fondamentali .
arsale sottratto a delimitazioni di tempo e di luogo, na e immutabile di
giusto che Vico coll’accademia innata e propria della natura razionale
dell'uomo, cerca far scaturire dallo STUDIO DELLA LINGUA DEI ROMANI
ed estendere alla gran mere umano.
La lettura di Grozio forni a Vico i prender conoscenza dei divèrsi
indirizzi che del diritto naturale si sono andati svolgendo in
Germania e Francia. Di Hobbes, yle, ricorda il nome e le opere e
riassume in poche issime l'indirizzo generale del loro pensiero in orlenze
giuridiche e sociali. Altrove mostra costemi di Selden e Pufendorf, di cui
associa costandottrina relativa alle origini della società umana ii
Grozio. Ma a quest'ultimo Vico direttamente e conciliandolo colle nostre
tradizioni giuridiche. zò assorgere dal concetto dell'EQUITA NATURALE,
eiapratici, COL SUSSIDIO DEL DIRITTO ROMANO, restaurato i, a quell'idea
eterna del GIUSTO che Grozio ha mte derivato dalla ragione umana, ordine
ai fondamenti filosofici delle scienze morali, di Vico è per molti
aspetti definitiva. Nessuna filosofia antica e moderna sorto in seno alle
scienze mostra di ignorare : di tutti rileva acutamente le difetti.
I greci trattato della giustizia e in termini troppo generali e astratti,
I ROMANI in '. Vno^ (Proloquium^f ove ricorda il Principe di
MACHIAVELLI, ìli' Hobbes, il Tractatua theologico-politicua dello
Spiuoza, il 1 Bayle. — "SeW Autobiografia accenna ad uua
corrispondenza is, di cui mostra apprezzarne il valore. Questa
conoscenza iutte le correnti fìlosoficbe dell'epoca sna fa riurie in La
filosofia del diritto nello Torino, Unione tip, ontro coloro,
sopratutto stranieri^ cbe facendo la storia del Je non ricordano affatto
Vico. — concreto. Gl’antichi interpreti non conoscheno che le
esigenze della pratica, i nuovi astrassero da ogni indagine di
carattere filosofico per concentrarsi nello studio filologico dei testi
di legge. Hobbes, Spinoza, Bayle fanno dell'utile o del piacere il
criterio del diritto, fanno del timore o del CONTRATTO IL FONDAMENTO DELLA
SOCIETA, dell'arbitrio la fonte della legge. Grozio stesso tratta del
diritto naturale delle genti e trascura il diritto civile, opperò se
quello risponde a esigenze razionali, questo lo contraddice nel fatto. L’uomo
di Hobbes che agisce sotto lo stimolo dell'utile e del bisogno è
condannato dalla ragione, ma trova conferma nell'esperienza della
storia. La scienza del diritto naturale sembra dibattersi tra i due
termini opposti della ragione e del senso, dellar filosofia e della
storia senza speranza d'uscita : a risolvere la contraddizione si accinge
Vico. Il concetto di un'armonia provvidenziale balenata alla mente del
Leibniz per comporre il dualismo metafisico tra anima e corpo, ricorre per una
strana coincidenza in Vico per comporre la corrispondente contraddizione
nel campo delle scienze morali Filosofia e storia, idea e sensazione,
scienza e coscienza, ragione e autorità, lungi dall'escludersi si richiamano,
si integrano, si spiegano a vicenda nell'uomo, nelle sue varie fasi di
sviluppo, nelle sue manifestazioni individuali e collettive. La dottrina
pertanto del diritto naturale o universale che Vico identifica
colla dottrina civile in opposizione alla dottrina morale, si fonda
sulla duplice base del vero e del certo, ed è svolta nel De Uno da un
punto di vista puramente astratto. L'idea del GIUSTO innata nell'uomo non
è che un aspetto Del juB civile Vico accoglie la definizione di Ulpiano --
quod neqae in totum a j are naturali recedit, nec per omnia ei servit,
sed partim addit partim detrahit. Cfr. Ferrari. Cfr. De Uno eoe*, Proloquium.
Vico pubblica il De uno universi juna principio et fine uno. VICO chiama UNIVERSALE
ciò che altri chiamano diritto naturale. scambio dei beni, che segui alla
prima divisione dei campii passa da forme violenti e arbitrarie a forme
sempre più razionali e si genera il dominio. La volontà dapprima
dispotica e sfrenata, nell'usare dei beni e delle persone, facendosi
sempre più moderata e ragionevole genera la libertà. 'L’attività guidata
dal senso e conservazione e tutela della vita fisica, guidata dalla
ragione divenne tutela e conservazione della personalità intellettuale e
morale. La proprietà, in quanto è ristretta alle cose finite e corporee,
la tutela in quanto è difesa del corpo, la libertà in quanto è libera
estrinsecazione degl’affetti dell'animo costituiscono il diritto naturale
primario che Ulpiano define: quod natura omnia animalia docuìL avente CARATTERE
NEGATIVO in quanto indica ciò che la ragione non riprova ma PERMETTE, if
dominio, la libertà, la tutela, sciolti dal senso e regolati dalla
ragione costituiscono il DIRITTO NATURALE secondario o NECESSARIO, che
Giustiniano defini quod naiuralis ratio inter omnes homines
constitiiit et apud omnes gentes peraeque custoditur, in quanto vieta
e comanda conformemente all'eterno vero. Le due parti del diritto civile
ne costituiscono rispettivamente la materia e la forma, il corpo e
l'anima, l'elemento mutevole ed eterno, la ragione civile e naturale,
ossia la mens legis e la RATIO LEGIS, di cui l'una è ir certo delle leggi
che spectat ad uiilitatem qua variante variatur^ l'altra è il vero delle
leggi, cioè la conformazione della legge al fatto, che spectat ad
honestaiem qtme aeterna est. Dalla libertà, proprietà,
tutela, si genera Vauctoritas, la quale lungi dall'essere creazione
arbitraria del legislatore, come vorrebbe Hobbes, ha il suo fondamento
nella natura stessa dell'uomo, in quanto questi conoscendo ciò che è
proprio della sua natura, lo vuole e lo attua colla mente e col corpo.
Questa Sui concetti di libertà, proprietà, difesa e loro genesi
psicologica cfr. De Uno Sui rapporti tra diritto primario e
secondario cfr. De Uno auctoritas naturale o razionale attuata nei fatti
costituisce l’auctorUas jtiris, la quale e dapprima monastica,
spontanea espressione della personalità individuale, propria degl’uomini
che vivono solitari all' infuori di qualsiasi organizzazione sociale: poi
costituita la famiglia diventa domestica ed è l'espressione del dispotismo
ancora rozzo e violento dei patres. Infine col formarsi dello stato romano
diventa civile, ed è l'espressione dell'intelligenza, volontà, ATTIVITA
COLLETTIVA, ossia della personalità civile. Dal diritto civile
proprio del popolo romano si distingue il diritto civile comune, ossia il
diritto naturale dei giureconsulti fondato sui comuni costumi dei popoli. Abbiamo
da ultimo IL DIRITTO NATURALE DEI FILOSOFI, DEDOTTO da' principi
puramente razionali e riferito alla gran città del genere umano. Col
diritto privato si svolge parallelamente il diritto pubblico. Primo a
sorgere è il governo degl’OTTIMATI, reso necessario dalla tulela
dell'ordine, proprio degl’uomini forti, poco amanti delle conquiste ma
molto della loro libertà e dignità. Esso si regge colle costumanze e
mantenendo inalterato e arcano il diritto. Dalle repubbliche d’ottimati
ROMANI, numerose ma piccole, i popoli molli e rozzi passano alle
monarchie, i popoli di ingegno acuto ma molli cadono presto sotto i
tiranni, mentre i popoli di ingegno acuto e forti si organizzano in
repubbliche libere e popolari, sulla base dell'eguaglianza del suffragio,
della libertà di opinione, dell'egual diritto agl’onori. Mediante PATTI statuti
si possono costituire governi misti e temperati a base monarchica,
aristocratica o democratica. auotoritas e sue forme cfr. De Uno Vico lo chiama IVS
CIVILE OMNIVM CIVITATVM COMMVNE -- De Uno, o IVS NATVRALE GENTIVM, e ad esso
riferisce la definizione del IVS CIVILE data da GAIO (si veda):: OMNES POPVLI
QVI LEGIBVS SEV MORIBVS REGVNTVR PARTIM ANO PROPRIO PARTIM COMMVNI OMNIAM
HOMINVM IVRE VTVNTVR. Cfr. sui rapporti tra IVS NATVRALE GENTIVM ET
PHILOSOPHORVM, De Uno. Sulle tre forme fondamentali di governo d’OTTIMATI, regio,
libero, il De Uno ha tutti i caratteri di un vero e prò di filosofia
giuridica, che Vico con novità ec espressione chiama CONSTANTIA IVRIS. Per
esso il una posizione netta e precisa di fronte ai tre in( mentali
che vedemmo essersi distintamente delii alla scuola del diritto naturale
e che dovevano accentuarsi e arrivare alle consegue Ai seguaci di Hobbes,
moderno ORTO, Vico l'esclusiva importanza data agl’elementi sensibi
e perciò mutevoli del diritto. Ai cartesiani, mode Vico contesta la
possibilità di formare una teoi del diritto colla guida esclusiva della
ragione, conto degl’appetiti, degl’affetti, degl’interes tanta
parte della vita dell'uomo e della società due indirizzi estremi Vico si
attiene all'indiriz che tra tutti mostra di intendere la comi
natura umana e di assorgere al concetto di un dir universale, depvandolo
dalla ragione associata e alla storia. Ma di Grozio non e Vico
pediss( come il Pufendorf Egli lo integra sotto, un dupl: vista,
filosofico e storico. Nell'uso pretazione della tradizione e della storia
Grozi il paragone con Vico : ci basti per ora affermare Uno Vico SUPERA
IN RIGORE E PROFONDITA di concet giuridica contenuta nel De jure belli et
pacis. In questo trattato Grozio si rivela più giur erudito
che filosofo: i suoi PRINCIPI FILOSOFICI sono BEN DETERMINATI: gli fa difetto
il RIGORE LOGICO, Y matico, la precisione nel definire e nel
distingue] cipì opposti talvolta non sa decidersi per nessun sempre
riesce a farli concorrere alla dimostrazi assunto. Vico rileva questi
difetti di Grozio rispondenti rispettivamente ai tre
concetti fondamentali de tutelaf dominiOt libertày cfr. De
UnOj rizzo mediano più rispondente alle esigenze delle scienze
etico-giuridiche, ancora imperfetta e quasi incosciente in Grozio è attuata da
Vico con rigore di principi e con piena coscienza. E mentre il suo
sistema filosofico sembra coordinarsi ai sistemi sorti in seno alla
scuola del diritto naturale, nel fatto egli non fa che continuare l'opera
degli interpreti nostri che portano l'elaborazione dell'equità naturale
ad un alto grado di perfezione. Egli ne compie e corona l'edifìzio
colla dottrina dell'equità civile. E accusato Vico di aver confuso
l'etica col diritto, di non aver chiara la coscienza dei loro rapporti e
dei loro caratteri differenziativi. L'accusa, se fondata, fa torto
al suo acume ed e in contraddizione col senso finissimo per cui egli sa
sceverare IL FATTO GIURIDICO dagl’altri fattori concorrenti. A noi pare
che anche sotto questo aspetto Vico affermi la sua superiorità di fronte
ai giusnaturalisti, ponendo la questione dei rapporti tra morale e
diritto sopra nuove basi atte a facilitarne la soluzione. Prima di
Thomasius noi assistiamo per parte dei sistemi usciti dalla scuola del
diritto naturale a un progressivo assorbimento del fatto morale nella
sfera giuridica. Il concetto del diritto si allarga fino a comprendere la
vita morale e vien meno ogni criterio di distinzione tra le discipline etiche e
le giuridiche. Vico ha certo coscienza di tale confusione quando afierma
che per opera dei seguaci di Hobbes e di Cartesio sono rinnovellati gli
antichi sistemi dell’ORTO e del PORTICO, di cui l’uno confonde la
giustizia colla felicità e coll'utilità, l’altro colla onestà e colla
virtù morale. Non sfugge a Vico TimpoCfr. Cantoni. Dei critici del Vico
Cantoni equello che mono ri usci ad
afferrare la dottrina metafisica e giuridica di Vico. Di ciò lo
rimproverano SICILIANI (si veda) e LABANCA.
Cfr. Carle, La filosofia del diritto nello stato (Torino, Unione) ove tratta da un punto di
vista del tutto nuovo della elaborazione dell'idea di GIUSTIZIA. teiiza dell’ORTO
e del PORTICO ad assorgere al concetto del GIUSTO, nel quale gl’elementi dell'UTILE
(neo-Trasimaco) e dell'ONESTO (neo-Socrate), dell'INTERESSE e della moralità,
insieme convengono. Da un punto di vista puramente pratico in
antico i ROMANI, gli interpreti della scuola di Bartolo e Baldo elaborano
il concetto dell’ equo-bono, inteso a commisurare l'utile tra gl’uomini viventi
in società secondo le norme dell'onesto. Il diritto naturale, che
l'Hobbes deriva dall'utile e i seguaci di Cartesio tendevano a far
derivare dall'onesto, è da Vico fatto scaturire dal concetto intermedio dell’equo
bono. Per lui infatti il diritto naturale est utile aeie>^no commensu
acquale, cioè è l’ÆQVVM BONVM dei giureconsulti romani e dei nostri
interpreti antichi. Prima di Vico Grozio e Leibniz cercano di
svolgere il diritto naturale sull'ampia base dell'utile e d’elementi razionali
di natura etica. Ma Grozio non arriva a fondere i diversi elementi in un
concetto unitario che serve di fondamento sicuro al suo sistema, Leibniz
stabili un rapporto puramente metafisico tra l'utile, il giusto,
l'onesto, astraendo dai bisogni della pratica. MANCA A GROZIO E LEIBNIZ
LA BASE SALDA DELLA TRADIZIONE ROMANA su cui Vico eleva la sua dottrina
filosofica. Grozio e Leibniz trascurano il concetto dell'equo e assorsero
al concetto del giusto colla guida esclusiva della ragione. Vico pervenne
al giusto per naturale svolgimento dell'EQUO. Per Vico il giusto è
un genere, un'astrazione, un'idea. Come tale si distingue dall'EQUO
che è l'idea del giusto tradotta nel FATTO, in quanto cioè tien conto
delle ultime circostanze dei fatti. Ninno prima di Vico tenta UNA GENESI
PSICOLOGICA del diritto nei suoi rapporti colla morale e cogli altr’elementi
della Cfr. De Uno Nel Ve Ant, Vico dopo aver detto che v&i'
. e Uno il rapporto tra diritto e morale è trattato da un punto L
vista essenzialmente metafisico: nelle opere posteriori do-iva essere svolto
sulla base dell'osservazione psicologica e )lla storia. Nel Da Uno VICO
appare il filosofo del diritto inso a porre i fondamenti metafisici di una
dottrina civile. Il diritto ROMANO vi
si rivela nei suoi cai'atteri universali e costanti lale espressione
dell'eterno vero, rispondente alla natura izionale dell’uomo. Puo alcuno
credere che Vico avesse,tto opera aprioristica analoga ai sistemi usciti dalla
scuola 3l diritto naturale. In realtà Vico segue diverso immino. La
sua filosofia giuridica non e opera arbitraria della ragione, ma il
risultato di una potente astrazione fatta sopra materiali ofierti dalla
storia del diritto. A Vico sabbe parsa opera vana una dottrina filosofica del
diritto, le non avesse trovato nel fatto conferma. Il criterio
della mversione del vero col fatto doveva farlo convinto che il diritto
filosofico se veramente risponde alla natura umana ^trattamente
considerata, non può trovarsi in contraddizione )\ fatti e se
contraddizione esiste essa è transitoria. La loca delle idee deve per essere
vera identificarsi e confondersi fila logica e l'ordine delle cose. Ma
tale identificazione è Dta e graduale. DAPPRIMA IL DIRITTO ESISTE COME
FATTO POSITIVO, si attuatto l'azione della necessità e dell'UTILITA. Solo in
uno stadio ogredito di riflessione l'uomo avverte sotto le mutevoli
forme oriche il progressivo attuarsi dell'idea eterna del giusto.
Dimostrare col sussidio della filologia, cioè della storia lar.mente intesa la
progressiva attuazione nell'ordine dei fatti il diritto naturale, divenne
la meta a cui si indirizzarono ricerche e gli studi di Vico. Tale
dimostrazione egli dove pprima chiedere al DIRITTO ROMANO RICOSTRUITO ricostruito
ne' suoi testi nuini dai giureconsulti colti e nella sua storia da Gravina,
diritto romano appariva a lui come ai giureconsulti nostri. Gravina, a
Doria un prodotto di formaziorie naturale e 3ntanea mirabilmente atto a
servir di guida e di modello per la determinazione delle leggi costanti e
universali che segue il diritto nella sua evoluzione storica. Dominato da
questo concetto che risponde alle nostre più costanti tradizioni Vico si
diede nel De Constantia a ricostruire con larghezza e originalità di
vedute IL DIRITTO ROMANO per trarne argomenti alla dimostrazione de' suoi
principi filosofici. La scuola del diritto naturale fin dal suo sorgere con
Grozio dichiara GUERRA APERTA AL DIRITTO ROMANO. Descartes e si levato
contro gli studi storici e filologici. Vico posto nell'alternativa
di negare la storia o la filosofia, l'autorità o la ragione, il DIRITTO
ROMANO o il diritto naturale non ha un momento di esitazione: si attenne
alla TRADIZIONE ROMANA mostrando come da essa potessero derivarsi
principi per una concezione filosofica del diritto. Egli volle essere l'anello
di congiunzione tra i metafisici e gli storici del diritto. Come vi è una
fisica e una metafisica della natura, cosi vi è un diritto fisico e
metafisico. IL DIRITTO FISICO POSITIVO E IL DIRITTO ROMANO quale esiste nella storia: il diritto
filosofico fondato sulla contemplazione astratta della natura umana se
non vuol essere arbitrario deve potersi convertire nel fatto. A questa
condizione il diritto fisico per forza naturale di cose finisce per
incontrarsi e coincidere col diritto filosofico. Di qui ir rimprovero da lui
mosso da un lato all’accademia per aver confuso il giusto ideale col
giusto eterno, l'uno inconvertibile, l'altro convertibile col fatto,
dall'altro a Grozio e a Pufendorf per non aver tenuto conto della
storia e per aver foggiato un diritto filosofico che non è
praticato nel costume. LA STORIA DI ROMA S’INIZIA COLLA GUERRA DI TUTTI
CONTRO TUTTI. Da questa guerra esce la feudalità solitaria delle famiglie che
comandano ai clienti e lottano contro i nomadi. Il De Constantia
jurisprudentis diviso in due parti, De Constantia Philosophiae -- breve
riassunto dei princìpi filosofici ampiamente esposti nel De Uno -- e De
Constantia Philologiae. Tali rimproveri si possono leggere nella Prima Scienza
Nuova. Ili séguito alle rivolte dei clienti I PATRIZIJ si chiudono nelle
città, si organizzano in ordini, combattono i ribelli e dai vinti si
formano le plebi. Ma queste col tempo cresciute di numero si rivoltano di
nuovo, e l'aristocrazia è costretta a cedere, a estendere al popolo leggi,
campi, matrimoni, cittadinanza. Cogli imperatori abolite le classi e i
privilegi, le leggi appaiono altrettante generalità filosofiche. Scompare
l'antico diritto rozzo e violento e la forza dell'autorità si confonde
con quella della ragione. L'armonia tra il senso e la ragione, tra il
vero e il certo, tra filosofia e filologia sembrava raggiunta. Ma
nel trarre dalla storia di Roma il corso ideale del diritto, Vico
dove colmare lacune, completare tradizioni, adottare un'arte nuova di
critica e di interpretazione atta a penetrare il significato di intere epoche
storiche e fondata sulla osservazione psicologica e SULLO STUDIO DELLA
LINGUA LATINA. La ricostruzione storica del diritto romano dischiuse a Vico
la via alla ricostruzione storica del diritto quale si manifesta ne' suoi
caratteri costanti nel mondo della nazione italiana. Ma ben comprende
Vico che tale ricostruzione non puo dirsi completa se il fenomeno giuridico non
e studiato ne' suoi rapporti colla religione, colla morale, colla politica
considerati come altrettanti prodotti storici che si svolgono
parallelamente al diritto e ne attraversano le stessi fasi di
formazione. Nella Prùna Scienza Nuova
il diritto naturale non è più studiato come prodotto storico del popolo
romano, ma come formazione collettiva, cioè come la scienza
dell'uomo solitario che vuol la salvezza della sua natura e la
conquista per gradi nel consorzio sociale sotto la pressione delle
necessità e delle utilità. Alla mancanza di documenti storici, di
tradizioni certe, di testimonianze sicure supple Vico colle sue
intuizioni audaci e divinatorie, coll'autorità del senso comune che è la
mente dell'uomo collettivo da cui traggono E sopràtutto notevole per la
formazione storioa e sociale del diritto. origine quelle massime di
sapienza volgare in cui tutti il popolo romano convenne ed e universalmente
praticato. Dal primitivo stato di solitudine e di abbandono in cui
manca ogni freno al senso e il diritto è sinonimo di forza l'uomo
invaso da terrore religioso esce contraendo stabili unioni in sedi fisse.
La famiglia rappresenta la prima fase dello sviluppo sociale: solidamente
costituita sul principio religioso essa si allarga fino a comprendere
quanti per sfuggire ai pericoli e alla miseria della vita nomade invocano
la protezione dei forti. Costumi, diritto, politica riflettono in questo
antichissimo stadio di vita sociale lo stato mentale dell'uomo. A uomini
ignoranti e superstiziosi, privi del necessario alla vita, insofferenti di
freno, amanti della solitudine, devono convenire religioni spaventose e
crudeli, costumi barbari ma moderati. È questo il periodo divino o
teologico del diritto naturale in cui mancando le leggi, i diritti si
custodiscono colle religioni. I padri sono sapienti, sacerdoti, re nelle
famiglie che costituiscono una libera e assoluta monarchia. Coll’ampliarsi
delle famiglie in gentes, coll’ammutinarsi dei plebei e conseguente
organizzarsi dei paires in ordini e nelle città, sorgono i governi
aristocratici e quindi i regni eroici. Le plebi lottano per la libertà di
ragione, per l’uguaglianza dei diritti, per il possesso dei campi. I
costumi sono sempre severi ma meno feroci, il diritto eroico si mantiene
rigido, crudele, arcano, privilegiato. Ma gl’eroi decadono convertendosi
in tiranni. Nelle città i plebei ottengono di esser parificati ai nobili
nel godimento dei diritti e si iniziano i governi civili nella forma di
repubbliche libere o di monarchie civili. I costumi si ingentiliscono e
con essi SI FA UMANOe civile IL DIRITTO NATURALE. Coll'estendersi
della NATURALE EQUITA delle leggi sorgono i filosofi a meditare
Circa i caratteri del diritto, deUa morale, della politica iu
questo, primo periodo cfr. P. S. N, Del diritto, della morale, politica eroica
U Vico tratta, il vero delle cose e con essi si iniziano la metafisica e
le diverse scienze e arti. Dai rapporti fra le città si svolge il
diritto naturale delle nazioni, e dall'unione delle nazioni il diritto
universale del genere umano. Per tal modo le varie fasi di aggregazione
sociale, le forme di governo, i costumi, il diritto si succedono secondo
una legge costante riflettendo il corso delle idee espresse a loro
volta nelle lingue. I concetti di diritto civile, di, diritto
naturale, delle genti, non più considerati da un punto di vista puramente
astratto, non più ristretti a un popolo determinato ci si presentano
concetti vivi e reali, formazioni storiche strettamente legate col graduale
sviluppo dello spirito umano nelle sue manifestazioni individuali e
collettive. Nella Prima Scienza Nuova l'idea predominante è pur sempre
l'evoluzione storica del diritto considerato, come dice Carle, la
quintessenza dell'aggregato sociale. IN ROMA IL DIRITTO SEMBRA ASSORBIRE
TUTTI GL’ALTR’ELEMENTI DELLA VITA SOCIALE IN GUISA D’APPARIRE QUASI L’ELEMENTO
ESCLUSIVO. Perciò Vico vuole porsi da un punto di vista più elevato per
meglio determinarne i caratteri, le leggi universali e costanti del suo
eterno divenire storico. Il problema relativo alla natura socievole
dell'uomo, all'origine della società e della sovranità, e stato
argomento di vivaci discussioni in seno alla scuola del diritto
naturale. Tale problema, osserva Carle, e necessariamente implicito
nel concetto da cui aveva esordito la filosofia, secondo cui l'uomo come tale,
cosi come esce dalle mani di natura e non in quanto fa parte di un
qualche gruppo sociale, è capace di diritto. Dei due termini, individuo e
società, per tal modo dissociati solo al primo, nei vari sistemi usciti
dalla scuola del diritto naturale, e attribuita esistenza reale. Dei tempi
umani tratta Vico Vedi Carle, Fil, del Dir, nello stato, in cai è
trattato l'argomento dell’indivìduo e della società nella filosofia del
diritto. in cui si discorre della ipotesi di UNO STATO DI NATURA, della
genesi della società e sovranità. All’individualismo religioso, filo
repoca e naturale compierne della società. Tutti gl’indirizz:
scienze morali pito, UNO STATO DI NATURA aiiter l'uomo godeva di
una indipende sconfinata, e da cui sarebbe us( lontari ACCORDI, nei
quali riponev come della sovranità. Grozio, turalmente socievole,
ammise ne un periodo, circa un secolo, di Yenne meno il sensimi
natii7^a homines. Tale stato di nomadi, dette necessario ammettere
per prietà privata, e del rispetto et tale. Lo ritenne composto di
se allo stato civile per un certo e di famiglia. Il Pufendorf,
sull'c decaduti gentili come uomini senza aiuto divino. Hobbes i
carattere di tendenza originaria dal senso, dagl’appetiti, dagli
natura come un vero stato ferin stato di natura anteriore alla s
mebondi se non furibondi come \ della tradizione medioevale coni da
Grozio, Selden \ tilità decaduta non si era mai l'intervento diretto
della diviniti con criterio diverso la storia deg Gli stessi
problemi si affacciar L'opera di Selden, dotto ebn col titolo
: De jure naturali et gentium Cfr. Labanca
contrasto coi filosofi solitari o monastici, fautori alismo
egoista e razionalista, mentre riservò tutte itie per i filosofi
politici, le cui opere sono intese ire l’uomo nella civile società. Nella
sua ammirapistianesimo, nella sua avversione pel movimento entra come
elemento la considerazione- deirinociale ch'egli giudica compromesso dallo
spirito ta che anima la Riforma. La sua ammirazione ch'egli si
compiace di chiamare sociniano, non gine. Nell'avvertire i pericoli dell'
individualismo ielle scienze morali, nell'additarne le cause, nelL
rimedi, Vico e solo ed inascoltato. Nel De Uno natura socievole dell'uomo
e delle origini e cause 3nza sociale da un punto di vista puramente
astratto ntegrare Grozio e a contrapporsi ai cartesiani di Hobbes.
Nella Seconda Scienza Nvxyoa egli si ire del problema la dimostrazione
storica e psicolendo a conclusioni che fanno di lui il precursore ìza
sociale. Il fatto che risalendo alle origini dà la qualifica di
sociuiano a Grozio in due passi deUa PrivMi e in entrambi i to
degli uomini immaginati da Grozio originariamente bivoni deboli, soli e
bisognosi di tutto; Vico chiama tale ipotesi Il Labanaca corregge
l'affermazione del >8i sul fatto che Grozio era ariuiniano e che scrìve
una contro Socino. A questo lavoro di Grozio contro Socino non
iffini neir opera citata sulla Libeì'tà religiosa: in quella vece
argomenti decitivi la stretta affinità tra la dottrina di Socino
arminiaui. Grozio, dice Rnffini, proclama altabnona intesa con i Sooiuiani, coi
quali e specialmente col [ìtimo rapporto epistolare. L'affermazione di VICO
non destituita di fondamento. Cfr. Ruffini, e più studiato da letterati,
filosofi e storici che non da nze morali e sociali. In generale i crìtici
di Vico non rito sociologico della Seconda Scienza Nuova, Vi accennano
dliani: lo dimostrò ampiamente Carle nelle sue Lezioni \ale » (inedite)
da cui sono tratti molti concetti in questo tenuti. più remote della
storia non si ha memoria di uoi airinfuori del consorzio civile,
costituisce per il mento decisivo in favore dell'esistenza
originaria che è quanto dire della natura socievole delì'uon cose
fuori del loro stato naturale non possono a durare. Il presupposto della
Seconda Scienza Ni l'umanità abbia un corso uniforme ed immutabile
nata da leggi costanti, che tutti gl’uomini nor membri di un gran corpo
che non muore mai, istante per il continuo mutare degli individui
si molteplice ed uno ad un tempo. Religioni, leggi, : altrove lo definisce:
mente illiisbta, cuor retto e lingua fedele interprete di entrambi mettendo in vo l’armonia che deve
esistere fra le diverse facoltà. Tali principi assiomatici Vico
chiama e dignità > e sono iu Cfr. Dignità, sapere il vero
deHe cose si attiene nell'operare al certo, a ciò che a lui sembra vero,
al senso comune. L'uomo in qualunque stadio e condizione di vita sociale ama
principalmente l'utile proprio; a misura che la cerchia dei suoi
interessisi, allarga alla famiglia, alla città, alla nazione, al genere
umano, si estende d'altrettanto il suo egoismo. Dalle necessità e
utilità della vita regolate dal senso comune, trae sopratutto l'uomo
impulso ad operare: esse costituiscono il criterio saldo per
l'interpretazione della condotta presente e futura. A beneficare, a contrarre i
vincoli sociali, ad accettare le diverse forme di governo, le leggi, le
istituzioni, sino gl’uomini sopratutto tratti dall'utile che ne ritraggono. Prima
a svolgersi nell'uomo è la vita del SENSO, poi quella del sentimento,
quindi della ragione. Epperò se prima gl’uomini sentono senza avvertire,
poi avvertono con animo perturbato e commosso, finché da ultimo
riflettono con mente pura. Il progresso morale è in stretto rapporto collo
sviluppo psichico. Quando sieno successivamente soddisfatte le necessità,
le utilità, le comodità della vita, l'uomo che npn domina gl’appetiti e
non intende la voce della ragione, si abbandona al piacere, al lusso,
finché non rovina nella dissolutezza. Tali osservazioni di
psicologia individuale Vico completa con osservazioni generali di
psicologia collettiva. I popoli, come gli uomini, hanno periodi di
infanzia e di giovinezza. Fatti adulti invecchiano e quindi muoiono. I
popoli rozzi e barbari come i fanciulli favellano per universali, sono
inclini a imitare, hanno vigorosa la memoria, vivida la fantasia, debole il
raziocinio, profondo il culto delle tradizioni. Lentamente e per gradi si
inducono a rinunciare alla loro libertà, ai loro patri costumi: ribelli a
ogni freno sono domati dalla religione: impenetrabili nella loro [Dig.,
S. S. N., lib. I, Del Metodo. Dig. barie cedono alla violenza delle
guerre o alle attrattive commerci. I costumi dei popoli sono dapprima
crudi. Poi eri, quindi s’ingentiliscono, per farsi nell'ultima fase
del ) sviluppo raffinati e dissoluti . osservazione psicologica si
completa in Vico collo studio oU'interpretazione della storia, ch'egli
chiama la biografia l'umanità. Gli studi storici all'epoca sua sono
degnamente presentati in ITLIA da Giannone e MURATORI. GIANNONE lon tratta
dalla storia una scienza nuova, aveva certaite studiato la storia con criteri
nuovi. In lui troviamo non olito espositore dei fatti politici, ma lo
studioso della vita ile e interiore dello stato : primo mostra di saper
ragionare fatti, e di trarne argomenti alla dimostrazione di una
i Muratori fa della critica e della
erudizione storica ì a sé stessa : ricercatore e raccoglitore indefesso e
sagace )lvette, dice Manzoni, tante questioni, tanto più ne e, ne
sfrattò tante inutili e sciocche. Ma egli non penetra •e il fatto, non
raccoglie a unità tante cognizioni. Di queste L vede né i principi né le
conseguenze. Sotto questo etto egli fu il vero contrapposto di Vico, il
quale si forma [) Dig.y 4 Giannone, appartiene a qneUa schiera di ginre»nlti
storici ed eruditi c\t^ aU'epoca di Vico iUnstravano Napoli. Fa
allievo Aulisio e frequentò la casa d’Argento, avvocato e
magistrato di Napoli. Dopo veut'anni di la- Giannone pubblicò in
Napoli la sua Storia civile del Regno Napoli in cui si fa difensore dei
diritti dello » contro le usurpazioni deirautorità ecclC'iiastica. Vico
conosce o Giannone ma non lo ricorda per evidenti ragioni di
prudenza. Muratori pubblica l'opera sua maggiore « Rerum Icarum
Soriptoros. Vico ricorda Muratori ma lettera a Gaeta a proposito del
trattato di filosofia morale del Muratori. Manzoni, -- Opere varie,
Milano, aelli -- contrapponendo Muratori a Vico dice che rvando i
loro lavori^ par qyasi di vedere, con ammirazione e con •lacere insieme,
due. gran forze disunite, e nello stesso tempo come uu ame d'un
grand'effetto che sarebbe prodotto dalla loro riunione. della storia un largo
concetto fino a comprendere in essa t le manifestazioni umane, la
interpretò agli effetti delle sci^ morali, se ne valse per la costituzione
di una scienza nu Egli spinge il suo sguardo nelle epoche più oscure, là
e più scarse e misteriose sono le memorie e le tradizioni,- aiuta
con criteri derivati dalle proprietà costanti della moli, Pierre Cfr. Labanca,
Op. cit.> per le notìzie biografiche o bibliografiche intorno ai
citati critici. Thomasius, Wolff, critica la dottrina dello stato ferino
del Vico chiamandola erronea impiaque e dimostrandola contraria alla
metafisica ed alla storia latina. L'accusa di empietà solle- vata da
Pinetti colpiva non pur Vico, ma quanti ne am- mettevano la dottrina
dello stato ferino. Tra questi DUNI (si veda) che risponde con acredine. Di
qui e offerta a Finetti l'occasione di scrivere l’Apologia, in cui sottopone la
Scienza Nuova a una critica minuta. Ribadisce Finetti la critica
contro lo stato ferino, rimprovera a Vica di intendere la Provvidenza in
un modo non sempre conforme alla teologia cattolica, di aver
disconosciuto il cristianesimo, di aver preferito solo a parole la storia sacra
alla profana, di aver bandito il divino dalla storia. I fatti
posteriori rendero giustizia all'oculatezza di Finetti nel mettere gli
studiosi in guardia contro il veleno tanto più temibile quanto meno
avvertito che nella Scienza Nuota si nasconde. In Vico non e abbastanza
rilevato quel fenomeno di sdoppiamento psicologico a cui ci hanno
abituato i, nostri grandi filosofi e che in Italia e il mezzo più
efficace per sfuggire alle persecuzioni e per conciliare la sincerità della
credenza colla libertà del pensiero. Se non si tien conto di questo fatto
la figura di Vico appare incomprensibile. In lui bisogna tener
costantemente distinte le due figure dell'uomo e del filosofo. Come UOMO
Vico e Finetti e veneto, sacerdote, censore ufficiale dei libri da
proibirsi come contrari alla fede cattolica. Cfr. Labanca. La Eisposta
apologetica di Dani. E pubblicata da Finetti sotto il pseudonimo di
Filandro Miaoterio -- cioè amante dell' Mwawo e sprezzante del /mtio. Ricordiamo
che la controversia tra Duni e Finetti si e così allargata in Roma
da originare le due scuole dei ferini e anti-ferini, L’Apologia e
passata inosservata agli studiosi di Vico. Spetta a Labanca l'onore di
averla fatta 'conoscere nel suo contenuto storico -e critico. -- sinceramente
cattolico. La religiosità di Vico risulta non tanto dalle sue insistenti
dichiarazioni fatte nelle opere destinate al pubblico, quanto dalle
lettere private e da alcuni passi dell’Autobiografia in cui non
preoccupato di far pompa delle sue credenze, manifesta intero l'animo
suo. I critici del resto, Finetti stesso, non elevano dubbi al riguardo. Essi
si limitano a dire che Vico non puo sempre considerarsi cattolico nelle sue
dottrine. Nel distinguere l'uomo dallo FILOSOFO essi intuirono il vero, e
noi dobbiamo seguirli per questa via premettendo che le accuse e i
rimproveri dei critici si convertono per noi in altrettanti titoli
di onore. A Vico non sfugge il pericolo che a lui e alla dua
dottrina puo derivare dalla critica, e non tralascia occasione per
spuntarne gli stral. Ma questi sono abbastanza acuti per far di lui una
vittima della scienza, sebbene, osserva Labanca, non vi e da parte de' suoi
critici il deliberato proposito di esserne carnefici. Dato il
temperamento di Vico non temprato alla lotta, timido e servile al punto
di abbandonarsi ad azioni poco dignitose, ad adulazioni convenzionali,
sempre incerto del domani, preoccupato di non perdere le potenti
protezioni da cui trae i mezzi per vivere e gl’aiuti per pubblicare i
suoi saggi, si comprende come la lotta sorda, persistente dei critici,
ben più di quella che possono movergli i cartesiani, dove esser per lui
motivo di continue paure e di tormenti fisici e morali. Essendo scoppiata in
Napoli una congiura contro il viceré Filippo, Vico scrive contro i
faziosi l'opuscolo De parthenopea conjuratione. Con l'entrata degl’austriaci in
Napoli trionfano le idee dei congiurati. Vico e pronto a lodare i
vituperati. Scrive quattro saggi intorno alle gesta diCarafa e fa un eroe
di un uomo ignobile e odiato universalmente. Vico e molto ammirato ma POCO
AMATO da' suoi contemporanei. Le cause de' suoi dolori sono in parte in
lui stesso. Sappiamo che muore di infermità mentale ed e nevrastenico. Nella
lettera indirizzata a Giacchi VICO allude chiaramente ai critici quaiido
parla di dotti Se si pensa alle miserande condizioni dei liberi pensatori
in Italia e Francia, ai pericoli a cui si esponeno, sopratutto in Napoli sotto
il governo austriaco, si comprende lo stato d'animo di Vico, audace nel
filosofare, timido di carattere, portato nelle sue dottrine ad offrire ad
un tempo il fianco all'offesa e alla difesa. Malgrado le dichiarazioni
contrarie di Vico, nella Scienza Nuova si trovano i germi di una profonda
rivoluzione nelle scienze morali. Lo spirito innovatore e implicito nel
titolo stesso. Vico aveva la coscienza di aver fatto opera del tutto
nuova, e nuovo e ricercare del mondo umano le leggi sue proprie di
sviluppo, senza chiederle alla teologia.
Nuovo e rivoluzionario e far del mondo umano autore e fattore
l'uomo ad esclusione del divino. Nuovo e ardito e rintracciare il
vero nelle favole, nei miti, negl’errori della tradizione romana. Nuovo e
pericoloso e fare della Provvidenza un principio IMMANENTE, panteistico, nella
storia e trasformare la religione in un mero prodotto storico,
derivandola per legge naturale dal timore, dal bisogno di vivere
immortali, dall'istinto delle analogie, dalla curiosità di spiegare i
fenomeni dell'universo ; sopratutto cattivi f % quali colle tinte di una
simulata pietà lo oppnmevano, nella stessa guisa ohe sempre han soluto
rovinare coloro ohe hanno fatto- nuove disooverte, Labanca trae argomento
dal fatto che i critici non attaccarono il De Antiquissima per affermare
che Vico fa della metatisica teologica. Secondo noi il silenzio della
critica ha altre caate. Nelle prime opere Vico non usce dal
campo filosofico e rende servizio alla causa nel combattere Cartesio,
Hobbes, Locke. Nel De Constantia e nella Scienza Nuova egli invade il
campo dell'erudizione storica sacra e profana, facovasi egli stesso
innovatore, dove suscitare legittimi sospetti da parte di critici
abituati a considerare vero l’antico e falso il nuovo. Basti dire
che Muratori per pubblicare un saggio sulla moderazione degli spiriti
nelle cose di religione, dove pure confuta l'arminiano Ledere, e
riconosce al principe la facoltà di procedere anche con l'estremo suplicio
contro gl’eretici, dove stamparlo in Francia sotto falso nome: con tutto
ciò dice il Ruffini, le diatribe degl’intransigenti gli piovvero addosso e non
schiva il temuto indice se non per il bene, chè gli vuole Benedetto XIV. gravi
erano le conseguenze per il dogma dal far derivare il genere umano da uno
stato ferino di isolamento senza religione. Sono pertanto fondati i timori dei
critici cattolici e reali i pericoli da essi affacciati per la causa
della fede. Solo l'abilità di Vico nel trovar espedienti atti a
tranquillizzare gl’animi timorati, a coprire le audacie della sua
filosofia, a dar veste cattolica all'opera sua, solo le protezioni di
cui gode nell'alte sfere del mondo ecclesiastico, e la convinzione ch'e
in tutti della sincerità delle sue credenze, solo la profondità dei
concetti e l'oscurità della forma, che toglie popolarità all'opera sua,
poterono salvarlo dalle persecuzioni, ma non valeno a far tacere la
critica. A due finzioni sopratutto Vico ricorge per temperare l’asprezze
dela sua filosofia e garantirsi contro l'accusa d’eresia e di empietà.
Egli pone ogni cura nel dichiarare che la provvidenza concepita come principio
trascendente, è l'architetta del mondo delle nazioni, che queste si
svolgono secondo un disegno eterno preordinato dal creatore e che gl’uomini
non sono che mezzi e strumenti alla attuazione dei disegni divini.
in ciò sembra accogliere il dogma cattolico della divina provvidenza, ma non e
che una lustra, poiché alla provvidenza cosi concepita Vico si affretta a
negare qualsiasi azione diretta e indiretta sulla storia, la quale si
svolge ESCLUSIVAMENTE PER OPERA DELL’UOMO conforme alle sue tendenze e
alla sua natura, salvo a fatti compiuti dichiarare che questi sono
in corrispondenza colla volontà del divino. La provvidenza e la religione
ritornano pur di continuo nella Scienza Nuova, ma in un senso del tutto
diverso. La provvidenza perde ogni carattere, teologico, diventa piuttosto,
come già ha ad osservare n Vico dedica la prim e la seconda
edizione della Scienza Nuova a Corsini, che in poi papa Clemente XII, evidentemente
allo scopo di crearsi nn potente mecenaterin- fatti tale dedica conserva
quantonqne Corsini, ricchissimo di censo, fin dalla prima edizione si e scusato
presso lui di non potergli fornire :i mezzi per la stampa, mezzi che Vico
si provvide vendendo uà anello. innelli, la persuasione che gl’uomini
hanno del divino su loro : religione poi perde ogni carattere positivo
per divenire il ko religioso in generale, che stimola e accompagna la
cita dei popoli nei loro inizi e prepara nei tempi umani il onfo della
sapienza riposta o filosofica. Nessun accenno tro- imo a idee
intolleranti, neppure per stornare da sé le ire cattolici. La tolleranza
traspira dal concetto largo e mo- 'UO che egli si forma della religione.
Vico porta un conbuto prezioso alla causa della libertà religiosa, per
quanto 1 apprezzato: egli che invoca la tolleranza per sé la èva
per gl’altri. Altri potè con argomenti e teoriche razionaliste cooperare al
trionfo della libertà religiosa. VICO coopera trasportando le questioni
religiose dal campo delle e al campo dei fatti, mostrando l'origine e la
formazione ;urale delle religioni, traendo dai fatti la loro
giustifica- ne, astraendo da qualsiasi forma di religione
particolare. li per tal modo ponevasi da un punto di vista nuovo e
che -èva ingenerare l'equivoco: la veduta storica se lo rese da
lato fautore della religione e del culto nazionale, dall'altro portava
suo malgrado ad escludere dalla storia ogni reli- ne rilevata : potè
quindi fornire argomenti tanto ai fautori mto agli avversari della
libertà religiosa. Dena larghezza di vedute di Vico in fatto di religione fanno
prova stndl da lai fatti dei filosofi protestanti più. avverai alla chiesa catolica,
le sue amichevoli relazioni con uomini apertamente fautori della rtà
religiosa come Ledere e Thomasius. Avversò la Riforma testante per una
ragione storica piti che religiosa ; ne condanna le lenze individualiste,
ribeUi ad ogni freno di autorità. Non cre- mo che Vico sìa stato deciso
avversario della tolleranza religiosa le mostra di credere Ruffini. Tale
convinzione Ruffini fonda particolarmente sopra un passo della Seconda
Scienza Nuova 3ui Vico dice: € le nazioni, se non sono prosciolte in
un'ultima liba di religione, lo che non avviene se non nella loro ultima
decadenza, [) naturalmente rattenute di ricevere dei tadi straniere. Raffini
ima paradossale e mostruoso tale principio e a ragione se Pinterpre- one
da lui data fosse la vera: ma ci sia permesso dubitarne. Il passo
luestione si legge nel libro secondo della Seconda Scienza Nuo^àf e pre- [La
seconda finzione a cui ricorse VICO per evitarle inevitabili conflitti coll’EBRAISMO
e quella di separare la storia degl’ebrei da quella dei ROMANI gentili.
Alla stessa finzione per lo stesso motivo hanno fatto ricorso Grozio e
Pufendorf. Il popolo ebreo e considerato dai stessi ebrei come un popolo
eletto, la cui storia si e svolta eccezionalmente sotto la diretta azione
del divino ebreo all'infuori delle leggi naturali e ordiiiarie di sviluppo cui
erano sottostati i ROMANI Gentili, che formano per altro l'umanità. Là
distinzione e accolta ed accentuata da Vico, il quale cisameute là ove
Vico tratta dell’astronomia poetica. Premettiamo che il secondo libro
deUa S» S. N» si intitola Della sapienza poetica ed è la ricostrnzione della
storia relativa ai tempi favolosi e oscuri. Dopo di aver discorso della
metafisica, della lingua latina, della morale, della vita famigliare e
politica di quest'epoca primitiva, Vico passa a studiarne le concezioni
cosmografiche e astronomiche. L'astronomia poetica assume per Vico un
particolare significato. Essa è la storia religiosa degli antichissimi popoli
italici:, gli dei e gl’eroi – ENEA, ROMOLO, SCIPIONE -- sarebbero stati
trasportati dalla terra in cielo a popolarvi i pianeti e le
costellazioni, che rispettivamente dagli dei o dagl’eroi prendono nome – MARTE,
padre di ROMOLO. Per agevolare la via al ritrovamento dell' aaitronomia
poetica Vico pone alcuni principi filologici e filosofici. Tra questi
ultimi troviamo quello sopracitato, il quale espresso in forma generale e
riferito a tutte le nazioni senza distinzione di tempo e di luogo può far
credere ad una implicita condanna della libertà religiosa. Ora noi
crediaoK) che in questo passo la religione è considerata da un punto di
viata storico e non teologico, e che l'affermazione di VICO, sebbene espressa
in forma generica, vuole essere la constatazione di un fatto storico
particolarmente riferito ad epoche primitive. È noto che i popoli
primitivi senza conoscere il dogma della esclusiva salvazione sono
gelosissimi delle loro credenze religiose, considerate come parte di loro
stessi e precipui fattori d’educazione e di unità nazionale. Sappiamo
ancora esser stata convinzione di Vico, assai discutibile del resto, esser
le nazioni nella loro barbarie impenetrabili, e che le infiltrazioni
straniere di qualunque natura né snaturano il carattere e sono elementi
di decadenza. Interpretato storicamente il passo di Vico e non come
affermazione di un principio teorico trova fondamento nella storia di
tutti i popoli antichi, ai quali del resto la maggior parte dalle
osservazioni filosofiche di Vico devono riferirsi. Certamente non troviamo
nelle opere di Vico apertamente proclamato il principio della libertà
religiosa. Ciò del resto non fanno né Doria né Giannone, i quali, osserva
Kuffiui, non osando esprimere esplicitamente le loro opinioni tolleranti
ricorsero all'espediente di lodare la tolleranza del Komani.
traddire alle nostre tradizioni e alle esigenze del nostro LO nazionale.
Sarebbe stato strano che al sistema di Vico e mancata in Italia
l'opposizione cattolica. Può invece iar meraviglia il fatto che mancò a
Vico in Italia quella lizione che non manca ad altri capiscuola
all'estero. Bi- la per altro non dimenticare che l'Italia sopporta
le ^eguenze della duplice secolare servitù politica e religiosa,
il risveglio delle coscienze e delle menti alla vita mo- ia manca
in Italia quasi affatto nel seicento, e lento e trastàto, e segui sotto
lo stimolo di in^u^ inieri che traviarono l'intelletto italiano dalle sue
naturali iizioni. Queste però, sebbene deboli e incerte, si
conservano, 3po Vico noi le possiamo rintracciare sia nelle
dottrine ora asservite alla tradizione scolastica, sia nelle
dottrine )irate agli influssi stranieri. a dottrina di Vico
trova i seguaci più fedeli. . essi ricordiamo Stellini e Duni. Stellini
svolge 3ndo il metodo e il concetto di Vico la filosofia morale,
>uni la filosofia giuridica: malgrado le loro credenze sin- imente religiose
cercano entrambi dei fatti etici e giuridici la formazione naturale, movono
dallo studio dell'uomo le appare all'osservazione psicologica e storica
all'infuori qualsiasi premessa dogmatica e religiosa. Duni è l'autore di
un intero sistema di filosofia giuridica quale le dottrine di Vico si
riproducono chiare e or- ite Vico ha posto nella vis veri il comun
fonda- ito delle scienze morali. Già FINETTI ha acutamente jrvato
che non il vero in genere, ma il vero in ispecie, le naturalis ordo rerum
deve assumersi a fondamento del ) Per ciò ohe rigaarda STELLINI
e la saa dottriua morale cfr. nostro 'oblema morale Torino, Bocca, Dani
nato a Matera e professore a Roma. Tra i suoi saggi ricordiamo il Saggio
sulla spradenza universale e la Scienza del oostu^e ossia sistema
df io universale diritto universale. Di questa critica del Finetti
risente la distinzione stabilita da Duni tra vero matematico, metafisico,
morale. Non il vero in genere, ma quella forma speciale di vero che
dicesi morale è il fondamento del diritto universale, che è la scienza
del costume ossia della condotta umana largamente intesa., Sul vero
morale si fondano l'etica e il diritto. Duni nel porre il criterio di
distinzione tra morale e diritto, riproduce sostanzialmente la dottrina di
Vico. Questi deriva la morale dall'interno sentimento del pudore,
il diritto dallo svolgersi e dall'estrinsecarsi della libertà. Duni non usa i termini pudore e
libertà, ma ricorre alle espressioni equivalenti, ma più generiche e comuni, di
ONESTA – H. P. GRICE, “am honest chap” -- e di giustizia. L'onesto è il vero
morale riferito alla condotta interiore dell'individuo. Il giusto è il vero
morale riferito alla condotta esterna dell'uomo in quanto fa parte della
società. L'uno non esce dall'individuo, l'altro SUPPONE IL CONSORZIO SOCIALE –
cf. Grice, breakdown of relevance. L’uno si risolve nell'equilibrio delle
facoltà umane e nella purezza dell'intenzione, l'altro nella retta
distribuzione tra gl’uomini de' vantaggi e delle utilità. Non vi è
dubbio che Duni iutese chiaramente il rapporto tra morale e diritto.
Ma forse ne accentua troppo l'opposizione, mentre Vico insiste piuttosto sulla
loro coordinazione e accanto al pudore che è un fatto di coscienza pone il
costume che è il fatto etico COLLETTIVO che prepara ma non costituisce
ancora il fatto giuridico. Non crediamo che DUNI interpreta
esattamente il concetto di VICO facendo derivare il diritto delle genti
da quelle antichissime costumanze che si andarono formando durante l’età
patriarcale per l'autorevole e sovrana volontà dei padri di famiglia e
che si incontrano pressoché uniformi in Cfr. Finetti, ediz. di
Venezia, C£r. Duni, Scienza del costume, ed. napoletana, Cfìr. QcU rapporto tra
^iuatp e onesto. Punì, Op. cit.^ lib, 11^ e. vil^ .-•-TT VavVy
-Sla- tti i popoli. Formatesi colle città le società civili,
tali coimanze modificate e adattate alle speciali condizioni di npo e di
luogo avrebbero costituito il diritto civile, [n altre parole secondo
Duni il diritto di natura è il diritto filosofico quale appare alla mente
rischiarata dal vero, Q ottenebrata dagl’afletti e dall'errore. Il diritto
delle genti il diritto civile sono formazioni storiche rispondenti ai
due idi di aggregazione sociale della famiglia e della città. Il
itto poi civile svolge l'equità naturale e la civile, di cui na si ispira
al privato interesse l'altra al pubblico. Nel ni le dottrine e i principi
di Vico diventano famigliari iccessibili alle menti meno colte. È
doveroso riconoscere e le sorti di Vico in Italia sono stret- nente
legate al nome di Duni. Nei saggi, dalla cattedra Roma per Duni tenne
desto il Ito e la tradizione di VICO negli studi giuridici.
Cattolico li stesso potè con tanta maggior efficacia difenderne la memoria
e i saggi contro i cattolici intransigenti, frustrandone secreto
desiderio di far condannare come eretiche e peritose le opere di VICO. Egli fa
opera più di avvocato e di critico. E più amante di Vico che della verità.
Ma si tien conto delle tristi condizioni in cui versavano le enze
morali e giuridiche in Italia, minacciate dalla reazione cattolica da un
lato. He influenze materialiste francesi dall'altro, l'opera di
Duni 'Otta a far conoscere nella sua genuina purezza le dottrine l
VICO e a salvarle dalle conseguenze di una condanna ecleisiastica non può a
meno che essere altamente apprezzata. La formazione storica del diritto deUe
geùti e civile è argomento. Duni, Sopra accennammo alla polemica tra Duni e FINETTI
in ordine allo bo ferino. Qui ricorderemo che la Biaposta apologetica di
Duni e stama con l'approvazione del Giorgi, professore di scrittura a Roma e di
Nerini, consultore del Santo Officio. Si voUe così dare una 3ntita
ufficiale a Finetti, il quale non volle perciò apparire l'autore la
Apologia che pubblica con altro nome. Quando in Italia e sopratutto
in Napoli gli ingegni subivano il fascino degli enciclopedisti, la
tradizione di VICO impede l'asservimento completo della nostra filosofi. Liberi
pensatori come PAGANO, FILANGIERI, e CUOCO trassero dalla scienza nuova gl’elementi
più originali e duraturi dei loro saggi. Se non può pertanto sostenersi
che la tradizione di VICO sia stata svolta e apprezzata al suo giusto valore in
ITALIA, non può neppure ammettersi che e andata perduta. LA FILOSOFIA
ITALIANA ondeggia incerto tra la tradizione spiritualista e gl’indirizzi
di origine straniera del sensismo, dell'hegelianismo, del positivismo. Ma
è notevole il fatto che dai seguaci delle scuole più diverse l'autorità di
Vico e invocata in appoggio dei loro sistemi e da tutti VICO e considerato
come il rappresentante di un indirizzo di filosofia ESSENZIALMENTE ITALIANO. L'età
classica dei capiscuola e dei sistemi di diritto naturale si chiude con VICO,
la cui dottrina se da un lato è in rapporto colle correnti della filosofia
dell'epoca, dall'altro lato per gl’elementi storici é psicologici, di cui
si arricchisce, preannunzia sistemi e indirizzi venuti in onore in
tempi posteriori. Ben può dunque VICO considerarsi un gigante della
filosofia^ una mente comprensiva che della realtà vide gl’aspetti più
diversi e seppe fonderli, unificarli in una dottrina che per i tempi in
cui sorse può veramente chiamarsi nuova. L'importanza di Vico sta
nell'aver posto a fii^eno e a guida della speculazione filosofica la
realtà, o il fatto, come egli dice, nell'aver intuito il metodo proprio
delle scienze morali, nell'aver dato alla sua speculazione il fondamento
saldo della psicologia e della storia, nell'aver analizzato l'uomo
in se e nella sua natura socievole, nell'aver tratto da elementi
disparati e opposti un sistema che ha tutti i caratteri di una sintesi
filosofica, storica, e sociale. Per questo l'opera sua presenta in sommo grado
i caratteri della modernità e perennità . della modernità in quanto
anticipa sull'indirizzo storico, so« - àu - ologico, psicologico
nello studio dei fatti morali; della perenta in quanto a’suoi insegnamenti
l'intelletto umano ritorna mpre dalle estreme, eterne aberrazioni
dell'idealismo e del lalismo. I^a SGixoim del dlfltto t^atUfale
Qe^sUol tappotti coiriliafx)li7lSfX)o e col l^aiftlsf^o. Origine,
sviluppo e caratteri deU'Iuazninisino. La scnola del diritto naturale nei
suoi rapporti coll’illaininiBnio. L'illuminismo in Francia e suoi
caratteri. L'Illuminismo in Germania e
l'opera dei giuristi. L'IUuminismo in Italia e suo carattere generale. La
scuola del diritto naturale nei suoi rapporti ooUa dottrina giuridica di
Kant. La scuola del diritto naturale rappresenta una nuova
ientazione filosofica in ordine ai fenomeni giuridici e ciali. Essa e
l'opera di filosofi seppe contrapporre alle istituzioni che avevano per sé
la rza dell'autorità e della tradizione le armonie ideali di una ta
conforme alla natura delle cose, ossia ai principi univerli e immutabili della
ragione. A questo rivolgimento filosofico si aggiunge per opera m di
filosofi, ma di pubblicisti, letterati, uomini di Stato, un svolgimento
delle coscienze, espressione di un nuovo modo di nsiderare il mondo
sociale e morale, noto sotto il nome d’illuminismo. Tra l'Illuminismo e la
Scuola del diritto naturale rrono stretti rapporti, ma anche profonde
differenze. Agli opi di questo saggio basta affermare che l'Illuminismo
è i fenomeno assai complesso, risultante d’elementi diversi, sieme
fusi e diretti ad uno scopo ultimo di riforma sociale politica. L'illuminismo
non può considerarsi una filiazione tè. Non deve sembrar strano il nome di
razionalisti applicato ai principali rappresentanti deirilluminismo. Tale
nome è giustificato per due motivi : anzitutto perchè le manifesta-
zioni più spiccate del materialismo presentano tutti i caratteri di costruzioni
razionali, nelle quali la fantasia e il ragionamento suppliscono spesso
la insufficienza e la scarsità dei dati di fatto oflferti dalle scienze
ancora in formazione r in secondo luogo perchè le idealità sociali e
giu- ridiche, che la scuola del diritto naturale aveva elaborato,
rivivono nell'epoca dell'Illuminismo e ne costituiscono il fattore aprioristico
e razionale. L'origine contrattuale della società e dello Stato, i concetti
dell'uomo e della società di natura rappresentano il contributo che la
scuola del diritto naturale arrecò all'Illuminismo. Tali concetti che
negli scrittori del diritto naturale rispondevano essenzialmente ad una
esigenza razionale, negl’enciclopedisti ricompaiono arricchiti di
un contenuto sentimentale, in forma poetica e attraente acqui-
stando per questo solo una efficacia pratica che prima
non avevano. Nell'illuminismo pertanto venivano a convergere tutte
le diverse correnti della speculazióne filosofica e scientifica e assieme
fuse vennero a costituire una nuova più vasta corrente a intenti di
riforma e di trasformazione morale, religiosa, politica, sociale. La chiesa e
lo stato, le due iorze maggiori che da secoli tenevano soggiogati
gli spiriti e ne impedivano ogni libera espansione furono prese di mira:
da un lato le premesse materialiste, gli stretti rap- porti col progresso
e le applicazioni delle scienze naturali rendevano l'Illuminismo
antireligioso e nelle sue ultime conseguenze ateo; dall'altro lato le concezioni
dello stato di natura e del contratto sociale battevano in breccia le
teorie del diritto divino, nonché il fondamento dei governi
assoluti. Il materialismo esplicò la sua influenza sovvertitrice nel
campo religioso e morale : la scuola del diritto naturale scosse le
basi tradizionali dell'autorità e dello Stato. Se si aggiunge
che ài?- l'Illuminismo non fu solo movimento di idee m;
sentimenti, che si distinse per la sua cieca fede i del sapere, nella
trasformazione della società per scienze, nelle energie inesauribili
dell'uomo, fati creare a sé stesso i suoi propri destini, si com
esso in sé racchiudesse tutte le condizioni per l'antico regime e
preparare le condizioni della v L'Illuminismo è un fenomeno
generale del t ovunque i popoli si destano ad una vita nuova, 1
lavoro e dalla scienza, . ovunque si acquista cosi de' propri diritti e
si avvertono i sintomi di un; rispondente agli ideali di giustizia e di
prosperiti e sociale, il fenomeno dell'Illuminismo' appare, tutti i
paesi si presenta cogli stessi caratteri. La Francia fu la patria
dell'Illuminismo e da ei in altri paesi sopratatto in Germania e in ITALIA,
in Francia l'Illuminismo si svolge co' suoi carati cali, ci si presenta
completamente sviluppato. F cipio del secolo XVIII in Francia lo
scetticisr Bayle aveva distolto le menti dal passato pre ad
accogliere teorie più consentanee ai tempi. A fase di scetticismo
dissolvitore, di critica nega il periodo in cui le più elette
intelligenze si fa dere le dottrine scientifiche e filosofiche
dell'Ing è considerata la terra della libertà e del progres; le sue
forme. A questa fase risalgono i rapporti tra la Francia e l'Inghilterra,
gli scritti polemici diretti a far trionfare in Francia il sistema
di pera del Montesquieu intesa a far conoscere politiche e
costituzionali inglesi. In un terzo luminismo entra in una fase
costruttiva; abl lato col La Mettrie e col Cabanis i primi 1 trarre
la vita intellettuale e morale dal sustra e fisiologico dell'uomo, dall'altro
col Condillac derivare dal senso la vita dello spirito; più tar
abbozza un sistema morale informato all'egoismo e al pre- supposto
dell'uomo preoccupato solo della propria felicità: da ultimo il barone
d'Holbach in un'opera che fu il codice la bibbia del materialismo riduce
a sistema le leggi del mondo fisico e morale. £ parallelamente a questa
concezione naturalista e meccanicista del mondo e della vita vediamo per
opera del Diderot, del Rousseau, del Morelly, del Mably risorgere la fede
in uno stato di natura, sinonimo di moralità e di felicità, vediamo
l'opera della ragione e della volontà invocata a dar origine e
svolgimento alla società e allo stato. E quest'ultima corrente di natura
ideale e che aveva per se l'autorità di quasi due secoli di speculazione,
più consentanea alle tendenze razionaliste di un'epoca per la quale le
concezioni materialiste erano premature, finì per prevalere e per dare al
movimento illuminista quel carat- tere ideale e razionale nel quale si
manifesta nella rivoluzione francese. In Germania l'Illuminismo
francese penetrò per l'influenza personale di Federico il Grande, la cui corte
divenne il ritrovo geniale delle più elette intelligenze dell'epoca. Il
favore che il grande uomo di stato dimostrò per il movimento di idee
sorto dall'Illuminismo rispondeva oltreché a un bisogno della mente, ad
un alto disegno politico. Preoccupato della rigenerazione intellettuale e
morale del suo popolo Federico il Grande comprese come l'avvenire di esso
dipendeva dal grado nel quale avrebbe partecipato alle nuove correnti
di pensiero. Ma astraendo dalle tendenze e dalle vedute politiche
personali di Federico II devesi riconoscere che il materialismo inglese e
francese non trovò accoglienza in Germania, né prevalse contro
l'idealismo spiritualista che poneva capo al Leibnitz (I), per quanto non
si possa negare che anche la speculazione del Leibnitz e del Wolflf
informata all'eudemo- [Cfr* Lange, Hietoire du matérialisme, Paris gli
studiosi delle scienze giuridiche ed economiche, i quali possono trovare
in ITALIA l’attuazione anticipata di quelle ri- forme legislative e
finanziarie che altrove furono provocate dai torbidi rivoluzionari. E
bisogna riconoscere che in Italia i principi meno stretti alla
tradizione, più a contatto col po- polo seppero attuare quanto dì meglio
T illuminismo in sé riu- niva spontaneamente, con perfetta coscienza,
senza attendere la pressione degli avvenimenti. Nello studio poi
deirillumi- nismo italiano non può trascurarsi un elemento non derivato
dal di fuori ma del tutto nostro, la tradizione cioè del pensiero del Vico, che
si rivela, come già accennammo, in tutte le opere uscite dalle menti più
elette dell'epoca e che senza dubbio concorse a dare un indirizzo
pratico, un fondamento più saldo, una fisionomia particolare
all'Illuminismo italiano. Ma l'argomento da noi appena sfiorato
dell'Illuminismo ita- liano merita per la sua importanza una trattazione
speciale, e qui non si voleva che richiamare l'attenzione sul
carattere generale ch'esso presenta e per cui si distingue
dall'Illuminismo francese e tedesco. La scuola del diritto naturale non ha
solo stretti rapporti coll'Illuminismo ma rientra come elemento
integrante nel nuovo indirizzo filosofico che si personifica in Kant. Il kantismo
se fu per il suo stesso carattere critico una reazione contro la
speculazione filosofica dei secoli XVII e XVIII, rappresenta d'altra
parte uno svolgimento di quelle idee che la scuola del diritto naturale
aveva in due secoli elaborato. Il carattere di reazione si rivela
sopratutto nella parte teoretica della speculazione kantiana. La critica
della conoscenza e della ragione umana nella ricerca del vero, che
il Kant considerava come il problema fondamentale della filosofia, era
implicitamente la critica e la condanna di tutti i sistemi usciti dalle
diverse scuole filosofiche, nessuno dei quali aveva rispettato quei
limiti oltre i quali la ragione umana non può conoscere il vero. Per
questa parte il Kant si contrappone al passato e apre vie nuove alla
speculazione Stato nei suoi rapporti coirindividuo e a stabilire
quella d'interiorità che deve considerarsi interamente
sottratta alsiasi coazione esteriore e da cui si originano i cosi
diritti soggettivi dell'uomo e del cittadino. concezione stessa di
un diritto naturale non è abban- ta dal Kant, ma è solo presentata sotto
un diverso aspetto, non cerca il fondamento del diritto naturale nella
esperà e nell'osservazione empirica dell'uomo come l'Hobbes pure
nell'autorità e nell'universale consenso come Grozio, iella ragione
stessa, e riduce tutta la scienza del diritto cognizione sistematica del
diritto naturale. Da ultimo nò che riguarda il concetto e le funzioni
dello Stato, il ; se non si foggiò uno stato di natura, vagheggiò
certo stato di ragione, ossia uno stato che i moderni chiame-3ro
piuttosto di diritto, non avente altro scopo all'infuori lello di
garantire il diritto ossia di assicurare l'accordo libertà. Che se
un siffatto concetto dello Stato non può >ndersi collo Stato sognato
dagli Illuministi e dai giusnalisti, che ha per fine la felicità e il
perfezionamento dei dini, non vi è dubbio che nei due casi il metodo
seguito jostrurlo è identico e lo Stato giuridico di Kant è una
uzione altrettanto astratta e arbitraria quanto è più dello Stato
paterno di Thomasius e di Wolff. Sotto atto pertanto del metodo seguito,
dei risultati ottenuti lobbiamo considerare la dottrina giuridica del
Kant un pale svolgimento della dottrina elaborata dagli spiriti
linati, che in Germania all'epoca in cui I Kant, si confondono coi
seguaci della scuola del diritto pale. Hóbhes e l’indirizzo empirico
nelle scienze morali Bacone e sua posisione nella storia del
pensiero Bacone e le scienze morali Etica e scienza civile in Bacone Il
metodo di Hobbes Hobbes e i suoi tempi. Sistema etico -^inridico di
Hobbes. Il rapporto tra morale e diritto in Hobbe<t
L'opposizione a Hobbes : Cnmberland Locke e i snoi tempi Morale e diritto
in Locke Da Locke a Home Hnme ei snoi tempi Filosofia di Hnme Rapporto
tra morale e diritto in Hnme Smith e sna importanza Sistema
etico-ginridioo di Smith L'indirizzo cartesiano nelle scienze morali .Cartesio
e l'epoca sna Cartesio e le scienze morali. Malebranche e l'indirizzo
spiritualista-cartesiano nelle scienze morali L'Olanda <o il sistema
etico-giu- ridico di Spinoza. Le condizioni politiche e religiose
della Germania La dottrina etico-giu- ridica di Leibniz L'opera metodica
del Wolff Parallelo tra riudirizzo filosofico e giuridico nelle scienze
morali. Vico e le scienze etico-giuridiche in Italia .Condizioni generali
d'Italia Galileo e la filosofia naturale Gli stndl giuridici e il
rinnovamento della filosofìa in ItaliaVicende degli studi giuridici iu
Italia Gli stndl giuridici in Napoli giureconsulti pratici n progresso degli studi giuridici in Napoli:
giureconsulti eruditi : d'Andrea e Gravina. La Vita Civile di Dorìa
Risveglio filosofico in Napoli. Posizione di Vico in ordine agli
indirizzi filosofici del suo tempo Vico contro Cartesio e la questione
del metodo nelle scienze morali Il criterio della verità nel Vico Vico e
gli studi giuridici La filosofia del diritto nel Vico Il rapporto tra
morale e diritto Il diritto nella sua formazione storica Diritto e
scienza sociale Le sorti di Vico e i critici cattolki Se- guaci di
Vico: Stellini e Dnni La Scuola, del diritto naturale ^ne' suoi rapporti
coli' Illuminismo e col Kantismi .Origine, sviluppo e caratteri
dell'Illuminismo La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti
coll'Uluminismo L' Illuminismo in Francia e suoi caratteri L' Illuminismo
in Germania e l'opera dei giuristi L'Illuminismo in Italia e suo carattere
generale La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti colla
dottrina giuridica di E. Kant. Gioele Solari. Solari. Keywords: roma antica, Giorgio
Guglielmo Federico Hegel, Spaventa, hegelianismo, iustum/iussum – storia della
filosofia del diritto romano – cicerone; diritto naturale, IVS NATVRALE, Gaio,
citato da Vico, Giustiniano, diritto romano in eta del principato, IVS GENTIVM,
IVS VNIVERSALI, sato di natura, i ferini di Vico, il metodo pirotologico di
Grice – ri-costruzione razionale, Bennett, significato naturale. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Solari” – The Swimming-Pool Library. Solari.
Luigi Speranza -- Grice e Soleri: la ragione
conversazionale ed implicatura conversazionale -- funzionalità veritativa dei
connettivi – la scuola di Macra – filosofia piemontese. filosofia italiana –
Luigi Speranza (Macra).
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Macra, Cuneo, Piemonte. Studia a Milano
sotto OLGIATI. Insegna a Saluzzo. Saggi: Il problema metafisico del male, Sapienza
– cf. Grice, Ill-will; Inevitabilità e decisività del problema teologico; La
proprietà, S.E.I. Torino; TELESIO, La Scuola, Brescia, LUCREZIO, La Scuola, Brescia,
ANTONINO, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima, S.E.I., Torino; Economia
e morale, Borla, Torino; Essere, atto, valore; Il problema del valore, Morcelliana,
Brescia, Incisività e decisività del problema teologico, Studia Patavina, Orizzonte
della metafisica”; Ettore, “S.” (Saluzzo). Ettore Soleri. Soleri. Keywords:
Telesio, Lucrezio, Antonino, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soleri” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Somenzi: la ragione
conversazionale del naturale, l’innaturale, il sovranaturale, ed il
trasnaturale – la scuola di Redonesco -- filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Redondesco). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Redonesco,
Mantova, Lombardia. Ufficiale meteorologo dell'aeronautica. Partecipa alla
Resistenza, lavora all'ufficio studi dello stato maggiore. Si divide tra la
carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di
filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi e CORDESCHI. Partendo da un interesse
per l'operazionismo, dirige i suoi studi teorici alla cibernetica ed e tra i
primi a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti
mente-cervello e mente-macchina. Saggi: La filosofia della scienza, Milano,
Bocca, La meccanica quantistica, Milano, Bocca – H. P. Grice, the quantum; L'
operazionismo, Milano, Comunità; La scienza nel suo sviluppo storico, Torino,
ERI; Automi, Torino, Boringhieri; Tra fisica e filosofia, Donolato, Abano Terme,
Piovan; La materia pensante, Milano, CLUP Città Studi. Rainone, Enciclopedia
Italiana, riferimenti in. Saggi in onore, Roma, Union Printing, antologia e
testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola mantovana, Cibernetica
Intelligenza artificiale Rainone, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Un maestro del domandare, di Cd Del Bello,
da Giano, sito Metodologia. Filosofo al servizio della scienza, Corriere della
Sera Archivio storico. Vittorio Somenzi. Somenzi. Keywords: naturale, sovranaturale,
Grice, Metaphysics in Pears, The Nature of Metaphysics. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Somenzi”.
Luigi Speranza -- Grice e Sorano: la ragione conversazionale -- TVTELA
IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS
VNVS ET OMNES -- Roma antica – Roma – la scuola di Sora – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sora)
Filosofo italiano. Sora, Frosinone, Lazio. Magistrato romano. Muore a Roma, gens
Valeria, tribuno della plebe, politico romano. Originario di Sora, poeta e
grammatico latino e tribuno della plebe durante la repubblica romana, soprattutto
noto per essere stato giustiziato da Gneo POMPEO (si veda) per ordine del
dittatore Lucio Cornelio SILLA (si veda), ufficialmente per aver pubblicamente
rivelato il nome segreto della città di Roma, che avrebbe potuto essere
utilizzato nel rituale di evocatio da parte dei nemici, ma probabilmente anche
per ragioni politiche, dato che è legato alla fazione di Caio MARIO (si veda). Cichorius, Zur Lebensgeschichte
des S., Hermes, Journal of Philology, Oxford Latin Dictionary, voce "S.”. Martino, L'identità segreta della divinità
tutelare di Roma: un ri-esame dell' affaire S., Settimo Sigillo, Roma; Onorato,
Commentario sull'Eneide. Denique tribunus plebei quidam S., ut ait VARRONE (si
veda) et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare ut quidam dicunt raptus a senatu
et in crucem levatus est ut alii metu supplicii fugit et in Sicilia
comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est. Perseus. Servii
Grammatici qui feruntur in VIRGILIO carmina commentarii, cur. Thilo e Hagen, Teubner,
Hinard, Silla, Salerno. Opere su Musisque Deoque, PHI Latin Texts, Packard
Humanities, Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politici
romani Politici romani. Morti a Roma Persone giustiziate. Forse segue la scuola
del portico. CICERONE fa chiamare, da CRASSO, litteratissimum togatorum omnium.
E in stretti rapporti con CICERONE e con VARRONE. Partecipa attivamente alla
vita politica ed e tribuno della plebe. Fugge in Sicilia ove POMPEO lo fa
giustiziare. Poco rimane di lui, sicchè è difficile apprezzare la sua attività
filosofica. Certamente si occupa di storia letteraria e di grammatica. Dedica a
Publio SCIPIONE (si veda) Nasica un saggio che non si sa se e in prosa o in
versi. Compone Epoptides, che contiene principalmente interpretazioni
allegoriche di nomi. II esametri che sì ricordano di S. hanno pensare al pan-teismo
mmanente idel Portico e probabilmente sono inclusi in un tratatto sulla natura.
From the Latin
town of Sora, S. is a many-sided and esteemed philosopher in the department of
linguistic and antiquarian research, and a precursor of VARRONE, who, like him,
often employs the metrical form. CICERONE, de or. CRASSO says: nostri (the
Romans themselves) minus student litteris quam Latini. Notwithstanding (he
says) the most uneducated native Roman easily surpasses litteratissimum
togatorum omnium, S., lenitate vocis alque ipso oris pressu el sono. VARRONE knows
S. personally and often refers to him as a weighty authority; cf. Gell. VARRONE,
questioned by Ser. Sulpicius concerning the favisae capitolinae, confesses that
he knows nothing about the origin of the word, sed S. solitum dicere, etc. Lingua Latina. apud S.: vetus adagio est, o P.
SCIPIONE. From
this he appears to have been a contemporary of ACCIO, and it becomes probable
that he is the same Valerio whom VARRONE quotes in Lingua Latina: Valerius ait.
Accius Hectörem nollet facere, Hectora mallet,' further Scrupipedas dicit. Valerius
a pede acscrupea. He must also be identical with the expositor of the XII
tables of the same name. II hexameters of Portico character on GIOVE as the one
and highest god ap. AGOSTINO In. civ. Dei, cf. Mythogr. Vat. Bode: in han
sententiam eliam quosdam versus S. exponit idem VARRONE in eo libro quem
seorsum ab istis de cultu deorum scripsil. PLINIO NH. praef.: hoc ante me fecit
(viz. to add a table of contents to a book) in litteris nostris S. in libris
quos irontidor inscripsit. His two sons, Quintus and Decimus, are called by CICERONE
-- Bruto -- vicini et familiares mei, non tam in dicendo admirabiles quam docti
et graecis litteris et latinis. PRE. Distinct from the litteratissimus
togatorum omnium is tribunus plebei quidam S., who divulges the secret name of
Rome and is punished with death by order of the Senate (V. Anno ap. Serv. Aen.;
cf. PLINIO. NH. PLOT. qu. rom., EvLEUTsCH, Phil. S. THAT one was a poet,
grammarian, and tribune of the people in the Roman Republic. He is executed
while SULLA is dictator, ostensibly for violating a religious prohibition
against speaking the arcane name of Rome, but more likely for political
reasons. The cognomen S. is a toponym indicating that he is from Sora. A single
elegiac couplet survives more or less intact from his body of work. The two
lines address GIOVE as an all-powerful begetter who is both male and female.
This androgynous, unitarian conception of deity, possibly an attempt to
integrate the Porch and Orphic doctrine, makes the fragment of interest in
religious studies. S. is also credited with a little-recognised literary
innovation. PLINIO maggiore says that S. is the first philosopher to provide a table
of contents to help readers navigate a long essay S. Is admired for his
learning by CICERONE. CICERONE has an interlocutor in his “De oratore” praise S.
as “most cultured of all who wear the toga,” and Cicero lists him and his
brother Decimus among an educated elite of socii et Latini – i. e., those who
came from allied polities on the Italian peninsula rather than from Rome, and
those whose legal status is defined by a LATIN right rather than a full ROMAN citizenship.
The municipality of Sora is near Cicero's native Arpinum, and he refers to the
Valerii Sorani as his friends and neighbours. S. is also a friend of VARRONE
and is mentioned more than once in that scholar's multi-volume work on the
Latin language. The son of S. is thought to have been the Quintus Valerius ORCA,
who was praetor. ORCA works for Cicero's return to public life and is among
Cicero's correspondents in the Epistulae ad familiares. CICERONE presents the
Valerii brothers of Sora as well schooled in literature, but less admirable for
their speaking ability. As Italians, they would have been lacking to Cicero's
ears in the smooth sophistication or urbanitas and faultless pronunciation of
the best NATIVE ROMAN orators. This attitude of social exclusivity may account
for why S., whose scholarly interests and friendships might otherwise suggest a
conservative temperament, would have found his place in the civil wars on the
side of the popularist MARIO rather than that of the patrician SULLA. It may
also be noted that CICERONE's expression of this attitude is double-edged. Like
MARIO and the Valerii Sorani, CICERONE is also a man from a municipium, and has
to overcome the same obstructing biases that he adopts and expresses. In the
year of his death, S. is or has been a tribunus plebis, a political office open
only to those of plebeian rather than patrician birth. The fullest account of
the infamous death of S. is given by SERVIO, who says that he is executed for
revealing the secret name of Rome. The tribune S. dares to disclose this name,
according to VARRONE and many other sources. Some say he is hauled in by the
senate and strung up on a cross. Others, that he flees in fear of retribution
and is apprehended by a praetor in SICILIA, where he is killed by order of the
senate. SERVIO's account presents several difficulties. Crucifixion is a
punishment generally reserved for a slave. Valerio Massimo, a historian in the principate,
reckons that the punishment should not be inflicted on those of Roman blood ‘even
if he deserved it.’ Moreover, a tribune's person is, by law, sacro-sanct. Finally,
it is unclear whether the X tribunes should possess the knowledge of Rome's
secret name, or in what manner S. publicises it. Among sources earlier than SERVIO,
both PLINIO MAGGIORE and Plutarco note that S. is punished for this violation. It
has been suggested that the name is revealed in his one work for which a title
is known -- the “Epoptides”. The title, if interpreted as it sometimes is to
mean tutelary deities, offers an apt context. But elsewhere SERVIO — so too MACROBIO
— implies that the name remains unrecorded. S. has been identified with the Q.
Valerius, described as a philologos and a philomathes, whom Plutarch says is a
supporter of MARIO. This man is put to death by POMPEO in SICILIA, where he
would have accompanied Carbo, the consular colleague of the recently murdered
Cinna. Carbo is executed by Pompeo. Cichorius publishes an essay that organises
the available evidence for the life of S. and argues that his execution is a
result of the Sullan proscription. The view of his death as politically
motivated prevails among scholars: His death is thus the result of being
proscribed as a supporter of MARIO, and has nothing to do with religious issues
of any kind. At the same time, we know that S. writes essays of a
religious-antiquarian kind, as well as verse, and is often cited by VARRONE.
This link with VARRONE must be the reason for associating the revelation of
Rome's secret name with S.’s violent death, for, as we saw, it is VARRONE whom
SERVIO cites as his authority for linking the death with the revelation. But if
VARRONE originates the story, his reasons are hard to tease out of the roiled
politics of the Republic. Although VARRONE is the friend of S., in the civil
war he is on the side of the Pompeians. GIULIO CESARE however, not only pardons
VARRONE, but gives him significant appointments. The biases of the contemporary
sources are not lost on Plutarch in his account of the killing. Furthermore, GAIO
OPPIO, the friend of GIULIO CESARE, says that POMPEO treats S. also with
unnatural cruelty. For, understanding that S. is a man of rare scholarship and
learning, when he is brought to him, OPPIO says, POMPEO takes him aside, walks up
and down with him, asks and learns what he wishes from him, and then orders his
attendants to lead him away and put him to death at once. But when OPPIO
discourses about the enemies or friends of GIULIO CESARE, one must be very
cautious about believing him. Speaking the name could be construed as a
political protest and also an act of treason, as the revelation would expose
the tutelary deity and leave the city unprotected. This belief rests on the
power of utterance to call forth the deity – evocation -- so that an enemy in
possession of the true and secret name could divert the divine protection to
themselves. The intellectual historian of the Republic Rawson ventures
cautiously that S.'s motive remains unclear, but may have been political. More
vigorous is the view of ALFONSI, who argues that S. reveals the name *deliberately*
so that -- superstitious as S. is -- his
Italian municipality of SORA could appropriate it and break Rome's monopoly of
power. Another interpretation of these events, worth noting despite its
fictional context, is that of historical novelist McCullough, who melds
political and religious motives in a psychological characterization. In
Fortune's Favorites, McCullough's S. screams aloud the arcane name because the
atrocities committed during the civil war renders Rome unworthy of divine
protection. Rome and all for which she stands should fall down like a shoddy
building in an earthquake. S. himself believes that implicitly. So having told
air and birds and horrified men Rome's secret name, S. flees to Ostia WONDERING
why Rome still stands upon her seven hills. The single couplet that survives
from S.’s vast work as a poet, grammarian, and antiquarian is quoted by AGOSTINO
in the De civitate Dei to support his view that the tutelary deity (DEITAS,
DIVINA) of Rome is the Capitoline Jupiter (GIOVE CAPITOLINO): -- IVPPITER
OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET
OMNES.The syntax of S’s couplet poses difficulties in attempts at interpretation,
and there may be some corruption of the text. It seems to say something like Jupiter
all-powerful, of kings and things, and of gods, the progenitor and the genetrix
of gods, god that is one and all. AGOSTINO says that his source for the
quotation is a work on religion by VARRONE, with whose conception of deity AGOSTINO
argues throughout De civitate Dei. The view of VARRONE, and presumably of S., is
that GIOVE represents the whole universe which emits and receives semina,
encompassing the generative powers of earth the mother as well as sky the tather.
This unitarianism is a concept of the PORTICO, and S. is usually counted among
the members of the Porch of Rome, perhaps of the contemporary school of Panezio.
The unity of opposites in the deity, including divine androgyny, is also
characteristic of Orphic doctrine, which may have impressed itself on the
Porch. The couplet may come from the Epoptides. The title is mentioned only in PLINIO,
and none of the known fragments of S. can be attributed to this large-scale
work with certainty. S.’s innovation in providing a table of contents — most likely a list of capita rerum —
suggests that the Epoptides is an encyclopedic or compendious saggio Alternatively,
the Epoptides may have been a long didactic treatise on nature. S. is known to
have written didactic poetry and is likely to have been an influence when LUCREZIO
choses verse as his medium for a philosophical subject matter such as nature
is. The most extensive argument regarding the Epoptidesis is that of
Köves-Zulauf. Much of what can be conjectured about the work derives from the
interpretation of its title. The verb “ἐποπτεύω”
has the basic meaning of to watch, to oversee, but also, literally, to become
an ἐπόπτης, or initiate -- Epoptides --
the highest grade of initiate at the Eleusinian mysteries. Köves-Zulauf argues
that S.’s Epoptides is an extended treatment of mystery religions, and he
translates the title as Mystikerinnen. The classicist and mythographer Rose, on
the contrary, insists that the epoptides has nothing to do with initiates. Rawson
holds with initiated women; the Loeb offers lady initiates; Horsfall is
satisfied with the watchers. Köves-Zulauf maintains that the epoptides of the
title represent the conception of the PORTICO of female daimones who are
guardians of humanity, such as the horae and the charites. S. integrates this
concept, Zulauf says, with the “TVTELÆ”, ancient Italic protective spirits. The
crime of S. is thus to reveal in this work the name of the particular TVTELA charged
with protecting Rome. Works of later Roman grammarians suggest that S. Takes
an interest in etymology and other linguistic matters. Conrad Cichorius, “Zur
Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes; American Journal of Philology; Broughton,
The Magistrates of the Roman Republic, New York: American Philological
Association; Cichorius, “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes -- remains
the most thorough discussion of the evidence; Abstract in American Journal of
Philology, Oxford Latin Dictionary (Oxford: Clarendon), entry on
"Soranus," Alvar, “Matériaux pour l'étude de la formule sive deus,
sive dea,” Numen; Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon; Mastrocinque,
"Creating One's Own Religion: Intellectual Choices," in A Companion
to Roman Religion, ed. Rüpke (Blackwell), Pliny the Elder, preface, Historia
naturalis; Henderson, “Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle
Pliny (Epistles 3.5),” Classical Philology, Cicero, De oratore --
litteratissimum togatorum omnium. Cicero, Brutus, Cicero, Bruto, vicini
et familiares mei; Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The
Johns Hopkins, Varrone, De lingua latina, Gellius, Noctes Atticae, Courtney,
The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon); Niccolini, I fasti dei tribuni
della plebe (Milano); Cicero, Post reditum in senatu; Cicero, Epistulae ad
familiares; discussion in Brown, Israel and Hellas: Sacred Institutions and
Roman Counterparts, Berlin Gruyter Cicero, Brutus -- non tam in dicendo
admirabilis quam doctus et Graecis litteris et Latinis. Ramage, “Cicerone
on EXTRA-ROMAN Speech,” Transactions and Proceedings of the American
Philological Association, Brown, Israel and Hellas, Berlin, Rawson,
Intellectual Life in the Late Roman Republic, The Johns Hopkins, Klinghardt
discusses the religious case in "Prayer Formularies for Public Recitation:
Their Use and Function in Ancient Religion," Numen; see also Versnel, “A
Parody on Hymns in Martial and Some Trinitarian Problems,” Mnemosyne. The
"praetor" may be Pompey. Servius, Commentary on the Aeneid -- denique
tribunus plebei quidam Valerius Soranus, ut ait Varro et multi alii, hoc nomen
ausus enuntiare, ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est, ut
alii, metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto
senatus occisus est; from the Perseus Project's online edition of Servii
Grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, ed. Thilo e Hagen
(Teubner). Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, entry on
"Crux," Bill Thayer's Lacus Curtius edition; Elizabeth Rawson,
"Sallust on the Eighties?", Classical Quarterly Coleman, "Fatal
Charades: Roman Executions Staged as Mythological Enactments," Journal of
Roman Studies; for full discussion, see M. Hengel, Crucifixion in the Ancient
World (London), especially "Crucifixion and Roman Citizens" and
"The 'Slaves' Punishment," Valerius Maximus, "Tribune" at
Livius; fuller discussion of the tribunate at Smith, Dictionary of Greek and
Roman Antiquities, "Tribunus," Thayer's Lacus Curtius edition..
“This name and the name of the tutelary deity of Rome was handed down from one
generation of Roman priests and magistrates to the succeeding one” Linderski,
"The Augural Law," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. The
story of S., Linderski assumes, indicates that tribunes do know the name. The
reasoning may be circular. Pliny the Elder, Historia naturalis, Plutarch,
Roman Questions, The late antique grammarian Solinus also reports that S. is
killed for profaning the name of Rome, connecting the act to the Roman goddess
Angerona, whose cult statue depicted her with a sealed mouth. Köves-Zulauf,
"Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus,"
Rheinisches Museum. "Tutelary deities" is not the universal
translation. See discussion under Literary Works. Servius, Commentary on
the Aeneid; Macrobius, Saturnalia; Brown, Israel et Hellas, Berlin. The ancient
sources on the violation make a distinction without, in the outcome for S., a
difference. Some say the arcanum not to be revealed is the secret name of Rome,
and others that of Rome's tutelary deity, see L'identità segreta della divinità
tutelare di Roma. Un riesame dell' affaire Sorano. Roma, Settimo Sigillo. Plutarch,
Life of Pompey -- φιλόλογος ἀνὴρ καὶ φιλομαθής. Conrad Cichorius, "Zur Lebensgeschichte
des Valerius Soranus," Hermes, Broughton, The Magistrates of the Roman
Republic, New York: American Philological Association, Courtney, The
Fragmentary Latin Poets, Oxford: Clarendon, Rüpke, Religion of the Romans, ed. Gordon
(Cambridge: Polity), Cichorius, "Zur Lebensgeschichte des Valerius
Soranus," Hermes. Abstract in American Journal of Philology Rüpke,
Religion of the Romans, ed. Gordon (Cambridge). This view is shared by
Weinstock, review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich, Journal of
Roman Studies Political and religious motives reviewed by Brown, Israel and
Hellas, Berlin, For the development of the story of S. as a cautionary tale,
see Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome,” in Rituals
in Ink: A Conference on Religion and Literary Production in Ancient Rome
(Stuttgart), Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns
Hopkins, Plutarch, Pompey, Loeb Classical Library translation of the Lives,
Cambridge), Thayer's edition at Lacus Curtius. Brown, Israel and Hellas, Berlin, citing Alfonsi,
"L'importanza politico-religiosa della 'enunciazione' de Valerio
Sorano," Epigraphica. Pliny says that the Romans practice evocatio when they lay siege to a
city, with the priests calling out the foreign god and promising him a greater
cult among them -- Historia naturalis. Macrobius even provides the charm of
evocation used against Carthage (Saturnalia). The secrecy surrounding prayer
formularies, particularly the correct names of gods, is characteristic also of
Judaism, Egyptian syncretistic religion, mystery religions, and Christianity.
See Klinghardt, “Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and
Function in Ancient Religion,” Numen on this case; also article on "Magic
and Religion: The Name of God." Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic
(The Johns Hopkins Alfonsi, "L'importanza politico-religiosa della
enunciazione di S. (a proposito di CIL)." Epigraphica McCullough, Fortune's Favorites (HarperCollins),
Cook, “The European Sky-God, The Italians,” Folklore, Grant, review of Varros
Logistoricus über die Götterverehrung ("Curio de cultu deorum"),
Burkhart Cardauns (Würzburg) in Classical Philology, Rawson, Intellectual Life
in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Alvar, "Matériaux pour
l'étude de la formule sive deus, sive dea," Numen Zeller, A History of
Eclecticism in Greek 'Philos', Alleyne (Kessinger), Albrechtet al., A History
of Roman Literature: From Livius Andronicus to Boethius, (Brill), Geschichte
der römischen Literatur: von Andronicus bis Boethius, Courtney, The Fragmentary
Latin Poets (Oxford: Clarendon, Mastrocinque, "Creating One's Own
Religion: Intellectual Choices," in A Companion to Roman Religion
(Blackwell, pointing out that the Hymn
to Zeus of Cleanthes presents a similar view of the god, and that Laevius, a
likely contemporary of S., holds that Venus is both female and male (according
to Macrobius, Saturnalia). Martino,
in L'identità segreta della DIVINITÀ TUTELARE di Roma. Un ri-esame dell'
affaire Sorano. Roma,
Settimo Sigillo, believes that S. reveals the name of Roman tutelar deity, who is
androgynous, GENITOR GENITRIX, Horsfall, “Roman Religion and Related Topics,”
review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften (Heidelberg), Classical Review. An
innovation admired by Pliny the Elder, Historia naturalis. Rawson,
Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Henderson,
“Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle Pliny (Epistles),”
Classical Philology, Classen, “Poetry and Rhetoric in LUCREZIO,” Transactions
and Proceedings of the American Philological Association; "LUCREZIO and
Callimachus, " in LUCREZIO, ed. Gale, Oxford Readings in Classical Studies
(Oxford), Horsfall called the essay on a non-extant work "something of a
tour de force," in “Roman Religion and Related Topics,” Classical Review Liddell
and Scott, A Greek-English Lexicon (Oxford: Clarendon), entry on ἐποπτεία and related words, Murphy, “Privileged Knowledge: S.
and the Secret Name of Rome,” in Rituals in Ink (Stuttgart), Rose, “Latin
Literature for Italian Children,” Classical Review Rawson, Intellectual Life in
the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Rackham's translation of Pliny's
Natural History (Harvard). Horsfall, noting that the word's only other
occurrence in Latin is from Cornutus, in “Roman Religion and Related Topics,”
Classical Review. For instance, Aulus Gellius, citing Varro, notes that S. thinks
the Latin word “flavisa” referred to the same object as the Greek-derived word
thesaurus 'treasure trove', and suggests that the Latin word derives from the
flata pecunia, that is 'minted money', stored there (Attic Nights = Varro,
fragment in Funaioli Grammaticae Romanae
Fragmenta. Roman antiquarians often use etymology to investigate the history of
objects and institutions. Varro,
De lingua latina; Alfonsi, L. "L'importanza politico-religiosa della
enunciazione di V. (a proposito di CIL )." Epigraphica Argues that S. should be identified
with Valerius Aedituus, a poet from the circle of Lutatius Catulus (this
identification is not widely agreed upon, though both Badian, "From the
Gracchi to Sulla Historia Gabba,
"Politica e cultura in Roma agl’inizi del I secolo a. C.," Athenaeum
as cited by Badian, are willing to entertain the possibility) and that he
revealed the name of Rome to disrupt the exclusivity of the Roman aristocracy
and enable the participation of the Italic communities. (Abstract translated
from L'Année philologique. Brown, John Pairman. Israel and Hellas, Berlin
Gruyter, on Valerius Soranus. Cichorius, Conrad. “Zur Lebensgeschichte des
Valerius Soranus.” Hermes -- The most thorough biographical reconstruction. Abstract
in American Journal of Philology Courtney, Edward. “Q. Valerius (Soranus).” The
Fragmentary Latin Poets. Oxford: Clarendon Edition with commentary and
biographical note. Courtney refrains from identifying some recognized fragments
of S.’s work as poetry and thus omits them. See Funaioli and Morel following. De Martino, Marcello.
L'identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell'affaire
Sorano. Roma: Settimo Sigillo Funaioli, Gino. Grammaticae romanae fragmenta,
Leipzig: Teubner, Testimonia and fragments of S.’s grammatical works, Horsfall,
Nicholas. “Roman
Religion and Related Topics.” Review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften, ed.
Achim Heinrichs (Heidelberg). Classical Review Klinghardt, Matthias. “Prayer
Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion.”
Numen On the case of S., Köves-Zulauf, Thomas. "Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus." Rheinisches Museum Repr. Kleine
Schriften, ed. Achim Heinrichs (Heidelberg). Argument summarized under Literary
works. Morel, with Büchner and Blänsdorf. Fragmenta poetarum Latinorum epicorum
et lyricorum praeter Ennium et Lucilium. Stuttgart: Teubner. Contains fragments
of S. not presented in Courtney. Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the
Secret Name of Rome.” In Rituals in Ink: A Conference on Religion and Literary
Production in Ancient Rome (Stuttgart), Rehearses sources for nomen transgression,
with a stated interest in the significance of the story rather than its
historicity. Some misapprehensions
in handling primary source material. Niccolini, I fasti dei tribuni della
plebe. Milan.
Section on S., Rüpke, Religion of the Romans. Ed. Gordon. Cambridge: Polity,
Discusses the case of S. in his consideration of Rome's tutelary deity.
Weinstock, Review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich. Journal of
Roman Studies, Passing consideration of the likely political character of S.'s
execution, valuable mainly because of Weinstock's auctoritas. Omnipaedista Di Penates Terra (mythology) The
personification of the Earth in ancient Roman religion and mythology Quintus
Valerius Orca. Sorano. Quinto Valerio Sorano. Keywords: TVTELA. IVPPITER
OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET
OMNES. Sorano.
Luigi Speranza -- Grice e Sorano: la ragione conversazionale -- Nerone e
la filosofia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Part of the opposition from the Portico to
Nerone, S. is betrayed by his friend Publio Egnazio Celer. He is condemned to
death at the same time as Trasea Peto. Barea Sorano.
Luigi Speranza -- Grice e Sordi: la ragione
conversazionale -- o il club d’Aquino – la scuola di Centenaro – filosofia
milanese – la scuola di Milano -- filosofia lombarda -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Centenaro).
Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Centenaro, Milano, Lombardia. Si fa religioso
nella compagnia di Gesù e ben IV dei suoi fratelli seguirono il suo
esempio. Entra nel seminario di Piacenza, dove frequenta le classi
ginnasiali. Vince il concorso per l'ammissione al collegio Alberoni di
Piacenza, dove rimane fino al quando è costretto a lasciare per motivi di
salute. Ri-entra in seminario e, sotto la guida di BUZZETTI, approfonde la
filosofia d’AQUINO la cui filosofia è andata in disuse. S’insegna la filosofia
del secolo: SARTI, SOAVE, DRAGHETTI, CONDILLAC, WOLFE, STORKENAU. Divenne
sacerdote ed entra nella compagnia di Gesù appena ricostituita, fa il noviziato
nella Casa di S. Ambrogio a Genova, dove incontra AZEGLIO che attraverso i
colloqui con S. conosce e stima la filosofia d’AQUINO, di cui prima sente
parlare con disprezzo e incomincia a rivedere la sua formazione
filosofica. Divenne insegnante di filosofia nel collegio di Ferrara e passa
a Reggio Emilia come insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica
di prefetto della biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquisce
stima e fama tanto che il padre generale della compagnia FORTIS lo propone a
PAVANI, provinciale d'Italia, come professore di logica nel collegio romano. PAVANI,
però prega il padre generale di desistere dal suo proposito per motivi di
opportunità si leverebbe un gran rumore tra i professori del collegio romano tanta
è la prevenzione contro S perché seguace d’AQUINO. Venne mandato a Modena, al
collegio S. Bartolomeo, come professore di logica, metafisica ed etica. Ispirandosi
ai rivolgimenti culminati con la cattura di MENOTTI, pubblica “Catechismo delle
rivoluzioni”. Stringe amicizia con PECCI. Attraverso quest'amicizia puo esercitare
il suo influsso anche su suo fratello, PECCI che, divenuto poi papa, con l'enciclica
“aeterni Patris” propone a tutte le scuole cattoliche le dottrine d’AQUINO. Inviato
a Forlì e poi a Spoleto dove insegna. Nominato Rettore del collegio di Orvieto.
Ritorna a Modena come rettore, e poi
rimane ancora a Modena come ministro e padre spirituale degl’alunni. Rettore
del collegio S. Pietro di Piacenza, dove già e stato aperto anche l'Aloisianum Istituto
di formazione filosofica per gesuiti dell'area Lombardo Veneta. E ancora a
Piacenza, quando il collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari. Scoppiarono
allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui
aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro padre del collegio. Così si legge
nel racconto di LOMBARDINI, testimone oculare degli avvenimenti. Roothaan lo
chiama a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che realizza
insieme a CARMINATI. Nominato preposto della provincia romana. Governa quella
provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà. Passa al collegio
degli scrittori della civiltà cattolica con l'incarico di scrittore e padre
spirituale della comunità. Contribuì al fiorire della rivista componendo con
padre TAPARELLI una serie di saggi. Chiamato all'Aloisianum di Verona come
prefetto degli studi dei religiosi filosofi. Uno dei più insigni rappresentanti
d’AQUINO, il movimento di rinnovamento della filosofia d’AQUINO, che, partito
da Piacenza con BUZZETTI, si diffuse in
tutta l'Italia tramite i fratelli S., alunni dello stesso BUZZETTI. I due
fratelli, entrati nella compagnia di Gesù, portarono il rinnovamento tomista,
cioè le grandi idee d’AQUINO studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli
interrogativi più profondi dell'uomo moderno. La sua azione in favore del neo-tomismo
e particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il
suo insegnamento presso numerosi collegi dove i suoi saggi di filosofia,
trascritti, venivano usati come testo. Inoltre molte delle persone da lui
avviate allo studio d’AQUINO sono state i protagonisti del rinnovamento tomista
e i diretti collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni
Patris" in cui Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina d’AQUINO
e a propagarla il più largamente possibile. Il suo fratello, Domenico, diffunde
AQUINO nella provincia napoletana, dove opera in varie città (Napoli, Lecce,
Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al collegio massimo di Napoli e collaboratore
d’AZEGLIO promuovendo la diffusione
della filosofia d’AQUINO fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti
del rinnovamento della cultura cattolica. Fra questi va ricordato CURCI, fondatore
della “Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di
particolari nelle sue “Memorie” e LIBERATORE, co-fondatore del periodico
“Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori
dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Altre saggi: “Appendice al
capitolo XII del Catechismo del senso comune” del Rorbacher L'Amico d'Italia (Genova); “Theses ex universa Philosophia” (Parma);
“Catechismo delle Rivoluzioni” (Modena, Soliani); “Lettere intorno al nuovo
saggio sull'origine delle idee di SERBATI” (Modena, Vincenzo Rossi); “I primi
elementi del sistema di GIOBERTI dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera
sua – Bergamo, Natali, Allocuzione di Pio IX con in fine esposizione della
materia a modo di catechismo” (Roma, Apostolica); “I misteri di Demofilo” (Torino
Castellazzo) e De Gaudenzi, Circolare del R. Provinciale ai Superiori della
Provincia Romana – Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra societate
– Roma, Civ. Cattolica, Recensione
all'opuscolo di Oddo “l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, MilanoRoma,
Civ, Cattolica La libertà al tribunale della ragione Roma, Civ. Cattolica. Se
per essere indipendenti abbisogna che il papa abbia il potere temporale. Di un
sacerdote cattolico, Roma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione
popolare in occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete
galantuomo Roma Civ. Cattolica, opuscolo
Il Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo da S.
della compagnia di Gesù (Verona, Vigentini e Franchini); “Saggio intorno alla
dialettica e alla religione di Gioberti (Piacenza, Tedeschi); “Una proposta al clero
italiano”; “Ragionamenti sul gesuita moderno” (Torino, Castellazzo e De
Gaudenzi); “La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria,
Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni di ROSMINI
Monza. “Ontologia” (Dezza); “Theologia
naturalis” (Dezza); “MANUALE DI LOGICA” (Pesce). Opere inedite riportate da Dezza
in Alle origini del Neotomismo: Ethica generalis et specialis; Psicologia; Sull'origine
delle idee; Sulla materia e sulla forma; Sull'evidenza; Intorno alla filosofia
a noi prescritta d’Ignazio; “Esortazioni al clero (presso don Ballerini PC). Alle
origini del Neotomismo, Dezza, I neotomisti; Silva, Ferriere, cenni storici, Comandini,
“Nuovi contributi alla conoscenza di Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla
sua scuola -- saggio sulla rinascita del Tomismo”; Dezza, I neo-tomisti
italiani”; Dezza, “ Alle origini del Neotomismo, Breve storia della Provincia
veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostril; “La
chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP; Breve
storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai
giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber.
Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla
conoscenza del canonico Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola
Saggio sulla rinascita del Tomismo Libr. Edit. Vaticana, Cordani, Una grande
cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti, Curci, Memorie di Curci, Barbera
Editore, Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio Aloisianum), Dante, Storia
della Civiltà Ed. Studium Roma .Dezza, A MI. Dezza, I tomisti italiani, Bocca
ed. MI. La chiesa di S. Pietro in
Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP); Giarelli, Storia di Piacenza
dalle origini ai nostri giorni, II Ed.
Porta PC, Ferrari, S. e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico
Buzzetti, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo,
del totalitarismo, Morcelliana BS., Padovani, “Importanza della critica
filosofica di S. a V. Gilbert” (“Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI ed. Vita e
Pensiero, Monti, "La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese,
Chieri); Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio; Panareo, L'istruzione in
terra d'Otranto sotto i Borboni, Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo
nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, Pozzi, S., filosofo neotomista,
Studia Patavina Riv. Di Filos. e Teologia; Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni
Patris Conv. Intern. Tomistico (Trento); Rolandetti, Buzzetti teologo, Libr.
Ed. Vat. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC, S., Pochi e brevi cenni
sulla vita menata nel secolo da P. S., man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei
gesuiti piacentini S. alla diffusione del neo-tomismo nella cultura, PC altervista.
Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel
Napoletano Aeterni Patris Aloisianum
Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica, Taparelli
Azeglio Liberatore Neotomismo S., su Treccan Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di S., Il contributo dei gesuiti piacentini,
S. alla diffusione del neotomismo nella
cultura cattolica, PC su serafino sordi. altervista. La Civiltà Cattolica Taparelli
d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano italia La
Civiltà Cattolica; Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in Italia” (Taparelli
e S.). La rinascita del tomismo a Napoli (parte primaI collaboratori del Taparelli; “Il
peripato in azione”; “Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione
dell'enciclica “Aeterni Patris.” Serafino Sordi. Keywords: AQUINO. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Sordi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Soria: la ragione
conversazionale dell’opuscolo della simpatia – la scuola di Lama – la scuola di
Tarato -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lama). Filosofo tarantino. Filosofo pugliese.
Filosofo italiano. Lama, Taranto, Puglia. La famiglia risiede da tempo a
Sant'Ilario in Campo, nell'isola d'Elba. Appartenente alla corrente del
sensismo. Insegna a Pisa. Combate Cartesio ed esalta GALILEI. Scrive il saggio Rationalis
Philosophiae Institutiones. Direttore della Biblioteca di Pisa. Pubblica a Pisa
la Raccolta di opuscoli filosofici e filologici. Il saggio comprende Dell’immaterialità
delle nature intelligenti; Della potenza che ha lo spirito umano di determinar
se medesimo chiamata libertà; Il virtuoso regime del proprio corpo è un bene
indispensabile per la felicità della vita” e Della natural dipendenza della
salute corporea dall'ilarità dello Spirito”; “Della simpatia” – “Dialogo tra un
cav. francese, e un italiano” e l’”Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy
circa BUONARROTI”; “Sulle metamorfosi degl'insetti”; “Degl'influssi celesti”; “Dissertazione
Accademica sull'Innesto”; “La teoria de' fosfori, e de' loro divarj.” Allievo
di GRANDI, segna il passaggio della scuola galileiana verso l'illuminismo. S. individua
nello sviluppo economico il centro dell'interesse dell'attività politica. È
sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa. Baldini, S.
in "Dizionario biografico degl’italiani", Roma, Istituto della
Enciclopedia italiana. S. è attestato anche a Livorno ed è appartenuto a una
nota famiglia locale.Olschki, Firenze. Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. O violerei
certamente tutte le Leggi della convenevolezza, fe in mezzo al pubblico
brio di quarti lietifftmi giorni invitato A PARLAR DI SIMPATIA, non fosse il
mio ragionamento una vivace, e toccante pittura di dolci affetti, e di delicate
e tenere immagini, ornate air Attica di ridenti fcherzi, e di vezzofe e
follazzevoli piaccevolezze. Tale converrebbe che fotte, io non lo nego,
f ufo eh' io far dovrei di quefto tempo, s' io non parlatti a Voi; ma avanti un
tal Con (effe, tutt' altro fi vuol da me, tutt' altro io debbo. Vi piace eh' io
Jafci alle Mufe i teneri affetti, le delicate immagini, i lieti fcherzi,
ed i ridenti motti. Voi cligete da me, che nella mia bocca non perda la
Filofofia i fuoi diritti neppure in quefti giorni; e volete cosi, perchè
le delizie del voftro cultittìmo, e vivacitfìmo Spirito fon I' indagare, ed il
penetrare V intima eflenza, e le fegrete cagioni di quelle cofe, che
maravigliofe fono per femedclime, e d' illuftri confeguenze feraci. Or
tale fenza dubbio egli è ciò, che Simpatia fi chiama, o prendati quetta voce
nel proprio fenfo litterale, o in fenfo tropico e figurato.
Dunque per fecondare il nobile voftro Filolofico genio, dell' ona, e
dell' altra Simpatia patitamente ragionando, ne rintraccerò la natura, e
le caufe, e gli effetti ; cioè rammenterovvi ciò, che fu quefti interettanti
Oggetti per Voi medelìmi già fapetc. La voce “simpatia, presa in senso non
figurato, ma proprio, Tuona Io lteflb, che unione di genio, vicendevolezza di
affetto, benevolenza fcambievole, le quali efprcflìoni tutte fon tra di
loro (ìnonime. Quindi non può aver luogo la Simpatia, propriamente detta, fe
non tra gli Ellcri fendenti, ed intelligenti . Ma i Greci Popoli,
imitati da LATINI, e dalle lingue che ne fon derivate, edendendo il
lignificato primitivo di quella parola, chiamarono in fenfo traslato, ed
analogico SIMPATIA, la cagione altresì, per cui dato un corpo in certe
circoftanze, ne fegue un qualche determinato effetto in un' altro Corpo,
fenza che il primo agifea fui fecondo con immediato contatto. E perchè avevano
ofeura, e confufa idea delle Fillche ragioni, onde tali effetti in Corpi non
toccanti*! accadono; quefte ragioni, o cause loro ignote, che simpatia
rettoricamente nominavano, sforzavanfi di fpiegarc, dicendo, che tal forta
diSimparia era una vicendevole correlazione, c quafi cognazione di naturalo una
mutua coordinatone, o un fiiico confenfo tra corpo, e corpo in distanza. Onde a
chi aveffe domandato loro, perchè al Tuonare di una mutlca corda» le non
troppo lontane, purché temperate all' unifono, o air ottava, o alla
quinta consonanza, rifuonino anch' eflc, risposto avrebbero alia quiftione, che
ciò avviene per SIMPATIA, o per una vicendevole correlazione, e
cognazione di natura tra le corde tefe a quelle armoniche proporzioni; ficcome
una foggià dì SIMPATIA, o una 6ftca cognazione, e coordinazion di natura
chiamerebbeii dagli Antichi la causa, per
cui V Ago magnetico si rivolge costantemente verso le regioni polari, e
quella per cui 1’acque de' mari più vicine alla fovraftante Luna, più fi l'olle
vano verfo di lei « f ih Ora intorno a quefti connetti
effètti tra materie, c materie didatti di luogo, ed intorno alle cagioni vere
onde nafee una tal tìiìca conneifione tra Fenomeni, Fenomeni in divertì,
e reparati (oggetti due generali e
(blenniVerità ignoravano comunemcnte gl’anfichi, e pochi fon gl’uomini, che
noti le ignorino anch' oggi. La prima delle quali due verità fi è, chetimi i
motid' ogoi forta, dipendenti dell' eftere da ufi qualche corpo in
dirtanta, o nafeonò da vero urto, da vera pattfone, originata da quel
corpo dittante, per metto di qualche frappotta materia fia vifibite, sia invitìbile, ofon eonfeguentc neceflarie di
quelle determinate, e colanti regole della mutua general Gravità, daltequali
neffun Corpo nel materiale Universo può fottrarlì, ed a norma delle quali deve
ogni Corpo, ed ogni fua parte, fecondo le varie circolante in cui fi
trovi, oftarfi in un perfetto equilibrio di contrapporle tendente, o
tendere prepotentemente piuttotto per un verfo, che per un' altro, e
piuttotto ad Un tal corpo dittante, che ad un tal'altro, fenta che urto
o pretfìone ve lo fpinga; le quali regole di moti, chiamanti perciò non
A i mecccaniche, cioè non derivanti da preffioni, e da urti. L' altra
delle due predette Verità, men cognita ancora deli' cfpòfta, fi è, che non folo
certi Fenomeni, con certi altri determinati", appartenenti ad alcuni
corpi, localmente dilcofti, fon vicendevolmente connetti, o dipendenti
nclT eiTere, ma tutti quanti ne fono flati finora nel genere de meri
materiali, e quanti ne elicono in quello momento, e quanti ne fon per cflcre
neir intiero giro de* Secoli, e nella eftenfione intiera del materiale Universo
tutti han del pari una veriffima cognazion di natura, o tal conneflìone, e
tal mutua correlazione, per cui fi può
dire con rigorofa verità, che fe a cagion di efempio non
nafeeflero dallo itelo d’una Rosa quelle fpine precife, che ne spuntano, nelle
circodanze nelle quali nafeono, niente affatto di ciò che succede nelle
provincie della Terrefrre Fifica fuccederebbe, e fe non fi generarle nelle
circoftanze nelle quali pur genera quel sì piccolo difpregìato Infetto, che
fugge di occhio, e che in ore anzi che in giorni, muor decrepito,
e Tritavo, ed in vece di queir Infetto fi generaffc nelle medclime
circoftanze un altra cosa, o non si generale nulla, (toltoli caso di un
miracolo, da cui li prefeinde) il magnifìcentilfimo, l’ammirabile Universo
intiero fi trasformerebbe in tutt' altra cofa. Gran Paradotio agli occhi
de' Profani, ma grande e fublime Vero per chi è iniziato a miftcrj dell'
alca Filosofia i • Imperciocché non fiam noi certi, che quanto accade
nell'universo Corporeo, tutto fi fa dalle forze motrici, e che tutte le forze
non libere, tutti i non liberi moti, son’ altrettante neceffarie
confeguenze di quelle Finche generali Verità, che Leggi de' Corpi fi chiamano,
per le quali poflono, e debbon feguirc, quali precsamente seguono tutti i
Fenomeni, nelle circoftanze nelle quali fi trovano i materiali soggettiP
Bisognerebbe ciTer ben nuovo, e srraniero nella faenza Filici per dubitarne
. Se dunque, a cagion di efempio, nel fecondo fieno di un Gclfotnino tede la
Natura una piccohffima intiera Pianta feminale, che ricevuta poi da
conveniente terreno, crefee in adulta Pianta di Ge!fomino;cgli avvien ciò,
perchè lcLeggi Filkhc di Natura, pòfte le circoftanze in cui fono le remica! i
materie di quel Fiore, forza è, che quelle materie depongano in quel tal’ordine
da cui ritolta ? etfer Pianta fcminale di Gclfomino, anziché di tutt'altro
Vegetabile; e fc colaggiù nelle miniere dell' Oro fi lavora dalla Natura
quel preziofo metallo, anzi che Ferro, o Diamante; egli è perchè le Leggi de
moti | nelle circoftanze in cui tono i principi, ond'è comporlo il
bell'Oro, non poftono a meno di non difporli, e combinarli in quel tal
predio ordine in cui confitte V effer Oro piuttofto, che un’altra
cosa. L’ifteflo vuoili dire di tutti gli altri materiali Fenomeni. Dunque tanto
è domandare, che un' «f&tto corporeo nelle circoftanze precifc nelle
quali fegue, o non fegua punto, o fia divedo, quanto è domandare, che le
generali Fifichc Leggi dì Primo- 9 Natura, dette quali è figlio
neceflario, o non efiftan punto, o fien tutt' altre. Or fe tali non
fòflcro, non avrebbero certamente potuto produrre in veruit tempo, in verun
luogo, neffuno di quegli innumerabili effetti, che fo*o rtati dalla primitiva
coftituzione dell'universo, fino a quefto momento, nè potrebbero generarne pur
uno di quelli, che attualmente effe generano in tutta l’ampiezza delle corporee
cofe, e di quelle, che nederiverannocome naturali confeguenze loro in
tutta la ferie delle Età future. Dunque non folo alcuni determinati Fenomeni,
con alcuni altri determinati hanno real conneffionc,o vicendevole
correlazione nelT cffcre, ma ciafeuno con tutti gli altri, comunque fienfi
varj, e di tempo», e di luogo remoti Perchè quantunque neffun Fenòmeno aver
polla ragion di Caufa, odiEffetto, rifpetto a tutti gli altri indiftintamente,
ciafeuno però indidimamente e una condizion ncceflaria all'efifrcnza di tutti
gli altri: avendo noi veduto in pie ni (firn a luce cfler rigorosamente
vera quefta Propofuionc: Che non io Ragionamento non fi può torre,
o mutare un Fenomeno, date le fue circo/lanze, fenza torre, o mutare le Fificbe
Leggi di Natura, e però fenza tonerò mutare per naturai conseguenza tutto il re
Ilo nelt intiero Vniverfo corporeo. Ed ecco abbatta nza fpiegate le ragioni, e
1' eftenfiooe di quella SIMPATIA, eh è impropriamente tale, e che gl’ntichi
chiamavano connessìone, consenso, cognazione, correlazione di natura, tra soggetti,
e soggetti inanimati. E' tempo ornai, gentilifsimi uditori, che cedendo
alle attrattive, colle tale aborrimento, e distribuzioae o dispofizione
di suoni, allor fi chiana* una bella musica, una beli* Aria, un concerto bello,
quando quell' afsortimento 9 c quella diftribuzione di mufiche
intonazioni produce nell' animo noftro un diletto. Noi abbiam dunque un'
interno Tenta, che chiamar fi può convenientemente fenfo del Bello viiibile, e
udibile, del quàl fenfo egli è caratterirtico Attributo il fentirc un diletto,
o una molcftia, qualora vediamo una tale, o tal' altra fcclta,e
difpofizione di parti di un Tutto vifìbile, ed ascoltiamo un
tale, o un tal' altro aflbrtimento diparti componenti un Tutto (onoro, o
udibile. Han prima gli uomini gustato il piacere, che proprio è del fenfo della
Bellezza vifìbile, c udibile, di quel che abbiam faputo quali fieno le midire,
quali le proporzioni, e le diftribuzioni delle parti, onde piacciono, o
difpiacciono i viiibili, egli udibili Oggetti • Prima che fi fapclfe ¥ Arte
Mufìca, piacevano i canti di Progne, e di Filomena-, c prima che un
qualche Fi-dia curiofamcntc mifurando detcrminate le proporzioni, e le locali
correlazioni delle membra di un bel Corpo, le Veneri e f Elene, gli Adoni ed i
Paridi dilettavano i rifguardanti, ed i Momi,e gli Efopi, e le Gabrine,
e le non fucato Alcine ributtavano. E perchè come in tutti gli altri
(enfi avviene, cosi è vero altresì del fenfo della Bellezza, cioè
che in tutti gli Uomini noa fon fabbricati i fenforj di una
fretta maniera; di qui è, che dilconvengono tra loro non di rado nel
giudicar del Bello, come difeonvengono nel giudicar degli odori, e de sapori.
Non a tutti i nervi olfattori piacciono, o difpiacciono gli fletti effluvi,
producitori di quelle dilettevoli, o moiette fenfazioni, che buoni, o
cattivi odori fi chiamano. L'organo del Gusto, gli apici de* nervi, cioè, che
in folte fchiere metton capo alla superficie della Lingua, perchè non sono in
tutti gli Uomini di una medefima intriofeca ftruttura, perciò non ricevono ió
Ragionamento in tutti ugualmente grate, o ingrate fenfazioni di
fapore dagli ttefiì cibi, c dalle ftetfe bevande. Per flmil ragione
la Muika, di cut tanto fi compiacciono i Siamefi, ci farebbe correre
colle mani alle orecchie, ed eflì forfè chiamerebber fraftuoni i rroftri
Concerti, e nojofe Nenie le noftre Arie cantabili. Il certo fi è, che
tutti gli Uomini traggon diletto da qualche foggia di Mufica, ma non Io
traggono ugualmente dalle iteflc Opere di Mufica inftrumcotalc, e
vocale. Così appunto piacciono agli uni le brevi dature, e le membra
fcarfe e leggiere; preferirono altri le perfone di alto taglio, e di gravi, e
mafficce fattezze; gli uni fon per l' impatto candido, e vermiglio della
Cute, gli altri pel brunetto Greco. V* fot* anzi àc' Popoli intieri, che
dipingono neri vellutati i Genj buoni, e desinano a' Dei mali i colori di
latte, e di cinabro. Ed io qualche Regno della più eulta Europa, il
pallido pagliato non fi chiamava egli, non ha gran tempo, il bel pallido? E non
era egli riputato la vernice la più conveniente alle delicate bellezze, onde le
Dame, che cavavano di piacere, condannavano liete colle frequenti miflioni di
fanguc, ad una perpetua convalefcenza, per acquifere l'accreditato pregio
del pallore, che nel giallognolo biancheggiava? Vero è, che folto quel Cielo
fteflo non aroano ora ie guance, che di carminio, nè fi contentano del
nativo rofato; ma non perciò diventa falfo, che il dilavato pallido non
piacele già preferibilmente ad ogni altra cute. Noq fanno gli uni faziarfi di
ammirar gli occhi neri, e fdruciti di Qiunonc; trovano altri più dolci i
cerulei di Teti; per qucfti fon più toccanti i cefii di Minerva; per
quelli gli feuretti, efeintillanti di Venere. Ma per quanto sia vero, che il
fenfo della bellezza è vario in varj, fenfo però della bellezza corporea in
tutti è, ed evvi altrettanto per ciafeuno in una corporea bellezza tal mifura,
e difpofizioni di parti, e tal colorito di cut*, che a quello piace, c
piacendogli, c dilettandolo, ne attrae 1' animo, e in fe lo fitta dolcemente, c
ne defta voglia di rinnovar tal piacere, e cara ne rende la caufa, che
Io produce. Dunque dalla corporea bellezza, perchè cagion di diletto,
perchè autrice di compiacenza, ed eccitatrice delia voglia di fc, forza è che
nafea una fpecie di affetto; e fc chi lo infpira lo riceve altresì per
fimil caufa dalla fleffa perfona in cui V infpira, si avranno dunque
vicendevolmente cari, lì deaereranno V un l'altro, cioè la SIMPATIA gli unirà.
Gli unirà, dico, e renderalli cari, V uno all' altro, fe i dolci fentimenti,
che la vicendevole relativa corporea bellezza ecciterà in entrambi, non faranno
combattuti, o fuperati da i ributtanti, ed alienanti affetti, o dalle moiette
impreffioni, che cagionano i rincrcfcevoli vizj di mente, i deformi vizj del
cuore, e le maniere difaggradevoli : cioè la bruttezza dell'Animo trafpirando
fuori, e mofrrandofi, o nelle maniere, o ne' difeorfi, o nelle azioni, non
rifpinga da fe co' fuoi iuoi
odioiì tratti, con forza uguale, o maggiore di quella con cui ne alletta
colle Tue grate impreffioni la corporea Bellezza. Dunque perchè qucfta
abbia forza durevole, bifogna che l’Animo non fia brutto, o non il ravvili per
tale: nè può la Simpatia eMcr viva, coftanfc, ed alle Regole della beata Vita
conforme, fe dalle bellezze dell' Animo non tragga, fe non tutto, almeno pretto
che tutto, il foave fuo nutrimento. Ed eccoci infcnfibilmente condotti alla
parte ultima del noitro Ragionamento, ed inueme alla migliore, e più
potente, e più dolce cagione della genial Simpatia: poiché tal caufa appunto
ella è un,Anima veracemente bella . Son le bellezze dell' Animo di due specie;
T une appartengono all' intendimento, l’altre alla volontà, o come fuol
dirli, al cuore. Allora è bella una Mente, quando forpafla la comune
portata; ed è tanto più bella, quanto fono più pregiabili i fuoi talenti
nativi, B 2 ed acquiftati. Il talento altro non è, che un' agile, e
felice attitudine di a ri alizzare, e quali notomizzar collo Spirito tutti i
comporti Oggetti della mente, e di conoscere al paragone le lomiglianze, e le
differenze multiplici delle cole, e le loro meno ovvie conneffioni, e i
vicendevoli rapporti loro, quantunque ardui per i mediocri Spiriti, meno atti a
condurli lungo una ferie d' incatenati Veri, a confcguenzf più, e
più remote, immutabilmente connette colle Verità prime, e per fe
flette evidenti . Il talento di difcernere anche le piccole differenze
tra quelle cole, che alle Menti comuni pajono le più limili, e di
giungere a tali difeernimenti, al favore di ordinate prenozioni, e di
inanellate indittolubili deduzioni di vero da vero, fuol chiamarli talento filosofico,
e quefto costituifee il carattere del sublime Genio, o vogliam dire
dell'Ingegno profondo, ed inventivo . II talento poi di ravvisare
agevolmente, e come in un colpo d' occhio tra le cofe di dittinoli
genere, e fpecie,i lati o gli Attributi limili, egli Primo.
ti egli è il Carattere, per cui chiamali chi n' è fornito, un'
Uomo di Spirito- Un $1 fatto talento potrebbe convenevolmente dirli Poetico, a
differenza dell' altro, che Filolofico nominammo: E gli conviene
il nome di Poetico, perchè non può effer fecondo in immagini, ed in figurate
cfpreffioni, chi non è agile, c deliro in oflcrvarc per quali lati lì
raflomigliano le cofe altronde varie io natura, ficchè poflano t une, mostratc
da certe facce, fervir d' immagini all' altre. Chi quello Poetico talentò
pofTiedc, chiamali Uomo di bella, e do vizio fa, e viva, e brillante Immaginazione,
la quale fe congiunta iia col Filolofico talento, o colla franca
attitudine al fublime, e profondo ed *- fatto pcnfare,ne ritolta daqucfta unionc
fortunata, ciò che fi chiama una illuti re, e bcIlitTima Mente. Una tal Mente è
fempre feconda di frutti degni di fe, vola per ogni lato oltre i comuni
confini, ed ogni giorno più ricca di Veri, o maraviglio!!, o belli * o
intercalanti, ha f arte di lumeggiarli $\ vivamente, e di prefcntarli fatto imm
B s gì" Ragionamento gini sì
nuove, e di ornarli con tali grazie di eloquenza, e di difporli con
ordine sì regolare, da renderli come vitibili alle altrui menti,
e vifibili in aria perfuadente inlìeme, e dilettevole. Una tal
-Mente, che fenza incomodare inftruifcc qualora parli, e nuove feerie apre, e
nuovi profpetti alla Immaginazione di chi V afcolta, onde apparirono Verità di
ogni foggia, adorne in cento guife fenfatamentc fcelte, ed 2l
Tuoi foggetti proporzionate, una tal Mente, dilli, quanto è ammirabile i
quanto ne piace il commercio i come ne volano in tal compagnia le
ore l quanto fe ne deiidera il ritorno. 1 La bella Mente adunque ha una
forza (impanca, dolce, e potente forza, che a fe ne trac. Ma non
l'ha certamente minore, anzi e più potente, e più foave P efercita fopra
gli Animi altrui un bel Cuore. Son le Bellezze del Cuore i belli
affetti, e belli fon quegli affetti, che rcndon pregiabilc, ed amabile
il noftro morale Carattere ; e la pregiabilità di quello, e la fua
amabilità nafte tutta dalla confederazione delle Virtù lodali, e reali,
che abitualmente rifplendano in un' Animo, e ad ogni rifeontro con tutte
le irrefiftibili loro attrattive si manifestino. Le morali virtù, che ci fon
più care negli Uomini, fon quella Beneficenza, che nafee da compaffìone, e da
benevolo fociale affetto, l’officiofa Gratitudine, la fedele Amicizia, la
modefra idea di fe medefimi, l'obbligante rifpetto per gli altri . Quelli
Attributi dell' Animo non poffon non intereffarc,e non dilettare l'amor
proprio [H. P. GRICE, SELF-LOVE] di tutti quelli, che in un tal' Animo si fatti
prcgj rifguardano. Piace troppo il vederci e cari, e rifpettati, quando
ci rifpetta, e ci ha cari un'anima illuftre, delle Virtù più delicate, e più
amabili poffeditrice e miniftra . Piace troppo un tal' Animo, che i pregj
proprj ravvifa appena, e rileva gli altrui, e lì compiace in rilevarli. Troppo
diletta un Cuore, da cui non afpettali giammai nè turpitudine, nè
apatia, un Cuor che fa fua voglia B 4 dell'altrui voglia, fé Virtù lo
permea te, e che non folo fi pretta a tutti gli atti benefici,
che da lui fi domandano ma gode a tali inviti, e quali gli atti* ra,c i benefici ringentilifce colia alacrità,
e colla gioja, colle quali fi porta ad effer' utile altrui ; un Cuor
finalmente, che i ricevuti favori incide in bronzo, e i compartiti
oblia. Tale è il vero benefico, perchè la bella BENEFICENZA [cf. H. P.
GRICE, BENEVOLENZA] non è figlia dell' interefle, non della vanagloria, o dell'
orgoglioso Amor proprio, che vuol far fentire la Tua superiorità ad
altrui; ma cllanafee da un delicato fenfo di gluteamente graduata benevolenza,
da una tenera compafsione per 1' Innocenza infelice, e per ogni forta di
bifogno altrui, e dalla virtuofa abominazione de’ contrari affetti, come
intrinfecamente deformi, ed improbi, e di loro natura odiabili, e condannabili.
Sì fatte difpofizioni di Cuore, fe comuni forteto tra gli Uomini, il
Poetico Secol d'Oro diverrebbe un' Moria. Che invidiabile vita non menerebbefi
! Intende adunque ognuno, per poco che vi penfi, quanto fieno defiderabili in
tutti 5 e quanto amabili, e care di natura loro l'eccellenti morali Virtù,
delle quali parliamo. Ed ecco perchè diletti, ed in confeguenza perchè bello iì
chiami un Cuore, e quanto ila vero che un Cuor sì fatto, forza è
che fiaua potente oggetto della nOftra ammirazione e una dolce Tergente
di Simpatia- Nè reftano dentro i confini dell'Animo le bellezze del Cuore:
penetrano i raggi loro fui volto, e gli fanno acquiftare tal' aria, che ne
ricrefee maravigliofamente la bellezza, s' ci l'abbia, o un vi libi 1 pregio
gli dà, e lo rende piacevole, quand' anche fenza un bell'affetto del
cuore efpreffo nel volto, quefto per fe medefimo tìon piaecffe. Chiamali aria
del vifo quel compieito di modificazioni vilibili, queirafpetto,che nafee dagli
interni sentimenti dell' animo, e che al variar degli affetti fi varia con
loro. Ogni affezione del cuore ha un vii© tutto fuo, una fonomia affatto
propria. Altro è il volto dell' Animo egro, altro quello del Cuor
fcreno, c contento. Si moftra r Ira ncll' Occhio torvo, e rofleggiante, nelle
gonfie labbra, neli' accefo colore, neli' inturgidimento de' mufeoJi, nella
irrequieta, e varia agitazione delle membra. L' invidiofa malignità
impallidire il vifo, illividifcc il labbro, rappiglia le guance, vibra corte
occhiate e fuggiafche, richiama ogni momento alla terra lo fguardo, nè permette
che fi alzi libero, ed aperto in faccia altrui. Porporeggia Tulle guance
IaModeftia al Tuono delle Tue lodi, e il guardo inchina, e un movimento di pena
conduce fui volto, ma di una pena che rifpetta chi la produce co'plaufì, e
cogli cncomj . Un vivo defiderio mirto di compiacenza, attacca gli occhi di chi
Io ha in cuore, lui caro Oggetto, che a fe lo tira, le labbra reIran focchiufe,
ferme le membra, muovonfi lente, ed oblique le pupille, ma fenza deflettere da
chi gì' infpira e compiacenza, e voglia. Compone la Gioja Ja bocca al rifo, ed
il co-lor ravviva, diftende il fopracciglio, e Io innalza, c gli occhi
muove tremuli, c brillanti . Egli è dunque innegabile, che ogni affetto ha il
fuo vifo, ha un' aria tutta Tua, e che i belli affetti han V aria bella,
come i truci, i maligni, i pulìllanimi, i tetri, e perciò i difprezzabili,
ed i viziofi affetti han T aria brutta. Tra tutte le belle arie, quella
che nafee da un' Animo pieno di nobili sentimemi, di ogni vera battezza,
e di ogni orgoglio fchivi, che amabile macffà fuol chiamarti, quella della
lieta serenità di spirito, voto di pungenti cure, e fuor della tempeffa
degli affetti, quella della tenera BENEVOLENZA, qual fi moffra all'
afpetto di chi ci giunge carifsimo, e quella della dolce ammirazione,
fon le più belle, gcneralmente parlando; e tutte V arie belle del volto
fon' appunto, fe ben vi fi rifletta, quel ciò che comunemente dicefi un
certo non fo che, che piace, e alletta. E fc tutti non trovano in un medctimo
volto quel certo non fo che, che più ne piace, addivien ciò, pcrchè non
ogni affetto produttore di qualche beli' aria del vifo, diletta tutti
ugualmente; nè ogni beli' aria può produrre in tutti una ugualmente
grata impresone: poiché il senso del Bello, di cui parlammo già, non è in tutti
gli Uomini fomigliantiflimo. jQuindi piace più ad uno Y aria cupida, c
4§nguente, ad un'altro la vezzofa e vivàce. Ama piuttofto un terzo la ferenat
grande iniieme, quella cioè, che prender fògltono le Anime grandi; ad
un quarto è più caro 1' afpetto della bella modeftia. In mezro però a
tutte quefte differenze, egli è Tempre vero, che per gli affetti belli dei
Cuore y qualche aria bella, e qualche nuovo pregio acquifta il volto, ed
in confeguenza che le bellezze del; Cuore non folo ci piacciono per fc
medelìme, ma affai più grata, e più toccante ci rendanola bellezza
corporea. Ed ceco epilogate tutte le cagioni fiiìcbe, e morali della
perfonal Simpatia. Corpo per la bruttura delle membra, e pel colorito delia
cute dilettevole agli occhi, c refò ancor più toccante da qualcheduna delle
beli' triff Mente bella, tale cioè che unifica in fc ftefla il filosofìco
genio, ed il Poetico, o vogliam dire la fublime, e multiplice ed efatta
cognizione delle cole, colla doviziofa, e luminofa eloquenza; e finalmente Cuor
bello, cioè deU le amabili, e delicate morali Virtù indiffolubile amante,
fon tutte quelle fogge di bellezza, che riunite in una ftclla persona lo
rendono quali un' Oggetto di adorazione, una foave delizia della Vita, un Ben
celeftc in Terra. Che fe pregj sì cari, e sì portenti rincon tri od in due, che
iì conofcano a fondo, una Simpatia irreiiftibilc forza è, che gli aflortifea, e
vicendevolmente gli Aringa. Sarà quefta durevole, e felice per mille, e mille
dolcezze, fe i pregj dell'animo sorpassano con eccetto tutti i pregj corporei :
farà vacillante, c fugace, e fotto una dolce fuperficie, amara ed ortica, fe un
bel corpo che invogli, deforme animo, e da vizj infociali macchiato, nafeonda,
o Mente racchiuda (travolta, o abbacinata. Con tali difetti può bene (lare un'
animalefca paflione, una paiTionc bella non già. Bella, e tenera amicizia vuole
un Cuore adorabile, vuole un efquiiìto buon
senso, se non un'Ingegno, ed uno spirito trascendente il mediocre
livello, e senza bella, e tenera amicizia non vi è bella pafsione. Dunque il
diletto, che la corporea bellezza infpira, foltanto inclini il cuore, ma la
Ragione oltre la feorza trapafsi, penetri fino al centro dell' animo, c tutti
gli afcoli Attributi fuoi curiofa indagatrice, e giudice imparziale
rintracci, cmifuri. Non supponga credula le intcriori bellezze, ma ve le veda
in piena luce. Se le vede, approvi la propenfion dell’affetto, dalla corporea
bellezza prima eccitato, c lafci liberi al cnore gì' innocenti fuoi moti, che
un taf oggetto n' è degno. Ma fc al contrario, riguardando l'Anima, da un
vezzofo corpo velata, quelle bellezze non vi ravvifi, che effee debbono f unica
real forgente delle belle pafsioni, come ne fon la vita, ritenga la savia
ragione le fconiìgliate inclinazioni del cuore verfo quel Corpo, e come
unaSfinge, un' Arpia, una Circe venefica, una feduttricc Sirena, fotto mentite
larve quella fallace fuperficial bellezza rifguardi, e la fugga
torto, e la detcfti. Se Ragione illumini, e feorga a degno Oggetto il
cuore, le Simpatie beata cofa fono, e dono preziofo del Ciclo. Mafc
gli ertemi fentì guidano foli il cuore agli affetti, e loSpirito cede i
dritti fuoi fovrani a chi non ha conlìglio, la Simpatia è cieca, e corre
forfennata colà, donde dovrebbe fuggire; vola in preda agli affanni, e al tardo
pentimento, mentre incauta s' immagina di volare in braccio alla più
invidiabile Felicità. Giovanni Gualberto De Soria. Soria. Keywords:
l’opuscolo, simpatia, simpatia, empatia, simpatia conversazionale, other-love,
self-love, benevolenza, helpfulness, cooperation, basis, dull empiriist, enough
of a rationalist, quasi-contractualist, relevance breakdown on you, one
principle, rationality, cooperation. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soria” –
The Swimming-Pool Library. Soria.
Luigi Speranza -- Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale del Vico
italico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Vico. Bordon, La retorica
di Vico. VICO e le razze mediterranee, Bulletin italien di Bordeaux. Scrocca.
Vico e un suo recente critico: in Rassegna nazionale di Firenze. Keywords:
Vico, razza mediterranea, razza aria. Andrea Sorrentino.
Luigi Speranza -- Grice e Sorrentino: la
ragione conversazionale e la persona come paradigma di senso – la scuola di
Nola -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Flosofo nolese. Filosofo napoletano.
Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola, Napoli, Campania. Tra i massimi
esperti italiani di teologia filosofica, ma oltre alle letture di carattere
teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale. --
è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le varie forme di
sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e pertanto sterili.
Studia a Milano. Si laurea in filosofia a Napoli, dove consegue anche la laurea
in teologia. Insegna a Salerno. Sviluppa tematiche come il dibattito sulla
religione, inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione
del religioso nella società a partire dall’illuminismo. Cerca di inquadrare la
filosofia relativa all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di una
tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della ricerca è
il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che possa
superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non solo in
ambito filosofico. Altre saggi: La
teologia della secolarizzazione: chiesa, mondo e storia; La filosofia della
religione, ermeneutica e filosofia trascendentale; Filosofia ed ESPERIENZA religiosa”;
“Realtà del senso e universo religioso”; “Per un approccio trascendentale al
fenomeno religioso”; “La dottrina della fede”; “Il valore della vita”; “Dialettica”;
“Obbedire al tempo”; “L'attesa”; “La dialettica nella cultura romantica”; “Religione
e religioni”; “Il prisma della rivelazione”; “Una nozione alla prova di
religioni e saperi”; “L'eredità dell'illuminismo e la critica della religione”;
“Diversità e rapporto tra culture”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto
tra le religioni”; “Nichilismo e questione del senso”; “Teologia naturale e
teologia filosofica”; “La libertà in discussione”; “Le ragioni del dialogo.
Grammatica del rapporto fra le religioni, “La persona come paradigma di senso”;
“Dibattito sull'eredità di Mounier”; “La teologia politica in discussione” -- Salerno,
Giornale di filosofia della religione,. Sergio Sorrentino. Sorrentino. Keywords:
la persona come paradigma di senso, H. P. Grice, P. F. Strawson. Luigi
Speranza,”Grice e Sorrentino”.
Luigi Speranza -- Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale e l’implicatura
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Vincenzo Sorrentino.
Luigi Speranza -- Grice e Sosistrato: la ragione conversazionale della
scuola di Locri – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Locri). Filosofo italiano. Locri,
Reggio Calabria, Calabria. A Pythagorean, according to Giamblico. Grice: “What is
important to note here is the reference to Locri, because it’s quite a way from
Crotona, and let’s not forget this is all part of the Crotona diaspora, as we
may call it.
Luigi Speranza -- Grice e Sozione: la ragione
conversazionale e la romanità nel circolo dei Sesti -- Roma antica – Roma -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo.
Tutor of Seneca. In glossary to Roman philosophers, in Roman philosophers. Filosofo pitagorico, appartenente alla scuola
dei Sestii, e accolge anche motivi etici di derivazione del Portico Vive a Roma
all'epoca di OTTAVIANO e di TIBERIO e e tra i maestri di Seneca. Viene da
questi citato, a proposito del vegetarianismo di ispirazione pitagorica, nelle
Lettere a Lucilio. Non credi che le anime siano assegnate successivamente a
corpi diversi, e che quella che chiamiamo morte sia soltanto una migrazione?
Non credi che negli animali domestici o selvaggi o acquatici dimori un'anima
che un tempo è stata di un uomo? Non credi che nulla si distrugge in questo
mondo, ma cambia unicamente sede? Che non solo i corpi celesti compiono giri
determinati, ma anche gli animali seguono dei cicli, e che le anime percorrono
come un circolo? Grandi uomini hanno creduto a queste cose. Perciò, astieniti
da un giudizio e lascia tutto in sospeso. SE queste teorie sono vere,
l'astenersi dalle carni ci mantiene immuni da colpa; SE sono false, ci mantiene
frugali. Che danno deriva dal credere in esse? Ti privo degl’alimenti dei leoni
e degli avvoltoi. Traduzione di Natali in Seneca, Tutte le opere, a cura di
REALE, Bompiani. Ferrero, Storia del Pitagorismo nel mondo romano dalle origini
alla fine della Repubblica, Torino-Cuneo; Centrone, Introduzione ai Pitagorici,
Roma-Bari. Quinto Sestio filosofo romano Ecfanto di Siracusa filosofo greco
antico. Sozione pagina di disambiguazione di un progetto Wikimedia. Keywords:
il circolo dei Sesti. Sozione.
Luigi Speranza -- Grice e Sozzini: la ragione
conversazionale -- razionalismo, e moi – la scuola di Siena -- filosofia
toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano.
Siena, Toscana. Socinianism. Nacquero in questa casa S. letterati insigni
filosofi sommi della liberta di pensiero strenui propugnatori contro il
soprannaturale vindice della umana ragione fondarono una celebre scuola
precorrendo le dottrine del razionalismo – I liberali senesi ammiratori
reverenti questa memoria posero, Fausto. Fausto Sozzini. Lelio Sozzini. Sozzini.
Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Sozzini, rationalism, and moi”, Luigi Speranza,
“Grice e Sozzini” – The Swimming-Pool Library.
Lu
No comments:
Post a Comment