Luigi Speranza -- Grice e Stefani: la ragione
conversazionale del “senso composto” – semantica filosofica – la scuola di
Pergola – filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pergola). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Pergola, Pesaro
e Urbino, Marche. Grice: “I may well
say that my idea of a propositional complex owes much to Stefani’s obsession
with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus compositum’ –“ “The opposite of
‘com-posito’ is de-posito, though!” -- Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian has
loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“. Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” – Il membro
più noto di una famiglia di insegnanti marchigiani. Avviato alla carriera ecclesiastica
nella città natale, ma presto si trasfere a Venezia. Il suo saggio più
importante è il “De sensu composito et diviso”. Insegna a Rialto. Altri saggi: “Dubia in
consequentias Strodi,” “In regulas insolubilium,” “De scire e dubitare,”
“Compendium logicae,” “Logica,” “Tractatus de sensu simplice, sensu composito, et
sensu diviso”, Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fonte:
Dizionario di filosofia, riferimenti. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Stefani.
Keywords: senso semplice, senso composito, senso deposito, senso diviso,
dialetttica, grammatica filosofica, semantica filosofica, loquenza. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Stefani.”
Luigi Speranza -- Grice e Stefanini: la ragione
conversazionale dell’inter-personalismo contro l’idealismo filosofico – filosofia
fascista – veintennio fascista – la scuola di Treviso -- filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Treviso).
Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “Italians are
obsessed with personalismo; I am with interpersonalismo!” “L’essere è
personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere ri-entra nella
produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di
*comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva
filosofica. Attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano,
iscrivendosi a gioventù cattolica dove assume presto l'incarico di presidente
diocesano. Qui svolge la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli
insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII -- opera pure
nel sindacato cattolico dei lavoratori. Dopo il diploma presso il liceo classico
Canova, dove ha fra gl’altri ROTTA come insegnante di filosofia, si iscrive
alla facoltà di lettere e filosofia a Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente
del positivismo è tra le più seguite. In controtendenza, decide di scrivere la
propria tesi sull’inter-personalismo, avendo ALIOTTA come relatore, con cui si
laurea in filosofia . Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche
il circolo di ZANELLA e inizia a insegnare. Mentre completa gli studi
universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti
giovani, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della
guerra, viene comunque chiamato all’armi. Terminato il conflitto, uscendone con
il grado di capitano e una croce al merito di guerra, studia l’estetica di GRAVINA.
Eletto consigliere del comune di Treviso ma, la violenza dello squadrismo
fascista investe anche il trevigiano. Si oppone con fermezza a tale ideologia,
dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua
occupazione principale e che conduce sempre secondo una pedagogia ispirata ai
principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agl’interessi
degli studenti. Si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi
didattici di storia e filosofia. Conseguita la libera docenza, ottiene, per
incarico, l'insegnamento a Padova. Oltre ad iscriversi al partito nazionale fascista,
affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino a quando,
vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia a Messina che tiene
fino a quando si trasferisce a Padova. Al contempo, tiene per incarico
l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia a Venezia, nonché
sarà preside della facoltà di lettere e filosofia dell'ateneo patavino. Nel dopoguerra, riabilitato alla propria
cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo
studio e la ricerca, ma partecipando anche alla ri-organizzazione della
filosofia italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni
all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che divenne poi il centro
di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da GIANON. Socio
corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio
effettivo dell’accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il
premio della r. accademia d'Italia per le discipline filosofiche, e il premio
Marzotto per la filosofia, nonché è membro dei consigli direttivi della società
filosofica italiana e del centro di studi filosofici di Gallarate. Fonda a
Padova la “Rivista di estetica”, della quale dirigere solo il primo fascicolo e
a cui gli subentrerà PAREYSON. Gli saranno intitolate delle scuole medie
statali di Treviso e Padova, nonché l'ex istituto magistrale di Mestre. Uno dei
maggiori rappresentati dello spiritualismo, ri-esamina storicamente e
criticamente diverse correnti della filosofia, fra cui lo storicismo, la
filosofia dell'azione, l’idealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo
il corso della storia della filosofia, da FIDANZA ed AQUINO a GIOBERTI, ROSMINI
ed altri, sulla scia della sua prima formazione incentrata su uno stretto
connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica. Interessato pure all'estetica, su cui scrive
molti saggi, il contributo più importante è frutto della sua costante
riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto
soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé,
prospettiva questa che permette di concepire il singolo individuo come membro
di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, è
concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in
relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi
di base, sono affrontate nella “Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The
concept of a person” -- e “Inter-personalismo”. Strettamente connesse a queste
tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate
avanti pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni
formativi, in continuo ripensamento e progressiva ri-visitazione. Per quanto concerne poi la sua vasta
produzione, ricordiamo solo che dà alle stampe le seguenti, notevoli saggi:
“L'esistenzialismo” “Spiritualismo”, “Il dramma filosofico”; “Metafisica della
persona”; “Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico”; “Inter-personalismo”;
“Estetica”; “Trattato di estetica. Viene pubblicata la raccolta di scritti
intitolata “Inter-Personalismo”. Dizionario Biografico degli Italiani. L.
Corrieri, “Un pensiero attuale” (Prometheus, Milano). Citando sue testuali
parole. L’opera di Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui
superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le
più inconciliabili anti-tesi affinché queste rendano vivo e tragico il
contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò
ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più
che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive l’esitazioni e
l’incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che
alfine si appaga e riposa nel divino. Per ciò che al di là del filosofo si
riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il
programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere
efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea
l'influsso salutare che essa si era proposta. “L'azione” (Padova). Il quale, a
sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e
giobertiane; cfr. Piaia, cit. Altri saggi: “Il problema della conoscenza in
Cartesio e GIOBERTI” (Torino, Sei); “Il problema religioso in Platone e FIDANZA:
sommario storico e critica di testi” (Torino, Sei); “Idealismo cristiano” (Padova,
Zannoni); Platone (Padova, Milani); “Il problema estetico nell’Accademia” (Torino,
Sei); “Imaginismo come problema filosofico” (Padova, Milani); “Problemi attuali
d'arte” (Padova, Milani); “La Chiesa Cattolica, (Milano-Messina, Principato);
“GIOBERTI” (Vita e pensiero, Milano, Bocca); “Metafisica dell'arte” (Padova,
Liviana); “La mia prospettiva filosofica” (Treviso, Canova); Esistenzialismo
ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva” (Padova, Milani);
Aubier, Estetica (Roma, Studium); Trattato di Estetica”; “L'arte nella sua
autonomia e nel suo processo” (Brescia, Morcelliana); Personalismo educativo (Roma,
Bocca). Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di S., a cura
dell'Associazione filosofica trevigiana (Genova); Caimi, Educazione e persona”
(Scuola, Brescia); Cappello, Dalle opere e dal carteggio del suo archivio,
Europrint, Treviso, Per una antropologia in S.: metafisica, personalismo,
umanesimo, Cappello, ER. Pagotto, Padova, Lasala, Una ragione vivente.
L'immagine e l'ulteriore, in Frammenti
di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis, Villasanta, Boni,
Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione (Mimesis, Milano); Rigobello,
Scritti in onore (Liviana, Padova). Rivista Rosminiana, treccani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Stefanini. Stefanini. Keywords:
inter-personalismo, io e l’altro, l’altro da me, altro da se, alterita,
other-love, self-love. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefanini” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Stefanoni: implicatura e
ragione: there St. John mingles with his friendly bowl, the feast of reason, an
the life of soul -- filosofia italiana – P. G. R. I. C. E. – philosophical grounds
of rationality: intentions, categories, ends -- By Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Mantova,
Lombardia. Grice: “I love Stefanoni. I regard him as the frist Italian philosophical
lexicographer! Marsoli quotes Ranzoli in passing. And Ranzoli disparages
Stefanoni. But I prefer Stefanoni to Ranzoli. Ranzoli tends to lean towards the
pompous, whereas only in Stefanoni you would find things like: ‘this word
should be extracted from all dictionaries!” S., Luigi – Nasce da
Alessandro e da Maria Colombo. È rapito fin da giovanissimo dalla fede
mazziniana e ancora adolescente parta volontario al seguito di GARIBALDI
(vedasi) nella campagna. Subito dopo l’unificazione comincia a collaborare con
il periodico repubblicano L’Unità italiana, ma ben presto i rapporti con MAZZINI
(vedasi) si complicano a causa dell’attrazione di S. per le correnti
razionaliste e anti-religiose che in quegli anni cominciano a lambire le file dell’area
democratica. Al pensiero del filosofo razionalista FRANCHI (vedasi) fa infatti
riferimento il primo saggio importante di S., intitolata La scienza della
ragione e pubblicata con un certo clamore a Milano. L’autore vi fa aperta
professione di a-teismo, delineando i contorni di una pur vaga e semplicistica
filosofia materialistica. Se però S. riconosce in FRANCHI (vedasi) il
proprio maestro in filosofia, in politica il punto di riferimento rimane
MAZZINI (vedasi), come risulta evidente dal saggio Mazzini. Note storiche
(Milano). Un segno di continuità nel solco mazziniano è anche Le due
repubbliche e il due dicembre (Milano), nonché l’attenzione verso la questione
polacca, testimoniata dall’opuscolo su Nullo, pubblicato a pochi mesi di
distanza dall’uccisione del patriota democratico per mano dei russi (Nullo
martire in Polonia. Notizie storiche, Milano). Il dissidio con Mazzini si
aggrava quando S. si impegna in prima persona nella fondazione a Milano di una
Società di liberi pensatori. L’iniziativa, tenacemente avversata dal maestro,
provoca la rottura fra i due. Vide la luce in quest’ambito la rivista
settimanale Il libero pensiero. Giornale dei razionalisti, di cui S. è
l’animoso direttore. La rivista è dedicata alla demolizione dei dogmi e
dei culti cattolici, nonché più in generale alla critica delle superstizioni e
dell’intolleranza religiosa, cui si contrapponeno l’esaltazione del pensiero
scientifico, la tradizione razionalista, la nuova dottrina materialista. Il
frequente ricorso alla derisione e alla contumelia insieme alla forma caustica,
passionata, rabbiosa (Uda, Magnetismo, in Il libero pensiero) della polemica,
che talvolta colpirono anche gl’amici e procurarono alla rivista diversi
sequestri per offese alla religione dello stato, le assicurarono d’altro canto
una certa capacità di penetrazione tra il ceto popolare urbano. Alla ri-educazione
in senso anti-clericale e anti-religioso delle masse mira anche l’almanacco
popolare del libero pensiero, che ai temi della rivista aggiunge un calendario
laico, composto dai nomi di personaggi cari alla tradizione razionalista,
democratica e patriottica. Nel frattempo, la vena poligrafa di S. si
dimostrava inesauribile. Sono di quegli anni la Storia critica della
superstizione (Milano) e il DIZIONARIO FILOSOFICO (Milano), di cui Grice ha detto: “I don’t give
a hoot what the dictionary says, unless it’s Stefanoni’s!” – in provocative
response to fellow Oxford philosopher J. L. Austin ‘that I should go through
the dictionary!’ -- nonché alcuni
romanzi di ispirazione anti-clericale (I rossi ed i neri di Roma, Milano),
L’Inferno (Milano), Il Purgatorio (Milano), Il Paradiso (Milano), per un totale
di sedici volumi. -ALT Ben più importante è l’attività di traduzione. Nel
giro di una manciata di anni S. traduce una quantità impressionante di pagine,
a cominciare da quelle del tedesco Büchner, un divulgatore scientifico d’ampio
successo che sostene una concezione integralmente materialistica e a-tea della
realtà. Forza e materia (Milano), Kraft und Stoff, ha un forte impatto sul
piano culturale e su quello politico. Per i ribelli stanchi del misticismo
mazziniano nonché di un’educazione bigotta e repressiva, Büchner – di cui S.
traduce anche Scienza e natura (Milano) e L’uomo considerato secondo i
risultati della scienza. Donde veniamo? (Milano) – è una rivelazione, una
liberazione e una chiamata a raccolta, che concorre peraltro allo slittamento
della ribellione politica sul terreno dell’inter-nazionalismo
anarchico-socialista. Nello stesso breve giro di anni S. traduce anche la FISIOLOLGIA
DELLE PASSIONI (Milano) dell’antropologo materialista Letourneau, le lezioni
sull’essenza della religione (Milano) di Feuerbach, diverse opere dello
scrittore razionalista francese Morin e, nella prospettiva del recupero del
filone materialista dell’illuminismo, L’uomo macchina (Milano) di Mettrie. S.
si trova a Firenze, dove per sua iniziativa si è trasferita la sede del
giornale e si è costituita una società del libero pensiero, con cui si funde la
società della onoranza funebre, vicina agl’ambienti massonici e volta a
promuovere il funerale laico e la cremazione. Ciononostante, verso la
massoneria S. ha un atteggiamento critico, contestandone il carattere segreto e
il legame di obbedienza imposto ai suoi membri. Entra in contatto con Cafiero,
allora emissario di Marx in Italia, e indurisce i toni della polemica con
Mazzini per la sua condanna della comune. Il libero pensiero prende a seguire
da vicino la vita dell’inter-nazionale, pubblicandone regolarmente gli atti. S.è
in prima fila nella costituzione della sezione inter-nazionalista di Firenze e in
quella del FASCIO OPERAIO cittadino, sorto con l’obiettivo di co-ordinare le
diverse società operaie già esistenti e di indirizzarle in senso inter-nazionalista,
sfidando l’egemonia mazziniana. La convergenza tra i liberi pensatori –
ai quali, in una lettera a Ceretti, Bakunin riconosce il merito di essere stati
i primi a levare lo stendardo della rivolta contro l’autorità teologica di
Mazzini (Il libero pensiero) – e gl’internazionalisti nasconde però una
divergenza di fondo, destinata ad affiorare presto. La polemica più lunga e
astiosa, con risvolti personali anche pesanti, è quella che S. ingaggia verso
il duo Marx - Engels (da parte sua, in Les prétendues scissions dans
l’Internationale Marx definisce il circolo dei liberi pensatori un convento di
monaci e di suore atee, Genève); ma anche rispetto ai bakuninisti S. manifesta
un atteggiamento critico, respingendone la prospettiva insurrezionalista.
Negli stessi mesi egli porta avanti, in sintonia con Garibaldi, il tentativo di
unificare la frastagliata area democratica, razionalista, socialista. Entra a
far parte di un comitato provvisorio che, in vista della convocazione di un
congresso unitario, rivolge un appello a tutti gl’onesti democratici uniti in
fratellevoli consorzi aventi per scopi precipui il miglioramento delle classi
diseredate ed IL TRIONFO DELLA RAGIONE – cf. Luigi Speranza, “H. P. Grice, and
the feast of conversational reason – the feast of reason – and bowl and the
soul -- sulla rivelazione» (Il libero
pensiero). All’appello è unita una proposta di Garibaldi pell’aggregazione di
una sola – quale centro direttivo – di tutte le società esistenti, che tendono
al miglioramento morale e materiale della famiglia italiana. Segue alla proposta
uno schema di statuto di quella supposta società, chiamata Ragione – cf. P. G.
R. I. C. E. – philosophical grounds of reason: intentions, categories, ends. Lo
statuto porta in calce la firma di Garibaldi, ma in realtà era opera di S.e Castellazzo.
Pochi giorni dopo adereno già cinquantasette associazioni democratiche,
repubblicane, socialiste e razionaliste, ma a causa dell’opposizione dei
mazziniani e dei gruppi inter-nazionalisti napoletani e lombardi, l’iniziativa
si risolge in un nulla di fatto. Progressivamente defilato dall’attività
politica, S. si dedica alla divulgazione storica, confermando in pieno il
carattere fluviale della sua produzione. È la stagione delle Storie
d’Italia illustrate e narrate al popolo nel segno dell’anti-moderatismo e
dell’anti-clericalismo. Nella storia, pubblicata da Perino di Roma, la
narrazione, improntata a una chiave laica e democratica, comincia dai re di
Roma e arriva fino alla contemporaneità. Intanto, S. è stato assunto come
impiegato presso il ministero delle finanze, dove divenne intendente; ma è
forzatamente collocato a riposo, nel corso di un lungo contenzioso con la
pubblica amministrazione generato da un trasferimento e portato avanti per anni
a suon di memorie, petizioni e ricorsi. L’intera vicenda è minuziosamente
ricostruita nel pamphlet intitolato Tristi effetti del governo parlamentare
(Roma), dove il suo caso personale assurge a prova del carattere patogeno dei
governi parlamentari e in cui, in linea con la vague anti-parlamentarista, si
invita il re a prendere in mano il controllo dell’esecutivo. La tendenza a
portare avanti controversie senza fine, intrecciando alle ragioni pubbliche del
contrasto aspetti personali e atteggiamenti provocatori si è acuita con il
passare degli anni, ed emerge con forza nell’accanitissima battaglia ingaggiata
contro Marconi e il telegrafo. S. indirizza al Senato una petizione contro il
finanziamento di una stazione radio-telegrafica. Parallelamente invia un
diluvio di lettere a tutti coloro che a vario titolo sono co-involti nell’iter
di approvazione parlamentare, compreso il presidente della commissione
incaricata di relazionare sulla questione, e pubblica memorie e pamphlet in
cui, richiamandosi alla propria annosa polemica contro il magnetismo, il sistema
Marconi vienne definito una pubblica e vergognosa mistificazione che non dimostra
altro se non la leggerezza della nazione italiana, così facile ad essere fatta
zimbello dai furbi (Contro la radiotelegrafia Marconi. Memoria, Roma). È questa
la sua ultima battaglia, compendiata in un altro testo: Marconi-grafia e
marconi-mania (Roma). Muore a Roma ed è inumato al cimitero del Verano.
Fonti e bibl: Milano, Archivio storico comunale, Stato civile, Ruolo generale
di popolazione; Roma, Cimiteri Capitolini, Cimitero monumentale del Verano,
Anagrafe mortuaria. Sull’attività di S. come direttore del Libero pensiero si
trovano diverse notizie nel gruppo di lettere conservate a Milano presso la
Fondazione Feltrinelli, Fondo Macchi. Un gruppo di lettere indirizzate a corrispondenti diversi è
conservato nell’archivio del museo centrale del risorgimento di Roma. Per un profilo
biografico: Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei,
Firenze (ma la voce è composta molti
anni prima della morte di S.). Più estesa la voce di Civolani in Il movimento
operaio italiano. Dizionario biografico, a cur. Andreucci - T. Detti, IV, Roma.
Molto ricchi di informazioni sono: Zangheri, Storia del socialismo italiano, Dalla
Rivoluzione francese a Costa, Torino, ad ind.; Verucci, L’Italia laica prima e
dopo l’Unità, Roma-Bari. Sull’attività politica: E. Conti, Le origini del
socialismo a Firenze, Roma. Sulla polemica con Marx ed Engels: Marx - Engels,
Scritti italiani, cur. Bosio, Roma. Per i rapporti con Cafiero: Masini,
Cafiero, Milano. DIZIONARIO FILOSOFICO --
CONTENENTE L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI
SISTEMI FILOSOFICI, LA BIOGRAFIA DEI
FILOSOFI, LA CRITICA DEI DOMMI E DELL’ERESIE, LA DEFINIZIONE DEI VOCABOLI, ECC.
ECC. MILANO BATTEZZATI Via S. Giovanni alla Conca. CONTENENTE L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI
FILOSOFICI, LA BIOGRAFIA DEI FILOSOFI,
LA CRITICA DEI DOMMI E DELL’ERESIE, LA
DEFINIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI ATTINENTI ALLA FILOSOFIA ECC.
ECC. MILANO BATTEZZATI Via S. Giovanni
alla Conca. Parma Tipografia della Società fra
gl’Operai-tipografi. Uomo che adopra voci alle quali non dachiaro senso e determinato, inganna se
stesso e gl’altri. LOCKE. Coloro che si occupano della filosofia sanno
quanto importi l' avere ad ogni momento sottomano le definizioni dei
vocaboli, l’esposizione storica, e le controversie dottrinali, senz' uopo di
doversi sobbarcare in lunghe e penose ricerche di saggi che spesso non si possedono e più spesso ancora
s'ignorano. Onde mi pare fatica vana lo spendere parole per dimostrare ai
filosofi, ed eziandio ai curiosi, di quanta utilità puo essere un DIZIONARIO
*filosofico*. Ma giova che si sa quale indirizzo e quale ordine presiedettero
alla compilazione di questo, ch'è il primo che si pubblica in Italia, e che
perciò appunto vanta maggiori titoli alla tolleranza dei filosofi. Gl’articoli
onde si com pone questo dizionario possono dividersi in quattro classi attinenti: alla DEFINIZIONE, alla biografia
ed alla storia, ove succintamente si
espongono le vicissitudini di questo o quello SISTEMA filosofico, e
rapidissimamente si accennano i punti più salienti della vita dei filosofi. Alla
RAGIONE, dove si espongono i risultamenti degli studi sui quali oramai, per comun
consenso, tutta quanta la filosofia si fonda. Alla critica ed alla
controversia, che delle teorie e dei sistemi, addita le parti manchevoli e le
contraddizioni colla ragione. Questi quattro caratteri or s'incontrano in
separate voci, or si riuniscono in un
solo, secondo che parve più opportuno per maggior chiarezza l'unirli -- o il
separarli Ma, ad ogni modo, la connessione delle idee è conservata con opportune
citazioni di rimando dall'una all' altra voce,
acciocchè la necessaria separazione dei vocaboli, in nulla pregiudichi l'unità d'indirizzo di tutta
l'opera, la quale s’informa a quello stesso metodo di CRITICA RAZIONALE, ch'io già
ho il conforto di vedere encomiato nella mia storia critica della filosofia.
Quindi il meglio che io posso dire in favor del dizionario mio, si è di
ripetere le parole già rivolte ai filosofi nella prima edizione di quel lavoro.
Que st' è il primo saggio di simil genere che venga in luce in Italia, onde,
avuto riguardo alla pochezza dei mezzi e
alle difficoltà che sempre s'incontrano nei nuovi tentativi della ragione,
i filosofi mi sapranno grado, quan anche l'opera mia non è riuscita cosi difusa
e cosi completa, come, pel bene della
verità, è a desiderarsi che è. Ma oltre
la novità del saggio, ben altri titoli mi danno diritto a sperare nella
indulgenza dei filosofi. Nella Gallia, Voltaire mi precede col suo dizionario filosofico.
Ma gl’italiani chi lo hanno letto sanno in quante parti è manchevole ed anche erroneo, equantopoco risponde ai
bisogni della nostra filosofia italiana. Oltre di che una buona metàdi quel dizionario
si occupa d’inezie o d'ARGOMENTI affatto STRANIERI ALLA FILOSOFIA, come sono,
ad esempio, le voce alfabeto, agricoltura,
Alessandro, aneddoti, drammatica, grano, governo, imposta, e tanti altri, basta
dire ch' esso trascura un grandissimo numero di vocaboli necessariissimi a
conoscersi e a definirsi, e dei filosofi
appena pochissimi accenna, per capire che l'autore è prolisso in quelle cose
nelle quali dove esser parco, ed è invece soverchiamente parco dov’è necessità il diffondersi. Questi ed
altri difetti, che or non giova ripetere, io cerco d’evitare; onde non paia
immodestia la mia, se qui mi piace affermare la intera autonomia di questo lavoro,
il quale, d'altronde, ha potuto attingere la sua forza nei moderni progressi della ragione e nel
vigoroso indirizzo della filosofia razionale.
Ad ogni modo, se io non sono riuscito ad appagare in teramente il
desiderio dei filosofi, non credo che la toleranza puo, senza ingiustizia,
venirmi meno. E per vero, se a Voltaire, ricco, pieno di fama e di sapere,
protetto dalla corte e appoggiato dal concorso volontario dei più illustri
pubblicisti non è riescito di far opera
perfetta, e nondimeno il mondo degl’enciclopedisti in mezzo al quale getto quel suo lavoro,
giudicollo assai benignamente, mi pare
che, fatte le dovute proporzioni, una eguale indulgenza non puo rifiutarsi a
chi nella sola sua attività e nelle sue sincere convinzioni attinge
l'impulso ad operare, e non ha poi su
Voltaire altro vantaggio, che quello d’essere venuto un secolo dopo. Federico
di Prussia in una sua lettera fa risalire la data dei prime voci del dizionario
filosofico di Voltaire. Ma COLINI (vedasi), che puo esser meglio informato,
così ne fa la genesi. Il progetto del dizionario filosofico dev’essere riferito al disegno di quest'
opera, ideato a Postdam, ove in ogni
sera, mentre Voltaire sen' giace a letto, io gli leggo, secondo l'uso, qualche
frammento d’ARIOSTO (vedasi) o BOCCACCIO (vedasi). Egli si corica assai preoccupato, e m' apprende che alla cena di Federico
molto si è parlato dell' idea d’un dizionario,
alla BRUNO, filosofico, la quale a poco a poco concretata, si è convertita in
un progetto serio. Ei mi dice che i filosofi del re, e il re stesso doveno lavorarvi intorno
di concerto, e che si distribusceno le voci, tali che Adamo, Abramo ecc.
Credetti in sulle prime che questo progetto non è altro che un ingegnoso
scherzo inventato per rallegrare la cena. Ma Voltaire, vivace ed ardente, s’accinse
al lavoro indomani. ABELARDO A
9 Abecedarj. Dopochè Lutero ebbe
| nella quale si distinse, meno, a dir vero,
assodato il principio, che la ragione in- per la novità de'suoi
precetti, che per la dividuale è sola
giudice della interpreta- | foga giovanile e per la insinuante elo zione delle
Sante Scritture, Stork, di scepolo di lui, a rinforzare la massima del maestro, insegnò che lo studio non giovava a nulla nella interpretazione,
ne eraanziunimpedimento,edistoglieval'uo
modallaparoladi Dio.Laondediceva, che
migliorpartito quello era di non imparare aleggere, perocchè coloro ch'erano dotti correvano pericolo di dannarsi. Parrà strano che da un principio diretto a sol
levare la dignità individuale, venisse de
quenza. A Parigi fu preso d'amore per
la nipotedel canonico Fulberto per nome
Eloisa, la sedusse e la mend in moglie
con vincolo segreto; ma gli amori suoi
resi popolari da una lettera ch'egli stesso scrisse, non furono nè onorevoli per lui nè ebbero buonfine. Poco di poi Eloisa prende il velo, ed Abelardo, fattosi monaco,
incomincia a scrivere su cose teologiche. Or si è appunto nella sua In
troduzione alla Teologia e nella Teologia cristiana ch'egli, cercando di
provare la verità della religione e dei
misteri per via di similitudini che li
rendessero chiari epalesi all'
intelletto, ha, da certi filosofi, il
nome di RAZIONALISTA – cf. Grice, “I am enough of a rationalist to found the conversational
maxims on, er, conversational reason” -- Il quale se sia meritato io non
saprei dire, ma parmi, ad ogni modo, che
il dotta una conseguenza cotanto
abbietta econtraria allanostra intelligenza,
e nol si crederebbe davvero, se la setta
degli abecedari, che fu un ramo degli
Ana battisti, non fosse stata abbastanza dif fusa nella Germania, e non avesse
anno verato nel suo seno Carlostadio, uno dei
capi della Riforma. Ma tant'è; qualun- | vanto di appartenere a cotesto
raziona que sia il nome ch'ella abbia e dovunque s'indirizzi, la superstizione riescirà sem
pre a conseguenze funeste per l' umana
dignità. Abelardo. (Pietro )Le
solite esa gerazioni degli spiriti deboli, hanno at tribuito a questo teologo
una poderosa missione contro alla
Chiesa; nè manca rono filosofi, come Cousin, Rémusat e altri molti, i quali lo onorassero col ti
tolo di vero campione del libero pensiero
nel medio evo. Cotesto èerror massiccio,
e ci vuol poco a dimostrarlo. Abelardo
nacque nel 1079 in Palais nella Bretta gnada nobile e ragguardevole
famiglia. Studið dialettica a Parigi ed
a Laon e fu egli stesso maestro di
questa scienza lismo teologico non gli
rimanga incon trastato, avvegnachè, senza tanto dilun garci, Roscelino, maestro
suo e capo della scuola nominalistica
(vedi NOMINA LISMO), non solo aveva prima di lui sot toposto al ragionamento il
mistero della Trinità, ma ancora l'aveva
scosso dalle sue basi. Vero è che Abelardo fu accusato e condannato nel Concilio di Soissons, ma nulla ci autorizza a credere che tal condanna sia stata pronunciata contro ai suoi principii razionali; chè anzi nelle quattordici proposizioni condannate, non vi troviamo altro che errori teolo gici
intorno alla natura di Dio, della
Trinità e del peccato originale, i quali, dal più almeno, furono prima di lui pro
10 ADAMITI fessati da Pelagio, Nestorio, e Sabellio
ed altri celebri eresiarchi (Vedi questi
nomi). Benè vero che unsecondo concilio
adu nato a Sens sipronunciò controleopinioni
d' Abelardo, il quale, per altro, protestò di non aver mai professati gli errori che gli si imputavano, ed egli stesso gettò sul fuoco il libro nel quale pre
tendevasi che li avesse esposti. Ma è lecito
credere che quella persecuzione, meno
procedesse dall'odio per l'eresia, che per occulti rancori e rivalità personali fra Abelardo, l'abate di Thierry in prima, e S. Bernardo poi, il quale non aveva mancato di additarlo allacorte di Roma siccome « un Dragone infernale e il pre
cursore dell' Anticristo ». E la corte di
Romanondurò fatica a credere alle poco
cristiane accuse del turbolento santo, in quantochè costui non aveva
mancato di insinuare che Abelardo aveva
stretta una occulta lega con Arnaldo da
Brescia per rovesciare il primato di
Gesù Cristo (V. Bernardo Epist. 330,
331, 336, 337). Ma giova credere, cosa
d' altronde confessata dagli stessi
cattolici, che siffatte accuse non
avevano ombra di fondamento, fuor chè in una inimistà personale,
perciocchè ritiratosi Abelardo nel
monastero di Clu gni, fu rappacificato con S. Bernardo e vi morì, come dice l'abate Pluquet, con edificazione di tutti i religiosi. ACCADEMICA.
Dicesi scuola accademica la filosofia che è insegnata nella Grecia durante il
periodo di quattro secoli circa, che corrono da Platone fino ad Antioco. Tre
sono le Accademie generalmente ammesse. Quella di Platone è la prima; la media di Archelao, e la nuova di Carneade. Una quarta accademia è riconosciuta
d’altri; e altri ancora ne ammettono una
quinta d’Antioco (Sesto Empirico.
Instituzioni Pirroniane). S'intende da se, che la prima scuola accademica
rappresentata da Platone e da Socrate – cf.Grice, “ATHENIAN DIALECTIC, AND
OXONIAN DIALECTIC” -- è la naturale alleata
dello spiritualismo; ed è perciò chegli spiritualisti eccletici, per la
bocca di Saisset, riconoscono che la prima soltanto è giunta all'apogeo della grandezza,
mentre colle altre s' incamminò verso la
decadenza. Il fatto si è che con Arcesilao lo scetticismo s'introdusse
nell'Accademia e Carneade lo rinforza
provando che fra una percezione vera e
una falsa non vi limite tracciabile,
essendo lo spazio intermedio occupato da
altre percezioni la cui differenza è
infinitamente piccola: onde tra la
scuola Accademica di Car neade e il Pirronismo, non vi è che una differenza di quantità o, per meglio di re,
d' estensione. Adamiti. Il Beausobre ha
tacciato di inesattenza S. Epifane, il
quale rife risce (Hæres. 51) che gli eretici di una antica setta solevano assistere alle ra
dunanze del culto affatto nudi, d'onde
avevano preso il nome di Adamiti, per ciocchè fu appunto in tal costume
che Adamo sen' venne al cospetto della
di vinità. Quantunque la cosa sembri
strana, non è tuttavia inverosimile, e
se riflet tiamo che tra i Greci ed iRomani l'uso di scoprirsi la testa e di spogliarsi in parte in segno di rispetto era generale, non ci parrà impossibile che l'abbiano adottato anche i cristiani. Anzi, contra
riamente all' uso ebraico ancor vigente
nelle sinagoghe, dice S. Paolo che i
Greci convertiti oravano e profetizza vano a testa scoperta, e Plutarco
rife risce che Augusto, scongiurando il Se nato che non volesse imporgli la
ditta tura, si abbassò fino alla nudità. Fatta
la dovuta parte ai costumi dei tempi,
non vi è dunque nulla d'invērosimile
che alcuni cristiani per un sentimento
di esagerazione facilmente spiegabile in
uomini entusiasti, abbiano preteso che
meglio conveniva onorar Dio nel co stume stesso ch'egli aveva dato al
pri mo uomo. Quelche intendere nonsipuò,
si è che cotali settari entrando, maschi
e femmine, nel tempio ignudi si con servassero casti a loro modo. Anche in tempi più recenti lanudità comeprincipiodi cultononmancodi setta tori.
Gli Adamiti ricomparvero nel secolo AGNOETI
XIII guidati da Tanchelino,il quale con
tre mila armati piantò la sua sede in
Anversa; e nel secolo XIV, sottoil nome
di Turlupini e di poveri fratelli, nel
Delfinato e nella Savoia an-lavano affatto 11
nudi ed inpieno giorno commettevano le
azioni più brutal i. Furono distrutti da | chè non sono rivelati
mediante la pro que attribuiti a Mosè;
profetici, e son quelli di Giosuè e
seguenti; ed agiografi che sono i Salmi,
Proverbi, Giobbe, Daniele, Esdra,
Paralipomeni, Cantico, Ruth ecc. Agli
agiografi attribuiscono un valore
inferiore agli altri, inquanto CarloV, che molti ne fece abbruciare. Un secolo dopo nella Germania, un fanatico per nome Picard facendosi credere no
velloAdamo inviatodaDioper ristabilire
laviolata legge di natura, insegnò la
nudità del corpo e la comunanza delle
donne essere regola naturale; e ai suoi
seguaci ingiunse di passeggiare affatto
nudi però che, diceva, chiunque copre la
sua nudità, senza ribellione dei sensi
non può più vedere una persona di
sesso diverso dal suo. Non sono
molti anni che alcuni fa natici tentarono di ristabilire la setta degli Adamiti in America. Radunavansi costoro in un granaio di Brooklyn a Nuova Jork, ch'essi dicevano il Para diso
Terrestre, e colà, uomini e donne, nel
costume Adamitico facevano le loro
divozioni. Ma nonostante la libertà reli giosa concessa negli Stati
Uniti, la po lizia non ha creduto di poter, tolle rare questa novella
rivelazione; laonde gli Adamiti furono
dispersi e minac ciati di un processo.
Adiaforisti o indifferenti. Nome
dato a coloro che nel secolo XVI segui rono Melantone, al quale il
carattere pacifico impediva di aderire
all' estrema violenza e al fanatismo con
cui Lutero perseguitava gli
avversari. Afortiori. Tanto meglio, amag
gior ragione. Impiegasi nelle materie di
pura controversia, quando si conclude
dal meglio provato al men provato,
dal più al meno, come per esempio:
Agiografi. Dal greco: scrittori sa cri. Gli ebrei distinguono i libri
della Bibbia in legislativi, é sono i
primi cin fezia. Comunemente poidiconsi agiografi tutti gli autori che scrissero la vita dei santi.
Agnoeti. Il capitolo XIII, verso 32
dell' Evangelo di S. Matteo, dice che
quanto al giorno e all' ora del giudizio
universale nessuno la sa, non pur gli
Angeli che sonnel cielo,nè il Figliuolo;
ma solo il Padre. Fondandosi sopra que sto passo, verso la metà del
quarto se colo i discepoli d'un tal Teofronio so stennero, e, per verità, non
senza fon damento, che Iddio non aveva una scien za universale, ma ch' egli
pure andava manmano estendendo le sue
cognizioni. Il perchè, dicevano essi
disputando, se il Figliuolo è
consustanziale al Padre ed è Dio egli
stesso, come potrebbe ignorare il giorno
del giudizio, se questo giorno è noto al
Padre Dunque, o Gesù Cristo non è Dio, e
inquesta opinione vennero gli arriani (
Vedi ARRIO ) oppure vi hanno cose che la
sua divinità ignora; d'onde costoro
ebberoilnomedi Agnoeti, sinonimo
d'ignoranti, siccome mettevano
l'ignoranza in Dio. Alcuni padri tenta rono di rispondere a questa
difficoltà, ma non ebbero che ragioni
fiacche o scem pie. Chi, come S. Atanasio (Sermone contro ' Arrianesimo) addusse che Gesù aveva ignorato il giorno del giudizio in quanto era uomo, e chi aggiunse (Ori gene
in Mati) che con quelle parole il
Figliuol di Dio questo solo aveva voluto
dire, che non aveva in quella cosa una
scienza sperimentale; il che, per altro,
poteva dirsi eziandio del Padre. Ma pare
che nenimeno i credenti fossero molto
convinti di queste ragioni, poichè non
mancarono altri che tentarono d' intro durre un nuovo genere di
spiegazione, sopprimendo addrittura il
versetto in questione. Tanto almeno ci
riferisce Fabricio, il quale ha potuto accertare che | disegno di mettersi al
coperto dal fer in parecchi manoscritti antichi dell' E vangelo di S. Matteo
questo passo era scomparso. E fu buona
ventura che tal soppressione non
riuscisse a più com pleti risultati, avvegnachè ben giovache la Chiesa porti seco il pesante fardello de'suoi errori. Albigest. Nomedato ad una setta di eretici che occupavano la Linguadoca nel dodicesimo secolo. Quali fossero le dottrine degli Albigesi non è facile lo stabilire, perocchè ilBasnage, forse per soverchia tendenza a mostrare la conti nuità
della tradizione delle dottrine pro testanti,, li confuse co'valdesi, mentre
il Bossuet e altri cattolici vogliono
assimi larli ai manichei. Certo è che
fra le mol tissime sette che pullulavano in quei se coli, gli Albigesi potevano
avere attin to un po' a tutte lecredenze. Quindi se al manicheismo avevano tolta la creden za che
Lucifero era concorso nella crea zione del mondo, nonpuòdirsi per questo cheessi ammettessero che cotesto spirito decaduto fosse indipendente e coeterno a Dio. Non è certo che'negassero la divi vinità
di Gesù Cristo, e alladottrina della
Riforma s'accostavano in questo, ch'essi
negavano l'efficacia dei Sacramenti. Gli
Albigesi sono celebri nella storia per la feroce repressione cui andarono
soggetti. Contro di essi Innocenzo III
bandi una crociata per la quale concesse
i medesi mi benefizi spírituali che avevano lucrato i crocesegnati diretti alla liberazione,
del santo sepolcro. Guidavano la
crociata l'abate dei cisterciensi,
legato del papa, ch'ebbe il titolo di
Capitan Generale; 1 arcivescovo di
Bordeaux e il vescovo fi-Limoges. L'esercito
de'crocesegnati espugnò dapprima
Beziers, e vi commise vore dei
vincitori, seguendo il primo moto del
loro impeto, comechè non erano da alcuno
comandati, si gettarono su quegli
infelici e li trucidarono tutti senza
che un solo potesse salvarsi ». Ma se i
crociati non erano diretti da autorevoli
persone, ordini autorevoli avevano rice vuti dal Legato del papa, il
quale, in terpellato come distinguere si potessero i cattolici dagli eretici, uscì in
queste memorabili parole: Uccidete
tutti, Iddio riconoscerà i suoi.
Debellata Beziers po sero l'assedio a Carcassona, che s'arrese a patti, quindi si volsero contro
Lavaur, ove ben ottanta gentiluomini
furono ap piccati, e mossero infine contro Tolosa scopo ultimo della crociata e focolare dell' eresia. Inaudite barbarie scrive
il cattolico Hurter, (Storia di
Innocenz. III) segnarono il cammino
dell'oste cattolica: inermi operai,
donnee fanciullitrucidati ; distrutti i
vigneti, atterrati gli alberi, segate le
messi, i casolari e i villaggi dati alle
fiamme fino presso della città, dove
finalmente icrociatiposero il cam po ». Dueanniresistette ilconte di To losa a
quell' orda de'vandali cristiani, ma
infine, debellata la città, ben 15,000 nuove vittime furono immolate al sitibondo mostro del fanatismo. Si chiuse la crociata con la convoca zione
del Concilio di Tolosa nel quale i
vescovi, di concerto coi signori, statui rono severe pene contro gli
eretici, Eraclito, scriveva
Aristotile, crede che l'animadel mondo
sial'eva porazione degli umori esterni che sono
in lui,eche l'animadegli animali pro cedetantodall'evaporazione degli
umo ri esterni che interni dello stesso ge nere>Macrobio però corregge il
sen timento di Eraclito, dicendo ch' egli
credeva che l' anima appartenesse al l'essenza stellare (animam
scintillam stellaris essentiæ ). «
Esiste, dic' egli, moto, d'ogni vita.
Quando un corpo deve essere animato
sulla terra, una molecola rotondadi
questo fluido gra vita per la vialatteaverso la sfera lu nare, e colà arrivata
ella si combina conun'ariapiù
grossolanae diventa atta ad associarsi
colla materia.Allora essa entra nel
corpo che siforma, lo riem pie per intero, lo anima, cresce, soffre, ingrandisce, e con esso lui vien meno. Allorchè in seguito ei perisce ed i suoi elementi grossolani si disciolgono, que
stamolecola incorruttibile se ne separa
eal grande oceano dell'etere si ricon giungerebbe senza ritardo, se la
sua combinazione coll' aria lunare non
la ritenesse ( Macrobio. Sogno di Sci
pione) ». Ennio invece non si accorda
con Macrobio, e vuol che l'anima sia
tratta dal Sole (Varrone Della lingua
Sabina lib. IV). Zenone la riconduceva
agli elementi del fuoco, e gli stoici ag giungevano che il seme umano
non é altro che un estratto delle parti
dell'a nima. » Epicuro, dice Plutarco. crede
che l'anima sia unamiscela di quattro
cose, di un certo che di fuoco, d'aria,
di vento e di una quarta sostanza che
non ha nome. Un'aria sottile la crede vano Anassagora, Anassimene
Diogene ; Anassimandro, piú ragionevole
degli al tri, credeva che l'anima altro non fosse che il sangue; ma Marc' Antonino la faceva derivare dal sangue e dal vento; eDicearco diceva addrittura che anima nonv'era.
Da questi esempi noi dunque ve diamo che quasi tutta l'antichità pa gana
ignorava affatto la spiritualità del l'anima ; ma i nostri moderni credenti saranno molto sorpresi di sapere che eziandio l'antichità cristiana non la co
nosceva meglio. Non ho bisogno di dire
che le Bibbia stessa non ci dauna idea
dell' anima che sia men materiale di
un fluido luminoso, igneo, sottilissimo, quella che avevano i filosofi
pagani. In 30 ANIMA fatti le due volte che l'autore della Genesi discorre dell' anima, ce la mo stra,
nell'una siccome un fiato, nell'al tra siccome identica al sangue. » E il «Signor Iddio formò l' uomo dalla pol «vere
della terra e gli alitò nelle nari Èuna
difficoltà grandissima, dice De la
Lubere » il dare ai Siamesi l'idea di un
puro spirito, e lo attestano i missio nari che vissero lungamente in quei paesi. Per vero, tutti i
paganidell'Oriente credono che dopo la
morte dell' uomo qualche cosa sussista
separatamente e in non è molto antica. E per verità, una astrazione di questa natura non troppo facilmente si forma, perocchè ciò che contrasta colla esperienza e colla realtà, ripugna non meno ai sensi che alla ra gione.
Noi possiamo dunque dire senza tema di
errore, che la spiritualità del l'anima è concetto quasi esclusivamente cristiano, perciocchè non ci voleva meno che una gran tendenza al patire, e una delirante smania di fiacccre la carne e distruggere i vincoli del corpo, per far sorgere nel nostro cervello il pensiero
di un Ente, che è la negazione di tutte
le ANIMA DEL MONDO entità; il che sarà
dimostrato nell' arti colo SPIRITO.
Quale poi sia la sede dell' anima, fu
oggetto di strane e curiose ricerche fra
imetafisici e iteologicidell'antichità, nè occorre dire che essi, come al solito, nè si accordarono nè si intesero intorno a questo punto. Parendo a Platone che un' anima sola fosse poca cosa, tre ne suppose: l'una ragionevole, e la mise
nel cervello; l'altra irascibile, e la
collocò nel petto;
l'ultimaconcupiscibile e laconficcò
31 prevalente. Bacone crede
invece che due principii siano in noi:
un' anima sensi tiva comune a tutto ciò che respira, ed un' anima ragionevole particolare per nel basso ventre. Tanto valeva il creare addrittura un'anima per ogni special fun
zione del corpo umano. Maquelli che si
contentaronodiun'animasola, laposeronel
petto o nel cervello; e fra quelli che la posero nel cervello Descartes la
conficcò nella glandula pineale, per la
ragione che nel cervello è sola e vi è
sospesa in guisa da prestarsi atutti
imovimenti. Ragioni altrettanto
convincenti consiglia rono altri a porre l'animanei ventricoli del cervello, o nel centro ovale, o nel corpo calloso, e altri in altri siti non meno curiosi.
Che gli australiani ignoranti e rozzi
come sono, credessero, come abbiamo
veduto, che l'uomo può avere due ani me, è cosa che non farà maraviglia
a nessuno. Quel che sorprende è, che
una tal supposizione
abbiapotutoentrarenella testa d'uomini
d'ingegno e che ebbero fama d'increduli,
come Bacone e Buffon. Ambi supposero che
fossero in noi due principii, e il
Buffon credè di provarlo citando certe
contrarietà, che talora na scono in noi per la noia, l' indolenza e il disgusto, in cui pare che il nostro
io sia diviso in due persone; laprima
delle quali, che rappresenta la facoltà
ragio nevole, biasima la seconda,ma non è ab bastanza forte per opporsi
efficacemente evincerla. Ed è strano
davvero, dico io, che un naturalista non
siasi avveduto chequesta sorta di
contrarietà, piuttosto che riferirsi a
due principii,non rappre senta altro che quello stato nel quale l'io non sa,nè può determinarsi fra due opposti stimoliesterni, nessun de' quali
è l'uomo. Ma il cancelliere d'
Inghilterra non si avvedeva, che
separando la sensa zione dal pensiero scindeva indue l'unità dell'io senziente, e riteneva che il pen
siero fosse indipendente dalla sensazione;
il che è assurdo, poichè in tal caso non
solo bisognerebbe riconoseere l' esistenza di pensieri o di idee innate, ma si do vrebbe
ancora ammettere che oltre alla sensazione,
nel feto appena concepito esi ste eziandio il pensiero. Perocchè, o l'a nima
pensante esite nel feto senza pen siero, il che è assurdo; oppure il prin cipio
pensante pensa nel feto realmente prima
ancora che si siano formati gli organi
della sensazione. Il che non è meno
assurdo, non potendosi concepire alcuna
idea che possa essere dimostrata
anteriore alla sensazione. (Vedi IDEE IN NATE, PENSIERO, IMMORTALITÀ,
ANIMA ZIONE. Per l'animadelle bestie v. BESTIE). Anima del mondo. Poichè si era dotato l'uomo d un'anima per spie gare
l'attività del corpo, ragion voleva che
al mondo, o, per meglio dire, all'u niverso, si assegnasse un' altra anima per spiegarne i movimenti. Nella filoso fia
greca Platone, il padre di tutti i
misticismi possibili e impossibili, ebbe la gloria d'inventare questa singolare ani ma,
la quale, a parer suo, concorrere doveva
a rendere perfetto il mondo e a spandere
in ogni parte il movimento e la vita. Ei
non pensò nemmeno che se il mondo era
animato, e l'uomo si com pone della materia di che è composto il mondo, ' assegnare un' anima aquesto secondo essere, diventava una duplicità inutile. Ma ciò non doveva sgomentare Platone, il quale aveva giàdotato l'uomo di tre anime. (vedi ANIMA) L'anima del mondo passò naturalmente nella scuola d'Alessandria, erede delle teorie di Pla
tone; ma presso gli stoici viene innal zata fino all'idea di Dio, con questa
sin golarità però, che questa anima-Dio è 32
ANIMAZIONE una forza attiva della
materia e le im prime il movimento e le dà le forme sotto le quali ella ci appare. Del
resto, il concetto dell'anima del mondo
o del I' anima universale, è domme pressochè
generale di tutta la filosofia antica, ma manifestamente si concreta in Zenone, il quale si raffigura il mondo come un grande animale sferico composto di ma teria e
d' intelligenza, e l' intelligenza
concepisce sotto un certo che d' igneo,
che definire non si pud. Imperocchè il
fuoco ha una parte principalíssima in
tutti i sistemi filosofici dell'antichità, e siccome era quanto di più sottile si co
noscesse, così sovente i filosofi ricorre vano alla sua imagine per rappresen
tare le loro inesprimibili astrazioni, come
oggi ricorrono alla parola Spirito per
rappresentare tutto ciò che definire non
si pud. L'animadel mondodiventa ancor
più materiale con Aristotile, il quale la confonde con l'etere che, a parer suo, muove l'universo.A'giorni nostri l'anima del mondo è scomparsa ed è stata so
tendimento, l'altra alla sensibilità, ed era
questa che si chiamava carro sottile del l'anima secondo i pitagorici, e
che i rab bini, al dir di Macrobio, chiamavano
vascello (Macr. Sogno di Scipione). Se guitando la dottrina dei germi
preesi stenti, Ippocrate da buon medico, rese il mistero dell'animazione un po' piùmate riale,
supponendo che i germi delle ani me, fluttuanti nell' aria, per gli organi della respirazione si introducano nel cor po
umano, si svolgano primamente nel sangue
e poi nell'utero. Come si vede, questo
ingegnoso sistemanon aveva che un difetto
solo, quello di rendere super flua l'azione del maschio, poichè se i germi dell' animagià esistononella fem mina,
non si capiscelaragione onde non si
sviluppino da soli. Meno male chePla tone era stato lontanissimo da queste materialissime figuredell' anima; egli l'a
vea anzi elevata alla sublime altezza
dei suoi sogni incomprensibili. » L'esi stenza di ogni generazione,
diceva egli, consiste nell'unità dell'
armonia triango stituita dalla forza, che alcuni concepi- golare (e perchè
nondel quadrilatero ?); scono come
principio indipendente e se parato dalla materia, sistema che è ca gione di
tanti errori e di tante aberra zioni ( vedi FORZA).Ma in conclusione i filosofi moderni che così pensano, non fanno che cambiare nome alle cose, e riprodurre, sotto forme nuove, sistemi an
tichi. Animazione.Dopo avere esposte le varie opinioni dei filosofi intorno al
l'anima umana, ( vedi ANIMA) conviene
oraesaminare lenonmeno singolari idee
che essi hanno concepite per spiegare il
modo con cui essa si forma e penetra
del nostro corpo. Pitagora è il primo
che accenni alla preesistenza dei germi
per tutti gli animali. Quanto all'uomo,
egli diceva che si compone di una so stanza la qual discende
dal,dervello del padre e che si sviluppa
per mezzo di un vapor igneo. Cotal
sostanza forma, se condo lui, il corpodel figlio, e il vapore costituisce l' anima sua. La quale però è doppia, perchè l'una parte serve all'in il
simulacro del padre che genera, e quello
della madre nel quale si genera possono
bencostituire due lati del trian golo; ma per renderlo perfetto bisogna aggiungervi il terzo lato della figurama
tematica, vale a dire il simulacro del fi glio che è generato. » Ecco una
spiega zionela quale,senonsaràintesa,non sarà
però meno ammirata, poichènella meta fisica di solito si ammira appunto
ciò che non s' intende. Anche la casistica cristiana non ha voluto lasciare inesplorato questo ferti
lissimo campo delleumane congetture, e
S. Agostino nelle sue Meditationes de votissimæ si domanda: Quid sum ego
? E risponde: Homo de humore
liquido; fui enim in momento
conceptionis in humano semine conceptus.
Deinde spu ma illa coagulata modicum crescendo
caro facta est. S. Agostino non poteva
risolversi a credere che l'anima, occulta ta nel semepaterno,
s'infondesse nelger me della madre al momento della fecon ANIMAZIONE dazione.
Se così fosse quante anime an drebbero perdute acagionedell'onanismo edella spontanea polluzione ! Ecco per chè
egli crede che l'anima umana, alla
33 mo fatto. Siamo già assai
lontani dalle assurdità teologiche, ma
lontani ancora dalla verità. Harwey ci
fa avanzare diun guisa stessa di quella
del Salvatore, ri sieda nel ventre dellamadre. L'aziondel padre è nulla in quanto allo spirito! L'aníma s'infonde direttamente nel seno materno ! Senza avvedersene Agostino cadeva nella contraddizione d' Ippocrate enon giungeva a spiegare perchè mai le anime non sbucciassero fuori da se sole, dal momentoche s'infondevano nel
l'utero materno senza alcuna azione del
maschio. Ma aveva egli ben altri pro blemi da spiegare ! Trattavasi di
sapere inqual momento l'anima umana
sarebbe restata contaminata dal peccato
origina le; ciąè, se prima o dopo la infusione
nel seno della madre. E risponde, che
l'anima infusa èviziatadalla carne(Quæst
Vet. Qest. XXIII) Per lo teologia Iddio
hadunque questo nobilissimo ufficio, di
creare continuamente delle anime e di at tendere il momento della
fecondazione per infonderle subitamente
nel ventre della femmina. Quante
innumerevoli oc cupazioni per un Dio solo! Nè la opi nione di S. Agostino sulla
continua cre azione rimane senza fondamento. Egli l'appoggia sopra ilvangelo, dove è detto che il padre opera sino ad ora (Giov.) e dove
Paolo dice: Seminatur corpus animale,
surget corpus spirita le. Infine S. Agostino doveva avere an che la
testimonianza di un papa, Ales sandro VII, il quale nella sua infallibi lità,
colla costituzione dell'anno 1661, di chiarava che l'anima di Maria
Vergine nel primo istante della
creazione e infu sione nel corpo, per special grazia epri vilegio di Dio, fu
preservata dalla mac chiaoriginale. Ma
abbandoniamo lacasistica e pas siamo alla filosofia moderna. Ecco De scartes
che genera l'anima col concorso de' due
semi e per l'intermediario del
movimento. Le molecole dei due spermi
fermentano insieme, ed ecco uscirne un
cuore, un naso, braccia e gambe; un uo passo: è ancor poco, maè sempre
meglio che nulla. Carlo I d'Inghilterra
gli aveva abbandonate le bestie
selvaggie dei suoi parchi, e il medico
sì bene ne usò che dopomoltissime
dissezioni anatomiche si accorse, che un
punto animato s' agitava nel liquor
cristallino della matrice. II
punto-anima eradunquetrovato, manon
era giàil punto matematico senza dimen sioni, non una astrazione
metafisica; era unpuntomateriale.
Piùtardi Leuwenhoek esaminando col
microscopio lo sperma umano vi scoprì
gli animalucoli sperma tici: fu una rivelazione. Una goccia di sperma diventava un oceano di anime. C'era tanto dasgomentarnela metafisica e la filosofia teologale. Come ! Un ani
malucolo spermatico, una sorta di rettile
microscopico che naviga nel liquor semi nale sarà quello che s'insinua
nell' uovo della matrice, lo feconda e
si trasforma in uomo? Come! sarem noi
dunque i di scendenti di un animale, poichè non vi ha dubbio che questo animale spermatico rappresenta il principio dell'animazione? L'anima sarà dunque unprincipio mate riale;
un puntomobile che naviganegli organi
genitali del maschio? Bisognava ad ogni
costo distruggere cotesta teoria, enon
mancarono filosofi che vi si ac cingessero con un santo entusiasmo. Un naturalista che non osava negare questi animalucoli spermatici, cereò
distruggerli in altro modo, e scrisse
ch'erano come una sortadiparassiti, che
vivevano nello sperma, come gli ascaridi
vivono sotto la pelle e gli entozoari
negl'intestini, insom mauna sorta di malattiache si era ge nerata un mezzo
secolo indietro. Gli fu mostrato che i
vermi seminali non si trovano nè nei
bimbi, nè negli eunuchi, nè nei vecchi,
nè negli adulti durante il periodo di
certemalattie. Malafede val più della
logica e dell' esperienza, e il
malizioso contradditore nonmancò di dire
che ciò dipendevaperchè inquegli esseri
erano morti. (Bourguet Lettre philos.
3 34 ANIMAZIONE sur la formation des sels et des cristaux).
coli; cosa impossibile a concepirsi. Con Parevache dopolascopertadi Leuwen- tuttociò i partigiani
di Vallisnieri non si hoek ilmistero
dell'animazione dovesse es- diedero per vinti, ed anzi procuraronodi sere spiegato col concorso del doppio
ribattere lobbiezione movendone un'altra
elemento: lo spermatozoide del maschio, dello stesso genere ai
partitanti degli el'ovulo dellafemmina.
Ma per solito spermatozoidi. Una balena che pesa sei le cose più semplici son
quelle che centotrenta mila libbre, dissero essi, Diacciono meno. Un famoso medico ita- nel
ventre della madre saràdunque stata
liano, il dottor Vallisnieri, discerolo di settecento quarantotto
milioni ottocento Malrighi, sulla fine
del secolo XVII s'av- mila miliardi di volte più piccola della visò di imaginare che l'ovario della prima
sua mole attuale. Il numero è prodigioso
femmina contenesse delle uova, le quali davvero, ma ancor lontano da
quello di aloro volta contenessero degli
altri es- trentamila cifre. (Altri calcoli non meno seri organizzati coloro ovari piú
piccoli, curiosi si possono vedere nelle
opere di ecosì di seguito all'inanito.
Con questo Rouybe T. II) Harsoëker si credette
metodoil dottor Vallisni ri faceva risalire vinto, ma ebbe torto. Il
perno della que direttamente a Dio la creazione primitiva stione non sta nella maggiore o minore di tutti i germi, che nel corso dei secoli
piccolezza del germe; bensì nel fatto che
si sarebbero poi trasformati in uomo ; gli spermatozoidi si vedono e i
germi perocche Iddio, creando il primo
germe, preesistenti non si vedono guari. Ad
aveva posti dentro, l'uno nell'altro rav- ogni modo la controversia non
era finita. volti, i tutti germi futuri.
Tal fu il cele- Dopo Harsoëker viene Needham, gran bre sistema dei germi preesistenti e del
fautore dell'epigenesi, celebre per le sue
Loro imbottamento in un solo. Come si esperienzemicroscopiche, le
qualivalgono vede, i medici del medio
evo erano pure meglio dei numeri del suo predecessore. i gran metafisici! Ma Harsodber era Egli
prende il liquor seminale dell'uomo
rimasto fedele agli animalucoli sperma- e degli animali, lo chiude
ermeticamente tici enonmancò di mostrare
quanto fosse in unvetro, lo lascia lungamente esposto ridicola la teoria metafisica dell'imbotta-|
al calore onde farperire ogni essere or mento dei germi preesistenti.
Collapenna alla mano dimostrò il
rapporto di gran dezza che doveva esistere fra il grano di una pianta sviluppata nel primo anno della creazione, e quello che, dopo una seria continuata di riproduzioni, si svi
lupperebbe nell' ultimo anno del sessan tesimo secolo. Questo rapporto era rap
presentato dalla cifra spaventosa di una
unità seguita da trenta mila zeri! Har ganizzato che possa esservi
entrato; ma in capo aqualche tempo,
quand'egliesa mina il liquido al microscopio, lo trova ancor formicolante di animalucoli, quasi eguali a quelli di cui ilmicroscopio gli attestava la presenza nella farina di grano umettata. Da questa omogeneità di fenomeni Needham fu tratto a con chiudere
che la generazione doveva es soëker aveva accettato come base dei suoi computi i sessata secoli della tra dizione
biblica ; e non pertanto quale orrendo
paradosso non risultava egli da questo
semplice calcolo! Un grano di frumento
nel paradiso terrestre, perchè potesse
contenere tutti igermi di ripro duzione di sessanta secoli, o doveva es sere
considerata come una cotal forza
vegetativa, la quale, per altro, spiegare non seppe. Non si negarono le sue espe rienze, ma si disse che i germi infinita
mentepiccolipotevanopenetrare dal di fuo ri anchein unvasoermeticamente
chiuso. Acomporrelaquestionevenne infine Buffon. Posto tral'incudinee il
martello, ecostretto ad attribuire
l'animazione o sere più grosso del
numero di trenta mila cifre or detto, o i germi dovreb bero essere stati di
altrettanto più pic- minciò col dichiarare che l'uovo nei vi all'uovo od ai zoospermi, o spermatozoi di,
come più tardi si chiamarono, incovipari altro non è che un essere di ra gione,
e quanto agli spermatozoidi, se
esistevano, ( prudente riserva ! ) non
potevano costituire il feto. Quindi, sup pouendo che vi siano in ogni
essere 35 zione intestinale. (Pouchet. Théorie po
sitive de l'ovulation spontanée p. 321).
Adunque, se il fatto dell' assenza o del
l'esistenza di un organismo é contro una quantità di molecole simili
sempre attive, le quali se si liberano
dalle parti inorganiche producono un
nuovo es sere, spiegò con esse il grande affare
della generazione. Buffon non si avve deva forse che le sue molecole
organi chenonerano, alpostutto, che laripro duzione degli spermatozoidi ? Forse
sì; ma i grandi genii non accettano
le scoperte altrui: le creano a nuovo !
Co munque sia, nè le molecole organiche
di Buffon, né gli animalucoli viventi di
Leuwenhoek piacquero amolti fisiologi
moderni, i quali inclinano a conside rarli siccome elementi organici con
correnti alla fecondazione dell' ovulo.
Questaopinione sifondaprincipalmente
sul fatto, che tutti gli animali non
solo si muovono, ma mangiano, dige riscono e si riproducono, cosa che
non si è ancor osservata negli
spermatozoidi. Per altro, non si può
negare che le osservazioni microscopiche
siano ancora troppo incomplete per
stabilire assolu tamente la nostra opinione. E la in compiutezza di queste
osservazioni fon datamente la possiamo desumere dalla grande contrarietà di risultati a cui hanno condotti i micrografi ; talchè mentre i partigiani dell' opinione che considera gli spermatozoidi quali ele menti
organici, come Prevost, Dumas, Wagner,
Lallemand,Kölliker si fondano
specialmente sul fatto, che essi non
hanno organismo; i difensori della op posta opinione sostengono il
contrario. Ecosì Valentin ha
riconosciuto delle traccie di
organizzazione negli sperma tozoidi dell'orso: delle vesciculestomaca
liocirconvoluzioni d' intestino; Schwann
pretende chealcentro della testa degli
spermatozoidi dell'uomo esiste unaven tosa analoga a quella dei cerciari,
e Pouchet assicura di avervi osservata
una ventosa stomacale e una circonvolu
versa, si capisce facilmente come debba
essere controversa anche l'opinione
della loro animalità, tanto più poi
quando tutti si accordano intorno alla
singolarità dei loro movimenti. Ecco
infatti come ce li descrive A. Longet
( Traité de Phisiologie p. 739. Paris
1860). » Il raovimento degli spermato zoidi non ha nulla di comune
con quello che si osserva sotto il micro
scopio nelle particelle trasportate da
correnti più o meno rapide, o col mo vimento molecolare sul quale R.
Brown ha chiamato per il primo l'
attenzione dei micrografi. Infatti, gli
spermato zoidi si vedono dirigersi in avanti,
come se tendessero verso un punto
determinato, ritornare in senso con trario, ciascuno seguire una
direzione differente, urtarsi, separarsi,
passare fra i globuli mucosi che li
circondano, abbassarsi nel fluido ove
nuotano 0 elevarsi alla superficie, in
una parola, agitarsi come se fossero
sotto l'influ enza di un impulso volontario «. Ar roge che gli spermatozoidi
sottoposti alle esplosioni elettriche,
più non si muovono e il liquido
spermatico di venta inetto alla fecondazione.
Ad ogni modo, comunque sia ri solto il quesito dell' animalità o
non degli spermatozoidi, il principio
filoso fico nou muta, avvegnacché sia ben
accertato che, molecola o animale, lo
spermatozoide è il principio necessario
della fecondazione. I fisiologi di tutte
le opinioniin questo si accordano, che
il liquido spermatico sprovvisto di sper matozoidi, come frequentamente
accade in quello dei vecchi, dei
fanciulli, del mulo edegli animali
selvaggi fuori del l'epoca del rut, non produce feconda zione, mentre poi le
esperienze di Spal lanzani hanno dimostrato che una goc cia di liquido tolta da
un volume di 18 once d'acqua, nella
quale siano stati di 36 ΑΝΤΙΝΟΜΙΑ luiti soltanto tre grani di seme con spermatozoidi, può ancora essere dotata di potenzafecondante. Tutte le opinioni della teologia e della metafisica non potranno dunque negare la potenza fecondatricedegli spermatozoidi, i quali si ostinarono e si ostinano tuttodi ad affermare la loro presenza e il diritto
di cittadinanza nel regno umano, e
sono anche l'ultima parola che, nello
stato attuale delle nostre cognizioni,
la scien za possa dire intorno al mistero dell' a nimazione umana. L'origine
dello spi rito è dunque rappresentatada unamo lecola materiale! Animismo. Sistema filosofico del dottor Stahl, il quale, alle cause mecca
niche e fisiche colle quali si spiegano i
fenomini vitali e patologici, sostituisce sempre e in ogni caso l'azione diretta dell' anima sull' organismo umano. (Vedi STAHL. )
Anticristo. D' onde derivi la fa vola dell' anticristo non è facile lo
sta bilire. S. Giovanni nell' Apocalisse dice
che il diavolo sarà legatoper mille anni
e poi appresso dovrà essere sciolto per
poco tempo, ed uscirà per sedurre le
genti che sono ai quattro angoli della
terra (Apoc. XX 2, 3, 6, 7). Probabil mente Lattanzio copiando questa
leg gendaha trasformato Satana nell'Anti cristo, così detto perché deve
precedere di poco la venuta di Cristo
per giudi care i vivi ed i morti. Altri teologi più recenti e non meno famosi lavorarono intorno a questa leggenda e tessero la vita di cotesto personaggio favoloso,
che sarà il precursore della fine del
mondo. S. Alfonso de Liguori,nelle sue
Disser tazioni Teologiche assicura, sulla fede
di chi, s'ignora, che l'anticristo na sceràin Babilonia dal connubio di
una vergine col diavolo; e dal demonio
sarà educato ne' segreti della magią e
nel l'arte di sedurre le genti. Fatto adulto
con falsi miracoli e simulando la santità della vita, si farà credere il Messia, gua
dagnerà i popoli al suo partito, e for merà eserciti, moverà guerra ai
principi e ai vassalli, e infine,
gettata la ma schera, si abbandonerà alla più bassa lascivia e
alle più empie turpitudini. Sugli
altari porrà la propria effige, e dopo
di essere stato riverito dal mondo come
il più santo e il piùpotente, vorrà
sostituirsi a Dio. Rotta allora unaguerra feroce contro la Chiesa e i suoi mini stri,
contro Dio e la Vergine, egli per seguiterà col ferro ecol fuoco tutti colo ro
che non vorranno apostatare. Questa
persecuzione durerà mille duecento no vanta giorni, nè più nè meno, dopo
i quali pioveranno dal cielo i torrenti
di fuoco che distruggeranno tutti gli
esseri, e l'arcangelo Michele scenderà
dal cielo per uccidere l' anticristo e
gettarlo nel l'abisso. Selaleggenda
teologica, secondo ogni evidenza, è
copiata dall' Apocalisse, con vien dire eziandio che il fondamento del racconto apocalittico riposa sopra un mito orientale, vale a dire sopralagran lotta finale, che, secondo il dualismo persiano, dovrà avvenire alla consuma zione
dei secoli fra Ormuzd ed Arimane, il Dio
della luce e quello delle tenebre. ( Ved
i DUALISMO) La Riforma ha però ben
saputo trarre al suo partito anche
questa favola con un apposito articolo
di fede, nel quale si dichiara che l'anti cristo è il papa; e non
mancarono fra i riformatori uomini che
si dedicassero a studi singolari per
dimostrarlo. (Vedi APOCALISSE.) Antinomia.Kantchiamaantinomia ogni contraddizione che derivi dalle leggi stesse della natura,eche sia
indipendente da quelle del ragionamento.
Si corre quindi incontro all' antinomia
tutte le volte che si abbandona il
metodo speri mentale per seguire le astrazioni dell' as soluto, perciocchè
laddove le cognizioni sperimentali ci
vengono meno, riesce facile il sostenere
il prò e il contro in una stessa cosa.
Ad esempio, noi pos siamo affermare enegare al tempo stesso che oltre gli spazi visibili esista
altra materia; affermare e negare che la
ma teria sia infinitamente indivisibile e che ANTROPOLOGIA quindi in un corpo limitato risiede l'in
finito; ecc. Queste sono le antinomie
della ragione pura; ma Kant rico nosce eziandio le antinomie della ra
37 Non solo considerò il piacere come in
differente, ma come un mal reale; le
gionepratica, nellequalifacilissimamente
s' incorre nella ricerca degli assoluti
principii morali od estetici, avvegnachè
non appena siasi affermato il supremo
bene, o il supremo bello, si trova che
altro era il bene e ilbello affermati dalla storia passata, ond' è lecitosupporreche altri saranno quelli affermati dall'avve
venire. Non vi è del pari principio mo rale cosi assoluto che la ragione
non distrugga e lastoria
nonsmentisca(Vedi BENE, ESTETICA,
MORALE.) D'onde si vede che l'antinomia
con duce neccessariamente allo scetticismo.
Antioco Filosofo accademico nato
in Ascalona un secolo prima di Gesù.
Succedette a Filone, e può dirsi che con
lui è morta la scuola accademica. Di ti mide opinioni, senza indirizzo
proprio, egli tentò di fondare una sorta
di eccletismo fra tutte le scuole dei
suoi tempi ; tutte le volle unire e
tutte levolleconsiderare come
nondivergenti che per la forma. Pretese
in tal guisa di conciliare Platone con
Aristotile, Pirrone con Socrate ed
incontrò la sorte di tutti i conciliatori ad ogni costo, perocchè, se fu amico di tutti, non riusci per altro a conciliare alcuno.
Antistene fondatore della setta
dei Cinici, (vedi CINICA); visse ad Atene sul principio del quinto secolo avanti G. C. Fu discepolo entusiastadi Socrate esi dice ch'egli facesse ogni giorno qua
ranta stadi per sentirlo. Insegnò il tei smo puro, quasi spirituale dei
cristiani, dicendo che Dio non ha forma,
nè può essere rappresentato da imagine
alcuna. Ènaturale che questa astrazione
filoso fica dovesse tendere ad essere se sofferenze invece trasformò in bene,
di guisachè l'uomo queste doveva cercare
e non quello. Quindi l'essenza della
virtù doveva consistere nell'assenza
d'ogni bi sogno, e in una sorta di annichilamento dello spirito. Donde la massima d'Anti stene,
che men bisogni noi abbiamo, più noi
rassomigliamo a Dio, che non neha
alcuno. Ventiquattro secoli dopo, la mo rale cattolica per la boccadi
Alessandro Manzoni, doveva proclamare lo
stesso principio: > Piùnoi soffriamo,
più siamo simili al figliuol di
Dio(Manzoni. Osserva zioni sulla morale cattolica). Uomini che non dovevano conoscere il mondo se non che per ripudiarlo, qual bisogno avevano del sapere ? Onde, se crediamo aDiogene Laerzio, Antistene disprezzava la scienza, nè voleva che s'apprendesse a leggere e a scrivere; errore che nel medio evo fu ripetuto dagli Abecedarj ecareggiato da tutti i mistici. Antitatti. Eretici che comparvero verso lametàdel secondo secolo, i quali professavano il principiodinonfar nulla di ciò che ordinava la Scrittura. D'onde ebbero il nome di Antitatti, dauna voce greca contr'ordinare. Antitrinitari.Nomecomunedato avarie sette, che in diverse epoche ne garono
il domma della trinità. Gli anti trinitari vogliono essere divisi in due spezie: i triteisti, i quali suppongono che le tre persone divine siano tre di verse
sostanze; e gli unitari, i quali non
ammettono che unDiosoloele tre perso nedivineconsiderano come semplici
attri buti dilui. Queste diverse opinioni furono sostenute da Arrio, Macedonio, Sabellio, Prassea, Socino ecc. (Vedi questi nomi). Antropofagia. Vedi MORALE. Antropologia.Etimologicamente vale discorso sull'uomo, e in questo
lato guita da un esagerato misticismo
dei costumi. Quindi ampliando i
principii di Socratesuo maestro, insegnò
ladottrina della macerazione, press' a
poco nel mo do stesso col quale la insegnarono
dopo di lui i mistici del cristianesimo. | gressi delle scienze naturali
che si ven senso infatti s'intese nel passato, quando o gni scienza, fosse pur
metafisica, che ri guardavalostudio dell'uomo,pretendevadi aver diritto a questo nome. Ma i pro 38 ANTROPOMORFISMO nero affermando in questi ultimi anni,
le acquistarono un carattere oggidì
assai ben determinato, e tutte le
speculazioni metafisiche sulla natura
spirituale del l'uomo relegarono nella psicologia. Or mai, l'antropologia è la
scienza naturale dell'uomo considerato,
sia nella sua indi viduale struttura, sia nella varietà delle razze comparate col diverso sviluppo fisico e intellettuale, e in rapporto an che
cogli altri tipi. Quantunque ristretto
in questi limiti, facilmente s' intende
quanto sia ancor vasto il campodell'an tropologia, avvegnachè entrano
nelle sue ricerche l'anatomia, la
fisiologia, non meno della storia
naturale, dellageogra fia e della statistica; e giova dire che in rapporto alla moltiplicitàdi questi
studii, ' antropologia ha offerto in
questi anni dei risultati assai
soddisfacenti, ed ha potuto dare un
vigoroso e nuovo in dirizzo eziandio alle scienze filosofiche. L' antropologia dividesi in due parti: l'Antropologia analitica, o etnologia :
e ' Antropologia sintetica, o
generale. La prima applicasi
propriamente allo studio delle razze
umane e ne desume le varietà, le
differenze e ipunti di contatto, sì per
i rapporti fisici che morali. La se conda, da queste varietà desume i rap porti
generali del tipo umano colle varietà
dei tipi animali. Molti e cu riosi sono iquesiti proposti e risolti in tutto o in parte dalla antropologia, e per mostrare qual sia l'importanza che questa scienza può avere per gli studii filosofici, basterà additarne alcuni. L'uo mo
deriva egli da una o dapiù coppie?
Costituisce nella natura un regno a parte o pur deriva dalle scimmie? È egli nato incivilito o dalla più infima barbarie
si è elevato a civiltà? È ammissibile
la tradizione biblica che fissa all'uomo
una antichità di sei o sette mila anni?
Sui quali quesiti vedansi gli articoli:
ANTRO POMORFI, DARWINISMO, EMBRIOLOGIA, PA LEONTOLOGIA, RAZZE, UOMO. Antropomorfi. (Animali a for ma umana).
Linneo adoperò pel primo questo vocabolo
onde indicare gli ani mali dell'ordine più elevato dei mam miferi, i quali poi
chiamò Primati. Og gidi il vocabolo ha un senso più ri stretto e applicasi
generalmente alle quattro grandi specie
di scimmie, che più si avvicinano al
tipo umano, vale adire: Chimpanzė,
Gorilla, Orang-Outan e Gibbon. Ecco i
punti più essenziali di avvicinamentoche
gli antropomorfi presentano col tipo
umano, secondo il dott. J. Montinié di
Ginevra. La statura la conformazione
generale del corpo e quella dello
scheletro, le cui propor zioni relative nei diversi pezzi, il loro numero e la disposizione sono simili alle parti corrispondenti del corpo u mano la
proporzione delle membra,
l'organizzazione delle loro estremita,
la distinzione possibile in piedi e mani
la loro stazione che è quasi verticale-ilmododi camminare, nel quale, an
che quando corrono, come quasi sem pre accade, coll'appoggiodelle membra anteriori, il corpo non cessa di pog giare
principalmente sulle membrapo steriori, in una posizione alquanto ob bliqua, ma
non mai orizzontale la conformazione della testa e della cavità del cranio, contenente un cervello ben svi
luppato e affatto simile, quanto alla strut tura, al cervello umano-gli occhi
di retti in avanti, avvicinati alla linea me diana le narici separate da una
sot til divisione delle orecchie infine'i denti, che pel numero, la forma e la disposizione ri cordano
perfettamentele parti corrispon denti dell'organismo umano. Antropomorfismo. Dadue pa role greche che
significano forma uma na. In filosofia dicesi antropomorfismo quella tendenza propriadegl'ignoranti, e de' bambini specialmente, a dare a Dio corpo e figura umani, e ad attribuirgli
i pensieri e le passioni degli uomini.
Del resto, tutti i sistemi di filosofia
o di re ligione, dal più al meno, tendono all'an tropomorfismo, imperocchè '
uomo non può pensare che le cosenote,
ele ignote rafigurare sotto I aspetto di
quelle che > la forma e la posizione
APOCALISSE conosce. Errano pertanto
coloro i quali credonodiaver evitato
l'antropomorfismo foggiandosi un Dio
puro spirito e per 39 fedeli credevano
che S. Michele celebrasse fettissimo,
poichè ' idea di puro spirito non è che
accessoria, e ciò che in tal caso serve
a darci l'idea diDio sono gli attributi
suoi. Or non v'è religione, o filosofia,
come dir si voglia, che non at tribuisca a Dio passioni o tendenze u mane, tali
come lacollera o la vendetta ch'egli
prova ed esercita quando alcuno l'oende.
Ma l'idea di punitore che gli si
attribuisce, è un puro antropomorfi smo, sendochènon la siconcepisce altri
menti che trasportando in Dio una pas sione tutta umana, logica innoi,
assurda in Dio; però che fra il finito e
l'infinito, a giustamente parlare, non
vi è offesa possibile, come inutile
diventa la pena, considerata come
rimedio necessario, lad dove nulla rimediare si può. Questo, a dir vero, è l'antropomorfismo
filosofico, che fu tanto ben dimostrato
dal tedesco Feuerbach. Ma ancor più
comune è l'an tropomorfismo volgare. Tutta la Bibbia, incominciandoda quel Dio che impasta l'uomo collesue mani e gli alita in
bocca, fino alla incarnazione del suo
figliuolo che sifa uomo e muore sulla
croce,non è che una serie di
antropomorfismi vol gari, dai quali non vanno immuni le teologie di tutte le religioni del
mondo. Antropomorfiti o atrofiani
furono detti certi eretici del quarto
secolo, i quali fondandosi, e
giustamente, sulpasso della
Genesi:facciamo l'uomo anostra imma ginee somiglianza, credettero che
Iddio avesse un corpo eguale al nostro.
S. Ci rillo e S. Epifane li confutarono, il che
non impedi che l'eresia non risorgesse
nel decimo secolo, il quale, per dirla
colle parole di un abate, era un secolo
d'ignoranzagrossolana.>>>Si voleva avere l'immagined'ogni cosa e ogni cosasi rap
presentava sotto forme corporee; nè si
concepivano gli angeli che come uomini
alati, vestiti di bianco, quali veggiamo
dipinti sulle muraglie delle chiese; e si credeva pure, che tutto si facesse in cielo all'incirca come in terra. Anzi,
molti la Messa dinanzi a Dio in ogni
lunedi; motivo per cui andavano alla sua
chiesa più volontieri in quel
giornochein ogni altro. Noi non abbiamo bisogno di andare tanto lontano per trovare gli antropo morfiti
del secol nostro, poichè gli ado ratori delle immagini non fanno oggi che ripetere gli antichi errori. Apocalisse. L'ultimo dei libri del Nuovo Testamento, e per avventura, il men chiaro e il più favoloso di tutti i libri santi. Tutte le sette cristiane si ac cordano oggidì nel considerarlo siccome fatturadi S.Giovanni Evangelista, errore questo al quale nessun uomo sensato, credo, presterà fede. L' antica Chie sa quasi
unanimamente lo relegava tra gli
apocrifi e lo trattava d'impostura
inventata dall'eretico Cerinto per dar
credito al regno millenario « Alcuni, seri vevaverso il260
S.Dionigivescovod'Ales sandria, hanno esaminato da capo a fon do quest'
Apocalisse e provarono che non vi è in
esso senso comune, che attribuirlo
nonsipuò aGiovanni o ad altro apostolo,
e che è una finzione di Cerinto per dar
peso alregno millenario>>>(Eusebio Hist. Eccl. III 28). Un secolo dopo il
Concilio di Laodicea lo escludeva dal
canone dei libri sacri, e più tardi
ancora S. Gero lamo scriveva a Dardano, attestando che tutte le Chiese greche rigettavano l'au
tenticitàdi questo libro. (Epist 84). Certo
dinnanzi a testimonianze tanto autorevoli nellaChiesa, laRiforma avrebbe respinto l'Apocalisse, come ha fatto di tanti
altri libri della Bibbia, se questo
scritto colle sue strane figure e lesueimmagini
sconfi nate non le avesse servito egregiamente
per trarne argomento di combattere il
cattolicismo. Infatti, nel 1602 il sinodo protestante di Gap faceva un Decreto per dichiarare che il papa era ' anticristo predetto dall'Apocalisse. Trattavasi di di
mostrare questa dottrina chedoveva en trare a farparte dei nuovi dommi
della riforma, e vi si accinsero alcuni
de'mini stri protestanti, fra i quali giova accen 40 APOCRIFI
nare Jurieu. Nei capi XI, XII e XIII del ' Apocalisse accennasi con
figure a un periodo dimille duecento
sessanta giorni, i quali, secondo la
interpretazione pro testante, devono intendersi pei mille du gento sessanta
anni destinati alla perse cuzione che farà l'anticristo, raffigurato nella Chiesa Cattolica. Bisognava dimo strare
quand'era questa persecuzione in cominciata e quando sarebbe finita, e il Jurieu lastabilisce nell'anno 500,
poichè, dic' egli, quando Romahacessato
di es sere la Capitale delle provincie dell'im pero era già ascesa a grado
assai alto, perchè si possa osservare in
questo tempo il primo nascimento dell'
impe ro dell' anticristo. ( Precognizione le gittima) Laonde conchiudeva, che
la fi nedella persecuzione, e quindi del regno
dell'Anticristo, doveva cadere nell' anno 1710 o al più al 1714 o 1715, essendo difficile lo stabilire l'anno » poichè
Iddio nelle sue profezie non guarda
tanto pel sottile. » I cattolici h anno
ben ragione di ridere del male esito di
questa profezia, mahanno torto di
lagnarsi che i prote stanti la interpretino a loro modo, poi chè questo non è
altro che un saggio del modo con cui
essi stessi interpretano già aveva
attraversato la maggior parte degli
avvenimenti spaventevoli che dove vano avverarsi, nè molti giorni manca vano
alla formazione visibile del primo regno
rimuneratore appartenente all'altra
vita. Qual di queste varie opinioni sia la vera, sarebbe stoltezza il decidere, co m'è
stoltezza che uomini d'ingegno ab biano consumato ilorogiorni perspiega re un
libro, lachiavedel quale è sepellita
nellanotte del tempo, eche ad ognimodo
ha ormai perduto ogni importanza per la
storia. Apocrifi. Diconsi
apocrifi quegli scritti dell'antico o
del nuovo Testamento, i quali non si
reputano autentici, e si suppone che
siano stati fatti da autori diversi da
quelli cui sono palesemente attribuiti.
La chiesa riconosce siccome autentici
quei libri della Bibbia, i quali sono
inscritti nel canone dei rivelati, ma
convien osservare che il canone si venne
formando a poco apoco, ondechè se vi
sono libri canonici, i quali oggi si repu tano siccome apocrifi, ve ne
sono pur degli altri i quali un tempo
erano repu tati apocrifi, ed ora si trovano inscritti nel canone. I libri apocrifi dell'
Antico Testamento sono 14 (vedi CANONE
DEI LIBRI SANTI) e non pertanto la
Chiesa cattolica li annovera oggidi fra
i cano le altre profezie dell'Antico e del Nuovo Testamento. Giova dire che i cattolici hannodatoaltre interpretazioni ortodosse |
nici, quantunque sia indubitatoche tutta
all' Apocalisse e i lavori di Newton
sopra questo libro sono troppo noti per la Chiesa antica li abbiasempre
respinti. Sopra questo punto
letestimonianze sto riche non potrebbero essere, nè più nu merose, nè più
concordi. Ilcanone degli ebrei non fa
menzione alcuna degli apo crífi e il concilio di Laodicea tenuto nel chè valga la pena di citarli. Ma dopo l'interpretazione teologica convien pure accennare quella astronomica ingegnosa mente
stabilita dal Dupuis con molto corredo
di studi, per dimostrare che
l'Apocalisse non è altro che una esposi- menzionarli. Identico è il
catalogo dato zione simbolica degli
astri. (Origine de da Origene e Tertulliano nel terzo se tous les cultes).
Questa interpretazione, colo (Eusebio. Storia Eccles. lib. 5 cap. per quanto dotta ella sia, non soddisfa 25).
Nel quinto secolo è lo stesso S. però
pienamente, e fu vivamentecombat- Gerolamo, il traduttore della Vulgata, 572 lo riproduce fedelmente, senza pure tutadaSalvador (Jesus Christ etsadoctri- che
dopo aver fatta la versione anche ne T
II lib. III)-il qualcrede che l'au- degli apocrifi, nel suo Prologo
Galeato tore dell'Apocalisse,
abbandonato all'esal- ha cura di metterci in avvertenza sulla tazione della sua animainunadellepic- loro
non canonicità. Soltanto nel 1439 cole
isole dell'arcipelago greco, volesse papa Eugenio mette i libri apocrifi fra
i persuadereaicontemporanei,chelaChiesa
| canonici, ma non pare che il suo giudi APOCRIFI zio avesseunagrande autorità, o almeno che fosse imperativo, poichè soltanto mezzo secolo dopo il Cardinale Ximenes vescovo di Toledo e grande Inquisitore, stampando la Bibbia Poliglotta, nella Prefazione avverte i lettori che Tobia, Giuditta, la Sapienza, l' Ecclesiastico
i Maccabei, le aggiunted' Ester e
Daniele non sono canonici. In altre
edizioni an tiche della Bibbia gli apocrifi sono di stinti con un asterisco,
oppure portano in margine l'indicazione:
è apocrifo, est apocryphus, e in altre
edizioni gli apo crifi sono posti in fine al libro colla in dicazione:
Apocryphi et extra canonem. Egli è
dunque fuor d' ogni dubbio che questa
opinione sullanonautenticità dei libri
biblici non compresi nel canone ebraico,
si conservò lungamente nella Chiesa,
finchè nel 1546 il concilio di Trento,
trovando che gli apocrifi servi vano molto bene ad autenticare certi donmi del cattolicismo, con un suo de 41 ria Eccl. VII. 19). trovavansi inscritti
le Apocalissi di S. Pietro e di S.Paolo,
che ora sono interamente perdute. Sul
prin cipio del secolo scorso Fabricio, nel suo
Codex apocryphus novi Testam. racco glieva i titoli e le citazioni di
tutti gli e vangeli conosciuti dagli antichi, e il loro numero ammonta a ben cinquanta. Al cuni di
essi ci pervennero per intero, altri per
frammenti, e il maggior nu mero soltantoper lamenzione che ne fu fatta dai santi padri, i quali,
singolare adirsi, li citarono sempre
siccome au tentici, mentre al contrario i quattro e vangeli che ora si
pretendono autentici non si trovano mai
citati dagli antichi padri. » Noi
comprendiamo, dice a que sto proposito il teologo Bergier, che i padri hanno citato più d'una volta i li bri
apocrifi, ma allora si consideravano
come veri. ». Preziosa confessione in
bocca all'autore del Dizionario di Teo creto li dichiarò canonici. Quanto agli apocrifi del Nuovo Te stamento,
il loro numero è più grande di quel che
si pensa; ma non è poi da credersi che
essi siano tutti senza signi ficazione per la storia. Anzi, giova dire che la importanza di molti fra di essi, se non supera, di certo eguaglia quella dei libri canonici, perciocchè quasi tutti fuuntempo incui erano rispettati e ri
guardati dai fedeli siccome inspirati.
Per esempio, il libro d' Enoch, escluso
dal canone biblico, era riguardato come
inspirato da Tertulliano; e Origene, S.
Clemente Alessandrino, S. Ireneo, S.
Anatolio lo citano con rispetto. IlPa store di Erma fu un altro libro
gnosti co-ebionita che la Chiesa cattolica ri guardo sul principio come
inspirato, poi relegò fra gli apocrifi.
Una lettera che si supponeva scritta dal
re di Edessa a Gesù e un'altra con la
quale Gesù ri spondeva al re di Edessa, erano ancora sul principio delquarto secolo citate co me
autentiche da Eusebio; e intorno a quel
tempo nel canone di molte chiese
cristiane, come riferisce Sozomeno (Sto logia! Dunque riman provato che
tutta la Chiesa primitiva considerava
come autentici i libri che la Chiesa
moderna considera come apocrifi; lo che
può au torizzare gl'increduli a dire, che le fonti del cristianesimo sono molto dubbie e assai poco degnedi fede. Oltre questi libri, che facevano auto rità
nella Chiesa primitiva, ve ne sono altri
la cui fonte è un po'meno pura e che si
rivelano addrittura siccome inven zioni di credenti, o maliziosi, o pii
per confortare con qualche prova le
cost dette verità della religione. Tra
questi si trovano la pretesa
corrispondenza tra S. Paolo e Seneca, la
relazione di Mar cello sugli atti di Pietro e Paolo e sulle arti magiche di
Simon Mago; le due lettere di Pilato
all' imperator Tiberio, nel quale il
governatore romano fa la singolare
confessione, che Gesù era ve ramente un Dio, e finalmente i Libri Sibillini e le Decretali. Se rigettando l' autenticità dei libri che ora si dicono apocrifi, la chiesa a vesse
rigettate anche le favole che sono in
essi contenute, la s ua contraddizione
sarebbe stata al certo men palese. Per 42 A POSTERIORI, A PRIORI esempio, sul preteso martirio di S. Pietro e S. Paolo in Roma, non si trova una sol parola negli Evangeli e negli atti degli Apostoli, ma la relazione di Mar cello
ne fa menzione e la Chiesanon fu
dubbiosa di adottare quel racconto, pur
dichiarando apocrifo il documento che
lo conteneva. La discesa di Gesù aglin ferni, che è uno degli
articoli,del pre teso simbolo degli apostoli (vedi SIMBOLO) etolta interamente dalVangelo apocrifo di Nicodemo. Dalla Storia apocrifa degli Apostoli di Abdia, sono tolti i racconti sui viaggi e ilmartiriodei vari apostoli, che si trovano nei leggendari ed ezian dio
nel Breviariv Romano. Così pure da altri
apocrfi, come osserva il Beausobre
(Hist. du Manicheisme T 1) sono tolte
le favole canonizzate sulla storia di S.
Anna e di S. Gioacchino, sulla santa
Veronica e il suo sudario, sull' andatadi S. Pietro a Roma e i suoicontrasti con SimonMago, e tante altre cose nonmeno miracolose. (Vedi DECRETALI E
SIBILLINI.) Apodittico. Aristotile nell'
anti chità, e Kant ne tempi moderni sono
i soli che abbiano introdotto nel linguag gio filosofico questo
vocabolo, che signi fica dimostrazione. È apodittica ogni pro posizione che sta
al di sopra di ogni discussione, di ogni
contrarietà, essendo essa stessa il
principio e la base di una dimostrazione. Apollinare. Vescovo di Laodicea che visse sulla fine del quarto secolo. Dopo essere stato uno dei più focosi av
versari di Ario, sostenendo, non solo la
divinità di Gesù Cristo, ma eziandio la
consustanzialità del Verbo, cadde in un'
altra eresiae insegnò che Gesù Cristo,
assumendo il corpo umano, non aveva
però assunta un' anima ragionevole, ma
puramente sensitiva. Egli stimava che
un' anima umana gli fosse affatto inutile, però che, chi operava in lui e dirigeva le sue azioni, era la divinità stessa. Fon
dandosi sul passo di s. Paolo che Gesù
era uomo e fatto simile agli uomini
(Ebrei IV, 15), il Concilio d'Alessandria dichiarò eretica questa opinione e il
papa Damaso depose il vescovo che la pro
fessava.
Apollonio(Tianeo).Nacquedauna
ricca famiglia di Tiane, e fu contempo raneo di Cristo, al quale per
lungo tempo il paganesimo l'oppose.
Fattosi discepolo di Pitagora
l'abbandonò ben presto, malcontento
ch'einon uniformas se la pratica della vita colla sua dot trina, la quale
Apollonio s' ingegnò di applicare e
sviluppare da se solo. Da quel momento
fino alla morte egli si a stenne d'ogni nutrimento animale e dal vino; conservò una perfetta castità, e
si impose mille dure privazioni, fra
cui merita di essere menzionato il
silenzio continuato che osservò per
cinque anni. Gli venne poi vaghezza di
percorrere ' Oriente per risalire alle
sorgenti delle tradizioni religiose: fu
a Babilonia, nel l' India, nell' Egitto e nell' Italia e in età molto avvanzata scomparve dal mondo, senza che mai si arrivasse a scoprire qual paese avesse veduto la fine de'
suoi giorni. Pochi proseliti farebbe
Apollonio nei tempi nostri, e seriamente
sidubite rebbe s'egli abbia la testa a segno; ma nel primo secolo dell'era cristiana,
tanto fu il fanatismo che eccitè nel
paganesi mo, che alcuni trascorsero perfino ad a dorarlo siccome un Dio. A posteriori, a priori. Di cesi a posteriori
quella dimostrazione che dalla osservazione
degli effetti procede a scoprire la
causa,o dalla proprietà di una cosa
cerca di scoprirne l'essenza; in senso
inverso, è a priori quelladimo strazione che dalla natura della causa tende a ricercare gli effetti che ne de vono
nascere. L'uno e l'altro di questi due
metodi di argomentare sarebbero e gualmente buoni, ove fossero soltanto applicati alle scienze fisiche; ma nelle metafisiche il metodo a priori ra con dotto
più spesso a conseguenze fallaci. Esiste
un Dio buono e perfetto, che ha creato
il mondo, dunque tutto ciò che vì ènel
mondo deve essere buono e perfetto.
Questa è una argomentazione a priori, la
cui fallacia consiste appunto nellapremes ARCESILAO sa, perocchè riconosce come assiomati camente
provata l'esistenza di un Dio
buonoeperfetto, senz'altra dimostrazione. Equando il ragionamento a priori fon dasi su
ragioni immaginarie, le quali, an zichè dimostrare,hanno bisogno di essere dimostrate, deve necessariamente con 43 da invidiare alle credenze di quei
tempi, poichè oggi, come allora, si
deificano gli uomini, l'effigie loro si
mette sugli altari e le si offrono
sacrifizi, che per essere incruenti, non
cessano perciò di rappresentarci il
simulacro di unavittima durre a false
conclusioni. La dimostra zione a posteriori evita invece sifiatto scoglio, perocchè essa non suppone le cause, ma anzi le ricerca colla scorta degli effetti. Or sono appunto gli
efetti che a noi si rendono palesi e che
i no stri sensi possono accertare, onde il
ragionamento a posteriori ha sempre
sull'altro questo vantaggio, ch'esso in
ogni caso procede dal noto all' ignoto e
non mai in contrario senso. Tutte le cose nel mondo si trasformano, ma nessuna si distrugge, nessuna nasce che non si componga di elementi preesistenti; dun que,
senella natura nulla nasce nè sidi strugge, conchiudo che lamateria è
eterna. Eccounragionamentoaposteriori
chepro cededalnoto all'ignoto. (Vedi INDUZIONE). Apoteosi. Vocegrecachevaledei ficazione. L'
apoteosi compievasi dai pa gani quando, con cerimonie solenni, po nevansi fra
gli Dei gli illustri o i po tenti della terra che erano morti. Im ponenti erano
le apoteosi degli impera tori romani. Dopo un lutto generale portavasi l' imagine del defunto proces
sionalmente per le vie, e igrandidignitari
dello stato, i cavalieri e i senatori e lo stesso successore al trono facevanle cor teo.
Al campo di Marte il corpo delde funto re era arso su di un rogo, dal quale sprigionavasi un' aquila che innal zava
il suo volo fino al cielo. Quindi si
fondava un tempio al novello Dio, si
stabilivano i suoi fiaminii ; e dei sa crifici in onor suo erano
ordinati. A noi lontani da quei tempi e
da quei co stumi sembra strano che un popolo, il qual fu maestro di civiltà al mondo, abbiapotuto credere a queste più che volgari superstizioni. Pure non abbiamo che avolgere intorno lo sguardo per convincerei, che la civiltànostra nulla
ha immolata. L'apoteosi dei giorni
nostri ha sol cambiato il nome, e si
chiama canonizzazione dei santi. Appercezione. Vocabolo per la prima volta usato da Kant e adoperato da tutti coloro cui piace intralciare
senza scopo il linguaggio filosofico.
Per apper cezione intendesi quella rappresentazione per la quale l' nomo tien presente a se stesso l'atto del pensiero. Questa rap
presentazione io penso, al postutto, non
èdunque che la coscienza dell' io, la
quale di tutte le parti del mio corpo,
costituisce un' unità, che Kant, tanto per non usare il comun linguaggio, chiama unità trascendentale dell' appercezione. Arcesilao. Nacque in Pitana nel 1
anno300primadiG. C. fudiscepolodi
Pirrone e si mise alla testa della seconda scuola Accademica. (vedi ACCADEMIA) nella quale introdusse un metodo d'in
segnamento affatto nuovo. Noninsegnava,
ria disputava, poichè ad ognuno chie deva qual fosse la sua opinione per
poi combatterla, Riproduceva in tal
guisa il Pirronismo, il quale appunto
consistera nel negare ogni certezza e
quindi l'evi denza di ogni filosofia. Contro Arcesilao sosteneva Zenone, che il saggio può ta lora
rimettersi alla certezza della sua
intelligenza; ma obbiettavaArcesilao con
l'esempio dei sogni, del delirio e dei
molti errori umani condivisidai sapienti! Or. diceva egli, se vi sono delle rappre
sentazioni illusorie e delle veridiche, con
qual criterio noi distingueremo le une
dalle altre? Con una rappresentazione ve ridica? Maquesta è
unapetiziondi prin cipio, poichè trattasi appunto di cono scere qual sia la rappresentazione
veri ridica. D'onde conchiudeva, che tra il
vero e il falso non vi è per l' uomo dif ferenza assoluta, e che savio è
colui che si astiene. 44 ARISTIPPO
Archetipo. Filologicamente vale
modello, forma prima. In filosofiadi cesi archetipo ciò che è il
principio e il fondamento delle cose o
delle idee. Pei teologi l' archetipo è
Dio, conside rato come supremo modello degli esseri. Ma nella filosofia sperimentale questo vocabolo non ha alcunsenso, essendochè l' esperienza ci rivela una continua mu
tabilità di forme senza archetipi. Le idee
innate potevano dirsi archetipe, ma la
sana filosofia ha dimostrato che non esi stono idee innate. Argens (Giovanni Battista mar
chesed').Ammesso dapprima all'amba sciata francesedi Costantinopoli, si
diede alla vita militare. Fu ferito all'
assedio di Kelh, e dopo quello
diFilisburgo fece una caduta da cavallo
che gli tolse di risalirvi più mai.
Diseredato dal padre suo che l'aveva
destinato alla magi stratura, egli s'abbandonò allafilosofia, e per scrivere liberamente passò in Olanda, ovepubblicò le sue Lettere giu
daiche, chinesi e cabalistiche. Federico
diPrussia, allora principe reale, lo chia mò alla sua corte, e quando
sali al trono lo nominò direttore
generale delle belle lettere dell'
Accademia, lo colmò di riguardi, ed ebbe
per lui quella deferenza che meritava la
sua bontà di cuore e la sua condotta sce
vra d' intrighi e di raggiri. In questo
frattempo d' Argens scrisse la Filoso fia del buon senso e mandò a compi
mento la traduzione di due trattati
greci attribuiti, l'uno ad Ocellodi Lu cania, sulla natura dell'
universo; l'al tro a Timeo di Locri sull'anima del mondo, col titolo: Difesa del Paganesi mo.
Egli mandò alle stampe ancheuna versione
del discorso di Giuliano con tro i cristiani.
Era già finita la guerra dei sette
anni e d' Argens, dopo d'essere an dato a visitare la sua famiglia inPro
venza, tornavasene nellaPrussia, quan do si accorse che nei luoghi del suo passaggio leggevasicon grande stupore unapastorale del vescovo d'Aix con tro di
lui. Lo scritto abbastanza vio lento e minaccioso gli destò dapprima le più grandi inquietudini, ma presto si avvide non essere quello che una gherminella del Re di Prussia, il quale, per burlarsi di lui, l'aveva redatto e fatto diffondere nei paesi del suo pas
saggio. Federico per inavvertenza aveva
impiegato il titolo di Vescovo anziché
quello di Arcivescovo. D' Argens mort
agli 11 gennaio 1771 nella sua terra
della Provenza, donatagli da un suo
fratello, troppo generoso per non di sapprovare la volontà del padre
che l' aveva diseredato. Le opere da
lui scritte sono numerose assai, l'istru
zione vi è variata e la filosofia mate rialista, propugnata con calore e
con accorto ragionamento, emerge special
mente nellasua Filosofia dellaRagione,
nelle Lettere critiche e filosofiche e nel Filosofo solit rio. Il marchese d' Argens nacque ad Aix nel 1704, e costituisce unadelle più belle e nobili individualità della filo sofia
del secolo XVIII. La bontà del suo cuore
e la sua vita irreprensibile parlano ben
più alto di tutte le stolte accuse che
vengono lanciate contro il così detto
materialismo. Argomentazione.
Complesso delle prove e dei raziocinii
addotti per giungere alla dimostrazione
di una ve rità. Le antiche scuole greche e italiche, forse per amor del numero, distingue vano
sette modi di argomentare, ed era no: 1. L'induzione. 2. Il paragone. 3. L'entimema. 4. Il sillogismo. 5. L'epiche
rema. 6. Il sorite. 7. Il sofisma. (Vedi
tutti questi vocaboli).
Aristippo. Fu di Cirene, colonia
greca dell' Africa, e visse sulla fine del quarto secolo prima di G. C. Delle molte opere scritte da questo filosofo, non ce ne rimane pur una, e delle sue dottrine questa sola sappiamo, che riguarda il fine morale dell'uomo. Insegnava che il piacere è cosa buona in se, cattiva il dolore, onde conchiudeva, che il fine dell'uomo quello è di cercare il piacere
ARIANISMO e il dolore fuggire.
Contrariamente al misticismo di
Anassimene, Aristippo in segnava dunque che il somno bene del 45 Nondimeno, il concilio condanno la dottrina di Ario, il quale non cessò per questo di sostenere la su opinione edi l'uomo è il fine della vie che la fe licita
non consiste gis nel riposo, ma
nell'attività e nel movimento.
Arianismo . Eresia di Ario, in
quale consisteva nelnegare la consustan zialità del Verbo, ossia della
seconda persona della Trinità da lui
considerata comecreatura umana. Sul
principio del quarto secolo, Alessandro,
vescovo di A lessandria, volendo confutare l' errore di Sabellio contro la trinità (vedi SABELLIO) incaricò Ario, prete che stava sotto la sua giurisdizione, di spiegare i Misteri della religione colla sua potente dialet
tica. Ario accettò il mandato,e siccome
quegli che credeva di far cosa grata al
vescovo combattendo ad oltranza l'ere siadi Sabellio, cadde in un
opposto ecces so. Considerando comelaconsustanzialità importi unità di sostanza, e l'unità
della sostanza divina renda impossibile
la di stinzione delle persone, poichè ciò che è
semplice non comporta molteplicità, in cominciò ad insegnare che il
Padre e il Figliuolo sono
personedifferenti, noncon sustanziali, e che il Figliuolo era stato creato nel tempo. Alessandro tentò di riprendere Ario, ma vanamente, chè questi s' incaponi a viemeglio sostenere lasua opinione; laonde il vescovo adunò un Concilio in Alessandria, d' innanzi al quale Ario espose le sue ragioni. Egli argomentava così: Il Verbo non può es sere
eterno come il Padre, poichè in tal caso
nonpotrebbe esseregenerato. D'al tronde se il Padre non avesse tratto il il Fgliuolo dal nulla, non l'avesse,
cioè, creato, non avrebbe potuto trarlo
altri mentichedallasuapropriasostanza,ilche
èassurdo. La stessa Scrittura non ci dà
un idea diversa del Verbo, laddove dice
che Iddio l'ha creato al principio delle
sue vie (Prov. VIII). Dio dice che l'ha
generato, il che si deve intendere nel
senso di unavera creazione,attesochè la
Scrittura l' applica, così al Verbo come
agli uomini. esporla
pubblicamente. E siccome tra un assurdo
e l'altro, la dottrin di Ario era
certamente la meno assurda, così non gli
mancarono proseliti tra il po polo, tra chierici e perfin tra vescovi. Anzi, Eusebio vescovo di Nicomedia, adu nato
un secondo concilio,vi fece appro vare le dottrine di Ario emandò lettere ai vescovi d' Oriente onde indurli ad ac
cettare il prete nella loro comunione.
Ben si capisce che con tali prodromi
la querela era tutt' altro che presso ad
assopirsi. Essa fu anzi portata davanti
all' imperatore Costantino, il protettore del Cristianesimo. Ed è singolare il ve dere
la poca importanza ch' egli diede alla
querela, nella quale trattavasi nien temeno che della divinità del Cristo. Vo
lendo insieme conciliare tutti i partiti,
scrisse ai vescovi dissidenti, che la calma e la felicità dell' impero richiedevano
che essi venissero ad un amichevole
compo nimento; e ch' era la cosa più pazzadel
modo il dividersi per questioni tanto fu tili e puerili, com'erano
quelle per le quali da tanto tempo
disputavano. Leparole conciliative dell'
imperatore non valsero però a quietare
gli animi e le dispute, gli scandali e
perfino le scene di sangue, non
mancavano di fornire ai pagani
argomentinonpochi di derisione.
Costantino risolse infine di convocare in Nicea il 19 giugno dell' anno 325 il pri mo
concilio ecumenico, il quale, dopo molte
dispute, approvò il seguente sim bolo, che condannava l'arianismo:
>>Questa decisione ebbe la
sanzione dell'impera tore, il quale esilio tutti coloro che non la vollero sottoscrivere. Non per questo le dispunte finirono, chè anzi, poco di poi l'imperatore stesso, circuito da un prete ariano, rimise Ario nelle buone 46 ARISTOTILE
grazie dell'impero. Intanto la lotta era
combattuta da muovi compioni. Eustazio,
vescovo di Antiochia, accusava Eusebio
di Cesarea di contraddire il simbolo Ni ceno; un nuovo concilio fu
adunato in Antiochia nel 329, il quale,
colla solita infallibilità dei concilii,
diè torto al ve scovo di Antiochia, lo depose,nominò in sua vece il di lui avversario, e poco cu
randosi della scomunica lanciata dal Con cilio di Nicea, procurò che Ario
potesse ritornare in Alessandria. Vi si
oppose. nondimeno s. Atanasio, vescovo
di quella città; ma nel 354 un nuovo
concilio a dunato in Tiro depose anche questo ve scovo, e l'imperatore, che già
tanto fe rocemente aveva perseguitati gli ariani, lo manda in esiglio e rimette in grande onore Ario, il quale poco di poi morì. Non è a credersi che la morte di Ario ponesse fine alle contese. InAles
sandria e nella stessa sede dell' impero
avvennero frequenti scene di sangue fra
il popolo fanatico, eccitato dai preti del l'uno o dell'altro partito.
Intanto, succe duto a Costantino il figlio suo Costante, questi parteggio per gli avversari di Ario, e nel 347 fece adunare un conci lio in
Sardi, ove i vescovi confermavano il
simbolo di Nicea e scomunicavano gli
ariani; in quel mentre che un nuovo
concilio adunato dagli orientali in Filip popoli, confermava i principii
di Ario e scomunicava li avversari. Tanta contrarietà e tanto accanimen to dei
partiti, fece nascere nel novello
imperatore il desiderio di convocare un
nuovoconcilio. Eil concilio fu infatti ban dito; ma mentre i vescovi
orientali par titanti dell' arianismo si adunavano in Seleucia, in Rimini aprivano il concilio gli avversari; nè giova direche, come al solito, lo spirito santo inspirò alle due assemblee due contrarie decisioni. Dispe
rando ormai di venire a buoni risultati,
l' imperatore fece sottoporre al Concilio di Rimini il simbolo approvato in Se leucia,
nel qualela parolaconsustanziale era
stata soppressa, e ordinò al gover natore che nessun vescovo lasciasse u scire
senza che l'avesse sottoscritta. Quat
tro mesi resistettero all' ingiunzione i
padri ivi adunati, ma infine venuti ad
un compromesso fra il ventre e la co scienza, prestarono pieghevole
orecchio alle parole di Valente, il
quale andava loro insinuando che,
salvola parola con sustanziale, il nuovo simbolo non aveva significazione diversa da quello di
Nicea. Firmarono e furono ridati alla
libertà. Per la qual cosa l' arianesimo
risorgeva trionfante e minacciava di
estendersi a tutta la Chiesa. Ma venuto
a morte anche Costante, Giuliano
successore di lui, rimise i cattolici in
favore, e gli impe ratori che gli succedettero, chi più chi meno, seguirono lo stesso partito. Anzi Teodosio vietò agli ariani di adunarsi, cacciò gli uni dalla città, gli altri
notò d' infamia e spogliò del privilegio
della cittadinanza. Ma non bastarono le persecuzioni a spegnere interamente l'arianismo, inquan
tochè i popoli d'Europanovellamente a cquistati al cristianesimo, più
facilmente passavano alla dottrina
diArio, siccome meno assurda e men
seempia di quella professata dal simbolo
di Nicea. Anche nei tempi moderni l'
arianismo ebbe se guaci nella Germania e nella Polonia, e dicesi che fosse importato nell'Inghilterra da Okino e Bucero, che l'insegnarono in segreto, perocchè in grazia della intol
leranza protestante, coloro che tentarono
di negare pubblicamente la divinità di
Gesù furono abbruciati. Cionondimeno,
Socino, Chubb, Clarke e parecchi altri il lustrarono questa dottrina coi
loro scritti, e l'arianismo era ancor sì
forte nel se colo scorso, che fu veduta una signora Myer, fondare nell'Inghilterra una catte da
apposita per combatterne ledottrine.
Aristotile. Niun filosofo quanto
Aristotile ebbe più gran fama e mag giore opportunità di distinguersi.
Nac que in Stagira nell'anno 304 primadi
G. C., fudiscepolo di Platone e dopo la
morte del maestro si ritrasse in Acarna nia ove regnava Ermia già da
gran tempo suo amico. Poco di poi,
invaghi ARISTOTILE tosi della sorella di
questo principe, la mend in moglie. Fu
quindi precettore di Alessandro il
Grande e dopo essere ri masto otto anni presso di lui, ritirossi adAtene. Quivi i magistrati gli conces sero
il Liceo, sotto i portici del quale egli
insegnava passeggiando co' suoi di scepoli; d'onde la suasetta fu detta de'pe
ripatetici. Sebbene discepolodi Platone,
Aristotile s' allontanò ben presto dalle
dottrine del maestro, ed anzi si atteggiò ad aperto antagonismo sulla questione delle idee innate, insegnando che
l'anima umana è come una tavola rasa,
sulla 47
Il Dio di Aristotile non hadunque alcu na consistenza metafisica, è una
paro la, o meglio ancora, la sintesi di tutte
le forze di natura. Egli è perciò che
Aristotile, non solo non ammette alcuna
relazione possibile fraquestoDio elaspecie umana, manegaanche all'essere supremo ogni virtù. Come,infatti, applicare
l'idea di virtù a delle leggi naturali
costrette dallanecessità? Qualunque sia la
virtù che voi imaginate,dice Aristotile,
essa è inap plicabile allanaturadi Dio. Gli darete il quale l'esperienza scrive tutto ciò che
i sensi percepiscono;'d' onde'il ben
noto aforismo: nulla è nell'intelletto
che non sia entrato per laporta dei
sensi. Per ciocchè il pensiero suppone necessaria riamente la sensazione e l'
imaginazio ne; come la memoria suppone la persi stenza delle impressioni
sensibili. Laon de, se l'anima non sentisse, nonpotrebbe nè pensare nè intendere. Quest'è come ogaun vede, puro sensualismo, il princi pio
fondamentale della filosofia moderna. Ma
il genio analitico di Aristotile non
poteva rimanersi entro questi con fini; ond'è che spingendo pitu innanzi l'audace suo sguardo, vuol giungere
colla esperienza fino al trono di Dio. A
que sto punto, sotto le apparenze del teista,
par che Aristotile ondeggi fra il pantei smo e l'ateismo. Perciocchè, se
in qual che luogo dice, che Dio è la sostanzadi
tutte le sostanze e non fa che un sol
tutto col mondo, col cielo, con la
natura; altrove assicura che in tutti gli esseri si distingue, colla intelligenza,
la materia e la forma(allo spirito non
ac cenna). Or la forma scompare col di sgregarsi della materia, d'onde
conchiude che l'anima al corpo non
sopravvive. Un sol corpo con la sua
traslazione circolare è causa e
regolatore supremo di tutti gli altri
movimenti. Questo corpo, che Aristotile
chiama divino, è l'etere, o il Cielo,
che spingesi agli estremi limiti dell'
universo, oltre il quale non vi è nè vi
può essere alcuna sustanziale realità.
coraggio ? Ma egli nonè esposto ad al cunpericolo. L'amicizia? Egli
basta a se stesso. La temperanza? Dio
non ha desi deri. Labeneficenza? Ma o questi benefizi sarebbero il risultato di leggi generali,
o sarebbero eccezioni a queste leggi.
Nel primo caso le leggi generali
avrebbero per fine l'universalità e non
l'uomo in particolare, nel secondo si
toglierebbe a Dio il suo carattere
immutabile. Dopo questa succinta
esposizione dei principi di Aristotile
sopra Dio e l'ani ma umana, più non cirecherà sorpresa la foga con cui i nostri metafisici ten tano
di rimorchiare la filosofia all'idea lismo trescedentale di Platone. « Aristo
tile, scrive il Ravaisson, (Essai sur la
Metaphis. d'Aristote.) fondando il ge nerale sopra l'individuale, gli
toglie l' alto suo valore: l'essere
rimane isolato nella sua particolarità:
in natura altro non resta che divisione
senza misura od ar monia, Dio senza provvidenza, la vita umana senza scopo ideale: la bellezza e la poesia vanno in dileguo ».. ed è questo che sopratutto rincresce ai
signori metafisici ! Fa veramente meraviglia che un fi losofo così
poco religioso come Aristotile, abbia
goduto, eziandio nella Chiesa Cat tolica e perlunghissimo spaziodi tempo, una grande autorità. Tutta la scolastica fondavasi sull' autorità di Aristotile,
e tant'era la venerazione che avevasi
di lui, che nol chiamavano altrimenteche
il quasi che fuori di Aristo tile altro
filosofo non esistesse . Questo
entusiasmo per lo Stagirita in uomini che professavano principii tanto
con trari ai suoi, era ignoranza o voion tario acciecamento? Mala contraddizio
ne forse si spiega con due circostanze
che non devono trascurarsi nella que stione . Aristotile aveva nominalmente stabilita l'unità di Dio, e contro la moltitudine degli Dei del paganesimo, aveva spogliata ladivinitàdaogni antro
pomorfismo. Quest'era già un gran ser vizio che egli aveva fatto al cristianesi
mo, maforse non sarebbebastato a far
chiudere gli occhi sulla sua incredulità
se il suo libro della Metafisicanon fosse venuto ad ingarbugliare molte idee, che altrimenti sarebbero state assai più chia re.
Nel XII libro della Metafisica il lampo
del genio di Aristotile si spegne
affatto ed una densa nebbia par che
si stenda su tuttala suadottrina. Il con cetto del divino qui nuota inun
mardi parole senza senso: le formole si
succe dono alle formole e il pensiero s'oscura
sempre più. Questo libro ha potuto far
credere a molte cose che Aristotile non
credeva; tutti i teologi e i professori
di metafisica vi hanno dedicato i loro
studi, e nei commenti che hanno fatto a
queste formole, vi hanno distillata tutta la loro scienza. Gli è tanto dolce lo spiegare quel che non s'intende ! La Metafisica è stata dunque labase da cui l'ortodossia ha prese le mosse per spiegare tutti gli altri scritti del fi
losofo di Stagira.Dio,dice la fet fisica,
è eterno, perchè il movimento è eterno
(Ant. XIX. 6, 8). Non ha parti, perchè
è infinito (XIV. 9). La sua esistenza è
una pura speculazione. Qui caque il
Dio mondo di Aristotile comincia a ri
vestire la forma cristiana. Ma afirettia moci a dire, che il libro della
Moter quello si è appunto che la itica
biblio grafica da lungo tempo tiene in sospetto
come apocrifo e indegno del pensiero e
del nome di Aristotile.
L'incredulità di questo filosofo si ri leva a' altronde dalle accuse cri
andò incontro quand' era vivo, e dalle
perse cuzioni cui furono soggetti i suoi libri
dopolamorte.Se moltiscolastici tenevano
in alto onore Aristotile, nonmancarono,
per altro, degli ortodossi più avveduti
che previdero i pericoli di questo entu siasmo tutto pagano. Nel 1207 un
con cilio provinciale di Parigi proibisce di
leggere, si nelle scuole che in privato, i libri di Aristotile intorno alla
filosofia naturale, e sei anni dopo il
legato della Santa Sede, nel dare gli
statuti dell'uni versità di Parigi, rinnovò quella proi bizione estendendola
anche alla Metafi sica (Dubolay T. III) Questo fu un er rore, ma non durò
molto, poichè nel 1831' il papa corresse
la decisione del legato e tolse, com'
era ben giusto, il divieto esteso alla
Metafisica. Gregorio IX sospende i libri
di fisica, libris illis naturalibus,
finchè non siano purgati da ogni
sospetto d'errori ; ein unmomento molti
dotti vi si occupano intorno così bene,
che in breve gli errori scompaiono e i
libri sono ammessi dall' ortodossia. Ma,
o fosse che gli errori rinascessero ad
ogni tratto nei libri d' Aristotile, tanto n' eran zeppi, o fosse che i revisori a
vessero mancato di perizia dommatica,
fatto è che più tardi vediamo S. Tomaso
d'Aquino applicarsi, d'ordine d' Urbano
IV, a rivedere le traduzioni fatte sul te sto greco, e acommentarle egli
stesso con tanta scienza e dottrina, che
in breve del pensiero di Aristotile più
non vi rimase un punto. Ma gli errori
erano spariti, e la Chiesa dopo d'allora
più non vi trovò aridire. Anzi fu
appunto da quel mo mento che lo Stagirita sali in tanta fama, che il Nicolò Vcredette necessario man dare a
farsi una nuova traduzione latina di
tutti i libri d'Aristotile, e nel 1432 il
suo legato richiamando l'università di
Parigi all'osservanza delle prescrizioni
già date dai suoi predecessori, dichiarò
> Siccome, per altro,le
condanne, fos sero esse cattoliche oprotestanti, non hanno mai potuto vincere l'eresia, così era condannato per la mancanza dei |
s'intende che i Rimostranti non ces 4 50
ARTE sarono di insegnare e di
propagare le loro idee, si
moltiplicarono nelle pro vince Unite, e per evitare le persecu zioni dell'
Olanda si ritrassero nel l'Holstein e nella Danimarca e vi fon darono la città
di Fridericstad, dove si conservano
anche attualmente. Arnaldo da Brescia.
Eretico del XII secolo. Fu amico di
Abelardo e recossi in Francia per
assistere alle sue lezioni. Tornato in
Italia, si fe'mo naco e gli presevaghezza di insegnare, che i preti e i vescovi che possedes sero
beni stabili non potevano salvarsi. Non
ci voleva dimeglioper acquistare il
partito popolare, allora, come ades so, non troppo devoto ai pontefici; on de
Innocenzo II mandollo in esilio. Non si
tosto questo papa fu spento, Arnaldo
tornò in Italia, ove predicò contro il
suo successore, eccitando i romani a
ristabilire quell' antica re pubblica che li aveva fatti grandi da vanti alla
posterità. Arrise il pensiero al popolo,
il quale saccheggio il pa lazzo dei signori e costrinse il papa a fuggire; ma poco durò la suaindipen denza.
Dopo che Adriano IV ebbe po sto su Romal'interdetto, la città tornò alla Chiesa, e Arnaldo fu costretto ad uscire da Roma e a ricoverarsi nella Toscana. Ma arrestato poco di poi dalle genti del Cardinal Gerardo, venne ricondotto a Roma, ove fu condannato alla forca, il suo corpo ad essere abbru
ciato e le sue ceneri disperse al vento.
Lasentenzafu eseguita nell'anno 1155.
Arte (teoria dell' ). Fra le teorie
più oscure e men determinate che si
conoscano, quella dell' arte occupa
certamente il primo posto. Pure
sun' altra disciplinafu soggetta a tante
ricerche e a tanti studi quanto questa;
nes ma la sua oscurità e indeterminatezza non deriva tanto dall arte in se stes sa,
quanto dalle strane idee che la
metafisica e la religione concepirono
intorno alla teoria del bello, le con traddizioni della quale noi
esporremo nell' articolo BELLO. Proudhon definisce l'arte « una rap
presentazione idealista della natura e
di noi stessi, tendente al perfeziona mento fisico e morale della
nostra specie. » Questa definizione è in
gran parte esatta, e lo sarebbe in
tutto, se nel concetto di
rappresentazione idea lista non si rinchiudesse necessaria mente, o un
controsenso o un assenti mento estetico alle più strane aberra zioni dell' arte
rappresentativa (chè di questa soltanto
vogliamo parlare). La contraddizione è
evidente nel concetto dirappresentare
idealmente, perciocchè, o la
rappresentazione trova un riscon tro nella realtà, e allora è realee non ideale; oppure alla realtà si oppone e allora, aparlar propriamente, può dirsi ch' ella rappresenti qualche co sa? No
certamente, poichè quello solo si
rappresenta che esiste e la rap presentazione di ciò che esiste è rea le. Per
verità, suol dirsi che l'arte crea, ma
anche questa la è una di quelle figure
sconfinate, con che la rettorica suol
esagerare quei principii che son troppo
vaghi, per essere ben determinati.
L'arte non crea, l'arte copia; l'arte è
una pura imitazione. Certo, questa
pretesa potenza creatrice dell'arte, la
religione non ha mancato attribuire al
cristianesimo, e filosofi molti e uomini
d'ingegno non stettero in dubbio di
affermarlo. Ma di solito la metafisica
accieca e genera confu sione anche nelle intelligenze più po sitive, e l'arte
ha la sua metafisica non men che
lafilosofia! La metafisica hacreato il
classicismo estetico,il quale
allontanando l'uomo dellapura realtà
dellanatura, che è il vero elemento del l'arte, lo gettò fra
leindeterminatezze del convenzionalismo.
Quindi le idee estetiche si sono
capovolte: l'uomo si sforzò di trovar
bello, non tanto ciò che gli piaceva,
quanto ciò che rispon deva a certe determinate regole, le quali, se giovano poco all'arte, han no però
il merito di avere unagrande antichità.
E ciò che è antico impone ARTE sempre ai
vulgari e ai non vulgari; e un po' per
l'abito fatto a considerare come
piacevoli certe forme che piace voli nonsono, un po' per quella cotal dosedisaccenteriaper laquale ogniuo mo
ambiscedi mostrarsidotto e perito
51 > (Matt.). Edaggiungono,che lo spiritodimorti
ficazione è essenziale al vangelo ove i
digiuni di S. Giovanni Battista e di
Gesù sono ricordati con encomio (Matt.
IV. 2). Sidisapprovano soltanto quelli
che digiunano per ostentazione (VI: 16.
17). Gesù dice che vi son de moni che non possono essere discac ciati
senoncoll'orazione e col digiuno; non obbligò adigiunare i propri discepoli, ma predisse che di
ginnerebbero quand' egli più non fosse
con loro (IX, 15): gli apostoli si pre pararono col digiuno alle
importanti azioni del lor ministero
(Atti XIII, 2 Cor. VI. 5) ed egli stesso
digiunava (XI, 27) E concludono: se
dunque il detto evangelico « non ciò che
entra nella boccacontamina l'uomo
dovesse letteralmente interpretarsi,
Gesù si sa rebbe contraddetto insegnando il digiu no, e gli apostoli
l'avrebbero smentito
praticandolo,perciocchè l'astinenzadalle
carni non è che una forma di digiuno
men rigorosa dell'astinenza assoluta.
Econvienpur confessare che sopra
questo argomento i cattolici non ra gionano peggio dei protestanti, avve
gnachè gliuni egli altri abbiano torto e
ragione ad untempo, per laragion
chiarissima, che nel vangelo d'ogni
dottrina si trovano i contrari. Il fatto
vero è questo, che già prima dei cri stiani gli Orficie i Pitagorici si
aste nevano dalle carni e dal vino, e che Ori gene ci dice che nel terzo secolo
tale uso trovavasi già in vigore tra
molti fervorosi cristiani. Non è d'uopo dimostrare come que ste
astinenze siano nocive al corpo e
contrarie quindi ad unasana morale:
soltanto una medicina cieca e superti ziosa ha potuto venire in
soccorsO della religione, per mostrare
il lato igienico delle astinenze, quasi
che l'a stenersi da cibi in determinati tempi
e quando forse il corpo ne hamag gior bisogno, possaprodurre gli stessi effetti delle astinenze ordinate durante uno stato patologico del nostro corpo! Astrazione. L' astrazione è una delle più care e più usate prerogative della metafisica; ciò val quanto dire che ❘ella è
affatto contraria al metodo spe rimentale. L'astrazione non è tanto ri
provevole pel suo processo, quanto per
le erronee e fatali conseguenze acui con 'duce chi ne abusa. Se io
considero un corpo nella sua realtà e
secondo il me todo sperimentale, non posso escludere, come elementi di una esatta cognizione, i suoi caratteri essenziali, tali che la forma, il peso, l' impenetrabilità, il colore,
l'odore, il sapore, e tutte insomma| ficilmente compie il suo ufficio,
quanto le proprietà che cadono sotto i
miei sensi. Ma se ioelimino dalpensiero
tutti gli elementi della cognizione, e
nel corpo considero mentalmente un solo
aspetto, per esempio il colore, avrò
fatta una astrazione di tutte le altre
qualità sen sibili, e il colore, sebben confusamente, mi apparirà al pensiero come possibile a separarsi dall' idea del corpo che lo assume. Da qui la tendenzanei metafisici aconcretizzare gli attributi della mate ria e
a farne tante entità separate ein dipendenti dall' idea di corpo. Il
pericolo è infatti evidente. Se io
considero un corpo in movimento, e
quindi facendo astrazione dal corpo,
tento di riprodurre col pensiero l'idea
di movimento sepa rata da quella di corpo, mi troverò co stretto ad attribuire
a cotesto movimento una certa quale
entità, che possa farlo cadere nel
novero delle esistenze con crete. D'onde la creazione del concetto di forza, cagion del movimento,ed'onde ancora l' error metafisico di concepir
la forza separata dalla materia, mentr'
ella non n'è che l'attributo ( Vedi
FORZA e MATERIA ). Or si è appunto in
graziadi una cosi bella prerogativa
dell' umano intelletto, che la
metafisicaha arricchite le nostre
cognizioni con un numero in finito di così dette verità astratte, le quali hanno tutte tanta realtà quantane ha l' idea di movimento separatadall'or gano
o dal corpo che lo rappresenta. II
principio della metafisica, che ogni
astrazione dello spirito, presup pone qualche dato concreto,non potreb be
essere oppugnato dalla filosofia spe rimentale. Anzi, cotesta filosofia
tantè sicura di questa verità, che
fondandosi saldamente sul concetto che
ogni idea ne viene dai sensi,hanegate le
idee innate. (Vedi IDEE INNATE). Ma
dall' essere ogni nostro astratto
concepimento come unå cotal sorta di
riflessione delle cose este riori, non
ne deriva che tutte queste a strazioni siano vere. L'intelletto astra endo s'
allontana dalla realtà obbiettiva: piu
lontani songli avvenimenti o le cose ch'
essa si sforza di evocare; d'onde la
facilità con cui confonde l'uno coll' al tro fatto, e appropria ad una
cosa lé proprietà dell' altra. Se
pensando alle ali di un uccello, la
mente accoppia in quel momento una
figura d'uomo, io posso ben creare l'
immagine d'un che rubino, ma non nederivaper questo che essa trovi una concreta rappresentazione nella realtà, nè che in natura esistano tutti imostri creati dalla immaginazio ne; ma
piuttosto si troveranno nella re altà tutti gli elementi separati, che l'a
strazione ha insieme congiunti per for mare un nuovo essere. D' onde si
vede, che la sintesi dell' astrazione
non può essere ricondotta alla realtà,
senza il soccorso dell'analisi
sperimentale. Atavismo. Ilbotanico
Duchêne ha per primo introdotto nel
linguaggio scientifico questo vocabolo,
che fu poi adottato da Darwin ed è ora
divenuto pressochè universale. Indicasi
con questo nome quella tendenza che si
manifesta negli esseri viventi, a
riprodurre certi caratteri anatomici o
fisiologici od ezian dio patologici, che furono già propri dei loro antenati, e non sono più comparsi nei genitori. Ad esempio, la etisia più facilmente trasmettesi dall'avo ai
nipoti, che dai genitori ai figli, e
spesso lascia immune una o due generazioni,
per ri comparire nella famiglia. Ma nelle ere dità fisiologiche l'atavismo è
assai più frequente. Darwin ha citato
ungrannu mero di casi, nei quali vien dimostrata conmolta chiarezzaquesta tendenza, che hanno gli organismi a riprodurre le forme antiche, e il sapiente naturalista inglese si è giovato assai di questi
fatti per assegnare a certe specie di
organi smi i loro antichi progenitori. Spesso
nel cavallo notasi l'apparizione dei diti laterali, che fan credere che questo so
lipede derivi dall' ipparione, animale fos sile molto simile al cavallo, ma che
a veva tre diti. Altri nostri animali dome or è noto che la memoria tanto
piùdif- | stici, a quando a quando riproducono i ATEISMO caratteri dei loro antenati e, per esem pio,
in una razza speciale di buoi di Suffolk
i quali, in grazia di un certo
incrociamento, un secolo e mezzo fa si
sono ottenuti senza corna, di tempo in
temporiappaiono individui cornuti, i quali rivelano la tendenza a riprodurre questo carattere originale dei loro antichi an
57 contro l' ateismo. E convien
confessare chese il fatto fosse
vero,sarebbe, senon altro, una prova o
della grandissima e videnza della esistenza di Dio, o della intima rivelazione che Dio avrebbe in
stillato in ogni uomo della sua propria
esistenza. Ma il fatto non è vero, e la
pretesa universalità della credenzain Dio tenati. Darwin crede eziandio che le va
scompare tosto che la critica sincera e samina le prove numerosissime
raccolte rie forme embrionarie
attraverso alle qualipassa il feto
umano,nonsiano altro | dalla antropologiae dallastoria. L'atei che la
riproduzione delle forme tipiche degli
animali che l'hanno preceduto nella
serie degli esseri da cui deriva ( Vedi
EMBRIOLOGIA) e Vogt considera imicro cefali come una sorta di atavismo
scim miesco. che interrompe la legge di evo luzione. I casi di donne con
quattro e sei mammelle non sono rari, e
Darwin li spiega anch'essi come effetti
dell' a tavismo. Il quale al postutto vuol essere considerato siccome una legge contraria aquella di selezione (vedi DARWINISMO) imperocchè se questa, in grazia della varietà del clima, del nutrimento e del l'
incrociamento, tende costantemente a
trasformare i tipi, l'atavismo ha la co stante tendenza a mantenerli identici,
e or qua or là, manifesta la sua
potenza latente riproducendo, nel seno
stesso dei nuovi organismi, le forme
tipiche dei loro progenitori. Questa
potenza si rende an cor piùevidentenelregno vegetale, dove i tipi derivati che si ottengono senza l'in
crociamento (innesto), e per la sola va rietàdella coltura, inevitabilmente
ritor nano alle forme primitive tosto che si
cessa di coltivarle; la qual tendenza è
comune anche agli animali domestici, i
quali, se sono abbandonati allo stato sel vaggio, facilmente riprendono
i loro ca ratteri originali.
Ateismo.ParolacompostadaTeos,
Dio, e dallaparticella negativa a; d'onde a-teos, assenza di Dio. La teologia e la filosofia teologale finora non hanno po tuto
far di meglio che negare ostina tamente l'esistenza di veri atei, e fino ai nostri giorni fu questo ilmigliore ar
gomento che i credenti seppero addurre
smo è lo stato normale di una buona
metà di tutti i popoli dell' Asia. Non
havvi nella lingua cinese unaparola che
esprima l'idea di Dio; della quale as senza il signor Renandot trova
unapro va sicura nella iscrizione Cinese e Siriaca scoperta nel 1625. Gli Assiri, dic'
egli, che la lasciarono come un
monumento della loro missione, essendo
vissuti 146 anni fra i Cinesi non
nepotevano igno rare la lingua. E se
eglino avessero trovato nella lingua del
paese qualche parola che dinotasse
l'Essere supremo, certo l'avrebbero
adoperata invece della parola siriaca a
Cobo. Quindi è ch' essi hanno fatto
quello che gli spagnuoli dopo di loro hanno
dovuto ripetere nel ' America, adoperando la parola Dios per instruire gli Americani, i quali non ave vano
nè idea nè parolache esprimesse il
concetto di Dio . Per giungere
alla medesima dimo ❘strazione, il signor de la Loubère
si serve del seguente passo di Confucio,
il massimo filosofo dei Cinesi.« Per
quanto un uomo sia virtuoso, vi sarà
sempre un grado di virtù ch' egli
raggiungere non può. Il Cielo stesso e
la Terra sì grandi e perfetti,nonpossono
satisfare tutti a causa dell' incostanza
del tempo e degli elementi, diguisachè
l'uomo tro va contro di essi dei motivi di disgusto e d'indignazione. Laonde, se ben s' in tende
la grandezza dell' estrema virtù, si
dovrà confes are che l'universo intero
non può contenerne nè sostenerne il
peso > D'onde si vede che Confucio,
negando la possibilità dell' esitenza di
una virtù assoluta, implicitamente nega l'esistenza di Dio. ( v.
CONFUCIO). Perfino i missionari mandati
nella Cina non hanno potuto negare
questo fatto. S. Francesco Saverio riferisce
che i Bonzi del Giappone non volevano
cre dere che vi vosse un Dio, perciocchè,
dicevano essi, se ve ne fosse uno, i Ci nesi non l'avrebbero ignorato (
Epist. Lib. IV). Anche i gesuiti, tanto interressati a sostenere l'eccellenza dei Cinesi, le
buone grazie dei quali si erano
accaparrati, e n' usavano poco
cristianamente contro le missioni di
tutti gli altri ordini, fu rono costretti a confessare l' ateismo dei Cinesi. « I Cinesi, scriveva il padre An
tonio Gorefa, sono pieni di spirito, e
nondimeno finora sono vissuti nelle te nebre e nella più profonda
ignoranza dell' esistenza di Dio La setta dei
letterati, che condanna il culto degli idoli, non è, a parlare propriamente, che un Ateismo approvato dalle leggi dell' im pero
». Si los Chinas no son
Atheos, que Nacion ay o houve quelo sea!
esclama il padre Antoine di Santa
Maria. Contro queste ed altre numerosissime testimonianze, non mancano coloro i quali vogliono che le voci cinesi Tien e Xangti esprimano il concetto della di vinità;
e i gesuiti, infatti, nelle loro tra duzioni delle opere di Confucio
resero queste parole per Dio. Ma il
senso di que' vocaboli tant era lontano
presso i Cinesi di rendere fedelmente il
concetto della divinità, che il vescovo
di Conon con sua ordinanza del 26 marzo
1693 stimò bene di vietarne l'uso per
espri mere il vero Dio. Avendo i gesuiti ricusato di sottomettersi a questo divieto, ne nac que
uno scandalo; l' affare fu portato
aRoma, ove Innocenzo XII nominò una
Congregazione di Cardinali e di Teologi
per deciderlo. La decisione non fu resa
che sotto Clemente XI, il 20 novembre
dell' anno 1704, e confermava il divieto
del vescovo di Conon. Prima di pronun ciare questa decisione i membri
della Congregazione non avevano mancato
di prendere informazioni sui luoghi.
Tra queste informazioni vi è quella che
il vescovo di Bérite mandò al
cardinale Casanate, che qui rendo
testualmente: > Le prove adotte in questo articolo mi dispensano di confutare siffatte idee. Quanto alle ragioni ontologiche dell' a
teismo si troveranno nell' articolo Dio.
Per i filosofi che dopo aver avuto la
coscienza di Dio, lo negarono poi colle
leggi del ragionamento, veggansi inque sto Dizionario gli articoli:
CRIZIA, PRO TAGORA, BIONE, STRATONE, DIAGORA, LEU CIPPO, DEMOCRITO, LUCREZIO,
Fò, AVERROE, POMPONAZIO, RUGGERI,
VANINI, BRUNO, HOBBES, SPINOSA, TOLAND,
MESLIER, LA METTRIE, BOULANGER,
HOLBACH. Atomo. La parte più
piccola della materia, che non può più
oltre 3 60 ATOMISMO
essere divisa chiamasi molecola. Tut tavia la malecola è ancora
divisibile col pensiero, e l'ultimo
limite al quale colla divisione giunge
il pen siero, dicesi atomo. L'atomo è dunque
una astrazione, perocchè ragion vuole
che lo si suppongasenza dimensioni,
chènel contrario caso,il pensiero po trebbe ancora dividerlo
all'infinito. Vedi ATOMISMO) La
chimicamoderna ha adot tati gli atomi come formola convenzio nale, adatta ad
esprimerele più sottili combinazioni e
il modo di aggrega zione delle varie sostanze fra di loro. Si é infatti osservato che leproporzioni fra le varie sostanze che costituiscono i corpi, rimangono inalterate anche
nelle più piccole e intime parti del
corpo stesso, di guisachè, posto
peresempio come provato dalla chimica,
che lo zucchero constadi 12parti di
carbonio; 23di idrogeno; 11 di
ossigeno,se pren diamo la più piccola molecola di zuc chero, che ci è data
concepiree la di vidiamo in tre parti, troviamo senz'al tro che ognuna di
essenonconsta già interamente di una
delle tre sostanze componentilo zucchero,
ma bensì di 12 parti di carbonio,23 di
idrogeno, 11 di ossigeno, e che ogni
ulteriore divisione all'infinito
constasempre di una combi nazione simile. Orl'atomo nella chimica rappresenta appunto l'ultimo limite nel quale si suppone che le particelle di carbonio, d' idrogeno e d'ossigeno si separeranno senza combinazione. Onde si dirà, che dodici atomi dicarbonio,23 atomi di idrogeno e 11 di ossigeno costi
tuiscono unamolecola di zucchero. Tut tavia questa locuzione è errata, avvegna
chè gli atomi costituiscono spécialmente
un principio di ragione, che impropria mente si trasforma in corpo
materiale; motivo per cui molti chimici
d' oggidi abbandonano gli atomi
allafilosofiaspe culativa, e chiamano molecole tutte le parti più o meno piccole dei corpi, sieno esse semplici o composte, com binate o
no. (Vedi MOLECOLA) Atomismo. Sotto
questo nome generale s' intendono tutti
i sistemi filo sofici, i quali hanno per fondamento l'i potesi degli atomi, ossia
i corpuscoli impercettibili della materia.
Se noi pen siamo alla divisibilità infinita della ma teria, l'antitesi dell'
infinito contenuto nel finito,non può
ameno di presentarsi alla nostra mente
(Vedi INFINITO ). Ма pos siamo noi evitare questa assurdità logica? Fino a qual qunto dovremo noi pensare che un corpuscolo non possa ulterior mente
dividersi? Tali furono le questioni
generali che hanno originata la teoria
atomica. Secondo gli atomisti, ciò che
chiamasi atomo è essenzialmente semplice, e ciò che è semplice non può ulterior mente
dividersi. L'atomo è dunque úna
particella di materia elementare, imper cettibile e imponderabile; e
perciò ap punto che sfugge alla tangente dei sensi, essa rivelasi subito come una mera astra
zione. Epperò l'atomo è la materiaquin tessenziata, press' a poco com'è lo spi
rito; e l'aggregato degli atomi costitui sce i corpi. Ciò basta per farci
intendere che l'atomismo antico, nonostante
la sua tendenza al materialismo,
differisce dalle nostre teorie
molecolari in questo, che le nostre
molecole non sono semplici, e non
dissomigliano essenzialmente dai corpi
che compongono, non rappresentano
unconcetto metafisico, ma semplicemente
un concetto d'estensione, quella più pic colissima parte di materia che
ci è dato di immaginare. Sebbene la
teoria ato mica fiorisse nella Grecia ai tempi di Anassagora e di Democrito, ne troviamo però qualche anterior saggio nell' India nella setta filosofica detta dei Vaisechika della quale fu fondatore Kanada. Diceva questo filosofo, che se un corpo fosse veramente composto di un numero infi nitodi
parti, sarebbe vero il paradosso che fra
un grano di senape e unamon tagna non vi è alcuna differenza di grandezza, poichè l' infinito è sempre e
guale all' infinito. Per evitare questa
contraddizione supponeva egli che lama teria fosse un aggregato di
particelle elementari, eterne e
indivisibili; e tali ATOMISMO appunto
sono gli atomi. Questi sono ne cessariamente intangibili, poichè tutto ciò che cade sotto i nostri sensi è un composto e ciò che è compostopuò sem pre
dividersi: ma nondimentichiamo che
l'atomo è indivisibile. Gli atomi non
constano tutti della stessa sostanza. Ka nada supponeva che ve ne
fossero di quattro specie: terrestri,
acquei, aerei e luminosi: sono sempre
iquattro elementi della fisica antica.
La varietà di questi 61 Poco diversa dalla teoria del filosofo indiano è la teoria atomica dei filosofi greci. Gli atomi d' Empedocle, come quelli del filosofo indiano, sono di quat tro
categorie, e il principio superiore
dell' amore o dell' odio li fa congiun gere o li disgiunge. Nel sistema
di A nassagora gli atomi son detti omeo meria, e si distinguono in un
infinito numero di categorie, quante
sono le sostanze e perfino i colori che
vedia atomi costituisce i corpi, ma la loro
combinazione non è meramente arbitra ria e casuale, bensì è regolata da
una legge. La prima combinazione è
sempre binaria, cioè composta di due
atomi; la seconda formasi
coll'aggregazionedi tre di questi atomi
doppi; quattro atomi se condari formano una combinazione ter naria e così via.
Ora questo modo di combinazione, per
quanto sembri strano, non è poi molto
lontano dalla realtà, quale ci fu
rivelata delle moderne ipo tesi della chimica. Abbandonato il nu mero
progressivo degli atomi, che è una mera
astrazione, noi vediamo che ogni
cristallo è infatti un aggregato di
altri cristalli d' egual natura e forma.
Se, ad esempio, noi prendiamo una delle
più piccole cristallizzazioni del sale co mune, vedremo che ha la forma
di un cubo. Or quel cubo può decomporsi
in altri piccoli cubi, e ciascun di
questi in una quantità di altri cubi più
piccoli, e cosi di seguito fino all'
atomo che si suppone elementare. La
scienza è dun que venuta a convalidare, fino ad un certo punto, la teoria atomica. Se non che, mentre la teoria molecolare più modesta della prima, a questo punto si è fermata, limitandosi a concepire la molecola come la più semplice espres
sionedellamateriaimmaginabile; lateoria
atomica invece, ha voluto quintessenziare l'atomo e renderlo immutabile nell' uni
verso. Dopo tutto questo, Kanada, per
una sorta di astrazione, che non si sa
comeben si concilii colla semplicità e lementare dei suoi atomi, ha
ammessa un' anima distinta dal
corpo. mo. Ma è soltanto con Leucippo e
De mocrito che il sistema atomistico della
Grecia assume una forma più risoluta e
allontana, siccome ipotesi inutile, il prin cipio spirituale. Poichè gli
atomi sono semplici e riempiono tutto,
come potrebbe definirsi lo spirito, e
qual posto dargli? Se l'atomo è semplice,
e semplice è lo spirito, l'uno o l'altro
è superfluo, oppure l'uno si confonde
coll'altro (Vedi LEU CIPPO E DEMOCRITO). Mentre Anassagora aveva creato tante sorta di atomi quante sono le sostanze, Democrito, afferrando il gran principio dell'unità della materia, tutti li supponeva della stessa natura e sol diceva che i corpi differivano pel di
verso modo della loro aggregazione. Si
Leucippo che Democrito, ammettendo la
eternità degli atomi e del movimento
loro, escludevano esplicitamente la possi bilità della creazione. Ogni
cosa è for mata degli atomi e gli atominonhanno
principio nè hanno fine. Questa dottrina
fu ad un dipresso adottata da Epicuro
e cantata da Lucrezio coi suoi aurei
versi. Qui l'atomismo antico si avvicina
al materialismo moderno: non solo rico nosce l'eternità degli elementi
materiali, ma energicamente afferma la
realtà della materia. Verità triviale,
se si vuole, ma che non èperciò, cosa
incredibile ma pur vera, meno
contrastata anche ai nostri giorni (Vedi
BERKELEY, COLLIER е Ма TERIALISMO). Nei
tempi moderni l'atomismo rinac que con Gassendi, ma fu sistema scem pio,
perciocchè, fedele al domma della
creazione ex nihilo, tolse agli atomi l'e ternità, li fece decadere dal
grado di 62 AUTENTICITA principio a quello di fenomeno, e in tal senso la sua ipotesi diventava inutile. L'atomismo è invece passato nelle
scienze naturali sotto il nome di teoria
moleco lare, la quale, come già dissi, è benlon tana di considerare gli atomi
con quel carattere di principio
elementare che Cadivisioilità degli
antichi ad essi at tribuiva. Attrazione.
Newton hacosì chia mata la tendenza che hanno i corpi di attrar i fra di loro in ragione diretta delle ma-se e inversa del quadratodelle distanze. Quando questa tendenza eser citasi
fra i corpi celesti, chiamasi attra sione universale, o gravitazione; è in vece
attrazione molecolare o coesione quella
che si compie fra le molecole a distanze
infinitamente piccole. Filosoficamente
parlando, l'attrazione esprime un fatto,
non già una causa, onde sarebbe crroneo
il supporre, che essa fosse un certo che
di separatodalla materia in cui si
manifesta. L'attrazione è una forza, e come tutte le forze è un attributo nominale, non sostanziale,
della materia (Vedi FORZA). Attributo. Dicesi attributo ogni qualità o proprietà dei corpi, che ser vono a
meglio determinarli o a far ne conoscere l' essenza. Vi sono at tributi reali
ed attributi inetafisici; e ben si
capisce che questi ultimi hanno tanta
realtà quanto gli enti a cui si attribui scono. Così l'unità, '
attività, ' immor talità dell' anima sono attributi tanto veri quanto può esser vera la esistenza di quello spirito, che si chiama anima; come l' onnipotenza, la bontà e infinità di Dio sono subordinati all' esistenza
di di quello spirito che si chiama Dio.
Ma siccome sull' argomento degli spiriti
l'e sperienza se ne rimane muta, e siccome
d'altronde la metafisica nullac' insegna
che sia assolutamente dimostrato intorno
a questo argomento, così è chiaro che
gli attributi della metafisica mancano
di ogni dimostrazione. Non così
accade degli attributi reali, propri
della materia, i quali in qualche modo
cadono sempre sotto i nostri sensi. Anzi
tant'èlarealtà e l'evidenza di questi,
che spesso la metafisica li confonde e li innalza al grado di sostanze separate,
di entità metafisiche. Accade così del
mo vimento, del pensiero ecc. ( vedi questi
nomi) i quali, quantunque logicamente
non si dimostrino altro che attributi soe cialissimi della materia, la
metafisica li concreta in altre sostanze
cae stanno fuori della materia, e quindi
nel nulla. Anche l'idea generica di
forza, che la metafisica ha creato e la
filosofi speri mentale adottato per spiegare intelligi bilmente la causa dei
fenomeni, non si risolve, in ultima
analisi, che in un aturi buto della materia (vedi FORZA). Quindi è, che i soli attributi sui quali non
cade onon dovrebbe cader disputa, son
quelli stabiliti dalla fisica sperimentale
per i corpi, come sarebbero '
impenetrabilità, l'estensione, la
porosità, la divisibilità, il colore, il
sapore, il peso e tutte in somma le maniere con cui lamateria si presenta ai nostri sensi. Audeo • Audio. Nacque nella Mesopotamia verso la metà del quarto secolo. D' indole atrabiliare e di un esa
gerato ascetismo, soleva egli rimprove rare acerbamente la mollezza dei
preti e dei vescovi de'suoi tempi, ond'
era spes so svillaneggiato e talora anche maltrat tato. Denunziato all'
imperatore ed esi gliato infine nella Scizia, v' istruì molti proseliti, insegnò la pratica della vergi
nità e fondò monasteri colle regole del
viver solitario. Dall'ortodossia si distaccò in alcuni punti di dottrina, come nella celebrazione della Pasqua, ch' egli
faceva nel giorno stesso della Pasqua
dei Giu dei; poichè diceva che il Conciliodi Ni cea l'aveva trasportata nel
giorno na talizio dell' imperatore, per adulazione verso Costantino. Dopo la morte diAu deo la
sua setta fu governata da vari vescovi
fino alla fine del quarto secolo, col
quale si spense. Autenticità Vedi CANONE
E APO CRIFI. Per l'autenticitàdegliEVANGELI e
del PENTATEUCO vedansi questi nomi. AVERROE 63
Autorità. In filosofiadicesi auto- mente rimettersi all'autorità, in
quelle d'opinione, ha il dovere, per
quanto e meglio può, di far egli stesso
le sue rità quella testimonianza che l'
uomo dotto nelle specialità fa sulle
cose della scienza o dell'arte che gli
appar tengono. E per quanto rifuggasi in
buona filosofia dal prestar fede all'au torità, non può, per altro,
questa eli minarsi affatto, poichè niun uomo può essere dotto intutte le scienze, nè
tutto può sapere. Laonde, per quanto si
in culchi e s' insegni che l'uom deve da
se stesso accertare le cose a cui crede,
non può, per altro, escludersi che in
illazioni. Averroe. Pseudonimo di
Ibn-Ro scd. Filosofo arabo nato in Cordova
verso la metà del XII secolo. Egli fu
il primo che volgesse dal Greco
in arabo i libri di Aristotile, e i
suoi commenti sopra questo filosofo a
cui pro fessava grandissima stima, glimeritarono il sopranome di Commentatore. Aristo tile
sintetizzando tutte le forze di natura e
riducendole ad unità, n'aveva compo sto un tal simulacro di Dio, che nulla
di molti casi ei nondebba
necessariamente ricorrere all'autorità,
vuoi nellescienze storiche, vuoi nelle
fisiche o nelle ma tematiche, e rimettersi al parere di co loro che ne
trattarono con fondamento. Escludere,
infatti, l'autorità dalla storia sarebbe
quanto il negare la storia, però che noi
stessi non possiamo accertarci delle
cose passate; ma del pari non possiamo
conoscere per nostra espe rienza tutto ciò che riguarda le altre scienze, ond'è che inquelle parti nelle | di
assoluto, d' inalterabile, d'eterno, on quali ci riconosciamo manchevoli, dob
divino aveva. E fu con una cotal sintesi
cheAverroe, sorvolando a tutti i fenomeni della coscienza individuale, considerava il pensiero umano come la risultante di tutte le forze dell'universo, o come
parte o azione di una ragione
universalo, che, indipendente dalla
materia non poteva dirsi, ma nemmen che
le fosse soggetta. La ragione fu per
Averroe un cotalche biamo rimetterci
all'autorità di uomini competenti.
Abbisi soltanto l'avvertenza di non
confondere il parere di uomini
autorevoli con la vera dimostrazione,
però che, come ben dice il Romagnosi,
questi dotti possono essere interpreti
della ragione, non la ragione medesima.
Nè estendasi poi l'autorità loro invocata sopra una determinata cosa, a tutti i rami dello scibile, come spesso si suol fare, onde nascono i tanti abusi e le tante autorità effimere,che menano all'errore. Perocchè un uomo può es sere
autorevole in una scienza e non avere
autorità alcuna nelle altre, onde tutti
i grandi, si smarrirono quando uscir
vollero dai lorostudi. L'autorità
specialmente s'invochi sulle questioni
di fatto, poichè in quelle il giudizio di tutti gli uomini si accorda; madove vi è passione, o entusiasmo, o opinione determinata da un partito, l'autorità a nulla giova, perciocchè se nelle que stioni
di fatto l'uomo deve necessaria de inalterabile e eterna doveva essere l'umanità che partecipava ai privilegi
di cotesta ragione. Qui scambiando
l'essen za con la forma, Averroe troppo presto
dimenticava, che nessuna forma è inalte rabile e imperitura nell'
universo e che l' umanità deve
necessariamente seguire questa eterna legge
di evoluzione. Averroe non è
propriamente allascuo la esperimentale che vuol essere ascritto, ma negare non si può ch' eglinon tenda alquanto al panteismo. Perciocchè quella sua ragione universale, sintesi dell' uni
verso che s'incarna e s'individualizza
nella coscienza individuale, non ripugna
aquesta scuola. Come Aristotile,
dal suo Dio panteista aveva dedotta la
conseguenza che non vi può essere
relazione alcuna possibile tra
Dioelaspecieumana, così Averroe esclude
i preti e la teologia dal concorrere alla suprema felicità. La personalità finisce col corpo, e dopo la morte va per dendosi nel
mare della intelligenza uni versale, alla quale, non solo è affine, ma 64 BACONE
risale almeno a quattro secoli dopo.
Avicenna, pseudonimodi Jbn-Si anzi identica. Perciò, tutte l'anime in |
ribus, ma a torto, poichè quello scritto
nulla differiscono fra di loro, e l'orga nismo solo quello è, che
fadiversi gl' in dividui, che dà una personalitàpropria a Socrate diversa da quella di Platone. Or gli organi periscono, e l' anima, la ra gione
rimane inalterata e si confonde nella
ragione universale. Questa ragione è
eterna; come eterna è la materia; on de il creare e il risorgere son cose
del pari assurde. Per quel che si vede, non può dirsi che Averroe spingesse agli estremi le
sue negazioni. Pure, senza volerlo, fu
egli reputato, e restò per lungo tempo,
come na. Celebre medico arabo nato
nell'anno 880. Scrisse moltissime opere
filosofiche, dove illustrò i principii
dei peripatetici il capostipite dell'
incredulità. A lui si attribuirono le
più ardite opinioni e i più scettici
pensieri; da lui si intitolò la tendenza
al discredere. L'averroismo non fu
dottrinapanteistica o filosofica, ma pei
successori di Averroe fu ladottrina del con le massime della filosofia
araba. Ammetteva ' eternità del mondo,
seb benegli assegnasse unacausa efficiente,
Ja quale però non cadeva nel tempo;
l'anima voleva congiunta al corpo e la
sua perfezione consisteva per lui in
uno stretto legamecol mondo intellet tuale. Cadeva quindi nell' error
dei mi stici, supponendo che l'uomo tanto più
si fa perfetto, quanto meglio si allon tana dal mondo e si rivolge alla
spe culazione. Non pare però cheAvicenna
abbia messo in pratica le sue idee,
poichè spesso si abbandonò all'orgia e
mori infine d'una malattia d'intestini,
l'incredulità. Ad Averroefu attribuita la ❘ coi conforti della religione mussul redazione del libro De Tribus
imposto- mana. B Bacone(Francesco) Barone di Ve rulamio,
Cancelliere d'Inghilterra, fu fi losofo profondissimo, e di quanti merite voli
di tal nome siano stati, il meno o nesto e il men sincero. Avido di denari e d'onori ei non sempre curò di leal mente
esporre le sue convinzioni, sicchè le opere
di lui riboccano di passi scritti in
favore di una religione ch'egli ogno ra combatteva coi dettatidella sua filo
sofia. Fu egli che scrisse quel detto, di venuto famoso per esser stato poi ri
scritto da tutti gli apologisti, che poca
scienza conduce all'ateismo è molta scien zariconduce alla religione,
ondeil catto lico Ladvocat lo chiama dotto teologo, modesto storico, profondo giurista e gra
zioso poeta, e l'autoredelle memorie per
la storia ecclesiastica dice, ch'egli era un protestante molto propenso al cattolice simo.
Giova aggiungere però, che l' am missione nel pantheon cristiano di cote sto
uomo, fa un gran torto al cristiane simo. Se l' apparenza e la lettera
degli scritti di Bacone stanno per la religione, lo spirito delle sue opere è tutto
diretto anegare il sovranaturale. Nel
Trattato sulla natura delle cose e in
quello Dei principi e delle origini,
Bacone combatte fieramente l'antica
scuola del trascen dentalismo Platonico ed Aristotelico, e rendendo ragione a Democrito e ad E picuro,
egli fa sua la loro teoria atomica
eproclama che la materia è eterna ed
indestruttibile, che il mondo basta a se
stesso e che fuori del mondo non vi so no corpi. « Lamateria, diceva
Bacone, ha dessa un' origine? Ciascun
uomo che BACONE ragiona, per la
testimonianza dei sensi deve
naturalmente pensare che la mate ria è eterna (Principj edorigine). Essa è indistruttibile, impenetrabile. Siamo 65
coli, ed essa li produce asuo tempo per
una legge inevitabile (Dignità ed accre scimento lib. II. Cap. XIII). Or
come si concilia ella mai questa ardita
teoria disposti ad ammettere l'idea di
Erone che ce la rappresenta come
costituitada atomi separati da unvuoto
misto. Tutto cambianella forma, in
sostanzaniente si distrugge ed il volume
della materia re sta sempre lo stesso. Non si neghi l'u tilità delle ricerche
relative al primo stato degli elementi
od atomi; sonoque ste forse più importanti d' ogni altra. Esse regolano l'atto e la potenza, esse moderano l'immaginazione e le opere (Pensieri sulla natura delle cose). Altrove Bacone parla con molto di sdegno
delle cause finali, e vuole ope rare fra le scienze naturali e le teologi
chequel divorzio che oggimai si è com piuto, non senza grandissimi contrasti. Baggemio di Lipsia. Visse verso la metà del XVII secolo. Si disputava allora tra i teologi e i filosofi se Dio avesse creato il mondo per meglio far risplendere i suoi attributi, o se pure l'avesse creato per farsi rendere omaggio dagli Enti liberi. Baggemio avanzò una certa ipotesi nonmeno assurda delle al mase
parecchi anni. Ma essendo poi ve nuto amorte il superiore,Bacone seppe ingraziarsi il successore di lui, indiriz-
tre, e pensò che Iddio si fosse determi
zandogli, come segno di omaggio, uno
scritto sui mezzi adatti a fermare ipro gressi della vecchiaia. Poco di
poi Ba cone fu ridato alla libertà, manon molto
sopravisse alla sua liberazione, poichè era vecchio, e gli effetti del tempo, che vo leva
arrestare sugli altri, non aveva sa puto impedire sopra se stesso. Lafantasia degli scrittori moderni si è compiaciuta di trasformare questo mo naco
inun uomo di scienza incompa rabile, sol perchè egli fu perseguitato; ma le persecuzioni degli stolti non ba
stanomicaper innalzareun ingegno men che
mediocre finoall' altezza dei tempi
presenti. E che mediocrissimo sapere
possedesse cotesto frate, ce lo attestano i madornali errori e gli stupidi suoi pregiudizi nelle scienze naturali, nelle quali pur sempre si vuol dottissimo.
Egli insegna che con spermaceti, aloe e
carne di dragone puossi prolungare la
vita, e conla pietra filosofale
immortalarla; che la constellazione
dell' agnello ha una di retta influenza sulla testadell'uomo,quella del toro sul collo e quella dei gemelli sulle braccia. (Opus majus). Altrove
dice che la luce si fa per moltiplicazione univora ed equivoca, che quest' ultima genera il calore, e il calore la putrefa
zione. Gli fa troppo onore chi crede
ch'egli sia stato l'inventore della polvere, per un certo passo che si legge nel suo Opus Majus, ove si accenna al fuoco greco ead un certo fuoco, che facevano i bimbi di quei tempi, i quali mettendo del salnitro in una piccola palla grande un pollice egettandola sul fuoco, produ
cevano un rumore sì violento che sor nato ad agire per amore verso le crea
ture. Così restò bene assodato che, in
qualunque modo siconsidera,questo Dio
creatore non può sfuggire all' antropo morfismo. I teologi e i filosofi
gli attri buivano un vizio: l'ambizione d'imperare sopra dei sudditi, e di risplendere ai loro occhi; eBaggemio gl' imputò una virtu; virtù e vizi però che sono sempre
copiati dalla passioni umane e che in
nessuna maniera convengono all' Ente
assoluto. Bajo, o Bay (Michele) Nacque
a Malines nell'Haynaut nell'anno 1513,
fu ricevuto dottore nel 1550e nell'anno
se guente occupò lacattedra di Sacra Scrit tura nella università diLovanio. In
quei tempi ferveva vivissima tra i
cattolici e i protestanti la
controversia sulla grazia e la
predestinazione, e gli uni e gli al tri pretendevano di appoggiarsi sulla au
torità di S. Agostino, il quale, coi passi
scritturali, aveva dimostrato contro i pe lagiani, che l'uomo non può
far nulla senza Dio, che tutte le nostre
forze ven gono da lui, giacchè siamo corrotti e
nasciamo figli d'ira. Imperocchè, diceva
questo luminare della Chiesa, dopo il
peccato, l'uomo da se stesso è impotente
a salvarsi senza il soccorso della grazia divina, ed anzi senza questa grazia egli non avrebbe potuto perseverare nella giustizia originale. Condotto dallo
spirito dei tempi astudiare questa
questione, Michele Bajo credette di
rettamente in terpretare S. Agostino contro ilduro fa talismo divino di Calvino
e di Lutero, affermando, che la divina
giustizia non avrebbe potuto creare gli
uomini senza le grazie e le perfezioni
dello statod' innocenza. Pertanto, mentre S. Agostino tenete voi, ai calvani
sti, ai luterani, ai ammetteva che
eziandio una certa qual ❘ zuingliani ?- Io, ripeteva Bayle,
sono grazia sufficiente era necessaria
per sal- protestante,equindiprotesto contro tutti. varsi, Bajo ammise, che l'uomo creato Odiato
da molti, egli nondimeno co libero e giusto si è perduto per sua colpa, strinse i suoi nemici ad inchinarsi d' in e
che persolavolontàdilui persevera nella nanzi alla perspicacia del suoingegno
e colpa dopo la caduta. Bajo dunque,
con- a riguardarlo come il luminare del suo
tro Lutero e Calvino ammetteva il libero | secolo. Scrisse molte
opere,frale quali il arbitrio,
madifferiva dai cattolici in ciò, che
mentre questi lo fanno consistere nel
potere di determinarsi liberamente
Dizionario Storico-Critico, nelquale rias sume tutte le eresie e tutte
le opinioni della filosofia. Le scuole
dommatiche non senza alcuna necessità
esterna ed inter na, Bajo sosteneva che nel pensiero di S. Agostino il libero arbitrio consistesse in questo, che ' uomo non è esposto a nessuna necessità esterna, senza che in
ternamente egli abbiailpotere di deter minarsi per una cosa diversa da quella ch'egli fa.
Cotal divergenza di opinioni eccitò
serie dispute, specialmente da parte dei
religiosi dei Paesi Bassi dell' ordine di S. Francesco, i quali spedirono a Parigi dieciotto proposizioni del loro
avversario, che la facoltà di
Teologiacondannò. La sanno perdonargli
il metodo della sua critica, perciocchè
spesso assumendo la difesa di un domma,
ei lo circonda di tante difficoltà, gli
solleva contro le tante obbiezionidegli
antichi eresiarchi, espone le tante
fiate i difetti della ortodossia, che il
lettore,dopo un difficilissimo cam mino attraverso alle cento
controversie, giunge alla conclusione e
alla vittoria dopo aver perduto la fede.
Non è dun que senza fondamento che alcuno scrisse dilui : essere più fatali alla religione
le sue difese, che gli stessi suoi
colpi. Certo, questo sistema di critica
nè disputa non si acquetò per questo;
l'af- | sarebbe opportuno nè decoroso per la
fare fu portatod' innanzi al soglio ponti ficio, ove le proposizioni di
Bajo furono del pari condannate. Manon
andò guari chele stesse dispute, risorte
nella Spagna
conMolinaeGiansenio,minacciarono per
lungo tempo la pace e la tranquillità
della Francia (Vedi GIANSENISMO).
Bayle(Pietro)nacque a Carlat nella
contea di Foix e fece isuoi primi studi
di filosofia a Tolosa. Di nascita pro testante, egli per le insinuazioni
di un prete, giovane ancora, si converti
al cattolicismo, che abiurò dopo 17
mesi. Nel 1675 ottenne lacattedradi
filosofia a Sèdan, ma le calunnie del
ministro Jurieu lo costrinsero poco di
poia rifu giarsi in Olanda, dove fu nominato ad
altra cattedra in Rotterdam. Uomo di
costumi austeri e di studi profondi, pro testante di nome, non
apparteneva di fatto anessunareligione
positiva. A co loro che lo interrogavano sulla sua cre denza, rispondeva: io
sono protestante. Ma aqual comunità protestante appar flo moderna, ma noi dobbiamo pur concedere la lor parte al tempo ed Li costumi, perciò che quelle verità elementari che oggi non escono dai limiti della più modesta opposizione, po
tevano altre volte esser sommamente ar dite e pericolose per chi avesse osato
di vulgarle. D'altronde, non sempre il Bayle
fu timido e riguardoso, e in parecchi
luoghi del suo dizionario entrò in cam pagna quasi apertamente contro la
divi nità. Egli è specialmente nell'esame cri tico del Manicheismo che scuote
forte mente il principio dommatico d'ogni re ligione a tutto profitto dello
scetticismo, e dimostra quanto poco le
opere di Dio corrispondano all'idea che
dobbiam farci della sua infinita
sapienza, della bontà, della santità e
dellapotenza infinita. Egli esamina se
il mondo possa considerarsi come
prodotto da un sol principio, e
conchiude per la negativa. Ilmondo non
è perfetto: zone glaciali, zona torrida,
deserti spaventosi e mari immensi la 68
BATTESIMO rendono poco abitabile
; montagne e rupi la sfigurano; fulmini,
tempeste, terremoti evulcani la
sconvolgono; gli animali si combattono e
a vicenda si distruggono, e l'uomo
stesso, pieno di mali e di biso gni, non può considerare la sua storia che come una sequela di sventure e di rovine. Or, dice il Bayle toccando iquat tro
punti che formano il contrasto della sua
critica, la Somma Bontà può pro durreuna creatura rea? La SommaBontà può produrre una creatura infelice? La Somma Bontà congiunta aduna potenza infinita non dovrebbe forse colmare l'o pera
sua di tutti i benie da essa allonta nare tutto ciò che può offenderla o mo
lestarla? Invano si risponderà che le di sgrazie dell' uomo son conseguenza del
l'abuso della sua libertà: la sapienza in finita di Dio doveva prevedere tale
abuso: e lasua bontà doveva toglierlo.
Queste idee che il Bayle ripete nelle
sue Ri sposte ad un Provinciale, non passarono
inosservate alla filosofia religiosa, la
quale rispose per la boccadei suoi mas simi organi. Le Clere,
l'arcivescovo King, il Jacquelot, e il
Placete scrissero parec chi volumi per confutarla, e se vi riu scirono ce
l'insegna la storia dello spi rito umano, la quale ci dimostra,che le obbiezioni del Bayle sono la eterna anti tesi
che la ragione di tutti i secoli op pone ai pretesi attributi della divinità. Baralloti. Così si chiamarono al cuni eretici
di Bologna, altrimenti detti obbedienti.
Di loro non si sa altro, se non che
praticavano il comunismo così dei beni,
come delle donne e dei figliuoli.
Basilide. Visse adAlessandria cir ca 150 anni dopo Gesù. Non
potendo concepire come il bene e il male
deri vasserodauna stessa sorgente, immaginò
che Iddio avesse creata la Intelligenza,
questa il Verbo, il Verbo la Prudenza,
la Sapienza, la Virtu, i Principi e gli
Angeli. Gli angeli si dividevano in 365
ordini, ciascun dei quali aveva fatto un
cielo, e ' ultimo di essi la Terra. Gesù
era venuto per liberare gli uomini dalla
schiavitù in cui gemevano, aveva fatto i
miracoli che i cristiani narrano, ma
non si era guari incarnato, poichè, al
dir di Basilide, dell' uomo non aveva
assunto che le apparenze; nè egli era
morto sulla croce, poichè Simon Cireneo
vi era morto in vece sua. Questo amal gamadei principi di Platone e di
Pitagora con quelli dei Cristiani e dei
Giudei, nulla c' interessa, fuorchè in
questo, che le credenze di Basilide
provano come già nel secondo secolo si
negasse la realtà storica di Gesù.
Basilide lasciò una setta che da lui
prese il nome e si confuse coi
cabalisti. Battesimo. Il principio della
pu rificazione per mezzo dell' acqua è il più
universale che si conosca, siccome quello che dalla natura stessa e dalla igiene è consigliato. Perciò varie religiose
lavande troviamo instituite dagli
antichi, quali per gli uomini, qualiper
i templi e quali per gli animali; e la
triplice abluzione dei mussulmani
èpureunavanzo di que sti riti. Ma il lavacro considerato come segno di iniziazione noi lo troviamo pri
mamente instituito nell' India, culla di
Brama, dove i neonati, nei tre giorni
che succedono la nascita, devono essere
purificati nell'ondadel Gange, e i lontani nell' acqua lustrale santificata dal Bra
mino. Presso gli ebrei troviamo non
scarse instituzioni di sacre lavande; ma
l'acqua non è più segno d'iniziazione: il battesimo è di sangue e appellasi circon
cisione: il padre del bambino deve ta gliargli o fargli tagliare il prepuzio ne
gli otto giorni successivi alla nascita.
Più tardi, il battesimo d'acqua come se gno d'iniziazione ricompare fra
gli stessi ebrei colla settadegliEsseni,
posti lungo le rive del mar Morto, di
cui vogliono alcuni che Giovanni il
Battista fosse, se non partecipe, almeno
imitatore. Gli E vangelisti hanno cercato di inquadrarlo nei loro racconti comeunprecursoredel Messia, ma nonè senza insulto alla ve
rosimiglianza che questa predisposizione
può essere ammessa. Il Battista è per se
solo capo setta ed amministra il Batte simo senza preoccupazioni future.
Gesù BATTESIMO 69 stesso riceve questo segno d' iniziazione |
altro liquido, siavino o saliva. Alle quali
ed è nel Giordano, come già i bramini
nel Gange, che Giovanni dà il santo la esclusioni non si può negare per
certo un carattere assolutamente magico, e
vacro. Il bisogno difar primeggiare Gesù
sopra ogni altro personaggio della leg genda evangelica, ha indotto gli
evange listi a far comparire dei segni speciali | putata efficace al
Sacramento, perchè una grandissima
ignoranza degli ele menti chimici di cui si compongono i corpi. Avvegnachè se l'acqua è re nel
momento del suo battesimo, ma nel fatto
noi vediamo che non è primadella morte
di Giovanni che il preteso Messia
incomincia il suo proselitismo. Il batte simo era dunque stato perGesù
il mezzo di aggregarsi ad un partito già
costituito, del quale ebbe la direzione
dopo che fu decapitato il maestro, ma si
poca importanza egli dà a questo
segno, che non lo vediamo mai amministra
re il battesimo ai suoi proseliti. Ne
gli apostoli, nè i discepoli suoi sono
mai stati battezzati, nè mai battezza rono, e S. Paolo, che a
buona ra gione può dirsi il fondatore del cri stianesimo, continuando il
rito ebraico, circoncise ma non battezzò
il suo di scepolo Timoteo. Onde i cattolici scu sano questa ommissione dicendo
conS. Bernardo (Epist. 77), che non
potevasi imputare a colpa il non
ricevere il battesimo prima di una
sufficiente pro mulgazione delVangelo.
Nemmeno dopo Gesú e dopo itempi
nol sarebbero l' azoto e l'idrogeno on de l'acqua è composta, e perchè
non il vino, la saliva od altro
qualsiasi li quidonel quale l' acqua entracome prin cipale componente ? Ma se il Sacramento del battesimo era contestato in quanto alla sostanza, non lo fu meno in quanto alla forma. Nonconoscevasi nei primi secoli alcuna formola canonica: i più battezzavanonel nome di Gesù Cristo; il diacono Lisino battezzava dicendo: Cristo te illumini; e S. Lorenzovi aggiungeva: nel corpo e nell'anima. Alla validità del battesimo non reputavasi dunque necessaria l'invo
cazione della Trinità . La necessità di
questa formola comparve officialmente
nella Chiesa soltanto ai tempi del Con cilio di Nicea, il quale promulgò
un ca none ove prescrisse, che i Paulinisti ve nendo ammessinella Chiesa,si
dovessero ribattezzare perchè battezzati
senza l'in vocazione della Trinità (Canone 7.) Fu gran questione nella Chiesa per sapere se fosse valido il battesimo
amministrato della Chiesa apostolica
troviamo che i cristiani fossero concordi
sulla necessità di amministrare il
battesimo d'acqua. Perciocchè molte
sette negavano ogni Sacramento
sensibile, i Manichei dice vano l'acqua prodotta da un principio cattivo, e i Seleuciani, per quanto dice Tertulliano, ripudiando il Battesimo di | III
prescrisse essereinvalido il battesimo
acqua vi sostituirono quello del fuoco,
appoggiandosi a un passo diS. Giovanni
evangelista. Anche i Giacobiti, fedeli a
questopasso, furono soliti imprimere sulla colla formola prescritta, ma senzalepa role
che esprimessero l'atto, cioè senza
dire: io ti battezzo nel nome ecc. Tra
gli scolastici Pietro il Cantore e Pietro Lombardo il sostennero valido, altri lo negarono; maunaDecretaledi Alessandro fronte o sulle braccia del neonato un segno di croce con ferro rovente. La Chiesa ha però dichiarati nulli questi amministrato senzale parole esperimenti l'azione. Respinte cost apoco a poco tutte altre formole, questa sola restò ufficial
mente ammessa: Ego te baptizo in no mine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Intanto la semplicità primitiva del bat tesimo
andava scomparendo, e i ritima modi di battezzare, e nelconcilio di Fi-
gicichevisisoprapponevano dalla Chiesa,
renze e in quel di Trentodecretò l'acqua lo elevavano man mano al grado
di naturale essere la vera ed essenziale
ma- Sacramento indispensabile alla salute.
teria di questo Sacramento, escluso ogni | L'acquanaturale nonparve
materia suf 70 BATTESIMO ficente al ritod' iniziazione ;
s'incominciò acopiare l'uso pagano
dell'acqua lustra le, e la si volle benedetta; poi nonbastò la benedizione : si ordinò di soffiare
sulle acque, di unirvi il santo Crisma,
d'im mergervi dentro l'acceso cero pasquale ;
e a quest'acqua così benedetta attribui rono i padri la virtùmiracolosa
di mon dare le animedal peccato. Ma la neces sità di mondare i neonati dalla
macchia originale non ancora era
vivamente sen tita, e lo prova l' antichissimo uso di ministrare il battesimo soltanto
neigiorni solenni e per ministero
esclusivo del Ve scovo, il quale, se era assente, dovevail battesimo differirsi. (Chardon, Histoire du Bapt. I). La quale costumanza mal si concilierebbecon lasollecitudinedellaChie sa per
salvare le animepericolanti, nè am mettere sipuò che un vescovo solo bastas
seabattezzare in ognigiornotuttii neonati
posti sotto la suagiurisdizione. Provano
questa costante costumanza degli antichi
tempi, gli antichi battisteri sempre po sti in vicinanza
dellaCattedrale,e toglie ogni dubbiouna
lettera di S. Gregorio all' Esarca di
Ravenna, colla quale il Pontefice
esortava il ministro imperiale anon
detenere il vescovo d' Ostia, onde colà
non vi morissero i fanciulli senza
battesimo (v. Gregorio Epist. 32).
Nella Chiesa primitiva non battez zavansi i fanciulli, ma sì gli adulti;
e a quelli rifiutavasi il battesimo i
quali i struiti non fossero nei misteri della reli gione; onde in tempi più
vicinigli ana battisti tennero siccome invalido il bat tesimo dei fanciulli,e
fattiaduųli ribat tezzarono (vedi ANABATTISTI). Nei primi secoli i eandidati al cristianesimo dice
vansi catecumeni, nè venivano ammessi al
segno della iniziazione cristiana senza
molte prove e un lungo noviziato. Ilpa ganesimo aveva avuto i suoi
misteri, e alla nascente Chiesa sarebbe
parso disdicevole il non avere i propri;
onde ai catecumeni non rivelavansi le
cose arcane senza prima farli passare
per una lunga serie di iniziazioni.
Queste, per verità, non costumavansi nè
durante il primo, nè nel secondo secolo,
nei quali la Chiesa, ancor fedele alla
tra dizione apostolica, battezzava facilissi mamentechiunquechiedevadi essere
fatto cristiano. Ma la semplicità è
naturale nemicadella religione, la quale
sempre abbisogna d' arcano, onde i padri
del Concilio Illiberitano stabilirono,
che nes suno dovesse ammettersi al battesimo se
non dopo lo spazio di due anni di spe rimentata condotta. Durante questo
pe riodo il noviziato dei catecumeni era
diviso in tre gradi : di Uditori, di Ge nuflessi e di Competenti. I
primi dove vano uscir dalla Chiesa subito dopo la spiegazione catechista e prima delle preghiere comuni; alle quali assistevano i secondi, ma sempre genuflessi. I soli Competenti erano ammessi all'istruzione dei divini Misteri. Alcuino nella quinta Epistola a Carlomagno, ci trascrisseun saggio delle istruzioni che si davano ai Competenti prima di ammetterli al bat tesimo,
e lo toglieva dal trattato De
chatechisandis rudibus di S. Agostino,
onde siam sicuri che questa pratica già
era in uso nel quinto secolo. « I ca tecumeni, dice Alcuino, si devono i
struire sulla immortalità dell' anima e
della vita futura, della retribuzione dei buoni e dei rei, dell'eternità del
regnodei cieli e dell'Inferno..... si
debbono illumi nare sulla fede nella Trinità; sulla na scita, passione e morte
del Salvatore, e si darà loro una idea
della risurrezione dei corpi e della
seconda venuta di Cristo ». Quindi
icatecumeni erano am messi alla cerimonia dell' Ephata, che significa aprire, perciocchè dicevasi
che aprivansi le loro orecchie alla
disciplina dei misteri, non però a quella
dei riti, questa essendo riservata ai
soli battezzati. Poi, sottoposti
perunperiodo di tempopiù omeno lungo
alle austerità e alle opere di
mortificazione, davasi mano a libe rarli dalla potenza di Satana ond'e rano
invasi, perciocchè la Chiesa, fedele al
carattere demonologico del Cristiane simo, vedeva lo spiritodel male in
ogni uomo che non partecipasse alla comu
BATTESIMΜΟ nione dei fedeli.
Provvedevasi a questa importante bisogna
con gli esorcismi, i quali, come diceva
S. Cirillo, avevano una singolare virtù
per mettere in fuga il comune nemico :
liberati dal quale il Calvario di quei
poveri novizi non era per anco finito. Poco
prima di ricevere il battesimo facevasi
loro assaporare un po' di sale
esorcizzato acciocchè, come spiegò con
mistiche ragioni Rabano, fos sero premuniti dal fetore dell'iniquità e dalla putredine del vizio. Nè credasiche 71 il
velo sol quando entravano nell' acqua,
ma poichèdovevano fare tre immersioni,
necessità voleva che almeno due volte
sortissero dall'acqua, presente il ministro del Sacramento. Introdottosi l'uso di battezzare i fan
ciulli, la triplice immersione apoco a
pococadde indisuso,ma ipadrinidel bat tesimo si instituirono, siccome
quelli che aquesto punto il catecumenato
fosse fi nito. Tre scrutini facevansi nei primi
dovevano rinunziare a Satana in nome
del fanciullo, e per lui giurare la fede. Anticamente tre uomini e tre donne te nevano
al sacro fonte il battezzando ; il
concilio di Trento stabill bastare un
secoli e sette nella Chiesaposteriore, in sol padrino o una madrina
sola, o tut ciascun dei quali davasi ai novizi tut tociò che impararedovessero
a memoria, eintanto facevasi
inquisizione sulla loro t'al più l'uno e
l'altra, onde fra molti non si
contraesse affinità spirituale, condotta
e se fallato avevano durante ii
tirocinio, non rade volte avveniva che
fossero rimandati ai gradi inferiori.
Finalmente, ecco gli eletti ammessi
ancora a fare la rinunzia a Satana e
conformola evidentemented'origine pa gana, siccome quella che faceva
rinun ziare a colui che ènell'Occidente,e face
vastringerepattodiservitù col Sole della
giustizia, ripetere imisteri di Mitra in o nore del sole. Ma spiega S.
Cirillo que sto costume, dicendo che il patto strin gevasi colla parte
orientale perchè colà eravi il paradiso
terrestre, il che, per altro,
laBibbianondice; eadognimodo gli
orientali avrebbero dovuto stringere il
patto con l'occidente. Ho già detto che
nei primi secoli il battesimo si
amministrava per immersio ne. Uomini e donne affatto nudi immer gevansi nell'
acqua fino al collo, con quanto rispetto
pel pudore ionon saprei dire. Ma passata
la prima innocenza e venuto lo scandalo,
si pensò a togliere ogni pericolo; gli
uomini furono battez zati separatamente dalle donne, ma la immersione per gli uni eper le altre di venne
triplice. Furono allorainstituite le
Diaconesse affinchè spogliassero le don ne, le ungessero coll' olio e
uscite dal l'acqua le asciugassero erivestissero. Di cesi, èbenvero,che le
donne toglievansi la quale, come si sa, è
impedimento al matrimonio. ( Concilio di
Trento, Sess. 24.) Molte e singolari questioni la casi stica
teologale suscitò intorno al batte simo; madiquellaprimissimadel peccato originale saràdiscorso a suo luogo (vedi PECCATO ORIGINALE). Una delle questioni che più acrementesi agitò fra
icattolici, quella fu della validità del
battesimo conferito dagli eretici. La
chiesa antica lo riteneva nullo
efuronodi questa opi nione Agrippino vescovo di Cartagine, Tertulliano, S. Cipriano emoltissimi al tri vescovi
dell'Africa, che così decisero in tre
successivi concili, però che, di cevano essi, i separati dalla Chiesa sono considerati siccome pagani e inca paci
di esercitare il ministerio. Nono stante che lo Spirito Santo, come sideve credere, avesse inspirate queste
decisioni conciliari, papa S. Stefano
non si peritò di condannare la decisione
dei vescovi dell' Africa, sostenendo
bensì lamancanza degli effetti salutari
in quel battesimo, non la sua nullità.
Non per questo pie garono ivescovi alla infallibile decisione pontificia, perocchè convocato un terzo Concilio di ottantasette vescovi, confer
marono le precedenti deliberazioni. Sde gnato da questa opposizione, contro
S. Cipriano che n' era ilprincipale
autore, il papa scagliò la scomunica,
ilche non impedì ai suoi successori, sempre infalli- | il fanciullo, dice un
papa infallibile, ê bili, di
canonizzarlo. Fu antichissima
consuetudine della Chiesa orientale di
battezzare i cadaveri di coloro che
erano morti senza battesi mo, e questa pratica tant'era invalsa in oriente, che S. Gregorio Nazianzeno ri prese acremente
certi vecchi, che differi vano il loro battesimo fino alla decrepi tezza,
persuasi che questo sacramento, non
fosse essenziale alla salute. I seguaci
di Marcione solevano invece conferire il
battesimo a una personaviva,chelo ri ceveva in sostituzione del morto;
ma l'una e l'altra di queste pratiche
furono condannate dallaChiesa, dopo che
s' in cominciò acredere, che il Battesimo can cellava il peccato originale.
Anzi, dopo quel tempo tal fu
l'importanza che que sto sacramento
acquistò agli occhi della Chiesa,
ch'ella non stette in dubbio di
proclamare, che ove unebreo fosse stato
battezzato cadeva senz'altro sotto la sua temporale autorità, Egli è in grazia di questa dottrina che si sanci quel bru
talissimo costume del ratto dei figli, il
quale, pur troppo riposa sopra il con senso unanime di tutti iteologi «
I figli degli eretici e degli scismatici,
dice An toine (Teologia Morale Vol. II. pag.
169), si possono battezzare lecitamente
contro il volere de'parenti. Perchè i ge nitori per ragion del
Battesimosonosud diti della Chiesa e perciò si possono co stringere ad
osservare le sue leggi. Tolto il
pericolo della religione e dello scan dalo, si deve separare daiparentiilbat
tezzato, perchèsia istruito nella Cristiana
religione. > Del pari lasacra Congrega zione del Sant' Uffizio ha
deciso che il Battesimo dato al
fanciullo infedele con tro la volontà dei parenti, sebbene ille cito, è valido,
imprime carattere cristia no, e il fanciullo battezzato dev' essere educato da persone cristiane. (Decreto 30 marzo 1638, confermato il 3 marzo 1803). Ma se non è lecito battezzare i figli degli infedeli senza il consenso
dei genitori, possono però essere
battezzati gli infedeli adulti che lo
richiedono. E ordinariameute adulto e in
sua libertà epotere,
quandohacompitosette anni!!! (Lettera
diBenedetto XI, all'Arcivescovo di
Tarsi). Negasi da molti Teologi, ela
Civiltà Cattolica redatta dai gesuiti a
Roma, nei tempi in cui colà la stola
comandava, sosteneva contro l'autore
diquesto Dizio nario, che la Chiesa nonha mai appro vato il taglio cesareo
siccome mezzo le cito per estrarre il
feto dal seno della madre e battezzarlo.
Ma le testimo nianze sopra questo puntonon ci lascia nodubbio di sorta,e se
imolti e recenti casi dioperazione
cesarea fattadai preti nel Belgio, sopra
donne lacui mortenon era ancora certa,
non provassero da se soli il mio
asserto, le citazioni che se guono mi dispensano da altre prove. S. Liguori afferma: > Beghine. Così chiamansi nei Paesi Bassi quelle fanciulle o vedove,
lequali, per eccesso di religione,
raccolgonsi in sieme, e senza professare i voti pur vi vono con una regola
comune, quasi fos sero monache.Beghinaggidiconsi le case ove si raccolgono, e si narra che alcune siano così grandi e spaziose darivaleg giare
in ampiezza con le più grosse bor gate. Vuolsi che a loro sia derivato il nome da Begga, figlia di Pipino il vec chio;
e fra noi beghina è sinonimo di
pinzocchera. Bello. (Idea del).
Quali sono i ca ratteri dell' idea del bello? Vi è vera mente un bello
assoluto? Il bello è den tro o fuori di noi, è subbiettivo od ob BELLO biettivo? Ecco tre quesiti intorno ai
quali i filosofi speculativi hanno
scritto molti volumi e non riuscirono ad
altro che a confondere le idee, che
erano assai chiare prima delle loro
nebulose disputazioni. Intorno alla
prima domanda sentiamo cosa ne dice
Platone: « Quando l'uomo nei sacri
misteri vedendo un viso ornato 75 che and smarrito: ma ci rimane di lui un trattato sulla musica, ov' egli pone come fondamento dell' arte del bello que sto
principio: Omnis porro pulchritudinis
forma unitas est. Noi vedremo che S.
Agostino aveva più buon senso di tutti
insieme i filosofi della scuola pagana, e cheper una veramente strana coincidenza la scuola sensualistica ha ella pure sta
conforma divina, oppure qualche specie
incorporea, provadapprima unsecreto fre- bilito, che un de' caratteri
del bello è la mito ed una certa qual
tema rispettosa; divinità. egli considera questa figura come una quando l'influenza della bellezza entra nell' anima sua per la
via degli occhi, egli si riscalda: le
ali del l'anima sua si bagnano, perdono la lor
durezza, si liquefanno e i germi nascosti inqueste ali si sforzano di sortire per ogni specie dell' anima ». Intenda e am miri
chi vuole, quanto a noi troviamo, che
nulla è men bello di questa plato nica teoria del bello. Però se gli autori della scuola spiritualista devono essere riconoscenti a Platone per aver confinato l'idea del bello nella oscuraregione dei caratteri eterni, assoluti e divini, il
buon senso non devedimenticareche
anch'egli era infin costretto a
convenire, che il bello artistico si
fonda sul principio d'i mitazione (vedi ARTE), per la quale con cessione fatta
alla realtà, gli idealisti mo derni gli serbano un imperituro rancore. Questo principio della imitazione nel l'arte
fu pure ammesso da Aristotile, il quale
però vuol le cose naturali miglio rare, onde dice che la pittura deve rappresentare non ciò che è,ma ciò che essere dovrebbe. Era troppo giusto che la filosofia Alessandrina fosse più chePla
tonica: una filosofia che andò raccoglien do di tutte le scuole le parti
meno chiare (vedi ALESSANDRIA) sarebbe
stata incoerente, se per la bocca di
Plotino non avesse dichiarato che il
bello mate riale, non è altro che l' espressione o il riflesso del bello spirituale, e che la
vera bellezza non è che il trionfo dello
spirito sulla materia. Dopo la scuoladi
Ales sandria ' antichità tace fino a S. Ago stino, il quale compose un libro
sul bello varietà nell' unità. Quand' io
chiedo a un architetto, dice questo
padre della Chiesa, perchè dopo avere
innalzato un arco ad un lato dell'
edificio, egli ne in nalzi un altro all'altro lato, mi risponde che convien che cost faccia per amor della simmetria. Ma perchè la simme tria vi
par ella necessaria? Perch' ella piace.
Benissimo, ma ciò è egli bello perchè
piace, o piace perchè è bello? E qui S.
Agostino conclude, che una cosa piace
perchè è bella; ma noi vedremo
chesottoquesto rapporto egli s' inganna,
avvegnachè il bello essendo affatto sub biettivo non è tale, se non a
condi zione che ci piaccia, d' onde la varietà
deigusti e le perpetue contraddizioni del l'estetica. Egli però è assai
coerente quando, rispondendo all'ultima
questione, aggiunge che quei due archi
sonbelli per chè la loro duplicità si completa nell'u nità dell'edificio. Fa
d'uopo aggiungere ch'egli da questa
varietà nell' uno, vuol dedurre la conseguenza,che
al di sopra del nostro spirito esiste
una unità ori ginale, perfetta, eterna, che è regola es senziale del bello ?
Non sarebbe stato un santo se non
l'avesse detto. Nella Germania
Baumgarten è il pri mo che pretenda di separare la scienza del bello dalle altre scienze filosofiche,
per costituire la sua estetica. Kant
invece nella sua critica della facoltàdi
giudica re segue una via diversa, e con grandis sima penetrazione risolve la
tesi, se la idea del bello sia subbiettiva
od obbiet tiva. Molto ragionevolmente egli vuole che il bello non abbia alcun carattere assoluto, ma sia puramente relativo alle facoltà dello spirito umano: la sensibilità,
76 BELLO
l'immaginazione e il gusto, sono i tre
elementi che concorrono a formarlo e a
concepirlo. Ma la scuola germanica non
resta fedele alla tradizione di Kant. Ben presto vien Schelling, il quale vuol che l'arte sia l'accordo fra l'ideale ed il rea
le, l'unità del finito coll'infinito: ed He gel finisce per scombuiare del
tutto una nozione tanto chiara, ponendo
l'arte al di sopra d'ogni scienza
filosofica, come la sola rappresentante
del vero diretto allo spirito per
l'intermediario dei sensi. Pare che i
filosofi del secolo XVIII avrebbero
dovuto ritornare al concetto estetico la
suachiarezza, ma così non è: essi
scrissero poco o imperfettamente in torno aquesto soggetto. Per verità,qual che
lampo di buona critica appare nel l'articolo di Marmontel, inserito nell'En
ciclopedia, ma del resto son lampi rari,
troppo presto soffocatinelle sottilitàdella metafisica. Un curioso fondamento all'i dea
del bello era dato dall'autore del l'Essai sur lemerite etla vertu, (p.
48) il quale vuol che l'utile sia il
solo e l'unico fondamento del bello;
onde bel l'uomo quello è nel quale la proporzio nalità delle membra conspira
nel miglior modo possibile al compimento
delle sue funzioni animali. L'uomo, la
donna, il ca vallo occupano un postonella natura ed hanno speciali funzioni a compiere : or l'organizzazione è più o men perfetta o bella secondo che più o men bene si presta al compimentodiqueste funzioni. Del pari le cose più comuni,le sedie,le tavole, le porte tanto più ci sembrano belle, quanto meglio convengono all'uso cui sono destinate. Se noi spesso can giamo
di moda, ciò dipende perchè la
conformazione più perfetta relativamente
all'uso cui è destinata, è difficilissima a incontrarsi, e vi è in ciò una sorta di maximum che sfugge a tutte le finezze della geometria naturale o artificiale.
Da questa definizione Diderot non è
appagato e contro di essa vivamente
protesta. (Di derot, Recherches philosophiques sur
l'origine et la nature du beau, nelle
opere complete T. 2.). « Non vi è alcuno,
dic'egli, che non si sia accorto, che la
nostra attenzione principalmente si ferma, sulla similitudinedelle parti ancheinquelle cose nelle quali questa similitudine non contribuisce all'utilità. Purchè le
gambe di una seggiola siano eguali e
solide, che importa se esse nonhanno la
stessa forma ? L'una dunque potrà essere
di ritta e l'altra ricurva ? » Qui Diderot
ha pienamente ragione di porre la sim metria come fondamento del bello;
però non'si dimentichi, che se una cosa
può esser bella anche senza parerci
utile; quellainvece che è bella e utile
al tempo stesso è anche migliore: onde
si vede che l'idea dell'utile concorre
pure a for mare uno degli elementi del bello.
La scuola spiritualista moderna per
la bocca di M. Franck riconosce nel
bello tre forme principali, vale a dire il bello assoluto, il bello reale e il
bello ideale. L'assoluto bello risiede
in Dio, il secondo nella natura, che è
immagine e riflesso della beltà divina,
e il terzo nel l'arte. Dei primi due appena occorre ao cennare la contraddizione:
fra finito e in finito, tra spirito e corpo, tra Dio che non ha forma e ilmondo che è formato, non vi è relazione possibile, e chi dice che la bellezza del mondo, è il riflesso della bellezza di Dio dice una asinità,
e una frase vuota di senso. Più giusta
mente potrebbe anzidirsi, che la bellezza
del mondo è l'opposto della bellezza di vina, poichè il finito è
negazione, nonri flesso, dell' infinito ; la materia è nega zione, non
riflesso, dello spirito; ciò che muta e
si trasforma è negazione della
immutabilitàdivina; la varietà (una delle condizioni fisiologiche del bello) è nega
zione dell'unità. Dunque la definizione
spiritualistica non proverebbe altro se non che la bellezza del mondo è il contrario della bellezza di Dio, e che se il mondo èbello, non lo può esser Dio, o vice versa.
Quanto a quello che gli specula tivi chiamano bello ideale, ne abbiamo già esaminata la insussistenza nell'arti colo
ARTE. Ma finalmente, vediamo ciò che la
BELLO all'origine dell'idea del bello, i
caratteri 77 ragione veramente ci insegna intorno | il
piacere non il dolore dunque ogni
rappresentazione che ci disgusti sarà
brutta, e il contrario invecediremo d'ogni rappresentazione piacevole. Ma quali
sono del quale devono innanzi tutto
essere distinti dall' idea del buono,
perciocchè una cosapuò essere bella e
non buona e viceversa, ciò che è buono
non sempre è bello. Carattere essenziale
del bello è la rappresentazione reale od
ideale di una cosa, di un pensiero, di
un avveni mento; quindi a giustamente parlare, la vista, che è il solo senso il quale si ap
plica alla rappresentazione delle cose,
costituisce il senso speciale della scienza ) del bello. Invece, tutti gli altri sensi de
terminano il buono, onde diremo un bel
quadro, una bella statua, e non già un
buon quadro o una buona statua, in quantochè il quadro e la statua
sono rappresentazioni percettecol senso
della vista ; per la stessa ragione
diremo buono e non già bello un odore od
un sapore, poichè il gusto e l'odorato
sono sensi che producono innoi una
semplice modificazione, non già una vera
e propria rappresentazione. Quanto all'u
'i caratteri di una rappresentazione pia cevole? Ogni esercizio degli organi
cor porei, dice il signor Pouilly (Theorie
des sentimens agreables), che non li in debolisca, è un piacere. E
diciamo che non li indebolisca o nonli
offenda, poi chè in diverso caso il piacere si trasfor dito, parrebbe a tutta
prima che debba annoverarsi fra i sensi
del buono, in quantochè il suono per se solo nulla ci | zione o sensazione
tenuissima, è il men merebbe in noia e
in dolore. Non vi è melodia musicale,
per quanto sublime si sia, che udita per
una giornata intera, non finisca per
eccitare il tedio e pa rerci orrenda. Del parii colori sono tanto più belli quanto maggiormente sono il
luminati, cioè quanta maggior luce ri filettono sul nervo ottico, lo eccitano
e lo inducono all'azione. Egli è perciò
che i corpi, più vivaci ci sembrano più
belli degli oscuri, i lisci più belli
dei ruvidi, e fra i vari colori dello
spettro solare, dal violetto ascendendo
fino al rosso, la progressione del bello
aumenta sempre. Il nero che è assenza
d'ogni luce, e quindi rappresenta l'
assenza di sensa rappresenta, ma se riflettiamo che per mezzo dell' udito noi percepiamo la pa rola,
e che la parola eccita immagini e
rappresenta idealmente le cose già per
cette con gli altri sensi, comprenderemo
facilmente perchè un discorso dovrassi
dire bello e non buono. Del pari direm
una bella musica, una bell'aria, poichè
sebbene la musica compongasi di puri
suoni, pur ella eccita in noi pensieri ed affetti che ci rappresentano certi stati dell'animo nostro. Determinata così la vera distinzione delbelloe delbuono,vediamo qualisiano i veri caratteri del primo. Abbiam detto che il bello è una rappresentazione, ma nontutte le rappresentazioni sono belle; del pari nonbella si dirà l'assenza d'o gni
rappresentazione. Inostri sensi hanno
bisogno di agire ed è dall' azione loro
che a noi deriva lacoscienzadell'essere,
il piacere od il dolore; mabello diremo
bellodi tutti, e infatti a nessuno piaccion le tenebre. Per l'opposto principio, il bianco, che è il più luminoso, dovrebbe parerci il più bello d' ogni altro
colore, ma perchè troppo eccita lavista
e ancor l'offende, non tutticonvengono
in questo parere, tanto più ch'esso è
color comu nissimo; e per lo stesso principio che anche la melodia a lungo andare vien a tedio, così il color bianco, che vediamo
in ogni giorno e quasi ad ogni ora, ci
disgu sta. Aben apprezzarlo convien soggior nare nella oscurità, e dopo che i
fuochi di bengala gialli, verdi e rossi,
avranno per lunga pezza tediata la nostra
vista, ci accorgeremo facilmente qual
dolce sorpresa e qual piacevole
sensazione può recarci l' apparizione
diunfuoco e lettrico che irraggi d'ogni intorno la sua bianca luce. Certo,dopo alcun tempo la riapparizione del rosso ci parrebbe forse più bella di quella del bianco, e
78 BELLO
viceversa, ma questa apparente contra rietà di sensazione facilmente si
spiega riflettendo, che i nostri sensi a
poco a poco si abituano alle sensazioni
conti nue, vi si uniformano e perciò, dopo un
certo tempo,son meno adatti a perce pirle, o per meglio dire, tanto sono
de terminati a quel dato movimento, che
poco ne restano colpiti. Quindi un bello
continuato nonpuò essere continuamente
uniforme; conviene che le sensazioni va riino, e in quanto maggior
numero si succedono e in maggior copia
ci colpi scono senza offendere inostri sensi, tanto più ci sembreranno piacevoli. Egli è per questo che la successione di molti
colori èpiù bella della continuazionedi
un co lor solo, e quanti più colori noi vedia mo contemporaneamente, tanto più
il loro complesso ci sembra bello.
Onde qui si conferma il principio di S.
Ago stino, che l'essenza del bello consta della
varietà nell'unità; vale a dire molti co lori, o molte
sensazioni,inunsol spazio o in un sol
tempo. Quel chediciamo dei colori si
confer mapienamente nei suoni. Una sol nota
musicale può esser bella, ma due o più
note musicali son più belle ancora, poi chè in questo caso le sensazioni
si suc cedono e in un egual tempoci colpisco no inmaggior numero. Certo, può
dirsi che una sola successione di suoni
non basta a produrre l' armonia, la
quale è per i suoni, quel che è la
simmetriapei colori. I colori simmetrici
o i suoni ar monici si gustan meglio,poichè si con giungono e s'intrecciano con
una certa quale regolarità, la quale
viemmeglio concorre a formare nell' uno
il vario. Perciò diciamo, che i corpi
simmetrici son più belli degli amorfi,
ossia senza forma, ed è appunto su
questa regola che si fonda il bello
architettonico, il qualetanto più
avvantaggia quanto mag giormente la varietà delle forme, che producono varietà di sensazioni, può accoppiarsi con launitàdel concetto ge
nerale; onde sovente parlando di archi tettura si dice e si scrive l'armonia
delle lines e dei colori, come si dice
l'armo nia dei suoni. Aquesta
dimostrazione alcuni potreb bero opporre, cheove il bellomusicale po tesse
consistere in una armonia di suoni
succedentisi in maggior numero nel più
corto spazio di tempo, ne deriverebbe
questo assurdo, che un'aria dovrebbe es sere più bella quanto più
rapidamente fosse suonata. Questa però
non è che una contraddizione apparente,
che la fi siologia hagiàspiegata, ecerto i signori spiritualisti non la farebbero se non fos
sero soliti a cercare le loro definizioni
nelle nebulosità trascendentali, anzichè
nelle scienze positive. Sanno anche i
bimbi che le sensazioni, per quanto rapide esse siano, persistono nondimeno per qualche istante nel nostro cervello
(vedi SENSAZIONE) onde,adesempio,se
facciamo girare con gran velocità una
ruota a raggi, ci parrà tutta solida,
poichè prima che la percezione di un
raggio sia can cellatanel nostro cervello, l'altro raggio la rinnova senza lasciare intervallo. Anzi, se sopra una ruota solida disegniamo i colori dello spettro solare, e la
mettiam quindi in movimento con
grandissima velocità, tutti i colori si
confonderanno in un solo, perciocchè
prima che l' im pronta sia cancellata, l'altra le succede e si sovrappone; e la risultante di que sta
miscela saràuncolore bianco, poichè tale
è appunto il coloredella luce prima che
sia decomposta dallo spettro. Il fe nomeno è perfettamente identico per i suoni: quand'essisi succedono troppo ra
pidamente, si sovrappongono, per così
dire, l'uno all' altro senza lasciar tempo all'orecchio di percepirli
separatamente; anzi, nel suono il
fenomeno si complica maggiormente che
nei colori,poichè, seb ben nel nervo acustico isuoni persistano per un tempo infinitamente minore di quelloche i colorinelnervo ottico, pure possono, anche se percettiseparatamente, produrre disarmonia a cagione del di verso
numero di vibrazioniche i diversi suoni
producono in una eguale unità di tempo.
Onde avviene che, o la moltepli BELLO cità
delle sensazioni si confonde in una
sensazione unica e l'armonia della va rietàscompare, oppure
questavarietànon è, per così dire,
simmetrica, vale a dire che le
vibrazioni non stanno fra loro in giusti
rapporti di tempo e contrastano
perciòcolbello musicale.Diciam lo stesso
del bello architettonico. La sovrabbon danza dei fregi guastal'insieme,
poichè quand'essi sono soverchiamente
appaiati 79 tempi troppo brevi e abbondanza di fregi in spazi troppo piccoli. Per lo stesso principio quando ci riesce di accoppiare l'attività di un senso con la gradevole eccitazione di un altro, possiamo accrescere l'inten sità
del bello. Ecco perchè l'arte rap presentativa congiunta allamusica ne accresce l'incanto. Nel teatro noi ve etroppo
vicini, producono sibbene nel l'occhio una quantitàgrandissima di sen sazioni,
ma per essere appuntotroppe e troppo
molteplici fan lo stesso effetto come se
sisovrapponessero l'una all' al tra. Onde lasoverchia abbondanza è ge neratrice
di uniformità, in quel modo stesso che
su unacartaun gran numero di disegni,
anche simmetrici, ma infini tamente piccoli, produce una sensazione quasi uniforme nella quale la varietà, quantunque vera, o non è avvertita,o lo èmolto imperfettamente. Di questi dise gni
potrà farci avvertire la varietà il
microscopio, ilqualeingrandendo le parti
le allontana, e produce lo stesso effetto del rallentamento dei suoni in una me lodia
suonata troppo rapidamente. Così pure
potremo avvertire ilbello dei fregi in
un edificio soverchiamente adorno,
considerandoli separatamente ad uno ad
uno; ma in questo o in quel caso, il
bello dei fregi o dei disegni non egua glierà quella sensazione
puramente mol teplice che avremmo avuto, da un com plesso armonico. D'onde si
vede, che tutta l'estetica non si riduce
infine che ad una questione di
proporzioni di tempo o di spazio,
secondo che si tratti di musica o d'
arte rappresentativa. Trattasi cioè
d'imprimere ai sensi, in undeterminato
tempo o in un deter minato spazio, il maggior numero di sensazioni possibili, pur sempre evi tando
che la loro frequenzatolga agli organi
di percepirle tutte separata mente. A raggiungere questo intento si capisce subito quanto giovi la pro
porzione, e come convenga non pro durre inutili complicazionidi suoni in diamo e udiamo, onde la sensazione è doppia. Che se poi a ciò che si rap presenta
si aggiunge l'ideadi una bella azione o
di un grande avvenimento, tale che possa
svegliare nel nostro a nimo una dolcecommozione,se label lezza fisica
voluttuosamente ecciterà i nostri sensi,
e i profumi l'odorato, l'in canto di quella situazione sarà accre sciuto a
mille doppi, semprechè anche in
questavarietàdi sensazioni sia salva la
necessaria armonia delleproporzio ni, onde non avvenga che un senso non
siasoverchiamenteeccitato a sca pito degli altri. Ma oltre alle percezioni attuali, il cervello ha la facoltà di riprodurre, sebben più sbiadite, le percezioni pas sate.
Quest'è ufficio della memoria, ed è
questanostra attitudine che cimette in
grado di percepire il bello eziandio
nelle opere d'ingegno. Senzabisogno di
entrare nelleregioni astrattedellamé tafisica, basta un po'dinaturale
discer nimentoper capire,che anche inquesto
caso non abbiambisognodicercare un
senso speciale, o quel non so che, il
qual non si spiega, per giudicare i la vori dell'intelletto. Ilprincipio
che ab biam già posto in precedenza è giusta mente applicabile anchein questo
caso. Quindi diremo che un libro di
poesia o di storia, di scienze
filosofiche o na turali è tanto più bello, quante mag giori immagini, idee e
cognizioni ci presenta, e quanto
maggiormente, con l'ordine e la
chiarezza, al nostro in telletto le rende percettibili. Certo, si notano de' grandi sviamenti nei giudizi dei lavori intellettuali, e
non di rado si affetta un grande
entusiasmo 80 BELLO per libri che sono assai poco chiari e ancor meno comprensibili. Ma riflettia mo che
il bello effimero che certuni tro vano inquesti libri, iquali d'altronde
non intendono, non dipende da un vero
e intimo senso di piacere, sl piuttosto
dal pensiero della vera o supposta
difficoltà che l'autore ha dovuto
superare per raggiungere il suo
scopo.Non altrimenti si procede nel
giudizio di unacerta poe sia o di una certa musica classica, dove meno si ammira l'armonia quanto la difficoltà della esecuzione. Tutto ciò che abbiam detto vienpie namente a
conferma del principio di Kant, che il
bello è subbiettivo e non obbiettivo,
dentro di noi e non fuori di noi. Se
facciamo astrazione dai nostri sensi,non
vi è ragion di credere cheuna cosa sia
bella o brutta: per lanaturaîn generale
le cose non soffrono le acci dentalità della esteticae per essa ètanto bella enecessaria la putrefazione, che è Mase il bello è puramente subbiet tivo, su
qual fondamento i filosofi della scuola
idealista proclamano il suo carat tere assoluto? Per verità, se essi
fossero sinceri dovrebbero confessare
che quest'è un assoluto molto relativo,
poichè oltre essere quasi impossibile il
trovare due cervelli che pensino
egualmente intorno all'idea del bello,
si nota, che per rap porto ai medesimi sensi, una cosa può esser bella o non bella al tempo stes so. Per
esempio, coloro che sono af fetti da daltonismo (vedi questo voca bolo) vedono
rossi tutti gli oggetti di co lor verde, e per essi l' uno o l''altro di questi colori è egualmente bello, sebbe ne
sia provato che l'uno ecciti men dell'
altro il nervo ottico. La luce bianca
sarebbe un sollievo per chi essendo col pito dall' itterizia tutte le
cosevede sotto una tinta gialla; ma invece
chi è affetto dal mal d'occhi l' ha in
orrore. Comepoi si accordino gli uomini
an principiodi vivificazione,quanto lo sonoi che nello stato di sanità intorno
a que capolavori dell'arte odell'ingegno. Ilbello sto assoluto bello, è cosa
che fu già le non esiste fuorchè in
relazione ai nostri cento voltedimostrata dall' antropologia sensi: i capolavori della pittura e della
moderna. Cheledonne abbianoi piedi pic musica,nonmen che quellidellascienza,
coli sì che appena possano camminare
nonsono belli se non inquantovi siano barcollando, è cosa che può parer
bella occhi per vederli, orecchi per
udirli o acerti Cinesi inventori delle scarpe di cervelli per pensarli. Oltre queste condi-
ferro per impedire l' aumento delpiede.
zioni puramente relative, l'esteticascom- Ma i Malesi i quali avrebbero
moltodi pare, e nel senso assoluto la musica o sprezzo per questa usanza,
schiacciano la pittura non sono altro
che vibrazioni congran cura le cartilagini del naso ai più o meno rapide, più o meno armo- loro
figli, poichè come mai un uomo niche
dell' aria o pur dell' etere; il che può esser bello se non ha schiacciato
il sarà dimostrato all' articolo
SENSAZIONE. naso? Fra i negri più nera è la pelle, Questa stessaconsiderazione è quella che più
belli si è, onde si narra che una ci
conduce a considerare il bello come giovane australiana sedotta da un bian
subbiettivo e non obbiettivo, vale a dire co, ebbe un figlio la cui tinta
chiara piuttosto come una proprietà
delle no- offendeva gravemente ilsuo materno sen stre percezioni, anzichè uno
statovero e timento della beltà fisica; motivo per cui reale delle cose. Infatti, se il bello fosse
ellalo fregava soventi volte con grasso una
qualità estrinseca fuori di noi, i ca- e nero fumo per dargli una tinta
più ratteri della bellezza dovrebbero
essere carica. Quella giovane sarebbe stata un
eguali per tuttigliuomini, imperocchèciò prezioso professore dell'
assoluto estetico cheèbello
intrinsecamente, è anche bello pei nostri idealisti. Dice bene Voltaire: nelsenso assoluto, nèdeve cessare di esser
chiedete a un rospo checosa siailbello,
talesolperchè vienconsiderato al polo o il supremo bello, il toKalon? Vi
rispon all'equatore, inquestooin un altro mondo.deràche è lasuarospaggine,conduegros
BENE si occhi rotondi, uscenti dalla sua
pic cola testa, un collo largo e piatto, un
ventre giallo, un dorso bruno. (Vedi an chegli articoli BENE E BUONO). 81
giovamento altrui. Il piacereod il do lore rimangono tali, qual pur si
sia la Bene. Disputasi dai filosofi per
sa pere se il bene sia identico al Bello e
al Buono e se possa darsi un bene
brutto omen che aggradevole; ma per
la nostra filosofia la questione appena
posta è subito risolta, imperocchè non
ci vuol molto acume per capire, che se
il Bello e il Buono, come è a suo
luogodimostrato, (vedi BELLO E BUONO)
non sono altro che una eccitazione
piacevole dei sensi, questo piacere sia
per se stesso intrinsecamente unBene,
come è male ogni sensazione disag gradevole o dolorosa. È dunque
ovvio il dire che il bene altro non è
che l'effetto, o la conseguenza del
bello o del buono, od altrimenti, se
meglio piace, che il bello e il buono
sono le forme generatrici del bene. Epervero, non vi è uomo almondo natura della causa da cui derivano o del fine a cui tendono; onde non ces sano di
essere un bene, od un mal fi sico, ma possono invece cessare di es sere un bene
o un mal morale. La ra gione è questa,che nel male o nel bene fisico si considera un sol termine, il subbietto che li prova, mentre nel bene o nel mal morale si considera anche l'obbietto per le conseguenze che pro
ducono.Infatti,ilben morale non consi derasi soltanto nell'individuo, ma
nella società, ed è la somma dei beni
indi viduali che produce il bene sociale.
Ora, un bene che giova all'uno e nuoce
all'altro, quando lo si considera collet tivamente, cessa di esser tale,
poiché nel concetto morale entra l'idea
di rapporto: non sono più solo a consi
derarmi, ma devo considerare anche gli
altri, onde ciascuno avendo la parte
che gli spetta di diritto nei godimenti
della vita, possa prodursi quel massimo
di bene collettivo che chiamasi utilità
che sia disposto a chiamar bene uno
stato doloroso, astrazion fatta dagli
ascetici, ai quali convien lasciare la li-❘ sociale. Ma il regolare questi rapporti bertà, com'è lor costume, di capovol gere
tutti gli argomenti della logica, è
ufficio della morale. (Vedi MORALE). Qui
convien esaminarese esista ve e di chiamar bene il soffrire, e male il godere. Di cotesti ragionamenti da menteccati non può far caso una sana filosofia. Però, anche da coloro che di
sapprovano l'ascetismo suolsi commet tere lo stesso errore, quand'essi'ci op
pongono che un godimento, procurato
conmezzi immorali, è un male,e unbene
invece il soffrire per amor della giu stizia. Così ragionando costoro
non si avvedono di aver cambiati i
termini delladiscussione, giacchè il
bene fisico eil benmorale non sono mica
la stessa cosa,comecomunemente sicrede
perli dentitàdelnome.Einfatti,un godimento
non cessa di essere intrinsecamente un
bene fisico quand anche sia procurato
con mezzi disonesti: e seio soffro per
la felicità degli altri, uiuno dirà che
l'atto del soffrire cessi di essere in ramenteunbene assoluto, quel
Sovrano bene che i filosofi speculativi
di tutti i tempi ricercarono colla
stessa osti nazione e colla medesima fortuna degli alchimisti in traccia della pietra filo
sofale. Ma avendo noi distrutto il bello
e il buono assoluto, ben s'intende che
anche il bene deve seguire la stessa
sorte. Invero, se il bello e il buono
produttori del bene, variano secondo il
clima, gl' individui e le abitudini, non
si sa perchè quest'ultimo, che è acces sorio, non dovrebbe seguire la
sorte dei due concetti principali.
Certo, noi ve diamo che non tutti gli uomini si ac cordano intorno al concetto
del bene: secondo che l'uno o l'altro
organo siano in questo o quell' individuo
più o meno sviluppati,ilcarattere del
bene cambiaesi manifesta in questo oin
quel trinsecamente un male solperchè è
di | modo. Pelgastronomo non vi è felicità
6 82 BENTHAM maggiore di una buona tavola; ma il lussurioso sol uell'amor sessuale vedrà il suo bene; invecenullapuò eguagliare lafelicitàdell'uomo di scienza, che
fauna scoperta. Ed è appunto da questa
di versa maniera di concepire il bene
che derivano le varie tendenze degli
uomini, e i vari modi con iquali i di versi popoli hanno immaginato il
Para diso. Ma non solo l'idea del bene cam bia secondo gl'individui, ma
eziandio nello stesso individuo cambia
secondo il tempo ed i bisogni, onde
ilprincipio della varietà, che è uno dei
caratteri essenziali del bello e del
buono, lo è pure del bene; novellaprova
della loro pel molto che gli restava
ancora. Or se questo sovrano bene nol
si trova nè fra i diversi uomini, nè
nello stesso paese, nè nello stesso
uomo, ci sarà pur forza convenire
ch'esso non esiste in altro luogo che
nel mondo archetipo di Platone, dov'
egli pone le idee assolute del Bello
delBuono, e del Bene,come se fossero
cose esistenti per se stesse e non un
semplice rapporto degli organi umani
colmondo esterno. Lateologiamoderna,e
perfinolafamosa Enciclopediadel secolo
scorso(art. Bien, par Yvon) ripongono in
Dioil Sovrano Bene; ma qual sorta di
bene è egli mai quello che non si vede,
nè si tocca, nè identità. Anche nel
concetto morale il | cade in alcuna guisa sottoinostri sensi? principio della varietà è necessario, e
L'assenza d'ogni piacevole o dolorosa in
quella stessa guisa che gli organi sensazione sarebbe forse mai il vero dei sensi si abituano e finiscono per Bene?
Se così fosse, lamorte sarebbe diventare
quasi indifferenti ad una sen- allora da preferirsi alla vita, il nulla sazione anche piacevolissima, così il
all'essere, e i più grandi filosofidelmon-lo
pensiero si abitua e diventa indifferente sarebbero i Buddisti,
inventori del nir ad un bene provato o posseduto troppo vana, ó della finale
annichilazione di
lungamente.Plutarconell' opuscolodel- ogni pensiero. (Vedi
RUDDHISMO). la Tranquillità dell'animo,
ci narra che Aristippo, costretto a
perdere unadelle migliori sue terre,
s'incontrò con un de'suoiamici, il quale
con molte espres sioni di condoglianza volle esprimergli | |
Bentham (Geremia). Nacque a
Londra nell' anno 1748, fello
stesso paese, nè nello stesso uomo, ci
sarà pur forza convenire ch'esso non
esiste in altro luogo che nel mondo
archetipo di Platone, dov' egli pone le
idee assolute del Bello delBuono, e del
Bene,come se fossero cose esistenti per
se stesse e non un semplice rapporto
degli organi umani colmondo esterno.
Lateologiamoderna,e perfinolafamosa
Enciclopediadel secolo scorso(art. Bien,
par Yvon) ripongono in Dioil Sovrano
Bene; ma qual sorta di bene è egli mai
quello che non si vede, nè si tocca, nè
identità. Anche nel concetto morale il | cade in alcuna guisa
sottoinostri sensi? principio della
varietà è necessario, e L'assenza d'ogni piacevole o dolorosa in quella stessa guisa che gli organi sensazione
sarebbe forse mai il vero dei sensi si
abituano e finiscono per Bene? Se così fosse, lamorte sarebbe diventare quasi indifferenti ad una sen-
allora da preferirsi alla vita, il nulla
sazione anche piacevolissima, così il all'essere, e i più grandi
filosofidelmon-lo pensiero si abitua e
diventa indifferente sarebbero i Buddisti, inventori del nir ad un bene provato
o posseduto troppo vana, ó della finale annichilazione di lungamente.Plutarconell' opuscolodel- ogni
pensiero. (Vedi RUDDHISMO). la Tranquillità
dell'animo, ci narra che Aristippo,
costretto a perdere unadelle migliori
sue terre, s'incontrò con un
de'suoiamici, il quale con molte espres sioni di condoglianza volle
esprimergli | | Bentham (Geremia). Nacque a Londra nell' anno 1748, fu giureconsulto e filosofo distintissimo, e la
convenzione la pena che ne sentiva. «E
perchè do vrò io affannarrmi di questo, rispose
Aristippo, e perchè devi tu dolertene a
mio riguardo? Tra tutti i tuoi beni
non è egli vero che tu non hai che un
piccol podere, e io ne ho tre tuttavia,
e maggiori ? Ciò è vero, rispose l'anti co. Ben dunque avrei maggior
ragione, rispose il filosofo, di
compiangere la tua fortuna, che
tunonl'abbi di afflig gerti della mia >. É proprio questo il caso di dire che seAristippo aveva ra gione,
anche l'amico suo non aveva torto;
poichè se era vero che il filo sofo, relativamente al suo amico, pos sedeva
maggior somma di beni; era altresì vero
che la continua tranquil lità di quel possesso si era fatta a bito in lui, onde
soffriva più del po co che perdeva, di quel che godesse francese lo tenne in tanto onore, che durante uno de' suoi viaggi nella Fran cia
volle rimeritarlo col titolo di citta dino francese. Mori nel 1838
ordinando nel suo testamento, a
disprezzo dei pre giudizi, che il suo corpo fosse abbando nato agli anfiteatri
d' anatomia. Bentham fu colui che diede
lapiù forte spintaalla riforma dell'
amministrazione della giu stizia ; ma sopratutto vuolsi considerare in lui il filosofo fondatore dell' utilita
rismo, di quel principio, che la mo rale desume dall' utile o dal danno,
il quale se ad alcuni può parere
assurdo, non cessa perciò di essere men
vero. Nel sistema di Bentham la sola dif
ferenza possibile fra l'una e l'altra a zione consiste nel maggiore o minor u
tile ch'ella reca alla società, o nelle con seguenze nocive che ne derivano.
Dic'egli (Introduction aux principes de
la mo rale et de la législation) che tutte le BERENGARIO 83
azioni dovrebbero esserci affatto indif- | sul preteso diritto che ha la
società di ferenti ove non potessero
darci del pia cere o del dolore. Ricercare l'uno e l'altro evitare, incoraggiando o
vietando le azioni che li producono,
ecco qual è lo scopo vero della morale.
Questo prin cipio parve a Bentham tanto evidente, ch' egli lo pose siccome assioma, la cui verità non ha nemmen bisogno di es sere
dimostrata, e quest' assioma costi tuisce il criterio cardinale del diritto
di punire. La legittimità, la giustizia,
la bontà, si confondono quindi in quest'
i dea dell' utile, il quale è la veramisura
del valor morale di tutte le azioni. Or
vendicar l' oltraggio, egli non considera la pena altrimenti che sotto il rapporto del maggiore o minor utile che può re care,
vale a dire della minore o mag giore attitudine ch'essa ha di prevenire i delitti. Sopra questo argomento gli studi di Bentham fatti allo scopo di e
saminare il maggiore ominore danno di
una data azione, e l'utilità di una data
pena nei vari casi della vita, non sono
men profondi che curiosi.Nella sua Teo ria delle pene e delle
ricompense, vien nella conclusione, che
unadata penanon sempre può convenire
alla medesima a ' utile degli individui è la maggior❘zione, imperocchè dovendosi cercare di somma di felicità a cui ognuno possa arrivare; e ' utile della società è la som ma
dell' utile di tutti gl' individui che
la compongono: la morale dunque non
non può nè deve avere altro scopo che
quello di produrre il maggior bene pos sibile, così per gli individui
come per la società. Bentham esamina quindi, se questo criterio possa applicarsi ai sistemi che considerano la morale sotto un aspetto opposto a quello dell' utilitarismo, e tro va
che questi sistemi son due: uno asce tico, e l'altro che si fonda sopra sem
plici idee di simpatia o di antipatia. II
primo considera bensì negli atti umani
le conseguenze piacevoli o dolorose che
renderla proporzionale allo scopo che si
vuol raggiungere, bisogna ch' essa vari,
non solo secondo l'età o il sesso, ma
anche secondo il clima, l'educazione, la professione, la razza, la natura del go verno
e della opinione religiosa. L'
eccletismo francese, il qual fonda la
morale sopra un principio ch'esso stesso
non sadefinire, ha cercato di com battere Bentham, ( Vedi Jouffroy, Droit naturel t. II. leçon 14) ma non è riu scito a
distruggere pur uno dei principii
cardinali dell' utilitarismo inglese, il. quale, nei nostri tempi, ha trovato un novello e potente alleato in Stuart
Mill. Berengario. Nacque a Tours sulla fine del secolo X. Fu maestro delle pubbliche scuole in Tours, poi Arcidiacono, ed uno degli avversari del dommadella Transubstanziazione. Con ne
derivano, ma odiatore com'è d' ogni
felicità presente, chiama buoni quelli che producono pena o dolore, e cattivi de nomina
quelli che generano il piacere. tro Pascasio che nel IX secolo aveva Il secondo sistema invece considera gli atti umani senza alcun riguardo al bene o al male che possono produrre, eli classifica puramente secondo certe tendenze di simpatia e di antipatia, di cui mal saprebbe spiegare la cagione, e che riposano sui pregiudizi sociali e sul
l'abitudine. Posti questi principii, è
naturale che Bentham non potesse
discostarsi dalle opinioni di Beccaria
intorno all'origine del diritto di
punire. E infatti, escluse tutte le
assurde idee del secolo scorso scritto
un trattato per stabilire il dom ma della presenza reale (vedi PASCASIO) egli scrisse un altro trattato per dimo
strare (cosa non difficile), che dopo la
consacrazione il pane e il vinoconser vavanolequalità e leproprietà che
ave vano prima della consacrazione, d'onde
conchiudeva che queste sostanze non po tevano essersi transubstanziate
in quel lo stesso corpo di Gesù Cristo cheera
stato attaccato allacroce. Non negava
per altro che la divinità non discendesse veramente sotto le apparenze del pane 84 BERKELEY
edel vino, e con queste sostanze non
si congiungesse, ma ammetteva perd
che anche dopo la consacrazione non
cessavano di esser pane e vino.
Un secoloinnanzi, Berengario avreb be potuto esporre senza molestie la
sua dottrina; maneldecimo secolo
ildomma della transubstanziazione, che
conferi sce ai preti la facoltà di trasformare un po'di lievito in Dio, era credenza giàqua si
del tutto assodata. Quindi una lettera
di Berengario mandata aRomanel1050,
fu letta da Leone IX in unconcilioche
pronunciò la scomunica contro la dot trina e la persona di un eretico
cotanto biasimevole.Per altro,
Berengario con tinuò ad insegnare le sue opinioni, onde nei vari concili che si succedet tero in
quegli anni a Vercelli, a Tours e a
Parigi ed ai quali fudenunziato, egli
ritrattava costantemente le sue o nioni, per riprenderle poco di poi e pubblicamente insegnarle. Fu nuova mente
condannato dal Concilio diRoma nel 1079,
ma essendosi egli nuovamente ritrattato,
Clemente VII lo tratto con molta
indulgenza e scrisse anzi in suo favore
all'arcivescovo di Tours. Però questa
stessa indulgenzaper un eretico che
negava uno dei dommi più capitali della
Chiesa, sarebbe inesplicabile ove non si
ammettesse, come benl'ha pro vato il Basnage, che in quei tempi la Transubstanziazione non era opinione universale della Chiesa, talchè non po
tessecontrastarsi.Berengario ebbe anzi
molti discepoli, i quali allora non sof frirono pena alcuna temporale,
mentre si sa quel che soffrissero nei
tempi po steriori Enrico di Bruyes, Arnaldo da
Bresciae gli Albigesi che erano caduti
nella stessa eresia.
Berkeley(Giorgio).Nacque aKil krin nell'Irlanda, nel 1684, fece i
suoi studi all' università di Dublino,
viag gió la Francia e l' Italia e, infine,
tatto ritorno in Patria, vi ebbe il po sto di decano con ricco beneficio
a Dervy. Ma poco resto in quel
posto, avvegnachè ascoltando soltanto i
con sigli del suo spirito irrequieto e la
smania di religioso proselitismo, parti
per l'America, nel divisamento di fon darvi un collegio per l'istruzione
dei selvaggi. Ma falli il progetto, e
Ber keley, tornato in patria nel 1734, fu
promosso vescovo di Cloyne, carica
ch'egli tenne fino all' anno 1753 in
cui mori. Prima e dopo il periodo
del suo episcopato, egli scrisse parecchi libri, che vennero man mano gettando le fondamenta di una nuova filosofia : Eccone ititoli nell'ordine in cui furono pubblicati: Trattato della visione 1709; Trattato sui principii delleumane cono scenze
1710 ; Tre Dialoghi 1713; Ilpic colo filosofo 1732. Puossi mai concepire il più esage rato
scetticismo accoppiato insieme al l'idealismo più spinto ? Il fondamento dell'incredulità puossi egli mai accop piare
insieme col più esagerato dom matismo ? Tantacontraddizione non la si crederebbe davvero, se Berkeley non avesse voluto provarci, che nello
spirito umanoanche icontrari possono
trovare insieme il loro posto. Berkeley
negava ogni realtà al mondo esterno:
tutto è in noi e fuori di noinon esiste
altro che l'apparenza. La materia
sensibile, ciò che vediamo, tocchiamo e
in qualsiasi modo sentiamo coi nostri
sensi, non ha alcuna esistenza fuori
delle nostre percezioni; quindi il mondo
è tutto subbiettivo, ed'obbiettivo nonvi
ènulla. Tutto ciò che diciamo sensazione
non had'uopo, peressere prodotto che
alcuna cosa esista fuori di noi,
bastando una semplice operazione dello
spirito per produrlo ; onde tutto quanto
noi siamo abituati a considerare siccome
fuori di noi e veramente esistente,
altro non è che illusione. Per quanto strano ci possa parere, il sistema di Berkeley non aveva d'al tronde
il merito della novità, poichè infine,
non faceva altro che riprodurre le
dubitazioni dell' antica scuola in diana (vedi BUDDHISMO). Però nella sua dimostrazionevi era alcun che di nuovo
BERKELEY che merita di essere ricordato.
Egli diceva che i corpi nonpossono
essere la causa nè istrumentale, nè occasio
nale delle nostre sensazioni, e lo di 85
rito nostro poteva avere le prova del mostrava cosl. L'essere supremo è
puro spirito ed è onnipotente, e non
sarebbe degno di lui il servirsi d'
istrumenti nella produzione delle nostre
sensa zioni, poichè il servirsi d' istrumenti
nasce da impotenza. Or se noi per
muovere un dito non ci serviamo d' i strumenti, potendolo fare con un
sem plice atto della nostra volontà, perchè
l'esistenza di altri spiriti. Ed ecco
come egli si toglieva d'impaccio. Le
idee, diceva, non dipendono dalla no stra volontà, e se si producono in
noi devono necesariamente esistere
anche fuor di noi; ma fuori di noi nella
realtà materiale non possono esistere,
poichè la materia non è che apparenza,
dun que bisogna che vi sia qualche altro
spirito nel quale abbiano l' esistenza.
Berkeley a questo punto cadevain una
purapetizione di principio, poichè colla
tutto non potràfare Iddio col semplice | negazione della materiavoleva
provare suovolere? Dunque icorpi non
possono essere lacausa istrumentale
dellenostre sensazioni. Ma
nemmenopotrebbero es serne la causa occasionale, poichè la sapienza e la potenza di Dio bastano del pari per spiegare tutto l'ordine e la regolarità che si osserva nella suc
cessione delle nostre idee. Non è forse
la necessità dell'esistenza di uno spi rito, senza pensare che era
appunto dalla dimostrazione della
esistenza dello spirito che avrebbe
potuto dedurre la negazione della
materia. Ma infine, am messo pur come provato ciò che pro var sì doveva,
restava asapersi in cosa differiva il
suo modo di considerare la un umiliare
lanaturadell'Essere per- | realtà materiale come una apparenza, fetto il supporre che una sostanza priva della facoltà di pensare possa influire sull'azione di lui, dirigerla e insegnar gli
ciò che fare o non far dovrebbe? Dunque
la materia non esiste, ma lo spirito
soltanto è. Ed ecco in qual maniera per
lo sdrucciolo dello spiritualismo,
Berkeley era bellamentecondotto a
capovolgere tutte lenostre sensazioni, a
negare l'e sistenza alla materia, che è la sola che veramente esista, la quale vediamo, sentiamo, è in mille guise a noi si rende percettibile, per accordarla e
sclusivamente allo spirito, il quale ve dere o toccare non si può, e non si
sa come edove esister possa. Il dabben uomo si lusingava di a vere in
questa guisa rovesciato l'atei smo, e non si accorgeva ch'era invece contro il deismo che la sua logica, falsa nelprincipio, ma stringente nelle conseguenze, andava a portare i suoi colpi.
Annullata larealtà obbiettivae ma teriale di tutte le nostre
percezioni, s'egli era pur costretto a
dare alla re altà sensibile, cioć alle idee, un obbiet tivo spirituale. Ma il
nostro Irlandese ancorliberavasi dalla
importuna diman da, soggiungendo chese ilmondo sen sibile o ideale, è veramente
esistente, non esiste però se non in
quanto é rappresentato dallavolontàdello
spirito infinito, presente dappertutto,
il quale modifica a ciascun momento le
im pressioni sensibili e ci da la varietà e
l'ordine di esse; onde deve dirsi che le
cose che noi percepiamoson conosciute
dall'intendimento di uno spirito Infinito e prodotte in noi dalla sua sola
volontà. Ilmondorealenon è dunque altro
che il pensiero di Dio ; ciò che noi
vediamo o sentiamo non è che sensazione
prodotta da Dio, e tosto che noi
cessiamo di vedere una cosa, quella cosa
cessa pur di esistere, o per meglio
dire, come non è mai esistita fuori di
Dio, così continua ad esistere
potenzialmente in Diocome un semplice
atto volitivo. Non altrimenti diceva la
filosofia indiana, quando
insegnavacheBrahma produce od annienta
tutto ciò che esiste, secon restava a sapersi in qual modo lo spi 86 entra.
BESTIE do che si svolge o in se
stesso ri- | IX. 5) Ecco che io fermeró il mio
patto con voi e con tutti gli ani
mali viventi che sono con voi, tanto vo latili come giumenti (Gen. IX.
10). D'ala parte, le azioni delle
bestie Certo, nel secolo nostro tanto
posi tivo, la teoria di Berkeley può parere
un vaneggiamento di mente malsana,
e tale é infatti, ma non convien però
considerarla come se fosse senza nesso
logico e senzacoordinazione di idee.Ben
altrimenti, Berkeley, come tutti coloro
che negarono la realtàdelmondo ester no, vi fu condotto colle leggi
stesse del ragionamento, e da una cotal
sorta di seetticismo che si è molto
maraviglia ti di vedersi svolgere in quell' aperto dommatismo idealistico, ch'egli credeva fosse il miglior antidoto contro ildub bio.
Noi esamineremo nell'articolo SEN non pot mo tuttemeccanicamente spie garsi.
Ese dimostrano volontà, intelli genza, sapere e provano anche delle pas sioni,
cose tutte che mal si conciliano con una
semplice azion meccanica. Bi sognava dunque dotarle di un' anima o negar l'anima all'uomo. Ma di qual sostanza sarà mai fatta l' anima delle bestie? Se di materia, ella è corpo; se di spirito dovrà essere immortale. Ma le più granbestie, dice Voltaire, son coloro che avvanzarono ch' ella non era nè corpo nè spirito. Fra queste opposte o
SAZIONE il ragionamento di Berkeley e ne
mostreremole inconseguenze. (Vedi | pinioni disputarono lungamente gli an anche
l'articolo SCETTICISMO, COLLIER E
CERTEZZA). tichi, e il Bayle nel
suo Dizionario sto rico ben le riassume. « Non si vede Bestie. Se siapossibile stabilire una assoluta distinzione fra l'uomo e le be che
gli antichi quando hanno abbando nato il loro stile poetico abbiano sta bilito
una vera differenza fra l'anima umana e
la materia, onde non si deve stie è cosa
che esamineremo all' articolo
DARWINISMO. Qui voglio soltanto mostra re tutto quello che ne pensarono
in be ne o in male gli scrittori dell' antichità. Dice laBibbia, e i credenti ripetono,
che Dio ha dato all' uomo il dominio
delle | secondo idiversi gradi di sottigliezza ». bestie. Ma come si vede in S. Agostino (Lib. I. De Gen. c. 18), già fin dai pri mi
secoli del cristianesimo i Manichei
trovavano che quest' impero dell' uomo
è molto effimero. Il pesce cane, dicevano i dualisti, ingoia il marinaro, il quale
ne paventa perfin la vista, e il
coccodrillo mangiasi bell' e vivo lo
stupido Egiziano pensare che l'anima
delle bestie e quella dell' uomo
differiscano fra loro in essenza, ma
soltanto dal più al meno Tal fu infatti
l'opinione di Anassagora il qual fra
l'anima dell'uomo e quella delle bestie
non metteva altradifferenza fuor che la
prima può spiegare a se stessa i suoi
ragionamenti e la seconda non lo pud.
Pitagora e Platone am bi riconoscevano la ragionevolezza del che lo adora. Ma
se gli animali forti ci resistono, i
deboli ci sfuggono, e non vi è altro che
la leggendadi qualche santo dove si
legga che i pesci venivano com piacentemente a farsi friggere nella pa della e
le quaglie ad infilzarsi sullo spie do. D'altronde, anche la Scrittura
santa eleva gli animali alla dignità
dell' uomo, avvegnaché mostra che lo
stesso Iddio le tien degne della sua
vendetta e della sua alleanza. Jeohvah,
infatti, dice aifigli di Noè: « Io farò
vendettadel sangue vo stro sopra qualsiasi delle bestie. ( Gen. l'anima delle bestie, laqualdistingue vano
dall' umana sol per l'attributo della
parol . Non si può dubitare che tal
fosse ad un dipresso anche l' opi nione di Plutarco, dal momento che egli ammetteva la trasmigrazione delle anime umane anche neicorpidegli ani mali;
anzi egli ha scritto anche un trat tato apposito per mostrare che le
bestie pensano e ragionano. Non meno
espli cito è Porfirio, il quale alle bestie at tribuisce,non solo la ragione,
maanche l'attitudine a far intendere i
loro ra gionamenti i quali, se non son tanto BESTIE sottili e complessi comequeidell'uomo, non differiscono perciò essenzialmente. La facilità con cui gli antichi am 87 cosa non sarebbe maggiormente contro l'evidenza che il dir l'altra ». mettevano la ragionevolezza dell'anima delle bestie, concorda d'alt 14 colla opinione della sua materiantà. vero, all'articolo ANIMA, noi abbiamo provato che tutte le scuole filosofiche della Grecia ignoravano affatto quell' astra zione
alla quale i modernidanno ilnome di
spirito; ed esclusa lasostanza spiri tuale, si capisce subito come convenga oalle bestie negare un'anima, o dotarle di una non essenzialmente diversa da quella dell'uomo. Ridotta in questi ter mini,
la controversia diventa una pura
question di parole. E invero, se chia miamo l' aníma funzione, intenderemo facilmente che tral'uomoele bestie que sta
funzione non può differire essenzial mente, imperocchènell'uno e nelle
altre essa si fonda sulla materia. Or
una Anche nel secolo XVI Gomesio Pe
reira, medico spagnuolo, fece meravi gliare i dotti annunciando che le be stie
son pure macchine e spingen do il paradosso fino a negare l'ani ma sensitiva
che a loro si attribuiva. Sul qual
proposito il Bayle osserva chea' suoi
tempi pretendevasi che De scartes avesse tolto a Pereira la sua singolar dottrina sull' anima delle be stie.
Infatti, Descartes negò che vera mente nelle bestie esistesse un'anima, nonchè ragionevole, nemmen sensitiva, e fondava questa sua negazione, non già sulla ripugnanza della ragione a credere ad unospirito, maunicamente perchè ripugnava al suo pensiero il credere che fra l'uomo e le bestie non esistesse alcuna differenza essen ziale.
Quindi i cartesiani giungevano alla
credenza, che le bestie sono dei
funzione che procede da causa iden tica non si può, senza
contraddizione, ❘ puri automi, fondandosi sul princi
concepire essenzialmentedifferente; ma
può invece concepirsi come quantita tivamente differente in ragione
della maggiore o minor perfezione dell'
or ganismo incui simanifesta. Certo,
nonmancarono nemmeno fra iGreci filosofi
che abbiano ammessa la meccanicità delle
funzioni delle be stie. Pare anzi che tal fosse l'opinione degli stoici; ma ben vi rispondeva Plutarco con queste parole: « Quanto a coloro che goffamente e con tanta impertinenza affermano che gli animali nè si rallegrano nè si corrucciano, nè temono di dire che larondine non am massa
provvigioni, e l'ape non ha me moria, ma sembrasoltanto che la ron dine usi
previdenza e il leone si cor rucci, e il rettile fremi per la paura, io non so cosa risponderebbero a co loro i
quali avanzassero l'opinione, che
convien purdire ch'essi nè credono, nè
odono e ch'essi non hanno voce ma sol tanto che essi vedono oche hanno
voce, in una parola ch'essi non vivono
ma sembrach'essi vivano; poichè dire
l'una pio, che lamateria non solo non
puó pensare, ma nemmensentire e
provare sensazioni di sorta.
Conchiudevano dun que che selebestie avessero un'anima spirituale, questa doveva essere immor tale
quanto quella dell'uomo, e che un' anima
materiale non poteva pen sare, nè sentire, nè produrre la vita. É vero che gli avversari dei cartesiani potevano facilmente imbarazzare i so
stenitori di questa così poco ragione vole dottrina, mostrando i molti
atti degli animali, i quali provano e
sen sazioni, e volontà e pensiero e perfino
qualità morali, come la fedeltà e l'a more, virtù che sono
essenzialmente proprie dell'anima; ma
tornava facile ai cartesiani il
rispondere in questa guisa: « Voi
riconoscete che gli ani mali son cose, le quali rassomigliano a ciò che fal'anima ragionevole e che nullameno la loro anima non è punto ragionevole. Perché dunque non volete che si sostenga ch'essi sono delle cose che rassomigliano a ciò che fa l'anima sensitiva, senza che la loro anima sia
88 BIBBIA sensitiva? » Il perchè poi alle bestie |
raccomandazione ai contadini di pagar
volesse attribuirsi un'anima sensitiva e
non immateriale, ci è detto da Sennert,
medico dell'accademia di Wittemberg,
il quale appunto nel secolo XVI fu ac cusato d' empietà per aver
insegnato che l'anima delle bestie non è
mate riale. Or il dare alle bestie un' anima
immateriale val lo stesso che farle im mortali e quindi eguali
all'uomo. le decime, eccellente rimedio
contro gl'insetti devastatori. (Vedi la
mia Sto ria Critica della superstizione al Vol.
II Cap.XI. Bibbia. Voce greca che
signi fica libro. Così chiamasi la raccolta
degli scritti sacri degli ebrei e dei
cristiani contenente i libri dell' An tico e del Nuovo Testamento. Il lo
Il Cartesianismo aveva evitato que- ro numero e i loro titoli sono regi sto
scoglio supponendo che uno spirito strati nel canone dei libri santi, il esterno fosse la causa delle interne a-
quale, tuttochè si pretenda immutabile,
zioni degli animali, le quali sono vere venne però man mano modificandosi macchine agenti sotto l'impulso di una per
l'aggregazione dei nuovi libri che forza
straniera. Questa opinione non la Chiesa, in progresso di tempo, e pei contrastava d'altronde con quella do- suoi
interessi trovò opportuno di di minantenellachiesacattolicadel medio chiarare
rivelati. ( Vedi CANONE ). É evo,
perciocché vediamo che in diversi dottrina di tutte le Chiese cristiane tempi e invari paesi gl'inquisitori pro- ed
ebraiche, che i libri della Scrittura
cessarono e condannarono gli animali sono stati dettati sotto la
immediata siccome i supposti agenti del
demonio. inspirazione dello Spirito Santo, mo Nel 1451 una quantità di
sanguisughe tivo per cui hassi ragione di credere, avendo infestate le acque del territorio |
che un solo errore il quale si trovi di
Berna, detto fatto il vescovo di Lo sanna le fa citare davanti ad un com
missario incaricato di giudicarle. Un
usciere è inviato sui luoghi occupatida
quegli animaletti e con pubblico bando
aloro ingiunge di comparire davanti
nella Sacra Scrittura costituisca una
prova formidabile contro la sua pre tesa rivelazione; imperocchè non
possa ammettersi che Dio possa
ingannare od essere ingannato. Or
convien con fessare che nella Bibbia li errori son molti e di varia natura, e chi tutti li volesse raccogliere, avrebbe di che com porre
un intero volume. Diró soltanto al
rmagistrato, per essere udite e al l'uopo condannate ad abbandonare en tro
breve termine e sotto le pene di diritto
i campi occupati. S'intende che | dei principali e più manifesti. gli animali non si presentavano mai da vanti
al giudice, ma di solito si nomi nava per loro d'ufficio un avvocato di
fensore, e per non dir d'altri, il fa moso giureconsulto Chassanée stabili appunto la sua fama nella difesa dei topi d' Autun. Del resto, i processi contro gli animali non furono tanto rari e dal 1120 al 1741 se necontano 92, dei quali quattro contro i bruchi, quattro contro le lumache, quattro 1
contro i sorci, e altri contro le san guisughe, le cantaridi, le mosche,
le talpe, i grilli ecc. e tutti, o quasi
tutti, finirono con la scomunica, con
l'esor cismo, con le processioni, e con la
I. Risulta dal contesto del IV e V
capitolo della Genesi, che Adamo ed
Eva sono idue primi sposi dell' uni verso, che dalla loro unione nasce A
bele e Caino,il quale avendo ucciso il
fratello, si allontana dal padre e d alla madre, vale adire da tutto il genere umano. Egli non ha quindi alcuna donna a cui congiungersi, nè alcun uo mo da
cui temere. Eppure si legge che Caino,
tremante d'essere ucciso (da uo mini chenonesistevano) fuggì nel paese di Nod ove fondò una città ( i cui abi tanti
non erano ancor nati ). II. Al capo XII
verso 40 dell' Esodo, si legge che la
durata del soggiorno BIBBIA degli
Israeliti nell'Egitto fu di 430 anni. Ma
S. Paolo, il quale non è meno in spirato di Mosè, afferma che la legge fu data sul Sinai 1030 anni dopo l'al leanza
fatta da Dio con Abramo ( Gal. III 17 )
il quale era allora in età di 75 anni (
Gen. XII 4). Abbiamo dun que la seguente cronologia: Dall' alleanza alla nascita d' Isacco (XXI. 5) corrono . anni 25
Dalla nascita d' Isacco a quella
di Giacobbe (XXV. 26) 89 anni 40
26 8 40
. mente stabilite dalla stessa
Bibbia e citate da Spinoza. Mosè governa ilpopolo nel deserto per.
Giosuè che visse 110 anni, non
ebbe il comando, secondo Giuseppe ed
altri storici, che KusanRisgataiin tiene
ilpo polo sotto il suo imperio Otoniel
figlio di Kenaz fu giudice durante Eglon re di Moab fu giudice «
corrono Dopo 130 anni Giacobbe
si stabilisce in Egitto (XLV II. 9).
> 130 dici durante Dall'alleanza alla
immigra 60 durante • Aod e Samgar furono
giu .- Jabin tiene il popolo sotto zione
in Egitto corrono dunque > 215 il suo giogo
i quali se si tolgono dai 430 anni fissati da S. Paolo, nonnerimangono che 215 per il soggiorno nell' Egitto. Il popolo dopo un riposodi Ricade in servitù sotto la III. Risulta dai versi 6 e 7 (Deute ronomio
X. ) che solo dopo cheAron ne fu morto e seppellito, gl' Israeliti passarono a Gadgad e poi a Jetbat. Ora, al capo XXXIII dei Numeri, verso 32 a 38, era stato detto iuvece che le stazioni di Gadgad e Jetbat avevano preceduto la morte diAronne, laquale non ebbe luogo che alla stazione del monte Hor. Il capo XX verso 22 a29 dei Numeri aveva già fatto morire A ronne sul
monte Hor; si avverta poi che trovasi la
stessa indicazione nel verso 50 del capo
XXXII del Deutero nomio, il quale resta così in contrad dizione, non solo col
libro dei Numeri, ma anche con se
stesso. IV. Il quarto capitolo del primo
li bro dei Re narra che Salomone fondò
il tempio nell'anno 480 della sortita
dall' Egitto. Ma consultando, non dirò
' istoria la quale tace di questi fatti
dominazione di Madian per . Esso
riprende la libertà al tempo di Gedeone Poi èsottomesso daAbimelch Tola figlio di Pua fu giu diceper. Jair per.
Il popolo ricade sotto la do minazione de' Filistei,e degli Ammoniti durante .
Jefte fu giudice durante. Abesan
il Betelemita Aialon il Zebulonita Abdon il Faratonita Ilpopolo cade ancora sotto il dominio de' Filistei . Sansone fu giudice durante Eli durante
Il popolo sottomesso nuo vamente da' Filistei, non fu li berato da
Samuele chedopo un intervallo di.. Davide regna.
Salomone avanti di fondare
leggendari, ma la Bibbia stessa, il li bro infallibile e divinamente
inspirato, il tempio regua . si trova
che tra la fondazione del tem pio e l'uscita degli ebrei dall' Egitto, corre un lasso di tempo assai più lun go, e
precisamente di 580 anni, come appare
dal seguente prospetto, in cui si
computano soltanto le date chiara 18 80 20 40 7 40 3: 23 22 18 6 7 10 8 40 20 40
20 40 4 Totale > 580 «Aquesti anni
bisogna però ag giungere quellidel periodo immediata mente successivo alla
morte di Giosuè, durante il quale la
nazione ebrea si 90 BIBBIA mantenne indipendente fino al giorno in cui Kusan Risgataiin la ridusse in servitù. Periodo di prosperità che do vrebbe
essere stato assai lungo, non potendosi
supporre che subito dopo la morte di
Giosuè tutti coloro che erano stati
testimon: delle sue gesta prodigiose
fossero periti in un mo mento, e i discendenti loro, abolite le leggi e gli ordinamenti civili del gran condottiero, fossero tosto caduti in ser
vitù. Ciascuno di questi avvenimenti e sigendo quasi un secolo di tempo,
non puossi mettere in dubbio che lascrit
tura nei versetti 7.9 e 10 del secondo
capitolo dei Giudici non abbracci un
gran numero d'anni, la storiadei quali
passata sotto silenzio. A questi bi sogna poi aggiungere quelli nei
quali Samuele fu giudice degli Ebrei e
non citati dalla Scrittura; quelli del
regno di Saule a disegno ommessi, perchè
la sua storia non lasciaindovinare la du
rata del di lui regno; quelli dell' anar chia nella qualeperdurarono gli
Ebrei, pure taciuti dalla Bibbia; poiché
è im possibile di valutare giustamente ladu rata degli avvenimenti che sono rac
contati nel libro dei Giudici, comin ciando dal capitoloXVII sino alla
fine. V. Il quarto libro dei Re (
XXIV 8,9) dice che il censimento fatto
da Davide mostrò che gli uomini atti
alle armi erano in totale 1,300,000. Ma
nel primo libro delle Croniche ( XXI
5,6) si trova che questo censimento
non venne esteso alle tribù Beniamino e
di Levi, e nondimeno diede per
risultato 1,570,000 uomini atti alle
armi. Lo Spi rito Santo, dice Miron, è autore del l'uno e dell'altro di questi
due rac conti; ma qual de' due dobbiamo cre dere ? VI. Nel capo XI (verso32 e 36 del IV libro dei Re) Jeova dichiara che non lascerà a Roboamo che una sola tribù enel capo XI (verso 20 ) dicesi in fatti che
questo re fu seguito dalla sola tribù di
Giuda; ma nei versi se guenti ( 21 e 21) è rappresentato co me regnante sulle
due tribù, quella di Giuda e quella di
Beniamino. VII. Ocozia non avendo
lasciato fi gliuoli, fu sostituito da suo fratello Jo ram, rapporto al quale sono
da osser varsi queste notevoli contraddizioni. Se condo ilverso 17 del capo I
(IV Re), egli sali sul trono d' Israele
il secondo anno del regno di Joram, re
di Giuda. Secondo il verso primo del
capo III, in vece egli comincia a regnare nel diciot tesimo anno del regno di
Giosafat, re di Giuda. Ma non basta!
Secondo il verso 16 del capo VIII,
Joram, figliuolo di Giosafat, cominciò a
regnare sopra Giu dail quinto annodel regno diJoram re d'Israele; d'onde si trae che ravvicinan do
il verso 17 del capo primo al verso 16
del capo VIII, Joram d' Israele sali sul
trono nel secondo anno del regno di
Joram di Giuda, il quale era salito sul
trono nel quinto anno del regno di Jo ram re d'Israele. Gli annali
compilati da scrittori, che non
pretendono d' essere qualche cosapiùdi
semplici mortali, non offrono certamente
esempii di una peg giore cronologia.
VIII. Nessun errore, dice Fréret (Oeu vres. T. IV. p. 372), può riuscire
piú grande di quello che s'incontra nel
nu mero degli israeliti, che dalla cattività di
Babilonia ritornano aGerusalemme sotto
la condotta di Zorobabele. Se noi som miamo insieme tutte le cifre che
ci sono date dal Cap. II del 1º. libro
di Esdra, troviamo che gl' israeliti
ritornati dalla cattività ascendono alla
cifra di 29818. E nondimeno il sacro
scrittore facendo la somma a suo modo,
ai versetti 64 e 65, dice che tutta
questa radunanza in sieme sommava a 42360, non compresi i servi e le serve in numero di 7337! Bi sogna
dunque credere che lo Spirito Santo nel
fare l'addizione delle cifre si sia
fermato ad un bel circa verso la metà
della somma. IX. Nelprimo librodei
Maccabei, si narra diffusamente la orrenda
morte di Antioco Epifane persecutore
dei preti, ma questo spogliatore sacri BIBLIA lego, prima di fare la suaterribile
fine, era già mortoduevolte; la
prima(Capo 91 connubio fra i >> Egli nasconde la luce nelle sue mani, e quindi glicomandadi ricomparire (Giob XXXVI. 32. Questo testo è infedelmente l'origine attribuendoli ad un carnale tradotto
nelle nostre versioni). E i mari che
sono essi mai ? La limitazione del mondo
tra la terrae l'abisso. » Egli ha posto
un certo termine intorno all'acque, il
qual durerà fino alla fine della luce e
delle tenebre » (Giob. XXXVI. 10). E
chi potrebbe insegnar geometriacol sin golar metodo dei libri rivelati,
nei quali si legge che il bacinoposto
all'ingresso del tempio di Salomone era
rotondo ed avea dieci cubiti di diametro
e trenta di circonferenza? Calcolo
sublime ed incon testabilmente rivelato, avvegnachè tutta la scienza nostra non sia ancor arrivata aprovare che il diametro stia precisa mente
trevoltenellacirconferenza.Prova
evidente è questa chequellaproporzione
geometrica si basa sopra principii supe riori alla povera ragioneumana,
laquale insegna che il diametro sta alla
circon ferenza come 113 a 355, proporzione
che è sempre maggiore del triplo.
Manonostante tutti questi errori, che
sono pochi fra i moltissimi che si po trebbero citare, rincresce ildire,
che non mancanouomini, i quali, fedeli
alla tra dizione antica, vorrebbero che tutte le nostre conoscenze alla Bibbia si attin
gessero e ogni metodo d'insegnamento
sullaBibbia si fondasse.«Come,donde,
> La Enciclica del 1824 data
da Leo ne XII, rinnova il divieto, e una bolla
di Gregorio XVI, dopo avere richiamate
tutte le disposizioni date dai suoi pre decessori, aggiunge: « Noi
confermiamo erinnoviamo collanostra
autorità apo stolica gli ordini suddetti, già da lungo tempo promulgati circa lapubblicazione, lapropagazione, lalettura edil possesso dei libri della Scrittura Sacra tradotti in lingua volgare. >>> Chiesa cattolica, se non in quanto essa sia pubblicata insiem colle note e gli schiarimenti, che ne raddoppiano il vo lume e
la spesa, e la rendono poco ac cessibile alla borsa di tutti. Quando essa fu pubblicata senza queste note dalla Società Bibblica di Londra, e venduta a tenue prezzo, incorse in tutte le censure che sono comminate contro le altre ver sioni
in lingua volgare. Ma la Bibbia tipo, laBibbia veramente ufficiale e rico
nosciuta dalla Chiesa è la Volgata, così
detta, perchè fu da S. Girolamo volga rizzata nel latino idioma (o, come
altri credono, soltanto corretta)sui
testi greci ed ebraici originali. Or, è
pur cosa sin golare a dirsi, che questo testo ufficiale della rivelazione, è esso stesso così
pieno di errori, che già ai tempi di S.
Gero lamo se ne facevano nella Chiesa grandi
lamenti. S. Agostino nella sua decima let tera, dice che essa non è
conforme alla versione greca dei settanta,
che gli e brei n' erano assai malcontenti e che
egli perciò non volle adottarla, nè per metterne la lettura nella sua
chiesa. Cionondimeno il Concilio di
Trento nella sua quarta sessione,
dichiarò la Volgata la sola autentica
versione della Bibbia; ma la Chiesa ebbe
inseguito a ramma ricarsi di quel suo decreto, inquantochè le critiche di uomini competentissimi, an che
devoti, mostrarono troppo aperta mente i molti errori di quella versione. Sisto V credette di rimediare all' incon
veniente, facendoricorreggere laVolgata
e ripubblicandola coi tipi del Vaticano,
onde quella ricorrezione ebbe il suo no me. Ma pare che neppure quel
lavoro soddisfacesse tutte le esigenze,
poichè anzi Clemente VIII, suo
successore, sol tanto tre anni dopo fu obbligato di farne ritirare tutti gli esemplari, e far ese guire
una nuova correzione ed unanuo va edizione della Bibbia, che è la Vol gata
attuale. Anche questa però, nono stante l' infallibilità papale, non
riusci opera perfetta, giacchè non pochi
teo Osservisi poi chelaversionedel Mar- logi, fra cui il cardinal Gaetano, dimo
96 BIBBIA strarono che essa è ancor piena di er rori, e
perfino Monsignor Martini, ar civescovo di Firenze, alla sua versione del Nuovo Testamento premette una nota, ove attesta che nel solo Nuovo Te
stamento della Volgata si trovano 975
passi che differiscono dall' originale.
Anzi ancora, il cardinal Bellarmino
rispondendo a Luca di Bruge, il quale lo
avvertiva appunto che nella Bibbia la tina trovavansi tanti errori,
diceva: >> Einfatti, Clemente VIII
nella prefa zione della Volgata da lui dichiarata sola autentica, ha l'ingenuità di avver tirci
che « sebbene siasi adoperato con il
Martini aggiunge SUPERSTI zioso, acciò si creda che il solo super stizioso
culto degli angeli la Bibbia con danna, non già il vero culto. Del resto, parecchi altri passi più o Tutte le volte che il Diodati traduce la voce greca presbiteri per ANZIANI (AttiXV, 6, 22, 23; XVI, 4; I Timot. IV 14; X 19; Giac. V. 14), il Martini la rende colla voce Sacerdoti, onde fondare eziandio sui tempi apostolici la institu
zione di un vero e proprio sacerdozio.
Per lo stesso motivo ogniqualvolta il
Diodati nei versetti 2 e 12Cap. III della epistola di S. Paolo a Timoteo traduce, SIA il vescovo, O SIENO i diaconi mariti di una sola moglie; il Martini traduce ABBIA PRESO il vescovo, od ABBIANO PRESO i diaconi una sola moglie. Il motivo della variazione è evidente: il verbo
sia, sieno, è imperativo e impone
come precetto ' obbligazione del
matrimonio per gli ecclesiastici, mentre
la locuzione abbia o abbiano preso, è
condizionale, non impone nulla nel
presente o nel fu turo, e lascia il posto al precetto po stumo del celibato.
Giustizia vuole però che si confessi,che
questo precetto è con forme allo spirito e alla dottrina di San Paolo, e che la versione del Martini, al meno
essenziali differiscono nelle varie
traduzioni della Bibbia; e si conosce quale strana importanza danno i credenti a queste per noi quasi insignificanti diver
genze, quando si pensa che talora so pra un solo versetto e fin sopraunapa rola
si fonda l'origine d'un sacramento, di
un domma o di un rito della Chiesa.
(Vedi anche gli articoli APOCRIFI, CANONE, EVANGELI, PENTATEUCO, ecc) Biologia. Etimologicamente: di scorso sulla
vita. Labiologia, parola pri mamente usata da Comte, è la scienza delle leggi che regolano la vita negli organismi, e i rapporti fra di loro e il mondo esterno. Base dellabiologia sono quindi l'anatomia e la fisiologia, non menochelescienzenaturali; inquantochè ogni organismo trovasi necessariamente legato col mondo esterno, nè avviene va
riazione nell'uno senza che vi corrisponda
una modificazione dell' altro. (Vedi Po SITIVISMO). Bochm(Giacobbe)soprannominato il Filosofo teutonico.Nacque nel 1575 in un vilaggio della Lusazia presso Gorlitz daparenti poverissimi.Educato allascuola del villaggio, prese amore vivissimo
alla meditazione edi tanto s'esalto, che
infine credette d'essere chiamato a
rivelare al meno inquesto caso,rispondemeglio alla dottrina del fondatore del cristianesimo. |
nati nellaBibbia. Bohem scrisse parecchi
l'umanità i divini misteri, appena accen Efesi, V, 32-33. Perciò l' uomo
la scierà suo padre e sua madre, e si con giungerà con la sua moglie: ed i
due diverranno una stessa carne. Questo
MI STERIO è grande. Il Martini traduce
misterio con SA CRAMENTO. Questa differenza fra i due traduttori facilmente s' intende, rifletten
do che il matrimonio è sacramento pei
cattolici soltanto e non pei protestanti. libri di rivelazione che nel secolo
nostro non meritano nemmeno l'onore di
essere esaminati, ma che a'tempi suoi,
nei quali filosofi si dicevano icercatori
della pietra filosofale e i cultori
dell'alchimia, ebbero moltissimo
successo. Il novello rivelatore pervenne
a costituire una setta di nuovi mistici,
iqualiil maestro illustrarono con
lodiesagerate e senzafine. Singolare coin cidenza! Simile al Cristo sul
quale riposa 7 98 BOLLA
la grazia del Padre, anche Boehm vuol | membro della Camera dei Lord.
Nel che la grazia divina riposi sopra di
lui: il misticismo dell'uno nonval
meglio di quello dell' altro, e l'uno e
l'altro inse gnarono l'imprevidenza, il disprezzo del mondo e tutte le conseguenze che ne derivano.
1714 all'avvenimento altrono della casa
d'Hanover si ritirò inFrancia, ove mend
in moglie la vedova del marchese di
Bogomili. Eretici diBulgaria,di scepoli di un tal Basilio,vecchio
asceta, en tusiasta e fanatico. Dicesi che l'impera tore Alessio Comneno,
nemico acerrimo dell'eresia, facesse
chiamare a se Basilio sotto pretesto di
volersi aggregare alla sua setta, onde
indurlo apalesargli isuoi errori, e che
quando glieli ebbe rivelati l'accusò
davanti al Senato. Basilio si of ferse a sostenere le sue opinioni, mo
strandosi pronto a incontrare il marti rio, e fu esaudito. Acceso ungran
rogo inmezzo all'Ippodromo, fu
dall'altro lato piantata una gran croce,
e a Basilio si ingiunsedi sceglierefra
l'uno e l'altra. Mirabile esempio di costanza
e dicorag Villette. Bolingbroke ebbe amichevoli re lazioni coi principali
filosofi del suo tem po e credesi sia stato il primo che abbia determinato alla carriera filoso fica
Voltaire, ch' egli conobbe durante il
suo esiglio in Francianella sua terra
della Source, presso Orleans. Mori nel l'anno 1751 lasciando isuoi
scritti a Da vide Mallet, che li mandò allestampe in cinque volumi, contenenti, fra gli
altri, le Lettere sullo studio della
Storia e quelle al Papa sulla religione
e la filo sofia. Bolingroke apparteneva alla scuola dei deistidel secolo passato, epperciò
era accanitissimo contro tuttele
religioni ri velate, contro la Bibbia, ch'egli dice un romanzo da Don Quichotte e contro tutti i teologi che chiama « Folli. » Èdubbio che nellasuapolemica con gio, Basilio
si precipitò sul rogo, dimo- tro l'ateismo egli portasse tanta convin strando
al mondo che i martiri nulla❘zione
quanto in quella contro la rivela provano in favore dei principii pei quali
zione. E invero, da una parte s'egli ri hanno data la vita. Basilio morì, ma non la sua setta, che fu assai diffusa nellaGrecia, ed
alla quale appartenevano molte
principalissi me famiglie di Costantinopoli. Qual fosse l'eresia dei Bogomili non è facile il de
terminare, poichè le loro credenze sono
un impasto di tutti gli errori di quei
tempi. Par nondimeno che inclinassero
al dualismo di Manete (vedi Manichei smo) e allademonologia di Platone.
Dei libri della Bibbia sette soli
accettavano, e molti interpretavano
allegoricamente. Dio credevano corporeo,
la Trinità spie gavano coi semplici attributi divini ; la terra e l'uomo dicevano creati da Sata naele;
il battesimo facevano senz'acqua; '
Eucarestia negavano, e i vescovi e il
clero disprezzavano. Bolingbroke.
(Enrico San Gio vanni, viscontediBolingbroke)nacque nel❘ 1672. Eletto membro della
Camera dei Comuni di Londra nel 1702,
divenne poi ministro segretario di
Stato, e finalmente conosce un Dio, nega
però al Creatore l'intenzione di fare
gli uomini felici; ammette una
provvidenza generale, ma la nega per
gl'individui in particolare ; confessa
l'antichità della dottrina dell'im mortalitàdell'anima,ma nega aquesta la qualitàdi sostanzaimmateriale e distinta dal corpo. Tutte queste affermazioni di uno scrittore che i suoi stessi nemici chiamavano, seducentenellaconversazio ne, di
spirito fecondo, e molto istruito, erano
tali da poter fare molta impres sione, d'onde la condanna data alle sue opere dal gran giuri di Westminster. L'Esameimportantedi milordBolingbro ke che si
trova inserito nelle opere di Voltaire,
è di quest'ultimo autore. Bolla
pontificia. Rescritto del pon tefice il qual differisce dal Breve in que sto,
che l'uno è spedito dalla cancelleria
apostolica sotto il sigillo di piombo, l'al tro dalla segreteria dei
brevi sotto l'a nello pescatorio; l'uno è scritto in per gamena rozza con
caratteri antichi, l'al BONNET tro in
pergamena fina con caratteri la tini; la bolla porta la data dell' anno dell'incarnazione, e il breve quello
della Natività di Gesù. Due Bolle sono rinomatissime nella 99
abbastanza forte per poterimpunemente
ripubblicarla. Bonnet (Carlo) di
Ginevra. Na que nel 1720. Egli fu ad un tempo na turalista e teosofo, e questi
due carat Storia: quella Unigenitus e l'altra in Cœna Domini. La prima data da Cle menteXI,
condannavala dottrina del pa dre Quesnel,vennerespintada una quan tità di
vescovi e fu il segnale di una lunga
persecuzione contro il giansenismo (vedi
GIANSENISMO ). S'ignora invece chi sia
l' autore della seconda; essa legge vasi pubblicamente in Roma tutti gli anni nel giovedi santo, alla presenza
del papa, accompagnato da cardinali e
da teri si trovano così intimamente con
giunti nelle sue opere,da recare sorpre sa e maraviglia al tempo stesso, per
la stretta unione di principii che sono
fra loro tanto contrarii. Con uno
spirito profondamente religioso Bonnet,
nel suo Essai analytique des facultés de
l'âme e nel Traité des sensations, si
mostra aperto partigiano della scuola
sensua lista. Tutte le idee, egli dice,
ci vengono vescovi. Paolo III nel 1536
pubblicando dai sensi, e tutte le sensazioni si risol una edizione di questa
bolla, dice che vono nell' azione pura e semplice delle era antichissimo uso della chiesa il rin- ❘ fibre nervose. La varietà di queste
fibre novare tutti gli anni questa
scomunica, laquale si estendeva agli
eretici, pirati, corsari ; contro, i
giudici laici che giu dicano gli ecclesiastici e li citano da vanti al loro
tribunale, sia pur esso u dienza, cancelleria, consiglio o parlamen to; tutti
coloro i quali faranno o pub ela loro differente costituzione anato mica
spiegano la varietà delle nostre
percezioni, le quali trovano tutta la loro blicheranno editti diretti a restringere l'autorità ecclesiastica; infine contro
i pubblici funzionari di qualsiasi re
o principe, che evocano asele cause
eccle siastiche o impediscono l'esecuzione delle lettere apostoliche, quand' anche lo fac
ciano sotto il pretesto di impedire qual che violenza. Il Concilio di Tours nel 1510 aveva già dichiarato che labolla in Cœna Do mini
non poteva sostenersi, e ire di Francia
si sono sempre opposti alla loro
pubblicazione,come contraria ai loro di ritti e alle libertàdella chiesa
gallicana. corrispondenza nella
modificazione di esse fibre. I movimenti
di questi organi della sensazione sono
determinati dagli oggetti esterni, e
imprimono all' orga no, anche dopo essere cessati, una certa tendenza a riprodursi, la quale determi na le
abitudini e al tempo stesso ci fa
conoscere se una data sensazione la sen tiamo per la prima volta o se
l'ab biamo già provata. Fedele al suo prin cipio, Bonnet credè che anche le
idee più astratte e le men materiali
deriva no dai nostri sensi. Perfin l'idea di
Dio egli riferisce alla sensazione, e la
deduce dal nostro ragionamento sul com plesso dei fatti edel preteso
ordine che osserviamo nella natura. Ma se tutta la filosofia sensualista. Nel 1580, approfittandosi della vacanza di
Bonnet è perfettamente materialista, del
Parlamento, parecchi vescovi vollero | bisogna pur dire che tutta la sua teo farla
ricevere nella lor diocesi, ma il
Procuratore Generale vi si oppose e fu rono prese contro di loro delle
misure severe. La pubblicazione della
Bolla in Cæna Domini fuinfinesospesa nel
1773 da Clemente XIV, ond'evitare l'
odio e il malcontento dei principi, nè
pare che dopo d'allora nessun papa siasi
stimato dicea è affatto idealista.
Quand' egli ar riva al punto in cui ilmovimento delle fibre si trasforma in sensazione, là pone il mistero e l'anima; la sua logica si smarrisce, e la sua scienza positiva si trasforma in un mero idealismo. Egli cade ancora in questo eccesso nelle sue Considerations sur les corps organisés
100 BOULANGER ela Contemplation de la nature, ove la sua feconda fantasia trasforma l'uni verso
nel tempio visibile della divinità, nel
quale la saggezza e la potenza in finita si scoprono nelle minime come nelle massime cose. Ma se Bonnet è buon idealista, non lo è però ancora tanto da poter conce pire lo
spirito separato dalla materia. Dopo la
morte l'anima certamente ci sopravvive,
ma esisterà ella senza cor po? Bonnet risponde negativamente. Egli crede che nel nostro corpo esista il germe di un'altro corpo, il quale si svilupperà dopo la morte e formerà lo inviluppo materiale del nuovo essere. Ma qual sarà questo germe ? Bonnet lo trova nel corpo calloso dell'encefalo:
la sede del pensiero è, secondo lui,
anche il principio materiale che
avvilupperà nell' avvenire il suo
substrato. Egli è in questa guisa che un
uomo il quale ha scritto tante verità, e
dimostra nei suoi ragionamenti, quando
sono fondati sul fatto, una invincibile
argomentazione, si smarrisce subito ed
erra pazzamente nel I'assurdo tosto che entra nel campo della metafisica. Boulainvilliers (Carlo) Nacque a Saint-Laire nella Normandia nel 1658, emori nel 1722. Il suo nome è noto tra i filosofi del secolo XVIII per il suo spirito d' incredulità, velato da un apparente desiderio di combattere gli increduli. Fingendo di voler confutare i principii della filosofia eterodossa, in realtà egli non ha fatto altro che ripro
durre per sunti i principii di essa, av valorarli con apparenti contraddizioni,
la fiacchezza delle quali è più propria
a farci perdere che a confermarci nella fede. È conquesto spirito ch'egli
scrisse *i seguenti libri: Réfutation
des erreurs de Benoît Spinosa, par M. de
Fénelon, archevêque de Cambrai, par leP.
Lami, benedectin, et par M. le Comte deBou
Doutes lainvilliers. Bruxelles 1731. sur
la Religion Londra 1767. Traité des
trois imposteurs, 1775 senza luogo.-L'Espit de Spinosa. Amsterdam 1719. Boulanger (Nicola). Nacque a Pa rigi nei
1722, studiò nel collegio di Beauvais, e
dopo essere stato nell'eser cito sotto il comando del barone di Uriers, fu impiegato nella qualità di in
gegnere dei ponti e delle strade. Era
geologo di qualche vaglia, ma i pro gressi delle scienze naturali fatti
in questi ultimi tempi, più non si accor
dano colle ipotesi sue, chè vuol egli es sere, com'è ben naturale, ascritto
alla scuola la qual suppone che tutte le
gran di trasformazioni avvenute sulla super ficie della terra furono l'opera di
cata clismi. In filosofia ebbe idee liberalissi me, ed a lui si attribuiscono
parecchi scritti contro la religione.
Sono suoi gli articoli Corvèe, Guèbres,
Deluge, Lan gue hebraique inseriti nell'Enciclopedia e così pure Le ricerche sull'origine del dispotismo orientale, ove i re ed i preti sonoegualmente maltrattati. L'autore del Dictionnaire des ouvrages anonymes, sulle traccie di Naigeon, assicura che l'opera intitolata L'antichità svelata dai suoi usi, è pure di Boulanger, seb bene
sia stata rifatta dal barone di Holbach.
È però a deplorarsi che l'au tore siasi lasciato guidare da un indi rizzo
esclusivamente sistematico. Dotato di
fervida immaginazione, e impressiona to da alcuni animali fossili
antidiluviani da lui osservati in certi
scavi, di cui gli era stata affidata la
direzione, egli fu dominato dall' idea
fissa di rinvenire in tutti gli usi
dell' antichità, e special mente nellepratiche religiose, le rimem branze di un
diluvio, e le impressioni di terrore che
tal cataclisma ha lascia to nello spirito umano. Naigeon attri buisce a
Boulanger varie dissertazioni sopra
Elia, san Pietro, san Rocco e santa
Genevieffa ed una storia dell' uo mo in società, che andò perduta. Nel Cristianisme devoile, egli esamina con saggia critica tutti gli errori della re
ligione cristiana ed insiem della ebrea,
dimostra qualmente gli atti del Dio del la Bibbia siano incongruenti e
in con traddizione coll' idea stessa che la teolo BRAHAMANISMO gia pretende di darci della divinità, e 101
discrepanza che ben si comprende
la morale si del Nuovo come dell' An tico Testamento sia contraria ai
veri bisogni della società. Ad ogni
modo, giova notare che le sue opere
vennero pubblicate successivamente dopo
la sua morte e per mezzo degli amici
suoi. Mori il 15 settembre 1759. Era di
ca rattere dolce, paziente, insinuante, e fu
osservato che la sua fisonomia rassomi gliava moltissimo a Socrate, come
si vede sopra le pietre antiche. Brahamanismo. La prima re ligione dell'India
e la più antica che si conosca. I
calcoli di Bailly, Colebrooke e Renand
provano che i quattro Vedas sui quali si
fonda la religione di Bra hama sono indubbiamente anteriori a Mosè e risalgano per lo meno all'anno 1400 prima di G. C. Questi libri costi
tuiscono il codice religioso degl'indiani,
come i quattro evangeli formano quello
dei cristiani, e s'intitolano: Rig-Veda, o quando si consideri la vastità e il nu mero delle
fonti a cui i commentatori
attingono. Brama o Brahama è
l'essere eterno per eccellenza: ogni
cosa vive in lui e nulla vive fuori di
lui. Assiso sul loto (caos primitivo)
egli girava lo sguardo d'ogni intorno e
non vedevacon gli oc chi delle sue quattro teste ( i quattro punti cardinali) che una vasta distesa
di acque coperte di tenebre. Non ci
vuol molto acume a vedere in questo
concet to una forma mistica del panteismo. La
materia non è creata, essa coesiste in
Brahama eBrahama esiste inlei. Allora,
dice il Rig-Veda, il quale ci richiama i
primi versi della Genesi, non esistevanè
l'essere nè il non essere, nè il mondo,
nè il cielo, nè alcuna cosa sotto o so pra, nè terra, nè acqua, ma
soltanto qualche cosa di oscuro e di
terribile. Brahama dunque non crea, ma
forma il mondo e il firmamento. Dapprima
egli preghiere in versi; 2.º
Jadjour-Veda o preghiere in prosa; 3.º
Sama-Veda pre- | genera le acque in mezzo alle quali parato per il canto; 4.° Atharva-Veda destinato alle purificazioni. La natura, l'aurora, il Sole personificati in Indra, Diodellaluce, costituiscono il
fondamento teologico di questi libri.
Invano cerche resti nella quasi ingenua semplicità di questo mito primitivo tuttoil corpodella teologia di Brahama.I domminon nascono già fatti: lentamente e quasi per strati si sovrappongono, e quelli dell' India
si trovano poi disseminati in una
quantità grandissima di libri sacri,
quali sono il codice di Manù, i diciotto
Purana, il Marayana, poema di Valmichi,
e nel colossale Mahabarata, il quale,
come l'indica l'etimologia del nome
(granpeso), è il libropiùlungoche
siconosca; tanto che nessuno è ancor
riuscito a tradurlo per intero in una
delle lingue europee. Ecco ora la
succinta esposizione del si stemateologico, quale suolsi più comune mene
desumere daquesti libri; e diciam
comunemente, avvegnachè non tutti e
non sempre si accordino nelle acciden talità secondarie della teologia
indiana, getta un uovo risplendente,
ov'egli stesso si rinchiude e forma il
principio vivi ficante della fecondazione; quindi separa l'uovo in due parti e ne forma il cielo e la terra (Creuser Simbolica 1. p. 179 Manù lib. 1 c. 1 IV) Ma ilmondo vi sibile non
è, al postutto, che la mani festazione di Brahama, ilquale a vicenda riproducendosi o in se stesso rientrando crea od annienta il mondo. Abbiam così la notte e il giorno di Brahama, ossia un Kalpa, e ogni Kalpadura 4,320,000, anni, e il numero dei Kalpa è infi nito.
Tuttavia, guardiamci bene dal pren dere questa cifra sul serio : essa non è altro che uno di quei tanti numeri simbolici i quali rappresentano un ciclo, oun fenomeno astronomico (vedi SIM BOLICA), È
del rari concetto simbolico e periodo
astronomicoquello delle quat tro età del mondo rappresentate dauna vacca, che si regge dapprima suquattro gambe, poi su tre, due e una sol gamba.
A somiglianza del Dio cristiano, che
; 102 BRAHAMANISMO doveva nascere due secoli dopo il mito Vedantico, il Dio indiano è unoe trino: Brahamageneratore,Visnu conservatore e Siva distruggitore delle forme; ma questi tre (del resto simboli evidenti delle varie operazioni della natura) non son che uno: il Parabrahama creatore degli spiriti subalterni. Mohassura era capo di questi, ma li spinse a rivolta e fu scacciato dal cielo. Allora sotto la forma del serpente, egli tentò l'uo mo,
tese insidie al suo orgoglio e lo spinse
a proclamarsi eguale a Dio. An che la seconda persona della Trinità ha le sue incarnazioni, dette avatar. Se ne contano dieci, tutte narrate
diversamente, alcune delle quali
presentanouna singolarissima somiglianza con la vita mi stica del Cristo, e
furono forse tolte a prestito dal
Buddhismo in quella famosa incarnazione
di Buddha, alla quale evi dentemente è stata attintala leggendadi Gesù (vedi BUDDHISMO) Il Brahamanismo riconosce lametem psicosi, in
grazia della quale crede che tutte le
anime dovranno reincarnarsi nel corpo
degli animali più o men vili, se hanno
demeritato, motivo per cui alcu ne caste di indiani si astengono dal ci barsi
della carne d'ogni animale, e ci tansi certi asceti, i quali ebbero in
tanto orrore l' uccisione anche degli
animali più immondi, ch'essi preferirono
lasciar crescere e moltiplicare i più
schifosi in setti sul loro corpo piuttosto che di struggerli. Per altro, la
metempsicosi non esclude l'esistenza di
un inferno e d'un paradiso.Anzi, nella
opinione vol gare di paradisi ve neson tanti quante dicibili delizie, come tormenti atroci e senza nome si provano nell'inferno. Ma la metempsicosi è purgatorio, e quelle sole anime vi sono soggette, le quali hannobisognodi espiazione. Quattro ca dagli
agricoltori, e commercianti di pro dotti agricoli; e finalmente 4. la
casta di Shudres che sono gli artigiani
od o perai. Ognuna poi di queste classi si sud divide in altre speciali
divisioni, ma dal l'una all' altra classe a niuno è lecito passare ; e se due persone di classe diversa contraggono matrimonio, deca dono d'
ogni diritto e i loro discen denti sono compresi nelle suddivisioni vili dette Varna-Sankara . Un' ulti ma sotto
classe più sprezzata di tutte è quella
dei Pariahs o Paria, i quali convivere
non possono con nessun uomo delle altre
classi, devono starsene isolati, nella
solitudine delle foreste, o nei luo ghi remoti delle valli, contrasegnare
le loro fonti, arretrarsi alla presenza
d' o gni indiano delle altre classi, e final mente sottoporsi alle più vili
funzioni. In compenso essi non hanno
leggi, nè obblighi religiosi, e d'ogni
sostanza pos sono cibarsi, essendochè pel Bramino uomini veramente essi nonsono. Molte o brutali o superstiziose ceri monie
osservano gli odoratori di Bra hama. Fra le prime vuol esseremenzio nato il
barbaro uso delle vedove che si
sacrificano sul rogo dove consuma il
corpo del marito; e la festa di Ja grenaut nella quale il pesante carro
del Dio, trainato dacavalli, schiaccia i
fede li, che per stolta devozione si precipi tano sotto le sue ruote. Altre
feste sono invece dedicate al mistero
della genera zione, e in quei giorni congran pompa, frammezzo al popolo prosteso a terra, por
tasi intorno il Lingam, simulacro degli
organi genitali (Vedi AMORE). Leabluzio son le caste; ma in tutti si
godono in- ni e le lustrazionisonpure parte princi palissimadel culto
brahamanico; le imma gini del Dio si lavano nei fiumi sacri alla divinità, ove pure con simbolico la
vacro si amministra il battesimo ai neo nati.
ste stabilisce la religione Brahamica, e
Il sacerdote di Brahama è nell'India
sono 1. Quella dei bramini o sacerdoti; onorato come un Dio; ad esso
solo 2. Quella dei Khatriyas o Kettris,
com- spetta il diritto di leggere i Vedas, of posta dai guerrieri e pubblici
funziona- frire sacrifizi, insegnar la religione ed ri; 3. La casta dei Vaishyas composta |
appropriarsi le limosine deposte nelle BROUSSAIS pagode: le sue terre sono esenti dalle imposte e nulla deve agli operai che le 103 ne
delle fibre nervose e sono il risultato
lavorano. Il codice di Manu insiste for temente sul rispetto che la
casta dei guerrieri deve al Brahamano,
al quale è imposto il dovere di
osservare la vita contemplativa siccome
massima delleper fezioni.«AlBrahamano,dice questo strano legislatore, che possiede il Rig-Veda com
pleto sarà perdonato ogni delitto, quan d' anche avesse uccisi gli abitanti dei
tre mondi, od avesse accettato il
nutrimento da un uomo dell' ultima
casta. (Martin. La morale chez les Indiens, Per
altro, questa iniqua sudditanza fondata
sulla disparità delle caste, condusse alla riforma di Buddha, come gli abusi del giudaismo menarono alla riforma di Gesù.
Breve. Vedi BOLLA. Broussais (Francesco
Giuseppe Vittore). Nacque a S. Malo il
17 di cembre 1772, e mori nel 1838. Fu dap prima allievo all' ospitale di S.
Malo, poi medico di fregata, e infine
medico maggiore nell' esercito di terra.
Venuto in Italia con la spedizione
francese, fu per molto tempo addetto
all'ospitale di Udine nel Friuli, ove
raccolse i mate riali per comporre il suo Traité des phlegmasies chroniques. Dopo avere se guito
l'esercito nel mezzogiorno della Francia
e nella Spagna, nel 1814 fu in fine nominato secondo professore all' o spitale
militare di Parigi, poi nell'ospizio di
perfezionamento, ove tenne un corso di
lezioni mediche, le quali, per la no vità delle osservazioni e per
l'ordine delle idee, non meno che per la
violen za del linguaggio, ottennero un gran dissimo successo. Nel 1831 fu
nominato professore di patologia e
terapeutica generale, ed infine ebbe
anche l' onore di esser eletto membro
dell' Istituto. Broussais non era
soltanto medico eminente, ma anche
eccellente filosofo. Nel suo Trattato
della irritazione e della follia,
procura di dimostrare che tutti i nostri
atti, siano essi materiali o di un
movimento o di una modificazio ne puramente chimica o meccanica dei nostri organi. Le emozioni,dic' egli, de
rivano sempre da una eccitazione del ' apparecchio nervoso, e il nostro
stato morale non è che la pura e
semplice rappresentazione del nostro
fisico. Brous sais aveva abolito dal suo linguaggio le parole anima, intelligenza, spirito e tutti i sostantivi astratti, che non
hanno una reale rappresentazione, e
ch'egli riduceva in ogni caso alla
semplice per cezione dei sensi e ad una sensazione puramente materiale del cervello. Laon de
egli chiamava sognatori i professori di
filosofia, i puri ontologi e li mostra va come affetti da una sorta d'allucina
zione, in forza della quale, creando la
parola spirito o intelligenza, avevano
creduto di separare in realtà la funzio ne del pensiero dall'
apparecchio nervo so, e di confidarla aun' etere, a un gaz, il quale per la sua semplicità, nè può pensare, nè produrre entro di noi alcuna azione complessa. « Io non ho che un rammarico, diceva egli, ed è che i me dici i
quali coltivano la fisiologia, recla mano troppo debolmente la loro com petenza
nella scienza delle facoltà intel lettuali, e che gli uomini iquali non hanno fatto uno studio speciale delle funzioni, vogliono appropriarsi questa scienza sotto il nome di psicologia.
>>> Sotto il titolo:
Développement de mon opinion et expression
de ma foi, Broussais lasciò scritto dopo
la sua morte unasorta di testamento
filosofico, dove, professandosi deista e
riconoscen do, con poca congruenza però, l'esisten za di una intelligenza, non
creatrice, ma semplicemente ordinatrice,
persiste sem pre nelle sue opinioni sulla negazione dell' anima. « Fin daquando,dic' egli,
la chirurgia m'insegnò che il pus accumu
lato alla superficie del cervello distrug ge lenostre facoltà, e che
l'evacuazio ne di questa sostanza concede ch' esse riappariscano, io non ho più potuto esi
intellettuali, sono dovuti a un eccitazio- | mermi di concepire queste facoltà
altri 104 BRUNO menti che quali semplici atti di un cer vello
vivente. Brown). Filosofo scoz zese, nato a Kirkmabreck pres perquanto di
sensato e di vero quel filosofo aveva scritto, ma nelle cose si ve nerava ch'
egli forse non scrisse mai e che, non
senza fondamento, sono tenute in
sospetto di apocrife (VediARISTOTILE).
Se a Ginevra d'altronde era morto Cal so Edimburgo. Bouillet dice
ch'esso fu discepolo infedele della
scuola scozzese, inquantochè contro
Braidsostiene, che non è necessario
supporre una facoltà speciale di
percezione per conoscere i corpi
esterni, bastando la semplice sen sazione e il concetto di causa; la
quale, con Hume, egli riconosce essere
una semplice idea di successione o di
con nessione. Brown, senza appartenere alla
scuola dello scetticismo, per la sua dot trina vi si dimostra però molto
propen so, come par propenso alla negazione stotile, quel ricovero eziandio gli
fu del libero arbitrio, quand' egli
definisce la volontà: un semplice
desiderio, con vino, il protestante Beza
che vi regna va signore, aveva ereditata tutta l' in tolleranza di lui; onde si
capisce per chè il Bruno trovò la Svizzera poco
ospitale. Quindi passò a Lione, a To losa e venne aParigi insegnando
filo sofia. Qui ebbe miglior fortuna,ed una
cattedra gli fu aperta al libero inse gnamento della sua filosofia. Ma
non appena si avventurò acombattere Ari
' opinione che l'effetto sta per seguirlo.
Brownisti. Partigiani di una delle
molte sette della religione inglese. Fu
fondatanell'anno 1580 daRoberto Brown,
il quale predicò contro l'autorità ecclesia stica, si attirò lo sdegno
dei vescovi e sof frì molte persecuzioni. Egli stesso diceva di aver mutato ben trentadue prigioni. Infine gli stati gli permisero di
fondare una Chiesa a Middelbourg nella
Zelanda, dove proclamò il principio che
il go verno della Chiesa deve essere affatto
democratico e i ministri sempre revo cabili; potere ogni fedele fare le
predi cazioni nella chiesa o rivolgere doman de al ministro. Le opinioni sue si
spar sero nell' Inghilterra prestamente, tanto
che nel 1692 si contavano ben ventimila
Brownisti. Bruno (Giordano).
Nacque aNola presso Napoli verso la metà
del XVI chiuso, sicchè nel 1583 passò in
In ghilterra, e quattro anni dopo visito
la Germania. Fu a Vittemberga che
egli ottenne maggior successo e tolle ranza, ond' egli scriveva al
Senato di quella città, ringraziandolo «
perchè a uno straniero, uomo alieno
dalla vo stra fede, permetteste di insegnare in
pubblico e tolleraste con mirabile mo derazione la sua veemenza nell'
impu gnare la filosofia di Aristotile che tan to vi è cara. » Ma la
riconoscenza trasportò il filosofo e gli
fece trascu rare la verità storica; avvegnacchè in quella sua lettera di commiato abbia eglifatto un entusiastico elogio di Lu tero,
senza pensare quanto quell'auste ro agostiniano fosse lontano dal nutri re quei
sentimenti di libertà filosofica che il
Bruno tanto encomiava. Il vivo desiderio
ch' ei nutriva di rivedere la sua
patria, lo spinse imprudentemente nel
1598 a Venezia. Ma quivi viveva la
inquisizione: fu arrestato, e dopo sei
anni di detenzione nelle carceri,la Re pubblicaconcesse finalmente
l'estradi secolo; fu educato alle scienze matema tiche, filosofiche e
teologiche in un Con vento di domenicani, ove assunse gli or dini sacri.
Mabenpresto icorrotti costu- zione con infinita insistenza reclamata midei colleghi ele assurdità deidommi, lo disgustarono tanto di quella vita,
che se ne fuggì a Ginevra. Sperava egli
di trovarvi maggior tolleranza per la
sua filosofia anti-aristotelica; ma
quivi, come a Roma, Aristotile regnava
sovrano, non dal Sant' Uffizio; fu
trasferito a Roma, ov' egli langul nelle
segrete per due anni, che ci vengono
mostrati come un caritatevole indugio
che la pietà cattolica offriva alla sua
ritrattazione. Qui veramente lafigura di
questo filo BUDDHISMO sofo spicca per la
fermezza e com muove per la ferocità de' suoi giudici. Nulla volle il Bruno ritrattare, nulla modificare delle cose insegnate. Nè i primi teologi di Roma, nè il Cardinale Bellarmino che scesero con lui nel car
105 ne. « Ciò che fu seme, scriveva Gior
dano Bruno, diventa erba, poi spica, poi
pane, succo nutritivo, sangue, sper ma, embrione, uomo, cadavere; poi terra, pietra od altro corpo solido, e così di seguito. Per questo fatto noi cere per disputare,poterono rimuover lo dai
suoi propositi, onde ai 9 di feb braio dell' anno 1600 gl' inquisitori leggevangli la sentenza, nella quale, dopo avere dichiarate empie ed ereti che le
sue opinioni, lo si abbandonava al
braccio secolare per essere punito con
quella maggior clemenza che si potesse,
senza spargimento di sangue; locuzione
ipocrita che l' inquisizione usava per
dannare al rogo! Ai suoi giudici, narra
un biografo, egli rispon deva: >>
Non lo credo; ma non monta: procu rate di avere qualche notizia su
questo stato fisiologico, che ben spesso
diventa patologićo, da quei poveri
diavoli che ' hanno provato. Insomma,
voi avete fame in tutto il senso
prosaico della parola, Ed ecco appunto
il momento in eui io vi presento una
rosa... unabella rosa di maggio, appena
colta,copertadi rugiada e piena di
fragranza. Mail suo profumo vi
irritainervi; voi la degnate appena d'
uno sguardo quella povera rosa, che io
aveva coltivata e vagheg giataper tanti giorni. Ohimè! voi cor rete alla tavola
sulla quale è imbandito un bel cavolo
bianco in insalata, al burro, alla
crema, alla salsa majonnaise, in tutti i
modi. E il suo profumo vi in nebria, vi trasporta, vi commuove, ben più che la fragranza ditutte le rose di questo mondo. Infine, voi mangiate quel povero cavolo tanto indegnamente di
sprezzato, e vi saziate. E quel cavolo vi
ritorna il buon umore, il colorito alle
guance, l'allegria, l'espansione, la fe licità. «Oh potenza di un cavolo! « Il cavolo vi ha ritornato il desi derio
della rosa, vi ha dato il brio, il bello
e l'incarnato delle guancie, il sen timento, lo spirito: in una parola, vi ha dato l' anima. Anzi ancora, quel povero cavolo, digerito nel vostro sto maco,
nelle sue sostanze nutritive si tra sforma in chilo, poi in sangue, poi in carne, e chi sa che non venga appunto aformare unpoco di quella vostra pelle bianca, morbida, vellutata, che è pure i
Nella natura nulla viè che sia spre gievole, ma ogni cosa ci diletta più
o meno secondo i nostri bisogni e il no
stro stato fisiologico e patologico. Per
esempio, io non vi consiglierei di dare
la vostra rosa ad una puerpera e ilca-,
volo ad un ammalato d' indigestione.
Tutto è buonorelativamente, e può gio-;
vare o nuocere, piacere o disgustare se condo i casi. » Intorno a questo carattere pura mente
relativo del gusto, tutti si ac cordano; ed è strano il vedere quegli stessi filosofi i quali nel bello
lottano accanitamente per sostenere
l'assoluto estetico, ammettere poi senza
difficoltà.. la distruzione
dell'assoluto in unaparte
principalissima del buono. Ma non è
forse ' organo del gusto tanto essen-.
ziale all' uomo quanto quello della vi sta e dell' udito? Non percepisce
la sensazione come tutti gli altri
nervi della sensabilità? E se sì, qual
logica è mai quella che induce costoro
ad ammettere una realtà obbiettiva, asso
luta per il nervo ottico e per il nervo
acustico, e a negarla invece ai due
nervi ipoglosso e glosso-faringeo che
presiedono alla funzione delgusto? Im perocchè se il buono del gusto è
in rapporto, è relativo a questi
nervi, perchè il bello della vista e
dell'udito non dovrà essere relativo a
quegli al tri? Ma non si domandi alla filosofia
speculativa la ragione delle sueprefe renze. Ciò che è domma non può es
sere spiegato, e quando si tenta di
spiegarlo non si riesce ad altro che a
dire: il bello si sente. Ma non si sente
forse anche il buono? e ilgusto,varia bilissimo, non è forse da ognuno
sen tito a suo modo?
Buridan(Giovanni).S'ignora l'an no della sua nascita e della sua morte.
110 BUFFON Nel 1327 era rettore dell' Università di di Parigi e si mostrava, per la fama e per l'ingegno, uno dei più abili
difensori del nominalismo (vedi questo
nome). In quei tempi di tanto impero per
la sco lastica e per la teologia, egli fu, si può dire, il sol filosofo chenon siastato teo
logo ed abbia evitato di trattare argo menti di pura teologia. Attivo commen
tatore di Aristotile, egli si applicò alla
ricerca dei termini medii d'ogni specie
di sillogismo. Di lui
nonsipossede altro scritto che i
Commenti sopra Aristotile, stampati a
Parigi nel 1518, ma il suonome è pas sato alla posterità per un
sillogismo as sai caustico, ch'egli soleva ripetere nelle sue lezioni. I teologi negavano l' anima delle bestie per meglio far emergere la superiorità di quella che, adir loro,
Dio aveva alitato nel corpo di Adamo, e
che per ladiscendenzasi è trasmessa
infino a noi. Buridan per combatterli
supponeva un Asino ben affamato fra due
misure di avena perfettamente eguali, e
che e gualmente agissero sopra i suoi organi.
Data questa supposizione, egli chiedeva
allora: Cosa farà quest'asino?- Se
alcuno gli rispondeva ch' esso sarebbe
restato immobile fra le due tendenze e guali, Buridan conchiudeva:-
Dunque esso morirà di fame inmezzo adue
mi sure d'avena. Questa conseguenza pareva
tanto assurda e strana che destava le
risa. Ma qualche altro rispondeva tosto,
che l'Asino non sarebbe poi stato tanto
asino per morir di fame, essendo così
vicino all'alimento.E allora il professore conchiudeva : Dunque o due pesi eguali che sicontrabilanciano possono l'uno far muovere l'altro, oppure quest' asino ha il libero arbitrio al par dell' uomo. Questo sillogismo non mancava mai di imbarazzare e filosofi e teologi, sicchè divenne celebre nelle scuole sotto l'ap
pellativo dell'Asino di Buridan. Buffon (Giorgio Luigi conte di le Clerc ) Nacque a Montban nelle Bor gogna nel
1707 e fu uno dei più rino mati naturalisti del suo tempo. Poco amava Voltaire e punto gli enciclope disti;
edicesi anche che non si mostrò più
nell'Accademiadicui era membro, dopochè
vi penetrarono iprincipii di quella
libera filosofia, che dominava i dotti
dei suoi tempi. Buffon molto ama va le apparenze, nè voleva parere irre
ligioso. Lasua famacome filosofo ema terialista gli fu attribuita
specialmente in grazia della sua Storia
naturale, il primovolume dellaquale
comparve nel 1749. In quest'opera si
trovano, fram misti amolte esolide verità, non pochi errori, e ipotesi ardite o strane, che
più nonconcordano con quelle dei
moderni cosmologi. Per esempio, egli
vuole che le acque del mare col flusso e
riflusso abbiano prodotto i monti
(Vol.I. p. 181) eche le correnti marine
abbiano solcate le valli. Matuttoché sia
stato atorto ac cusato di esagerazione dai suoi contem poranei, bisogna pur
confessare, ch'e gli, sebben confusamente, fu un dei primi che abbiano indovinato la gran dissima
azione che esercitano le acque sulla
esterna configurazione del globo. Nel
suo libro egli ebbe cura di dire che
quanto al Diluvio bisogna limitarsi a
saperne quanto ci apprendono i libri
sunti, e confessare che non ci è permesso di saperne di più, e sopratutto
guardarsi bene di mischiare una cattiva
fisica con la purità di questi libri. Ma
non valse questa sommessione all'
autorità della Bibbia, per fargli
perdonare certi prin cipii che quà e là nel suo libro sem bravano poco conformi
all' ortodossia, come p. e. questi:
> C
Cabala. Dottrina dei cabalisti che | Descrivere per punto e per segno
que sta dottrina, non si può, giacchè la
cabala è mistero, o a dir meglio follia
e aberrazione, per la quale soltanto gli
si crede originaria dei Caldei, e passò
poi fra gli ebrei, e quindi fra gli stessi cristiani dei primi secoli. In ebraico Ca
bala significa tradizione, ed è la tra dizione dell' arte di conoscere le opera
zioni degli spiriti edi spiegare l'essenza
delle cose col mezzo dei simboli, o con
la combinazione dei numeri o col ro vesciamento delle parole della
scrittura. antichi potevano sbizzarirsi
a cercare la occulta azione di certe
parole efficaci in cui si supponeva
esistere una certa potenza adirigere le
sorti dell'umanità. Da qui tutto lo
studio sul vario modo . di combinare le lettere dell' alfabeto o i
112 CABANIS numeri; ed è a credersi che tali pregiu dizi
abbiano generato fra gli ebrei la
persuasione, che il nome di Jehova po tesse operare miracoli, d' onde il
di vieto di pronunciarlo e l'uso invalso
fra i rabbini di cambiare i puntivocali,
onde il vero suono ai vulgari restasse
ignorato. Dai Caldei la Cabala passò
nella Grecia con Pitagora. Si sa che
questo filosofo, supponendo che i vari
rapporti dei numeri fra di loro fossero
immutabili, assoluti, volle che essi espri messero la legge dell' ordine
e dell' ar monia dell' universo, la legge che diri geva ' Intelligenza suprema
nelle sue produzioni. Onde suppose che i
numeri esprimenti questi rapporti
esercitassero anche una certa influenza
sulla Intelli *genza suprema, e la potessero determi nare a produrre certi
effetti invece di certi altri. Da quì la
cabala numerica della filosofia
Pitagorica. Siffatta aberra zione nonpuò maravigliarci, poichèlapo tenzache si
attribuiva acertisegni, acerte parole, a
certi colori o a certe sostanze
formavano il più serio argomento degli
studi degli antichi, e se ne trovano non
pochi esempi tra gli stessi cristiani.
Peres.Mersennoragionava cosi: >
Cataclisma. Il cataclisma è il
fondamento di una certa teoria geolo logica la quale grandemente si
accor da con la teologia. Già nel medio evo
si erano scoperte nel seno della terra
delle conchiglie e degli ossami fos sili; ma si spiegava il fatto
credendo che le prime fossero opera
fortuita della natura, e attribuendo i
secondi agli avanzi di una supposta
razza di giganti, oppur agli scheletri
degli ele fanti di Annibale. Fu solo nel 1580
che un tal Bernardo Bulissy osò dire
in Parigi, alla presenza di tutti i dot tori, che le conchiglie fossili
erano delle vere conchiglie state altra
volta deposte dal mare inquegli stessi
luo ghi dove allora si trovavano; che veri
pesci eran quelli che avevano lasciata
nelle pietre l'impronta della loro figu ra, e arditamente sfidò tutti
gli scola stici a combattere le sue prove. Ma
in qual guisa poteva il mare aver de posto quegli avanzi sul continente
? Ecco il quesito che senz' altro procu
rò di spiegare la teologia col suo di luvio di Noè. Poichè eziandio sui
monti trovavansi le conchiglie e
l'impronta dei pesci lasciata nelle
pietre, non era questa la più bella
prova dell' univer salità del diluvio noetico? Non narra forse la Genesi che in quel grande ca
taclisma le acque del mare s' innalza rono fin quindici cubiti sopra le
più alte montagne ? Questa
spiegazione parve tanto ingegnosa e così
piena di evidenza, che nel secolo scorso
uomi ni d'ingegno, come Reaumur e Jus sieu, e perfino increduli, come Bou
langer, si credettero in dovere di
adottarla, modificandola solo in quan to dicevano, doversi il diluvio
consi derare come un cataclisma naturale,
che le tradizioni religiose avevano poi,
o bene o male,inquadrato nelle sacre
leggende. Niuno per allora pensò ad
opporsi a questa opinione, la quale,
anche nel secolo nostro, trovò in Cu vier un potente e vigoroso propugna
tore. Questo grande geologo, che per
molti riguardi può dirsi che sia il pa dre della paleontologia moderna,
dopo avere ben studiata e stabilita la
in trinseca differenza dei vari strati geologici della corteccia terrestre,
dopo di avere divinato colla sua scienza
le 125
animali i cui avanzi si trovano sepolti
nei vari strati geologici della terra. Ma forme dei grandi animali fossili, che egli chiamò antidiluviani, cercò di spiegare la successiva formazione di questi strati con una serie di catacli smi,
che in varie remotissime epoche spensero
la vita organica in sulla ter ra e riformarono la sua superficie. >
Ma il decreto di Cuvier non val se a frenare lo spirito d'indagine on de
erano invasi li scopritori. Cuvier fu
sconfitto. Non solo si trovarono gran
numero di ossami umani fossili, ma gli
stessi fossili animali furono scoperti
in gran numero, ed in terreni geologici
sì bene caratterizzati, da po tersi provare colla massima evidenza, che queste creazioni non erano sparite lerà chiaro all' intelligenza quando si sappia tutta l'importanzadi quella tra
sformazione, che si è introdotta nella
geologia, e perla quale la vecchia teo ria dei cataclismi, fu
definitivamente surrogata da quella
delle cause at tuali. Quali sono le
cause attuali che noi vediamo concorrere
a modificare la su perficie del suolo? Per poca perspicacia che abbia un osservatore, basta ch'egli volga intorno uno sguardo ond' avve dersi che
queste cause sono parecchie, e che la
loro azione è continua. L'a zione dell'acqua, dei venti, dei vulcani e della vita organica,basterebbe da sola a cambiare tutta la faccia della terra. Negli strati inferiori non si trova
alcuna traccia di esseri organici, non
già per chè quand' essi si formarono la vita
fosse spenta sulla terra, ma perché
non esistevano allora gli animali e le
conchiglie calcaree che soli avrebbero
potuto conservarsi. Le conchiglie mi croscopiche giàcominciano a
mostrarsi negli ultimi tempi di questo
periodo e le pietre di costruzione di
Parigi non constano d'altro che di
conchiglie im percettibili insieme aggregate. Abbiam dunque delle roccie costruite per la per l'effetto di nessun cataclisma, ma che si erano semplicemente trasformate | sola
e lentissima azione della vita ani pel lungo volger dei secoli e per
quella legge che modifica la natura ad
ogni minuto. La somma di questi impercet
tibili effetti, ha prodotte quelle pro fonde variazioni, che noi ora conside
male! Citansi ancora dai fautori dei
cata clismi imassi erratici, come monumento
di una forza violenta che si rovesciò
riamo con occhio attonito, come il ri sultato di una immediata
creazione. E Alessandro Humboldt ben
intravedeva questa luminosa idea,dicendo
che la for mazione dei continenti
attuali si è com piuta a poco a poco attraverso una lunga serie di sollevamenti e di abbas
samenti successivi ( Cosmos ). No, non
vi furono diluvi, nè grandi e generali
cataclismi sulla terra, e tut tavia la superficie di essa si è grande mente
trasformata e si trasforma inces sulla terra. Nella valle di Worf lo strato inferiore di lavagna è coperto da uno strato di pietra calcarea, e un centinaio di piedi più sopra si osser vano
degli enormi massi di lavagna in gran
numero; altri massi si trovano nella
duna del Niemen, ed altri in al tre parti. Come si trovano essi in tali paesi e qual forza ve li ha portati; e sopratutto, in qual maniera essi si tro vano
in gran parte posti sopra degli
altipiani, in luogo ove evidentemente
occorreva una forza grandissima per
trascinarveli ? Nessuna forza fuor di
santemente. A molti questa idea potrå
sembrare un paradosso, ma essa par- | quella d'una immensa corrente d'
acqua avrebbe potuto strappare questi | quest' azione preponderante; l'acqua
vi grandiosi massi dal vertice dei
monti per trainarli al piano o sopra
altri monti. Il Diluvio solo avrebbe
potuto ottenere cotali grandiosi
risultati. Qual finezza di ragionamento,
quale indu strioso studio non pongono in opera i fautori del cataclisma ! penetra e vi riempie le cavità; ov'essa si congeli, tosto aumenta di volume e fa spaccare laroccia. Tutti gli scoscen
dimenti delle montagne sono cagionati
dal semplice ruscello che le corrode,
le limae le assedia da ogni parte. L'ac qua penetra nella terra, scava
de' con dotti sotterranei, causa di gran numero
di disastri. La superficie terrestre so spesa per vastissimo tratto
sopra un lago sotterraneo, un bel giorno
si rom Non si creda però che ai pervicaci
propugnatori delle cause attuali man chi la voce per rispondere. Essi ragionano così: Il fondo delle valli è ingombro di pietre rigate e sol cate
pel continuo movimento dei ghiac ciai, i quali, sciogliendosi al fondo for- |di
essi; la contrada si allaga ed av pe, i campi, le case, interi villaggi si sprofondano nell'abisso scavato sotto mano de' rivi e delle correnti, che a lungo andare scavano la pietra. I ghiac ciai
per conseguenza, sciogliendosi al di
sotto, corrodono la pietra e si sca vanounletto nel macigno. Ai bordi de valla. Le onde del mare che s'infrangono contro gli scogli, ne minano le fonda menta,
frastagliano il macigno, formano i seni
ed i golfi ed inoltrano il marenel
positano i lapilli, che apoco apoco in- | continente. grossano e coprono i fianchi promi nenti, quà
e là corrosi dalle correnti. Questi
fianchi tondeggianti presentano
l'aspetto dei massi erratici, i quali poi si trovano disposti lungo le valli nella direzione istessa dei ghiacciai, e lascia
nopensare che altra volta questi ghiac- bie che trasporta cotidianamente il
Nilo ciai scendessero più al basso e che
i così detti massi erratici ( che però
non In altre parti l'azione dell'
acqua compie un ufficio opposto.
Trasportando le sabbie che tiene
disciolte, essa le de posita sulle
sponde del mare od alla foce dei fiumi,
ove col corso dei secoli forma immensi
tratti di terreno. Le sab sarebbero più erratici sotto questo ri guardo) ne
costituissero i bordi. Fu infatti
calcolato che pochi anni simili aquelli
più freddi ed umidi dei no stri tempi, basterebbero a distendere i ghiacciai fino alle linee dei massi er
ratici. La dottrina delle cause attuali,
spie gatutti i fenomeni della natura in que sta guisa, e dalla sola azione
delle for ze che ancora agiscono, fa con meravi gliosa semplicità scaturire
tutte le più grandi trasformazioni della
terra. La goccia d'acqua che batte sul
macigno, lo scava lentamente e per
l'opera del tempo forma un colossale
lavoro. Le correnti d'acqua sono le
cause di mag gior trasformazione alla superficie ter restre. Le più durepietre,
il basalto e la pietra focaia, vanno
pure soggette a ne hanno invasa la foce,
ed hanno for mato il Delta. La Lombardia fuun tem po palude, ed in tale stato sarebbe
ri dotta inpochianni, ove l'uomo, con pian tagioni ed argini, non pensasse ad
inca nalare le acque ed a dare ad esse uno
sfogo al mare. In altri luoghi è
il mare stesso che, rigettando le sabbie
alla spiaggia, resti tuisce al continente quei terreni che al trove gl' invola.
L' Olanda ed i Paesi Bassi sono terre
che l'uomo ancora coi suoi argini
contrasta al mare. Le sab bie che la marea sempre respinge alla spiaggia, ne ingrandiramo forse il ter reno,
ma la potenza dei venti, terribili
nemici d'ogni vita organica, lor contra stano ad ogni passo lo sviluppo
della vita. Chi non ha udito parlare con terrore del lento e fatale cammino delle dune? Il granello di sabbia che il mare 128 CATACLISMA
rigetta alla spiaggia è trasportato dal
vento sul continente. Là ingrossa, si fa
superficie, colle, promontorio, monte. Il vento lo percuote coi suoi assalti, lo mina alla superficie e ne spinge le sab bie
più innanzi, ove si depositano e for mano un nuovo colle, alto talora 200 piedi e lungo parecchie leghe. Queste montagne viventi figliano emoltiplicano, s'arrotondano per la pioggia sui
fianchi, 1 ۱
1875 si allargano alla base, si
avvallano, ma si inoltrano sempre! Il contadino, il proprietario ne calco lano
con sgomento il rapido corso. Una
solabufera le inoltra spesso di parecchi
metri. Basta un anno per avanzarle di
una lega! Oggi tocca i confini del mio
campo, del mio villaggio, e l'annopros simo del villaggio e del campo
non re sterà che un deserto! La Prussia,
la Danimarca, l'Irlanda etutte le coste
del mar Baltico hanno le lor dune. Nella
Francia un tratto di oltre duecento
miglia di terreno, sulle coste della
Guascogna, è invaso dalle dune. Un tempo
inquelpaese sorgevano città e castella,
e quelle coste sulle quali muta or
s'infrange l'onda del mare, si
schiudevano alla navigazione ed al com mercio. A lato del mare oggi si è
col locato un mar di sabbia, che il vento
agita e trasporta, frastaglia in valli e
spinge innanzi a contrastare il pane, la
vegetazione e la vita stessa dell'uomo.
Abbandonate a se stesse, in pochi secoli
le sabbie avrebbero coperta la Francia.
La Provvidenza distruggeva l'opera delle
sue mani! Ma un uomo eminente, un
genio, come sempre deriso, volle com batterela natura, non più colla
preghie ra, ma colle forze della natura stessa.
Dio vede e provvede, dicevano i nostri
antichi. Ma le dune s'inoltravano sempre. L'ingegnere Brémontier vide e previde da se stesso. E le dune si fermarono. Semi di pini e di ginestri furono sparsi in quelle lande inospite. Essi gettarono le radici, produssero le piante e rallen
tarono, se non vinsero del tutto, il corso
delle dune. Forse fra qualche secolo i
nostri nipoti invano andranno in cerca
delle dune. Lå ove sorgeva l'elemento
più distruttore della vita vegetale, essí non troveranno che terreni solidi,
coperti dai boschi. Anche le sabbie col
tempo si cristallizzano e formano sodi
terreni. Sulle coste dell'Irlanda
l'ignoranza produsse invece un effetto
opposto. Nelle dunediquel paese esisteva
ungiunco ab bastanza alto per contenere le sabbie. Gli abitanti ne tagliarono il fusto per loro uso. Nel 1697 tutta la contea, di venti leghe quadrate, fu devastata, e al posto di un fertile paese, ove sorgevano case e castella, oggi non si vede che un cimitero di sabbia. Gli scavi fatti e le inscrizioni trovate provano la passata prosperitàdi quella contrada. L'opera trasformatrice del mare si esercita sopra una grandissima
estensione di terreno. Il Baltico si
ritira lentamente dalle coste della
Svezia ed invade invece il litorale
della Prussia. Una parte del litorale
della Pomerania è scoperto, e laddove li
antichi storici ci segnavano il porto di
Vineta, ora s'infrangono le onde marine.
Aigues-mortes fu invece già porto di
mare, ove nel 1248 Luigi IX s'imbarcò
per la crociata; ora dista cinque
chilometri dal lido. Altrettanto distano
gli antichi porti italiani di Ra venna ed Adria, mentre invece le rovine del tempio di Serapide aNapoli, che era stato fondato nell'ultimo secolo dell' era antica a dodici piedi di altezza sul li vello
del mare, è ora con tutta la base
immerso nelle acque. D'altra
parte nel seno stesso delle arque giace
un elemento potentissimo per la
costruzione delle terre. Il polipo del
corallo lavora incessantemente a co struire nel fondo del mare dei monti, che man mano si innalzano e spesso raggiungono la superficie. Ove sorga uno scoglio sottomarino, il polipo vi si attacca e moltiplica, formando degli immensi banchi di pietra. Nelmezzo del grande Oceano le isole di corallo si contano a migliaia. Qualche volta spro
fondano, perchè esse si allargano intorno CATACLISMA allo scoglio verso la superficie del mare, e mancano di base all' ingiro. Ma le materie precipitate all' intorno
allargano questa base, sulla quale
ilpolipo ripren de il suo infaticabile e secolare lavoro. Le pareti raggiungono ancora la super ficie
dell' acqua, e l'isola si ricostruisce
ancor più solida e più grande.
Allora suquesto nuovo terreno, sorto
comeper incanto inmezzo ai flutti, senza
che l'uomo vi semini o che Dio vi crei,
nascono spontaneamente alla superficie
dei licheni bianchi, i quali ben presto si trasformano in licheni gialli e di una 129
tratto e che per l'effetto di questi scon volgimenti, le acque del mare
innalzan dosi sopra l' ordinario livello, in gran dissima copia si
rovesciassero sui conti nenti, ove avrebbero prodotti tutti gli effetti che al Diluvio si
attribuiscono.Ma èben strano, dice ilgeologo
inglese Carlo Lyell, che coloro i quali
sogliono eser citare la loro immaginazione sopra cosi fatta supposizione, non
abbiano addrit tura attribuiti questi effetti alla imme diata trasformazione di
tutto il letto del l'Oceano in un'alto fondo. Avvegnache specie più forte. Il lichene, per chi nol sa, appartiene alle più infime specie vegetali, alla fami
glia delle crittogame, e nascespontanea mente sui muri e sul sasso, che spesso ricopre d' un verde giallognolo. Dovrem mo
quasi pensare, che esso costituisce il
primo tipo della vita vegetale, come il
polipo è il primo delregno animale. Nel
mezzo dell' Oceano questi due regni si
confondono e iniziano la materia allavita organica, come seivi ilmondo fosse nato ieri. L' anno susseguente alla loro na scita,
questi licheni muojono sul corallo che
li iniziò alla vita, ma essi lasciano
una grande eredità per la vegetazione
futura. La superficie pietrosa del corallo s'è ricoperta di uno strato di terra, sot
tile ancora, ma sufficente a nuovavege tazione, e il navigatore chepasserà
nel I' anno successivo in quei paraggi,
vedrà crescere il musco; l'isola sarà
verdeg giante. Chi ci assicura che fra due lustri nonvi possano crescere gli arbusti, e
fra dieci secoli la foresta vergine ?
Qui la generazionesi è prodotta
spontaneamente; il dito del creatore qui
non si scorge; ep pure la vita nasce e si riproduce! Diciamo pure che tutte queste cause, se spiegano assai bene la formazione di nuovi terreni e di nuovi continenti, non spiegano però la formazione delle catene deimonti che solcano tuttala superficie del globo. L'antica geologia spiegava l'azione dei diluvi ammettendo che que ste
catene si fossero sollevate d' un
facilmente s' intenda da chicchessia, chè il sollevamento dei monti non avrebbe avuto altro risultato che quello di spo stare
una certa quantità d'aria atmosfe rica, mentre il sollevamento del fondo del mare potrebbe spostare una conside revole
quantità d'acqua. D'altronde, biso gnaben convenire, che se la teoria dei cataclismi nettuniani non è verosimile, quella dei cataclismi plutonici non è
più vera dell'altra. Lyell ha troppo ben
di mostrato quanto siafalsa la supposizione
chenei tempi antichi l'azione ignea nel l'interno del globo si
esercitasse con maggiore intensità. I
grandiosi effetti che noi oggi
supponiamo prodotti da una straordinaria
azione del fuoco, possono tutti
spiegarsi con una serie lenta e suc cessiva di eruzioni vulcaniche, di terre
moti succedentisi in un lungo periodo di
tempo, come vediamo che tuttodi avvie ne in molte contrade. Lacontinuità
delle eruzioni in unlunghissimo spaziodi
tem po può produrre, a cagione della lava
vomitata, dei nuovi monti. Oltredichě
l'osservazione ha rivelato alla geologia
moderna, che non solo possono per la
lenta azione del calore centrale sollevarsi imonti apoco a poco e quasi impercet
tibilmente, ma anche subire, per le sole
forze attuali, delle grandi variazioni nel loro livello. Per esempio, la Svezia, la costa occidentale dell'America del Sud e certi arcipelaghi dell' Oceano Pacifico provano un movimento lento e insensi bile di
innalzamento, mentre che altre regioni,
come la Groenlandia, diverse 9 . 130
CATACLISMA parti del Mar Pacifico
e dell'Oceano In diano che contengono molte isole di co rallo, provano un
movimento contrario | superficie, basta supporre all' ovest di esi abbassano gradualmente. Certo, si Mendoza
una zona di movimento più 4,900 metri
incirca. Ora, per spiegare la
causadelleprincipali ineguaglianze della
può dire che non vi è alcuna analogia forte e all'est invece una forza
sempre tra il sollevamento di grandi
tratti di più decrescente, a misura che si avvicina terreno, e la formazione delle catene di all'
Atlantico. In una parola, basta am monti, ma ogni discordanza anche sopra
mettere che la regione delle Ande sia
questo punto può essere ridotta a con- stata innalzata di metri 1. 22,
mentre i formità col solo soccorso delle
cause at- Pampas presso Mendoza nell' egual pe tuali. Vi sono, dice Lyell,
delle catene riodo di tempo subirono un sollevamento considerevoli, come le Ande, nelle quali di
tre decimetri e le coste dell'Atlantico
l' azione dei vulcani e dei terremoti si soltanto di 25 millimetri. Che
se noi manifesta con una grande energia,
se- ammettiamo queste cifre come rappre guendo certe linee determinate. D' al-
sentanti il lento innalzamento del suolo
tra parte, osservasi che l'azione di que- nelle varie parti di
quellaregione e nello sti fenomeni si
propaga intorno intorno spazio di un secolo, capiremo facil
conunaintensitàdecrescente. Ciò posto, si mente come, dopo un periodo di
300,000 capisce
cheseunainteraregionedelglobo anni, questa lenta azione, impercettibile va lentamente innalzandosi nel corso dei ❘ ai contemporanei, abbia potuto
produrre secoli, questo innalzamento non
sarà e guale in tutti i suoi punti; ma se agli
estremi lembi del terreno soggetto alla
minima azione vulcanica, potrà aversi
l'innalzamento, poniamo, di un piede in
un secolo, sulla linea centrale dove l'a zione vulcanica è maggiore, l'
innalza mento potrà essere cinque o dieci volte
tanto. Diguisachè in capo a molti secoli
la sproporzione nella rapidità dell'emer sione deve infine generare
quelle grandi differenze di livello nei
terreni, che tanto c'impongono, e che
noisiamo inclinati a considerare come
l'effetto di una subita emersione. Chi
corre l' America dal l'Atlantico al mar Pacifico seguendo una linea che passa per Mendoza, attraversa una pianura di 800miglia di estensione, la cui parte orientale nonèemersa dalle acque da molto tempo. Verso l'Atlantico la pendenza dapprima è insensibile, poi si fa più aspra, finchè arrivando aMen doza
il viaggiatore trova di aver rag giunto quasi insensibilmente una altezza le strane ineguaglianze che ora notiamo. Ora, 3000 secolinonsono gran cosa per un periodo geologico, e se riflettiamo
che in Europa è stato riconosciuto, che
al capo Nord il suolo si innalza di
metri 1. 5in ogni secolo; chepiù lungi,
verso il Sud, il movimento non è che di
3 deci metri ; a Stoccolma di76millimetri sol tanto, e che più oltre cessa
interamente, non avremo difficoltà ad
ammettere, che in unlungoperiododitempo
le forze at tuali della terra non possano produrre e non vadano tuttodi producendo quelle stesse disuguaglianze di livello, che si sono già prodotte nei tempi andati. Gli effetti ultimi delle due teorie sono sempre identici; sol differiscono nella durata, bre
vissima per la teoria dei cataclismi, lun ghissima invece per quella delle
cause attuali. Piuttosto che ammettere
un ro vesciamento improvviso delle acque sui
continenti, quest' ultima teoria riconosce che i continenti furonoper un tempo in
calcolabile sommersi sottole acque. Una
carta geologicadell'Europa pubblicata da
di oltre 1200 metri. Là immediatamante
incomincia la regione montagnosa, la | Carlo Lyell, sulle traccie delle
notizie quale, da Mendozafinoallerive
del Pa cifico, presenta una superficie di 120
miglia in lunghezza; e l'altezza media
della catona principale è da 4,600, a
geologiche ottenute, mostra che dopo il
periodo terziario due terzi dell' Europa
restarono sommersi nelle acque. L'Adria tico invadeva la Lombardia e il
Veneto; : CATACLISMA le maremmee lacampagnaromana era nopure
sommerse; sommersa era quasi tutta
laGermania e laRussia, e laFran cia e l'Inghilterra erano intersecate da mari. Leprovediquesta sommersione si fondano sul fatto, che i luoghi indicati come sommersi sono attualmente coperti dadepositi contenenti gli avanzi fossili di animali, i quali non possono essere vissuti altrimenti che sotto le acque;
ma 131
secoli. Nel primo caso avremmo un ca taclisma, il paese sarebbe privato
dei suoi abitanti, e la superficie del
suolo non presenterebbe altro che un am
masso di rovine; nel secondo la vita e
la vegetazione continuerebbero a sus sistere e andrebbero man mano gua
dagnando anche i terreni novellamente
l'emersione di queste terre è stata certa mente così lenta, come lento è
l'innal zamento attuale di altre terre. Donati,
emersi. Ma l'osservazione non ci lascia
alcun dubbio nella scelta di queste
due ipotesi. Ciò che succede nel Chill
ed altrove, ci spiega con troppa evi denza che la violenza delle
convulsioni del globo non è continua, è
lenta e che, come ben dice Lyell « il
solle esplorando il lettodel mareAdriatico,ha
trovato che esiste la piùgrande analo gia,fra gli strati che vi si
stanno for mando e quelli che costituiscono la | gionato da molte scosse di
intensità mediocre, piuttosto che da un
piccolo numerodiconvulsioni violenti. »
( Prin vamento delle catene dei monti è ca->
maggior parte dei monti d'Italia. Egli
ha eziandio riconosciuto che certi te cipii di Geologia T. I. c.
XII.) stacei viventi nell' Adriatico
erano ag gruppati insieme, precisamente come lo
sono negli strati terrestri i loro fossili analoghi, e che alcune conchiglie re centi
dell' Adriatico cominciavano ade- | la terra ? No; anoi non occorre che
del Abbiamo noidunque bisogno di cata
clismi, di diluvi, di creazioni ab nihilo
per spiegarci tutte queste evoluzioni del porsi nei letti di materia
calcarea, men tre altre già si trovavano nascoste nei lettidi sabbia e di argilla, come lo sono le conchiglie fossili dei colli Sub
appennini. Noi dunque sappiamo che nuovi
depositi, nuovi terreni, nuovi monti si
vanno formando nel fondo del tempo; e il
tempo dura infinito. Il tem po trasforma in terreno sodo il gra nello di
sabbia; il tempo spianai monti ecolma le
valli, trasforma il minerale in vegetale
e in animale; il tempo, infi ne, trasforma le specie, le uccide e le crea. Avvegnacchè ciò che la geologia ha provato nella trasformazione dei ter mare
e dei laghi, e che un giorno e mergeranno dalle acque e costituiran- | reni,
Darwin ha dimostrato nella tra sformazione delle specie. Nella natura non si fanno salti: tutto procede lenta
mente, successivamente, e quelle specie
estinte che a Cuvier non parvero spie no i nuovi continenti. Manoi
possiamo essere ancor sicuri che questa
emer sione si va tuttodi operando per l'ef fetto stesso dell' innalzamento del
lit torale adriatico, e che perciò non è
nè più celere, nè più violentadi quella
che press' a pocosi osserva in tutte le
altre regioni del globo. Si sa che in
ogni terremoto la costa del Chill si e leva dicirca tre piedi sopra una
esten zione di ben cento miglia, e si è cal colato che duemila colpi di ugual
vio lenzaprodurrebberouna catenadimonti
di 100 miglia di lunghezza e di 1800
metri di altezza. Or si tratta di sapere
se questi 2000 colpi succederanno in
un secolo o in un lungo periodo di
gabili senza ' azione violenta dei cata clismi, il Darwinismo (v. questo
nome) oggi le addita come un semplice e
ne cessario effetto dell'elezione
naturale e delle mutate condizioni della
vita. Tal'è la teoria delle cause attuali,
che la scienza moderna ha tanto felice mente opposta a quella dei
cataclismi. Oltredichè questa teoria ha
ilmerito di una grandissima naturalezza,
soddisfa anche a un bisogno della
filosofia speri mentale, siccome quella che procede col metodo induttivo,dal noto all' ignoto, e colle
cause attuali e presenti spiega la
successione dei fenomeni dei tempi an dati. Nulla, infatti, sembra più
logico che lo studiare i terreni che
sono in via di formazione, per poi farsi
unagiusta idea dei processi che la
natura ha impiegati nella formazione dei
terreni delle altre età. In questa
maniera noi ci spieghiamo facilmente le
irregolarità, le anomalie, le
imperfezioni stesse della terra. Ma se
questa è la creazione di una potenza
perfettissima e provvidenziale, con qua le idea la riguarderemo noi
? È coerente alle viste di una provvi
denza il creare ciò che deve esseredi strutto ? Perchè il mare invade le
coste e altrove le lascia a secco?
Perchè le dune isteriliscono inostri
terreni, e per chè le acque abbandonate a se stesse minerebbero il continente ? A qual fine Iddio ha create tante specie di animali che non dovevano nemmeno essere ve dute dall'
uomo, e perchè ha fatta egli succedere
una serie di cataclismi per poi
estinguere l' opera delle sue mani? Si
era egli ingannato, s' era pentito di un
errore, oppure era egli impotente a
produrre opera perfetta ? Ecco delle do mande che resteranno mai sempre
sen za risposta. Catalessia. Stato
patologico nel quale il sistema nervoso
centrale che presiede ai movimenti
volontari e rifles si, non ha azione sui nervi, e tutto il corpo perde la mobilità, senza che vi
sia lesione alcuna negli organi. Durante
que sto stato il malato perde il sentimento
e ' intelligenza, ma la persistenza della circolazione e della respirazione e quindi l'integrità del sistema muscolare lo di bediscono a una volontà esteriore, poi chè si
può comunicare ai, muscoli delle membra,
dei diti della mano, delle pal pebre, delle labbra e delle gote, un grado di contrazione o di rilassamento, che il malato non potrebbe ottenere egli stesso volontariamente nello stato di sanità, a meno che non vi si fosse preparato con un lungo esercizio. I cambiamenti di at
titudine, non sono egualmente facili per
tutti i malati, e talora le membra pren dono una vera rigidezza nella
situazione in cui son messe. Il
carattere essenziale dello stato
catalettico dei muscoli, il quale si
distinguerà sempre dallo stato
convulsivo propriamente detto, è la pos "sibilità di dare alle
membra ogni sorta di attitudini, nelle
quali esse restano im mobili, senza che il malato possa modi ficare
volontariamente o involontaria mente questi atteggiamenti ». La Cata lessia,
dice il dott. Pinel attacca più spe cialmente gli individui di costituzione sensibile e melanconica, quelli che
hanno l'abitudine del ritiro e della
meditazione, sopraggiunge spesso dopo le
affezioni morali assai vive, le
contenzioni di spi rito, gli eccessi di lavoro, e può essere anche generata della presenza di vermi negli intestini. Il Dictionnaire de médicine di Littrè narra pure, e non so sull' au torità
di chi, che in molti casi il ma lato durante la catalessia non perde nè il sentimento, nè l' intelligenza, molto chiaramente intende ciò che si dice in torno
a lui, sente vivamente le punture ele
ferite che gli sono fatte, e ciò mal grado non gli è possibile di fare
alcuno sforzo permuoversi operparlare.
Isolato in mezzo al mondo che lo
circonda, egli stinguono dalla sincope e
dall' asfissia. Oltre aciò,
nellacatalessi le membra han- sente il male che gli si fa, percepisce no la singolare proprietà di conservare le posizioni in cui si mettono. « I cam il
suono, la luce, il solletico, ma nè egli
può muoversi, nè queste sensazioni, siano biamenti di attitudine e di posizione, di
cono Littrè e Robin, si eseguiscono sen za resistenza, come se la volontà vipre
siedesse; anzi, più spesso sarebbe impos sibile ai muscoli di obbedire alla
volontà di colui cui appartengono, come
essi ob pur esse dolorose, riescono a deter minare sul suo corpo alcun
movimento volontario o riflesso,
ondechè, in man canza d' ogni espressione del sentimento, dubitasi ognora s' egli senta. Convien tuttavolta accettare con molte riserve queste
conclusioni, inquantochè quan- | speciale intensità sopra MaddalenaMun
tunquegli annali dellamedicinaricordino dol, l'eroina del dramma di
Gaufridi, molti casidi catalessia, essi
non si produ- come risulta dal racconto dell' inquisi cono però cosi di sovente
perchè la fre- tore Michaëlis: le nella contea di Hoorn, presentarono i fece
tanto distendere le gambe in tra più strani accidenti nervosi. Tormentate
verso, ch' ella col perineo toccava il suolo,
da incessanti allucinazioni e da spasimi ementr' era in tal postura le
fece te convulsivi violentissimi, esse cadevano su- nere il tronco del corpo
dritto e giun bitaneamente supine, prive dell' uso della gere le mani ». Eguali
fenomeni nella parola, e così restavano
stese al suolo neurosi epidemica delle religiosedel mo morte le braccia e le
gambe rovesciate ». nastero di S. Elisabetta di Louviers. Per Una epidemia consimile perdurò durante quanto
ne dice Besroger, la maggior dieci anni
fra le religiose del monastero parte di queste religiose restava immo di S.
Brigida. Spesso durante i divini bile durante un' ora, nelle più strane e uffici, nel coro, esse cadevano rovesciate
insolite posizioni. « Una di esse si è tro in gran disordine. Nel 1610 le
figlie di vata assai spesso tutta ripiegata in cer S. Orsola d' Aix
presentarono i più com- chio, la testa contro i piedi fin sulla plessi sintomi di isterismo, demonopatia
bocca, e il ventre in arco... Un' altra
ecatalessia, iquali si manifestaronocon restava col corpoin aria,
lebraccia stese e ricurve indietro, la testarovesciata fin | dottor Pinel nella
suaNosographie phi sulle reni, i piedi e le gambe pure get tati indietro e
presso la testa, senza losophique, ou la
métode de ' analyse che i ginocchi, le
coscie, il ventre, lo stomaco, nè altra
parte del corpo toc cassero il suolo, salvo il fianco
sinistro.>>> Eguali fenomeni
furono osservati nel 1662 in un convento
della città d' Au xonne, e verso il 1673 una epidemia istero-catalettica, descritta da Kniper, fu osservata nell' ospizio degli orfani
di Hoorn. Alcuni di questi malati dive
nivano tanto irrigiditi, che presi sol per
la testa o i piedi si poteva portarli ove si voleva, e rimanevano inquesto stato parecchie ore. Numerosi esempi di esta si
catalettica furono offerti dagli anabat tisti nel 1586. Spesso li si vedeva
cade re a terra come morti, e pochi anni
dopo i profeti delle Çevennes presen tarono gli stessi fenomeni »(vedi
CAMI SARDI). Fra lestrane crisi prodotte sul la tomba del diacono Paris dal
1731 al 1740, vi era pure il così detto
stato di morte, così descritto da Carrè
de Mont geron. «Aleuni convulsionari sono ri appliquée a la medicine. « Tissot,
dice quest'autore, traccia l'osservazione
di una donna che i gran dispiaceri
gettarono nello stato catalettico: la si
trovò sedu ta, immobile, cogli occhi brillanti e fissi in alto,le palpebre aperte e senza movi
mento,le bracciaalzatee le mani giunte;
il suo viso, dapprimatristo e pallido, era più colorito, più gaio, più grazioso del solito; essa aveva la respirazione
libera ed eguale, il polso lento e
naturale, le membra flessibili, leggere;
si poteva dar loro la posizione che si
voleva ed ella così le conservava;lesi
abbassò il mento, e la sua bocca restò
aperta; le si alzò unbraccio, poi
l'altro e non ricadeva no; li si rivolgevano indietro e si innal zavano tanto
alto che un uomo anche fra i più forti
non li avrebbe potuti te nere lungamente
in quella posizione: ep pur vi rimanevano finchè non n'erano rimossi. La si coricò per fare sulle sue gambe le stesse prove e la malata fu sempre come una molle cera cheprende masti per lo spazio di due e fin tre giorni di seguito senza alcun movimen to,
cogli occhi aperti, pallido il viso, il❘ all'
ultima. Il suo corpo,quantunque in successivamente tutte le figure che le sono date, e s' attiene con perseveranza corpo insensibile, immobile e rigido co me
quello di un morto. » (V. CONVUL SIONARI).
Chi ammettessetutti questi fattiche il
Dictionnaire Encyclopedique des scien ces Médicales cita siccome veri,
darebbe prova di poco senno. Laddove il
fanati smo religioso o l'interesse di casta co stituiscono i moventi delle
azioni uma ne, come succede nella maggior parte
dei casi menzionati, non è rado che il
ciarlatanismo e la frode abbiano una
parte grandissima. Per altro, tutti quei
fatti non ci è lecito negare, e senza
grave rischio possiamo anche credere,
che in granparte siano veri; tanto più
che in nessun d' essi vediamo verificarsi la condizione ammessa da Littrè e Ro bin, che
il malato nello stato di cata lessi conservi la coscienza e la sensibi lità, condizione nemmen supposta dal clinato, conservava sempre e costante mente
uno stesso equilibrio. Questa don na pareva insensibile, la si scuoteva,
la si pizzicava, la și tormentava, le
simet teva sotto i piedi uno scaldino di fuoco,
le si gridava all' orecchio che guadagne rebre il suo processo, senza
ch' essa dasse alcun segno di vita. In
questo stato durd da tre a quattro ore,
finchè ridestatasi si mise a parlare sul
suo processo con molta giustezza, e
senza pure avvedersi dei tormenti che le
erano stati inflitti durante l'accesso
». Il dottor Linas cita pure dei casi
nei quali gli ammalati sor presi da catalessi nelmezzo di una frase, nell' atto di risvegliarsi dopo
parecchie ore seguivano il loro discorso
e compie vano la frase incominciata. È
facile vedere che lacatalessia, sic come i sogni e il sonnambulismo, può interessare la psicologia. Domandasi in 1
CATEGORIE fatti che cosa avvenga dell'
anima spi rituale mentre si è in questo stato. Ri mansi ella forse imprigionata
nel ce rebro pronta a continuare il pensiero
interrotto dalla crisi? Se il corpo fun ziona regolarmente, selavita
vegetativa non è guari interrotta, se
nessuna le sione si verifica negli organi sensori, nonèegli più ovvio pensare che una causa meramente patologica toglie al 135
schiosa capace di legare od'imbarazzare
gli spiriti animali. In tal maniera que sti signori, piuttosto che
confessare la loro ignoranza,
preferivano congelare, coagularé, legare
e invischiare gli spiriti animali.
Strana e singolare idea che essi avevano
dello spirito! Catari, ossia Puri.
Nomeche si at tribuivano i Montanisti, iManichei, iNo vaziani e gli
Albigesi. cervello ogni attitudine a
ricevere le sensazioni o a trasmettere
l' impulso ai nervi motori, anzichè
ammettere che l'anima, per una qualsiasi
causa fisica, abbia perduto ' attitudine
a pensare ed asentire? Ma poniamo pure
il caso in cui il catalettico perda la
facoltà di muoversi e conservi quella di
sentire ; sarà per questo maggiormente
provata l'esistenza di uno spirito? È
ormai ac certato che i nervi del movimento sono
diversi da quelli della sensazione, (vedi SENSAZIONE) dimanierachè non è affatto straordinario, che unacausa fisica possa interrompere lacomunicazione fra il cen tro
nervoso e gli organi del movimento
elasciare intatti invece i conduttori della sensazione. Ciò s'intende e si spiega fa
cilmente senza bisogno di supporre un
substrato immateriale, ilquale, in findei conti, non spiegherebbe nulla, e rende rebbe
anzi il fenomeno ancor più miste Categorie. Voce greca, la quale originariamente significava accusa, e
che Aristotile pel primo applicò
adefinire le più grandi e generali
divisioni, le divi sioni, diremo così, cardinali, delle cose naturali e dello scibile umano. I Padar tha
di Kanada, filosofo indiano, sono le
prime categorie, ossia le prime classifi cazioni filosofiche che si
conoscano, e Colebrooke le fa ascendere
a sei: la sostanza, la qualità,
l'azione, il comune, il proprio e la
relazione. Una settima categoria era la
negazione di tutte le qualità
precedenti; il nulla. Le categorie dei
pitagorici menzio nate nel 1º libro della Metafisica d' Ari stotile, sono in
numero di dieci, cioè : L'infinito, e il
finito; il dispari e il pari, l'unità e
la pluralità; la diritta e la si nistra; il maschio e la femmina; il ri | poso
e il movimento; il diritto e il curvo;
la luce e le tenebre; il bene e il male;
il quadrato e tutte le figure irre golari. Classificazione men esatta di que sta
non potrebbe darsi,imperocchè consi derai contraricomeprincipj
cardinalidelle rioso e strano,
inquantochè la catalessia potendo anche
essere prodotta artificial mente con mezzi esterni (v. IPNOTISMO) ne deriverebbe questo assurdo, che l'a nima
si accende e si spegne con mezzi
materiali, cosa d'altronde, che si osserva sempre nell' anestesia fatta con l'etere e il cloroformio e in tutti gli effetti pro
dotti dai narcotici. Ma nonostante que st'evidenza non è adirsi quanto almanac
carono i medici spiritualisti per spiegare | luminoso, le tenebre non
rappresentano questa malattia, che
Schilling, Senvert, Plater, e Sylvius
attribuivano alla con gelazione o alla coagulazione degli spi riti animali;
Hoffmann aun ingorgo di fluido vitale
risultante dalle contrazioni delle fibre
nervose, e Baron a una so vrabbondanza di materia grassa, e vi cose. Or si sa
che i contrari solitamente si escludono,
non esprimonopropriamente idee diverse,
ma la cosa stessa concepita, nell'uno
come esistente nell' altro come non
esistente. Così, ad esempio, se la luce
rappresenta la presenza del fluido una
sostanza diversa, ma sol l'assenza di
questo fluido. Crearedunque la nega zione della cosa come una qualità cardi
nale della cosa stessa, è un controsenso.
Dieci son pure le categorie di Ari stotile, e non molto dissimili da
quelle di Kanada; cioè: la sostanza, la
quantità,la 136 CATTANEO relazione, la qualità, il luogo, il tempo, la situazione, la maniera d' essere, l'a
zione e la passione. Queste categorie
sonpiù logiche e piùfondate di quelledei
Pitagorici, ma non le direm perciò per fette. Certo, ogni cosa che
esista biso gna che cada sotto quelle divisioni, ma rappresentano poi esse delle divisioni vere, assolute, intrinsecamente diverse
fra di loro? Per es: il tempo e illuogo,
non rientrano ancora nella categoria della
re lazione? Il luogo e il tempo, non sono
lo stesso della situazione? La categoria
del modo d'essere non contiene implici tamente tutte le categorie
precedenti? Or che valore hanno queste
divisioni se esse non sono infine che la
ripetizione di una stessa idea? Abbiamo infine le categorie di Kant ben diverse da tutte le precedenti, in
quantochè questo filosofo dubitando della
realità obbiettiva, doveva necessariamente cercare nella pura subbiettività del giu
dizio i principii cardinali delle cose. La
sensibilità, secondo Kant, ha due forme
primordiali: il tempo e lo spazio; e l'in tendimento ha diverse specie
di giudizi, vale a dire: generali,
particolari, indivi duali, affermativi, negativi, limitativi, ca tegorici,
ipotetici. Aquesti giudizi corri spondono le categorie di unità, plurali tà,
affermazione, negazione, i quali poi si
suddividono simmetricamente tre per
essendo nella idea assoluta, concreta, es sa non può sortire da questo
stato che per una contraddizione intima,
la qual diviene la causa di
unadivisione, di una diremption. D'onde
il bisogno della con ciliazione e del ritorno all'unità; poi di rempzione nuova
e nuova conciliazione, e così
indefinitamente, fino all'ultimo ter mine dell'evoluzione. La dialettica specu
lativa o immanente, procede con un mo vimento che si compieintre tempi. Dap
prima vi è la tesi o la posizione, l' idea
in sè, in potenza, allo stato d'involuzio ne; poi l' antitesi, la
negazione, l' idea per sè, l'idea
realizzata, allo stato d'evo luzione; infine la sintesi, la negazione della negazione con un risultato positi vo,
l'idea in sè e per sè ritornata a sè
stessa.>>> Cattaneo
(Carlo) Nacque aMilano il 15 giugno
1801, fu allievo di Roma gnosi, professore di rettorica e due volte deputato, senza che i suoi principii gli permettessero di varcare la soglia delia Camera. Ritrattosi a Castagnola, borgata della Svizzera poco discosta da Lugano, morì nella notte dal 5 al 6 febbraio del 1869, dopo aver respinto dal suo letto
l'intervento del prete.- Voi sapete che
io e voi non siamo della stessa opinione. Tali furono le ultime parole che diresse a cui credendo di vincerlo in quel grandissimo momento che ci divide tre e così di seguito. In tal guisa Kant|
dall'ignoto, gli consigliava il linguaggio
è riuscito a formare una di quella lun ghissime e confusissime tavole,
che tutti i filosofi più o meno
speculativi ebbero il ghiribizzo di
redigere ciascuno a loro modo, senza che
mai alcuno li abbia in tesi. Anche Hegel cred certe sue divisioni di tutte le cose sensibili e
intellettuali, le quali hanno molta
analogia con le ca tegorie. Se non che, anche queste di visioni, come tutte le
idee di questo fi losofo, sono siffattamente intricate in una confusa e oscurissima fraseologia, che può ben dirsi fortunato chi riesce a ca varne
qualche idea precisa. Ecco come le
spiega il professor I. Wilm, ispettore
dell' Accademia di Strasburgo: « Tutto
della superstizione e della fede, gli con sigliava l'apostasia del suo
passato. La vita di Carlo Cattaneo è la
vita mili tante del pensatore. Ingegno profondo e sagace, egli sfiorò quasi tutti i rami dello scibile; ma i suoi scritti,
dettati come il bisogno e
l'opportunitàdella di scussione richiedevano, vanno dispersi e dimenticati tosto che la brama di leg gerli è
saziata. Di lui abbiamo una Sto ria dell'insurrezione del 1848 e Alcuni Scritti raccolti in tre volumi, nei
quali troviamo una eccellentissima
monografia sullo Stato presente dell'
Irlanda, che fu molto lodata e che
meriterebbe tutta l'attenzione del
governo inglese. In un CATTANEO articolo
inserito nel Politecnico, rivista
scientifica che il Cattaneo fondò a Mila no ediresse per molti anni,
egli annun ciò e propugnò quell'abolizione degli e serciti stanziali, che poi
doveva essere proclamata parecchi anni
doponel Con gresso della Pace e della Libertà. » Il nostro ideale, scriveva nel 1861, è che la generazione in Italia debba crescere tutta iniziata alle libere armi come ai liberi pensieri; e che ogniqualvolta scen 137 mo quella incertezza che necessariamente devono attribuirgli coloro che li consi
derano come una semplice illusione. Di scostasi quindi, e profondamente, dalcri
ticismo Kantiano, il quale ai fenomeni
dà un carattere puramente subbiettivo :
per lui essi sono un fatto obbiettivo,
reale, l'azione di forze eternamente, ne cessariamente agenti; quindi la
quiete e l'inerzia sono condizioni
impossibili nel da sull' orizzonte della patria una nube di pericolo, debba dal seno di tutti i po
poli italiani accorrere a gara un' eletta
di volontarii e scriversi inlegioni mobili>>> Carlo Cattaneo è enciclopedico, e però il suo nome doveva passare in retaggio anche alla filosofia; ma delle sue idee filosofiche solo quel tanto sappiamo,
che egli insegnò oralmente nel suo Corso
di Filosofia insegnato nel Liceo di Luga
no. E basta quel poco per farci inten dere com'egli profondamente dissentisse da quell' idealismo mazziniano al quale stortamente molti lo credettero fedele. Consente con Locke e Condillac che nes suna idea è innata innoi; per altro tro va
che le ricerche intorno all' origine
delle nostre idee elementari e primitive
è sterile di frutti, nè ci conduce a scopi pratici: fors'egli non pensava che fu in grazia di questi studii, che l'ontologia|
tangibile. Certo, più deplorevole confu l'universo. Fin qui la filosofia di Carlo Cattaneo è coerente; ma, un difetto logico si ri vela
tosto ch'egli trovasi d'innanzi alla
necessità di affermare l' origine primor diale e il principio delle
cose. Dopo di essersi così bene opposto
all'idealismo di Berkeley e di Collier,
i quali negavano ogni realtà obbiettiva
nel mondo, egli, conmolta inconseguenza
e senza pure avvedersi, cade nel
medesimo eccesso, avvegnachè affermi la
realtà dei feno meni siccome forze in atto, e le forze sole egli consideri siccome veramente esistenti. Per lui la materia spogliata dei suoi attributi, ossia delle sue
forze, non è che un nome vano, una
illusione ; ciò che esiste non è la
materia, la quale per se stessa
intrinsecamente non ènulla, ma la forza
sola è quella cheesiste, che genera i
fenomeni e costituisce la realtà ha
potuto ricondurre le idee composte ai
primordiali elementi della sensazione,
echesenza questo processo puramente
analitico dei pazienti osservatori della
scuola sensualistica, nessuna forza sareb be bastata a demolire
l'edifizio della ontologia
trascendentale, che ha la sua sede nel
Platonismo. Fedele alla filosofia
sperimentale, Cattaneo consente pure nel
metodo induttivo: ogni scienza deve pro cedere dal noto all'ignoto; da
ciò che conosciamo e da ciò che siamo,
indurre cautamente quello che fu e che
siamo stati. Intorno ai limiti dello
scetticismo Cattaneononconcorda: una
moderata af fermazione gli par migliore della dubi tazione continua; nè egli
può risolversi ariconoscere nei fenomeni
che percepia sione non poteva farsi, e che questa non sia che una mera question di parole è cosa di cui può avvedersi ogni più che superficiale osservatore.Nonvi è
filosofo. che possa assentire allo
strano metodo introdotto dal Cattaneo,
di negare cioè l'esistenza del soggetto
e affermar quella sola dell' attributo,
chè la logica, per grama e confusa
ch'ella sia, ripugnerà mai sempre ad
ammettere l' effetto di una causa
negata. Ora, o la forza è ef fetto della
materia o non lo è. Se lo è, aniuno può
capire nella testa come la forza
generata dalla materia sia una re altà, e la materia che lagenera una il
lusione. O non lo è, e allora domandasi
se nel concetto di sapore, di estensione, di resistenza, di colore, di suono ecc.
138 CATTOLICISMO comprendasi l'idea che noi abbiam del la
forza, oppur quella della materia. Se in
queste nozioni si compendia il concetto
della materia, allora l'idea che vevole nella filosofia di Carlo Cattaneo fin di negare che la materia esiste ed affermare che la sola forza è. Tolto questo errore, null'altro è ripro noi
abbiamo della forza è una mera fuorchequellaindeterminatezzache èpro astrazione
con la quale procuriamo di priadi coloro chenon hanno idee all' in spiegare i
vari modi per cui possiamo tutto formate o che ardire non hanno di percepire la materia; se invece in que-
esporle pubblicamente senza molti sottin stenozioni comprendesi il concetto di
tesi e molte reticenze. Nobile e grande
forza, astrazione per certo diventa la nelle sue aspirazioni,egli vuole
l'accordo materia. Ma in questo caso,
osservisi fra la scienza e la filosofia, fra il pen bene, le idee essenziali
che noi abbiamo siero e i fatti; con la filologia tiene delle cose non mutano: avremo soltanto | che
le lingue siansi venute formandosi a
dato il nome di materia alla forza, e
alla forza quello di materia; sarà cioè
una trasposizione di nome, manon di
idee, giuoco illecito inuna seria filosofia. E per vero, comunque si chiamino le cose, e qualunque siasi il nome che ad esse si vuol dare, rimane sempre fermo che il concetto che noi abbiamo di esse quello è soltanto che ci possono dare i nostri sensi. Ma è stato convenuto che ciò che è esteso, cheha colore, o
sapore, oche oppone resistenza al nostro
tatto debba dirsi materia; e forze
invece, si chiamino le accidentalità che
produ cono questi fenomeni . Il traslatare il
poco apoco per l'istinto imitativo mu sicale; con l'astronomia toglie al
mondo il suo carattere dipunto centrale
e di scopo massimo di tutta la
creazione; con lastatisticapar che
dubiti del libero arbitrio, o per lo
meno sottoponga i feno meni morali aregole costanti, determi nate, necessarie,
perlequali abbiamo ri sultati costantidel pari, e prevedibili con le cifre date dai fatti passati;
finalmente nuovo campo inesplorato vuole
aprire alla ricerca della certezza, i
fondamenti finora dati alla quale non
ritiene con formi al senso comune.
Cattolicismo . Religione della
Chiesa cattolica, apostolica, romana, la
qual sostiene lacattolicità, ossia la uni nome non muta dunque un jota
alle idee; epperò trattasi di cambiare
ildi zionario, non la filosofia. Quel che ri- versalità della sua dottrina.
Parecchi mane fermo nel pensiero del
Cattaneo einquello del materialismo, si
è che dei due concetti di forza e di
materia, uno solo è vero, e l'altro è
astrazione, in quel modo istesso che nei
contrari un solo termine è vero, come
caldo e freddo, luce e tenebre, nero e
bianco, poichè tutti vedono che seesiste
laluce, il calore, il bianco ece, le
tenebre, il freddo e il nero non
rappresentano che la negazione, ossia
l'assenza di quelle qualità; mentre se
queste esistono, quelle diventano
astrazioni diqueste.Ma avrebbe tanta
ragione chi volesse chiamar tene bre la luce affin di poternegare laluce ed affermare la positiva esistenza delle tenebre, quanto n' aveva il Cattaneo di dar il nome di forzaaquelconcetto che nel comun linguaggio dicesi materia, af santi
padri, dicono i commentatori del Bergier
(Aggiunte al Diz. di Teologia) trattando
della cattolicità distinguono una
triplice universalità: quelladi tempo,
econsiste in ciò che la Chiesa sempre
sussistette e sussisterà sempre fino alla consumazione dei secoli; quella della dot
trina, ed è l'avere la Chiesa mai sempre
insegnato quanto fu da Cristo rivelato;
quella finalmente di luogo, ed è la dif fusione della Chiesa in tutto il
mondo. Or convien dire che appunto di
que ste tre specie di cattolicità nessuna ap partiene alla Chiesa che
s'intitola cat tolica, e tutti gli arzigogoli dei teologi romani non possono dimostrare il con trario.
Intorno alla prima specie della cattolicità
nessuno che siadi buona fede può
asserire che la Chiesa sempre sussistette e che sussisteràsempre. Lasciam |
fedeli. Ora, la popolazione totale del
pure al futuro la soluzione dei suoi pro
blemi;maquantoalpassato,chimai potrà
credere che (ammettendo pure i calcoli
dellacronologia ortodossa) una religione
fondatanell' anno 4004 sia sempre esi stita? Certo, è cosa comoda il
dire che lareligione cristiana non è
altro che la continuazione della ebrea;
ma una oppo sizione di principii, di dommi, di ten denze, tutto insomma lo
spirito delle due religioni è così
avverso fra di loro, che bisogna aver
proprio perduto la testa, per
riconoscere siccome una lo gica continuazione, questo violento e forzato innesto della nuova religione sul
l'antica. Ma sia pur vera questa conti nuità della tradizione cristiana,
nederiva forse perciò che la religione
ebraica sia la più antica che si
conosca, e ch'essa abbia cominciato col
principio del mon do? Gl'idioti soltanto potrebbero cre derlo, e agli articoli
MONDO, BRAHAMA NISMO, UOMO, PALEONTOLOGIA, PENTA TEUCO, è dimostrato che, non
solo vi sono religioni anteriori alla
ebrea, ma che eziandio ella è molto
recente in confronto della età dell'
uomo e del mondo. Sarà essa forse più vera la univer salità di
dottrina della Chiesa cattolica?
Masemaipuòstoricamenteprovarsiun
principio, quellodelle continue variazioni del cattolicesimo è il più sicuro ed il meglio dimostrato. Il Battesimo, laCon
fessione, la Confermazione, la Transub stanziazione, l'Ordine, l'Estrema
Unzione, il Culto delle immagini, il
Culto dei Santi, il Purgatorio, il
Primato del papa e tanti altri dommi (
vedi tutti questi nomi ) o non si
conoscevano dalla chiesa primi tiva o non vi si attribuiva un carattere dommatico e sacramentale. Quanto alla terza specie di cattolici tà,
vale a dire l' universalità di luogo,
basta gettare gli occhi sulla statistica, per vedere quanto poco fondamento ella abbia. Basti dire che secondo i calcoli assai larghi di Balbi, laChiesacattolica conta in tutto il mondo 139,000,000 di globo è dallo stesso autore, calcolatain 737,000,000 di uomini; il chevalquanto dire, che la pretesa universalità della Chiesa papale si riduce a meno di un quinto dell'attualepopolazione del
globo. ( Vedi RELIGIONI). Ben è vero che
i teo logi cattolici pretendono, che a stabilire l'universalità della Chiesa non sia neces
sario che sia diffusa in ogni parte e
condivisa da tutti gli uomini, bastando
ch'essaabbia i suoi rappresentanti, e, per così dire, le sue stazioni, inogni
regione del mondo; maquesta è una
interpreta zione che assolutamente non si accorda col vero criterio dell' universalità, e
ad ogni modo in siffatta guisa
potrebbe dirsi egualmente universale
anche la Chiesa protestante, la quale
manda i suoi missionari in ogni terra
conosciuta. Ma ammettasi pure
perunmomentoche iteologi romani abbiano
ragione, sa rebbe perciò la cattolicità della Chiesa romana ben stabilitą? Prima che Colom bo
scoprisse l'America, quali rappresen tanti aveva la Chiesa in quella vastissi
ma parte del globo? Ed oggi ancora è
sicuro che non vi sieno terre o ignote
oinesplorate dove dellaChiesa cattolica
nonsi èper anco udito parlare ?
Causa ed effetto. Nell'ideadi
causa l'antica filosofia distingueva: 1. La causa efficiente, ossial'agente
produttore. 2. La causamateriale, ossia
il soggetto su cui l'agente si esercita. 3. La causa for male, o l'idea. 4.
Finalmente, la causa finale, ossia lo
scopo dell'azione. Queste distinzioni
sono puramente nominali, e non hanno più
ragione di essere, peroc chè le attuali cognizioni nelle scienze naturali non ci permettono più di sepa rare
l'idea di forzadaquelladi materia, la
causa efficiente da quella materiale, e
di supporre quindi che fuor dellama teria ci sia un certo substrato che la faccia muovere. Del pari non possiam più ammettere lacausaformale e quella finale, poichè, ammesso nella natura il principio di necessità, non possiamo più riconoscere quella tal sorta di arbitra
140 CAUSA ED EFFETTO mento che vuole un fine. (Vedi CAUSE FINALI).
Dicesi causa ogni azione che inqual sivoglia maniera concorra a
produrre un' altra azione, la qual poi
chiamasi effetto. E dico azione,
imperocchè la fi losofia sperimentale abbia ormai irrecu sabilmente accertato,
che nessuna causa esiste la quale possa
produrre o corpi nuovi o forze nuove,
(vedi FORZA e MA TERIA) ma tutte le cause agenti nonrie scono, infine dei
conti, ad altro che a produrre o nuove
forme o nuove azioni, vale adire un
nuovo modo di essere della materia.
Questi effetti sono poi a volta loro
causa di altri effetti, e così all'
infinito. Onde a giusta ragione si deve
dire, che ogni cosa che esista è sempre
ed invariabilmente causa ed ef fetto al tempo stesso; vale a dire effetto di una causa precedente, e causa di un effetto susseguente. Certo, questa gran
dissima verità, la qual suppone la co gnizionedellaeterna trasformazione della materia, non ha mai potuto essere sup posta
nè tampoco concepita da quei cotali
filosofi degli scorsi anni, e da molti
ancora de' nostri contemporanei, i quali
credettero e persistono a credere
com'egli argomenta: « Col mezzo dei
sensi considerando la costante vicissitu dine delle cose, noi non
possiamo aste nerci di osservare che molte cose parti colari, siano esse
qualità o sostanze, co minciano ad esistere, e che ricevono la loro esistenza dalla giusta applicazione od operazione di qualche altro essere. Or si è appunto per questa osservazione che noi acquistiamo le idee di causa e di effetto. Col nome generale di causa indichiamo ciò che produce qualche idea semplice o complessa, e con quello di effetto ciò che è prodotto. In tal guisa dopo aver veduto che nella sostanza alla quale diamo il nome di cera, la fluidità (una delle idee semplici che
non esisteva innanzi ) è costantemente
pro dotta dall'applicazione di un certo grado
di calore, noi diamo all'idea semplice di calore il nome di causa per rapporto alla fluidità della cera, che n'è
l'effetto. Del pari, provando che la sostanza
detta legno, la quale è una collezione
di idee semplici a cui si dà questo
nome, me diante il fuoco è ridotta in un' altra so stanza, che chiamiamo cenere
(altra ilea complessa che consiste inuna
collezione di idee semplici affatto
differente dall' i dea complessa che diciamo legno), noi consideriamo il fuoco, per rapporto al le
ceneri, come una causa, e le ceneri che
lamateria è inerte, e che fuor di lei
esiste qualche cosa che la muove e la
spinge e la induce ad agire siccome fa.
Ben è naturale che costoro non sap piano concepire in qual maniera l'idea | ciò
che noi consideriamo come contribu come un effetto. In tal maniera tutto di causa ha potuto entrare in noi, e la suppongano una di quelle tali nozioni innate, che il Creatore si è compiaciuto di infondere nel nostro spirito prima ancora di metterci al mondo. Nondimeno tre filosofi che non erano atei, si sono già adoperati per distrug gere
questo assurdissimo pregiudizio, e vi
riuscirono in tre diversi modi che
meritano di essere riferiti. Il primo di
questi filosofi è Locke, il capo della
scuola sensualista, il quale colla sua
stringente logica ha dimostrato, che an che l'idea di causa non è
altrimenti innatainnoi,mache,
comeognialtra idea, èentratainnoiper laportadei
sensi. Ecco ente allaformazione di
qualche idea sem plice o qualche collezione d' idee sem plici, sia sostanza o
modo, che prima non esisteva, eccita nel
nostro spirito la relazione di causa, e
le diamo tal no me ». (Locke Saggio sull' intendimento umano Cap. XXVI § 1.) Hume,non solonon ammette l'inneità dell'idea di causa, ma pur ne combatte ogni realtà obbiettiva. Che ne sappiam noi, dic'egli, dei rapporti che passano tra causa ed effetto? Possiam noi dire se veramente la causa eserciti una qual siasi
influenza sull'effetto prodotto, o se
pure questa influenza non sia altro che
una chimeradellanostra immaginazione? CAUSE FINALI Certi fenomeni che si seguono costante mente
nello stesso ordine, possono darci
l'idea del principiodi causalità, il quale, al postutto, si risolve in una semplice successione di tempo e di fenomeni, di
modochè quando noi vediamo prodursi un
dato fenomeno sempre aspettiamo 141 nali, ben lo disse Bacone due secoli fa: ( De augment. scientiarum lib. III c. 5) . Secrediamo a Lei bnitzla Provvidenzaè
quella che dirige la luce
inlinearettaerende eguale l'angolo
diriflessione aquellod'incidenza; e Prieur nel Spectacle de lanature pretendenien temeno
chelemaree siano date all'oceano
affinchè più facilmente i bastimenti
possano entrare nei porti.Ben dice Vol taire, che con altrettanta
evidenza po trebbepretendersichele gambe son fatte appostaper essere calzate, eil naso per portare occhiali. E tuttavia non è poí lo stesso Voltaire che poche righe dopo trova cheogni cosafufattaper lo scopo cui deve servire? D'onde questacontrad
dizione? Voltaire, crede che per assicu rarsi del vero fine di una causa
convenga che l'effetto sia proprio di
tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Povero spediente, il qual non salverà il
filosofo di Ferney dalla contraddizione
! Infatti nessuna cosa è propria d' ogni
tempo e d' ogni luogo, imperocchè tutte
si modificano esi
trasformano.Diremnoiche gli occhi furon
fatti per vedere, o che noi vedia mo perchè abbiamo gli occhi ? Dalla ri sposta
che daremo a questa domanda dipende
tutta la teoriadelle cause finali. Se
una causaintelligentehaprodotto un
effetto con un determinato fine; cioè se
Dio ha prodotto l'occhio per vedere,
noi dovremo eziandio credere che questo
effetto sia proporzionale allo scopo; vale adire che l'occhio deve soddisfare nel miglior modo possibile aibisogni per cui fu fatto. Ma in tal caso come spieghe remo
noi le ulceri, lefistole lacrimali, la
cataratta, la miopia, il presbitismo e
tante altre malattie che affliggono que st'organo tanto poco perfetto e
tanto poco proporzionale alla
causadallaquale si pretende prodotto?
Come! un organo tanto utile, dovrà esser
fatto di sostanze contenute in
tegumentitenerissimi, e per colmo d'
imprudenza esposto all' aperto, senz'altro
riparo che le sottilissime pal pebre? Come ! I nostri più comuni can nocchiali
ci mostrano distintamente le cose alla
distanza di parecchi chilometri, e i
migliori telescopi ci disegnano le
accidentalità della superficie lunare, e
Dio ci ha da dotare di un organo
il quale più non sa leggere alla distan za di poche spanne dal naso!
Perchè mai l'occhio non è acromatico?
Perchè, come dice Helmohlz, è desso così
poco perfetto che nessun ottico sarebbe
dispo sto ad accettarlo siccome un modello i narrivabile per la loro arte? Se
l'occhio era fatto per vedere, perchè
mai questa CAUSE FINALI causa
intelligente non l'ha dotato di tal
potenza ottica,che gli facesse vedere le
cose più lontane e levicine ancora, e ci
ponesse ingradodi ammirarelasapienza
del Creatore, così nellecose infinitamente grandi come nelle infinitamente piccole? 143 i
quali hanno dei veri polmoni, discen dono in via di generazione normale da un antico prototipo sul conto del quale null' altro sappiamo se non ch' esso_era provvisto di una vescicanatatoria. In
tal Poi, l'occhio è veramente d' ogni
tempo e d'ogni luogo, come
Voltairepretende? Maveramente, no;
poichè vi sono ani guisa noi possiamo facilmente spiegare il fatto strano, accertato dal prof. Owen, che ciascuna particola di nutrimento so lido
o liquido che noi inghiottiamo, deve
passare sull'orifizio della trachea, con ri mali che non hanno occhi ed
altri che hanno occhi per non vedere.
Gli occhi delle talpe e di qualche altro
rosicante rimangono sempre allo stato
rudimen tale, e qualche voltasonocompletamente
coperti di pelle o dipelo.Unmammifero | libera fluttuazione dei pesci,
perchè si è schio di cadere
neipolmoni. Inquesti casi le cause
finali comple tamente si ecclissano. Se Dioha prodotto lavescica natatoria perchè servisse alla rosicante dell'America del Sud, il tuco ioco,
o cténomys hadelle abitudini an corpiù sotterraneechelatalpa, equando Darwin notomizzò l'occhio d' un di essi, gli parve che il suo stato di cecità do vesse
attribuirsi ad una infiammazioneco stante delle palpebre. Occhi fatti per non vedere e membrane fatteper soffrire una perpetua malattia, non par che dimo strino la
teoria teologica delle cause fi nali. La vescica natatoria dei pesci è un altro esempio che contrastasingolarmente col concetto delle cause finali. Quest' or
gano, cheoriginariamenteparevacostrutto
per aiutare il movimentodell'animalena tante, ha potuto in certi pesci
trasfer marsi in un organodiretto aduno scopo
tutt'affatto differente, tali come la respi razione o l'audizione.
Darwin ha infatti
accertatochepereffettodell'elezione, lave scicanatatoriainalcuni pesci
haacquistato
uncondottopneumaticodestinato alla re spirazione; e in altri si è in tal
guisa modificata, da servire piuttosto
come organo accessorio dell'audizione.
Tutti i fisiologici, continua Darwin,
ammettono che lavescica natatoria è omologa,
vale adi re «idealmente similare > in
posi zione ein strutturacoi polmoni dei verte brati superiori. Non è dunque
straordi nario che l'elezione naturale abbiameta morfosato successivamente
lavescica na tatoria in polmoni o in organi esclusiva mentedestinati alla
respirazione. D'onde si può conchiudere,
che tutti i vertebrati
trasformatainun'altro organoche piùnon
risponde al suoscopo? Didue usi acuiser vìunorgano,qualerappresenta
lafinalità intenzionale dalla causa
creatrice ? Ol tracciò vi sono degliorganirudimentali i quali sono completamente inutili, tali come le mammelle rudimentali di tutti i maschi dei mammiferi, e l'ala bastarda di certi uccelli. In un grandissimo nu mero
di serpenti, uno dei lobi dei pol moni sono rudimentali, in altri esistono i rudimenti del bacino e delle membra posteriori. Vi sono esempi di organi ru
dimentali assai curiosi; tali sono i denti
osservati nei feti delle balene, che all'età adulta non ne hanno più; il qual fatto Darwin spiega supponendo che le balene abbiano probabilmente acquistato le abi
tudini e i loro caratteri attuali per una
metamorfosi regressiva, che le ha fatte
retrogradare dal posto più elevato di a nimali anfibi, fluviatili o
lacustri, a quello inferiore di
specieesclusivamentemarine. Naturalisti
degni di fede hanno pure as sicurato di aver veduto dei denti rudi mentali
negli embrioni di certi uccelli. Nulla
ci par piú ovvio, diceDarwin, che le ali
siano state fatte per il volo e non dimeno le ali di molti insetti sono
tanto atrofizzate, ch'esse non possono
agire, e non è raro il caso che siano
chiuse sotto delle elitri fortemente
attaccate l'una al l'altra. Ci sono invece dei casi d' inter vertimento degli
organirudimentali,come per esempio,
lemammelledicerti maschi SA 144 CAUSE OCCASIONALI che si sono in tal guisa sviluppate fino |
tri organismi la natura ha prodotto ca adare il latte. Nelgenere Bos la mam
mella unica presenta quattro capezzoli e
due rudimentali; ma nelle nostre vacche
domestiche qualche volta anche questi
due ultimi si sviluppano e danno latte.
Giustamentedomandasi perchè ilCreatore
forma degli organi, iquali generalmente
non servono ad alcun uso, oppure ser vono ad un usodiversodaquellopercui furono creati. >> (Origine delle specie Cap. XIII) Anche Büchner, primadi Darwin (Forza e ma teria
cap, XI ) ha dimostrata la insus sistenza delle cause finali, dicendo che noi oggi ammiriamo gli esseri tali come sono senza pensare quale infinità di al
sualmente per giungere agli attualiim perfettissimi risultati, come ben lo pro
vano le moltissime specie estinte dei
terreni fossili. « Se il pelo degli animali dei paesi settentrionali è più folto di quello degli animali dei
paesimeridionali, e se tutti pol l'hanno
relativamente più folto d'inverno che
d'estate, non è forse più naturale il
considerare questo fatto come il
necessario effetto di una influ enza esterna, come la conseguenza della temperatura, piuttosto che supporre un artista celeste il qual prepari a questi animali gli abiti d'estate e d'inverno ? Se il cervo ha le gambe lunghe e adatte alla corsa, non devesi credere ch'egli
le abbia avute per correre con celerità,
ma piuttosto che egli correconcelerità
per chè ha le gambe lunghe: se egli avesse
avuto delle gambe poco adatte alla cor sa, sarebbe invece divenuto un
ani male coraggioso, mentre ora per la
sua tendenza alla fuga sidimostra timi dissimo. La talpa ha le zampe
informa di pala per solcare il terreno;
ma se essa non le avesse cosl
conformate, non avrebbe mai pensato a
scavarsi sotto terra la sua tana. Le
cose sono tali come sono; e se esse
fossero state diverse da quel che sono,
noi nonle avremmo per ciò trovatemeno conformi al loro scopо». Vedi anche gli articoli CAUSA E PER
FEZIONE. Cause occasionali.Certifilosofi cartesiani non potendo riuscire a
spiegare il rapporto che poteva esistere
fra lo spirito e il corpo, e l'
influenza che l'uno esercita sull' altro,
supposero che Dio stesso durante i
pensieri dell' anima producesse nel
nostro corpo i movimenti corrispondenti
a questi pensieri, e vice versa, che nell' occasione dei movimenti delnostro corpo eccitasse nell'anima i pen
sieri o le passioni che vi corrispondono.
Questi movimenti iniziali dell' anima o
del corpo son le cause occasionali del
cartesianismo, ilquale,come ognun vede,
troppo logico per ammettere che alcuna
relazione potesse esistere fra il corpo e CELIBATO ECCLESIASTICO lo spirito, non lo fuperò abbastanzaper non capire che se Dio era produttore im
mediato delle nostre sensazioni, noi siamo
145 sempre ai piaceri del senso
per ser vire con più libero cuore a Dio. » Più
nelle sue mani come delle marionette cui
egli fa danzare a piacer suo.
Celibato ecclesiastico. Sta to di coloro che per motivo di reli gione si
astengono di unirsi in matri monio. Dicono i cattolici, presso i quali soltanto vige l'obbligazione del celibato, che nessuna legge naturale o positiva, divina od umana obbliga gli uomini allo stato conjugale (Ber gier
Diz. Teol ); ma questa non è af fermazione che trovi fondamento nè tra i credenti, nè tra gl'increduli. Per
ciocchè i primi giustamente oppongo no il Crescite et multiplicamini, col quale il loro Dio impose all' uomo l'obbligo di congiungersi e di figliare (Genesi I, 28); e i secondi ben a pro posito
osservano che dal momento che la natura
ha dato all'uomo gli organi del sesso,
gli ha al tempo stes so imposto il dovere di usarne per la propagazione della specie e per la sod
disfazione di un bisogno, il quale non
èmenonecessario che naturale; per la
qual cosa giustamente i gentili talora
colpivano d'infamia il celibato (Cicero ne De legibus lib. III c. 3).
Invece ecco che nel cattolicismo il
Concilio di Trento dichiara: « Se alcuno
avrà det to che lo stato conjugale sia da ante porsi allo stato di verginità o
del ce libato, e non essere meglio e più bea to rimanersi vergine o celibe che
con giungersi in matrimonio, sia anatema »
(Sess. XXIV can. 10). La qual prefe renza, checchè ne dicano in
contrario i protestanti, non è poi così
contraria allo spirito del cristianesimo
per non trovare appoggio fra i padri e
fra gli stessi insegnamenti di Gesù. Il
quale dice che vi son eunuchi che si
son fatti eunuchi daloro stessi per
amore del regno de' cieli (Matt. ΧΙΧ.
12). » del matrimonio dei preti. E
tanto dis se e fece cotesto papa per raggiun gere il suo intento, che riuscì al
fine di ottenere dal Concilio di
Cartagine, radunato nel 397, un decreto,
il qual rendeva obbligatorio il celibato
dei chierici. Innocenzo I nel 417
rinnovava la legge del celibato; la
rinnovò e la estese ai Suddiaconi Leone
I nel 440; e dopo d' allora tutti i papi
batterono la stessa strada. Il guaio si
è, che quei decreti non ottenevano
universale con ferma, il che dimostra che in quei tempi l'unità della Chiesa non era gran fatto assodata; imperocchè non solo il clero opponeva una resistenza passiva a quei decreti dei papi, ma eziandio nella Francia i concilii di Autun, di Tours, di Macon nel V se colo, e
nella Spagna il Concilio di Toledo, e il
prete Vigilanzio vi si op posero formalmente. Nel 1059 Nicco ld II nel Concilio
di Laterano fa no vellamente proclamare la legge del ce libato; e cionostante
poco di poi tro.. viamo tutta la diocesi
di Milano retta da preti ammogliati, nè
il papa riesce a farvi prevalere il
disonesto divieto, senza che rivi di
sangue scorrano nel le vie, senza aver scatenate le passio ni politiche e il
fanatismo religioso rappresentati
daArialdo e da Landolfo Cotta, capi del
partito dei celibatari. Solo il cupo
dispotismo d'Ildebran do (Gregorio VII) potè trionfare di tan te opposizioni, e
la legge del celiba to novellamente procamata dal Conci lio di Roma del 1074,
andò man mano estendendosi in tutte le
provincie cri stiane. Il celibato era
stato introdotto per moralizzare il
clero, per acquistare un CELIBATO ECCLESIASTICO
maggior titolo alla Santità e alla ve nerazione dei vulgari. Ma
comechè nessuna legge contro natura può
riu scire a buoni effetti, anche questa nel la Chiesa sciolse il freno d' ogni
mo 147 tino con ledonne dellequali
usavano. Quindi, alzatisi e preso un
bagno, si as sidevano a nuovo desco. (Hist. Eccl. Francorum lib. 5. art. 21). Lo stesso ralità. Già fin dai primi tempi,monaci emonache convivevano insieme, sede vano alla
stessa mensa, dormivano sot to lo stesso tetto: tutti avevano fatto voto di castità, ma chi l'osservava? Instruita dall' esperienza, dice un au tore,
l' imperatrice Irene nel fondare il
monastero delle vergini sotto il no me di Maria piena di grazie, volle che fossero assistite da un padre spi
rituale, un economo, due frati per am ministrare il patrimonio e isacramen ti:
eunuchi tutti quattro! (Helyot. Hist.
des ordr. vol. I c. 28). La
dipintura che nel VI secolo S. Gregorio
di Tours ci fa diSalonio Ve scovo d'Embrun, e diSagittario vesco vo di Creso,
già porta tutti i colori del medio evo.
« Assunto l'episcopato inco minciarono a scatenarsi con insano fu rore in
malversazioni, con morti, con omicidi,
con adulteri e con diverse al tre
scelleratezze, di guisa che ad un certo
tempo, mentre Vittorio Vescovo
_diTricastini celebrava il proprio nata lizio, mandata fuori una coorte
con spade e giavellotti, irruppero
contro di lui, gli stracciarono le
vestimenta, ammazzarono iministri
eportando via vasi ed ogni altra cosa
appartenente al pranzo, lasciarono il
vescovo con grande contumelia..... Essi
si abban donavano ogni giorno amaggiori scel leratezze; corsero alle armi e con
le proprie mani fecero molte uccisioni. Iafierirono contro i propri cittadini fa
cendoli battere con verghe fino al san gue. Passavano molte notti parlando ebevendo con i chierici che celebra vano
inChiesa nelle ore mattutine, e si
sfidavano a bevere. Mai si faceva men zione di Dio. Surta l'aurora si
leva vano dacena e coprendosi con legge ri drappi, sepolti nel sonno e nel
vino, Santo (lib. IX ) scriveva: Vi prego di mandarmi i vo stri ordini per
iscritto intorno a quei diaconi i quali
fin dalla loro puerizia son sempre vissuti
in stupri, in adul teri, ed in ogni altra sconcezza: e pu re con tali
testimonianze vennero al diaconato, ed
essendo diaconi ritengo no quattro, cinque ed anche più con cubine (Baronio
Annali 741). Lo stes so cardinal Baronio che cita questa lettera,e che poteva essere molto ben informato, parlando della Chiesa nelX secolo esce in queste parole: « Domi navano
allora in Roma potentissime e sozzissime
meretrici; ed a loro arbi trio si davano i vescovati e si traslo cavano i
vescovi; e, più orrendo a dirsi, s'
introducevano nella sede di Pietro i
loro drudi, pontefici falsi, i quali non
devono essere inscritti nel catalogo
dei papi. » Edgardo re d'Inghilterra
in una lettera diretta ai vescovi del
suo regno e riportata dalPadre Labbe
(Tomo IX p. 698) scrive: « Dirò con
dolore come gli ecclesiastici se la pas sino in gozzoviglie, in
ubbriachezze, in adulteri ed
impudicizie; di guisa che le case dei
preti sono divenute postriboli di
meretrici e conciliaboli di buffoni. » E
per verità, pare che quel degno re non
avesse poi gran torto di lagnarsi dei
suoi preti, impe rocchè tanto bene osservavano essi la legge del celibato, che poco di poi papa Pasquale II, in una lettera diret ta al
vescovo di Cantouberi, autorizza dormivano fino all' ora terza del mat 148 CELIBATO ECCLESIASTICO va l'ordinazione dei figli dei preti, stantechè tanti ve n'erano in Inghil terra,
ch'era impossibile aver dei preti senza
ricorrere alla loro progenie(Lab be Concil. X. p. 707). Fu nell' undecimo secolo, cioè in torno al
tempo della solenne procla mazione del celibato fatta da Grego rio VII, che ai
monaci orientali (i pri mi che si erano sottomessi alla legge della castità) si dovette vietare di introdurre nei conventi, non solo le donne, ma perfin le femmine degli animali. (De Potter. Hist. T. VI lib. II cap. III note suppl. n.º 3). Intorno a quel tempo Alberto d'Arbrissel fonda tore
della celebre Badia di Fontevrand, nella
diocesi di Poitiers, viaggiando colla
sua Petronilla fondo altre quat tordici badłe, nelle quali religiosi e rë
ligiose avevano comune il letto, non
veramente pel godimento della carne,
ma affine di fortificarsi contro la tenta zione, sfidandola nel suo
maggior pe ricolo. Dicesi che anche il beato d' A brissel sen' giaceva colla
donna sua, a somiglianza di S. Adelmo,
che già nel VII secolo, aveva dato
l'esempio dei condormienti. Ma ch'egli
alla sua gui sa si serbasse casto, è cosa che dico no li apologisti suoi, ma
che pochi credono. (Vedi Bayle. art.
Fronte vrand). Ma vediamo che cosa
scrivesse il Petrarca della Chiesa di
Roma, là do v'era partito l'impulso alla promul gazione della legge
obbligatoria sul celibato. « In questo
regno di avari zianon si fa conto di nulla, purchè si faccia denaro... L'amore per verità è dichiarato pazzia, la pudicizia è una vergogna grandissima; la licenza al contrario è stimata grandezza d' ani mo, in
guisa che si reputa più glorio so chi ha sorpassato gli altri in vizi; echi di grazia non sorriderebbe di sde gno
nel vedere que' fanciulli decrepiti
(prelati e cardinali) co' loro capelli
bianchi, coperti di ricchissime cappe
sotto le quali nascondono una impu denza ed una lascivia che supera
ogni imaginazione?... Satana vede tali
cose e ride; e nel suo tripudio siede
arbi tro fra que' vecchi e le giovinette....
lascio da parte gli stupri, i ratti, gl'in cesti, gli adulteri, che sono
giuochi per la lascivia pontificale. Non
dirò nulla de' mariti delle doune
rapite, i quali, non solo sono cacciati
dalla lo ro casa,ma banditi anche dalla patria:
non dirò che molti di essi sono forzati
di riprendere le loro mogli quando
portano nel loro seno il frutto de'de litti dei prelati: e restituirle
allorchè sono sgravate; e così
continuare fino a che l'impudico prelato
non è pie namente sazio o disgustato. E il po polo tutto vede tali cose e tace,
inti morito ma /orribilmente sdegnato. »
(Petrarca Lettere sine titulo. Basilea
1496, Lett. 20). Nel 1401 Nicola
diClemanges, oCle mangis arcidiacono di Bajeux e retto re della facoltà
teologica di Parigi, in un opuscolo
intitolato: De corruptioEc clesiae statu, così parla: « Passo sotto silenziole intercessioni simoniache pres so
il papa, i patrocini venali e più al tre infamie di cui i cardinali sono au
tori o consiglieri.... Taccio altresì i
loro adulteri, i loro stupri, le loro for nicazioni con le quali anche
adesso in cestuano la romana Curia; come an che l'oscenissima vita dei loro
fami gliari, i cui costumi in nulla differi scono da quelli dei loro padroni
». Non altrimenti parla dei
canonici " che qualifica ubbriaconi incontinenti, i quali non si vergognano di far pom padi una
prole meretricio susceptam, e di tenersi
in casa scortu vice con iugum, clie passano il tempo in cian cie ebuffonerie,
studiosi soltanto della gola e del
ventre edi carnali dissolu tezze, nelle quali fanno consistere la loro felicità ut porci Epicuri ». E par lando
delle monache, aggiunge, che vergognasi
di dir le infamie che suc cedono nei monasteri, i quali non so no santuari di
Dio, ma Veneris eace CELIBATO ECCLESIASTICO
cranda postribula; luoghi di lascivie e
di impudicizie, ondechè, dice ancora,
dar il velo ad unafanciulla è lo stes cinte ...
149 L'originale della relazione
di cotesta visita è perduto ; ma '
autore ne ha veduto un estratto, nel
quale i so che esporla
pubblicamente. Anche Santa Brigida,
nelle sue ri velazioni, si fa dire da Gesù Cristo che E il professore con chiude, che la prima
supposizione sol tanto è vera, non potendosi negare che la formazione della cellula non debba attribuirsi all'attività stessa dei suoi ele
menti. Celso. Filosofo pagano che
visse nel secondo secolo, ed è
conosciuto come unodei più
famosioppositori del cristianesimo,
Nessuno dei suoi scritti ci è pervenuto,
e della sua vita edot trina nulla sappiamo di preciso, fuor chè quel tanto che
ne dice un dei pa dri della Chiesa, Origene; il quale nel suo trattato Contro Celso, mentre com batte
quest' incredulo, quà e là ne ri porta le parole e ne rivela in parte le opinioni. Da questo padre sappiamo che Celso, ben lungi di riconosce la miracolosa nascita di Gesù, lo dice fi glio
di connubio illecito; sorride della
pretesa dei cristiani di diffondere per
tutto il mondo laloro dottrina; e quanto
ai miracoli di Gesù dice che i soli suoi
discepoli li avevano visti e li esagera vano oltremisura. Ilpoco che
avevafatto dovevalo, diceva Celso,alle
arti magi che che aveva apprese, e per le quali
Gesù era salito in tanta superbia per
farsi credere un Dio, mentrechè poi
tanti altri impostori avevano fatto mi stato veduto che da una donna e
da pochi discepoli, i quali, o avevano
so gnato o non veduto che un fantasma,
quando pure non avevano narrata una
favola. Se Cristo era risuscitato doveva
mostarsi a'suoi nemici,a'suoi giudici, a
tutto il mondo: meglio ancora, avrebbe
dovuto non lasciarsi porre sulla croce,
o posto che vi fosse, discenderne da sé
solo in presenza de' suoi carnefici.
Cena. Il secondo ed ultimo sacra mento delle Chiese riformate, che
lo celebrano in commemorazione della ce
na di Gesù. I cattolici la distinguono
dall' Eucaristia, perciò che questa con siste essenzialmente nell' atto
e nelle parole colle quali essi
pretendono che Gesù abbia trasformato il
pane e il vino nel suo corpo e nel suo
sangue. (Vedi EUCARISTIA. ) Cenestesi.Dalgreco: comune fa coltà di
sentire. Così chiamasi quel vago
sentimento della nostra esistenza, che
noi abbiamo, o piuttosto che pre tendiamo di avere, indipendentemente dai sensi, e che certi fisiologi dell' an
tica scuola hanno voluto trasformare in
un sesto senso, il senso dell' esi stenza, o cenestesia. La Cenestesi è dun que
sinonimo di appercezione e di co scienza, e in quest' ultimo articolo esa
mineremo qual fondamento abbia la
pretesa coscienza dell' io indipenden temente dai sensi. Cerdone. Poco si conosce della vita di questo eresiarca. Credesi che fosse di origine siriaca, perchè S. Epi fanio
disse che egli dalla Siria passò a Roma,
e ilBarattieri suppone nella sua
cronologia che ciò sia avvenuto nel l'anno 120. Adottando le dottrine de
monologiche di quei tempi, egli accettò
e compi il sistema teogonico di Simone
e di Saturnino. Ma mentre questi due
eresiarchi facevano discendere il mondo dagli spiriti creati dall'
Essere su premo, Cerdone cercò di evitare lo sco glio in cui cadde
l'unitarismo, di far derivare il bene e
il male dallo stesso principio. E foss'egli
della Siria o vi avesse soggiornato,
certo è che essen do ai confini della Persia non po teva ignorare il dualismo
di Zoroastro; e fu questo infatti che
spiegò nel suo sistema. Suppose egli
dunque che vi fossero due principii
indipendenti l'un dall' altro, dall'un
dei quali ogni bene derivava; e tutti i
maliimputava all'altro. Opera dell' ente
buono erano gli spiriti capaci diprovar
piacere; del malvagio erano i corpi che
ci affliggono in mille modi;
supposizione, per verità, contrad ditoria, perocchè se Cerdone attribuiva al corpo le sensazioni dolorose, al
corpo pure doveva riferire quelle di
piacere. Però, da questa singolar
distinzione Cerdone fuindotto ad
un'altra singola rissima conseguenza, poichè al malva gio spirito attribul
tutta la legge degli ebrei piena di
minuziose e difficili e pe nose pratiche, edEssere malvagio chia inò ' Jehovah,
che ordinava al popolo eletto continue
guerre e stragi e perla bocca d' Isaia
diceva: Io son quello che creò il male.
Laleggedi dolcezza e di rassegnazione
dei cristiani parve inve ce a Cerdone il segno del buon prin cipio; però non
ammetteva che il fi gliuolo di questo buon ente fosse di sceso sulla terra per
patire e soffrire e per essere messo a
morte dagli uo mini, poichè queste cose sono contra rie alla bontà di Dio, il
quale tanta crudeltà non avrebbe
tollerata. Se dun que Cerdone rigettava a buon diritto tutto il vecchio testamento, nemmeno il nuovo accettava per intero; ma il solo vangelo di S. Luca ammetteva e ebbe fama anche maggiore del mae stro. (Vedi
MARCIONE). Cerinto. Giudeo d'Antiochia
con temporaneo degli apostoli. Riconosceva
un essere supremo creatore degli spi riti con differenti gradi di
perfezione, e dagli spiriti faceva
derivare il mondo. Non ammetteva che il
figliuol di Dio fosse nato da una
vergine, ma ricono sceva che Gesù aveva fatto dei mira coli ingraziadello
spirito di Dio, il qua le era disceso sopra di lui per illumi narlo. Certezza. Tre sorta di certezze distingue la filosofia: 1. La certezza matematica; 2. La certezza fisica; e 3. La certezza morale. Una quarta certez za vi
aggiungono i metafisici e la pon gono prima d' ogni altra, ed è la cer tezza
metafisica, ossia l'intimo convin cimento che noi abbiamo delle cose sovranaturali,la quale più propriamente dovrebbe spettare alla pura fede. Quando un giudizio nel suo contra rio importa
contraddizione, dicesi ma tematicamente certo, imperocchè una cosa che è non può non essere, e ciò che non è,nonpuò essere; il che torna adire che una cosa non puo essere e non essere al tempo stesso. Or questo carattere é proprio di tutti gli assiomi e teoremi della matématica, i quali, sot to
rapporti più o meno complicati, ven gono tutti a dire, che quando ad una quantità se ne aggiunge un'altra, quel la
s'accresce in proporzione, e dimi nuisce invece se le si toglie una parte. 1 +
1 =2;oppure 2 1= 1. Mala certezza
matematica non è propria sol tanto delle cifre,imperocchè la si espri neppur
questo in ogni parte. Dicesi che
Cerdone, abiurati i suoi errori,
tornasse in seno alla Chiesa, per poi
allontanarsene ancora; ma quando e di
qual morte morisse non è certo. Lascið
nua setta piuttosto numerosa, guidata
da un de' suoi discepoli, Marcione, che
ma o in cifre o in lettere o in formo le algebriche o col ragionamento,
non muta per questo il suo carattere
logi co e rimane sempre eguale. L' eviden za di questa certezza si fonda
sempre sul principio di identità o di
relazione che noi supponiamo assoluti,
mentre invece non sono che relativi ai
nostri mezzi di percezione.Ecco perchè
puossi a buon diritto negare che,
nonostante CERTEZZA la sua apparente evidenza,
esista asso luta certezza matematica. Infatti, nel concetto di relazione io posso ben dire che due quantità eguali ad una terza sono eziandio eguali fra di loro; ma questo assioma matematico non è vero se non in quanto io lo concepisco a
strattamente, non ' applico, cioè, a
nessuna cosa reale; e tosto che io lo
155 può darmi una assoluta
certezza, giac chè se io concepisco un angolo e men talmente ne prolungo i lati
nello spa zio, ragion vuole ch'io supponga che
questi lati vanno fra loro allontanan dosi all' infinito, e che
nondimeno in ogni punto dell'infinito
l'angolo non faccio uscire
dall'astrazione per entra re nell' ordine della realtà, la certezza scompare e in nessun caso io posso verificarla. Imperocchè non si danno nella natura corpi eguali assolutamen te, ma
appena simili nelle più grosso lane apparenze. Un'oncia d'oro può essere eguale a un'altra oncia d'oro in quanto io faccia astrazione dalla for ma,
dal calore, dal sapore, dal suono, e
dall' aggregazione molecolare, anzi
ancora in quanto io faccia astrazione
del peso stesso, poichè qual bilancia
potrebbe darmi la sicurezza di non a vere errato nemmeno nella
millesima parte di un gramma? E se la
bilancia mi può dare la millesima parte
di un gramma,sono io sicuro che essami
possa accertare di una diecimillesima,
di una centomillesima, o di una
millionesima parte di un gramma? Del
pari,possono i miei occhi accertarmi
della iden tità del colore, della forma edell' ag gregazione molecolare ? Una
sola mo lecola diversamente aggregata, puó
cambiarne ladensità e il volume, e il
colore e il suono, quantunque tutte
queste proprietà sembrino eguali ai no stri organi atti a percepire
soltanto le più grossolané parvenze.
Quando adun que io dico, che un metro è eguale a un' altro metro, o che una moneta è eguale a un' altra moneta, non posso avere la certezza che questa eguaglian za sia
assoluta, ma esprimo soltanto una
certezza relativa ai mieisensi e al mio
modo di vedere. Un'altro essere che
avesse sensi più fini e delicati dei
nostri, vedrebbe forse la diseguaglianza
nelle cose che noi diciamo eguali. Ma
nemmeno astrattamente la matematica
aumenta nè diminuisce il numero dei
suoi gradi. Qui dunque abbiamo due
sorta di contraddizioni fra l'astrazione
e l'esperienza; perciocchè sperimen talmente non possiamo concepire
come due linee unite a un punto, allonta
nandosi sempre fra di loro, non fini scano per congiungersi al lato op posto:
nè tampoco possiamo conce pire come lo spazio contenuto nei due lati, il quale potendo allargarsi e pro
lungarsi all' infinito, deve necessaria mente ritenersi infinito, non compren
da però tutto l'infinito. Ilche implica
contraddizione, poichè noi non possia mo concepire la contemporanea esi
stenza di due quantità infinite, come
non si può concepire inqual guisa un
corpo finito sia divisibile all' infinito. Queste antinomie della logica la mate matica
non spiega, per la ragion chia rissima ch'essa è una scienza mera mente
relativa alle parti, alle quantità
finite, epperò male argomenta chi la
chiama scienza assoluta. Se non è
assoluta la certezza ma tematica, a miglior titolo dovremo dire relativa ogni certezza fisica, la qual desumesi da varie cognizioni che mol te e
molte volte abbiamo trovato che
riposavano sull'errore. Che una tigre
non partorisca agnelli, che i corpi spe cificamente più pesanti
precipitino al fondo dei liquidi nei
quali sono immer si, e che la terra giri intorno al sole, sono verità di certezza fisica inconte
stabile; ma niuno penserà ch'esse sia no di certezza assoluta; imperocchè troppo spesso ci troveremmo nella ne cessità
di correggere questo assoluto, che
diventerebbe molto e anzi sover chiamente relativo. Nella scienza sol gl ignoranti dommatizzano assoluta 156 CERTEZZA
mente; ma gli uomini civili e colti du bitano sempre con discrezione,
ammae strati come sono dalla dolorosa espe rienza del passato. La certezza morale quella è, infi ne, che
altrimenti chiamasi certezza storica, la
quale essenzialmente riposa sulla
testimonianza e sull' autorità di uomini
competenti (V. AUTORITÀ). Già s'intende
che questa certezza non ha nulla di
assoluto, ed anzi più pro priamente dovrebbe dirsi massima pro babilità,
avvegnachè sia molto proba bile che gli storici dicano sempre il vero, ma non sia altrettanto certo. In buona filosofia vuolsi distingue re la
certezza dalla verità; imperoc chè la prima è la coscienza subbiet tiva che ha
ogniuomo, che la tale o tall altra cosa
sia vera, mentre la verità può anche
essere puramente obbiettiva, senza
giungere nella no stra mente al grado di certezza, E in questo senso può dirsi, che vi sono molte certezze non vere, come vi sono molte verità non certe. Infatti il con
fondere, come molti fanno, la certezza
colla verità, è error massiccio, impe rocchè altro è il credere che una
cosa sia vera, altro è che essa lo
sia,effet tivamente. E per quanto grande sia la
nostra convinzione di aver raggiunta
la verità essa non toglie che i secoli
e le nuovescoperte distruggano molte
certezze e scoprano l'errore laddove
prima non vedevasi che verità.
giosi o metafisici è verità di cui noi
siamo o possiamo essere assolutamen te certi. Ben giova distinguere
però fra gli scettici parecchie
gradazioni; imperocchè non tutti
affermano riso lutamente che certezza non vi sia, ma ipiù riconoscono che questa certezza è puramente relativa ai nostri mezzi di percezione, e in ogni caso, se non é tutta, è certamente parte della
verità, o per lo meno rappresenta tutto
quel tanto della verità che a noi è dato
di percepire. Un eguale principio
era quello che guidava gli stoici
antichi all' affermazione del loro
dommatismo; imperocchè fondandosi sulla
stessa te stimonianza di Zenone essi dicevano
che ogni percezione chiara e distinta
risultando esattamente conforme alla
cosa percepita, deve tenersi come un
segno della verità, essendovi uno stretto enecessario legame tra la cosa perce pita e
la percezione che si riceve. Non
consideravano però che,per confessio ne dello stesso Zenone, può aversi
o creder di avere una percezione chiara e distinta di una cosa che in realtà non esiste, o che esiste diversamente da quello che si percepisce;poichè, ad esempio, color che sognano hanno spesso percezioni chiarissime sulle qua li
talora stanno dubbiosi se siano sta te percepite allo stato di sonno oppur di veglia; chiarissimamente percepisce il dolore nel membro che gli manca colui al quale fu amputato un brac Egli è
dunque di capitale momen- cio o una gamba, e noi tutti chiaris to nella
filosofia, il sapere se esista simamente vediamo piegato il remo per l'uomo una assoluta certezza, e nell'
acqua sebben sia dritto. Vi sono quale
ne sia il fondamento. Ma su dunque delle false evidenze, le quali questo proposito la filosofia si scinde ci possono
trarre in inganno; per la in due grandi
scuole: quelladello scet- qual cosa Protagora, al dir di Cicerone, ticismo, e quella del dommatismo. limitavasi
a dichiarare, che ciascuno Nega la prima
che esista una certezza deve considerar come vero ciò che ver assoluta per l'uomo e che l'uomo gli sembra.
Il qual principio se può es possa credere di averla raggiunta; la sere un
discreto accomodamento per la seconda
invece afferma il principio op- tranquillità della nostra mente, essere posto e confessa che la cognizione non può
unsicuro fondamentodella cer che noi abbiamo diDio, della spiritua- tezza.
Meglio ragionava Epicuro quan lità dell' anima e d'altri dommi reli- | do egli
giudicava nulla esservi di vero CERTEZZA
oltre le immagini sensibili delle cose,
che ci si rappresentano siccome vere, e
peggio dicevano i platonici quando, a
togliere ogni autorità ai sensi, toglieva no alle percezioni ogni
criterio di cer tezza, e dicevano non esservi certezza che nelle cose propriamente intellettuali, che sono di giurisdizione del
sentimento; imperocchè per questi
filosofi nello spi rito trovansi iconcepimenti veri, sempli ci, astratti,
costanti esprimenti la vera natura delle
cose sensibili; e per conse 157 qual
cosa hanno mai conosciuto di certo sulla
questione capitale della formazione
degli esseri e dell'origine del mondo ?
Non èforse vero che su questo soggetto
vi sono ancora tra i più grandi uomini
tante contraddizioni di sistemi, tanta di scordia di opinioni da non
sapere a che appigliarsi ?.... Ma con
qual coraggio e per qual fondamento
potremo attenerci all'opinione di un
solo di questi filosofi e rigettare e
condannare i sentimenti di tutti gli
altri, il cui numero è si gran guenza lo spirito solo è il giudice le
gittimodel vero. Né tal trasposizione nel l'ordine di giudicare può recarci
mera viglia da parte dei platonici. Non era
forse Platone gran fautore delle idee
innate, idee archetipe di tutte le cose,
che il nostro spirito deve precontenere
prima ancora di nascere al mondo ? (V.
IDEE INNATE). Questa dottrina supponeva
appunto che iconcetti iquali ci formia mo delle cose già esistono in noi
allo stato latente, prima ancora chenoi
per cepiamo alcuna cosa col mezzo dei sen si. La quale sciocchissima dottrina
pa reva a Platone tanto certa, che egli se
n' era fatto adoratore e credeva di scor gervi alcun che di divino. Ma Aristotile non veggendovi altro che un sogno, un delirio umano, si pose a combatterla e la ridusse al nulla. AncheCicerone, nel secondo libro delle Questioni Accademiche, appoggiandosi all' autorità dello scetticismo della
scuola accademica e specialmente di
Carneade, che per ultimo lariformò,
combattè ad oltranza il dommatismo degli
avversari. >>> (Locke. Saggio libro III. Cap. 4) Qui Locke parteggia evidentemente, e assai poco logicamente pel dommatismo idea listico;
distrugge, cioè, le idee innate, e crea
gli archepiti; ma subitodopo ri cade nello scetticismo intorno all' idee delle sostanze, le quali non siamo certi che corrispondano esattamentealla
realtà. Ecco le sue proprie parole: (I nervi e la vita, p. 30). Del pari
una troppo abbondante copia di sanguepro
duce eccitazione soverchia e follia, on d'è che il dott. Parry giunse a far ces
sare gli eccessi di follia comprimendo la
vena giugolare, e Flaming applicando
invece lo stesso trattamento ai sani pro dusse il sonno, con sogni
febbrosi (Rivista Britann.). Anche una
corrente elettrica mandata attraverso al
cervello, per solito, produce il sonno,
causa la contrazione dei vasi sanguigni,
eccitati dalla elettricità. I quali fatti tutti ci spiegano il perchè, le persone
di temperamento sanguigno e quelle che hanno il collo corto, per solito, siano più appassionate e focose delle altre, nelle quali o il sangue non abbondante oil collo lungo non consentono a que sto
liquido vivificatore di eccitare so verchiamente il centro nervoso. Ai piccioni possono recidersi in tutto o in parte i lobi cerebrali senza annul lare
le funzioni della vita animale. An nullasi invece ' intelligenza, e le
bestie così operate perdono la facoltà di
cer care gli alimenti e di cibarsi, onde ri mangonsi immobili, come assonnate
e imbecillite. Le funzioni della respira
zione e della circolazione continuano non
menche quella della digestione; gli or gani della vita animale assorbono
e se cretano tuttavia; ma l' organo del pen siero essendo distrutto, distrutte
son pu re in loro e la volontà e le tendenze, e
quelli che con nome impropriosi dicono
istinti. Ma se l'animale vien nutrito ar tificialmente, il cervello si
riproduce ta lora a poco a poco, e col cervello rina scono le sensazioni e
l'intelligenza. Questo esperimento
ilBernard ha chiamato rein tegrazione per rigenerazione organica. Ma il Flourens prima di lui aveva già osservato che le galline alle quali
veniva asportato il cervello
perdonotutti gl'istin ti; e quellafula primaprova della stretta e inseparabile relazione che esiste tra l'azio
nedelcervelloe laproduzionedelpensiero.
Questa stessa relazione rivelasi con
non minore evidenza nell' anatomiacom parata, imperocchè confrontando fra
di loro i cervelli delle varie specie
animali, acquistasi laconvinzione che
quelle spe cie soltanto hanno più grande intelli genza, le quali sono dotate
dei mag giori cervelli. Non ricerchisi nel pesce le forme complesse del ragionamento: lad dove
appenasi trovano i primi rudimenti del
cerebro è già segno di grande intel ligenza il riunirsi, come fanno i carpio
ni, al suono del campanelloper ricevere
il nutrimento. Negli uccelli vi è progres sione d' intelligenza, e nei
mammiferi ancora maggiore. Ma i
mammiferi più bassi mancano di
circonvoluzioni cere brali: esse appariscono nei pachidermi, sono più grandi nei carnivori, più gran di
ancora nelle scimmie e nell'uomo.
> Dopo avere invano
sollecitato dal ministro Guizot
l'instituzione di una cattedra di storia
generale delle scien ze fisiche e matematiche, nel 1842 ot tenne il posto di
esaminatore e sup plente alla scuola Politecnica, che per dette poi per alcuni
violenti attacchi contro Arago. Contro Mill
che aveva aderito pienamente al positivi
smo, Comte ebbe nel 1843 una pro fonda divergenza a proposito della condizione
della donna, alla quale egli contesta
ogni eguaglianza con l'uomo, e dichiara
intellettualmente inferiore, mentre poi
più tardi vorrà emanciparla dall'uomo
anche nel processo delia fe condazione.
Il signor Littrė pone all'anno 1845
il secondo periodo della vitadi Comte;
e il suo retrocedere alla teologia e al
metodo subbiettivo vuol far coincidere
con una nuova crisi cerebrale. Mabi sogna convenire, checchè si dica
in contrario, che una assoluta
coerenza non pare che siamai stato il
retaggio di questo filosofo, e che
questo secon do periodo non presenta altri caratte ri che latendenza a
simboleggiare gli enti naturali e a
costituire una nuova religione avente
perbase l'adorazione della natura e
della umanità. Cadono dunque in questo
secondo periodo della vita di Comte la
sua Politica Positiva, tori, li incarica
di conservare il suo appartamento tal
quale, acciò serva nientemeno che al
Culto dell'umanità; di dare unapensione
alla sua dome stica, a cui dovevano passare in pieno possesso tutti gli averi suoi, salvo la mobilia e la biblioteca, e di pagare infine i suoi debiti, che ascendevano a circa 10,000 lire, e pei quali non rima neva
naturalmente alcun fondo dispo nibile, dal momento che Comte dispo neva
altrimenti dei suoi averi. Quan tunque il testamento fosse annullato dai tribunali, il suo appartamento fu, com' era desiderio del maestro, conser vato
al culto dei suoi discepoli, i quali
anche oggidi, sebbene innumero scar sissimo, si radunano in quel luogo
per celebrarvi il « culto dell'umanità
». La dottrina filosofica di Comte sarà
espo sta all'articolo POSITIVISMO,
Concetto. Secondo la filosofia di
danon confondersi con quellagiàpub- Kant sono idee i soli principii
assoluti blicata nel Catechismo di
Saint-Simon; ❘ della pura ragione, e intuizioni le per la
Sintesi subbiettiva; il Catechismo Po- percezioni dei sensi. Ma vi sono idee
che sitivista, o sommaria esposizione
della religione universale; la
fondazione della Società Positivista
compiuta nel 1848; e la costituzione
definitiva dela Reli gione dell' umanità di cui egli si era costituito gran prete e il cui tempio, per il momento, fu la tombadiMada ma di Vaux,
per la quale egli aveva concepita una
viva passione. Negli ultimi tempi dellasuavita,
contrariamente ai più elementari pre cetti del positivismo, Comte si
votava volontariamente ad una astinenza
as surda: trattavasi sempre con gli stessi
cibi, si inibiva il vino, il caffè, e tutti itonici,credendo di prolungare i pro prii
giorni, ma nonriuscì ad altro che a dimagrarsi
straordinariamente e a produrre un
cancro del tubo digestivo, che lo trasse
alla tomba il 5 settembre del 1857.
Abituato a dirigere i suoi di scepoli senza pur discutere o ad essi spiegare le sue idee; egli non fumeno assoluto e meno ingiusto nel suo te stamento,
nel quale nomina 13 esecu non sono nè pure sensazioni, nè principii assoluti; e questi Kant chiamò concetti, (begreifen),edivise intreserie: 1º
Concetti puri, che nulla attingono
all'esperienza; 2º Concetti empirici che
interamente ri posano sulla esperienza ; e 3º Concetti misti, composti dall'esperienza e dall'in
telletto. Appena è necessario accennare
quanto sia arbitraria una tale divisione, inquantochè non esiste una sola idea,
sia pur essa oscura o chiara, la quale
non sia innanzi tratto percepita coll'
espe rienza. Le idee di causa, di tempo e di
spazio che Kant pone traiconcetti puri
sono anch'esse acquistate col mezzo dei
sensi. (Vedi IDEE INNATE ) Tra
noi, filologicamente, concetto è meno
generaledi idea eval più di perce zione, laquale è la primaimpressione che l'intelligenza riceve dagli oggetti esterni
. Ma l'impressione non basta a
produrre il concetto, il quale suppone
una ulte riore operazione dell'intelletto per com prenderla e rischiararla.
Chiunque sia dotato d'orecchi può avere
Fimpressione 1 CONCILIO del suono; ma a niuno è dato di avere ungiusto concetto del suono, se non sa che esso risulta da undeterminato nu mero di
vibrazioni dell'aria, che stanno inuncerto
rapporto con la natura e la intensità
dei suoni. 173 che l'aveva generata, rinnoverà la mede sima
sottigliezza, distinguendo una cer tezza subbiettiva puramente ontologica, la qual s'ignora se corrisponda alla re altà
delle cose che sonofuori di noi. (V.
CRITICISMO) Concettualismo.
Nomedato ad una cotal sorta di
filosofia-teologica del di MARIA VERGINE.
medio evo, laquale tenevail posto medio
fra le altredue scuole opposte: il nomi nalismo e il realismo. (vedi
questi nomi). Reputasi cheAbelardo siail
fondatore di questa scuolache il Cousin
dimostrò dis sentire dal nominalismo soltanto per una questione di parole. Disputavasi al lora
fra realisti e nominalisti per sapere se
gli universali, ossia i concepimenti
empirici, generali, astratti, siano cose
reali oppur semplici nomi inventati dal
nostro intelletto per avere una ordi nata classificazione delle idee; e
i primi sostenevano la realtà
obbiettivadi questi concepimenti, mentre
i nominalisti, per la bocca del loro
maestro Roscelino, stando per l'opposto
partito, tutti gliuni versali riducevano asemplici nomi sprov visti d'ogni
senso. Un sol discepolo di Roscelino,
Abelardo, ribellossi alla teoria del
maestro, e spinto forse dalla sma nia di distinguersi, e di dare il suo nome ad unanuova scuola, fra i conten
Concezione immacolata.Ve Concilio. Il Bergier così definisce il concilio: >(Bos suet. Storia delle
Variaz. lib. VII. 24). Nei primi secoli
della Chiesa, la confes sione era essenzialmente pubblica, e fa cevasi ad alta
voce da tutti i fedeli nella Chiesa,
come oggidì ancora si suol fare fra gli
anglicani. Ma inquei tempi doveva
ciascuno le sue colpe, anche più segrete
e scandalose, rivelare alla Chiesa da
Dio il suo perdono. Questa obbliga zione fu però mitigata in processo di tempo, acciocchè la confessionepubblica rende testimonianza dell'abolizione di
tale confessione, e ne vanta la saviezza
con queste parole: >> (Omelia 30)E nell'Omelia28, spiegando le paroledall'Apostolo La fantasia dicostoro nonrisparmia ipotesi alcuna. >
Burchard ci insegna anche come le
donne venissero interrogate.
> scono Ma ecco altri orrori ad un tempo vergognosi e ridicoli, perchè si riferi a
sortilegi femminili? > Aquesto punto lo schifo mi farebbe cader di mano la penua. Per buona sorte le mie citazioni non andranno più oltre su queste materie infami. Ma che scuola, che teologi son quelli del medio evo ! Sì, e questa scuola fu in onore per più di cinque secoli. CONFESSIONE V'ho
citato il vescovo di Worms edovete ben
argomentare che deplo rabili effetti l'auricolar confessione pra ticatacon
questo metodo dovea produr re sui costumi.
183 se questi pensieri o questi
piaceri non l'indussero aqualche azione
disonesta; se confessa averne commessa
qualcu na gli domanderà che azion fosse, e di
che modo e con chi la commise. Devesi
Per rimaner sempre nel vero e non
riferire che testimonianze di incontra stabile autorità nella Chiesa,
citerò la Somma angelica (Summa
angelica) del reverendissimo padre frate
Angelo Cla vasio dell'ordine dei frati minori, morto nel 1495. Il libro di questo religioso, vero manuale del clero secolare, specie di teologia in succinto, fu stampato almeno unaventina di voltenel secolo XV. L'ediziou principe comparve a Ve nezia in
4.º nel 1476. L'articolo prin cipale di questo famoso libro ha per titolo : Interrogationes in confessione, dove vengono in scena icasi gravi che già abbiamo veduto, e che non mi par verodiommettere.Ma già si capisce che il nostro gran teologo non intende che si risparmino anche sur un solo le in
terrogazioni de opere luxuriæ. Un libro
dello stesso genere maad uso moderno è
la Mechialogia,trattato dei peccati
contro il sesto e nono coman damento, e di tutte le questioni matri moniali che
vi si riferiscono, del reve rendo padre Debreyne, prete e religioso dellaGranTappa,dove ilreverendotrap pista
incomincia il suo lavoro dicen do: « Terrem dietro alla umanitànella via fangosa delturpevizio della carne» Tale era lavocazione del padre De breyne nel
chiostro; ed eccone il suo metodo: >
> Domandasi se chi mostra
tanta pe rizia nell'arte dell'impurità, possa egli stesso esser puro, se il sacerdote co stretto
a passare il suo tempo sopra questi casi
di oscenità, alcuni dei quali sono anche
impossibili, non finiscano col perdere
fin la coscienza del loro pudore. E dato
che frammezzo a tante sozzure abbiano
potuto passare imma culati, domandasi se giovani sacerdoti nei quali già i stimoli della natura protestano contro il voto di castità, po
tranno senza pericolo e senza pena,
udire in confessione gli accenti di una
francesi han ragione di così scrivere, poi chè il loro e avendo suono
diverso, pro nunciasi press'a poco come la nostra Z ( Confus). In cinese Khoung-fou-tseu. Nacque nel villaggio di Chang-pingnella Cina, 551 anniprima diG. C. L'infanzia
di questo filosofo di fama mondiale,
come quella di tutti i grandi uomini
dell'an tichità, si perde fra le innumerevoli fa vole colle quali i suoi
biografi la vollero illustrare . A 20
anni fu eletto primo ministro del regno
di Lou, suo paese natale, ebbe la
sopraintendenza dei grani e delle
bestie, la qual carica abbandonò dopo
non molti anni, ondeviaggiare nei
piccoli regni nei quali laCina era allora giovindonzella che confessalesue col-|
divisa. Vogliono alcuni che questo suo
pe, se potranno senza tremito della voce
e convulsione delle labbra, interrogare
le penitenti sulle circostanze di fatto e di tempo che accompagnarono la con viaggio
avesse lo scopo di condurlo a Laotseu,
altro filosofo suo contemporaneo; altri
invece gli attribuiscono il pensiero di
riunire in un solo stato le varie
sumazione del peccato. Quali orrende
torture per un'anima condannata a non
mai provare le dolcezze dell'amore ! E
quantipericoli per un uomo obbligato
a strappare dalle pudiche labbra di una
leggiadra giovanetta una confessione di
debolezza! Bendiceva S. Tommaso, che
certo avràprovate molte di queste ten tazioni: « Le anime dedite alla
pietà, sulle prime non accorgonsi di
questo processo, poichè il demonio
guardasi bene dal lanciare da principio
strali avvelenati, ma usa dardi che
lievemente pungono il cuore. Presto
cessano i trat tenimenti angelici, e comportansi quali esseri compaginati di carne. Avviene uno scambio di sguardi fra loro, poi s' indirizzano lusinghevoli accenti che s'addentrano fino all'animo, e che pur sembrano procedere dalla primiera de vozione;
infine è reciproco il desiderio di
trovarsi insieme. In questo modo,
conchiude l'Angelodellascuola, la divo zione spirituale si converte in
passione sensuale. Quanti virtuosi preti
diserta rono la religione e Dio stesso, vittime
di cotali affezioni originate dalla pietà ! >> Confazio e non Confucio, corru zione del nome
francese Confuce. Ma i potenze della nazione.
La mala riu scita dei suoi sforzi lo persuase ad ab bandonare il mondo; si
ritrasse nella solitudine con pochi fidi
discepoli, e spese il suo tempo a
raccogliere e rive dere i King, libri sacri dei Cinesi, che già fin d'allora si reputavano di una grande antichità. È oggetto di antica controversia il sapere se Confuzio insegnasse
l'esistenza di un Dio; ma intorno a
questo punto sì grandi e numerose sono
le testimo nianze che lo negano, che il manifestare una contraria opinione sarebbe temerità. Forse in gran parte devesi l' opposto av viso
alla divulgazione dei libri Cinesi fatta
dai gesuiti, i quali, com'è noto, sì
bene s'insediarono nella corte di Pekino, che ogni lor cura fu diretta a far ve dere
agli attoniti Europei, quanto poco
dovessero alla lor coscienza ripugnare i
principii religiosi della Cina, traviati sì, ma pur sempre derivati dall'eterna rive
lazione di Mosè. Ma un celebre prelato,
il vescovo diConon, il quale non era ge suita, e che vivendo in quel
paese era in grado meglio d' ogni altro
di com prendere lo spirito della religione cinese, così nel 1699 esprimevasi intorno alle cre
CONFUZIO denze di questo filosofo: ( Hist. de la Philosophie Payenne T. I. p. 23) Per quanto sia d'antica data questa lunga citazione sulla filosofia di Confu zio,
mi pare che imoderni studi abbiano nulla
rivelato, nulla aggiunto all' opi nione del vescovo di Conon. Quel che riman certo si è, che per Confuzio e per tutta quanta la filosofia Cinese, la po tenza
è strettamente congiuntacon l'u niverso materiale, che sopra la terra vi è il Cielo o Thien, e il Thien si con fonde
conquel Sciang-ti che è sinonimodi
supremo imperatore, di sommo edi pa dre. Ma questapersonificazione del
Cielo nonhacarattere veramente
filosofico: e i filosofi speculativi
della Cina tant'erano Confuzio non solo
era ateo, ma ch'egli ha sì fortemente
inspirato l' ateismo ai suoi settatori,
che mill' anni dopo non se ne trovò pur
uno che non fosse ateo quanto il
maestro. Tutti hanno letto | che pensar si dovesse dell' anima dopo lontani di credere a una potenza perso nale
superiore alla natura, ch' essi non
ebbero idea di pene o di ricompense
oltre la vita, e Confuzio stesso, richiesto questo bel passo di Confuzio, e fratanti fedeli adoratori della sua dottrina non ve ne fu un solo il quale si avvedesse cheinquelpasso e in tutti gli altri che i gesuiti sogliono citare, non si parla d'altro che di un cielo materiale,
ch'essi la morte, rispose che l'
affermare o il negare ch' ella fosse
conscia di se era cosa egualmente dubbia
e pericolosa. >> da cui il giorno dopo accettò la ca rica di
consigliere di Stato, durante i cento
gicrni ! Caduto Bonaparte fu ab bastanza fortunato per farsi cancellare dalle listedi proscrizione. Rientrò
quindi nelle file dell'opposizione
parlamentare é si voto a tutti i partiti
che potessero un'opera intitolata: Della
religione con siderata nella sua sorgente, nelle sue forme e nel suo sviluppo (Parigi 1823) dove a chiare note si vede quella conti nua
indecisione, e quella doppiezza che
propriamente convengono al diplomatico,
non al filosofo. Nega alla religione ogni carattere rivelato, ma si affretta a sog
giungere, che la rivelazione è impressa
nel cuore. « L'uomo, dic'egli, non ha
d'uopo che di ascoltare se stesso e tut ta la natura che gli parla con
mille voci, per essere invincibilmente
condotto alla religione Il principio della verità non è nè il ragionamento, nè l'autorità, ma il sentimento ». Di questi luoghi co muni
di cui tanto abusano i poeti-filo sofi dei nostri tempi, son piene le
opere di Constant, il quale negando ogni
au torità sacerdotale vuole che essa « non
possa tentare di inceppare, nè pure di
accelerare i miglioramenti portati alla
religione per gli sforzi della intelligen za ». L'uomo disdegna le
magnificenze delle cerimonie, esso non
si occupa che del culto dell'Essere
Infinito.... Una per cezione indefinibile sembra rivelarci un essere infinito, anima, creatore, essenza del mondo, poco importando le denomi nazioni
imperfette che ci servono per designarlo
». Di leggieri si scorge quanto fosse
superficiale una filosofia che reg gevasi sopra fondamenti così poco defi niti
e così ambigui. I chiaroscuri, la
pieghevolezza e la grazia delle frasi co stituiscono tutto il nerbo di
cotesta scuola effeminata, che parla al
senti mento, non mai alla ragione. Questafi losofia che evita tutte le
angolosità, che piaggia tutta le scuole,
e che le sue a spirazioni liberalilascia intravvedere come radi lampi di luce attraverso a un infi nito
numero di sentimentali reticenze, fu con
grandissimo successo adottata da tutti
gli uomini politici che ebbero va 188
CONTEMPLAZIONE E RIFLESSIONE
ghezza di acquistarsi fama di profondi
pensatori e di filosofi. Noi abbiam ve duto qual successo abbia avuto
per Con stant, e sappiamo, qual fama immeritata
abbia dato a Vittor Hugo, Quinet, Maz zini, i quali (fatta la debita
proporzione tra la volubilità politica
del primo e l'onesta vita dei secondi)
seguirono le orme sue. Il fatto si è,
che cotesto modo di filosofare col
sentimento, oltre che ap paga unbisogno delle deboli intelligen ze, le quali
sono sempre il maggior nu mero, lascia insolute tutte le questioni, degli uni ottiene il plauso, degli altri evita l'odio ; il perchè tutti vi
trovano dentro alcuna cosa buona, e pei
più esi genti non mancano frasi, che torturate
nella debita maniera, non possano essere
intese nel senso che ad ognuno piace
di leggervi dentro. Penetrato
dalla coscienza che l'uomo politico deve
piacere al maggior nume ro, e a nessuno dispiacere, Constant a busò di questo
metodo, l' eccellenza del quale pare a
molti confermata dal suc cesso. « Il sentimento religioso è sempre favorevole alla libertà » Tal è la sen tenza
di Constant, il quale rende poi a se
stesso questa testimonianza, che « nes suno prima di lui non aveva
contemplata la religione sotto l'aspetto
del sentimen to ». Per quanto poco intrepida fosse cotesta filosofia, parve tuttavia al suo autore ancor molto ardita, avvegnachè in un libro postumo pubblicato da Mat ter nel
1833 col titolo : Politeismo ro Constant era vissuto in tempi che aper tamente
smentivano siffatte conclusioni. Egli
aveva veduto l'incredulità degli en ciclopedisti precorrere la grande rivolu
zione che doveva rovesciare l'antico feu dalismo e liberare gliuomini da un
giogo secolare; egli aveva ancor veduto
spe gnersi questo fuoco di libertà sotto la
dominazione di Napoleone ristauratore
del cattolicismo, e con Luigi XVIII sta bilirsi l'assolutismo della
santa alleanza. Strana libertà era
quella che portava il risorgimento del
fervore religioso! Questo regresso era
d'altronde atte so, avvegnachè già fin dal 1811 egli scriveva al signorHochet: >> (Nuovi saggi. Introd) Non si può ne gare che
la spiegazione sia ingegnosa e sottile e
non debba mettere in grave coscienza
dell'io, ossia la coscienza che noi
abbiamo delnostro essere, sia con tinua, sempre viva e presente a se imbarazzo i cultori della filosofia spe
culativa. Quanto allascuola sensualista,
essa può facilmente rispondervi dicen do, che il nervo acustico
percepisce solo i suoni determinati da
un certo numero e da unacertaintensità
di vi brazioni; oltre quel limite non vi è
percezione, ondechè se il nostro orecchio sente il rumore di 100,000 onde, non così può dirsi che senta il rumore di ciascuna onda. Il movimento vibratorio percepito è essenzialmente uno, cioè il risultante dai movimenti parziali, sepa
ratamente impotenti a produrre un'a zione sul nervo. Quindi giustamente si può dire che i movimenti non avvertiti, nemmen sono sentiti; imperocchè non basta che le vibrazioni del suono o
della luce o di altro qualsiasi
movimento si comunichino a un nervo per
essere sentiti, occorre anche che il
cervello, organo centrale della
percezione, age voli l'azione fisiologica di quel nervo, e, per così dire, sidisponga a ricevere la sensazione. Egli è perciò che chi è stessa. Iu altre parole, domandasi se in ogni istante della vitanoisappiamo di esistere. E ben a ragione si fa questa domanda, avvegnachésia indubitato, che se la coscienza é, come si pretende, ilri
sultato di un esseresemplice,uno,nondi visibile inparti, debba ognora agire,
non mai fermarsi, non ammettere
divisibilità di tempo né disensazione.
Or gli spiri tualisti affermano che così avvenga, e lo provanopure affermando che la coscien za
dell'io è essenzialmente una eindivisi bile, onde tutte le sensazioni vanno
a riunirsi in un punto solo, il qualeha
la coscienza dell'essere. Or, dicono
essi, se questo punto centrale fosse mate
riale dovrebbe essere esteso, ma ciò che
è esteso è composto di parti e non può
dareuna sensazione unica, non può darci
quel sentimento unitario per il quale,
nell'atto di percepire le cose e sterne,noi sappiamo di percepirle, e ac canto
all'oggetto percetto abbiam sem pre il sentimento del soggetto che per cepisce.
Per spiegare questo sentimento che
costituisce la coscienza, conviene ammettere che dietro agli organi mate riali
della sensazione, vi è un substrato
spirituale, non esteso, non composto di
parti, il quale riunisce concentra in
un punto solo, in una sola unità, tutta
la varietà e la molteplicità delle sensa 197 Il Prof. Schiff ha bene e giustamente risposto all'obbiezione di Lotze, il
quale afferma che noi sentiamo esistere
in noi stessi, una unità consciente
delle zioni, e produce infine quel
sentimento unitario che ci fa dire : io
sento, io penso. Maperò è unavera astrazione degli spiritualisti quella per la quale essi credono che in noi esista veramente quelsentimento misterioso, indipenden te dalla
sensazione,che ci dàlacoscienza
dell'esser nostro. Glidealisti stessi della scuola di Berkeley, e perfino Hegel hanno dimostrato che l'io è un essere puramente fenomenale, prodotto in noi dalla sensazione e strettamente con la sensazione congiunto; e che quando dall'idea dell' io si toglie quella di sen
sazione, più non ci resta che una vaga
idea astratta, senza determinazione, idea che è identica collo zero assoluto. Non so con qualfondamento ilProf. Schiff nella sua Cenestesi abbia scritto che questa negazione dell'io non rimane senza opposizione,specialmente da parte del materialismo. Il materialismo si ac corda
anzı assai bene con la teoria sen sualistica, e non può quindi in nessuna maniera consentire a separare la sen. sazione dalla coscienza: esso sa troppo bene che noi acquistiamo la coscienza dell' essere allora soltanto che eserci tiamo
i nostri sensi, tantochè sentire e
sapere di sentire sono per noidue fatti
contemporanei che si confondono in un
solo concetto. Laddove non vi è sensa zione non può nemmen esservi
coscien za; sebbene possa esservi vita chimica
o vegetativa ; e questo fatto chiarisce
ancora il materialismo che la coscien za dell'io entra in noi per la
porta dei sensi. Il materialismo non
poteva dunque combattere Berkeley per
avere avanzata questa negazione, ma sì
piut tosto ha combattuto il suo eccessivo
idealismo col quale negava alla materia
ogni realtà. molteplici
sensazioni che proviamo. Or questa
unità, questo punto dove con vengono e si uniscono tutte le sensa zioni per
costituire l'unità dell' io, per quanto
si possa concepire piccolissimo, èperò
sempre esteso, e come tale può essere
rappresentato come costituito di parti,
come formato con faccette ed angoli,
ciascuno dei quali forma una
individualità separata. A menochè dun que questo punto non corrisponda
a quello ipotetico dei matematici,
non abbia, cioè, nessuna dimensione,
noi nonpotremo mairappresentarcelo
come il substrato per mezzo del quale si
con centrano in una unità tutte le sensa zioni e si costituisce la coscienza
del ' io. A siffatta obbiezione di
Lotze, si può facilmente rispondere
negando assolu tamente ogni substrato della materia, la quale trova in se stessa il principio della sua azione. Se l' io costituisce ve
ramente una unità indivisibile, come
pretende Lotze, egli avrebbe ben ra gione di negare, che un punto mate
riale qualsiasi possa essere il centro di
questa unitàconsciente; ma nella realtà
ifatti ben ci dimostrano che questa in divisibilità dell'io non è altro
che una idea metafisica non conforme al
vero. Chi è assorto in profonda
meditazione avverte appena il dolore che
gli si ca giona se questo non è così grave per
poterlo distrarre. Sol quando
egli esce dalla preoccu pazione ricorda il dolore provato, e al lora soltanto
riacquista l'idea dell' io, che lo
sentiva. Mentr'io sto esaminando con
interesse un fatto che può con durmi alla verità, non penso guari al mio io; io sono per così dire fuori di me, non penso che agli oggetti delle mie ricerche, ed appena so se io esi sto. Se
un vestito stretto alla vita mi
importuna, in quel momento il mio io è rappresentato da quella parte
del corpo che sente l'impressione, dal
ven tre o dal petto; se sono ferito penso
alla sola parte ferita ed è essa sola
che in quel dato momento rappresenta
il mio io; se mi metto iguanti il mio
io momentaneo è la mano, ecc. Dopo
un centesimo di minuto secondo la
mano potrà rammentarmi il braccio,
lavambraccio, le gambe,la testa, e in
fine generalizzare l'idea dell'io a tutto il corpo. Ma questo fatto non è imme diato; è
soltanto mediato, successivo e
interrotto da grandi lacune. Avviene
in questi casi come nella storia e in
tutte le associazioni di idee, che sicon nettono: la mia storia, può
ricordarmi quella del mio paese, questa
la storia così rapida che sfugge alla
percezione nostra, di guisachè scambiamo
facilmente la successione colla
simultaneità. >> EPlinio ( Storia Nut. lib. I. Cap. 2 ) soggiunge: « Egli è da credere che il mondo, e questo che con altro nome ci è piaciuto di chiamar cielo,dal cui giro tutte le cose son coperte, sia una divi nità
eterna, che non deve mancare mai. Egli è
sacro, eterno, immenso, tutto nel tutto,
anzi egli è proprio il tutto finito, e
simile all' infinito. Non appartiene
certo agli uomini, nè cape nelle con getture dell' umana mente, il voler
in vestigare le cose estrinseche di esso ».
Anche l'Antico Testamento si uni forma all' universale concetto della
filo sofia pagana, perciocchè il primo versetto
della Genesi nel testo ebraico ha un
senso ben diverso da quello che gli è
attribuito dai traduttori e commentatori. Laparola barà che si traduce per creare, dice il Larroque, non significa produrre dal nulla, ma nel concetto principale esprime tagliare, colpire, ed offre i si
guificati secondari di formare, produrre,
generare. Siffatta interpretazione che ri sponde al vero spirito della
lingua e braica è d' altronde confermata dalla
Genesi stessa, laddove l'autore usando
la stessa, parola, dice che Dio formò
(bard) l'uomo. Ove questo vocabolo ve ramente esprimesse in questo caso
il senso di creare, implicherebbe
contraddi zione. Anche la Sapienza, libro ebraico inscritto nel canone dal Concilio 'di Trento, insegnando che la mano di Dio da informe materia ha creato il mondo (XI, 18) prova che lo spirito della reli
gione giudaicaammetteva l'ipotesi di un
caos primitivo. Il nichilismo del
cristianesimo trova dunque il mondo poco
preparato a rice vere la sua dottrina della creazione, e il dualismo prevalente nelle prime eresie cristiane con Ermogene, Saturnino e Marcione ( vedi questi nomi ) rappresen tava
lacoordinazione del nuovo domma coll'
antica filosofia. Tutti gli sforzi de gli antichi padri della Chiesa sono di
retti a combattere cotesta risplendente
verità, che a loro pare errore. Lattanzio contro Cicerone ( Instit. ). Tertulliano contro Ermogene, Origene contro Marcione affastellano argomenti per distruggere il fondamento di questa filosofia. Origene lo dice chiaro: il sen
timento della eternità della materia di vide i pagani dai cristiani ( Omelia
XIV ); prima d'ogni cosaegli vuol che si
creda a un Dio che tutto ha tratto dal
nulla. Sopra questo punto il
cristianesimo non transige e l'unanime
consentiniento della Chiesa si smarrisce
in ogni altro domma, ma in questo
risplende. Gli antichi pa dri possono errare, smarrirsi, far l'ani ma eziandio
materiale, (vedi ANIMA )ma in questo si
accordano, che tutto ciò ch' esiste è
tratto dal nulla. Dio solo è il
principio dell' esistenza, ed egli regna
nel cielo cristiano senza rivali. « Dio,
dice Tertulliano confutando il dualismo
di Ermogene, non avrebbe potuto ser virsi della materia nella sua
qualità di padrone del tutto. Dio è
padrone del tutto in quanto ha tutto
creato, la ma teria come il rimanente; ma se Dio non CREAZIONE avesse creato la materia, se la materia fosse eternamente esistita come Dio ed 203
dimostrarela nullità di tutti i concepi menti umani intorno al principio
delle indipendentemente da Dio, egli non
ne sarebbe stato il padrone, non
avrebbe avuto alcun potere sovra di essa
». La filosofia cristiana ben ragionava
contro i dualisti: poichè a che giova
l'ammet tere due principi coeterni, uno attivo e l'altro passivo ? Non ci basta forse una eternità sola, e non è anche questa di troppo per capire nel nostro cervello ? L'error degli antichi consisteva nel con
siderare la materia siccome un essere
passivo, privo di movimento, incapace
quindi di produrre la vita. Quest'anti tesi è tolta ormai dalla nuova maniera di considerare il mondo e le forze che lo dirigono, e d'innanzi a questo indi rizzo
della filosofia, il dualismo e il dei smo divengono egualmente assurdi e in
concludenti. E nondimeno chi avrebbe mai
creduto che nei tempi nostri do vesse sorgere una teoria ancor meno concludente e con ella uomini più in, cludenti ancora per innalzarla agli
onori dell' accademia? Non abbiamo noi
veduto Hegel e li Hegheliani farneticare
conscon finate astrazioni e riporre ' universal
principio dell' esistenza in qualche cosa di diverso da tutto ciò che esiste, in
ciò che non è sostanza, nè causa, nè
essere, e che per non sapersi con adatte
parole definire, si chiamò non essere
puro ; principio sempre presente a se
stesso, la cui immutabilità s'intitola
processione dialettica ? La pazzia ha i
suoi gradi, ma quella diHegel doveva essere
molto cronica perch'egli non si
avvedesse, che creando nomi nuovi,
noncreava sostanze nuove e nuove
essenze, e che il suo non essere puro
era propriamente un non essere davvero,
dal qualefaceva procedere
l'esistente. Contro queste
astrazioni che si risol vono in meri giuochi di parole e che alcuni non si peritano di chiamarepro
fondità, non vi è miglior rimedio di quel
materialismo scientifico cotantodisprezza to, ilquale,s'anco nonavesse
maggiorime riti, nessunogli potrebbecontestarequello cose. E per verità, sulla creazione non
vi è filosofia che parli più chiaro e
con una più insinuante evidenza del
materialismo. Esso dice: le leggi del
pensiero neces sariamente ci inducono a ricercare in tutte le cose un principio, ma la
ragione di questa tendenza non riposa
già, come vorrebbe la metafisica, in una
certa quale prescienza dell'assoluto
propria del 1' anima nostra; anzi essa riposa sopra un fatto puramente relativo,
contingente, affatto transitorio e che
rappresenterebbe piuttosto la negazione
dell'assoluto. Una volta ammesso che noi
non abbiamo idee innate e che tutte
quelle che pos sediamo le abbiamo acquistate colla e sperienza (vediIdee
innate), è necessario che anche l'idea
di un principio non ci sia pervenuta in
altra maniera. Infatti perchè mai noi
pensiamo ad un princi pio? Perchè tuttele contingenze fenome niche che noi
osserviamo ebbero princi pio e fine. Di tutte le forme che e sistono nessuna è
eterna, e in un tem po più o meno lungo l'osservazione ci attesta che tutte cambiano e si trasfor mano.
Noi stessi abbiamo principio e fine, ed
è perciò che siano naturalmente con dotti a dare un principio e una fine a tutte le cose che vediamo. Ma possiamo noi applicare questa regola
all'assoluto? Qui tutte le filosofie,
tutte le scuole si
accordano,perciocchèl'intelligenzanostra
finita, intendere non può le cause infi nite, e unae il rimanente; ma se
Dio non CREAZIONE avesse creato la
materia, se la materia fosse eternamente
esistita come Dio ed 203 dimostrarela nullità di tutti i concepi menti
umani intorno al principio delle
indipendentemente da Dio, egli non ne
sarebbe stato il padrone, non avrebbe
avuto alcun potere sovra di essa ». La
filosofia cristiana ben ragionava contro
i dualisti: poichè a che giova l'ammet tere due principi coeterni, uno
attivo e l'altro passivo ? Non ci basta
forse una eternità sola, e non è anche
questa di troppo per capire nel nostro
cervello ? L'error degli antichi
consisteva nel con siderare la materia siccome un essere passivo, privo di movimento, incapace quindi di produrre la vita. Quest'anti tesi è
tolta ormai dalla nuova maniera di
considerare il mondo e le forze che lo
dirigono, e d'innanzi a questo indi rizzo della filosofia, il dualismo e il dei
smo divengono egualmente assurdi e in concludenti. E nondimeno chi avrebbe mai creduto che nei tempi nostri do vesse
sorgere una teoria ancor meno
concludente e con ella uomini più in,
cludenti ancora per innalzarla agli onori dell' accademia? Non abbiamo noi veduto Hegel e li Hegheliani farneticare conscon
finate astrazioni e riporre ' universal
principio dell' esistenza in qualche cosa di diverso da tutto ciò che esiste, in ciò che non è sostanza, nè causa, nè essere, e che per non sapersi con adatte parole definire, si chiamò non essere puro ; principio sempre presente a se stesso,
la cui immutabilità s'intitola
processione dialettica ? La pazzia ha i
suoi gradi, ma quella diHegel doveva
essere molto cronica perch'egli non si
avvedesse, che creando nomi nuovi,
noncreava sostanze nuove e nuove
essenze, e che il suo non essere puro
era propriamente un non essere davvero,
dal qualefaceva procedere
l'esistente. Contro queste
astrazioni che si risol vono in meri giuochi di parole e che alcuni non si peritano di chiamarepro
fondità, non vi è miglior rimedio di quel
materialismo scientifico cotantodisprezza to, ilquale,s'anco nonavesse
maggiorime riti, nessunogli potrebbecontestarequello cose. E per verità, sulla creazione non
vi è filosofia che parli più chiaro e
con una più insinuante evidenza del
materialismo. Esso dice: le leggi del
pensiero neces sariamente ci inducono a ricercare in tutte le cose un principio, ma la
ragione di questa tendenza non riposa
già, come vorrebbe la metafisica, in una
certa quale prescienza dell'assoluto
propria del 1' anima nostra; anzi essa riposa sopra un fatto puramente relativo,
contingente, affatto transitorio e che
rappresenterebbe piuttosto la negazione
dell'assoluto. Una volta ammesso che noi
non abbiamo idee innate e che tutte
quelle che pos sediamo le abbiamo acquistate colla e sperienza (vediIdee
innate), è necessario che anche l'idea
di un principio non ci sia pervenuta in
altra maniera. Infatti perchè mai noi
pensiamo ad un princi pio? Perchè tuttele contingenze fenome niche che noi
osserviamo ebbero princi pio e fine. Di tutte le forme che e sistono nessuna è
eterna, e in un tem po più o meno lungo l'osservazione ci attesta che tutte cambiano e si trasfor mano.
Noi stessi abbiamo principio e fine, ed
è perciò che siano naturalmente con dotti a dare un principio e una fine a tutte le cose che vediamo. Ma possiamo noi applicare questa regola all'assoluto? Qui tutte le filosofie, tutte le scuole
si
accordano,perciocchèl'intelligenzanostra
finita, intendere non può le cause infi nite, e una successione di cause
le une generatrici delle altre
all'infinito è tanto poco comprensibile
per l'intelletto nostro quanto il
concetto di un causa prima esistente da
tutta l'eternità. Nondimeno preferiamo
attenerci a quest'ultima ipo tesi, siccome quella che più si avvicina alle così dette leggi del pensiero. Ora, supposto che si debba ricercare una causa prima di tutti i fenomeni che ci circondano, e che questa causa renda più chiaro all'intelligenza il concetto
di origine (il che non è vero, perchè
nel concetto di causa primacontiensi
sempre 204 CREAZIONE l'inintelligibile eternità) domandasi se questa causa prima sia la materia op pure un
ente che è fuori e che è ante riore alla materia. La metafisica dice che la materia non può essere causa prima, perchè il pensiero
necessariamente ci conduce a dare una
origine alla ma teria. Ma ognun vede che questa è una pura e semplice,petizione di principio; spiegasi, cioè, la cosa ricercata con la ragione stessa che ci induce a ricercarla. Mad'altronde, ammesso pure che questa causa causarum risieda in una entità che sta fuori della materia, avremo noi spiegata l' origine delle cose? Le leggi del pensiero saranno per questo appa gate?
Non ci indurranno forse ancora a
ricercare qual sia l'origine di questa
causa prima, la quale diventerà perciò
avolta sua causa seconda o terza, secondo che piaccia al pensiero di spingere più o meno innanzi le sue investigazioni ? Esiccome il creare delle cause ideali non costa al pensiero molta fatica, così non si saprebbe a qual punto si ferme rebbe.
Çiò posto, non è egli più ov vio il fermarsi addrittura alla materia, questo ente sensibile, che vediamo, sen
tiamo, e per il quale viviamo? E d' al tronde non vi è poi nessun motivo de
terminante che ci possa consigliare que sta scielta? Fra un ente astratto che
non possiamo concepire e che sfugge
alla percezione di tutti i nostri sensi,
e una realtà tangibile che negare non si
può, è egli lecito rimanersi in dubbio ?
Ciò che vediamo e sentiamo avrà egli per
la nostra ragione minor evidenza di
una supposta entità, laquale in nessuna
ma niera possiamo concepire, in nessuna
guisa rappresentare? E poi questa stessa
materianon ci dà ella stessa le prove
della sua eternità? L' abbiam noi veduta
nascere? La vediam noi spegnersi? Non
mai: nessuna materia nuova si produce,
nessuna si distrugge; e se perfino la
metafisica non osa negare che la mate ria nel tempo si produce o si
distrugge, come oseremo noi
privarladell'attributo dell' eternità,
il qual suppone appunto l'ente senza
fine? Ben si dice dai meta fisici, che se la materia non si produce nè sì distrugge ora, nulla prova che non siasi prodotta in principio, che non si distruggerà alla fine. Ma con altrettanta logica questa stessa conseguenza puossi applicare all'ente che si vuol
sostituire alla materia, avvegnachè
nulla ci dice che se esiste ora sia
esistito prima, ed esisterà alla fine.
L'astrazione dunque non spiega in
nessuna maniera la que stione d'origine, e fradue ipotesi quella certamente è più probabile, la quale meno ripugna ai sensi, e vanta, se non altro, l'evidenza del fatto presente. Perfino la filosofia teista è costretta a convenire che l'idea di creazione in
tendere non si può con la sola potenza
dell'intelletto. S. Tommaso rimproveran do gli antropomorfi che
concepire non sanno l'immaterialità,li
accusava di non aver saputo elevarsi al
di sopra della loro immaginazione; la
qual cosa è ancor più chiaramente detta
dall' inglese Clarke, ministroprotestante
:> (Toledo 633). Se in giorno di
digiuno un padrone ciba il suo schiavo
con carni, questo sarà libero (Bergham
stede 696) . Nè solo la Chiesa tollera e
approva la schiavitù; essa ha pure i
suoi schiavi. Oltre quelli che nel medio
evo per fuggire la tirannia dei signori
offrivansi in volontaria servitù ai ricchi conventi e alle potenti abbazie (La Fa rina
Storia d' Italia), i bastardi dei preti,
saranno schiavi della Chiesa, ed è fatto
divieto ai giudicidi affrancarli, quand'an che la loro madre fosse
libera (Toledo 658, Pavia 1012) ; i
vescovi potranno vendere gli schiavi
fuggitivi a lor pro fitto (Adge 506); ma essi non possono 212 CRISTIANESIMO
vendere nè gli schiavi nè gli altri beni
della Chiesa ( Siviglia 619). Il vescovo
non può nemmeno affrancare gli schiavi
della sua Chiesa, s'egli non laindenizza
altrimenti ; e se nonostante questo di vieto il vescovo affrancherà gli
schiavi, il suo successore li ridurrà
novellamente in servitù, poichè
l'affrancazione non può tenersi valida
(Toledo 633). Un altro con cilio di Toledo nel 773 trova necessario di proibire ai vescovi di mutilare i
servi della Chiesa, e quello di
Francoforte nel 894 vieta agli abbati di
accecare i mo naci o altro gregge servo di Dio ». Cio nondimeno ancora nel 1253
il capitolo di Nostra Signora di Parigi
avendo get tato in orride prigioni tutti i servi del villaggio di Chateney, sostenne con tro la
stessa regina, ch' esso aveva il diritto
di vita edi morte sui suoi schiavi
(Dulaure); e intorno a quel tempo il
vescovo di Cambrai faceva accecare tutti
gli schiavi del suo nemico ( Malfilatre.
Recueil des historiens de France).
Nè si dica che queste massime non
sono cristiane, che laChiesa ha subito i
costumi del tempo. Ella non ha subito
la schiavitù, ma sì l'ha imposta. Ancora
nel 1522 il 3º concilio di Laterano dà
ai sovrani il diritto di ridurre in servitù i dissidenti, e Gregorio X permette che siano ridotti in servitù coloro che for
nissero armi o navigli agl'infedeli. Pro testanti e cattolici si combattono sui dommi, ma si accordano sulla schiavitù. Sentiamo le giurisprudenza ecclesiastica intorno aquesto punto. Bossuet, vescovo di Meaux, sullafine del secolo XVII così scriveva: > Allorchè nel 1792 i commissari per ' incameramento presero possesso del la
biblioteca ecclesiastica di Clairvaux,
217 fezione spirituale del
cristianesimo, un trovarono all' incirca
2000 manoscritti e 35000 volumi
stampati, rinchiusi nelle stesse casse
che otto anni prima avevano servito a
trasportarli da Dijon, ove era no posseduti dal presidente Bouhier. Fu certamente per un atto di altis simo
rispetto all'antichità e alla scienza
che quei buoni monaci, durante questi
otto anni, avevano religiosamente con servati i volumi nelle stesse
casse e in luogo abbastanza umido;
poichè all'a prirsi di esse si trovò che i libri erano tutti putridi e in gran parte guasti.
Nel 1755 i Francescani di Anversa persba
razzarsi d' un impaccio inutile, regala rono al loro giardiniere 1500
volumi, che furono poi venduti ad un
erudito inglese pel valore di
quattordici mila lire! Moltissimi altri fatti di questo ge nere
provano pur troppo quanto i mo naci fossero penetrati dall' importante missione di conservare ai posteri il te soro
delle cognizioni con tanti stenti
accumulato dagli antenati. Certo, molte
e molte opere uscirono dai conventi,
molte polemiche e guerre guerreggiate
a/colpi di penna, furono date in ispet tacolo al medio evo. Ma se le
discus sioni fatte sulla consuntanzialità e sulla grazia, sulla fine del mondo e sui modi più adatti a scoprire le streghe, fecero si che quei buoni messeri si scervellas sero
intorno alle più futili questioni, e
sempre più imbestialissero il mondo, non
so davvero quanto la civiltà debba es serne grata al cristianesimo e
alla sua Chiesa. Bayle nel suo Dizionario Storico ha esaminato se una societàdi atei potrebbe sussistere; ma a ben miglior ragione a vrebbe
potuto esaminare se sussistere potrebbe
una società di veri cristiani.
Imperocchè un popolo interamente as sorto nella idea di raggiungere la
per popolo tutto compreso nel pensiero d'
avverare sulla terra la morale evang lica, sarà insensibilmente condotto
a 0 vina, quantunque credenti e filosofpo co profondi vadano magnificando l'al
tissima perfezione di questa morte. Do vrà innanzi tutto ogni buon cristano
che vuol essere perfetto votarsi a
celibato, e alla mortificazione,
avvegnanè il con trastare i sensi e il far soffrir la carne, è virtù veramente evangelica( v. CELI BATO
ECCLESIASTICO E ASTIN-NZA DALLE CARNI ).
Dopo avere tolti alsuo seguace la moglie
e ogni piacere di sensi, Gesù gli toglie
eziandio la ricciezza. Una an che modesta agiatezza pe fondatore del cristianesimo è colpa e ausa di perdi zione,
perciocche egli èpiù agevole che un
cammello passi pe la cruna di un ago, di
quello che sia a un ricco l'en trare nel regno de'cieli. ( Luca, Matt., Marc.
). È tanto male il re spingere una
offesa quanto il farla. Con questi
principii chesono tutto il nerbo della
dottrina cristiana, è impos sibile che una società possa sussistere lun
gamente, onde ben aragioneG.G. Rous seau diceva, che una società di veri cri
219 applicasi perfino a un re pagano,
a Ciro, come può vedersi dalle
seguenti parole di Isaia: « Queste cose
dice il Signore a Ciro, mio Cristo, cui
io ho preso per mano a fine di
suggellare a lui le nazioni e porre in
fuga i re > (XIV,). Anche Lattanzio
così parlava intorno a questo
punto: Critolao.Nacquea Faselide
nella Lidia, studio filosofia in Atene
sotto Aristone di Ceo e fu capo della
scuola peripatetica verso l'anno 155
prima di G. C. Sesto Empirico dice
ch'egli condannavala rettorica siccome
un' ar te nocevole, e Filone c'insegna ch'egli
appoggiando la filosofia di Aristotile
ammetteva l' eternità del mondo. Nel
suo Trattato sulla incorruttibilità del
mondo egli ragiona così: « Tutto ciò
che nasce haun accrescimento, è sog getto alla corruzione, alla
vecchiezza ed alla morte. Il mondo non
ha accre scimento, non s'altera, non invecchia,
dunque è eterno. : Croce. Tant'è l'importanza che il cristianesimo ha dato al simbolo della croce, che icattolici si sonoperfino la
sciati indurre adadorarlo come segno
della rigenerazione dell'umanità. Nono stantequesta pretesa importanza
simbo lica si è molto sorpresi di vedere che la croce, come simbolo rappresentativo,
non fa usata dal cristianesimo prima di
tre secoli almeno dopo la morte di
Gesù. Nessun monumento di data certa,
scrive il cav. De Rossi, buon ortodosso
diret tore degli scavi di Roma, non si pre senta prima del quinto secolo, il
quale porti la croce immissa o quella
detta greca. Un solo esempio della
croce tau, riferito da Boldetti si
incontro sotto la data del 370, e quelle
che si osservano nelle catacombe sono
state, per quanto nedice il citato
antiquario romano, tracciate nei tempi
relativa mente moderni dallamano più pia che
esperta dei pellegrini che le visi tavano. Dunque non solo i contemporanei di Gesù, ma perfino tutti i cristiani, per il corso di oltre trecent'anni hanno affatto ignorato questo famoso signum Christi, il qual si vuolche fosse stabi lito
in tutti i tempi. Ma ciò che ad al cuni parrà veramente strano, si è che se i cristiani non conobbero il segno della croce che in tempo molto inol trato, lo
conoscevano invece i pagani e gli
idolatri già da tempo immemo rabile prima della venuta di Cristo. Gabriele di Mortillet in un libro inti
tolato: Le signe de la croix avant le
christianisme; haraccoltonumerose te stimonianzepaleontologiche,dalle
quali appare, che il segno di croce
trovasi inciso sopra un gran numero di
sto viglie scoperte nelle terremare dell'Emi lia presso Parma e Reggio e attri
huite, secondo ogni verosimiglianza, ad
unpopolo che abitava quei paesi as sai tempo prima dei romani e degli Etruschi. Lo stesso seguo si trova im presso
sopra molte stoviglie peistori che del Cimitero di Villanova presso Bologna, e nelle tombe di Golasecca presso il lago maggiore, dove fu pure trovato sotto un vaso fabbricato forse mille anni prima dell'era nostra, quel segno che i cristiani adottarono poi siccome il famoso monogramma di Cri sto (Una
X attraversata da un P). Al tri oggetti preistorici col segno di croce sono stati pure trovati nella Francia e nell' Inghilterra, ed è poi noto che la croce detta Tau fu nel l'Egitto
un simbolo religioso, l'emble ma della vita e della potenza e come tale era posta nelle mani agli Dei di quel paese. Il Signor Letronne in una memoriapresentata all'Accademia delle inscrizioni, ha dimostrato che fu ap punto
questo Tau et che i cristiani dell'
Egitto hanno adottato nei primi tempi
come simbolo cristiano ; mentre poi si
vede che le prime croci incise dai
cristiani di Roma, si avvicinano ad un
altro tipo che, secondo il signor
Letronne, si trovano sulle medaglie an tiche di Acarnani, di Atene, di
Ales sandria e di Seleucide. Crociate.
Guerre fatte dai cri stiani in nome di Dio e della croce per imporre altrui la loro volontà e la loro legge. Alla fine dell'undecimo secolo, scri ve il
Laurente, l' Europa si precipita
sull'Asia per conquistare il sepolcro
di Cristo. Le vessazioni che i pellegrini subivano visitando la città santa, fu il pretesto di questa guerra di due se coli.
Tuttavia queste vessazioni non erano
altro che un accidente. Gli Arabi hanno
gran venerazione di Gesù, e danno prova
di grande rispetto per la fede che
conduce icredenti alla visita dei luoghi
santi. Nella prima metà dell'ottavo
secolo un vescovo Sassone fatto
prigioniero, fu tradotto davanti al capo
degli Arabi per essere giudi cato: poniamo mente alla sentenza del
l'emiro: Leopoldo Delisle (Études sur
la con dition de la classe agricole inNormandie, au moyen-âge) toglie dagli Archivi nazionali di Francia (Sez. P. 305 n.º 38) il seguente testo del 1419 « En dit lieu (de laRivière-Bourdet in Norman
CULTO dia) aussi ay droitde prendre sur
mes hommes et autres, qui se marient
sur ma terre, dix soutz tournois ou je
puis et dois, s'il me plaist, aler cou chier aveque ' espousée, au cas
où son mary ou personne de par lui ne
paie 227 ligione positiva rendono a Dio
ed agli altri esseri sovranaturali. Il
culto pre senta tutti i caratteri dell'antropomorfi, roit >. Che laChiesa, non solo tollerasse,
ma pretendesse cotesto diritto, è
provato da fatti parecchi; se non che,
volle ella san tificarlo adducendo, che siccome le pri aver veduto mizie dėl matrimonio erano dovute a Dio, e gli sposi avevano l'obbligo di esser casti durante le prime tre notti
di matrimonio, così dovevano i vassalli
pa gare alla Chiesa la licenza di giacersi
insieme colla loro moglie subito dopo
averla sposata. Cattiva giustificazione di una triste causa, però che questa tassa applicata ai soli vassalli, è sicuro indi zio
della sua origine. Narra Boerins di in
curia Bituricenci (Bourges), coram
metropolitano, proces sum appellationis in quo rector, seu curatus parochialis, prætendebat, ex consuetudine, primam habere carnalem sponsæ cognitionem ». « Altri
fatti ci attestano che ildiritto di
cullagio era percetto dalla Chiesa. Un
decreto del 19 marzo 1409 toglie al ve scovo d'Amiens il diritto di
esigere una tassa dagli sposi (Arch. de
France X. 57) Altro decreto del
parlamento di To losa dato il 1 marzo 1558 vieta all'ab bate di Sorreze di
prelevare questa tas sa nella signoria di Villepinte- Nel 1582 il Parlamento di Parigi fa lo
stesso divieto ai religiosi di
Saint-Etienne Egual divieto è fatto dal
parlamento di Bordeaux nel 1620 agli
Agostiniani di Limoges, e più tardi i
Canonicidi S. Claudio, da Voltaire tanto
giusta mente stimmatizzati, sequestravano i
beni matrimoniali della sposa che a vesse passata la prima notte di
matri monio col marito, invece di restare sotto
il tetto paterno. (Veuillot. Le droit du
seigneur au moyen age- Vedi anche
l'articolo AMORE in questo Dizionario.
Culto. Onore che i fedeli d'ogni re :
smo siccome quello il qual suppone
che Dio possa partecipare alle umane
fragilità e placarsi e diventar benigno
verso i suoi adoratori sol perchè essi
gli tributano quella sorta di omaggi
che, dal più al meno, rendono a tutti
i potenti della terra. L' idea di un
culto, infatti, riposa sopra l'assurda
credenza che la mente, la qual pur
si dice infinita, di Dio, attribuisca
un grandissimo valore agli effimeri o nori dei meschini abitanti di
questa molecola dell' universo, che si
chiama mondo. Appo i selvaggi l'idea
cardinale del culto si rivela con tutti
i suoi ca ratteri antropomorfi. Essi con adorano le potenze sovranaturali, se non in ra gione
del bene che possono sperare da loro o
del maleche da loro possono te mere. Il loro culto è meramente rego lato dai
rapporti che passano fra essi e gli
altri uomini, epperò rendono ai loro
idoli quegli stessi servizi o quegli stessi onori i quali sogliono rendere agli uo mini
più potenti di loro. I popoli della
Siberia rendono solenne culto e fanno
offerte ai loro Dei sol nei giorni di
sventura, e i Kamtscadali, come rife risce Feuerbach, per solito sono
molto parchi in queste offerte, nè
donano ai loro Dei altro che le ossa, le
reste e la testa dei pesci, dei quali,
com'è ben natu rale, essi non possono cibarsi. Anche i negri per solito non offrono agli Dei altro che le ossa e le corna delle loro bestie, e nell'antica Grecia Esiodo dice che Prometeo insegnava agli uomini di non offrire agli Dei altro che le ossa,
e a se stessi riservare la carne degli'
ani mali. Ma nontutti ipopolisono cosìpar chi nel loro culto, ecertiselvaggi
credono ancora di rendersi accetti ai
loro idoli ungendoli con grasso e
riempiendo il loro naso di tabacco,
imperocchè il ta bacco è cosa ad essi cara, e l'ungersi il corpo è usanza generale dove I' abbon danza
degli insetti rende n cessario di 228
CULTO mettere al riparo l'
epidermide dai loro perniciosi attacchi.
Gli insulari di Fidsci al loro Dio
offrono vivande, e in gene rale vediamo che l'idea del culto non si disgiunge mai da quella di offerta e di sacrificio, avvegnachè gli uomini
offrano agli Dei le cose cheper
lororeputano utili, ond'acquistarsi
laloro protezione e illoro appoggio;
ondechè il culto nei suoi pri mi elementi risolvesi in una sorta di con tratto
bilaterale, nelquale non si presta no onori senza promessa di beneficio. I Botocos, tribù degli Ottentotti, non ado rano
forse lo spirito del maledal quale tutto
possono temere, e albuonDio non negano
culto, poich' essi credono che sia un
buon vecchio incapace di far male ad
anima viva? Anche Randall narra che gli
indigeni delle isole Kingsmill
(Micronesia meridionale) dacchè furono
decimati da una orribile epidemia, per dettero ogni fiducia negli
spiriti a cui prima rendevano
culto. Di mano in mano che la civiltà
si accresce anche il culto
s'ingentilisce. Il concetto della
divinità che subisce una elaborazione.
metafisica, sempre più si allontana
dall'antropomorfismo volgare ; l'uomo
più non presume di potere tor nar utile al suo Dio, ma da lui tutto attende, e lui adora come il sovrano di
spensatore delle grazie e dei castighi.
Allora alla triviale offerta dei selvaggi su bentra il sacrificio di
espiazione, e iriti e i simboli formano
le arcane cerimonie in soccorso delle
quali vengono le me raviglie dell'arte; e l'incanto della mu sica e degli odori
accrescono il culto da rendersi in onore
della maestà su prema. Però non sempre
le religioni civili si sono limitate ad
onorare il solo Dio, e il cattolicismo
specialmente ha distinto il culto in
varie specie delle quali qui appresso
parleremo. CULTO DI LATRIA, che
appartiene al solo Dio, ed intorno al
quale'tutte le chiese cristiane
concordano, siccome quello che è
comandato dalla scrittura e specialmente
dal primo comandamento della legge
Temerai il Signore Dio tuo e lui solo
servirai » (Deuter. VI 13). Però, non
tutti icredenti in un Dio per sonale si accordano intorno alla maniera di prestare il culto dilatria,
imperocchè propriamente questa parola
greca signi fica servire (da latreia, servo) e varie sono le maniere di rendere servitù. Tra il lusso smodato delle chiese cattoliche e la modestapovertà delle assemblee dei quaccheri i quali, secondo un detto e
vangelico, adorano Dio in ispirito e ve rità,
corrono tante diversità di culti
quante sono le Chiese e le comunioni
religiose. Nè mancano deisti i quali so stengono che il culto
daprestarsi a Dio deve essere puramente
interno, e ogni culto esterno rigettano
siccome inutile e superstizioso e
sgradito alla divinità. Ma costoro mal
ragionano, avvegnachė sia facile il
dimostrare che, o Dio è un essere
veramente antropomorfo, e percid gusta e
ambisce gli onori, e allora l'ono rarlo esternamente e conquella maggior pompa che siapossibile è atto doveroso e non superstizioso ; oppure gli onori non ama, e allora l'adorazione, sia inter na
od esterna, non cambia natura din nanzi ad un essere per il quale non esi ste
nè dentro nè fuori, nè sopra nè sotto, e
al cui cospetto ogni cosa è palese.
CULTO DI IPERDULIA, con cui viene o norata la Vergina Maria, madre di
Dio, la quale per la Chiesa cattolica
essendo nata immacolata, merita un culto
supe riore a quello degli altri esseri del
Paradiso. CULTO DI DULIA, il
quale nella Chiesa cattolica rendesi ai
santi pei doni sopra naturali ond'essa dice che furono da Dio favoriti. Tutte le Chiese protestanti
con unanime accordo rigettano questo
culto, non meno che quello di iperdulia,
sicco me superstizioso econtrario alla scrittura e non mai praticato dai cristiani dei primi quattro secoli. In quanto alla scrit
tura essi dicono che quando alcuno dei
suoi discepoli domandò a Gesù Cristo:
Fondandosi su queste considerazioni,
il Prof. Mantegazza conchiude che le dif ferenze caratteristiche che si
notano fra gli animali dei due sessi,
devono attri buirsi alla natura speciale della secre zione spermatica, laquale
imbevendo per riassorbimento tutti i
tessuti ne modifica profondamente la
nutrizione, facendo ap parire nuove forme, nuovi colori, nuovi caratteri anatomici e fisiologici. Il Dar win
inunalettera del 22 settembre 1871
dichiarò di non poter credere che l'as sorbimento del liquido spermatico
possa modificare i tessuti dell'animale
che lo secreta; ma questa denegazione
del sa piente transformista inglese, non toglie
che le obbiezioni del Mantegazza siano
di qualche peso, e che la sua ipotesi
acquisti tanta maggior evidenzainquanto
par verificata da un certo numero di
fatti abbastanza capitali. Invero, pri ma della pubertà, come osserva
Mante gazza, il maschio e la femmina si rasso gliano tanto da non poterli
distinguere, e la vecchiaia fa spesso
scomparire i caratteri sessuali
secondari, i quali pure non si
sviluppano se il maschio è ca strato. Sappiamo che agli eunuchi non cresce la barba, chelaloro voce conser
vasempre un timbro infantile eche giun gono all'età matura assumendo abitudi
dini più femminee che virili; e sappia mo pure qual differenza esista fra
il bove e il toro, fra un gallo ed un
cap pone. Del resto, m' affretto a
soggiungere che se il Mantegazza
contrasta l'elezione sessuale, non nega
però l'influenza del l'elezione naturale. Mi pare anzi che la DARWINISMO sua teoria della neogenesi si risolva ancora in questo ultimo genere di ele zione.
Spieghiamo in poche parole que sta teoria. La regola normale della ge nerazione
è che il figlio è sempre di verso dal padre o dalla madre, ma che questa
diversità è però così accessoria
241 normale, mentre invece quando
l'eredità immediata è quasi nulla, e
prepondera no gli elementi atavici, cioè la som madi molte modificazioni già
compiute nel passato, la nuovaforma si
dice nata che nonbasta a costituire per
se sola alcun carattere speciale che lo
diversifi chi dai parenti. Non sono però tanto
rari i casi di generazione anormale, nei
quali il figlio presenta caratteri nuovi
non propri dei genitori, ed è appunto
in questi casi eccezionali, i quali si di scostano dalla legge normale
dell'eredità fisiologica, che si
verifica la neogenesi, o generazione
nuova, improvvisa, che può costituire
una varietà più o meno permanente. Tostochè,dice Darwin, qualche antico membro della grande famigliadei pri mati, o
pel cambiamento nella maniera di
procurarsi la sussistenza o per mo dificazioni nel paese primaabitato,
sarà stato ridotto a vivere meno sugli
alberi, il modo di camminare avrà
dovuto modificarsi, esso sarà divenuto
obipede o veramente quadrupede. I
cinocefali L'uomo solo è divenuto
bipede, ed io credo che, almeno in
parte, noi possia mo capire com' egli abbia acquistata l'andatura verticale. Egli non avrebbe mai raggiunta la sua posizione domi nante nel
mondo, senza l'uso delle sue mani, cost
appropriate ad obbedire alla volontà. Ma
braccia e mani non avrebbero mai potuto
divenire organi così perfetti da poter
fabbricare delle armi, lanciare pietre e
giavellotti con giusta mira, se avessero
dovuto servire abitualmente per muovere
il corpo, o per sopportarne il peso;
tanto meno poi se avessero continuato a
servire per arrampicarsi sugli alberi;
avvegnachè presso le scimmie,
essenzialmente ar rampicanti, il pollice è quasi sempre rudimentale e la mano è un vero un cino. Un
servizio così grave avrebbe d'altronde
tolto in gran parte il senso del tatto,
dal quale dipendono princi palmente gli usi delicati acui servono le dita. Queste sole cause sarebbero bastate perchè la stazione bipede fosse vantaggiosa all'uomo; ma vi sono molte altre azioni che richiedono la libertà delle due braccia e della parte supe riore
del corpo, il quale deve perciò riposare
fermamente sui piedi. Per rag giungere questo risultato vantaggioso, i piedi sono divenuti più piatti e il pollice si è singolarmente modificato, perdendo ogni attitudine a prendere i corpi, per l'opposizione alle altre
dita.Ma vi sono selvaggi nei quali il
piede non ha tuttavia perduto
interamente la fa coltà di prendere, come lo dimostra la lor maniera di arrampicarsi sugli al beri,
e i diversi altri usi in cui l' ad destrano ».
Escluse così,le differenze organiche
sulle quali la vecchia anatomia soleva
fondare il carattere specifico del tipo
umano, Darwin prosegue a combattere la scuola psicologica, la quale
fonda questo carattere sulla superiorità
intel lettuale dell' uomo. Questa superiorità
non è certamente contestabile, ma essa
non esclude però il fatto di una passata
inferiorità morale, nè si riesce a stabi lire tra l'uomo e gli animali
superiori alcuna differenza essenziale
fuorchè con frontando la capacità intellettuale dei bruti con quella delle razze umane su
periori. Ma tosto che si scende alle in fime razze, quando si osservano gli usi e i costumi e le morali attitudinidi
certi selvaggi inetti finanche a contare
oltre il numero cinque, allora si
capisce di leggeri, che gli uomini meno
sviluppati, stanno sui confini della
classe più ele vata degli animali, sulla grande intelli genza dei quali tante
sono oramai le testimonianze raccolte
che non v'è più alcuno che non le
sappia. Fondato su queste
osservazioni, Darwinnonteme questa volta
diaffer mare che l'uomo é derivato dal regno
animale. Ma qual sarà il nostro imme diato progenitore ? Le nostre
cognizioni attuali non possono
rispondere a que sta domanda. Forse l'uomo non è de rivato da nessuno degli
antropoidi vi venti, ma piattosto da una forma in termedia fra esso e le
scimmie. Questo anello che avrebbe
potuto congiungerci col regno scimmiesco
andò perduto, nè gli archivi fossili
della terra finora ci hanno fornito le
tracce per ritro varlo. Ad ogni modo, bisogna ritenere che in quest'ipotesi, se noi non siamo i figli, siamo certamente i nipoti delle scimmie. Fatta astrazione di queste forme perdute Darwin traccia, così al
l'ingrosso, la nostra geneologia facendo
derivare l'uomo alle scimmie dell' an tico mondo, le scimmie dai lemuri
che tanto le assomigliano e che sarebbero un ramo parallelo,il ramo cadetto dei mammiferi ordinari. Che i lemuri si innestino sul ramo dei marsupiali a Darwin pare probabile. Dai marsupiali ai monotremi il passo è breve e da questi ai rettili non corre gran diva rio.
Facilmente i rettili si confondono cogli
anfibi e coi pesci, e questi colle
ascidie, forma più inferiore delle specie acquatiche. Secondo la novella teoria Darwinianauna delle più infime forme acquatiche sarebbe stato nei tempi re motissimi
il progenitore dell' umanità (v. anche
l'articolo CAUSE ATTUALI). Ba gnato dalle onde del mare,questo no stro antenato
ha dovuto subire l'alter na fortuna delle maree lunari; e para a Darwin che questa influenza possa a vere
qualche rapporto con la caduta delle
uovae lemestruazioni della don na, che appunto si ripetono fra i periodi lunari. Concordanza, se vogliamo, un po'forzata, poichè, come osserva Ed mond
Perrier, se fosse vera dovrebbe
verificasi negli altri animali, il che
non è. Del resto, giova notare
che gli er rori possibili nelle induzioni che si fanno per scoprire la geneologia dei viventi, nonpossono in alcuna maniera infirmare il Darwinismo. Il concetto che dobbiamo avere di questa teoria non può limitarsi negli angusti limiti genealogici; ma deve abbracciare il granprincipiodella trasformazione delle specie prodotta da quelle stesse cause che anche attualmente agiscono sul mondo dei viventi. Il determinare poi quali specie precedano le altre nell'or dine
del tempo,da qualtipo l'uomo sia
immediatamente derivato. e se da una
o da più coppie, sono questioni com plementari ma non essenziali pel Dar
winismo (v. MONOGENESI E POLIGENESI).
Davide de Dinant. Filosofo
scolastico che visse nel secolo XII e
forse al principio del XIII. Di lui s'i gnora la data precisa della nascita
e della morte, e sol ci è noto per il De
ereto di un concilio di Parigi (1209)
che danna al fuoco le opere sue, e per
quanto ne dice Alberto il Grande, il
quale gli attribuisce un libro sugli
atomi. Par che Davide combattesse l'a tomismo di Leucippo e di
Democrito e tutte le cose esistenti
nell' universo DE BONI dividesse in tre
classi: i corpi, le ani me e le idee. La materia prima,senza attributo e senza forma, costituisce la essenza dei corpi, le qualità dei quali non sono quindi altro che semplici apparenze percepite dai sensi, ma sen za
realtà. Il pensiero è invece l'essen za dell'anima, e Dio quella delle
ideę. Par che poi questi tre caratteri
della realtà, nel pensiero diDavide, si
con fondessero in una sola unità universa le, d'onde forse il sospetto di
pantei smo che gliene derivò, e la condanna
del concilio. Davide l'armeno.
Filosofo re putatissimo nell' Armenia, ma che da noi, senza gran danno, sarebbe forse sempre stato ignorato,se il signorNeu
245 cero disumare il suo cadavere e lo consegnarono alle fiamme. De Boni (Filippo). Nacque a Feltre nel 1817 e fu uno dei più illu stri e
sinceri rappresentanti della po litica e della filosofia. Insigne filosofo e libero pensatore, la politica militan te
non fu per lui sfogo sfrenato di
passioni compresse, ma mezzo neces sario per tradurre logicamente e libe
ramente in atto i principii esposti dal la libera filosofia. Nessun divorzio
egli mai tollerò fra queste due scienze,
di cui l'una è il pensiero l'altra
l'azio ne della rivoluzione moderna. A que sto tanto armonico sistema che
mai mann non ce lo avesse fatto conosce
re con le sue traduzioni. Nacque a
Herten,villaggio Armeno, verso l'anno
450 e mori sul principio del VI seco lo. I suoi connazionali lo dissero
il esa gerazione solita a incontrarsi
fra gli orientali. Egli scrisse un libro
intitola to: Definizione dei principii di tutte le cose, nel quale dice che le cose tutte constano della sostanza e dell'acciden te; la
sostanza divide in prima e secon da, e la seconda in sostanza speculati va e in
sostanza attiva. Un altro libro
intitolato: Fondamento della filosofia,
è una confutazione del pirronismo a
tutto beneficio della filosofia plato uica. Davidisti . Seguaci di un tal Giorgio David, pittore di Gand, il qua le
nell' anno 1525 facendosi credere il
Messia disse di essere stato inviato
dal padre per riempire il vuoto para diso. Non ammetteva matrimonio, ne
non precipita gli eventi, ma sempre li
sospinge innanzi col desiderio del
meglio e la coscienza di volerlo, egli
dovette quella calma polemica, lonta na d' ogni astiosa smania,per la
qua le tanto fu caro agli amici e dai ne mici rispettato. Per sottrarsi alle persecuzioni del l'
Austria, esulò nella Svizzera e nel
Piemonte, dove dall'anno 1846 al 1867
pubblicò l' effemeride: Cosi la penso,
cronaca di Filippo De Boni, che è un
fedele riassunto del movimento della
nostra nazionale indipendenza, e una
continua e formidabile accusa contro
la istituzione del papato, allora rispet tata assai. E all' elezione al
pontifica to di Pio IX, quando ancora l' Italia, per uno di quei traviamenti di cui la storia ne offre tanti esempi, inneggia va
alla liberalità del nuovo pontefice e
padre del popolo lo acclamava e sal vatore della libertà,solo ilDeBoni ten to
comprimere quell' inconsulto slan cio, e avvertire il popolo che vana era la sua speranza, perciocchè all' I talia
mai non venne utile alcuno dai gava la
risurrezione, il peccato origi nale e ' abnegazione evangelica. Es sendo
perseguitato fuggì daGand eri- straniere.
coverossi sotto il nome di Giovanni
papi, e loro opre erano le invasioni
Bruch a Basilea, dove morì nell' anno
1556, lasciando credere che tre anni
dopo sarebbe risuscitato. Dicesi che
scorso questo termine i magistratife Pochi lavori di criticaletteraria
ne lasciò egli, e fra tutti vuol essere
men zionata una prefazione alle lettere di
Jacopo Ortis, stupendo lavoro nel qua le stabilisce un giustissimo ed
artisti 246 DE BONI co confronto fra Verber e quel nostro ingegno italiano. Ma i suoi scritti di filosofia, e della filosofia della storia, illustrarono specialmente il suo nome e più di tutti giovarono alla causa della libertà del pensiero. Bello è il libricciuolo intitolato ' Inquisizione e i Calabro-Valdesi, nel quale si dimo strano
le crudeltà della Chiesa contro i
dissidenti nelle provincie meridiona li; bellissimo lo scritto sulla incredu
lità italiana del medio evo; ma sopra tutto meritano menzione i sette sacra
menti, dei quali i primi due soltanto
furono compiuti, e sono un monumen to di storia e di critica religiosa,
spo gli di indigesto sapere e di erudita
petulanza, e prova inconfutabile del
come nascono e si formano per lenta
aggregazione, i dommi della Chiesa.
La sua versione della Vita di Gesù
di Renan è pregevole sopratutto per
una sua prefazione, che vince in bel lezza l'arte stessa di quel
romanzo, chè invero difficilmente altro
nome po trebbe darsi a quel panegirico di Gesù.
e dogma fu in ultimo il titolo adotta tato, quando lo scritto venne in
luce per iniziare una biblioteca del
libero pensiero. Un passo di quel libro ove si ac cennava alla
persistenza di una reli gione avvenire, fu per me cagione di una corrispondenza, colla quale il De Boni volle spiegarmi l'oscuro senso di quelle parole. Opportuna cosa per tanto mi
pare il farepubblica la par te della lettera che è l'autentica, seb ben
postuma, interpretazione di quel suo
pensiero... « Non ho saputo spie garmi, o per la fretta del conchiudere o per la paura del soverchio ripetermi «Io non ammetto veruna religione positiva. Ma ciò non basta. La paura degli uomini per le nostre dottrine è nel credere che la sanzione d'una re ligione
positiva sia necessaria per la morale. È
mio intento mostrare che questa sanzione
è altrove, che il do gma è ostacolo non aiuto all' irrag giamento nella
coscienza umana delle leggi morali. Alle
continue rivelazioni, agli antichi
rivelatori io sostituisco l'umanità;
essa è rivelatrice fedele e DeBoni
stesso vedeva i difettidi quel | lavoro
con cui Renan, rompendo vio lente le sue scientifiche tradizioni, vol- |
perpetua a se stessa. Essa lo fece an le descrivere, sulle tracce degli evan
geli, la cui autenticità, per altro, in
gran parte contesta, un Gesù uomo,
superiore all' umanità. E De Boni, ri spondendo a questo appunto, mi
scri che per il passato ma inconsciamente;
ora la scienza la conduce a farla con sciamente. veva: « Io non ammetto rivelazione alcuna. Cristo, l'uomo-Dio, non è al tro che
la umanità che divinizza se stessa. E
Gesù, se ha esistito, ha pro prio i suoi difetti come le sue virtù.
>> Ragione e dogma fu l'ultimo dei suoi scritti . Egli dettavalo a Nervi quando solitario passeggiava lungo la spiaggia del mare, meditando sui pe ricoli,
sulle speranze della patria. Il
manoscritto portava in prima un al tro titolo: Durante i crepuscoli, ed
era no davvero i crepuscoli della sua tor mentosa vita, che già in sul
declino, per consiglio di medici cercava
pro lungare in quel dolce clima. Ragione
DeBoni non solo combattette dun que per la libertà politica, ma i
suoi ultimi anni volle anche
specialmente impegnare in quella guerra
secolare che laRagione sostiene contro
la Fede. La caduta della teocrazia e
Roma ri data all' Italia furono il suo precipuo
scopo, il pensiero che detto i suoi ul timi scritti. E quandoMazzini,
temente di combattere in uno la potenza
delle baionette straniere e la fede
cattolica, alla sola Venezia voleva
rivolte le no stre forze, De Boni mal non si appo neva dicendo, che l'azione
nostra contro Roma mai non potrebbe
dirsi precoce e immatura, e mai nonsi do
vesse sacrificare, coll' astenzione, sul l'altare dei pregiudizi. Nè con tali ultimeparole egli esa gerava il
suo stato: doveva morire po vero, come povero era vissuto. Da parecchi anni nelle sue lettere spesso lagnavasi di un lento malore che lo travagliava. Pure fu sempre assiduo alle sedute della Camera, nel la
quale rappresentava il collegio di
Tricarico. La sua voce mai non fu
muta nelle gravi quistioni che si di batterono in questi ultimianni,
espee so quasi solo difese quei principii di
libertà di coscienza e di libero pen 218
DECIMA șiero, che st raramente si
accoppiano, offrire al Signore la decima delle cose nel maggior numero di coloro che so no devoti
alle idee della democrazia. Ma le sue
forze mal rispondevano oramai agli
impeti generosi del cuore. Non s'
illudeva già sul male che len tamente lo prostrava, e agli amici ri peteva, che
era uomo morto. Un pro cesso per diffamazione tentato contro di lui aNapoli fin da quando, con co raggioso
proposito, assumeva la re sponsabilità di quanto altri scrivevano in un giornale liberale che colà era rimasto senza gerente, rinnovavasi con strana pertinacia all' incominciare di ogni vacanza parlamentare e di nuovo sospendevasi quando, all' aprirsi della sessione, egli rientrava nei diritti del la
inviolabilità della deputazione. No vellamente fu pure ripreso in questa ultima proroga e minacciava già di essere condotto alla fine, quando per consigli d' amici, e accusatori e accu sato,
vennero ad un onorevole accordo pel
quale fu tolto dal suo capo il pe ricolo di una detenzione che, senza dubbio, cagionato avrebbe la sua fine. Ma fu guadagno di poco momento, Verso la metà del mese di novembre dell'anno 1870, mentre riedeva dal so lito
bagno freddo che egli prendeva per
consiglio del medico, cadeva sve-. nuto
sulla piazza di Santa Croce in Fi renze. Trasportato al villino Schwart zemberg
ov' egli dimorava, più non ne uscì che
col funebre convoglio, il qual doveva
accompagnarlo alla tom ba, non acquistata, ma concessa alla sua salma dalla pia liberalità di un amico.
Decima. Come ' indica il nome,
così chiamasi il diritto del clero o della Chiesa di percepire la decima parte dei prodotti o delle rendite dei fedeli.
Coloro i quali sostengono che la decima
è di diritto divino citano parecchi
testi del l'antico Testamento, che, per verità, sono favorevoli al loro asserto. Quando Gia cobbe
svegliossi dal sogno in cui aveva veduto
la scala misteriosa, si propose di che
avrebbe acquistate (Genesi XXVIII,
20,22). L'Esodo e il Levitico prescrivono espressamente al popolo di pagare le decime e le primizie (Es. XXII, 29 Lev. XXVIII, 30), e unaltro libro della Bib bia,
dice che Dio diede ad Aronne ed ai
Leviti le decime, le oblazioni e le pri mizieindiritto perpetuo(Numeri.
XVIII), Il Nuovo Testamento non parla di
deci me: la carità è il fondamento della nuova
legge e par che Gesù facesse molto as segnamento su questa virtù del
suo greggie, poichè mandando gli
apostoli a predicare alle genti, lor
vieta espres samente di prender seco nè denaro, nè borsa, nè due tonache, nè scarpe, nè altra cosa per il loro vestito o pel so
stentamento, perciocchè i fedeli son quelli
che devono mantenere gli operai del
Signore (Matt. X. 9. 10-MarcoV17,8-Luca
IX, 3) Adunque nei primi tempi del cri stianesimo i ministri dell'altare
vivevano delle offerte dei fedeli, onde
S. Ilario vescovo di Poitiers, potè
scrivere che il giogo delle decime era
stato tolto da Gesù Cristo. Ma il clero
cristiano, così come quello dei leviti,
non potè star lungamente alsobrio regime
della carità, onde la decima risorge ben
presto, e il Concilio di Macon dell'
anno 585 è il primo che ingiunga, nel
suo quinto ca none, di pagare la decima ai sacerdoti sotto pena di scomunica. I capitolari di Carlomagno ne regolarono la distribu zione e
nel 1179 il Concilio lateranense
dichiarò che le decime erano di precetto
e le estese, oltre ai prodotti agricoli, e ziandio al profitto derivante
dalla mano d'opera e dall' industria
(Selden Storia delle decime). Infatti il
concilio di Tro sly nell'anno 919 vi assoggetta tanto il soldato che
l'artigiano:>>>L'industria che
vi fa vivere, dicono i padri di quel con cilio, appartiene a Dio; dunque
voi glie ne dovete la decima » (Bergier.. Diz.
Tcol). I modi di esazione della decima
erano coattivi e i decreti civili si uni vano ai precetti ecclesiastici
per rendere quel peso insopportabile.
Francesco I. DEDUZIONE E INDUZIONE con
Decreto 1. marzo 1545, ordina che prima
di trasportare ilgrano dal campo sia
pagata la decima sotto pena di con fisca; egual decreto è dato dal governo belga nel 1650, e Carlo IX il 14 agosto 210
tori ecclesiastici, nè i concili dei primi otto secoli hanuo maicitato quelle false Decretali; che nessuna di esse discorre 1568 gli stessi proprietari rende respon
sabili della decima. Nuova specie di de cimaeraquella conosciuta sotto il
nome di Norale, e colpiva ogni dissodamento dei terreni, i tentativi di nuove semina
gioni, ogui miglioramento, ogni progres so. Invano Carlo V colle sue lettere pa
tenti tentò di impedire che le popola zioni fossero « oppresse nell' occasione della levata delle decime > ; le
proteste del clero 1 obbligano a
interpretare le sue stesse parole e a
concedere l' ulte riore esazione delle Novali.
Finalmente nell' Assemblea francese
il 10 agosto 1789 Mirabeau tuona con tro le decime, che sono allora
abolite di diritto e di fatto su tutto
il territorio della Repubblica. Poco di
poi le altre nazioni seguono l'esempio;
così la deci ma è cancellata dagli oneri civili, ma nondimeno essa continua a sussistere fra i precetti della Chiesa, i quali ne impongono il pagamento come un dovere imperioso di coscienza. Decretali. Raccolta dei Decreti che furono attribuiti ai papi dall' anno 93 in avanti, e costitui per tanto tempo il fondamento del diritto canonico. Que sta
raccolta è attribuita a un tal Isidoro
Mercatore, che si suppone vivesse nel
IX secolo, sul conto del quale null'al tro si sa che il nome, e fu
approvata da papa Nicolò I. Oggidì niun dotto cattolico osa met tere in
dubbio che buonnumero di que ste Decretali, e specialmente quelle di tutti papi anteriori a Siricio non siano apocrife, e in tal giudizio è indubbia mente
convenuta la critica appoggian dosi a molte e varie considerazioni, fra cui meritano di essere accennate le se
guenti: Che i passi della Bibbia citati in
quei Decreti son tutti tolti dalla tradu zione di S. Gerolamo, che fu
posteriore a tutti quei papi; che
nessuno degli au fondatamente delle cose opportune al tempo incui si suppongono redatte ; che in alcune si trovano interi passi di De creti
fatti dai papi posteriori; e final mente che le date segnate coi nomi dei Consoli sono false. Può credersi che uno dei principali motividi questa falsificazione quello
fosse di dare una cotal sorta di
retroattività alle pretese del papato,
imperocchè fog giandosi i Decreti dei primi papi vole vasi specialmente
mostrare che i vescovi di Roma, fino dai
primi tempi del cri stianesimo, erano sovrani della Chiesa e autorizzati ad approvare di loro pieno arbitrio l'obbligo dei concili,o a disappro
varli se convocati senza il loro assenso ;
di regnare sovrani sugli altri vescovi,
scomunicare i re e detronizzarli. In
quella raccolta furono perciò alterati i
canoni dei Concili, ed aquello di Ni cease ne aggiunserobencinquanta,
tutti apocrifi. Nonostante però le grossolane im. posture ond'erano pieni quei Decreti, corsero essi per assaitempo nelle manı del clero come autentici, molti concili e molti vescovi appoggiarono su di essi le loro decisioni; Wicleff e Giovanni Huss furono condannati dal Conciliodi Costanza anche perchè le avevano di chiarate
false, eilV.concilio di Laterano tenuto
sotto Leone X condannava Lu tero per lo stesso motivo. Tante deci sioni
infallibili non tolsero che fin dal
secolo XVII la critica si levasse pode rosa contro questi atti apocrifi,
sui i quali David Blondel scrisse un'opera laboriosa, intitolata: Pseudo Isidorus
et Turrianus vapulantes (Généve
1628). Anche il Cardinal Baronio dovette
ri conoscere la falsità delle Decretali
(Annali A. D. 865), la cui autenticità
oggimainessun teologo romano piùnon
osa sostenere. Deduzione e
Induzione. De duzione, da deducere, è parola novella 250 DEDUZIONE E INDUZIONE mente introdotta nella filosofia per in dicare
l'operazione del pensiero, il quale da
un principio generale cava fuori,
deduce, una verità particolare, in
opposizione dell' induzione, la quale
dalle verità particolari s'induce a sta bilire i principii generali.
L'inferiorità del metodo deduttivo in
confronto di quelloinduttivo può
stabilirsi per quelle stesse ragioni che
ai cultori della filo sofia sperimentale fa preferire il me todo analitico a
quello sintetico, le ve rità accertate a posteriori a quelle stabilite a priori. ( V. ANALISI e A POSTERIORI). Non possiamo in fatti ra
gionevolmente pretendere di stabilire
dei principii generali, se prima non
conosciamo le verità particolari che
concorrono a formare la generalizza zione. Dal vedere che l'oro, il
ferro, il rame ecc. si liquefanno al
fuoco, con chiudo colla verità generale, che tutti i metalli sono suscettibili di
liquefarsi al fuoco. Dal vedere che i
gravi ca dono verso il centro della terra, con chiudo che negli altri corpi
celesti i gravi seguiranno la stessa
direzione. Osservando che in tutti
itriangoli da ine veduti la somma dei
tre angoli corrisponde sempre a due
angoli retti, ne inferisco che questa
relazione è as soluta e si verificherà in tutti i trian goli possibili nel
mondo o negli astri. Tutti questi sono
argomenti condotti coll'induzione, tanto
acconcia alla ca pacitàdegli uomini; poichè innanzi tutto l'uomo percepisce le accidentalità par
ticolari che cadono immediatamente sotto
i suoi sensi, e non è mai senza una
continuata osservazione di queste
accidentalità, ch'egli riesce a stabilire i principii generali, d' onde emanano. Invano noi cercheremmo di avere l'idea del genere se prima non avessimo con cepita
quella della specie, nè quella della
specie sarebbe accessibile al no stro intendimento se non avessimopri
mabenconosciuti e studiati tutti i ca ratteri degli individui che la compon
gono. Questa è la ragione per cui nelle
lingue dei selvaggi mancano assoluta mente i vocaboli esprimenti le
idee generali. Gli australiani hanno
bensi nomi particolari per indicare
ogni sorta di piante, ma non hanno
parola per indicare una pianta in
genere, il che vuol dire, che essi non
sono ancora riusciti a riunire per
astrazione tutti i caratteri speciali e
comuni della grande vegetazione, nella
ideagenerale chenoi esprimiamo colla
parolapianta. Il tem po soltanto e la continuata osserva ❘zione potranno condurre i selvaggi
dalle idee particolari alle generali ; e
sarebbe una assurdità filosofica il vo lere stabilire nella filosofia un
metodo contrario a quello che segue la
natura nelle percezioni ch'essa ci dà di
se stessa. Il perchè anche lalogica ripu
gna al metodo deduttivo, tanto caro ai
metafisici, e pur tanto contrario al l'ordinario procedimento del nostro pensiero. Invero, se la conoscenza delle verità particolari non fosse necessaria perstabilire i principii generali, noi do
vremmo essere sorpresi che iselvaggi e i
bambini non riescano mai a inten dere i grandi principii che costituisco no,
per cosi dire, tutta la sintesi della
scienza. Ma se noi ammettiamo che le
idee generali s'acquistano soltanto dopo
la conoscenza delle particolari, saremo
forzati a convenire che il metododedut tivo non può mai nulla dinuovo
rive larci che già non ci sianoto, a meno chè non deduca da principii
generali supposti a priori, e quindi non
dimo strati. E veramente, quando il metodo
deduttivo dall' esistenza di Dio deduce
la necessità di una giustizia nel mon do, suppone in Dio
lageneralizzazione dell'idea di giustizia,
ma non dimostra che questa
generalizzazione sia anche una realtà.
Ben più, esso non fa altro che ripetere
in senso inverso una ope razione che l'induzione aveva già com piuta in modo
diretto, avvegnachè sia stato in grazia
della osservazione della necessità di
una giustizia particolare nel mondo, che
l'uomo ha potuto elevarsi alla generalizzazione astratta di una giustizia divina e universale. Adunque, il metodo deduttivo per essere vero, e per avere un valore prodi
nuovo mi rivela, e sempre mi porta a
quegli stessi dati che io aveva pri ma d'incominciare la divisione. prio, deve necessariamente supporre in noi delle idee innate, dei principii ri
velati a priori, i quali non ci siano
pervenuti per la via dei sensi. E chi
non ammette l'esistenza di questi prin cipii rivelati, è necessariamente
con dotto a riconoscere che le verità inse gnateci dal metodo deduttivo non
sono che una vana ripetizione e uno sfac
ciato plagio di ciò che già era noto per
mezzo dell'induttivo. Ma se il metodo
deduttivo non ha alcun valore proprio,
può nondimeno giovare nel ragionamento
come prova della induzione, e può anche
venire in soccorso della dialettica col
sillogismo, il quale, secondo le regole
della scuo la, ponendo innanzi tutto una premessa generale, da quella deduce una conse guenza
particolare. Ogni corpo è dotato
d'estensione; io sono esteso, dunque sono un corpo. Oppure : Ciò che non ha e tensione
non esiste; ma lo spirito non ha
estensione, dunque lo spirito non e siste. Ecco due deduzioni
sillogistiche perfettamente logiche e
intorno alle quali nulla vi è a ridire.
Ma se la de duzione ci giova egregiamente come
mezzo di prova, nulla però ci rivela
che già non ci fosse noto. Infatti noi
non avremmo potuto dedurre alcuna
conseguenza dal principio generale che
ouni corpo ha estensione e che ciò che
nonhaestensionenon esiste, seprimal'in
duzione, partendo dal fatto particolare
della percezione che i nostri sensi im mediatamente hanno di ogni singo
lo corpo, non avesse potuto stabilire i
principi generali sopra enunciati. Mi
sia dunque lecito di dire, che la dedu zione è per l'induzione, ciò che
per l'aritmetica è la moltiplicazione,
consi derata come prova della divisione. Que st'ultima, infatti, rifacendo
l'operazione della prima, può provarci
se in quella io abbia o nonabbia errato,
ma nulla Per analogia noi direm dunque
che il metodo induttivo è controllo e
prova delle false dimostrazioni, ma
nulla ci rivela . Invece il metodo
rivelatore, quello che nelle scienze
guida si curamente alla scopertadei nuovi prin cipii, è l'induttivo, il quale,
nelle sue indagini dal noto all'ignoto,
dal parti colare al generale, si fonda sempre sul principio che ogni effetto suppone una causa, la quale esso tenta di scoprire colla scorta dell'altro principio che data la medesima sostanza e le stesse condi sioni,
gli effetti devono essere sempre eguali.
Quindi è, che conosciuto l' ef fetto e trovate le condizioni in cui si è prodotto, l'induzione può scoprire la sostanza o la causa che l'hanno gene rato. In
questo senso Bacone ben si apponeva
discreditando il sillogismo
perproclamare la prevalenza dell'indu zione. Il sillogismo fu, infatti,
il solo mezzo di indurre della vecchia
scuola, la quale fin'anco ignorava la
parola deduzione, comparsa nei dizionari
dei nostri tempi per opporla al metodo
in duttivo inaugurato da Bacone. Questa
è anche la ragione per la quale. si passi dal generale al particolare, o dal par
ticolare al generale, suolsi sempre dir
che si deduce, quantunque più propria mente in quest'ultimo caso
dovrebbe dirsi che s' induce. Definizione. Due sorta di defini zioni distingue
la filosofia: le nominali e le reali. Le
primeson quelle che de terminano il senso in cuidevono inten dersi le parole ;
le seconde invece con siderano le qualità stesse delle cose che le parole rappresentano, e le determi nano.
Il difetto di buone definizioni è la
causa precipua della maggior parte
delledispute filosofiche, ondesivedequan to importi, per evitare ogni
contraddi zione, di bene e chiaramentedefinire le cose di cui si parla e il senso della pa role
che si adoperano, e quanto sia riprovevole l'uso di coloro che, per ri spetto
ai pregiudizi dominanti, usano certe
parole in un senso che è ben di verso da quello che hanno nell'uso co mune,
senza farle innanzi tutto prece cedere da una chiara ed esplicità defi nizione
del nuovo e inusitato senso con cui
quelle parole vengono intro dotte nel discorso. Accade sovente di vedere degli uomini profondamente in creduli
esaltare il sentimento religioso; il
perchè essi per sentimento religioso
intendono un qualche cosa che si av vicina alla morale, alla cognizione
e all'osservanza dei doveri nostri.
Costoro evidentemente abusano delle
parole, av vegnachè per sentimento religioso da
tutti s'intenda quella aspirazione che i
credenti provano verso Dio, e quel ta cito bisogno che essi hauno di
render gli un culto. Accade lo stesso
anche nelle defini zioni reali. Quando la natura delle cose di cui si parla non è bene e chiara mente
definita, non si può sperare di
ragionarvi sopra con fondamento. Se lo
spirito fosse meglio definito non si ve drebbe le tante fiate confuso
con la forza, da quei cotali i quali
prendendo lo spirito nel senso di una
attività che muove l'universo, credono
di ridurre alle strette i materialisti
dicendo loro : fonderlo colla forza, la
quale è una funzione inconsciente non
creatrice, relativa ai corpi e cosi
strettamente congiunta con la materia,
che distrug gendo questa quella sarebbe distrutta al tempo stesso.
La confusione che spesso si fa tra
l'ente e la funzione dipende dunque da
un difetto di definizione, che non sarà
mai bastantemente lamentato, inquan tochè talora si spenda vanamente
un tempo prezioso in controversie che,
in fin dei conti, si risolvono in una
mera questione di parole. Ma dalla necessità della definizione come mezzo adatto ad esporre e a ri chiamare
alla memoria il meno imper fettamente che sia possibile le cose ve dute, alla
defininizione considerata come principio
corre un abisso. Si tenga bene amente,
che ledefinizioni possono farsi soltanto
sulle cose note, e che ogni de finizione piuttosto che essere un princi pio
generale e sintetico, non è altro che un
esame analitico delle proprietà della
cosa definita. Il triangolo, dice
Condillac, si definisce chiamandolo una
superficie determinata da tre linee. Ma
se questa definizione ci dà una idea del
triangolo, si è perchè abbiamo veduta
quella figura; se non l'avessimo veduta
non avremmo mai pensato a definirla.
La definizione in se stessa nulla rivela
> (Argomento di Mazzini). Delresto, se i credentinelle religioni non si accordano fra di loro intorno ai principii della fede, convien dire che i deistinonsi accordano meglio fra di loro intorno ai limiti e alla potenza del
loro Dio. Clarque distingue quattro
classi di deisti che più propriamente si
possono ridurre a tre : 1° Quelli che ricono
scono un Dio senza provvidenza, indif ferente alle azioni degli uomini e
agli avvenimenti di questo mondo; 2º
quelli che credono in un Dio e in una
prov videnza, ma negano le pene e i premi
dell'altra vita. 3º Finalmente quelli che credono ai premi e alle pene della vita futura e ammettono la provvidenza di vina. A
quest'ultima classe appartengono tutti i
deisti moderni. Kantpoi, con una
divisione affatto arbitraria, distingue il Teismo dal Deismo, e mentre il primo definisce la credenza in un Dio libero creatore e regolatore del mondo; il se condo
vorrebbe che fosse limitato alla
credenza in una forza infinita, non in telligente e strettamente unita
alla ma teria (Critica della ragione pura p. 659)." Questa interpretazione non è passata nell'uso comune, avvegnáchè se cosi 254 DEMOCRITO
fosse, tutti i materialisti dovrebbero og gimai dirsi deisti. (V.
Dio) Deleyre ( Alessandro ). Nacque
a Portrets, presso Bordeaux nel 1726,
e fece i suoi studi nel collegio dei
gesuiti, dei quali vesti l'abito fino
all'età di quin dici anni. Quando i gesuiti furono e pulsi dalla Francia, egli
si recò aPa rigi ove, nonostantelasua esagerata di vozione, ebbe tanta ventura
distringere amicizia con Diderot,
d'Alembert e Rous seau i quali lo persuasero a seguire le sue inclinazioni per le lettere. Da quel momento si può dire che incominciò il rinnovamento della sua educazione, sic chè
abbandonato il bigottismo eccessivo
professato nell'adolescenza, man mano si
piegò al partito filosofico di quei tempi e volse infine ad un aperto ateismo. L'Analisi della filosofia di Bacone pub
blicata nel 1755 in tre volumi, è lavoro
pregevole per la chiarezza con cui egli
espone la filosofia del cancelliere d' In ghilterra e per l' energia delle
convin zioni che vi professa l'autore. Fece vari articoli nell' Enciclopedic, fra i quali merita menzione quello sul Fanatismo, che Voltaire riprodusse, sebbene abbre viato,
nel suo Dizionario filosofico. La
professione di principii apertamente ir religiosi contenuta in quello
scritto, gli cagiond non pochi dispiaceri.
Rousseau, chenon fu sempre religioso,
volle allora dare all'amico suo consigli
di strana moderazionè >> ( V. la mia Storia critica della
superst. T. II cap. VIII ). Ma la demonologia non termina coi processi delle streghe. Ingentiliti i co
stumi, non si abbruciarono più gl' inva sati, ma la potenza del demonio non
fu perciòmeno grande. Gli animali. (v.
BE STIE ) l'acqua, l'aria e tutti gli elementi
apparvero congiuranti a danno dell'uo mo, diretti dalla potenza di
Satana. A poco a poco la civiltà spegne
i roghi, manon toglie gli esorcismi, e
con essi la stupida credenza dei vulgari
nelle opera zioni magiche del clero. I rituali sono pieni di esorcismi per tutti i casi e per tutte le circostanze della vita. Si esor
cizza l'acqua prima di benedirla affin
di scacciarvi il demonio che può esservi
occultato, e con l'acqua esorcizzata si
battezza, e il battesimo è novello esor cismo, col quale la Chiesa vuole
innanzi tutto cacciare il demone ch'è in
pos sesso del corpo. « Io ti esorcizzo, dice
e ti allontani da questo servo di Dio.
Avvegnachè egli sia Colui che ti coman da ecc ». ( Rituale di Toul
Edizione del 1700 pag.. 32 35). Non vi è
malanno che non si com metta dai demoni.>
Nel 1742 Diderot strinse amicizia
con Rousseau, ma questo filosofo bron tolone e diffidente non era guari
fatto per viver cogli uomini. Nel 1758
l'a micizia fu rotta e convertita in aperta
inimicizia. Diderot si unì poi a D' A lembert per redigere la famosa
Enci clopedia, che interrotta per divieto del
re, e poi ripresa fu infine condotta
a termine sotto la direzione di lui
solo (v. ENCICLOPEDISTI), La pubbli DIDEROT cazione dell' ENCICLOPEDIA assicurò la fama del filosofo, che ebbe la buona sorte di ottenere la protezione di Cate rina
II di Russia, la quale volendo in bella
maniera gratificarlo, acquistò la sua
libreria per 15,000 lire, accordan dogli il diritto di conservarla presso di sè per tutta la vita, e assegnando gli
inoltre una pensione per la custo dia dei libri che l' imperatrice in que sta
singolar maniera aveva acquistati. Il
procedere degli studi e della 273 dimento col quale faceva parlare il suo amico. Ma chi, diceva, oserà fir mare
questo ?- Io, rispondeva l'ab bate, continuate dunque. Qual'è
ancora l'uom di lettere il quale non
riconosca facilmente nel libro dello
spirito d' Helvetius e nel sistema della
natura di Holbach molte belle pagine
che non sono, che non possono esse re che di Diderot? Se noi dovessimo fama di Diderotlo fecero eziandio pro cedere
nella negazione del sovranatu rale; e fint col dichiararsi ateo e ma
terialista. Nei suoi Principii filosofici
sulla materia e il movimento, egli ri conosce una forza inerente alle
mole cole, inseparabile ed eterna, ed accu sa il cartesianismo di assurdità
per avere insegnato che nella materia
vi è una opposizione reale al
movimento. La morale assoluta è pure
combattuta daDiderot in uno scritto che
ha per titolo: Supplemento al viaggio di
Bou gainville, o Dialogo tra A e B sull'in conveniente di attribuire le idee
morali a certe azioni che non le
comportano. L'autore con singolarità e
spirito di mostra che i costumi dei selvaggi son quelli della natura, che il pudore e il ritegno sono chimere, principii di mo rale
puramente convenzionale,e la fe deltà conjugale una ostinazione ed un supplizio. Da buon epicureo Diderot insegna l' amor del piacere, ma non lo vuol disgiunto dai nobili affetti e dalle passioni pure. Oltre una quantità di scritti sull'ar te,
sulla poesia e sulla filosofia, par che
Diderot collaborasse in quelli eziandio
i quali non figurano sotto il suo no me. L'amico suo Grimm, nella
sua corrispondenza, scriveva di
lui: Dilemma. Sorta di sillogismo
il quale consta di due proposizioni oppo
ste, di cui una sola può esser vera. E sempio: Se le tre persone divine
sono distinte le une dalle altre, non
possono essere consustanziali; dunque
sono tre Dei; se invece sono
consustanziali non possono essere
distinte; e allora Dio di venta Uno senza persone distinte. Diluviano. Che si riferisce aldi luvio. In
geologia dicesi terreno diluviano o
diluvium quello strato terrestre il qual
si suppone che fosse alla superficie della terra all' epoca del diluvio; e terreno post-diluviano quello che lo segue. Ma uno studio più accuratoha reso evidente che veri diluvi o cataclismi non vi fu rono
mai, e che lo strato il qual si re puta diluviano fu lentamente costituito dall' azione delle correnti d' acque che anche tuttodi nell' alveo e alla foce
dei fiumi e sulle sponde del mare forma
no terreni nuovi, per l'effetto di una
secolare accumulazione di materie. Im pertanto i geologi della nuova
scuola evitano quest' antica
denominazione e, con maggior proprietà
di linguaggio, chiamano il terreno
diluviano strato d'al luvione antica, il post-diluviano, strato d' alluvione moderna (v. CATACLISMA). Diluvio. Il racconto della Genesi (Cap VI) intorno al Diluvio di Noè non può lasciarci alcun dubbio sul carattere mitico di quella leggenda. Non solo il Diluvio contrasta con tutto l'indirizzo della geologia moderna (v. CATACLISMA) ma le circostanze stesse che l'accom pagnano
sono assurde e impossibili.Nar ra la Genesi che nell' Arca sette per sone
ricoverarono: Noè, i suoi tre figli e le
loro mogli. Oltre a questi, di cia scuna specie d'animali mondi entra rono
nell' arca sette paia, e degli ani mali immondi un sol paio per ogni specie ( Gen. VII. 2. 3. 14. 15). L'ar
caavevalalunghezza di trecento biti, era
larga cinquanta e alta trenta; cu
DILUVIO la luce riceveva dall' alto,
aveva una sol porta ed erafatta atre
piani (Gen. VI. 15. 16). Secondo i dati
stessi della Bib bia essa presentava dunque una super ficie di 15,000 cubiti
quadrati per ogni piano e così in complesso
una super ficie di 45,000 cubiti, corrispondenti a 15,000 metri all' incirca. Domandasi se questo spazio poteva bastare a con tenere
anche soltanto un paio di tut ti gli animali viventi sulla terra. I soli mammiferi finora conosciuti, compresi i cetacei, ascendono a ben 1200 specie, e stando nei limiti di un più che mode rato
calcolo, si può dire che, in media, per
ogni mammifero occorre lo spazio
275 nel calcolo soltanto due
individui per ogni specie. La Bibbia
però ci avverte che delle specie pure
sette paia furono ricoverate. Ma quali
sono gli animali puri ? La Bibbianol
dice; però ci indi ca poche specie soltanto come impure. Ma suppongasi, per abbondanza, che una metàdei mammiferi appartenga alle spe cie
impure; dovremo sempre per l' altra metà
aumentare di sei volte lo spazio occorrente.
Questo aumento ci da la cifra di altri
66,000 cubiti quadrati. di cinque cubiti
quadrati all' incirca. E siccome per
ogni specie devono ricove rarsi nell' arca due individui almeno, così tutti insieme occuperanno una su
perficie di ben 6000 cubiti. Ma una metà
di questi mammiferi appartengono alla
specie dei carnivori, d' onde la necessi tà di immettere nell' arca
altrettanti animali quanti occorrevano
pel loro man tenimento nel periodo di 355 giorni, du rante i quali restarono
nell' arca. Ora, ammesso che in media
ogni mammifero carnivoro consumasse
mezzo chilogram mo dicarne per ogni giorno, dati 1200 carnivori (600 maschi e altrettante fem mine)
il consumo giornaliero della car ne avrà dovuto ascendere a seicento chi
logrammi, e così per tutta la durata del
diluvio a chilogrammi 237,000, i quali
possono essere rappresentati da circa
300 buoi, occupanti una superfi cie di 3000 cubiti quadrati almeno. Per l'altra metà dei mammiferi non carni vori
dovevasi accogliere nell' arca il
nutrimento vegetale necessario, il qua le, supposto che constasse di
solo fieno, poteva occupare uno spazio
per lo me no doppio dell' alimento necessario ai carnivori; tanto più che doveva servire eziandio al mantenimento dei 300 buoi riservati al pasto degli altri animali. Ecco quindi una superficie di 21,000 cubiti quadrati, occupata dai soli mam
miferi. Ma finora abbiamo introdotto
Questo per i mammiferi soltanto. Ma
abbiamo oltre 500,000 specie di uccelli
e parecchiemigliaia d' altre specie, tra
insetti, vermi, rettili, moltissime delle quali sono carnivore e altre vivono sot to la
terra ed hanno bisogno di gran dissimo spazio. Non è dunque fuor di proposito ilvalutare lo spazio
occorrente a tutti questi animali
inragione di una metàalmeno
diquellooccorrente aimam miferi, e così avremo in complesso una superficie di circa centomila cubiti qua
drati, che è quanto dire maggiore di
oltre sei volte la reale capacità del l'arca! Il credere poi, come fanno gli orto dossi,
che sette persone potessero ba stare a provvedere ai quotidiani biso gni di
tutti questi animali, è cosa che muove
il riso. Invero, se ifelici abita tori dell' arca avessero anche avuto la forza di provvedere tutti i giorni alle occorrenze di ogni singolo animale, non ci sarebbero riusciti per mancanza di tempo, imperocchè ammettendo che al l'incirca
quattro milioni di individui fos sero rinchiusi in quel luogo (e il cal colo
non è largo ) sette persone che avessero
lavorato indefessamente, sareb bero appena riuscite a numerarli men talmente.
Figuriamoci poi se sarebbero bastati a
portare dall'una all'altra gab bia il nutrimento, a rifare il letto del le
bestie, a pulire e lavorare i pavi menti, senza cui quella casa quadrata che si chiama arca, sarebbe in breve stata ripiena di un insopportabile fe tore.
276 DILUVIO Riesce ancor più difficile lo spiegare naturalmente, come vuole Don Calmet (Dis. Biblico), i fenomeni cosmici che accompagnarono il Diluvio; imperocchè senza che Iddio compiesse una nuova creazione di sostanza acquea, non siriu
scirebbe ad intendere in qual maniera
volte tutto l'elemento liquido esistente
sul globo! Ma tolgansi pure
queste impossibi lità fisiche all'effettuazione deldiluvio, e credasi, come vogliono i sapienti orto dossi,
che questo non sia stato altro che un
cataclisma geologico; ebbene, l' evi denza non sarà perciò più chiara e la pretesa conciliazione tra la Bibbia e la scienza non vi avrà nulla guadagnato. le acque potessero superare di quindici cubiti le piú alte montagne. Suppongasi pure che l'atmosfera fosse satura di va pore
e che il passo biblico: in quel giorno
si aprirono le sorgenti dell'abisso | cataclisma dei geologi corrisponde a e le cateratte del cielo, debba interpre
tarsi nel senso, che le acque del mare
Infatti, nessuno degli effetti attribuiti al si rovesciarono sui continenti e i
vapori sospesi nell' atmosfera si sciolsero
in pioggia. Ma si è calcolato che i
vapori dell'atmosfera non potevano dare
uno strato d'acqua che coprisse la terra
per una altezza maggiore di dieci piedi.
Nè possiamo credere che il mare uscisse
dal suo letto, per coprire i continenti,
giac chè questo fatto oltre all'essere contra rio alle leggi della statica e
all'equilibrio dei liquidi, non avrebbe
poi, anche se possibile, di molto
superata una appena mediocre altezza.
Aquesto proposito ben dice Voltaire,
(Bible espliquée T I) che affinchè
l'acqua potesse innalzarsi di quindici
cubiti sopra le più alte monta gne, sarebbe stato necessario che si fos sero
formati dodici oceani ' uno sopra
l'altro, e che l'ultimo fosse stato venti quattro volte più grande di
quello che oggidi circonda i due
emisferi. Forse questo conto è alcun
poco e sagerato, ma possiamo noi stessi ridurlo
alle sue verosimili proporzioni, calco lando che la profondità del mare
sia in media di tre chilometri (
ridotti a due, poichè una terza parte della su perficie
non è coperta dalla acque) e prendendo
per base del calcolo il raggio terrestre
in 6000 chilometri. In tal caso tutta
l'acqua dei mari sarà valutata in 215,
928,008 di chilometri cubi. Or l'Hi malaya sorge asei chilometri sul
livello del mare, e a superare la sua
cima oc correrebbe la quantitàdi648,648 216 di
chilometri cubi d'acqua, ossiapiù di tre
quelli annunziati nella relazione di Mosè. Questieffetti sono principalmenteloscava
mento delle valli, ladenudazione e l'ero sione delle roccie, ladispersione su
tutta la superficie della terra dello
stesso de positodurante la rinnovazionedella mag gior parte degli esseri
viventi, e special mente di quasi tutti imammiferi del pe riodo terziario. Or
Mosè ebbe cura di avvisarci che nessuna
delle specie viventi all'epoca del
diluvio si è estinta in que sta catastrofe, ed ha prevenute tutte queste supposizioni di denudazione e di sprofondamento, raccontando con qual lentezza le acque diluviane si sono ab
bassate, lasciando in piedi, non solo gli
alberi delle foreste, ma ancora quelli dei campi, come gli olivi (Gen. cap. VIII. 11). Nessuna concessione della geologia, nè dell' astronomia potrebbe conciliare ciò che queste scienze hannodi più po ❘sitivo coll' interpretazione letterale
di parecchi passi del racconto di Mosè.
La dottrina esposta nel celebre
Discorso preliminare di Cuvier,
quantunque re putata ortodossa, si allontana anch'essa in molti puntidal raccontogenetico. Es sa
suppone l'emersione prolungata per molti
secoli di una partedella superficie
terrestre e l'immersione esclusivadiun'al tra parte ». (Reboul. Geologie
de la pé riode quaternaire cap. 27).
Finalmente non bisognadimenticare,
siccome un fatto assai caratteristico, che questo diluvio mandato appunto per sterminare l'umana specie avrebbe avuto per conseguenza di produrre un terreno geologico nel quale si trovano animali
DILUVIO d'ogni specie non più esistenti,
eccetto quelli dell'uomo ! Ma piuttosto che andare incontro a tante assurdità, non è egli più savio consiglio il riconoscere che la leggenda diluviana non ha nulla di reale e deve forse la sua origine ad un mito indiano? La tradizione deldiluvio era infatti
molto diffusa fra gli orientali. Il
caldeo Beroso parla di un diluvio nel
quale il buon re Xisustri, avvertito
dagli Dei sulla pros sima innondazione del Ponto-Eusino, si salvò entro un'arca; un altro diluvio ri cordalamitologia
greca nelquale Deuca clione e Pirra ripopolarono il mondo gettandosi dietro le spalle dei sassi,
che si trasformarono in uomini ; e gli
stessi egiziani ricordavano un diluvio
nel quale si sommerse l'isola Atlantide.
Ma tutte queste tradizioni la cedono in
vetustà a quella dell' India, dove i
Vedas, certa mente anteriori alla formazione definitiva del Pentateuco, narrano l' avvenimento del diluvio con quelle singolari concor danze
coi nostri libri santi, le quali si
possono vedere nel seguente parallelo del Diluvio di Vichnu. Notisi intanto che Vich-Nù, Me-Nù, hanno sempre la stessa desinenza di Nù, dallaquale gli Ebrei trassero il
loroNoè. Èpoi curiosa laconcordanza del
dilu vio del primo con quello del secondo.
Se ne togli la differenza del mito, do vuta alla diversa indole dei due
popoli che lo creavano, è impossibile
negare che uno non proceda dall' altro.
Per la migliore intelligenza del lettore
qui sotto ne riporto la
comparazione: Bibbia-Genesi, Cap. 6, 7, 8.
Il Diluvio. Edecco, io farò veniresoprala terra il diluvio delle ac que, per farperire disottoal cielo ogni carne in cui è alito . di vita: tutto ciò che è in terra morrà. MAHABARATA
BAGAVAD-GITA Episodio del
pesce. Di ciò che si muo ve e di ciò che
non si muove il tempo avvicina minaccioso e terribile.
Fatti un' arcadi legno di
Goser falla a stanze ed im peciala di
fuori e di dentro conpece (Id. 14).
Eprenditid' ogni cibo che si man
giaedaccoglilo ap presso a te (id. 21).
ENoèfececosì: egli fece secondo tutto ciò che Dio aveva comandato... ed entrò nell' Arca consuamoglie, con le moglide'suoifi glioli. Eildiluviovenne sopra la terra...... e le acque si rinfor zarono e crebbero grandemente e l'Ar canuotava sopra le acque (Id. 47, 18). Eleacqueavan zarono i monti che furonocoperti(VIII, 20 е 24).
Ed essendo state chiuse le
cateratte del cielo, l'acque an
daronoritirandosi e nel decimosettimo giorno del settimo mesel'Arca si fermò sopra le montagne d'Ararat (VIII, g-4). E Iddio parlò a Noè dicendo : Esci fuor dell' Arca, tu e la tua moglie ei tuoi figlioli ( VIII, 15, 16,).
Ed Iddio bene-. disseNoè e suoi
fi gliuoli e disse loro: 277, Fatti una nave forte, solida, ben congiunta con le gami. Etusalirainella nave e porterai te co tutte le sementi perchè vi si con servino lunga sta gione. E
stando sul legno mi vedrai ve nire a te
con un corno sulla testa al quale mi riconosce rai.... E Manù racco gliendo tutte le se menti entrò
nella nave con sette ri chis (sapienti)
e si diede a vogar sul l'oceano orrenda
mente gonfiato. Evidde ilpesce nuotante nelle acquə portante un corno come aveva predet to..... Attaccòuna corda al corno che esso portava al capo, e il pesce essendosi avviato trascinò ra pidamente il basti mento
sui flutti del l'oceano. Agitata da fu
riosi venti la nave vacillava sui caval
loni. Nè la terra, nè le regioni
del cielo erano visibili: tutto era acqua lo spazio e il cielo. Così il pesce fe ce vogare la nave per molti anni, poi lafeceposare làovè l' Himarat elevava lasuapiù altacima. Alloracosì il pe sce pariò ai sapienti della nave: lo sono Rama; nessun es sere è più elevato dime.
Sotto forma di pesce io venni
asal varvi dai terroridel 278 fruttate e
moltipli catee riempite tutta la terra (IX, 1, 7). Io fermo il mio patto con voi, che ogni carne non sa ràpiùdistrutta per l'acqua del diluvio, e non vi sarà più diluvio per guastar la terra. (Id. II ). DINAMISMO
lamorte. Da Manu | di essere dimostrata, imperocchè non devono ora nascere si va dal noto all'ignoto,
dalla verità tutte le creature. Esso deve ri creare tutti i mondi e per via di auste rità e devozioni sa rà
compiuto quel ch'io annuncio. Perfavormiola
creazione degli es seri non cadrà più
in confusione. Dimostrazione. La
dimostra zione è il fondamento più ovvio d'ogni
filosofia esatta. Non vi può essere per
noi verità se non è dimostrata; la di mostrazione è quella che ci apre
gli occhi all' evidenza e c'insegna le
cose che credere dobbiamo. La dimostra
zione deve seguire il metodo induttivo,
anzichè il deduttivo ( v. DEDUZIONE );
essere a posteriori e non già a priori
(vedi queste parole ); preferire il me todo analitico al sintetico (v.
ANALISI ). Questi principii fondamentali
della di mostrazione furono sempre miscono sciuti dalle vecchie scuole della
filoso fia, le quali fondandosi appunto sul
principio falsamente affermato daAri stotile, che la dimostrazione è
l'atto del dedurre da una verità univer
sale le conseguenze che ne sortono,
necessariamente, hanno supposto che
le verità universali potessero essere a
nostra conoscenza prima ancora della dimostrazione, e che questa giovasse soltanto per mostrare l'evidenza delle verità particolari in quanto si riferi vano
agli stretti e necessari rapporti
immediatamente percepita a quella a stratta della generalizzazione,
senza che i rapporti fra queste idee non
siano dimostrati, e che la loro
conformità non sia resa evidente. Ad
esempio, io posso ben credere senza
dimostrazione che l'acqua che bevo è
incolore e trasparente, poichè il fatto
stesso della sensazione che provano i
miei occhi è dimostrazione sufficiente a
indurmi in questa convinzione; e posso
egualmente credere che tutte le acque
della terra non sono egualmente incolori
e tra sparenti, poichè ne vedo di più o di
men chiare secondo le fonti, e i ter reni ov'esse si depositano. Ma la
di mostrazione diventa solo necessaria
quando io voglio astrarre da queste
differenze e stabilire la proprietà ge nerale dell'acqua di essere
incolore. È allora che io ho bisogno di
doman dare alla chimica il soccorso della sua
analisi e della sua sintesi per provare
che le sostanze coloranti non sono
parte essenziale di queste acque, e che
in qualunque tempo, e in qualunque
paese si combinino insieme 88, 91 parti
di ossigeno con 11, 09 d'idrogeno si
avrà quel liquido che si chiama acqua.
Questa verità è dunque d'ordine uni versale, ma è vera sol in quanto è
ve rità dimostrata, l'abbiam conosciuta
coll'induzione passando dal noto all'i gnoto, l'abbiamo stabilita colla
scorta delle verità particolari, ma non
l'ab biamo dedotta da alcun principio più
che questi avevano con quella. Questo | generale. errore è stato ben confutato dalla scuo la
sensualista, la quale facendo rife rire tutte le nostre idee alla sensa zione,
ha provato che le sole verità le quali
non hanno bisogno di essere di mostrate, son quelle che diremmo as siomatiche,
e che derivano immediata mente dai sensi ( v, ASSIOMA). La ge neralizzazione di
queste verità primi tive direttamente provate dalla sensa xione, è quella che
invece ha bisogno I cippo nè a Democrito è mai caduta in Dinamismo. Teoria filosofica opposta all' atomismo, per la quale si concepisce la materia come il risultato di sole forze. L'atomismo antico aveva cercato di spiegare i fenomeni della natura col solo soccorso degli atomi e del moto, ma è un errore di molti il credere che in questo sistema tanto av
versato oggid) dai metafisici, gli atomi
fossero inerti e senza forza. Nè a Leu DINAMISMO mente siffatta incongruenza, e l'ultimo specialmente si è assai ben spiegato intorno al movimento dei suoi atomi, ch'egli disse eterno, necessario, quan do
intese il movimento con le parole
necessità del fato ( v. DEMOCRITO ). Ciò
posto, non si capisce proprio l'entu 279
non sono altro che i fenomeni, pro prietà assegnate alla materia per
rap presentarla come una sostanza, men
tr' essa poi non è altro che il risultato
di azioni e combinazioni di forze, in
una parola il movimento. Credette egli
siasmo di coloro che esaltando le me tafisicherie del dinamismo, credono
di dir cosa nuova insegnando contro l'a
tomismo una teoria del movimento.
Leibaitz, Kant e Schelling fondarono
la teoria dinamica. Il primo, per ve rità, non intravvide altro che la
im possibilità di un' azione degli atomi
senza forze che fossero inerenti alla
loro sostanza, ed ebbe, confessiamolo
pure, il merito grandissimo di stabilire
chiaramente che alla materia è inerente
il movimento. « Ogni porzione dellama teria, non è soltanto divisibile
all' infi nito, ma ancora suddivisa attualmente
senza fine ciascuna parte in parti, o gnuna delle quali ha un
movimento proprio. (MonadologiaNe.65 p.
710)». ( Genesi XVIII, 21). Non ha la
prescien za nè la sicurezza dell'operare ; ed è solo dopo aver compiuta la creazione ch'egli si avvede d'aver fatto cosa buona.
Spesso rammaricasi dell'opera sua : si
pente di aver creato l' uomo ( Genesi
VI, 6), e fatto re Saul (I Re XV, II);
nè mai è sicuro se i popoligli saranno
fedeli, on d' egli prevede di doversi pentire del beneche aloro fa (Geremia, XVIII, 10). Siffatti volgari antropomorfismi, sono ben altro cbe adatti a farci credere che l'antica rivelazione abbia dato agli uomini l'idea di unDio spirituale; e son poi così goffi e così bassi che la teolo gia
è costretta a interpretarli allegori camente. Non èdunque lontano dal vero chi fa risalire a Platone la prima idea dello spirito; e per lo meno non è dub bio
che il suo Dio fosse incorporeo. Egli
considerò il corpo come un segno d'im perfezione e credette che un
essere cor poreo non potesse essere eterno. I cinesi si avvicinavano a questaopinione quan d'essi
dicevano che nessuna cosa nel faccia
senzamorirne (Esodo XXXII! 18 i mondo gli rassomigliava, nè ch'egli po teva
vedersi; e i pitagorici credevano
anch'essi che Dio fosse un essere incor poreo. Giova avvertire però, che
per quanto questi filosofi sembrino
avvici narsi al concetto della metafisica moder na, non per questo si può
credere che essi avessero una chiara
intuizione di ciò ch'è spirito;
imperocchè, come ben dice l'autore
dellastoria della filosofia pagana (Haye
1724), dall'avere gli antichi chia mato Dio, asomatos, non ne deriva che essi l'abbiano creduto spirituale. Avve
gnachè questa parola non esclude un
corpo leggero e sottile,comeben si prova
con latestimonianza di Porfirio, di Proclo e Giamblico . Il primo dice infatti che
281 proprietà della materia primitiva se
condo gli antichi, è d'essere senza corpo
(Senten. XXI.); e Giamblico e Proclo as sicurano che i corpi celesti
sono assai so miglianti alla sostanza incorporea degli Dei ( Giamblico . De Misteriis . Sez . I cap. XVII. Proclo in Plat. Theologiam, cap. XIX). Perfino Tertulliano spiegava la parola latina incorporalis nello
stesso senso che questi autori danno
alla pa rola greca asomatos, poichè egli dice
che la voce è incorporea (Adversus Pra DIO felicità; solita antitesi del
politeismo, che si trova nella perpetua
alternativa, o di ammettere molti enti
assoluti, o di ricorrere all'unità di
Dio. Comunque sia, niun può mettere
indubbio che la filosofia Platonica non
serva, in que sta e in molte altre cose, come d'in troduzione al cristianesimo.
Invero, la prima trasformazione del Dio
cristiano nell'ente spirituale della
metafisica, si compieper l'intermediario
di Giovanni, o per meglio dire, degli
scritti che a lui si attribuiscono ; i
quali sono indub biamente l'opera di unneoplatonico. Il non è affatto esatto: Piatone nulladice di ciò che sia spiritc, ma sol procede хеат. Cap. VII ) Il dire adunque che lafilosofia Pla tonica ha
stabilita la dottrina spirituale, ❘
principio dell' Evangelo di S. Giovanni
parla del Verbo divino, come già ne
parlavano i filosofi della scuola Ales sandrina, i quali, come si sa,
s'inspi ravano specialmente nei luoghi oscuri
di Platone. Nel Verbo Iddio perde ogni
per negazione, e c'insegnache Dionon
ha corpo, onde bene aragione gli epi curei rimproveravangli quest'errore
(Ci cerone. Della nat. degli Dei lib.I); e Se neca, il qual divideva l'opinione
degli stoici non lo biasimava con minore
e nergia. > (Il Demone di Socrates.
Qui vi è evi dente contraddizione, poichè questo padre degli Deinon può essereil crea tore
degli altri esseri che sono eterni e che
bastano da se stessi alla loro
d'essis'affrettano aliberarne la Divinità. Già nel quarto secolo Lattanzio così argomentava per provare l'esistenza di Dio: >>
Seriade, ricco cittadino di Corinto, l'a equistò e alui confidò
l'educazione de suoi figli, trattollo
con ogni riguardo, sicchè infine ebbe il
vanto di essere schiavo e di vivere come
se fosse libero. Soleva passare l'
estate a Corinto e ' inverno ad Atene;
ma un bel giorno fu trovato morto nel
Cranion, ginnasio vicino a Corinto. Morì
nell'anno 323 a. G. C. in etàdi 90 anni.
Dopo averegoduto in vita di una fama
ch'egli doveva alle sue stra nezze, dopo la morte ebbe ancora dai suoi contemporanei onori e monumenti immeritati. (V. CINICA). Diogene soprannominato LAER zio, perchè
supponesi ch' egli fosse di Laerzia in
Cilicia. Della sua vita nulla si sa, e
il suo stesso nome non ci ènoto che per
un libro intitolato: Vita, dottrine e
sentenze difilosofi illustri, ilqualeè per venuto fino a noi quasi per intero.
An che il tempo preciso in cui viveva s' i gnora, poichè la biografia dell'
ultimo filosofo di cui egli parla, è
quella di Ateneo che viveva ancora al
principio del regno di Alessandro
Severo, 222 anni dopo G. C. Adunque
quello che sicura mente si può dire di lui, si è che viveva dopo il secondo secolo dell'era nostra,
e non oltre il quinto secolo, poichè Ste
fano di Bisanzio, che visse verso l'anno
500, parla di luicome di un autore già
antico. Moltihanno creduto che
appartenesse alla setta di Epicuro,
siccome fra le varie biografie da lui
redatte più com piacentemente diffondesi in quella di questo filosofo. Altri invece vorrebbero annoverarlo fra gli stoici, parendo a costoro che la vita di Zenone e di
Crizia filosofi come storico, e men che
storico, come cronachista, unica sua
cura essendo quel di raccogliere tutte
le opinioni e tutte le notizie intorno
ai filosofi di cui scrisse la vita, e di
registrarle, quand'an che contradditorie, senza critica. Perciò appunto il suo libro ha tanto giovato alla storia della filosofia, in grazia
delle notizie molte e varie che ci ha
trasmesso intorno ai filosofi di cui ci
ha data la biografia. Diritto V. MORALE. Disgiuntivo.(Argomentodisgiun tivo)Dicesi
proposizione disgiuntivaquella nella
quale si riferiscono al medesimo oggetto
vari attributicome possibili. Per es.:
l'uomo o è un animale o un tipo separato
dalla classe dei viventi ; lo spi rito, o è materia o è nienteecc. Colla pro
posizione disgiuntiva formasi quello che
nelle scuole suolsi chiamare argomento
disgiuntivo, sorta di sillogismo nel quale la premessa o maggiore consta di una proposizione disgiuntiva, e il rapporto fra la minore e la conclusione è, che se nella minore negasi uno degli attributi, la conclusione dovrà negare l'altro, e viceversa. Esempio: L'uomo o è un ani male o
un tipo separato dalla classe Ma
separato non è dagli- dei viventi altri
esseri, coi quali presenta affinità ed
analogie molte Dunque è un ani male.-
Oppure: Lo spirito o è mate ria o è niente; una materia non è poichè in tal caso esser dovrebbe spiri
tuale; dunque è niente. In conclusione si
vede che l'argomento disgiuntivo non è
in findei conti che un sillogismo nel
quale d'ordinario la premessa è un di lemma. (V. SILLOGISMO). Divisibilità. Una delle proprietà fisiche dei corpi, per la quale essi pos sono
dividersi all'infinito, e verificare in
tal maniera l' antinomia dell'infinito con tenuto in un corpo finito. I
mezzi məc canici o chimici che noi possediamo,
sebbene ci permettanodidividere i corpi
in molecole piccolissime e quasi imper
sianoquellech'eglitrattò più lungamente.| cettibili, sono però sempre
demodi gros Il fatto si è, che Laerzio parla de' suoi solani di divisione, se
li confrontiamo con DIVISIBILITÀ una più
alta potenza visiva. Un vaso di essenze
odorose lasciato aperto in una stanza
può impregnare del suo odore tutta
l'aria di quell'ambiente, eppure la
materia uscita da quel vaso e diffusasi
in ogni parte è così piccola che non
bastano le più precise bilancie per ac accertare una diminuzione di peso
nella essenza odorosa, la quale con una
tanto piccola parte ha prodotto sì
mirabili effetti. Un grano di carmino
può colo rare in rosso un litro d'acqua, vale a
dire che il carminopuò dividersi in tante particelle così piccole, e così numerose da potersi spargere e mescolare in tutte 201
alle minime proporzioni possibili, tanto chè non ci sia per noi alcun
mezzo di dividerlo ulteriormente; per
es. un cor puscolo del sangue, non ne deriva già che colle leggi del pensiero non si
possa ancora dividerlo consecutivamente
inpar ti ancor più piccole. Io posso quindi
supporre che quel corpuscolo sia diviso
in due metà, l' una delle quali rigetto
come inutile, e l'altra posso ulteriormente dividere col pensiero in due parti
ancora. le parti del liquido in cui è
disciolto. E tuttavia, un goccia di
questo liquido sot tomessa al microscopio, ci lascia scorgere chiaramente queste particelle nuotanti nell'acqua. Chi considera il sangue sgor gato
da una ferita non ha difficoltà a
credere che esso sia un liquido omogeneo
e che il color rosso sia proprio di tutte le sue parti. Ma appena una goccia di questo liquido è sottoposta all'esame mi
croscopico, subito ci appare assai diversa
daquello che suol parerci ad occhio nudo. Una infinità di granulazioni si disco prono
al nostro occhio, parte colorate con una
legger tinta rossa, parte affatto
incolori, sicché quella sostanza liquida, scorrevole, omogenea che prima ci pa reva
impossibile ad essere più finamente
divisa per la sottigliezza delle sue mo lecole, dopo ci sembra un
complesso di corpi solidi abbastanza
vistosi e grossi per essere ancora
divisi e suddivisi in più e più
parti. Ma questo modo di divisione
col mezzo dell' ingrandimanto ha pure il
suo limite, nè ci è dato di oltrepassare
colla potenza visiva la maggior potenza
delle nostre lenti. Per altro,
l'immaginazio ne questi limiti materiali non conosce, e trasportandosi oltre tutti i mezzi mec
canici e fisici e chimici, trova che la
divisibilità potrebbe spingersi più oltre, e che nessunlimite, in nessun tempo può esserle fissato. E veramente se conside riamo
col pensiero un corpo già ridotto
Nuovamente rigettata una di queste, l'al tra può ancora essere
mentalmente di visa in dueparti, e così all'infinito. Onde si verifica, come ho detto nel
principio, l'antinomia dell' infinita
divisibilità con tenuta in uncorpo finito; imperocchè io non posso supporre col pensiero che un corpo si divida, senza che l'atto del di
videre non separi due parti distinte, nè
posso concepire l'esistenza di queste due parti, per quanto piccole esse siano,
senza supporle dotate di estensione; e
tutto ciò che è esteso può essere ancora
diviso. E fu appunto per evitare cotesta
con traddizione che l'antica scuola atomistica
ha ammesso con Leucippo e con Demo crito che i corpi non sonodivisibili
oltre uncertolimite, e che gli atomi,
ch'essi sup ponevano semplici, elementari, non com posti di parti, erano anche
indivisibili (v. ATOMISMO). Ma troncare
la questione in questa guisa non era
risolverla, e per quanto giusto fosse il
desiderio degli a tomisti di sciogliere così la controversia sulle essenze, non è perciò men vero, che il pensiero trascorre oltre il
limite degli atomi e ad essi vuol dare
una di visione. Ora, questa singolare
antinomia per la quale vediamo
congiungersi in uno stesso oggetto due
nozioni così contra l ditorie come sono il finito e l'infinito, non basterebbe per avventura ad avver tirci
che il concetto che noi ci formiamo
dell'infinito non è altro che una pura a strazione? Si suol dire che l'
infinito ci si impone per le leggi del
pensiero. Ma son pure le stesse leggi
del pensiero quelle che ci rivelano
l'infinita divisi 292 DOLORE bilità contenuta in un corpo limitato; ❘ cepirla egualmente senzail corpo ma
equeste idee contradditorie sono non dimeno così bene congiunte fra di
loro che io non le posso assolutamente
se parare: non posso pensare a un corpo
finito senza supporre la divisibilità in finita, nè posso pensare a
questa senza concepirla contenuta in
corpo finito. Se adunque il principio di
contraddi zione di Aristotile fosse vero, (v. CON TRADDIZIONE) una di queste
due idee vera non potrebbe essere. Ma il
corpo finito negare non si può, senza
negare l'esperienza dei sensi; dunque
non ci rimane che a considerare '
infinito nella divisibilità come una
mera astra zione. Ma d'altronde chi nega l'infi nita divisibilità nega
l'infinità nello spazio, e nel tempo,
vale a dire ne ga insieme l' infinità e ' eternità. Invero, il processo della divisione è identico, sebbene in senso inverso, aquello dell' addizione. Se io divido una quantità sommata rifaccio il la voro
dell' addizione, e riduco la pro porzione al termine primitivo. Som mare
edividere possono dunque para gonarsi al movimento di un uomo, che percorresse un determinato tratto di cammino, epoi rifacendo la sua strada ritornasse al punto primitivo. Infatti quale è l'idea che ci presenta l'infi nità
dello spazio? Un metro, un chilo metro,un miriametro come qualunque altra misura delle distanze possono co
stituire gli elementi dell'addizione del l'infinito Un chilometro aggiunto
a un' altro chilometro e poi a un
terzo, aun quarto e così via all'
infinito. E colla parola infinito non
esprimiamo altra idea fuor di quella che
non tro viamo alcun ragionevole motivo per
fissare un limite a questa addizione di
chilometri. Nella divisibilità noi proce diamo in senso inverso:
togliamo, cioè, gli spazi aggiunti per
tornare al punto primitivo, e in questa
operazione ci tro viamo ancora di fronte all' infinito. La teriale che le serva, per così dire, di substrato; basta che si consideri un determinato spazio e quello spazio lo si divida mentalmente in parti, per ca pire che
eziandio in quello spazio fi nito esiste l'idea dell'infinito.Lo stesso processo può farsi per il tempo. Un'o ra
posso dividerla in minuti, il mi nuto in secondi, il secondo in terzi e così via all'infinito. Abbiamo macchine chepossono indicare la diecimillesima parte di un secondo, ma quella stessa legge del pensiero che c'impone di cre dere
all' eternità, ci impone pure di credere
che la divisibilità del tempo non può
fermarsi a quel punto, e che come si può
con mezzi meccanici se gnare la diecimillesima parte di un minuto secondo, così la mente può di videre
ancora ulteriormente questa mi nima frazione del tempo, e così all' in finito.
Ond'è proprio questo il caso di dire che
l'eternità, per le leggi del pensiero, è
contenuta in un minuto. ( v. ETERNITA ed
INFINITA ). Doceti. S. Girolamo (Contro
iLu ciferiani C. 8) dice che contempora nei agli apostoli furono certi
eretici, detti doceti, iquali negavano
che Gesù Cristo avesse preso un vero
corpo, la qual cosa è pure attestata da
S. Cle menteAlessandrino(Strom. lib. VII) e da
Teodoreto. Vuolsi anzi che l'apostolo
Giovanni abbia inteso parlar di loro
quando disse, che ogni spirito il qua le non confessa Gesù Cristo
venuto in carne, è l'Anticristo. (Gio.
I. Epi stola Cap. 4). Se questi eretici sono
dunque esistiti, e non ne è dato dubi tare dopo le testimonianze
addotte, sarebbe provato, che già i
contempo ranei di Gesù negavano al preteso
Messia ogni realtà storica,poichè realtà
storica non può avere chi non è dotato
di corpo. Dolore. Sensazione
penosa per cepita inunaparte vivente del cervello. infinita divisibilità è adunque identica | E
dicesi del cervello e non del corpo,
all'infinità dello spazio; cioè, posso con- perocchè, come tutte le
sensazioni, così DOLORE anche le dolorose
non si sentono vera mente nel posto dove sono cagionate da malattia o da ferita, ma sono sen tite
soltanto dall'organo cerebrale, di guisachè se recidonsi i nervi della sen
sazione di un dato membro, quel mem bro rimansi insensibile ad ogni sensa zione
dolorosa, nè per quanto si tor-. menti
in ogni guisa esso riesce a per cepire il dolore. Organi della trasmis sione
del dolore essendo tutti i nervi, è
chiaro ch'esso è una sensazione d'un
genere affatto diversa da tutte le altre
che hanno organi speciali perprodurla;
onde il dolore cambia d'intensità e di
293 uno stato speciale del nostro
organi smo, unamodificazione più o meno pro fonda che si opera nel corpo, sia
essa nel cerebro o altrove ; onde
vediamo, ad esempio, che certe affezioni
fisiche con ducono sempre ed inevitabilmente a
certe altre affezioni morali. Gli è ben
vero che alcune fiate vediamo lu affe zioni morali produrre nel nostro
fisico alterazioni notevoli; tuttavia
questa non èaltro che una apparenza, una
illusione alla quale naturalmente noi
tutti dob natura secondo laspecie del nervo che
lo conduce, secondo lo stato dell' or gano che lo riceve e del cervello
che biamo soggiacere, per la ragione
che l'affezione morale è quella che
ordina riamente si palesa ai nostri occhi prima
dell' alterazione fisica che l'ha cagio nata. E siccome nell'ordine del
tempo fra duefenomeni che si seguono
imme diatamente noi siam soliti a dare il
nomedi causa al precedente, e di effetto
al susseguente, così è ovvio che in tali
casi l'affezione morale onde siamo tra lo percepisce. Oltre alla lesione
dei nervi, il dolore può essere prodotto
da una difficoltà, che per una
qualsiasi causa provano i diversi
tessuti nel loro modo naturale d'
azione. Non devesi, del resto,
dimenticare che ad ogni mo dificazione fisica corrisponde sempre una modificazione morale, imperocchè, come ben lo ha dimostrato Cabanis, i rapporti che passano tra il fisico e il morale sono cost stretti fradi loro, da non potersi produrre un' azione qual siasi
nell'uno senza che vi corrisponda | detti morali, che noi proviamo per la vagliati, e che per la prima si rivela ai nostri occhi, sia spesso creduta la causa delle alterazioni organiche che si manifestano poi. Ma laverità è questa, che nessuna affezione morale noi pos siamo
eccitare negli altri o in noistessi,
senza che sia preceduta da una modi ficazione fisica. Cosicchè i dolori
cost una modificazione dell' altro. Io
dirò anche di più, poichè il
modoinvalsodi considerare il fisico ed
il morale sic come due elementi distinti, quantunque in una stretta unione fra di loro, non mi pare esatto. Quel complesso di fe nomeni e
di attività che costituiscono il
carattere morale dell'uomo, non for ma una realtà sostanziale; esso non è altro che il risultato dell'azione
fisica, epperd dobbiam dire giustamente,
che se consideriamo nel fisico il corpo
a gente, nel morale non vi possiamo ve der altro che la funzione. Coloro per
collera o per lo spavento, sono infine
sempre prodotti da cause organiche.
« In vari casi, dice il dottore Frerichs, le malattie scoppiano improvvisamente in individui sani, dopo un violento spa
vento, od un eccesso di collera, sicchè
tanto i quali credono che possano darsi
dei dolori morali, i quali non abbiano
alcuna dipendenza dall' attività del cor po, errano a gran partito. Quel
chedi- sibilità viziosa del centro nervoso, in
ciamo dolore morale, non è altro che quellididistruzionegenerale
delleforze, l'effetto della scossa
moralepuò appena essere avvertito.
Allora gl' infermi di vengonoitterici,inpreda adelirio emuo iono alcuni giorni
più tardi » (Trattato delle malattie
delfegato). Si sa d'altronde che tutte
le malattie cancerose predi spongono singolarmente alla malinco nia, e che la
malinconia è il principio di tutti i
dolori morali. >> La dottrina di
una religione qualunque, è quella che da
essa s'insegna sia intorno al domma, sia
intorno alla morale; del pari la
dottrina di una filosofia quella è che
riassume ed espone con ordine e metodo
gl'insegnamenti della suascuola. Dovere.
Vedi MORALE. Draidismo. Antica religione
dei Galli sul conto della quale poco si
sa, avvegnachè i Druidi o sacerdoti di
questo popolo confidarono alla sola
tradizione orale gl'insegnamenti della
loro teologia. Il nome di Druidi gli
antichi derivarono dalla parola greca
che significa quercia, lerebbe forse un
fondamento politeista ? >> (Cousin. Introd. alla storiadella
filosof. lez. V.). In tal guisa la
sostanzadi Dio èil mondo, o il mondo à
Dio. Qui il panteismo si rivela
chiaramente e senza sottintesi: ma la
filosofia eccletica di Cousinsi farà un
dovere di negarlo dieci volte in dieci
luoghi diversi delle sue opere, onde
essere fedele al sistema di non aver
sistema; sicchè i cattolici nonebbero
torto di rimproverargli quel Jo spirito subdolo che il cristianesimo accusa negli eccletici antichi, mezzo pagani mezzo cristiani, mezzo filosofi mezzo teologi, interi solo nel pensiero d'insinuársi in tutte le scuole e di tutte dominarle.
1 >> Eleatica. (Scuola). Setta filoso fica fondata
da Senofane in Elea, città d'Italia,
pochi anni dopo la caduta di Pitagora,
dai principii speculativi del quale
prese le mosse. Due periodi ben distinti
voglionsi considerare nellascuo la eleatica, e meglio che periodi, do vrebbero
dirsi addirittura scuole dif ferenti e assolutamente separate fra di loro. La prima scuola rappresentata da Senofane, Parmenide, Melisso e Ze
nonetutti contemporanei, abbraccia un
periodo di poco più di mezzo secolo,
dal 430 al 540 circa av. G. C. e fondò
una sorta di panteismo, dimostrato con
principii attinti alla pura speculazione. Per vere, sulla eternità della materia convengono tutti i filosofi di questa scuola: essi nonpossono concepire co me
esistere possa ciò che non è sem pre esistito, ma poi volendo troppo sintetizzare intorno a questo principio, nel mondo e nell'universo tutto vo gliono
riconoscere un solo essere, una unità
immobile e immutabile, perchè esistendo
necessariamente e in sè stes so racchiudendo ogni cosa, deve avere una perfetta immobilità. Quest' unità universa, costituisce il Dio panteista degli eleatici, i quali, mal potendo so
stenere la loro ipotesi a priori contro
la costante testimonianza dei sensi, i
quali attestano che nel mondo ogni
cosa si muove e si trasforma, conven nero nel proposito di negare ai
sensi ogni fede, e di far precedere le
verità astratte a quelle d'osservazione.
Quin di per essi la realtà non poteva esse re argomento, che di speculazioni a
stratte, poichè le percezioni dei sensi,
secondo essi, sono quasi sempre erro nee; e una vera scienza non
possono costituire a cagione delle molte
illu ounpezzo di metallo è sostenuto nel-❘sion cui
vanno soggetti. In questa l'aria;
toglietegli il suo sostegno, esso parte dunque gli eleatici si accorda cadrà;
ma a considerare la cosa apriori | vano con gli accademici, ma differiva
ELEMENTI no poi nella conclusione;
poichè men 315 come quelle del suo
discepolo Demo tre quelli dall'incertezza dei sensi in ferivano nulla potersi
con certezza asserice, questi volevano
invece to gliere ai sensi ogni certezza per ri porla dommaticamente nelle
specula zioni a priori della metafisica; nè si
avvedevano che anche la unità astratta
dell eternità della materia, che essi
affermavano, non riposava, in fin dei
conti, su altra testimonianza che quel la dei sensi, perciocchè noi non
ab biamo mai veduto nascere dal nulla
alcuna cosa, nè alcuna parte della
materia assolutamente distruggersi.
La teoria della prima scuola elea tica conduceva necessariamente all i
dealismo puro: tutte le cose esterne
sono mere parvenze; ciò che esiste è
l'essere in sè e per sè, essenzialmen te uno edimmutabile; che non ha
pas sato od avvenire, nè parti, nè limiti,
nė divisioni, nè successione. Tutto il
resto non è che illusione, poichè illu sioni sono le apparenze
sensibili, e la realtà consiste soltanto
nelle verità di ragione. Parecchi secoli
dopo Berke ley e Collier riprodurranno nell' In ghilterra l'idealismo degli
eleatici con tutte le sue conseguenze. Ma di queste astrazioni hanno fatto giustizia i filosofi eleatici della secon da
scuola, contemporanea della prima,
erappresentata da Leucippo e da De mocrito. Bisogna però riconoscere
che nessun rapporto unisce fra di
loro queste due scuole, della qual
cosa tutti i filosofi furono si bene
persuasi, che si accordarono nel dare
alla teo ria dei primi eleatici il nome di scuolo metafisica, e quella dei secondi chia mare
col nome di scuola fisica. Il solo
rapporto, infatti, che ha potuto unire
Tuna coll' altra è l'asserzione di Dio gene Laerzio (lib. VIII c. 55 e
56) il quale annovera Leucippo fra i
disce poli di Parmenide. Ma se questo sia
stato discepolo suo è cosa che poco
importa il discutere; l' essenziale a
sapersi è questo, che le sue teorie,
crito, sono la perfetta antitesi di quel le degli altri filosofi
eleatici: esse riget tano il puro idealismo di Parmenide e di Zenone, proclamano la realtà della sensazione; contro il riposo sostengo no la
teoria del movimento eterno, e all'
astrazione dell' unità assoluta e
immobile dell' idealismo, contrappon gono la teoria atomica. (v.
ATOMISMO). Elcessaiti o Essonieni. Ere
tici dei primi secoli, i quali alle eresie
degli ebioniti avevano congiunte molte
superstizioni . Praticavano frequenti a bluzioni, credevano in un
Messia, al corpo del quale, come gli
ebioniti, at tribuivano proporzioni favolose; e te nevano per sicuro che lo
Spirito Santo fosse femmina, però che in
lingua ebraica ha denominazione di
genere femminile. Un ebreo detto Elxai
si fece loro capo a' tempi di
Trajano, e lui morto rimasero due
sorelle, Mar ta e Martena, le quali appartenendo alla stirpe benedetta, furono tenute in grandissima venerazione da quei set tari.
Dicesi anche che essi raccogliessero i
loro sputi per farsene dei reliquari. Le
preghiere degli elecessaitierano fat te in lingua ebraica e dovevansi, reci tare senza intenderle, costume che fu adottato dalla Chiesa cattolica, le cui preghiere son pur fatte in una lingua sconosciuta.
Elementi. È tendenza naturale
dell'uomo il ricercare l'origine delle
cose, ed è legge di natura ch'egli mai
non riesca a trovarla. Invano esplorð
gli spazi; quanto più potenti furono i
suoi mezzi d' esplorazione di tanto si
arretrarono i confini dell' universo. Nei corpi stessi la divisibilità ( v. questo nóme ) s'oppose mai sempre alla sua ricerca dell' atomo primitivo; e nella filosofia naturale la sua ricerca degli elementi fu altrettanto sfortunata. Per vero, la filos ofia antica s'era accomo data
in un facile trovato; e credette
lungamente che quattro fossero gli e lementi sostanziali di tutte le
cose: la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco. Da
questi quattro principii elementari tut te le cose essa faceva
scaturire. « Co me quei pittori, diceva Empedocle, mi schiando colori diversi
con quelli van figurando uomini e
piante, così la na tura coll'accozzare un poco di questo, un poco di quell' elemento, vien for mando
uomini, piante, donne leggiadre e
chiarissimi dei ». L'anima stessa era un
fuoco o un'aria, e gli dei eran fatti
della parte più sottile di questi stessi
elementi. Qualche filosofo, come Platone
e Aristotile, aggiunsero un unsero quinto elemento, l'etere. Aristotile ap pelld
combinazione la proprietà d'ogni
elemento, cioè nel fuoco il calore e la
siccità, nell' aria il freddo e l'umido,
nell' acqua l' umido e il freddo, e nel la terra il freddo e la siccità.
Coll'an tagonismo delle qualità elementari egli
carbonio e il diamante sono sostanze
per la chimica intrinsecamente identi tiche, e non pertanto hanno modi
di essere cotanto differenti, nulla
ripugna a credere che una sola sostanza
possa assumere tutta la varietà di forme
che osserviamo in grazia di una sola di
versità d' intima aggregazione moleco lare, che sfugge a tutti i nostri mezzi di percezione. Ben è questo il sistema di Democrito, ilquale,senza bisogno di elementi diversi, spiegava la varietà del le
sostanze con la varia aggregazione
molecolare, nè io so perchè i filosofi
moderni vadano cercando sistemi nuo vi per spiegare cose che gli
antichi avevano già intese, nel senso in
cui le spiega la scienza nostra. Elezione (metodica, naturale . sessuale) vedi DARWINISMO. Eliosismo. ( Da H' λιος, sole ), spiegava i cambiamenti degli elementi Nome
applicato a tutte le religioni la e il
loro passaggio dall'uno all' altro. cui divinità sia una simbolica rappre Ma
dilungarci sulla fisica degli antichi sentazione del sole. È certo che la luce non giova. Il male si è che anche i fu nelle
religioni primitive il fondamento
moderni ritennero per assai tempo che del culto. Dio nella lingua
sanscrita, la gli elementi dei corpi
scoperti dalla più antica che conosciamo, suona il lu chimica fossero un
cotalchè di asso- minoso (vedi Dio); i persiani l'adoravano luto e costituissero i principi fonda- sotto
le forme del fuoco (v. ZOROASTRO)
mentali e indecomponibili della mate- e il paganesimo e il cristianesimo
non ria. La scoperta di Volta ha tolto
seppero allontanarsi da questo simbolo.
questo errore e ci ha mostrato che se > Empedocle (Agrigento). Nacque in Girgenti nella Sicilia sul principio del quinto secolo avanti l'era nostra, da famiglia opulente. Uomo illustre, filosoto, medico, poeta, avversario del la
tirannide, benefattore del popolo, egli
fu pei suoi contemporanei più era virtù
sua. Percorreva le vie seguito da
numerosi littori, colla testa ri cinta da corona d'allord, tenendo nel le mani
un ramo di lauro, sè stesso dicendo non
uomo ma Dio. E la sua divinità fu
riconosciuta da tutta la Si cilia. Divenuto vecchio egli abbandono l'isola carico di onori per recarsi ad Atene, ove lo vediamo maestro di fi losofia,
poeta, e vincitore ne' giuochi olimpici.
Poco dopo invano tento di rientrare
nella città nativa; un partito potente
sorto contro di lui gliene vietd
l'accesso. Tornò nella Grecia e l'o scurità avvolse gli ultimi anni
della sua vita. Niuno sa dove e quando
mort. Lo si disse rapito al cielo,
precipitato nel monte Etna, senza che
alcuno sap pia con verità qual sia stata la fine dei suoi giorni. Dei molti scritti di Empedocle aulla ci resta, fuorchè alcuniversi delle Puri
ficazioni, e alcuni frammenti deltrattato
sulla Natura, opera che è ad un tempo
di fisica, di cosmologia e di psicologia. Filosofo o teologo, uomo d'inge gno e ciarlatano,
Empedocle riunisce nella sua dottrina
gli opposti caratteri della verità,
amministrata sotto il velo dell' errore.
La sua filosofia,dice Con stant, è un mosaico di dommi sacer dotali; egli parla
nou come uomo filosofo, ma come
rivelatore e Dio: > Ma nonostante tutte queste attenzioni, il giudizio stesso dei due principali com
pilatori non fu molto lusinghiero per
l'Enciclopedia. « Esso è, scriveva d' A lembert a Voltaire, un abito
d'arlecchino nel quale si trovaqualche
pezzodibuona stoffa e troppi cenci » (
Corrispond. tomo LXIX. p. 26). E
Diderot, espri mendosi ancor più energicamente, con fessava che « '
Enciclopedia divenne una concimaia entro
la quale certe spe cie di cenciaiuoli gettarono alla rinfusa una infinità di cose mal viste, mal di
gerite, buone, cattive, detestabili, vere,
false, incerte e sempre incoerenti e di sparate ». Ad onta di questo severo giudizio, non si può negare all' Enciclopedia il merito di avere esercitata, almeno mo
ralmente, una benefica influenza sulla
filosofia del secolo XVIII. Fatta ragione alla vastità dell' impresa e alle moltis sime
difficoltà che i tempi le opponeva no, bisogna riconoscere che questo fa moso
Dizionario ha servito a costituire il
vero partito filosofico e a dare ai
pensatori d' allora maggior coraggio e
coscienza delle loro forze, esercitandoli in quella sorta di palestra della pub blicità.
Del resto, giova ripeterlo, gli
Enciclopedisti non fondarono scuola, nè
ebbero unità d' azione; ognunocombatte
per conto proprio conservando la sua
distinta individualità,la suaindipendenza e le sue idee; motivo per cui la loro filosofia non bisogna cercarla in un solo lavoro, ma nelle speciali tendenze dei vari filosofi del secolo XVIII. 326 ENTITA
Gli articoli filosofici d' ogni genere
ed'ogni scuola, sparsi nei vari volumi
dell' Enciclopedia, furono poi raccolti e ristampati a parte col titolo: Lo
spirito dell' Enciclopedia ( Parigi in
8° ). Encratiti Vedi TAZIANO. Enesimene. Uno dei più grandi scettici dell' antichità. Nacque a
Gnossa nella Creta, in qualtempo s'
ignora; ma probabilmente nel primo
secolo dell'era cristiana. Fondò ad
Alessandria la sua scuola, nella quale
insegnò che nessun principio assoluto
può essere affermato dalla nostra
ragione; perciocchè se si consultano i
sensi non ci è dato che di afferrare la
pura apparenzadei fenome ni, senza alcun rapporto di causalità che sia necessaria; e se si consulta la ragione ella non potrà mai intendere qual sia la relazione e i rapporti che una sostanza potrebbe avere sopra un'al tra.
D'onde Enesimene conchiudeva ne gando il principio di causalità. Vero è, diceva egli, che nella nostra ragione abbiamo l'idea di causa e di effetto, ma questa non è altro che un fenomeno dell' intelligenza, che non ha obbiettivo reale.
correva i suoi tempi, e riproduceva le
dubitazioni di Pirrone sotto forme che
dovevano riapparire parecchi secoli dopo. principio della sua azione, e che senza altro esteriore impulso va da sè mede sima al
suo fine. In questo senso l'en telechia è l'interno mobile della mate ria od
altrimenti, ' essenza stessa o il
substrato che genera l'azione. E fu in
questo senso che Leibnitz ha tolto que sto nome dalla filosofia
aristotelica per applicarlo alle sue
monadi. Cantinema. Modo di argomenta re
per il quale da certi segni visibili
deduconsi le conseguenze che da quelli
si attendono, come, p. e: il cielo è se reno, dunque non pioverà.
L'entimema è perciò un ragionamento men
comples so e più incerto del sillogismo, in quan to consta di una sola premessa
dalla quale deducesi direttamente la
conse guenza. Esso può presentare nel ragio namento gli utili o i svantaggi del
me todo induttivo o deduttivo, secondochè
il rapporto tra la conseguenza è il segno visibile su cui si fonda, sia
palesamente manifesto, o imaginario. È
chiaro che chi dice: il termometro oggi
segna 40 gradi sopra zero, dunqi abbiamo
un calore eguale a quello Senegal, fa
un Entimema assai diverso e assai più
Ben si vede che questo filosofo pre- congruente di chi dicesse: I miei
af fari vanno bene, dunque la provviden za mi protegge. Entità. Nella lunga lotta che di battevasi
nel medio evo fra gli opposti E se
avesse spinto più innanzi la sua analisi
dell' umano intelletto, che condu ceva con tanta perspicacia, nor avrebbe forse tardato ad avvedersi, che l'idea di causa ed effetto non è soltanto un fenomeno dell' imaginazione, ma civiene suggerita olbiettivamente dalla esperien za,
in grazia della successione di tutti i
fenomeni che noi osserviamo, succes sione alla quale nessun corpo sfugge. Ridurrebbe dunque l'idea di causa ed effetto al suo vero elemento, chi dices se
ch' ella non è altro che una trasfor mazione dell' idea di successione e di movimento.
Entelechia. Parola primamente
composta da Aristotile per dinotare o gni cosa che in sè stessa contenga
il partiti della filosofia scolastica,
il reali smo sosteneva contro il nominalismo
(v. questi nomi) che gli universali, ossia le generalizzazioni delle cose
particolari, non erano astrazioni prive di
consisten za, ma esistevano veramente e realmen te in una lor propria maniera.
Secondo questa dottrina ogni cosa
speciale attin ge i caratteri che la distinguono in una esistenza eterea, nella quale sono i ca
ratteri comuni e universali del genere.
Ondechè esistono gli uomini individuali
Pietro, Paolo, Luigi, maoltre questi in dividui vi è qualche cosa di
reale e fuo ri del mondo dei viventi che costituisce l'umanità.
Nei tempi moderni le entità, queste esistenze spuree che partecipano ad
un tempo dell'essere e del non essere,
non chè rivivere, si moltiplicano straordina riamente nel campo della
metafisica. Du bitare dell' esistenza della materia, du 327 entità della metafisica: l'entità ma
tematica. bitar dei sensi, dubitare
eziandio di e-i stere son partiti leciti anche agli idea listi, ma guai a colui
che dubiterà del le entità della metafisica ! I tipi intel lettuali sono così
superiori alle forme materiali che
dubitar di questi si può, ma sarebbe
eresia dubitare di quelli. Le idee
innanzi tutto sono, non la so stanza che vediamo o che sentiamo, е perciò ' ontologia per i filosofi di que sta
scuola deve esser scienza mille volte
più esatta della fisica. Berkeley e Col lier negheranno l'esistenza
reale del mondo per attribuirla alle
sole idee, e nei tempi nostri Rosmini e
Manzoni, più modesti, non toglieranno l'
esistenza alle cose sensibili, ma
creeranno una nuova entità, l'ente-idea
che esiste in sè e per sè anteriore alla
sensazione. Persistendo nella negazione
d'ogni realtà obbiettiva, Descartes si
fonda sul puro subbiettivo e spera di
avere tro vata nell' idea una base sicura,incrolla bile alla filosofia. Ma non
si accorge che cotesto sistema è pieno
di palpabili contraddizioni, non vede
che egli rico nosce l' effetto e respinge la causa, e che se i corpi esterni non esistessero e non reagissero dal di fuori, non avrem mo al
di dentro le sensazioni, non le idee,
non il pensiero! Aristotile è il padre
dellametafisica; ma, la metafisica d'
alloranon ha nulla ache fare con quella
dell' oggi, Aristo tile insegnava che ogni causa efficiente ècorporea, dal che segue che è pure cor porea
l'anima umana. Non vi è forza alcuna,
diceva quel sommo, senza qual che materia, perciocchè ogni cosa che esiste deve esistere in qualche luogo. È questo un assioma che per quanto vi vano i
secoli non potràmai essere smen tito. Ma Descartes si getta all' estremo opposto; per lui esiste la forma, la so
stanza è nulla. E qui nasce la prima
Colui che cogli occhi della mente
considera un triangolo,concepisce i tre
lati, i tre angoli che costituiscono le
lince esteriori, ed ha il concetto di una forma ipotetica che corrisponde a deter
minate regole. Questa forma o non ha una
realtà o ne ha una affatto mate riale, in quanto sia rappresentata da un corpo; e a tutto rigore si può anzi dire che senza la materia, senza il cor po
nemmeno la forma sarebbe mai sta ta concepibile dal nostro intelletto. Ma il metafisico astrae affatto dalla
realtà, traccia linee e circoli
immaginari e con chiude che la legge geometrica è una entità, un non so che d'indipendente dai corpi.
Se considera i numeri, il metafisico
non si allontanerà da questa via. Le
cifre 10, 20 30 ecc, per chi le vuol in tendere, non sono altro che
segni neri segnati in campo bianco.
Concetti ideal mente, sono aggettivi numerali che non hanno alcun valore senza il corrispon dente
sostantivo, senza i corpi che, in certo
qual modo, li informino e li rap presentino. Ma il metafisico procede in senso inverso, da valore e realtà al nu mero,
concepisce e fabbrica una legge
arbitraria, una entità senza ente. I mo derni sorridono pensando al
valore gran dissimo che li antichi attribuivano a cer ti numeri per l'effetto
di inveterate cre denze superstiziose; ma abenmiglior ra gione dovremmo
sorrideredei nostri me tafisici, i quali suppongono che esista in natura una logica division decimale o dodecimale, senza badare che in na tura
ogni divisione equivale a qualun que altra.
Data una realtà alle linee ed ai
punti, Descartes non doveva durar fati ca nel creare quell' altra entità
su cui posa oramai l'intero edificio
della me tafisica, voglio dire l" entità pensante. Dove e come risiede l'anima nel corpo ? Se essa vi è diffusa per ogni lato, il fa
moso ego cogito, ergo existo andrebbe 328
ENTITA a risolversi in una
sostanza estesa, do tata delle tre dimensioni, si compene trerebbe col corpo e
sarebbe, insomma, un ente di materia. Ma
Descartes non sa per uno spazio, la si
concepisce este sa, e quindi materiale; essendochè l' i dea della materia non è
altro che quella d' una sostanza estesa.
L'affermare che si sgomenta per si poco.
La teoria dei punti edelle linee è
piana,comoda e ben si presta ai concetti
astratti. Descartes lo vede, ond' eccolo
venir fuori colla sua proposizione, che
l'anima entro il cor po occupa un punto matematico. La potenza della realtà da cui a strarre il
metafisico impiega ogni mag giore sforzo, ad ogni momento imperio sa e
imponente gli si affaccia.Descartes | denti nozioni ». vede i punti e le linee segnate sulla car ta,
e s'immagina che, astrazion fatta dalla
materia di che son formate, possa
ridurli a quella data essenza per cui
venga ad essi tolta ogni dimensione.
vi è una presenza locale, propria delle
nature immateriali, per cui sono tutte
intiere in ogni punto dello spazio, tal chè senza essere composte di
parti e senza avere estensione occupano
un luo go che ha tre dimensioni, l' affermare,
dico, queste cose, egli è non solamente
un non darci idea di cosa alcuna, ma
ancora un combattere le nostre più evi Manonpensa che le linee ei
punti sono pure fatti di una qualunque
siasi sostanza, con la quale soltanto a
noi si rendono percettibili, e che se
essi si con cepiscono senza reale rappresentazione, cessano di essere, non sono più nè pun ti nè
linee, sono un nulla. Certo, il ma tematico può per un momento astrarre dai punti e dalle linee, e mentre li ve de,
li tocca e li misura,può considerarli
senza dimensione, tanto questa è mini ma e insignificante pe' suoi
calcoli. Ma per quanto tenue sia la
dimensione del punto, non perciò il
punto stesso cessa di essere una realtà;
chè anzi il mate matico traccia apposta i punti e le li nee perchè sa troppo
bene che senza sostanza, senza un ente
materiale che la rappresenti nessuna
forma sarebbe pos sibile. L'
argomentazione calzava si bene al
proposito, che i Cartesiani non credet tero di poter uscire dal
laberinto senza gettarsi all' estremo
opposto. Se nega vano forma e figura ed estensione all'a nima, a molto miglior
motivo dovevano negaria a Dio. Ma come
conciliare que sta lezione colla immensità, per la qua le si vuol che Dio colla
sua sostanza si diffonda in tutto
l'universo ? Grave sa rebbe la risposta a noi pigmei della scienza che non sappiamo elevarci d'un palmo sullo strato di questa materialissi ma
materia; ma alla metafisica che ar dita si slancia negli spazieterei e
d'uno sguardo sagace abbracciala
quintessen za di tutto il mondo, il compito dove va essere facile. Un ripiego
semplicissi mo bastò ai Cartesiani per spiegare la cosa, e insegnando non potersi dire, sen za
far Dio corporeo, che la sostanza di lui
è diffusa dappertutto, sostennero che
egli, per essere spirituale, non poteva
trovarsi in luogo alcuno. Qui il
punto matematico si trasfor ma in punto veramente metafisico. Per Il punto matematico, novella entità di Descartes, non giova dunque anulla|
siffatto metodo Dio e l'anima vengono
per provare la semplicità e la indivisi bilità di questa sostanza
quintessenziata che si chiama anima,
poichè anzi es sendo il punto idealmente divisibile al l'infinito, dovrebbe
dedursi che anche l'anima lo è del pari.
Eil Bayle stesso confutava molto a
proposito Descartes con questo
stringentissimo argomento. «Quando si
concepisce una cosa difu a trovarsi in un luogo che non è luogo, sono ovunque e nello stesso tempo in nessun sito, esistono realmente e con stano
di nessuna sostanza, non possedo no alcuna dimensione; in una parola questo metodo ha dato l'ultima entità della metafisica moderna colla creazione dell' atomo vuoto. A questo punto par che tutte le sco
EPICHEREMA perte della metafisica si
siano fermate. Grande e solenne lezione
pei sognatori d' ogni risma, i quali,
contanta smania di lanciarsi fuordella
natura, non giun sero nemmeno a produrre una nuova 329
colo) così si esprime:Nel duodecimo secolo si pronunciava assai male il latino, onde invece di eum, come si dice oggidì, di cevasi
eon, per cui nel simbolo invece di
cantare per eum qui venturus est idea,
non un nuovo pensiero, che non fosse un
controsenso. In questa freneti ca gara di costrurre a forza di pensie ro una
nuova sostanza, che fosse diver sa da tutte l'altre cadenti sotto l'azio ne dei
sensi, essi riuscirono solo a far pompa
d'una stolta e superba vanità, e, pur
disprezzando i sensi, ricaddero for zatamente entro la sfera dei loro
giudizi. Essi davano alla loro entità il
nome e la figurad'un atomo, per questa
capitalis sima ragione, che la forma più leggera e sottile che mai avessero veduto o sen tito,
era quella appunto della più picco la parte della materia immaginabile. I sensi sono la porta dello spirito, e loro percezioni sono tutto quel tanto che a noi è dato di conoscere. Meglio che ostinarci e disprezzarli e astrarre da essi a cui siamo strettamente con giunti
per una legge fatale e inesorabi le; meglio che creare delle entità effi mere
che nei sensi ancora trovano la loro
radice, conviene dunque che nor sia
trascurata questapreziosissima dote del
corpo, questa facoltà di sentire po sitivamente, per la quale soltanto
siamo vivi, giudichiamo, compariamo e
attin giamo tutti i criterii della realtà. Infi ne, non conviene dimenticare
che il mi glior rimedio contro il pericolo di crea re le entità metafisiche, è
quello di non separare mai il fenomeno
dalla sostan za che gli serve di base; e per poco che uno pensi non tarda ad avvedersi che tutte le entità non sono infine che l'ef
fetto di questa violenta separazione. Nes suno avrebbe mai pensato a dare
alle idee o al movimento, una reale
esisten za, se per astrazione non si fossero se parate dal corpo che le pensa o
dalla sostanza in cui si
manifestano. Eon della Stella.
Gentiluomo Bretone la cui eresia l'
abate Pluquet, sulle traccie del Dupin (
Bibliot. XII. se judicare vivos et mortuos, cantavasi per eon qui venturus ecc. Fu in grazia di tale pronunzia che Eon s' imagind che di lui fosse detto nel simbolo, che dovrebbe venire a giudicare i vivi ed i morti, la qual fantasia gli riscaldò l'ima
ginazione e il persuase di essere il giu dice dei vivi e dei morti, e per conse
guenza il figliuol di Dio. Ai suoi discepoli
distribui uffizi col nome di Angeli, Apo stoli, il Giudizio, la Scienza,
la Sapien za ecc. Molti partitanti egli
ebbe e i soldati mandati per arrestarlo
non ne vennero acapo in sulle prime,
onde fu detto ch' egli erainviolabile
per sovranaturale potenza. Tradotto
infine davanti al con cilio di Rheims,vi fu condannato a pri gionia perpetua, e
alcuni suoi discepoli che persistettero
a riconoscere in lui il figliuel di Dio,
incontrarono la morte. Stupendo esempio
è questo per provare come intempi anche
assai più vicini ai nostri di quelli in
cui visse Gesù, facil cosa fosse a uno
scemo il farsi crede re figliuol di Dio, e il trovare apostoli che incontrassero il martirio per amor di lui.
Epicherema. Sorta di sillogismo
composto, mediante il quale alla maggiore ( V. SILLOGISMO ) si
aggiunge qualche ragione dimostrativa
onde ren derla più evidente. Il seguente sarebbe un sillogismo semplice: Tutti i vapori a parità di massa hanno un volume maggiore dei liquidi; le nubi sono un vapore; dunque presentano maggior vo lume dei
liquidi. Questo sillogismo si
trasformerebbe in epicherema quando
alla ragione assiomatica espressa nella
maggiore, si aggiungesse una qualche
dimostrazione, per es. così: Tutti i vapo ri a parità di massa hanno un
volume maggiore dei liquidi, poichè il
calorico disgiungendo le loro molecole
le allon 330 EPICURO tana moggiormente fra di loro; le nubi sono un vapore, dunque ecc. Epicuro. Nacque inGargezio nel ' Attica nell'
anno 341 prima di Gesù, da famiglia
antica ed illustre, ma ca duta nell' indigenza. Per provvedere ai bisogni della vita, i suoi genitori emi grarono nell' isola di Samo, ove il pa dre fu
maestro di scuola, e la madre divenne
pitonessa e al figlio insegnò a
pronunciare le parole che l'oracolo fa ceva sentire frammezzo alle
magiche evo cazioni. Allevato così nei più arcani se greti della divinazione,
Epicuro acquistò un anticipato disprezzo
per le supersti zioni religiose d'ogni genere. Dicesi che a quattordici anni, al maestro che gl' insegnava il verso di Esiodo: Nel principio era il caos, egli chiedeva: E il caos d'onde nacque? Preso dal biso gno di
sapere, egli si applicò allo studio dei
filosofi, ma Democrito sopratutti fu da
lui preferito. Spirito profondo e sa gace, ripugnante alle astruserie metafi
siche dei suoi predecessori, egli com prese quanto di vero, di naturale e
di pratico vi fosse nella dottrina del
filo sofo d' Elea, e divisò d'applicarne i
principii. Nell' età di 18 anni
si recò ad Atene, ma poco vi rimase, chè
fu presto a Lampsaco, ove cominciò a
professare i suoi principii e vi fece
proseliti, coi quali nell' anno 309 a.
G. C. tornò ad Atene, acquistò un
giardino e vi fondò stabilmente la sua
scuola. Gli Epicurei soli vi erano
ammessi e tutt' insieme vi vevano d' una vita comune,come idisce poli di Pitagora; con la differenza però che Epicuro non volle che ponesssero in comune i loro beni, dicendo che cid eccitava diffidenze fra di loro, ma
volle che ciascuno pagasse una parte
della spesa. L'accordo della comunità epicurea non fu mai turbato, e ancora dopo la morte del maestro sussistette lunga mente;
tantochè Cicerone dice che nei tempi
suoi gli epicurei vivevano ancora in
comune. Le spese, d'altronde, erano
poche, e tuttochè filosofi volgarissimi
abbiano cercato di far credere che l'c picureismo amasse lo sfarzo e il
pia cere soltanto, è ben sicuro che lavita
degli epicurei fu purissimadaognimac chia, ch'essi vissero colla massima
sem plicità e che tenue assai era la spesa che
importava il loro vitto comune. Vero è
che nella comunità epicurea anche le
donne erano ammesse, e fra le più il lustri discepole di Epicuro
citansiLeon tina, celebre cortigiana d'Atene, e The mista di Lampsaco. E gli
stoici che avversavano la sua dottrina
se ne val sero per calunniarlo. Diotino, uno degli stoici, fabbricò perfino sotto il nome
di Epicuro cinquanta lettere indirizzate
a cortigiane, piene di oscenità. Ma il
falso fu svelato, e lo stesso Crisippo,
il più autorevole capo della scuola
stoica, pub blicamente riconobbe la purità de' co stumi di Epicuro. Egli è ben
vero che per togliere alla dottrina del
suo av versario il merito di far procedere in sieme l'amor della felicità con
la pu rità dei costumi, disse che ciò dipen deva perch' egli era insensibile.
Ma bi sognava ignorare qual fosse il fonda mento della vera dottrina di
Epicuro per muovergli simile accusa. È
vero ch'egli insegnava ilfine dell' uomo
es sere il piacere, ma soggiungeva anche
che la felicità si trova nella calma e
nella tranquillità della vita, ond'esser
savio consiglio il guardarsi dalle pas sioni che la possono turbare. É
vero ch'egli diceva consistere il piacer
fisico nellasoddisfazione dei naturali
bisogni; ma aggiungeva poi anche che quanto minor sollecitudinc si usa nel soddi sfarli,
tanto meno si corre il pericolo di
essere esposti alle privazioni. Aste nersi per godere era la sua granmas sima,
e se sia vera lo sanno i crapu loni d'ogni tempo, i quali per una pronta debilitazione delle loro sensa zioni,
per una noia e una nausea an ticipate imparano a loro spese quali siano ipericoli dell'intemperanza. L'a mor
del piacere non può dunque es EPIFANE
sere separato da una vita temperante,
e la vita di Epicuro, per la testimo nianza stessa de' suoi nemici, è la
più perfetta e la più nobile
applicazione de'suoi principii.
Nonpertanto nel mon do de'vulgari, allora, come adesso,igno ravasi la
connessione di queste due parti della
dottrina, onde inferivasi che amare il
piacere e soddisfarlo era una 331 re per vera solo in quanto corrisponde alla sensazione. Nella filosofia epicurea ' anticipa zione è
facoltà identica alla memoria, ed è per
suo mezzo che le immagini delle
sensazioni già provate riproduconsi nel
nostro pensiero. Le passioni, final mente, sono la nostra guida; esse ci in
dicano ciò che ci conviene e ciò che
cosa sola. Dicevasi che Epicuro faceva
consistere il sovrano bene nella vo luttà, e senza oltre preoccuparsi di spiegare in che consistesse la volutta di Epicuro e per quali temperanti pre cetti
si soddisfa, si abbandonarono a vita
licenziosa, tantochè molti di questi
falsi epicurei furono banditi da Roma
ai tempi dellarepubblica. Ma la scuola
fondata da Epicuro in Atene continuò
a sussistere nella purità de' costumi, e
col suo solenne esempio rese giustizia
innanzi al mondo alle dottrine del
maestro. Epicuro fu ancora
accusato di a teismo, ma non pare che l'accusa a vesse fondamento. Nella sua
lettera a Meneceo egli dice: Gli Dei non
sono tali come il volgare li crede.
L'empio non è colui che rigetta gli Dei
della moltitudine, ma colui che
attribuisce agli Dei le opinioni della
moltitudine ». Intollerante d'ogni
credenza supersti ziosa, Epicuro insegna la scienza della felicità, e i mezzi per ottenerla sono per lui quelli stessi che s'adoperano con l'ignoranza e l'illusione per giun gere
alla verità. Tre sono i criteri della
verità: le sensazioni, le anticipazioni e le passioni, fonte triplice d'ogui cono
scenza. La sensazione è elemento pri mitivo e immediato della conoscenza, e come tale non può esser soggetta a sindacato. Imperocchè una sensazione non può controllare un' altra sensazio ne
essendo pari in grado e autorità, nè
purla ragione può correggerla se er rata, inquantochè la ragione stessa
è di retta dalla sensazione. La sensazione
non può generare errore, poichè ha una
causa reale; ma l'opinione hassi a tene evitare dobbiamo. E poichè il
fine del l'uomo quello è di cercare il bene ed
evitare il male, così deve egli cercare,
per quanto può, di fuggire le inutili sof ferenze e di risparmiarsi
tutti quei go dimenti che potrebbero essere causa di dolori o che potrebbero togliere godi menti
ancor migliori. Epicuro sorti natura
dolce ed eleva ta, che spontaneamente lo portava ad amare i suoi simili; capace di devozione e di sacrificio fu visto in occasione di una grande carestia dividere il poco che aveva con i suoi discepoli. Nonostante I'amor de' piaceri di cui filosofi
leggeri lo accusano, menò vita
travagliatissima per i mali ond' era
afflitto. Parco oltre ogni dire, e più
che non convenisse alla sua mal ferma
salute, poco pane basta vagli per nutrimento di tutti i giorni, onde Seneca disse di lui che un soldo gli era di troppo per un giorno.
Afflitto negli ultimi tempi dal mal
della pietra, non bastavano i vivi
dolori di questa crudele malattia per
turbare quella pla cida serenità che tanto lo facevano caro ai discepoli, ai quali, giunto agli estre mi,
legò il suo giardino, acciocchè lui
morto, potessero continuare la vita co mune e la sua scuola. Mori nel
271 a. G. C. nell' età di 71 anni. Epirane. Figlio di Carpocrate; di vise e
giustificò l'eresia del padre. Dalia
apparente eguaglianza in cui natura
pose tutti gli uomini concluse che il
male non esisteva nel mondo e che la
giustizia divina era provata per questa
stessa eguaglianza. Se il sole, diceva,
si leva egualmente per tutti gli uomini
e la terra a tutti egualmente offre le
sue produzioni, segno è che Iddio ha 332
ΕΡΙΤΕΤΤΟ stabilita questa
eguaglianza e a tutti egualmente vuol
ripartire le benefi cenze sue. D'onde conchiudeva che i frutti della terra e le donne fossero in comune. Secondo Epifane la legge sola quella era stata la quale aveva sviati gli uomini dal retto sentiero: abolire la legge e ritornare alla natura, era per Epifane un ritorno alla perfezione; e lo provava coi passi di S. Paolo, il qual dice che prima della legge non si conosceva il peccato, nè vi sarebbe peccato se legge non vi fosse. Epifane morì giovinetto ancora ( di cono
alcuni di 17 anni ) e fu onorato siccome
un Dio. Si innalzò un tempio in suo
onore a Sarne, città di Cefa lonia, ove nei primi giorni del mese celebravasi la festa della sua apoteosi e si offrivano sacrifizi in suo onore. dalla parte della femmina lo spazio e il nutrimento necessari. Questa ipotesi è oggidì dimostrata falsa, e resta as sodato
che gli spermatozoidi determi nano soltanto l'evoluzione del vitellius con un concorso materiale e diretto dalla loro sostanza. L'embriologia ha ancora mostrato che la generazione non solo è una vera produzione nuova in ciò che concerne l'ovulo e gli sper
matozoidi, ma che lo sviluppo dell'uo vo, l'apparizione dell'erabrione nel
seno materno risultano da una vera
epigenesi successiva che si compie in
tempi dif ferenti a spese delle sostanze fornite dall' ovulo; che nell'ovulo non preesi stono
gli organi,i quali compaiono per
autogenesi ciascuno in tempi differenti
durante l'evoluzione embrionaria. ( V.
EMBRIOLOGIA). Episcopali. Vedi
Presbiteri Epitetto. Nacque nel 1°
secolo dell' Era volgare ad Jerapoli
nella Fir gia, dagenitoriindipendenti, e nell' ado Epigenesi(da έπι', soprae
γένεσις, generazione ). Dottrina la
quale stabi lisce che la generazione delle diverse specie degli esseri organizzati si è ef
fettuata in tempi differenti. L'epige nesi è dunque contraria all' imbotta
meuto, antica dottrina de' fisiologi i
quali credevano che i germi di tutte
Je forme future fossero precontenuti | bestiale, che Epitetto apprese le
prime l'un dentro l'altro nel primo uovo
di ogni specie ch'era stato creato ( v.
A lescenza fu schiavodi Epafrodito, liberto
e guardia particolare di Nerone, uomo
rozzo e stupido e di malvagio animo.
Fu sotto tal maestro, poco men che
NIMAZIONE L' epigenesi invece consi dera ogni nascita come una nuova for
mazione organica, inquantochè, se fra i
nati e i primi parenti non vi è al tra affinità che le leggi di
formazione, sarebbe assurdo il dire che
in essi vi era la presistenza di tutte
le genera zioni future. Laonde Kant che deno minava l'epigenesi la teoria della
pre formazione organica, poteva dire che le
generazioni attuali preesistettero vir tualmente o dinamicamente nei
primi genitori. Vi furono degli
epigenisti che credettero che la
generazione fosse po steriore alla fecondazione, tali gli sper matisti, i quali
credevano che lo sper ma contenesse le parti esenziali del nuovo essere, al quale l'atto procrea tore
non avrebbe fatto che procurare massime
della scuola dell' avversità, e si bene
vi si assimild, che divenne il più
illustre sostegno di quella filosofia
desolante, inadatta alla natura e alla
felicità dell' uomo, che fu poi da Plu tarco vivamente combattuta. La
scuola cinica riviveva in lui sotto
novelle forme. Men brutale e trascurato
di Antistene, Epitetto non si allontana
però grande mente dalla sua morale; ed è il cini smo di Socrate ch'egli prende
a mo dello e pel quale dimostra una grande
ammirazione. Naturale nemico diEpicu ro, egli proclamache il male è
illusione, eche il bene non devesi
ricercare. Non sono già le cose che ci
fanno delmale, ma l'opinione che noi ci
formiamo di esse. Conformandosi alla
dottrina degli stoici, egli diceva che
per quanto fosse tormentato, non lo si
costringerebbe mai a confessare che il
dolore sia un ERESIA male. Dicesi che il
suopadrone ungiorno | quella di Gesù perquesto solo, ch' essa porta con sè lo stimmadel paganesimo. La volontà di Dio s'identifica col fata nella
sua brutalità trastullavasi a tener gli una gamba. >> disse Epitetto, ed essendosi rotta dav vero,
il filosofo riprese con tutta tran quillità: « io ve l'aveva ben detto che si sarebbe rotta ». Citando queste pa role
Celso le oppone ai cristiani e a lor | verebbe il volervi resistere. « O
Dio, lismo. Gesù vuol la rassegnazione
ai voleri di Dio perchè è Dio;
Epitetto, ch'è stoico, celaraccomanda
per un'al tra considerazione, ed è che a nulla gio dice: « Il vostro Cristo ha
egli fatto alcun atto più grande?- Si,
risponde Origene, egli ha taciuto.
D'allora in poi Epitetto zoppicò. La
vita di questo fi losofo è nel resto molto oscura, e di lui s'ignora anche il nome, avvegnachè E pitetto
sia un sopranome e significhi schiavo.
Ci sa che fu libero, ma quando ebbe la
libertà s'ignora. Pare che abbia avuto
molta famigliarità coll' imperatore
Adriano, ma contuttociò si sottopose
sempre al regime di unapovertà volon taria. A Roma abitava una casa
senza porte: un lettuccio, una sedia e
un ta volo erano tutto il suo mobiliare. Ma
volle un giorno acquistare una lampada
di ferro che gli fu subito involata, on d' egli parlando del ladro,
disse: (Matt. XXVI, 26-28; Giov. Χ, 7,
XVI, 1). Fedeli alla lettera di questo
passo, e contro l' impossibilità stessa
che il pane e il vino potessero
trasformarsi nel cor po e nel sangue di Gesù quando Gesù berrà il calice del Signoreindegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Si gnore.
Provi perciò ' uomo se stesso e così
mangı di quel pane e beva di quel
calice (I Cor. XI 26-28). Ora
quel ripetere tre volte il pane e il
calice in vece del corpo e del sangue di Gesù,
non dimostra forse che il pensiero di
S. Paolo era ben diverso da quello che
gli attribuiscono i cattolici, e ch' egli credeva che il pane restasse pane,e vino èvino il vino, e il corpo di Gesù non fosse introdotto nella cena che come stesso era presente, bamboleggiando so
stengono che tutte le volte in cui il sa cerdote pronuncia le sacramentali
parolespressione positiva questo è il mio corpo
della consacrazione, il pane ed il vino
si trasmutano e sotto le loro materiali
parvenze occultano il corpo, il sangue
simbolo materiale del nuovo patto? L'e e la divinità di G. C. Contro i cattolici dimostrano i pro testanti
essere contrario al senso della
scrittura l'interpretare letteralmente le parole di Gesù: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, imperocchè egli ha pur detto: io sono la porta per la quale entrano le pecore; io sono il vero серро е mio padre è ilviguaiuolo, d'on de si
dovrebbe conchiudere che Gesù Cristo è
veramente una porta e un cep po, e il padre un vignaiolo. La prova che Gesù non voleva che le parole sue fossero intese alla lettera, è che nel momento stesso in cui dà il calice ai suoi discepoli, alle parole: questo è il
mio appartiene alla natura di quei modi
di dire che anche oggi i credenti usano
nel natale o nella pasqua dicendo, oggi
il Signore è morto od è
risuscitato. Non si può negare che molti
padri della Chiesa già nei primi secoli
par lando dell' Eucaristia la chiamassero
sempre il corpo e il sangue di G. C.; ma
bisogna convincersi che questa espres sione nel loro linguaggio non
esprimeva altro che il simbolo del corpo
e del sangue di Gesù, non giàil suo vero
cor po e il suo vero sangue. Questi padri
erano così lontani dal pensare che i cat tolici dei secoli futuri
avrebbero preteso di interpretare
letteralmente le loro pa role, che anzi, quando a loro accadde non già di citare soltanto l'eucaristia, madi doversi spiegare intorno ad essa,
EUCARISTIA lo fecero sempre con parole
che non lasciano dubbio intorno al loro
vero pensiero. Per esempio nel III.
secolo Ter tulliano spiegando la santacena diceva: Gesù Cristo dopo aver preso il pane ne fece il suo corpo, e distribuendolo
ai suoi discepoli loro disse: questo è
il mio corpo, vale a dire la figura del
mio corpo. (Adv. Marcion lib. 4 cap.
4). Nel IV secolo S. Efrem; diacono d'E
dessa, scriveva : . Intorno al modo
d'intendere il sim bolismo della scrittura, S. Agostino così si spiega:
(Abadia, tom II, Sat. 2. c. 5). Una così
dei pådri succitati. Egli è ben vero che
essi citano de' passi che hanno una
grande analogia con quelli che si trova no nei nostri evangeli, ma
questa ana logia è ben lontana d'essere identità. Si sa che tra gli evangeli apocrifi e i canonici vi sono molte similitudi, onde non è a meravigliarsi che i padri rife
riscano dei passi il senso dei quali è
simile a quello degli evangeli canonici.
Per es. nella seconda epistola di Cle mente, si leggono alcune parole,
riferite come se fossero dette da Gesù,
senza però che si vedaindicato l'
Evangelio a cui sono attinte. Ma esse
hanno mol ta analogia con alcuni passi di Matteo e Luca, come si vede dal seguente pa
rallelo: Passo di un apo crifo
citato da S. Clemente Il Signore dis se: Voi sarete come agnelli in mezzo ai lupi. Pietro rispo se: e se i lupi sbra nano
gli agnelli ? EGesù disse aPie tro: Gli
agnelli non devono temere ilu pi dopo la
loro morte: non paven tate coloro che
pos sono uccidervi ma non nuocervi
dopo la morte; ma teme te colui che
dopo la vostra morte può mandare l'animavo stra e il vostro cor po
nelle gehenna». Passi dell'Evangelo secondo
Matteo e Luca Ecco che io vi mando come peco re in mezzo ai lupi. Siate
adunque (Mat. X, 16). An date ecco che
io mando voi come a gnelli tra i
Lupi (Luca). E non temete coloro che uccidono il corpo e non possono uc cider l'anima; ma temete piuttosto co lui che può mandar in perdizione l' a nima, e il corpo alla gehenna. (Mat. X, 28 conf. Luca XII, 45).
Or si può egli credere che Clemente
con queste parole abbia voluto riferirsi
aMatteo e a Luca? Se Clemente aves se avuto sotto gli occhi l' Evangelio
di Matteo e di Luca si sarebbe egli per
360 EVANGELIO messo di introdurre nella dizione le va
rianti che vi si leggono ? Ciò non è cre dibile; onde tutti i critici
convengono che quelle parole sono tolte
da qualche apocrifo. Enon solo gli evangeli canonici non furono conosciuti dai primi padri, ma an che
dopo essersi propagati nel cristiane simo, a forzadi copie, andarono
soggetti atante e tali variazioni, che
mettono seriamente in dubbio
l'autenticità delle edizioni che ora
possediamo. Giovanni Mill nella sua
edizione del Nuovo Te Chiesa, abbilo co me pagano e pub blicano. AlloraPie tro
accostandosegli, disse: Signore quan
tevolte peccando il mio fratello, gliper
donerò io ? Fino a sette volte? Gesù
gli disse: Io non tidico fino a sette volte; ma fino a settanta volte sette.
Qual di questi due passi è l'origi nale? Quel de' Nazarei per la sua sem
stamento ha raccolte ben 30 mila va rianti, dovute in gran parte ad errori di ortografia o a postille scritte in mar
gine, che nella trascrizione gli amma nuensi copiavano nel testo. Quando
poi trattavasi di traduzioni non è
facile dire come e quantierrori
potessero commet tersi. Or, convien osservare, che, secon do ci attesta Papias
il cui maestro, come ho detto, fu un
discepolo degli apostoli, Matteo scrisse
il suo Evange 'lio in ebraico, e ciascuno lo ha tradotto come ha potuto (Eusebio. Stor. Eccl. III. 19). Ma l' originale andò perduto,
e di questo vangelo noi non possediamo plicità evidentemente precede l' altro, che ne è una parafrasi, nella quale si sono introdotte cose estranee all' argo
mento. I versi 18, 19 e 20 qual rap porto hanno col principio del
discorso? E poiquelprocesso, quei
testimoni, quel la Chiesa eretta a tribunale giudicante potevano forse convenire col pensiero di Gesù di perdonare sette volte sette? vale a dir sempre? Ache servono allora quel giudizio e quei testimoni se si deve in ogni caso perdonare? Perchè dunque non crederemo che questa sia una interpo lazione,
tanto più che contro Matteo sta il testo
di Luca conforme a quello dei
Nazarei? che il testo greco, il quale è
una ap punto di quelle versioniche furono fat te come si è potuto. Qual fede
mérita essa ? Quali errori e quali
interpolazioni forse entrambi non sono che la copia L' Evangelo attribuito a Marco pud dirsi stereotipato su quel di Matteo, e non vi furono introdotte? Per es. con
frontinsi questi due passi, l'uno di un
antichissimo apocrifo, l' evangelio dei
Nazarei, l' altro di Matteo.
Nazarei. Se tuo fratello pecca contro di te in parole, e ti sod disfaccia, ricevilo sette volte il giorno. Simone suo disce polo gli disse: sette volte il giorno? Ri spose il Signore: io ti dico anzi fino a settanta volte sette. Matteo XVIII.
Se tuo fratello pecca contro di
te, va e riprendilo fra te e lui. Se ti ascol ta tu hai guada gnato
tuo fratello; ma se non ti ascol ta
prendi teco an cora uno odue, ac ciocchè ogni parola sia confermata da due o tre testimoni. E se disdegna di modificata di un apocrifo più antico. Ma quello di Marco è più breve, e
noncontiene molte cose che evidentemente
sono state aggiunte a quello di Matteo.
> cementeche esse non si succedono in me,
Dunque, conclude Berkeley, qualunque e che non si succederebbero in
un'intel grado di calore e di freddo non è che ligenza di un altro ordine ? Uno
stesso una nostra sensazione ; e
siffatto argo- corpo può dunque sembrare aduno muo mento egli l'applica ai
sapori, agli o dori, al suono e perfino all'estensione. Voi convenite, dice Filono al suo sup posto
interlocutore, che nessuna qualità
inerente a un corpo potrebbe combiare,
senza che in questo corpo sia avvenuta
qualche modificazione. Ma l'estensione
visibile degli oggetti varia a proporzione versi su di uno spazio dato nellametà del tempo, che sembra a noi aver im che noi
ce ne avviciniamo o che ce ne
allontaniamo, poichè essa è dieci e cento volte più grande a certe distanze, che non ad altre, e da ciò non segue forse che questa estensione non è realmente inerente agli oggetti? Voi sareste ben deciso su questo punto, per poco che vi permetteste di giudicare della qualitàdi cui parliamo ora, colla stessa libertà
di spirito che avete usata a riguardo
delle altre. Non avete ammesso per buon
ar gomento, che nè il calore, nè il freddo
sono nell'acqua, perchè un'acqua stessa
sembra calda a una mano e fredda al l'altra? E non potete voi concludere
con un ragionamento perfettamente
simile, piegato in questo moto, e questo
stesso ragionamento potrà, d'altronde,
applicarsi ad ogni altra specie di
rapporto di tempo; e poichè secondo i
vostri principii, tutti i moti che si
percepiscono sono vera mente nell'oggetto in cui si percepiscono sarà, per conseguenza, possibile che un solo e medesimo corpo si muova, insie me, e
molto velocemente e molto lenta mente e ciò realmente ed in uno stesso senso. Ora, come accordare queste con
seguenze, non solamente con ciò di cui voi
siete già convenuto, ma eziandio colle
nozioni le più semplici che il buon
senso possa fornirci? >> La
conclusione di tutti questi ragio namenti, secondo Berkeley, è che l'e
stensione, il moto, i colori e tutte, in somma, le qualità percettibili della
ma teria, son fenomeni, i quali non sono
nei corpi, ma qualità con cui le nostre
sensazioni rivestono i corpi. 368
FENOMENO Anzi, il corpo stesso,
così come noi lo percepiamo, è un
fenomeno; il che nel linguaggio
filosofico vuol dire una cosa che ci
apparisce e che non è, o può non essere
nel modo in cui ci ap parisce. D'onde Berkeley, eccedendo nel l'illazione il
contenuto delle premesse, conchiuse,
negando ogni realtà alla materia. Ma l'essere i fenomeni effetti o azio ni non
reali per se stessi, non implica che non
devano avere un substrato in cui
manifestarsi. Pud ammettersi che il
color biancodella carta che io vedo non
sia altro che un modo con cui certi
movimenti molecolari dell'etere affet a no il mio occhio; ma che vuol
direid ? Si dirà per questo che il
fenomeno dei colori non ha bisogno di
una sostanza per manifestarsi, e che vi
possono es sere dei colori anche al di fuori dei corpi che li assumono ? Certo, i fenomeni ci rappresentano i corpi, e sono tutto quel tanto che dei corpi noi possiamo percepire; ma sappiam noi che cosa sono questi cor pi in
realtà? L'idealismo li negava, lo
scetticismo, menesagerato, della loro e sistenza dubitava soltanto.
Quanto ai fe nomeni, tutti sono d' accordo a consi derarli come mereparvenze; e
tutti cre dono ch' essi non costituiscono gene ralmente una percezione
semplice, ma una collezione di
percezioni, in quella maniera che nel
color verde non per cepiamo il giallo e il turchino che en trano nella sua
composizione, o che nelle vibrazioni di
due corde armoni che unisone noi percepiamo un suono solo. Noi, dice Galluppi, non possiamo percepire gli oggetti semplici che com
pongono l'estensione materiale: nonper cepiamo che la collezione totale, e
la percezione di questa collezione totale, la quale è molto chiara, èciò che chia miamo
il fenomeno dell' estensione ma teriale.
Così, continua Galluppi, tutte le
attività particolari di una estensione
qualunque concorrono, in questa esten sione, a produrre un effetto
generale e semplice, e questo effetto è
la per cezione della collezione totale; percezio zione che non può decomporsi
nelle percezioni degli esseri semplici
da cui la collezione è composta.. L'estensione materiale non è dunque relativamente a noi, se non che una sem plice
apparenza, un fenomeno. La realtà è
negli esseri semplici, le cui azioni co ❘spiranti
producono il fenomeno. Se dun que la nostra maniera di percepire si cambiasse; se giungessimo a distinguere gli esseri semplici, noi perderemmo subi to
la percezione indecomponibile della
collezione totale, e per conseguenza quella dell'estensione sensibile;
noipercepiremmo gli elementi dell'
estensione, e non per cepiremmo affatto l'estensione. Ciò av verebbe in un modo
simile a quello in cui la percezione
dello spazio raccolto fra due corpi, la
quale ci veniva tolta dalla distanza in
cui era l'occhio dai corpi stessi, fa
sparire il fenomeno della contiguità
degli stessi corpi; ed in un modo simile
a quello in cui la percezione delle
prominenze di una superficie che si ha
per mezzo del microscopio, fa spa rire il fenomeno del lisciamento ». Il criticismo non aveva seguito una via molto diversa da quella dello scet
ticismo. Kant distingue i fenomeni dai
nomeni: quelli oggetto della nostra per cezione, questi « unacosa in
quanto essa non è oggetto della nostra
intuizione sensibile, astrazion fatta
della nostra maniera di percepirla ».
Allorchè, dice Kant, noi chiamiamo certi
oggetti col nome di fenomeni, ossia d'
esseri sensi bili (phænomena), distinguendo la ma niera iu cui noi
lipercepiamo, daquella assoluta che
sebbene non percepita è però da noi
pensata, questi oggetti che non sono dei
sensi, noi li diciamo no meni, esseri intellettuali. Si domanda dunque se i nostri concetti puri dell'in
tendimento hanno un valor reale e se non
vi sia per noi qualche maniera per
conoscerli. Qui, continua Kant, vi è un
equivoco; ed è che quando l'intendi mento chiama fenomenounoggetto con
FESTE 369 siderato sotto un certo rapporto, oltre
seguendo le ormediBacone, raccomanda la
rappresentazione di questo rapporto, il metodo sperimentale, lo studio dei si fa anche quella di una cosa in se, fatti
come condizione fondamentale del onde si
persuade che si possono fare progresso delle scienze fisiche e morali. eziandio dei concetti di cose simili;e sic-
Applicando tal metodo, parteggiò per
come l' intendimento null'altro ci forni- Locke nella questione dell'
origine delie sce che le categorie, esso
è condotto a idee, ch'egli considera come derivate, o prendere il concetto tutt' affatto indeter- |
immediatamente dalla sensazione, o com minato di un essere di ragione,di qual-
poste dalla sensazione col ragionamento.
che cosa in generale, fuori del dominio Egli avrebbeanche potuto
direaddrittura, della sensibilità, come
un concetto de- come aveva fatto Locke, che la sensa terminato di un essere che
noi possiamo❘zione stessa è, in fin de'conti, la
base conoscere in qualche maniera col
soc corso dell' intelletto. (Critica della ra gione pura. Lib. II. c.
III). Spogliato di tutta quella nebulosità misteriosa di che sontanto vaghi i
filosofi tedeschi, il discorso di Kant
non significa altro se non che le cose
come sono nella realtà, non sono quelle
che ci sembra no, eche il nostro pensiero è fatalmente costretto a credere che sotto o sopra i fenomeni vi è un qualche cosa, vi èun substrato che li informa. In questo con
cepimento lo scetticismo e il criticismo,
come al solito si accordano, e cosìm'ac cordo anch' io, non parendomi
che si possa mettere menomemente in
dubbio che'i fenomeni risultano dalle
nostre percezioni subbiettive, ma che
fuori di noi vi è pur qualche cosa, che
è la ca usa occasionale delle nostre percezioni. .
Questo qualche cosa è la sostanza, il
concetto della quale vuol essere sepa rato da quello di fenomeno, e
tutt' in sieme costituiscono quell' ente sostanziale esensibile che diciam materia. Ferguson (Adamo). Nacque nel 1724 a Logierait presso Perth nella Scozia, e fece i suoi studi all'università d'Edimburgo. Fu capellano di un reg gimento
di montanari scozzesi diretti contro la
Francia, manon rimase molto in quella
condizione; nel 1757 fu eletto
precettore dei figli di lord Buthe e due
anni dopo fu nominato professore di
filosofia naturale all'università di Edim burgo. Ferguson è uno dei filosofi della scuola Scozzese, e in tale qualità egli, del ragionamento. Dalla cattedra di filosofia naturale, essendo stato chiamato a quella di filo sofia
morale nella stessa università, Fer guson fondò imotivi della morale sulla natura stessa dell'uomo ; nel quale cre dette
di riconoscere tre leggi che lo portavano
alla moralità, vale a dire : latendenza
a conservarsi, la sociabilità, e la
tendenza aperfezionarsi.Giunto a que sto punto Ferguson si allontana affatto dallo studio dei fatti, e contro Hobbes, il quale aveva supposto con molta pe
netrazione, che le società all'origine do vettero esistere in uno stato di
guerra, sostiene che i legami di
famiglia e le atfezioni sociali hanno
dovuto produrre fin dall'origine una
condizione di cose assai men funesta. Ma
è probabile che se il filosofo scozzese avesse
conosciute lerelazioni dei viaggiatori
che abbiamo noi, e specialmente se
avesse conosciuto le recenti scoperte
paleontologiche che ci rivelarono la
barbara esistenza del l'uomo preistorico, sarebbe stato indotto a giudizi assai differenti. Feste. Anticamente le feste o ave vano un
senso istorico, o astronomico. Presso i
romani, scrive Constant, ciascun tempio,
ciascuna statua, ciascuna festa rappresentava
qualche pericolo ond' era stata salvata
Roma dagli Dei, qualche calamità ch'essi
avevano allontanata. Le Lucarie
rappresentavano l'asilo accorda to da Romolo ai fuggitivi che dovevano popolare la nuova città. Il chiodo sacro che conficcava nel tempiopiù augusto il primo magistrato della repubblica, era 24 370
FESTE l'omaggio di un secolo
civile verso i se coli predecessori in cui le lettere erano ignorate (Tito Livio VII. 3). Le Matro almeno
un giorno dell'anno, in cui ella potesse
circolare liberamente per tutte le
classi, e che, pura e attiva come la Ne
suoi primordii il cristianesimo non ha
altre feste che quelle della sinagoga;
nali celebravano la riconciliazione dei | fiamma, salisse come essa
verso il cielo. padri e degli sposi
colle figlie e colle mogli (Ovid. Fast.
III). Sotto la Repubblica romana le
feste più solenni avevano peroggetto di
cele brare le calende di Gennaio, pronuncian do solennemente voti per la
pubblica fe licità, e per quella dei cittadini; di rin novare la memoria dei
morti, e di fis sare gli sguardi degli Dei sulla genera zione attuale; di porre
i limiti invaria bili delle proprietà, e permaggior sicu rezza confidarli alla
custodia d'un Nume; di salutare al
ritorno di primavera le potenze
vivificanti, che comunicano alla terra
la fecondità; di perpetuare queste due
ere memorabili di Roma: la fonda zione della città, e la nascita della re
pubblica. In questi giorni i cittadini
avevano per costume d'ornare le loro
porte di lampade e di rami d' ulivo, di
cingere le loro teste con ghirlande di
fiori. In memoriadella primitiva
eguaglianza, che significava pur qualche
cosa presso gli antichi popoli,
celebravano iRomani nel mese di dicembre
le feste dei saturnali. ma manmano che esso
si distende nelle provincie invase dal
politeismo romano, il culto e i costumi,
e le feste inveterate che distruggere
non può, riconosce e santifica. Purchè
s'entri nella Chiesa cristiana poco
importa ai papi qual sia l'origine del
simbolo adorato. Perciò ai missionari
inviati nella Brettagna, Gre gorio I scriveva: « Non sopprimete le feste che fanno i Brettoni nei sacrifici ai loro Dei; trasportatele soltanto nel giorno della dedica della Chiesa o alla festadei santi martiri, affinchè, pur con
servando alcuna delle materiali gioie
dell'idolatria, essi siano più facilmente tratti a gustar le gioie spirituali
della fele cristiana (Epist. IX, 71).
Grazie a questo compromesso, il
cristianesimo potè felicemente
sostituirsi al paganesi mo; emoltefeste cristiane de'nostri tem pi ancoraci
ricordano quelle dei pagani. I nomi
stessi dei mesi e quelli dei giorni
della settimana ricordano il pa ganesimo; il carnevale ci richiama i Sa Era
questo un tempo incui lo spirito | turnali, e varie feste cristianenon
sono che trasformazioni di feste pagane
; per chè i vescovi non volendo urtare troppo
sciolto dagli affari s'abbandonava all'al legrezza. Vi si rinnovava la
memoria dell'età dell'oro, in cui nulla
era vietato. I fanciulli presso dei
quali vedevasi l'immagine dell'antica
innocenza, annun ciavano la festa. E ciò, che non sem brerà strano ai nostri
nobili, i quali a vivamente le
inveterate abitudini del vol go, si avvisarono d' ingentilirle e di de viarle
da uno scopo profano ad uno re.
ligioso. Dacchè il culto mitriaco
o solare tutti i patti vogliono essere
democratici | s'introdusse in Roma, fu parimente in in certi tempi,
riservandosi il diritto di non esserli
in certi altri, la servitù spa riva in quel frattempo. I padroni, e nè anche questo deve parere eccessivo, prendevano gli abiti dei loro schiavi, e li servivano; gli schiavi avevano la libertà di esporre i loro sentimenti; e le lagnan ze,
che senza dubbio venivano menomate dalla
politica, erano almeno una risorsa
contro l' oppressione. Converrebbe, dice
Baily, che in tutti ipaesi laverità avesse trodotto l'uso di festeggiare il Natale del Sole; e siccome questa solennità succedeva al 25 dicembre, subito dopo i Saturnali e le Sigillarie,così ella di
venne una festa molto importante: ma i
prelati cristiani vedendo quanto sa rebbe difficile di sradicarla,
pensarono al ripiego di opporne un'altra,
e in quello stesso giorno che i pagani
ce lebravano il Natale del Sole, i Cristiani
celebrarono quello di Cristo. Il ritrovamento di Adone o di Osi- | dai
Longobardi, la quale poi si tra ride, altre due grandi solennità, cade vano
entrambe al 6 gennaio, e i Cri stiani orientali in questo stesso giorno stabilirono la natività e il battesimo
di Cristo, che chiamarono Epifania od il
lustrazione ; ma l'uso romano di cele brare la natività di Cristo ai 25 di di
cembre essendo prevalso da per tutto,
l'Epifania si trasformò in un'altr a festa, cioè nella commemorazione dei Magi. L' Evagelio parlando di quei Magi non indica di loro nè il nome, nè il numero, nè la qualità, nè il paese
natio, dicendo semplicemente che
venivano dall'Oriente, il quale, rispetto
alla Pa lestina dovrebb'essere l'Arabia: in ap presso si ritenne che fossero
tre re, fa cendo allusione alle tre partidel mondo ed alle tre qualità di donativi che por
tarono . I nomi caldaici di Gaspare,
Melchiorre e Baldassare, s'incomincia a
trovarli saltanto nel medio evo, e vuolsi che sieno di invenzione cabalistica. In
fatti, nelle scienze magiche e teurgiche
di quell'epoca, dice ilGiovini, i Magi han no una gran parte:
sipretendeva cheme diante certe formole o purificazioni si po tesse evocarli,
farli comparire, interro garli edavere da loro favorevoliindicazio ni periscoprire
tesori; essi portavano la fortuna,
facevano viucere algiuoco, rive lavano le cose occulte; ma una credu lità più
innocente e che dura tuttavia in più
paesi, si è che iMagi ogni anno, la
notte dell'Epifania, andando in cerca di
Gesù bambino, fanno il giro del mondo, e
lasciano donativi ai ragazzi.
«Lamitologiascandinava racconta
alcun che di simile degli Asi e delle
Ase, cioè degli Dei e delle Dee che
fanno il loro passaggio ad ogni capo
d'anno; e lasciano ricompense ai buoni.
Nel medio evo era pure conosciuta una
Donna Abundia, che in certi tempidel l'anno girava invisibile di casa in
casa e lasciava mancie ed altri segni
della sua generosità. Fanatismo,Esaltazione della men te per
laquale l'uomo lasciasi interamente
padroneggiare da una opinione falsa o
nebre statistica che non si può leggere
senza raccapriccio. Se crediamo
alla Bibbia, l'adorazione smodata. Il
fanatismo s'applica propria- | del vitello d'oro costò agli ebrei 23 mila mente alle opinioni religiose; ma non escludesi perciò ilfanatismo politico,
nè quello che pur puòdarsinelle scienze
o nelle lettere. Ma è principalmente
nella religione ch'esso dispiega tutti i
suoi caratteri funesti, e tal fiata si
trasfor ma in un terribile flagello per l'uma nità. Quando a una stolta
credenza si aggiunge la convinzioneche
il suo trion fo è gradito a Dio, allora non tarda a sorgere l'intolleranza e la persecuzione (vedi questinomi), imperocchè il castigo degli eretici è segno di festa in cielo. Quante vittime abbia fatto il fanati smo, non
è possibile determinare con sicurezza;
magli archivi della storia ci hanno però
lasciati sufficenti dati per stabilire,
se non inmodo certo, almeno certamente
approssimativo, cotesta fu uomini: >
Acotali slanci di un lirismo senti mentale, la filosofia non può
risponde re. « Nella sua critica di Feuerbach, Re nan-come ben dice J.
Roy-ha obbedito soltanto alla sua
antipatia per tutto ciò che è netto,
chiaro, preciso, espresso senza ambagi e
circonlocuzio ni. Nell'accento convinto, nella convin zione stessa egli
trovaqualche cosache rivela una natura
limitata. Le sfuma ture, la delicatezza, la frase, ecco cid ch'egli cerca innanzi tutto, e queste qualità nominate ad ogni istante nei suoi scritti, pare alui che manchino a tutti i pensatori, che osano esprimersi sotto una forma intrepida ». Si vede cheRenanhaviaggiato l'ltalia per diletto, e volle trarne il più gran partito per le cognizioni scientifiche. S'egli abbia scoperte, l'originidelle tra
dizioni contemplando le vergini del Pe rugino o l' estasi di santa Caterina, è cosa ch'io non oso decidere, non es sendovi
poeta che non scopra tante cose nuove in
una effige di donna; ma ad ogni modo
Feuerbach può ben con solarsi di non essere mai venuto in Italia per studiare l'antichità in
quella guisa, specialmente per trarne tante scempie conclusioni.Ma s'egli non con templò
nè vergini, nè sante, può ben vantarsi
di avere, e lungamente assai,
contemplata e studiata la natura senza
artifizi e senza esagerazioni. 1
GALIENO G 401
Gall (Giuseppe ) È il fondatore | zione gli fu fatta dallascienza
ufficiale. •il padre dellafrenologia,
quella scien za che ha portato i più duri colpi
alle dottrine teologiche sul libero arbi trio. Uno dei dieci figli di un
modesto mercante di Tiefenbrunn,
villaggio nel granducato diBaden, egli
venne affidato alle cure di uno zio, che
gli fece dare le prime lezioni d'
anatomia dal celebre professore Hermann.
Fatto adulto im prese uno studio affatto nuovo. Confron tava fra loro le teste
sì dei vivi come dei morti, e dalla vita
di coloro cui ap partenevano, e dalle diverse protube ranze chepresentavano,
egli comincio a stabilire la sede delle
varie facoltà. Lunga e penosa fatica fu
la sua, ma e gli ebbe campo di fare ungran numero di osservazioni, poichè a lui dischiude vansi
le porte delle prigioni e dei ma nicomi, ed alui si consegnavano le teste dei giustiziati. Narrasi che la sua peri zia
nel riconoscere le tendenze umane fosse
tanto secura, che al solo esaminare il
teschio di un giustiziato ei sapeva sco prire il genere del suo delitto.
> Egli è ben veroche i panspermisti
af fermano esser l'aria un gran serbatoio
di germi, ma infine, a cui spetta di
provare l'esistenza di questi germi, se
non a loro stessi ? Or l'esame micro scopico dei corpuscoli dell' aria
dimo stra bensì che essa contiene degli avan zi di fecola, grani di silice,
filamenti di lana, cotone o seta,
particole di terra o di fumo, avanzi di
vegetali o d' insetti morti, ma germi
pochi o punti. Non altrimenti che per
eccezione si trova qualche spora e
qualche raro infusorio; ma l'eccezione
può ella mai costituire la regola? Gli
elementi della polvere dell' aria
variano secondo che si esami ni quella raccolta nelle città popolose oppur quella delle solitudini, ma in ogni caso l'assenza di germi vegetali o animali è sempre un fatto caratteri stico.
Le polveri introdotte dall' aria nelle
ossa pneumatiche degli uccelli ne sono
una prova evidentissima: tra quella
fornita dalla gallina che vive nelle no stre case e quella che si trova
nelle ossa del falco selvatico vi è
notabilissi ma differenza; ma nè l' una nè l'altra somministrano prove della pretesa dif fusione
dei germi come vogliono i pan spermisti.
D'altra parte egli è pur forza rico noscere, che le prove degli
eterogenisti sono abbastanza concludenti
per respin gere ogni contraria ipotesi. Entro un provino di vetro, Pouchet pose una ma
cerazione filtrata atta a generare dei `
pre nell' ovario d' individuo della stessa
specie (omogenesi), mentre gl' infusori | cerazione verso entro un
piatto di cri grossi microzoari ciliati, e la stessama 410 GENERAZIONE SPONTANEA stallo, nel mezzo del quale pose il pro vino.
Indi copri l'uno e l'altro con una
campana di vetro immersa nell' acqua
onde moderare l' evaporazione. In capo
acinque giorni, con una temperatura
media di 20 gradi, il provino presen tavaunaquantità di microzoari
ciliati, mentre il piatto appena allora
dava segno d' incominciare la formazione
di qualche monade senza microzoari
ciliati. Bastò dunque una differenza
nellaquan tità del liquido per produrre così diversi risultati; cosa tanto più provata, inquan
tochè il signor Pouchet diminuendo il liquido
del provino e quello del piatto
aumentando, ha potuto ottenere dei ri sultati inversi. Or come
potrebbero spie garsi cotali differenze se gli stessi ger mi devono essere
caduti nel piatto e nel provino, il
primo dei quali sottostava
immediatamente all' altro ? Altro
sperimento ancor più decisivo è il
seguente, pure fatto dal Pouchet:
> Giorgia. Nacque inLeonzio
nella Sicilia verso l'anno 845 avanti G.
C. 1
Fu discepolo di Empedocle ma non
segui la scuola del maestro . Versato
nella sofistica di Melisso e di. Zenone,
possiamo conoscere- Invero, acciocchè
un oggetto possa essere conosciuto con verrebbe che il subbietto della
cono scenza si confondesse con lui. Ma lo
spirito divieneglibiancoperchè pensa alla bianchezza? Se così fosse, se lo spirito s'identificasse con l'obbietto del pensie 426 GIUBILEO
ro, noi non potremmo pensare che alle
cose concrete, ma si sa bene che noi
pensiamo anche alle cose astratte.
3. Se qualche cosa esiste, e può es sere conosciuta, non possiamo farla
co noscere agli altri. Ciascun senso è
pria, ma non in altre. La vista perce pisce i colori, ' udito i suoni,
ma la tarle, vuolsi aver riguardo
nell'accettare le conseguenze che
Platone specialmente deduce da
quest'autore in rapporto alla
morale. Che Giorgia insegnasse
esseredestino dell'uomo il cercare la
felicità, è cosa competente nella sfera
che gli è pro- | ovvia; ma ch' egli trovasse questa feli cità nella potenza, e
insegnasse essere diritto del più forte
il soggiogare il de bole, e che le leggi son de'vincoli fatti pei deboli, lecito ai forti d'
infrangere, prima non può percepire i
suoni, il se condo non può percepire i colori. Or quando noi parliamo,che cosa trasmet tiamo ai
nostri simili? De'suoni, e nul l' altro che de'suoni. Il linguaggio ar riva
tutt'intero all' orecchio. Or l'orec chio non può percepire nè le idee, nè gli obbietti, se no gli obbietti e le
idee sarebbero la stessa cosa delle
nostre parole. Coteste argomentazioni non sono, per le son cose che, con tutta pace degli avversari di Giorgia, credere non posso. Con tali principii il filosofo di
Leonzio nè avrebbe eccitato l'
entusiasmo della popolazione greca, nè i
cittadini d' Ate ne l' avrebbero pregato a soggiornare nella loro città, ove la necessità del ri
spetto alla maestà della legge non si
verità, tutte esatte, maben si vede che, | convincimento. al postutto, Giorgia già applicava le ragioni del sensualismo. Sta bene che colla parola non si possa dare l' idea può dire non fosse entrata nel comune dei colori: questo è un fatto che tutti possono sperimentare sui ciechi nati, Ma poichè i colori si percepiscono da noi direttamente, la parola che n'è la rap
presentazione può sempre darci una idea
dei rapporti che passano fra le
percezioni giàprovate. Una volta che la
bianchezza sia stata percepita dall' oc chio, tutte le volte che
l'orecchio sen tirà quel nome, nel cervello sirisveglie rà quella stessa
sensazione che abbiam provata la prima
volta. È vero che quella sensazione è
tutta dentro di noi, e non fuori di noi,
poichè fuori di noi in quel momento
esiste il suono che produce la parola
bianco, ma non la bianchezza stessa: ed
è qui appunto che Giorgia avrebbe avuto
ragione d' intro durre il dubbio sulla esatta corrispon denza fra le nostre
sensazioni e le cose esterne. Degli scritti di Giorgiala sola notizia che ci rimane è laconfutazione di Pla tone e
di Aristotile. Ma comechè costoro
esagerano oltremisura le sue dottrine
per avere il facile vantaggio di confa Gioviniano.Austero cenobitache viveva in Milano sulla fine del quarto secolo. Dopo essersi sottomesso alle più austere privazioni, recatosi un giorno a Roma, fusedotto dalla piacevolezza della vita che colà si menava, onde cambiando parere intorno alle cose che fino allora aveva reputate sante, incominciò ad in
segnare che l' astinenza non giovava a
nulla, e che meglio conveniva il man giar cibi buoni che i cattivi; che
la verginità non era uno stato più
perfetto del matrimonio, e che non si
potrebbe ammettere che Maria fosse
rimasta ver gine dopo il parto senza cadere nell' er rore dei manichei, i quali
a Gesù attri buivano un corpo fantastico. Fu con dannato da papa Siricio e
nell'anno 412 relegato dall'imperatore
Onorio nell'Isola Boa in Dalmazia, ove
morì fra le pia cevolezze della vita, come compenso alle sofferte miserie della gioventù. Giubileo. Presso gli ebrei così chiamavasi ognicinquantesimo anno, nel quale i prigionieri e gli schiavi dove vano
essere liberati, le eredità vendute
ritornare agli antichipadroni, e la terra restare in riposo. (Levitico Cap. XXV, XXVII). L'anno del giubileo era fon
GIUDAISMO dato sopra la simbolicadel
numero sette, perocchè decorreva appunto
nell' anno successivo a quello che
chiudeva sette 427 aRoma,quindi nuova impazienza nella generazione sopraveniente, checerto non vorrà attendere il 1446, eche sarà ten
settimane di anni 7×7=49. Altra cosa è
invece il giubileo nella chiesa
cattolica. Questo è indulgenza plenaria
concessa dal papa a tutti i fe deli che visiteranno in Romale Chiese di S. Pietro e S. Paolo, e differisce
dalle indulgenze ordinarie, perchè in
tempo di giubileo il papaconcede ai
confessori la facoltà di assolvere anche
dai casi riservati. Dapprincipio ' indulgenza plenaria fu concessa ai crociati che si recavano acombattere perla liberazione del Santo Sepolcro. Ma quando infine i popoli fu rono
lassi di farsi sgozzare ad onore e
gloriadella chiesa, sipensò di concede re queste stesse indulgenze a
quei pel legrini che si sarebbero recati àvisitare il Santo Sepolcro. Nondimeno anche que sto
viaggio era lungo assai, assai di spendioso e nel medio evo non si ave vano
tante strade di comunicazione co tata di cogliere al volo la cifra tonda dell'anno 1400. Sotto pretestodunque che il giubileodi trentatre annidi trop po
affaticava la divina clemenza, fu ri stabilito il periodo più lungo di cin
quant' anni, e per meglio attenderlo si
ricominciò a contare gli anni partendo
dal 1400 con nuovo giubileo. Fiù tardi
Paolo II non attese nè 50 nè 33 anni,
e giunto al 1425 liberò alla volta sua
tutte le anime del purgatorio, fissando
il periodo di 25 anni che attualmente
sussiste. Maquante ampliazioni aggiunte
col progresso dei tempi! S' inventarono
i giubilei senza pellegrinaggio, i giubi lei parziali, i giubilei all'
occasione di grandi avvenimenti, come il
giubileo di Pio IX, i piccoli giubilei
delle città, dei vescovadi, degli altari
miracolosi, insom ma i giubilei venduti acontant, e traf ficati in mille
modi. Lo storico Francesco
Gucciardini me al dì d'oggi. Verso
l'anno 1300 il assicura che nel 1500 sotto i Pontifi papa Bonifazio VIII pensò
di tirare l'ac- cato di Alessandro VI il giubilo fruttò qua al suo mulino,convertendo il pel- | alla
Chiesa grandissimaquantita di oro,
legrinaggio in terra santa in un pel legrinaggio a Roma. Questa fu
l'origine del Giubileo che doveva
decorrere ogni 100 anni. Ma tanta
felicità, dice unauto re, non poteva differirsi poi d'unsecolo, e Clemente VII abbrevia il periodo dell'a
spettativa riducendolo a cinquant' anni;
argento, gemme e altre cosepreziosis sime; il Bembo dice, e il Sapi
ripete, come questo caritatevolissimo
Papa, dal solo stato veneziano, in quell
anno di grazia 1500, ritraesse 799 libbe
di oro. Giudaismo.Religione
egliebrei, o de'giudei, così detti
perchè sortirono dalla tribù di Giuda,
undei fgliuoli di per cui nel 1350
affluivano di nuovo i pellegrini da ogni
paese dell' Europa | Giacobbe, a cui il padre predisse che verso la capitale del mondo cattolico. La frenesia, invecedi diminuire, cresce va:
ad ogni giorno dell' anno santo en travano seimila pellegrini in Roma e ne uscivano altrettanti: appena si può com
prendere tanto trasporto. Dopo il 1350
bisognava attendere fino al 1400 per
ottenere una nuova remissione: ma non
seppero rassegnarvisi i credenti, ed
Urbano riduceva il giubileo al periodo
di trentatrè anni, in commemorazione|
della vita di Cristo. Ecco un nuovopel legrinaggio nel 1383, altre turbe
affluenti | avrebbe lo scettro della
nazime. All'articolo PENTATEUCo na
vedremo che la pretesa antichità di
questa reli gione, la qual si crede anterore ad o gni altra anche orientale,
opinione fondata sopra documenti aporifi,
l'an tichità dei quali non risale otre l'epoca
di Zoroastro. I dommi del
giudaismo ono quelli stessi i quali si
pretende cheMosè ab bia rivelati al popolo d' Ismele, e che sono contenuti nell' Antico Testamento. Quali poi sianoquesti domm, non tutti concordano
neldeterminare, imperocchè le mutate
condizioni della vita, la ci viltà introdotta, e le religioni stesse fra cui vivono gli ebrei, hanno dovuto ne
cessariamente corrompere le antiche tra dizioni, irgentilirle o migliorarle
secondo l'influenza de'vari paesi. Ècerto intanto che le credenze del cenni alla rimunerazione che l' anime dei giusti riceverebbero in un'
altravita. Il vivere lungamente, e '
odio di Dio fino alla terza e quarta generazione
dei reprobi, son le sole ricompense e le
sole penechecommina lalegislazione
religio sa degli ebrei. Son noti i passidell'Eccle siaste attribuito a Salomone
(II 20-34; giudaismodedotte direttamente
dalla fon- | III 12, 13; 19, 22; V, 18; VIII, 15; te primadella rivelazione mosaica, vo glio
dire dal Pentateuco, ci rivelano una
religione grossolana e materiale, inse gnanteunDio corporeo, locale,
limitato nel suo potere dalla possanza
degli altri Dei de' pæsi circostanti ;
un Dio unico sì, ma unico soltanto pel
popolo d'Israe le. « Il Signore è più grande di tutti gli Dei, dire l'Esodo (XVIII). Il Signore
| l'ha condato solo, e con luinon vi
era alcun Diostraniero (Deut. XXXIII,
12) Nonvi è azione,perquantosia
potente, i cui Dei siano più presso ad
essa di quanto lo sia il nostro anoi.
(Id. IV, 7). Ciò che possiede il vostro
Dio Chamos non vi appartiene di pien
diritto? Ciò che il nosro Dio ha
ottenuto colle sue vittorie dive dunque
venire in nostro potere (Gid. I, 24)».
Ilpoliteismo inva dente in quei tempi, non rivelasi con grande evilenza in questi passi ? In
qual conto gli orei tenevano il loro
Dio, se non inquelo di un
esseresovranaturale, potentissimo, nel
quale riponevano tutte le loro spelanze
per soggiogare gli Dei delle altre
nazioni ? Essi esaltano cote sto suo pobre, lo proclamano il primo e l'inarrivabile, con quello stesso
spirito d'orgoglio nazionale con cui
avrebbero esaltata la jotenza e la
superiorità del loro re. Coesto Dio ha
corpo e mem bra umane, id è limitato nel suo potere così come nella sua essenza; madei vol gari
antropmorfismi della Bibbia ho già
discorsoall'articolo Dio. IX,4,9;) nel
quale cotesto re parago nando gli uomini alle bestie dice che lo stesso avviene degli uomini
comede'bruti, che tutti hanno un
medesimo fiato, e come muore l'uno, cosi
muore l' altro. 1 fedeli credono di confutare
tutta la costante tradizione
dell'antichità ebraica opponendo un
passo di Tacito, ov' egli dice che le
anime de'morti in guerra per giustizia
gli ebrei tengono immor tali (Histor. lib. V, 5). Opporre Tacito all' Antico Testamento mi par che sia cosa singolarissima; nè so quanti siano disposti a credere allo scrittore
latino, il quale degli ebrei non seppe che
quel poco che gli fudato d'intendere,
contro l'esplicito silenzio dei codici
religiosi del popolo d' Israele. D'altra
parte non è impossibile che ai tempi di
Tacito gli ebrei, o molti fra essi,
credessero alla vita futura, come ci
credono oggidì. Il commercio cogli altri
popoli hapur finito a far prevalere fra
gl' israeliti molte credenze straniere
alla dottrina mosaica, e l'essere ancora
esistita ai tempi di Gesù una setta
sacerdotale, laquale ne gava l'immortalità, è cosa che mi pare che possa ben provare l'antichità di questa dottrina. Perfino Bossuet vescovo di Meaux, ne convenne. Ancorchè, scri veva
egli, gli ebrei avessero nelle loro
scritture alcune promesse della felicità
eterna, (quali?) e verso i tempi delMes sia, ne'quali essere dovevano
dichiarate, e ne parlassero di vantaggio
nei libri Lo spirio è anch' esso
ignorato da gli ebrei, econ lo spirito l'immortalità. ❘ apocrifi!); tuttavolta questa verità fa Nel decalog il premio promesso a co loro che
onereranno ilpadre lamadre tutto consise
in una lunga vita, né vi ènel Pentateuco
alcun passo che ac della sapienza e dei Macabei (che sono ceva si poco un domma universale del popolo antico, che i Sadducei, senza ri
conoscerla, non solo erano ammessi nella
Sinagoga, ma ancora innalzati al sacer GIURAMENTO dozio. È uno dei caratteri del popolo nuovo il mettere per fondamento della religione la fede nella vita futura: e que
sto doveva essere il frutto della venuta
del Messia. (Bossuet, Discorso sulla Sto ria Univ. 2 parte c. VI). 429
storo S. Paolo scrisse la sua epistola ai Galati, dalla quale pare che anche S. Pietro non fosse immunedaquesta ten denza
giudaizante (Gal. II, 14) Giudizio
universale. (Vedi MONDO) Toltiquestidommi fondamentalidelle religioni moderne, vale a dire la spiri
ritualità di Dio e l'immortalità dell'ani Giuramento. Promessa formale di dire la verità o di adempiere a un impegno assunto, fatta nel nome di Dio o su quanto è più caro e più sacro al l'uomo.
L'uso delgiuramento come mezzo atto ad imprimeremaggior
solennità alle promesse, è antichissimo,
e la Bibbia stessa ce ne offre non pochi
esempi. Abramoprotesta congiuramentoche
non accetterà i doni del re di Sodoma
(Gen. ma, della religione giudaica altro
non rimane che la parte cerimoniale,
piena di superstizioni e di pratiche
assurde. Ciò non toglie che gli ebrei
non vi fos sero e non visiantuttora attaccati, tan tochè essi dicono che il
culto esteriore prescritto dalla loro
legge è più per fetto e a Dio più accettevole che non la | XIV, 22);
eglipoigiura con Abimelecco pratica
delle stesse virtù morali. (Gen. XXI,
25); quindi fagiurare aun Gli ebrei
dalla loro dispersione in poi suo servo che non andrà a pigliare la hanno cessato di sacrificare all' Eterno,
sposa d'Isacco frale Cananee. ed invece
de' leviti o sacrificatori, non Isaccorinnovacon giuramento l'alleanza Lanno più che certi dottori, chiamati |
fattadaAbramo con Abimelecco (XXVI,
Rabbini, i qualiinsegnanola legge nelle
sinagoghe. E i dommi della spiritualità
di Dio e della vita futura si sono quie tamente infiltrati in tutte le
loro sette, pel lungo commercio ch'essi
ebbero coi popoli frammezzo ai quali son
vissuti. Giudaizanti. Nell' occasione di tutte le riforme v'hanno uomini che sono sollecitati ad abbracciare le nuove
idee, e al tempo stesso temono di
abbando nare l'antica strada. Costoro appartengo no ai tempi nuovie aivecchi
insieme, e sonqueconciliatori che
vorrebbero unire insieme i contrari, e
creanonuove scuole e nuove sette, che
sono tanto logiche quanto lo è al dì
d'oggi quel partito che nella Germania
s'intitola dei vecchi cattolici, sebbene
in fondo siano cattolici nuovissimi
appena sortijeri. Così nel primo secolo
del cristiane simo furono detti giudaizanti quei giudei convertiti, i quali asserivano bastare
la fede in Gesù Cristo per salvarsi, ma
che nel resto conveniva esser fedeli ai
riti e alle cerimonie giudaiche ordinate
dal l'antica legge, come l'osservanza del
sabato, della circoncisione, dell' asti nenza da certe carni ecc.-Contro
co 3); altrettanto fa Giacobbe con Labano
(XXXI, 53); e Dio stesso giurando sul
suo nome a conferma delle promesse
fatte ad Abramo, dice: «Per me mede simo io ho giurato... Io ti benedirò
e moltiplicherò la tua stirpe come le
stelle del cielo. (Gen.). Altri e sempi
e altre formole di giuramento si trovano
nel libro dei Giudici VII, 19 e nel I
dei Re XIV, 44. L'Antico Testamento non
solo adun que ammette il giuramento, maquasi
l'impone. Solo interdice di giurare pel
nome degli Dei stranieri (Esodo XVIII,
13); e nel primo comandamento ag giunge: « Temerai il Signore Dio
tuo, e lui solo servirai, e pel nome
dilui farai giuramento (Deut.). Nonostante che Gesù affermasse di essere venuto, non per distruggere la legge, ma sì perconfermarla, egli con
traddice apertamente e ipatriarchi, e i
profeti e Dio stesso che giurò l'alleanza con Abramo.
e gli apri rono d' innanzi l'ampio orizzonte della sua nuova filosofia. Distrutto il principio di causalità, tolta la certezza che l'effetto è neces
sariamente prodotto dalla causa, ne de rivava la conseguenza che nulla vi
è di certo nelle nostre conoscenze: nem
meno l'esistenza delle cose esteriori
aun altro fatto che è causa, e non è
causa per altro che perchè precede l'ef fetto nell'ordine del tempo
(vedi EFFET то). Ond'egli conchiude che neanche la fisica argomentando dall'unione di certi |
l'universo, e nella Storia naturale della
può essere dimostrata. Imperocchè se
vedere, toccare, sentire in qualsiasi
modo le cose esteriori non può essere
effetto dell'esistenza stessa di queste
cose, havvi luogo a dubitare che esse
esistano. Hume evita però di cadere
nell' idealismo di Berckeley, (v. questo
nome) mantenendo la realtà dell' uni verso, per altro, senza
positivamente affermarla. Egli dubita
ancora della re altà sostanziale dell' io individuale, il quale si risolve in una semplice colle zione
di idee, dubita quindi dell'anima, e
alla ragione nega la facoltà di nulla
affermare sull'esistenza e gli attributi
di Dio. Nei Saggi combatte la prova di
questa esistenza dedotta dall'ordine del fatti che tutti i fatti simili
saranno sem pre simili, fa una dimostrazione intuiti vamente evidente. Manco la
scienza fisi capuò quindi essere principio di cer tezza. Perchè noi dalle cose
che sono siamo indotti a prevedere
quelle che saranno? Hume ammette che
l'abitudine e l'esperienza c'induconoa
far cid: ma laconnessione necessaria fra
questi fatti ci sfugge, e quando i fatti
non corri spondono alle nostre previsioni noi non sappiam più concepire fra loro alcuna connessione necessaria. Lanegazione del principio di cau salità tende
nientemeno che a distrug gere il fondamento d'ogni certezza e sol levò contro
di Hume grandissime prote ste, talchè Reid,Dugald Stewart, Brown e altri scrissero energicamente per soste nere
le fondamenta minacciate del dom religione distrugge ancor quella delle cause finali.
Hus Giovanni. Decano della fa coltà di teologia e Rettore dell' univer
sità di Praga. Visse nel secolo XIV e fu
contemporaneo di Wicleff, del quale
disapprovò le dottrine siccome eretiche,
mentre poi protestava nonconvenire che
i libri di lui fossero dati alle fiamme.
Senza voler toccare alcuno dei dommi
fondamentali del cattolicesimo, mostrava
egli delle vaghe aspirazioni verso una
riforma della Chiesa, e specialmente dei
costumi del clero, al quale vanamente
tentò di insegnare la tolleranza. Fu in
quel tempo che il papa bandiva la cro ciata contro Ladislao re di
Napoli, e pubblicava una bolla nella
quale «pre >> Sono poche e sobrie
parole, ma che per essere di un santo,
in questions teologica, non valgono meno
di quelle 476 MACOLATA CONCEL d'ogni filosofo. Tradotte in buon vol gare e
adattate aitempi nostri, esse di cono chiaro, che non ci voleva meno della inesperienzadella curiaromana per comporreundommacosìcontrario aquel lo
dell'Incarnazione, il quale è la pietra
oratore, non reggono ove si mettano al
paragone collaverateologia. Maracconti
siffatti non sono insegnamenti di fede;
nè il saggio cristiano deve appoggiare
il grande interesse dell' anima sua a
dubbiose o finte leggende. Non contenti
di tante feste instituite in onore della
angolaredel cristianesimo. Avvegnachè,
se Iddio si è incarnatoper salvare tutti gli | Vergine, che superano
quelle fatte in uomini, nessuno
eccettuato, dal peccato originale, segno
é ch' egli non poteva onore di Gesù, ne
vanno meditando ogni salvarli senza
incarnarsi. Ma dal mo mento che Maria, creatura umana, nata da umani genitori senza divina incuba zione,
ha potuto veder la luce senza macchia,
vale a dire senza peccato ori ginale, segno è che l'incarnazione a lei non ha giovato; cosa che è contraria perfino al Vangelo. Ascoltiamo ora le parole di Monsi gnor Godeau,
Vescovo di Vence: « La divozione verso
la santa Vergine, dice egli, andò sempre
crescendo dopo la condanna di Nestorio,
e l'ignoranzadel popolo giunse a tal
segno ne'secoli se guenti, che vi si commisero molti ec cessi, di maniera che
quando le eresie di Lutero e Calvino
vennero al mondo, era sì grande la
superstizione su questo conto, che
faceva gemere chiunque co nosceva sino aqualtermine debba andare l'onore dovuto alla madre di Gesù Cri sto ».
E il padre Petavio, quantunque gesuita,
non aveva difficoltà a confessa re « che convien dare avviso ai pane giristi e
devoti della Vergine santa, perchè si
guardino bene dal non la sciarsi troppo trasportare dalla pietà e devozione verso di lei. La qual sorta di idolatria S. Agostino chiama occulta ed innata nel cuore degli uomini ». Finalmente anche il Muratori, uomo pio e di non sospetta fede, scriveva: Convien ricordarsi che Maria non è Dio, come giàci avverti S. Epifane e dopo di lui Teodoreto. Noi udiamo dire talvolta ch' essa comanda in cielo. So
briamente s'ha da intendere queste ed
altre simili espressioni, che cadute di
bocca al fervore devoto di alcuni santi,
e all'ardita eloquenza di qualche sacro
di delle nuove ». Ma il lato più
curioso diquesto dom ma, non tanto consiste nel modo vio lento della sua
proclamazione, quanto nel fatto, che
esso non trova neanche una linea di
conferma negli evangeli. E per vero,
tutti gli altri dommi, o bene o male
fondati, furono nondimeno in qualche
modo innestati sulla rivelazione
evangelica, che è la base fondamentale
di tutto il cristianesimo. Invece se gli
evangeli ci narrano la portentosa incu bazione di Gesù fatta per opera
dello Spirito Santo, in quel modo che
tutti sanno, non ci dicono però che
Maria sia essa pure nata senza peccato,
nè tampoco ci parlano dei suoi genitori,
i quali non vi sono menzionati
nemmanco di nome. Dov'è dunque che Pio IX
ha tratta la sua storiella della
Immacolata Concezione, e con quale
ardimentosa impudenza osa egli
pretendere di essere informato intorno
ai genitori di Maria, meglio di quanto
nol siano li evangeli sti? Chi gli ha detto che Anna e Gio vachino abbiano
generataMaria, e l'ab biano generata senza macchia? E se gli evangelisti, i quali ebbero la mis sione
di trasmetterci la storia dellapre tesa salvazione del genere umano, tac quero
di un sì grande ed augusto av venimento, sarà Pio IX, quegli che,die cianove
secoli dopo, potràsmentire quel loro fin
troppo eloquente silenzio ? Molti al
certo avranno vaghezza di conoscere
d'onde Pio IX e i panegeristi abbiano
tratta la storiella di Anna e Giovachino
e della loro concezione im macolata; ma negli apocrisi e non al trove convien
cercare la sua origine. È infatti, nell'
evangelo APOCRIFO della IMMAGINAZIONE
Nascita di Maria e nel Protovangelo
egualmente APOCRIFO di Giacomo, che
per la prima volta si ha notizia del
la nascita di Maria. Affrettiamoci pe rò a dire, che nemmeno questi
due antichissimi evangeli, ci parlano
della 477 scritture apocrife. Questo domma che compendia in sè tutte le contraddizioni del cristianesimo, se è il penultimo
nella serie cronologica, non chiude però
la porta a tutti gli altri a cui la
Chiesa può essere condotta nell'orgia
della su perstizione. Già molti inneggiano ad
un culto speciale per S. Giuseppe, e
speriamo che lo dichiarino anch'esso
sine labe, con molti altri, finchè la ra Immacolata Concezione. Narrano
essi soltanto che Anna e Giovachino
di Betlemme la prima, di Nazaret il se
condo, erano persone devote e pie, e tro vavano grazia presso Iddio,
avvegnache| gione ed ilprogresso, spazzatevia tutte alla chiesa ed ai preti donavano la
terza parte delle loro rendite. Anna
però era sterile, cosa che grandemente
l' acco rava, essendo dagli ebrei la sterilità ri guardata come una
maledizione, con le fiabe inconcludenti o assurde e le in venzioni sul peccato
originale, tutti non ci proclami
immacolati infaccia a quella natura che
tutti ci fa ad un modo. Immaginazione .
La filosofia greca, più ragionevole di
molte scuole forme al passo d' Isaia:
maledetta la donnachenonhagenerato in
Israel (Is.| moderne, non vedeva nella immagina C. IV. 1.). Ma un giorno
Giovachino conobbe che finalmente i suoi
voti sa rebbero esauditi, e che Anna, a so miglianza di Sara, genererebbe una
fi glia, che sarebbe la madre del Salvato re. Questa notizia, ebbe Giovachino
me diante l' annunciazione d'un angelo, е
tal fu la sua gioia, che muto essendo
acquistò la favella. Avvertasi però che
' apocrifo non parla qui dello Spi rito Santo, anzi dice chiaro che
gli sposi, rassicurati della prole,
resero grazie a Dio, e tornati a casa
attesero con gioia la divina promessa;
il che ci lascia supporre, onestamente,
che nel frattempo del loro meglio
cooperassero per realizzarla. Il
Protovangelo di Gia como aggiunge ancora che Giovachino dopo l'annuncio donò alla Chiesa do dici
vacche e cento becchi, e che in quel
giorno egli riposò nella sua casa per la
prima volta. Ecco a quali fonti il Santo
Padre ha attinta la rivelazione dell'
Immacolata Concezione. Colla sua
infallibilità egli nonha temuto questa
volta di dichia rare infallibili anche i libri che gli altri papi avevano dichiarati falsi, e i
Vescovi del Concilio Vaticano non
temettero di in zione altra facoltà che quella di ripro durre le percezioni dei
sensi e di rap presentarci alla memoria gli oggetti percetti anche allora che non erano più presenti . Platone stesso e Aristotile ri
ducono la φαντασία allamemoria im maginativa. I mistici d'Alessandria sono i primi che vogliono considerare nella immaginazione una facoltà speciale de stinata
a rappresentare le immagini e gli esseri
del mondo intellettuale; per cid essi insegnano che l'immaginazione sopravvive al corpo,segue l'anima nelle regioni celesti e divien facoltà dei
beati. A' di nostri non sono pochi
coloro che persistono a vedere nella
immagi nazione una facoltà creatrice; ma è for tuna che molti ancora abbiano
ricono sciuto il nessun fondamento di questa
opinione. Tutta la scuola sensualista e
ideologica ha ammesso e hadimostrato
che l'immaginazione non è infine che
il risultato della percezione. Riprodurre fedelmente una impressione provata è ufficio della memoria; combinare insie me
parecchie impressioni è immagina nativa. Chi ha fervida immaginazione può combinare molte idee e molte im magini, e
formartipi che possono parer nuovi, ma
che nuovi non sono; impe vocare la inspirazione dello Spirito Santo, sotto il patrocinio di un domma fab- rocchè
nessuno crea, nè nella scienza bricato
sulle notizie, che ci danno le nè nell' arte (v. ARTE) e le cose anche 478 IMMANENTE
più nuove possono tutte ridursi all' o rigine immediata dei sensi.
L'immagi nazione è così poco creatrice ch'essa
non è mai giunta a concepire manco
la possibilità di un senso nuovo, di una
nuova maniera di percepire i fenomeni
Chi ha immaginazione, ha copia d'idee,
penetrazione e attitudine ai lavori in tellettuali; ma chi ha
immaginazione ec cessiva, nè sa dominarla e ridurla nei confini della ragione, prende spesso i fantasmi della sua mente per cose sal de; con
quelli foggiasi teorie e sistemi, i
quali perciò appunto che sono imma ginari trovano poi benpoco fondamen to nella
realtà. Nei fanciulli e nei po poli incolti ma di svegliato ingegno la immaginazione e eccessiva, e gran par te de'
loro errori deve imputarsi a ciò ch'
essi per mancanza di sufficenti co gnizioni sperimentali, mal riescono a se
parare nei loro strani concepimenti cid
che appartiene all'immaginazione,da ciò
è della realtà (v. SENSUALISMO E IDEE
INNATE). Immagini (Culto delle).
Domma cattolico stabilito dal Concilio
di Trento nella sessione XXV. « Comanda
il Con cilio che debbono tenersi e conservarsi
principalmente nei Tempi le immagini
di Cristo, della Vergine madre di Dio e
d' altri Santi, e che loro deve darsi il
dovuto onore e venerazione: non perchè
si creda esservi inloro qualche divinità
o virtù, per cui debbasi rispettare o
perchè da esse debbasi chiedere nulla ;
o perchè abbia ad aversi fiducia nelle
immagini, siccome in altri tempi face vano i gentili che riponevano la
loro speranza negl' idoli, ma perchè
l'onore che loro si dà si riferisce a'
prototipi che rappresentano; talmente
che per le immagini che baciamo, e
innanzi alle quali stiamo a capo
scoperto, e ci prostriamo, adoriamo
Cristo e veneriam i Santi, dei quali
esse hanno la somi glianza ». Il decreto
del Concilio è assai pru dente e poco appiglio offre alla critica dei protestanti. Il Concilio parla di ve
nerazione è di onori da rendersi alle
immagini, ma di culto positivo il suo
decreto parla punto. Pure i riti catto lici sono siffattamente
combinati, che nell'opinione comune le
messe in onore dei Santi, meno si
riferiscono al Santo stesso che all'
immagine sull'altare del quale si
officia. E poichè avviene che nelle
menti vulgari i simboli finiscono sempre
a sostituire le cose rappresen tate, così quegli eccessivi onori che nelle chiese si rendono alle immagini, si ri
solvono infine in un vero culto tributato
alle medesime. Tutte le sette cristiane
le quali nè ammettono il culto, nè gli
onori alle immagini, oppongono a'
cattolici che l'antico testamento in più
d'un luogo e perfinonel Decalogo, vieta
positivamente di farsi immagine alcuna e
render loro qualsiasi culto (Esodo XX,
4; Levitico XXVI, 1 ; Deuter IV, 15; V,
8). Ma i cattolici rispondono questa
proibizione esser stata giusta e
necessaria in quei tempi, stante la
invincible tendenza degli ebrei
all'idolatria; nullameno avere Mosè
stesso sovrapposto all'arca dell'al leanzadue Cherubini, e Salomone averne fatto dipingere sul muro del tempio e sul velo del Santuario. Or gli è ben po
sitivo che quanto lo stesso autore dei
libri che contengono quel divieto, si fa
lecito d' infrangere il comandamen o,
hanno ben diritto a venia i cattolici se
imitano l'esempio suo e nonrinunciano
a costumanze che tanto profittano al l'esterno splendore materiale del
loro culto. Vedi ICONOCLASTI) Imananente. (Da manere restare, e in dentro) Aggiuntivo di atto, per di
stinguerlo dal transitorio. L'atto imma nente è quello che si compie dal sog
getto e che rimane nel soggetto stesso
senz'altro termine fuori di lui. In questo senso i teologi insegnano che Dio cred il figlio e lo Spirito Santo per atti im
manenti, imperocchè nè il Figlio nè lo
Spirito son fuori di lui, ma son Dio
stesso. La creazione invece è atto tran sitorio. In senso non dissimile
Spinosa IMMORTALITA poteva dire che Dio
è la causa imma nente e non transitoria di tuttele cose, perocchè nel panteismo di Spinosa l'uni versalità
delle cose, è Dio stesso. (Etica
479 più lungo quanto più lontano
il mo vimento deve trasmettere i suoi
effet ti. Or se l'azione di Dio a distanza im Jib. 1 prop. 18). Non vi è altro
caso fuor di questi due in cui la voce
imma nente possa usarsi in senso proprio. Ma
nel traslato si usa ancora nella filosofia moderna per indicare un' azione e una attività continua inerente al soggetto. Così suol dirsi che la causa immanente del movimento è la materia, in quanto si ammetta che laforza generatrice del movimento è attributo intrinseco di
essa, in essa si manifesta e vi rimane
eter namente. Immenso. Attributo che si
sup pone in Dio, in virtù del quale egli è
presente dappertutto. Questa proprietà,
come ognun vede, è in contraddizione
con una delle più elementari nozioni
della fisica, l'incompenetrabilità dei
corpi ; perocchè dove corpi esistono,
altre sostanze non possono stare. È vero
che Dio è uno spirito,ma, infine, o spi rito o corpo, sostanza bisogna
pur che sia, e nel posto occupato da
tutta la materia di che son fatti i
mondi, non potrebbe stare altra sostanza
per sotti lissima che sia. I primi padri
della Chiesa, i quali ammettevano che
Iddio fosse corporeo, negavano
implicitamente la sua immen sità ; per la stessa ragione la negavano i Manichei, i quali ammettendo due principii coeterni non li potevano fare egualmente immensi; e alcuni Calvinisti e i Sociniani sostennero esser Dio sola mente
in cielo, nè altrove presente se non per
la sua scienza e potenza, po tendo egli operar dappertutto. Convien però considerare che un Dio così li mitato
operare non può dappertutto, perocchè l'
azione suppone presenza, o per lo meno
la traslazione dell' atto at tivo attraverso allo spazio fin che giunga al luogo dove si deve produrre e svol gere
cotesta attività. Così è legge mec canica che ogni movimento importa la necessità del tempo, e il tempo è tanto porta tempi proporzionali valutabili
colla ragione composta della distanza
stessa e della velocità, ne deriva che
l'azione sua a una distanza infinita
richiede tempi infiniti, il che val
quanto dire che quest' azione non
giungerebbe mai a produrre i suoi
effetti, imperocchè un tempo infinito
non ha fine. Se dunque un Dio immenso
contraddice una legge fisica, un Dio
limitato contrasta con una legge
meccanica, e così riman provato ancora
che gli attributi di Dio sono la
negazione di tutte le scienze positive.
(Vedi INFINITO). Immortalità.
L'immortalità per sonale dopo la morte è credenza fonda mentale di quasi tutte
le religioni. Non è però esatto l'
affermare, come gene ralmente si fa,che tutti i popoli e tutte le religioni la proclamano. Circa tre cento
milioni di buddhisti credono nel
nirvana, vale a dire che l'anima dei
giusti dopo la morte giunge all'assoluto
annichilamento in Dio (vedi BUDDHISMO).
L'annichilamento dell'anima è pure opi nione professata da tutti i
filosofi pan teisti, (v. PANTEISMO), imperocchè am. mettendo costoro che l'anima nostra congiungesi all' Essere universale, im
plicitamente suppongono che la sua per sonalità si spegne e si fonde nella
stessa personalità di Dio. Tutta la scuola sceltica antica e mo derna,
per la cagione stessa delle sue
dubitazioni non può considerarsi siccome
accettante il domma dell' immortalità;
imperocchè dubitando essa d'ogni cosa
reale ed eziandio delle più evidenti,
tanto meglio deve dubitare di un dom ma che non ci offre alcuna dimostra
zione sensibile, e che per confessione
stessa di coloro che lo ammettono, ha
d'uopo di appoggiarsi precipuamente
sulla fede, virtu incompatibile affatto col le ultime conseguenze dello
scetticismo. Quanto all' idealismo il
qual nega ogni realtà alle cose che ne
circondano 480 IMMORTALITA e al nostro stesso corpo, e considera per
fino il nostro io siccome un fenomeno,
potrà egli mai fondatamen e annoverarsi
fra le scuole credenti nell'immortalită?
Tuttochè i principali idealisti abbiano
affermato cotesto domma, è lecito cre dere che lo abban fatto per una
non felice inconseguenza, piuttosto che
per vera e naturale necessità
dellorsistema. L'immortalità di un
fenomeno non è invero cosa concepibile,
e ad ogni modo se noi non possiam
trovare nelle cose che ne circondano
sufficienti argomenti per credere alla
loro esistenza, tanto più dovremo
dubitare dell' esistenza di undomma il
cui concet.o implicante eternità sfugge
eziandio ai limiti natu ra i della nostra ragione. Ecco dunque già un buon numero di uomini e di filosofi, i quali se non esplicitamente, certo implicitamente non credono all' immortalità. Quanto ai fi losofi
antichi non mancano esempi di coloro che
non ammisero cotesto dom ma. Democrito, Epicuro e Dicearco fra i greci lo negarono esplicitamente, e fra i latini Lucrezio nel suo terzo
libro dice chiaro che l'anima ha le sue
ma lattie come il corpo, e come il corpo
deve perire. Anche Cicerone fu accu sato da Lattanzio di non credere
all'im mortalità, e quel buon padrelo prova va citando un passo di lui, che ora
si èsorpresi dinonpiùtrovare nelle
opere sue. Cicerone vi ragionava secondo
i principii degli Accademici, pei quali
è noto ch' egli nutriva grandissima sim
patia ( Latt. de vita beata, lib. VIII cap. 8).
Plinio insegnava addrittura che tanto
valeva il credere di esistere dopo la
morte, quanto il credere di essere esi stiti prima di nascere, e che
l'una e l'altra credenza non erano
infine che una volgare superstizione
(Plinio Storia nat. lib. VII, cap. 55).
Non fu Seneca il tragico che nel coro
dei Troadi fece adottare l'opinione
della mortalità del l'anima ? (Seneca. Trod. vers. 395). E Sorano, come riferisce Tertulliano (De Anima, cap. VI), nei suoi quattro libri sulla immortalità, non negava egli co testo
domma? Fu pure AlessandroAfro disio colui che sostenne essere cost as surdo il
dire che l'anima è immortale, quanto
l'affermare che me e due fanno cinque.
Fra i greci ancora e fra i latini tutta
la setta stoica volendo tenere il giusto
mezzo fra le opposte opinioni, insegnava
che le anime sarebbero bensì
sopravissute ai corpi, ma che infine
esse pure sarebbero annichilate. E fra
gli stoici stessi chi, come Crisippo e
Cleanto, ammetteva che questa distru zione sarebbe avvenuta alla fine
del mondo, e chi,come Epitetto e Marc'
An tonio,insegnavache ladissoluzione del le anime avvenisse o contemporanea
mente o subito dopo la dissoluzione del
corpo; onde furon detti hersciscundi, cioè, come spiega Servio, medium secuti. Que sta
non è opinione molto diversa da quella
espressa da Kant nella sua Cri tica della ragion pura, dov'egli insegna non essere impossibile che l'anima, mal grado
gli attributi che la rendono indi visibile, perisca di languore per una graduale estinzione delle sue forze. Perfino fra il popolod' Israele noitro viamo
esempi non dubbi della miscre denza nell'immortalità. Nessun atto della legislazione di Mosè accenna a questo domma, e i Sadducei stessi, che erano una delle sette più cospicue del giudai
smo,non credendo nell'immortalità era no ammessi al sacerdozio (V.
GIUDAISMO). Negasi che esistano interi
popoli i quali ignorino il domma dell'
immorta lità; ma è negazione contro la quale
stanno prove positive. Oltre l'esempio
dei buddhisti, ne' tempi andati si tro varono intere tribù selvaggie che
non avevano alcuna cognizione nell'altra
vita. Margravius riferisce che i popoli
del Chill erau abbastanza brutali per
non conoscere cotesto domma. Chilenses ne
que Deum norunt, neque illius cultum
nullum observant dierum discrimen, ne
mortuorum quidem resurrectionem cre dunt sed post obitum nihil hominis
pu tant superesse. (Margravius.
lib. VIII IMMORTALITÀ app. cap. III). Lo
stessodicasi di molte tribù di
Madagascar. « Interrompc per un istante
questa relazione, scriveva il
missionario Tachard, per dire ciò che
noi abbiamo veduto degli ottentotti. I
quali essendo persuasi che non vi sia
altra vita, lavorano appena tanto che
basti per passare gradevolmente la vita
presente » (Tachard T. 1 pag. 72)
481 Korannas, Thompson apprese
che prima della venuta dei missionariin
quel pae se, essi non avevano idea distinta di un Dio onnipotente, delle pene e delle ri
compense di un'altra vita. « Presso i
Béchuanas, dice il missionario Moffat,non havvi alcuna idolatria, alcuna tradizione degli antichi tempi.. Durante parec chi anni
di un lavoro pressochè inutile, È certo
che nel secolonostro anche tra cotesti
popoli l'idea di Dio e dell'im mortalità si è insinuata. Ma badiam bene all'opra de' missionari che oramai in ogni parte diffusero fra i selvaggi
le idee dei popoli civili. Or se
poniam mente che ira coteste idee quella
del l'immortalità è certamente la più facile
a intendersi e ad accettarsi ancora dai
meno colti, non ci saràdifficile scoprire i veri motivi della diffusione di questo domma. Pensiamo, infatti, che ogni uo mo
nascendo sotto l'impero della pro pria personalità, sentendosi dotato di
una coscienza individua, mal può
adattarsi all' idea della cessazione del
suo io. E pei selvaggi poi vihanno
ragioni molte le quali possono
confermarlinella opinione della
sopravivenza dopo la morte. In paesi ove
le più elementari funzioni fi siologiche sono pressochè ignote, qual non doveva mai essere l' influenza dei sogni, grandissima anche fra noi, sulle credenze religiose ? Quelle figure che l'immaginazione as sopita
presenta al dormiente, quelle na turalissime immagini degli amici e dei pa
renti che talora vediamo nel sonno, co me avrebbero potuto non far credere all'esistenza di quegli esseri che
essendo morti, tuttavia ricomparivano
colle loro precise sembianze? Veri
fanciulli adulti, non potevano i
selvaggi che confondere in una sola
impressione la realtà col l'immagine, ed è così senz' altro che essi ebbero il concetto di una sopravvivenza dell'individuo, senza che, del resto,
siano maicorsi colpensiero ad immaginare
un soggiorno ulteriore, una pena ed
un premio futuri. Dalla bocca stessa degli Ottentotti io ho spesso desiderato di scoprire qualche idea religiosa presso quegli in
digeni; ma nessuna nozione di questo
genere mai era entrata nel loro spirito.
Dir loro che esiste uncreatore del cielo
e della terra, parlare ad essi della ca duta dell' uomo, della
redenzione, della risurrezione, dell'
immortalità, era per loro un discorrere
di cose altrettanto stravaganti e
favolose quanto le loro ridicole
leggende sui leoni e le jene... Non
potevansi risolvere i Béchuanas ad
ascoltare le nostre prediche, se non re galandoli di tabacco ed altre
cose. Poi, dopo alcuneore di
predicazione, essi do mandavano: Che volete dire? Le vostre fiabesono assai maravigliose, quandopure non gridavano: Pura menzogna. I più pratici fra loro osservavano che tutto
ciò non empiva lo stomaco ». Più
tardi quando ilmissionario riuscì a fare
qual che conversione, i nuovi proseliti affer mavano chedapprima essi non
avevano idea alcuna nè di Dio, nè della
vita fu tura. L'uomo, dicevano altri, non è più
immortale del bue e dell'asino, le ani me nessun le vede. Siffatte notizie raccolte nell'Encyclo pedie
generale, furono nel 1870 piena mente confermate da Tsékélo, principe dei Caffri-Bassoutos che nel 1869-70 erasi recato a Parigi. Letourneau ebbe la ventura di vedere cotesto selvaggio incivilito, il quale parla passabilmente l'inglese, sa leggere e scrivere, e dopo avergli lette le notizie sopra riferite, ebbe da lui in risposta, esser questa la prima volta ch'egli sentiva dire la verità in Europa. Egli è vero che il Signor Casalis scrive che il vecchio Libè, zio del re dei Bassoutos, tuttochè dapprinci 31 482
IMMORTALITÀ pio, al missionario
che gli insegnava il vangelo pizzicasse
le labbra.e il naso chiamandolo mentitore,
si era infine convertito. Ma Tsékélo
contraddice tal notizia, e assicura che
il suo parente era troppo vecchio e
troppo ammalato per parlare lungamente.
Egli d'altronde era sì poco convertito,
che alle esorta zioni del missionario che gli parlava senza posa di Gesù Cristo, rispondeva: Gesù Cristo ? Chi è costui? Io non conosco cotest' uomo. (Bulletins de la société d'anthropologie de Paris T. VII. Serie 2. pag. 692).
Il viaggiatore inglese White Baker
che soggiorno parecchi anni fra i negri
che abitano sulle sponde del Nilo Bianco
e dei laghi d'onde questo fiume deriva,
specialmente nella tribù degli Obbos e
dei Latoukas (4 o 5 gradi di latitudine
nord), afferma che non gli fu possibile
di trovare fra questi popoliidea alcuna
religiosa. Letourneau ha raccolte ed
esposte le relazioni di questo viaggiatore alla Società d'antropologia di Parigi, ed è curioso il seguente frammento. Io. Un uomo non è superiore per la intelligenza ad un bue. Non ha egli una ragione per guidare la sua in
telligenza? « Commoro. Molti uomini non
so no intelligenti al pari del bue. L'uomo
è costretto a seminare del grano per
procurarsi la nutrizione, il búe e lebe stie selvagge l' ottengono senza
semi nare. Io. Non sapete che esiste in
noi un principio spiritüale
differentedalno stro corpo ? Durante il vostro sonno non sognate mai? non viaggiate col vostro pensiero in lontane regioni ? Nullameno il vostro corpo è sempre nello stesso luogo. E come spiegate tutto questo? «Un pocodigrano che era stato tolto dai sacchi pel nutrimento de' cavalli e che trovavasi sparso sul terreno, mi suggerì l'idea di mostrare a Commoro la vita avvenire col mezzo della sublime metafora di cui fece uso S. Paolo. > Sotto il pontificato di Urbano II, diçe l'abate Fleury, videsi con sorpresa a conto di una sola buona opera, esimersi
INDULGENZE il peccatore di ogni pena
temporale pei suoi peccati. E non ci
voleva meno che un numeroso concilio,
presieduto da questo pontefice in
persona, per au 493 fossero delegati da
lui in Italia, Fran cia, Germania, Spagna ecc, la facoltà di concedere, mediante spontanea ele mosina o
prezzi da stabilirsi secondo i torizzare
siffatta novità. Questo concilio | casi, indulgenze pei vivi e pei morti, as
tenutosi a Clermont l' anno 1095, con soluzione e remissione di tutti i
reati cesse indulgenza plenaria,
remissione intera di tutti i peccati a
chi pren desse le armi per la liberazione di
Terra Santa. Questa indulgenza valeva
di paga ai crociati, e benchè essa non
desse il mantenimento corporale, fu ac cettata con giubilo ». (6° Disc.
sulla storia eccl. n. 2). Il quarto
concilio di Laterano e il primo di Lione
seguirono questo esempio, e s'andò in
tal guisafor mando la giurisprudenza del giubileo (V. GIUBILEO). Ma ben peggiori abusi si dovettero poi lamentare sotto il pontificato di Leone X. Ai 14 novembre 1517 questo papa pubblicava la famosa bolla che co mincia
Portquam, ad apostolatus apicem e che
diede origine alla riformadi Lu tero: avverto che fu omessa nelle edi zioni di
Roma, e la ricavo dalla edi zione di Lussemburgo 1727, supplemento al tomo X pag. 58. Èsingolare che il Sarpi, nella sua Storia del Concilio Tridentino, appena accenni la detta bolla, mentre un' ana lisi
della medesima tornava così accon cia a descrivere la fede ed i costumi della Romana Chiesa. Di
(Dern. Analyt. lib. 1. c. 2). Nella filoso fia moderna questa voce ha
cambiato senso e ne ha acquistato un
altro assai più determinato. L'ipotesi è
oggidì sup posizione fondata sopra caratteri abba stanza evidenti per essere
probabile, sen za tuttavia essere certa. È quindi errore di molti il credere che ogni più che azzardata affermazione possa dirsi ipo tesi:
le cose manifestamente impossibili
trettanto certo che fedelmente ci rap presentino le cose come sono.
L'obbie zione sarebbe vera e ad evitarla con viensi che all'ipotesi diasi senso
limi tato, proprio del comun linguaggio ; e
per tale s' intenda quella dimostrazione
la quale secondo lo stato delle nostre
cognizioni non è ancora sufficientemente
provata. Nemmen s' abbia per ipotesi
ogni strambo ragionamento : sì convien
ch'essa sia probabile e verosimile, senza di che diventerebbe vaneggiamento di non sono ipotesi; ma assurdità. Prima di scoprire le leggi generali, la scienza cerca le ragioni plausibili dei fatti
che osserva fondandosi sull' analogia
dei fatti simili ; ma finchè cotesta
analogia non sia accertata da
osservazioni diret- nogamia. te le sue
ragioni rimangono ipotesi. Convien che
il filosofo sappia ben mente
insana. Ipparchia. Filosofessadella
setta de' cinici e sposa di Crate.
Nacque a Maronea, città della Trancia,
da fami glia ricca, e tanto si appassionò per la filosofia di Crate, che nonostante le
sue infermità e la sua miseria, e
malgrado le rimostranze dei parenti, lo
volle per marito. Vestita di miseri
abiti, senza averi e senza tetto, andò
vagando col marito, secondo i precetti
della scuola cinica, chelavolle
immortalare istituendo una festa in onor
suo col nome di Ci Ippon(di Bhegium).Ignorasi l'epo distinguere le leggi dalle
ipotesi: il con fondere le une con le altre è spesso cagione di errori gravissimi per le scien ze,
che una maggior prudenza potrebbe
evitare. Vero è che tutti i nostri prin cipii sono dubbi, che la
certezza asso luta non è retaggio hostro, e che tal fiata i principii che ci parevano più certi sono dimostrati falsi da nuove sco
perte. In tal senso lo scettico può ben
dire che tutti i principii che noi abbiamo elevato al grado di legge sono ipotesi, ca precisa in cui visse, ma par che fos se
nei primi secoli della filosofia greca.
Aristotile nella sua Metafisica (lib. 1, c. 3) ci apprende che sull'esempio di Ta lete
egli considerava l'acqua, o l'umidità
come il principio delle cose; e nel libro dell' Anima (lib. 1, c. 2) aggiunge che non riconosceva all'anima altra origine. Sesto Empirico nelle Ipotesi Pirroniane (lib. III) dice ch' ei riconosceva due soli principii: l' acqua ed il fuoco, ed Alessandrio Afrodisio lo annovera fra i materialisti.
J Jerocle. Filosofo neoplatonico
che | tone, e compose sette libri sopra il de fiorì sul finire del IV secolo.
Insegnd | stino, alcuni estratti dei quali ci furono filosofia in Alessandria, commento Pla-
conservati da Fozio. Questo filosofo appartiene al periodo di transizione tra
la filosofia pagana e il cristianesimo,
e già nella sua dottrina si nota il
primo mo vimento che confuse il Destino con la
provvidenza. La provvidenza, insegna
egli, è il governo col quale Dio man tiene l'universo. L'uomo è dotato
di li bero arbitrio, ma le sue decisioni sono
seguite da una certa azione di Dio che
sollecita la sua volontà, e questa stessa azione che facilita o noilbuon uso del Par che gli ionici proclamassero an cora,
sebben confusamente, i principii del
sensualismo, e affermassero, che quello
solo esiste il quale cade sotto i nostri
sensi. Così sembra che Platone dicesse
di loro, quando nel suo dialogo del
Sofista scriveva: « Siccome tutte le
cose cadono sotto i sensi, così essi af fermano che quello solo esiste
che si può avvicinare e toccare: in
talmaniera libero arbitrio è già
principio di pena o ricompensa. Qui
sorge poi il principio dalla
predestinazione e della grazia, poi- grande disprezzo ». chè Jerocle ammette, senza manco av essi
identificano l'essere col corpo ; e se
qualche altro filosofo lor dice che l'es sere è immateriale, gli
dimostrano un vedersi di cadere in
contraddizione, che Dio fin dall'
origine del tempo ha de terminato il principio e la fine dell'esi stenza. Anche
nella creazione tenta di di avvicinare
il paganesimo al cristia nesimo, e se non osa d'un tratto far scomparire il principio dell'eternità
della materia, che tutta la filosofia
pagana aveva ammessa, vuole almeno, con
una delle sue solite contraddizioni, che
Dio l'abbia creata, ammettendo però che
la creazione non ha avuto un
principio! Jonica (Scuola). Talete di
Mileto, città della Jonia, fu il
fondatore di que sta Scuola, continuata daEraclito, Anas simandro, Anassimene,
Anassagora, e Archelao. La scuola ionica
è sopratutto fisica per l'insegnamento
nell'astrono mia che largamente vi fecero i suoi maestri. Intorno all'essenza delle cose disputarono assai gli ionici, e si divi sero
in due partiti, l'unde'quali (Anas simandro e Anassagora) sostenne che il Jouffroy (Teodoro Simone). Pro fessò
filosofia a Parigi al collegio Bor bone dal 1817 al 1819, fu quindi inse gnante
alla facoltà di lettere nella mө desima città, poi professore di filosofia aggiunto alla cattedra di Royer-Collard e nel 1840 membro del Consiglio Supe riore
dell' istruzione pubblica. Fu pro mosso a questo posto dal ministro Cou sin, ed
è ben ovvio il pensare che il protetto
facesse onore alle opinioni del
protettore. Jouffroy non seppe introdur re nel suo insegnamento alcuna
nuova idea, salvo quella veramente
singola rissima, per la quale egli voleva distin guere ' anima dal corpo, e
provarne l'esistenza dimostrando la
diversa na tura delle funzioni digestive e volitive. Sarebbe inutile il confutare le idee di questo filosofo, basate sopra una com pleta
ignoranza delle leggi della vita,
Jouffroy ha fondato anche una teoria
morale ed una teodicea. La prima pog giando sulle basi ipotetiche del
duali smo fra la materia e la vita stabilisce
mondo consta di elementi diversi ma
nou numerabili; l'altro, che esso è com posto di un'unica sostanza
(Talete, Anas simene), oppure di due o tre elementi come sarebbero l'acqua e il fuoco. Ar- |
azioni materiali del corpo, le quali ten chelao). Gli uni e gli altri
convennero lalegge del dovere nel
raggiungimento del fine morale. dell'
uomo, indipen dentemente dalla circolazione e dalle che la costituzione attuale
dell'universo s'è formata cogli elementi
o coll' ele mento primitivo mediante un'azione di namica di unelemento sull'altro,
o col movimento dello stesso elemento in
se stesso. dono alla pura conservazione di questo. La vita materiale, dice Jouffroy, tende al bene del corpo, la vita morale al bene dell' io. Così l'individuo si
separa in due esseri distinti; il
benessere del suo corpo non è più il
benessere del suo io; dunque il corpo
può essere 278.987 JACOBI martoriato, poichè l'io non è il suo diretto risultato. Si capisce bene che queste teorie possono fondare una mo rale
ideale, ma non già una morale 513 non esamina, ma percepisce. lo vedo il sole, dunque il sole esiste; io mi sento, dunque io sono; io penso lo spi rito
supremo,dunque lo spirito supremo vera e
veramente utile alla società. Jacobi
(Federico Enrico). Nacque il 25 gennaio
1743 a Dusseldorf nella Germania, da un
ricco negoziante di quella città.
Chiamato adirigere la casa di suo padre,
non vi rimase però per lungo tempo, e
quando l'Elettore pala tino lo nomind consigliere delle finanze del ducato di Bery, abbandonò affatto il commercio. Ricco e rispettato, la sua casa di Pempelfort fu ben presto il ri trovo
delle notabilità scientifiche e let terarie del suo tempo, in mezzo alle quali presegli brama di prender posto egli stesso. Si atteggiò a filosofo, e
in diversi tempi scrisse alcuni libri,
tali che Woldemar, Lettere a Mendelson
sulla filosofia di Spinoza; Una parola
di Les sing; David Hume o l'Idealismo e il
Realismo; Del tentativo del criticismo di rendere la ragione ragionevole, o di accordare la ragione coll' intendimento (1801); Delle cose divine (1811) Lettere su Spinoza.
Jacobi è avversario, non solo del l'idealismo, ma anche del criticismo
di Kant, dello scetticismo e d'ogni
incre dulità. Impotente, com' egli stesso con fessa, a spiegarsi iconcetti
astrattidella filosofia, si gettò in
braccio con sover chia fidanza agli stimoli del sentimento individuale: parve a lui che una certa armonia prestabilita dovesse esistere
fra i nostri concepimenti e i fatti
esteriori. Il suo realismo non è in
sostanza che l'obbiettivazione nella
realtà di tutte le chimere che una mente
esaltata può concepire, e la sua ragione
della quale con tanta pompasifacampione
nei suoi libri, non s' adopera già a
sceverare quanto di falso in queste
chimere vi possa essere, perocchè egli è
convinto che la nostra coscienza
attuale, e non la ragione, sia la misura
di tutte le verità. esiste ». È in tal maniera che Jacobi passa dallapercezione sensibile del sole veduto, all'astrazione intellettuale di
un Dio pensato, senza pure avvedersi del
l'immensa distanza che separa fra di
loro questi due modi d'affermazione. Dal
momento che la nostra coscienza intel lettuale è la misura della verità,
che monta sia una cosa veduta o
soltanto pensata? Ciò che si vede o si
pensa è sempre vero, e Jacobi non si
doman derà nemmeno se tutte le cose pensate
siano sempre state vere. Ben a
ragione insofferente delle ne bulose formole della filosofia trascen dentale,
credette egli di avere evitata ogni
dubitazione supponendo che la cer tezza fosse immediatamente inerente a tutti i nostri giudizi. « La vera
scienza, dic'egli, è quella dello
spirito che rende testimonianza di se
stesso e di Dio.... Oggetto delle mie
ricerche fu sempre la verità nativa, ben
superiore alla ve rità scientifica ». E nel 1819 ripeteva : Nel seno
stesso dell' Accademia di Berlino vi fu
viva disputa, che nonvolse però a pro fitto della nuova scienza. Fu essa
riget tataallaquasi unanimità siccome studio
inutile e impotente a fondare checches a. Cotesto studio è infruttuoso, scri veva
Formey, e il suo fondo indeci frabile. Lo stato attuale del viso umano verso la metà della sua carriera,
risulta dal concorso di tante
circostanze fisiche, morali, e casuali,
ch' egli è affatto im possibile di ritrovare la fisionomia ori ginale e di
seguire le tracce delle sue
modificazioni: se il cuore è un enimma,
il viso è un logogrifo, come quei ter reni vulcanici coperti di molti
strati di lava, con una terra molto
fitta sopra ciascuno ». Lafisiognomia restò a quel punto, nè più progredi; nè se ne discorre a tempi nostri fuorchè in quei libri che si stampano apposta per gli sciocchi. Ma le conseguenze di quella scuola non fu rono
abbandonate, e quando venne Gall le
rinnovò per la sua croniologia, ma con
una scienza, con una pratica e con un sapere
da cui il mistico Lavater era le mille
miglia lontano. Lao-Tseu. Filosofo
chinese con temporaneo diConfuzio.Lasua vita, co me quelladi tutt' i filosofi
di quei tempi, è più leggendaria che
storica. Fu con servatore della biblioteca della casa di Théon, dagli uni considerato come pro feta,
dagli altri come uomo eminente mente santo, talchè fu ancor confuso con Shakya-muni, (Bouddha ) le cui dot trine egli
introdusse nella China. (V.
BUDDHISMO). costanze. È legge di
natura che la luce diminuiscanella sua
integrità in ragione inversa dei
quadrati delle distanze; che colla
stessa progressione diretta un cor po grave si acceleri nella sua caduta; è pure in forza di unalegge che l'elet
tricità si trasmette di preferenza attra verso ai corpi conduttori, che il
ferro è attratto dalla calamita, che il
filo a piombo in qualunque parte del
globo si dirige al centro della terra
ecc. D'onde e perchè nasca la legge,
s'ignora. Essa costituisce una nozione
essenzialmente sperimentale e direi
quasi assiomatica, per la quale noi
affermiamo che esiste una legge quando
vediamo che date le medesimecausesi
produce costantemente il medesimo
effetto. Romagnosi perciò non ebbe torto
di definire la legge . Dunque lo statista che sulla media delle tavole degli anni anteceden ti
predice approssimativamente il nu mero di certe classi di delitti che suc altri
vincoli morali con cui cerchiamo di
determinare o al bene, o all' utile, o a
checchessia le azioni dei nostri si mili, provano, in sostanza, che sotto la influenza di certe cause noi ci attendia mo
dagli uomini certi effetti. Senza di
che, a cosagioverebbero le leggi ? Per chè l' oratore procurerebbe
d'indurre altrui nelle sue convinzioni,
se i suoi motivi non esercitassero una
certa effi cacia, e perchè da tal sistema di go verno si attenderebbero tali
popoli, e dai cattivi esempi malvagie
azioni ? Il filosofo inglese Bailey ha
ben ra gione di sorprendersi che la connessio ne fra imotivi e le azioni sia
teorica mente revocata in dubbio quando poi
nella vita pratica gli uomini non fanno
altra cosa che impegnare perpetuamen te piacere, fortuna, riputazione,
la vita stessa in questo principio che
specula tivamente rigettano. La costanza delle
cifre della statistica non è forse una
evidentissima dimostrazione di questo
principio, che anche nell'ordine morale,
il qual si vuole assolutamente indipen dente da ogni determinazione, le
mede sime cause conducono costantemente ai
medesimi effetti ? Per ciò che si rife risce af delitti, scriveva nel
1853 il signor Quetelet, i medesimi
numeri si riproducono con tale costanza
che sa rebbe impossibile il disconoscerli anche
per quei delitti che sembrerebbe do vessero più di tutti sfuggire ad
ogni previsione umana, come sarebbero
gli omicidi, dappoichè essi si
commettono in seguito a risse che
nascono senza stabili motivi, e in
apparenza col con corso delle più fortuite circostanze. Non dimeno l'esperienza
prova che non solo cederanno nell' anno
successivo, non fa altro che prevedere
gli effetti che do vranno necessariamente derivare da cer te cause, che
generalmente si rinnovano; cosa che non
potrebbefarsi certamente ove le azioni
nostre fossero affatto in dipendenti dacause determinanti. Inve ro, se le
azioni fossero assolutamente libere, le
più grandi variazioni dovreb bero mutarsi nelle cifre statistiche, e la costanza di esse dovrebbe trovarsi sol nei fenomeni cosmici pei quali si ammette una assoluta dipendenza da cause uniformi. Ma nell' ordine morale dovrebbe notarsi una successione asso
lutamente arbitraria, nè la statistica,
nè l'esperienza mai potrebbero farci
prevedere quali effetti potrebbero deri vare da certe cause. Quale uomo,
per prudente che sia,potrebbe
alloramaipre- vederechecoluichehacarattere sangui gno risponderà colla violenza
alla vio lenza; che il pacifico subirà l' ingiuria senza rintuzzarla; che il coraggioso af
fronterà il pericolo, e l'uom d' onore
sarà fedele alla parola data? Se l'ar bitrio di una assoluta
indipendenza pre siedesse alle nostre azioni, sarebbe di strutto ogni
fondamento dell'ordine so ciale; la fedeltà delle contrattazioni di venterebbe
una chimera, eniunopotreb be mai esser sicuro che giustizia gli fosse fatta, quando sull'animo del
giudice nulla potessero i motivi
determinanti dell' onestà, la
convinzione acquisita e il sentimento del
dovere. Si oppone che determinandosi
secondo la convinzione il giudice non fa
altro che seguire la sua volontà. Ciò è
vero; ma è altresi vero che questa
convinzione è acquisita in grazia di
motivi esterni, e che la sua volontà,
non potrebbe non essere 534 LIBERO
ARBITRIO conforme alla sua convinzione.
In altre parole, egli vuole
costantemente ciò che vuole la
volontàdeterminatadai motivi. Nella vita
pratica noi siamo tanto convinti che
tali motivi determinano tali altre
azioni, che siamo ben dispo sti a considerare come deboli di mente e anche pazzi, coloro i quali per ten denze
organiche diverse da quelle della comun
degli uomini, non agiscono nel modo
stesso in cui agirebbero tutti gli altri
quando fossero posti nelle mede sime circostanze. Se alcun ricusa il bene che gli si fa; o si cimenta contro pericoli evidenti senza scopo; o fa sper pero
dei suoi averi senza obbedire ai motivi
di filantropia che noi siamo di sposti a riconoscere, non si avrà in conto d' uomo che abbia il pieno pos sesso
della sua ragione. E poichè tutti gli
altri al posto suo non agirebbero in
quella guisa, cosìnon si ha difficoltà a
riconoscere che alcun che di anormale
vi debba essere nel suo cervello. In
conclusione son matti per noi quei co tali iqualinonsi comportanonel
modo con cui in determinati casi noi ci
com portiamo, e non agiscono secondo quei
motivi dai quali nell' ordinario corso
della vita noi ci riconosciamo determi nati. . (Trattato del libero arbitrio II). In questo esempio Bossuet presenta >
Ecco dunque lo stato che sui tram poli del dommatismo cristiano qui pro
clama ex Cathedra un principio reli gioso che fa a pugni col senso comune. Le pretese del papate non potrebbero essere peggiori nè più esigenti. E tut tavia
l'art. 29 della stessa costituzione
prescrive « che non vi sarànello Stato
stabilimento di alcuna setta religiosa
con preferenza sopra un' altra ». Qui
dunque abbiamo unaperfetta eguaglian za e libertà dei culti, ma quanto
non siamo noi ancor lontani dalla
libertà di coscienza? stabilimento per una chiesa o una set ta
religiosa qualunque di preferenza ad un'
altra, e nessuno, sotto qualunque
pretesto, sarà costretto a recarsi ad un
luogo particolare di culto contro la sua
fede e la sua opinione, nè obbligato a
pagare per la compra di un terreno,
o per la costruzione d' una casa desti nata al culto religioso, o pel
manteni mento dei ministri o d'un ministro di
religione, contro ciò che egli crederà
giusto e ragionevole o contro ciò che
si sarà quotato volontariamente e per ❘sonalmente. Tutti avranno il libero e sercizio del culto, ben
inteso che nulla potrà inferirsi dal
presente articolo per esimere i predicatori
che facessero di scorsi sediziosi e miranti al tradimento, dall' essere presi e puniti secondo la legge. >> Dopo questa ampiadichiarazione chi mai crederebbe di leggere quest' altro articolo, ove contiensi la più esplicita
e violenta negazione della libertà di co
scienza ? Nè ciò basta, l'ortodossia
protestante qui raggiunge il suo massimo
apogeo, e già collo stabilimento di una
religione 547 stessi privilegi che le altre società. Ogni società di cristiani così formata si darà unnome che ladistingua, sotto cui sarà chiamata e riconosciuta in giu
ufficiale ci fa sentire i tristi effetti della
ingerenza della potestà civile nelle cose di coscienza, Qui lo stato, non solo
stabilisce una religione ufficiale, ma
si fa assoluta mente banditore di dommi, si erige ad autorità direttrice delle coscienze ed im
pone alla pubblica credenza dei criteri
della verità che sono fallaci e coerci tivi, per ciò solo ch' essi non
possono da tutti essere condivisi.
Quest'articolo, per vero dire, meglio
che in una Co stituzione politica, starebbe a suo luo go in un rituale
canonico, perciocchè continuando sullo
stesso metro prescri ve poi regole pei ministri dei culti, ad essi ingiunge di
instruire il popolo se condo le sante scritture; di essere e satti nel far le
preghiere e le letture dei libri santi;
di assistere gli infermi con tutti i
mezzi pubblici di consiglio e di
avvertimento richiesti dalla neces tro i miscredenti, il dommatismo prote
stante, che in ciò poco differisce dal
cattolico, assicura la libertà dei culti
alle sette cristiane, ben s'intende, е
spinge anzi la condiscendenza fino a
derogare le disposizioni della legge ge sitâ, ed altre tali cose d'ordine
pura- nerale in favore dei quackeri.
mente canonico. Cosa strana, fra
tanto scempio del ' umano buon senso, noi troviamo in questa costituzione la sanzione di due principii che le sono esclusivi e che pur sono essenziali alla libertà di co
scienza: «Qualunque abitante dello
stato, dice lo stesso articolo, chiamato
a pren der Dio in testimonio della verità dei
suoi detti, avrà il permesso di farlo nel modo più consentaneo aciò che la sua coscienza gli dice. >
Del resto, bandita la crociata con >
Affrettiamoci però a dire che tutte
queste costituzioni date negli ultimi
anni del secolo scorso, erano la conse guenza nećessaria, inevitabile
dello svol gimento storico di quei paesi. Le po polazioni bianche dell' America
anda rono formandosi per la continuata emi grazione degli europei e
specialmente degli inglesi. Una
moltitudine di fuoru sciti partivasi dall' Inghilterra fin dal tempo degli Stuardi ed emigrava in America, quivi portando quel desio di libertà e di emancipazione, che nella patria loro era stato ad essi impu tato a
colpa. Sotto quel nuovo cielo e su
quella vergine terra essi impianta rono li ordini inglesi sotto il protetto
rato dell' Inghilterra; ma più lati, più
liberi, sì che l'autorità del Re quasi si esinaniva nel lungo tragitto dell' Ocea no.
Le dissenzioni politiche non solo, ma
anche le persecuzioni religiose ave vano determinata quella emigrazione. I nuovi coloni in gran parte non erano soltanto protestanti, ma nel loro desi derio
di purificare la religione prote stavano anche contro gli stessi prote
stanti. Ora, la riforma religiosa,ben
lunge di attutire le esaltazioni
mistiche, ag giunge anzi nuova esca al fanatismo. Le religioni decrepite, simili al
vecchio paganesimo, sono credute e
osservate per abitudine, e più spesso
chi ne osten ta i precetti poco li crede in cuor suo. La riforma, invece, seco trascina l'en
LIBERTÀ DI COSCIENZA 549 tusiasmo, la convinzione, e con essi |
magistrato d'intervenire nelle questioni
quel principio di intolleranza che non rare volte tocca i confinidel ranatismo. Con ciò noi ci spieghiamo perfettamen te
quelle strane costituzioni dei varii
stati dell'America meridionale, ove sem di dottrina, o di restringere la
profes sione o la propagazione di certi prin cipii, a motivo della incresciosa
tenden za che si suppone in essi è un errore
funesto che distrugge tutte le libertà
pre si trova la libertàpoliticacongiunta
al più gretto esclusivismo religioso. Ma
le costituzioni parziali dei varii stati do vevano cedere ilposto a più
late dispo sizioni nell' atto d'unione dei singoli stati in un corpo solo. Per ciò che la molteplicità delle sette imponeva ap punto a
ciascuna di esse dei doveri in verso le
altre, e rendeva necessarie quelle
reciproche concessioni, senza cui non
sarebbe stata possibile una legge
comune. L' emancipazione degli
stati dall'In ghilterra e la unione di essi in un cor po solo, doveva quindi
portare i suoi frutti, e noi veggiamo
infatti che laCo religiose, perciocchè è il magistrato medesimo che rimane giudice di questa tendenza, e che egli prenderà per re gola di
giudizio la propria opinione; Si
stupende idee non potevano du rare a lungo fra popoli sinceramente devoti alla fede, e il bigottismo prote
stante, sotto molti aspetti, non più li berale del cattolico, doveva ancora pre
valere contro il principio dell' assoluta
libertà. Egli è perciò che nel 1872
l' Europa leggeva con gran stupore la
notizia che il Senato e il Congresso
degli Stati Uniti avevano approvato la
seguente legge: 1 1. La santificazione della dome cernenti
lostabilimento di una religione ❘nica è
cosa di interesse pubblico; o per
proibirne il libero esercizio. (Co stituz. art. 2, 6, e III addizionale). Sotto la presidenza di Jefferson era stato proposto e votato dal Congresso il seguente decreto: ch' egli per la sua tirannia di venne inviso
a quanti lo avvicinavano. Calvino stesso
scriveva al suo confidente Bulinger, «
non potersi più tollerare gli eccessi di
Lutero, cui l'amor proprio non permette
di vedere i propri di fetti, nè di sopportare che alcuno gli si opponga ». E a Melantone: « Il suo spirito, dicesi, è violento, e i suoi mo
vimenti impetuosi, come se questa vio lenza non si portasse soverchiamente agli eccessi, quando tutto il mondo non pensa che ad incontrare in tutto il suo genio. Abbiamo per lo meno una volta l'ardimento di produrre un gemito con libertà ». È vero che Calvino,dimentico ben presto di questa stessa libertà, im mold
sul rogo il povero Servet, ma non è men
vero che intorno a Lutero tutti
convenivano in questo suo giudi zio. Muncer diceva esservi due papi: l'uno quello di Roma, l'altro Lutero, ma che questo era il peggiore, e Me lantone,
uomo mansueto e pacifico, vi veva in tanta soggezione con Lutero e con i capi del partito, che a Camera rio
amico suo, scriveva: « Io sono in
ischiavitù come nell' antro del Ciclope,
perchè non posso palesarvi i miei sen timenti, e penso spesso alla fuga
». Erasmo poi, cui Lutero erasi
dapprima inclinato con parole servili,
n'era stato quindi sivivamente
maltrattato per non essersi seco lui
accordato sul libero ar bitrio, che a propósito di Lutero ram maricavasi
d'esser condannato nella sua vecchiezza
a combattere -, 60 » »
« 1, 20 7,50
2,50 5,00 » 15,00
Anno » 12,00 Semestre-Annuario
filosofico del Libero Pensiero. Un vol. in 8 con ritratti Collezione delle leggi e decreti finanziari
annotati. Vol. 7, in 8. Appendice
periodica alla Collezione suddetta. Abbonamento. >
6,00 » 6,00 > 50,00
5,0 DIZIONARIO FILOSOFICO DI STEFANONI
LUIGI CONTENENTE L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI
FILOSOFICI E TEOLOGICI, LA BIOGRAFIA DEI
FILOSOFI ANTICHI E MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI E DELLE E LA DEFIRESIE,NIZIONE DEI VOCABOLI
SCIENTIFICI ATTINENTI ALLA FILOSOFIA
ECC. ECC. Volume 11. MILANO
NATALE BATTEZZATI, EDITORE Via S.
Giovanni alla Conca, 7. 1877. 5-6-729
DIZIONARIO FILOSOFICO : DIZIONARIO
FILOSOFICO DI STEFANONI LUIGI CONTENENTE
L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI E TEOLOGICI, LA
BIOGRAFIA DEI FILOSOFI ANTICHI E
MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI E DELLE ERESIE, LA DEFINIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI
ATTINENTI ALLA FILOSOFIA ECC. ECC.
MILANO NATALE BATTEZZATI,
EDITORE Via S. Giovanni alla Conca,
7. 1875. Parma, Tipografia della Società
fra gli Operai-tipograf. MALE M Macedonio Vescovo arianodiCo stantinopoli
incompetenza di Paolo stato eletto a
quella sede dai cattolici. Dopo 5 ste, ciò vuoldire, che Dio o è autore
del male, o non ha potuto impedire che
il molte turbolenze eccitate tra i
fedeli di Costantinopoli che
parteggiavano per ' uno o per ' altro
partito, riuscì ad occupare la sede
contrastata, non senza però aver fatto
perire in una sedizione ben tre mila
dissidenti. Poichè Ario a veva negata la divinità delFiglio, nulla di strano che alcun altro negasse la di
vinità dello Spirito Santo.E così feceMa cedonio, il quale per una
stranissima incongruenza, se da una
parte trovava che le ragioni degli
ariani non avevano valore contro la
divinità di Gesù, le av male entrasse nel mondo. La prima i potesi contrasta
con labontà e lagiu stizia, attributi che tutte le religioni ri conoscono nel
loro Dio; laseconda ren de Dio impotente a combattere il male, e il principio d'onde il male emana fa superiore a Dio e Dio esso stesso. Due metodi tentarono leteologie per evitare siffatte conseguenze; e il primo già rece le sue prove, e grandiose, nel dualismo (v. questavoce), ilquale attri buiva
l'origine del mondo al concorso e alla
lotta di due opposti principii, l' uno
buono e l'altro malvagio, che vi avevano
impresse le tracce della lo ro potenza e della loro natura. Que sto sistema già
molto diffuso nell'Asia, valorava però
quando trattavasi dello Spirito Santo.
Il quale, diceva Macedo nio, in nessun luogo della Scrittura è detto che sia Dio, chè anzi vi è sempre rappresentato come subordinato alPadre ed al Figliuolo: per essi esiste, per
essi è istruito, e per la loro
inspirazione | buon principio una superioritàmorale, parla (Giov. 16. Paolo ai Corinti I cap. 2.); egli è il consolatore dei cristiani
e penetrò anche nell' Europa, e si
divulgò nel cristianesimo col
manicheismo : ma per quanto cercasse di
attribuire al per essi prega (Rom. 8) il
che non fa rebbe s'egli stesso fosse Dio, poichè in tal caso egli pregherebbe se stesso. D'altronde, o lo Spirito Santo è gene rato o
non è generato. Se non è gene rato in che differisce dal Padre ? se è generato in che differisce cal Figlio? E se è generato dal Figlio, allora biso gnerà
credere che esso è soltanto il ni pote del Padre. Male. Teologi e filosofi cercarono in ogni tempo di spiegare l'origine del male. Imperocchè se Iddio è l'autore del mondo e se il male nel mondo esi non potè
togliere la conseguenza, che l'origine
del mondo dovendo attribuirsi adue
principii, questi diventassero due Dei
competitori, perpetuamente lottanti per
disputarsi il dominio dell' universo. Le
religioni monoteiste cercarono perciò
nuove spiegazioni, e andarono im maginando che Dio avendo creato un mondo perfetto, il male vi penetrò poi non per volontà sua, ma pel peccato dell' uomo che trasgredi i suoi coman
damenti. E non pensarono che se l'uo mo potèpeccare, è segno ch'egli
perfetto non era, e che, il germe del
male già esisteva in lui fin dal momento
della creazione. Imperocchè anche la
facoltà, 6 MALE di volere il male è un male essa stessa. E l' obbiezione parve a tutti così
seria, che nel secolo scorso filosofi e
teologi, per confutare ilBayleche la
riproduceva, andarono in tracciadi altre
spiegazioni. Il padre Malebranche sperò
di aver tolta la contradizione
sviluppando un certo suo sistema, nel
quale Dio veniva mo strato come l'essere sovranamente egoi sta, curante
soltanto di sè e della glo ria sua, alla quale essendo necessaria l'Incarnazione, il peccato dell'uomo di
veniva altrettanto necessario acciocchè
portato adare l'esistenza alle creature, e che oggetto della suabontànon possono essere che le creature intelligenti,
cost possiamo dire, ragionando a misura
dei lumi che ci ha datoperconoscerlo,
che si è proposto di creare il
maggior numero di creature intelligenti,
e di dar loro tutte le cognizioni, tutta
la felicità, tutta la bellezza, di cui
l' Universo era suscettibile, e condurle
a tale stato fe lice nel modo più conveniente alla loro natura, e più conforme all'ordine. « Il mondo attuale per essere il mi Dio
potesse esercitare la suainfinita migliore de' mondi possibili debb'
essere sericordia. Leibnitz credetteche perdissiparegli scrupoli, che facevano nascere le diffi coltà
di Bayle, si dovesse più positiva mente conciliare lapermissione del male colla bontà di Dio. Tutti i metodi te nutisi
per giungere a tal fine, gli par vero imperfetti, e conducenti a moleste conseguenze, laonde prese un'altrastrada per giustificare la Provvidenza. Credet te,
che tutto quello che succede nel mondo,
essendo una conseguenza della scelta che
Iddio hafattodel mondo at tuale, conveniva elevarsi a quel primo | istante, nelqualeIddioformò il decreto 1 di
produrre il mondo. Un' infinità di mondi
possibili erano presenti all'Intel ligenza divina e la sua potenza poteva egualmente produrli tutti: giacchè dun que ha
creato il mondo attuale, con vien dire che l'abbia scelto. «Iddio non hadunque potuto creare il mondo presente, senza preferirlo a tutti gli altri: ora è contradditorio,
che Iddio avendo dato l'essere ad uno
di cotali mondi, non abbia preferito il
più conforme a' suoi attributi, il più
degno di lui, il migliore: un mondo
insomma, quello, che corrisponda più
esattamente atale oggetto magnifico del
creatore, dimodochè tutte le sue parti,
senza ec cettuarne alcuna, con tutte le loro mu tazioni, e riordinamenti
cospirano colla maggior esattezza alla
vista generale. Poichè questo mondo è un
tutto, le parti ne sono talmente
concatenate, che niuna parte potrebbe
togliersi, senza che tutto il resto non
fosse interamente mu tato. Il miglior mondo, conteneva dun que le leggi attuali
del moto, le leggi dell'unione dell'
anima col corpo, stabi lite dall'autor della natura, l' imperfe zione delle creature
attuali e le leggi, anorma delle quali
Iddio scomparte le grazie, che accorda
alle medesime. Il male metafisico, il
male morale, ed il mal fisico dovevano
dunque entra re nel piano del migliore de' mondi. Tuttavia non si può dire, che Iddio ab bia
voluto il peccato, ma bensì il mondo,
nel quale può entrare il peccato. Quindi
Iddio ha solamente permesso il peccato,
e la sua volontà non è in questo punto
che permissiva, per dir così; poichè la
permissione non è altro, che una so spensione, o sia negazione d'un
potere, il quale messo in opera
impedirebbe l'azione di cui si parła, ed
il permet tere è l'ammettere una cosa legata ad
che nella sua creazione sia l'oggetto
maggiore, ed il più eccellente, che si
sia potutoprefiggere quell' essere per fettissimo. Noi nonpossiamo
assolutamen- | altre, senza proporla direttamente, ben te deciderequale
siastato un tale fine del Creatore,
poichè siamo troppo limitati per
conoscere la sua natura: tuttavia
siccome sappiamo che la sua bontà l'ha
chè sia in poter nostro l'impedirla. ( Corano).. Questi passi, se dimostrano cheMao metto
attribuiva a Gesù una missione
profetica, provano eziandio che ai suoi
tempi era accreditata e diffusa la voce
che Maria aveva concepito Gesù nell'a Il profeta d'altronde lasciava il
Cora- dulterio, e che molti dubbi sussisteva no fatto raccogliere parecchi anni
dopo no ancora intorno alla risurrezione. E
daAbubeker successore di lui. Inque- la intima persuasione del profeta
che sto libro, il cui titolo significa
lettura gli ebrei si fossero contaminati atten per eccellenza,Maometto non
parlamai| tando alla vita del Messia, fu forse
in prima persona: è Dio stesso che
parla per mezzo di lui, e questa cre denza è così radicata nei mussulmani, cagione del solo atto iniquo da lui commesso dopo la vittoria. Imperocchè non accordò quartiere ainumerosissima 12 MAOMETTO
ebrei dimoranti nell'Arabia, ma li per- siete in viaggio, o ammalati; se
avete segul, quanti potè
uccise,saccheggið le fatti i vostri bisogni naturali, o se a loro case e tutti
costrinse a rifugiarsi vete avuto commercio con donna, fre in paese non
soggetto al suo dominio. gatevi il viso ele mani confina polvere, Di sè poi Maometto parla nel Co- se vi manca
l'acqua. Dio è indulgente rano come di
profeta predetto dalle e misericordioso ( Corano). stesse scritture degli ebrei. Alla sua 2.º La preghiera che si fa cinque missione trova allusioni nel Pentateuco❘ volte al giorno in casa o al tempio,
ma ( Corano VII, 156 ); e Gesù stesso
è suo precursore e rivelatore.« Gesù, fi
glio di Maria, diceva al suo popolo: O
figli di Israele ! io sono l'apostolo di
Dio a voi inviato per confermare il
Pentateuco che vi è stato dato prima
di me, e per annunciarvi la venuta di
un apostolo che verrà dopo di me, il
cui nome sarà Ahmed. E quando Gesù
faceva loro vedere dei segni evidenti,
essi dicevano : è magia manifesta (Corano). Ahmed, (il glorioso) è un dei nomidi Mohammed, e i Mao mettani
pretendono che Gesù n' abbia predetta la
venuta nel Paracleto di cui parla S.
Giovanni ( XVI, 17), cor ruzione dicono essi, di Periclytos, che in lingua greca suona, come Ahmed, il glorioso. Così, aggiungono, l' alterazio ne
della voce e la sua applicazione alla
discesa dello Spirito Santo, non è altro
che una prova della mala fede dei cri stiani. 11 Corano è la continuazione della rivelazione antica. « Prima del Corano esisteva il libro di Mosè, dato a guida degli uomini ed in prova della bontà di Dio; or quello conferma questo in lingua araba, affinchè i cattivi siano av
vertiti, e i buoni sentano la buona no vella (Corano). I principali precetti dell' islamismo sono:
1.º La purificazione, la qual si ot tiene colle abluzioni molto raccoman
sempre cogli occhi rivolti alla Mecca.
Solo la preghiera solenne del venerdi
dev'esser fatta in comune nella moschea,
imperocchè il venerdì presso i mussul mani è giorno sacro a Dio. Il
digiuno del mese di ramazan, nel quale
il fedele non può durante il giorno
cibarsi di checchessia. L' elemosina
molto raccomandata dal Corano. Dio dice
ai credenti: >> (Corano XI, 109
). Il fatalismo e lapredestinazione son dommi pienamente confermati in molti passi del Corano, il quale accenna che il bene e il male son già da Dio pre
determinati in modo invariabile. L'isla mismo ha, del resto, le sue
dispute dottrinali, i suoi casisti e la
sua teo logia. Poco dopo la morte del profeta
imussulmani si divisero in una molti tudine di sette, le prime delle
quali, quelle dei sciti ed i sunniti,
disputano ancora intorno alla
successione dei ca liffi; imperocchè i primi riconoscono in Ali il solo successore del profeta, e
gli altri vogliono che Abubeker
soltanto avesse il diritto di
succedergli. E poi chè i dottori dell' uno e dell' altro par a salvamento. Marcione. Discepolo di Cerdone. Credesi che insegnasse il suo sistema nella Persia verso la metà del secondo secolo. Adottando i principii del duali smo
orientale e volendoli applicare al
cristianesimo, credette di trovare nella
opposizione che presentavano fra loro
l'Antico e il Nuovo Testamento il segno
manifesto dellaloro intrinseca differenza. Opera del principio malvagio era l'An tico
Testamento, e del buon principio il
Nuovo. Tant' erano i Marcioniti con vinti di questo dualismo che nutrivano un grandissimo disprezzo pel Dio di Mosè, e Teodoreto narra che un mar cionita di
novant'anni, era penetrato dal più vivo
dolore ognivolta che il bisogno di
nutrirsi l'obbligava ad usare i prodotti
del Dio creatore. I discepoli di
Marcione penetrati dalla nobiltà della
loro anima che supponevano essere una
emanazione diretta del buono principio,
correvano valorosamente incontro al
martirio e alla morte, ond' essere li berati dalle catene materiali
fatte dal Dio creatore. Eusebio cita
l'esempio di un marcionita, il quale
essendo stato attaccato vivo ad un palo
col capo in giù, e con i chiodi
conficcati nelle carni, fu abbruciato a
fuoco lento, senza che ritrattasse
alcuna cosa delle sue cre denze.
Marechal(PietroSilvano).Nacque nel
1750 a Parigi, ove esercitò l'avvo 14
MARIA VERGINE catura. Fu poi
chiamato a coprire un posto nella
biblioteca Mazarina, ma lo perdette nel
1783 peraverpubblicato le Litanie della
provvidenza, libro che fu giudicato
sommamente irreligioso. L'an no appresso pubblicò il Libro sfuggito al diluvio, o salmi nuovamente scoper ti. L'
almanacco degli onesti stampato nel
1788, fu abbruciato per mano del boia e
l'autore venne condannato a tre mesi di
prigionia. Nel 1790 pubblicò : Dio e i
preti, frammento di un poema filosofico;
ott'annidopo il Lucrezio fran cese e il Culto degli uomini senza Dio, col quale egli intendeva fin d'allora di gettare le fondamentadi unasocietà di uomini onesti che praticassero il bene, ela morale osservassero senza coazione religiosa,
Nell'anno 1800 mandò alle stampe il
Dizionario degli atei antichi e moderni,
lavoro dinongran mole, alla compila retto specialmente aintrodurre
l'indiffe renza in materia di religione, come gli Incas furono volti a rendere odioso il fanatismo.
Nel 1797 eletto membro del Corpo
legislativo, egli compose un discorso sul libero esercizio dei culti, che non fu letto nell'assemblea, e si trova
stampato infine alle sue memorie.
«Questo scritto, dice l' autore della
storia ecclesiastica, parla della
religione con assai rispetto, come ne
parla nella sua Metafisica e nella
Morale, libri che entrambi vera mente non sono di unuomo irreligioso, tuttochè qua e là vi si trovino iprinci pii
del Belisario. » Maria Vergine. Dei
quattro e vangeli canonici, due negano implicita mente la verginità di Maria, e
sono quelli di Marco e di Giovanni; e
due l'affermano, ma in maniera così scon
clusionata e contradditoria, che la loro
testimonianza non può essere di alcun
zione del quale fu aiutato da Lalande
che ' arrichi poi di due supplementi.❘ peso nemmeno per concludere che, vi L'autore affermava che il
deista non differisce gran che dal
cattolico romano, esi lagnava
chemoltimembri dell'Isti tutoancora andassero allamessa,emolti atei portassero la corona e recitassero il rosario. Fra gli atei più fermi Mare chal
contaval'economistaBandeau, l'ab bateArmand, Bourdin tesoriere di Fran cia,
Fieville, Naigeon e d' Holbach. Tutti gli scritti di Marechal ap
partengononecessariamente aquel perio dofilosofico del secolo XVIII, che lavoro assai, e assai coraggiosamente, non
tanto per fondare una filosofia nuova,
quanto per distruggere quelle secolari
supersti zioni contro le quali la sola rivoluzione preparata dagli enciclopedisti potè com
battere vittoriosamente.
Marmontel(Giovanni).Nacquenel
Limosino nel 1723. Chiamato aParigida
Voltaire, frequentò le sale de' filosofidei suoi tempi,con alcundei quali contrasse amicizia. Sottogli auspici di Voltaire in
venti ancora i loro autori, questo dom ma cattolico fosse già formato. È
vero che Matteo e Luca parlando di
Maria insegnano ch'ella aveva concepito
Gesù per opera dello Spirito Santo, ma è
pur vero che il primo di questi
evangelisti aggiunge che Giuseppe non
conobbe Maria finch' ella ebbe partorito
il suo figliuol primogenito cui pose
nomeGesù. Ed è chiaro che un primogenito
sup pone per lo meno un secondogenito, e
che seMaria fu vergine prima non lo
potè essere poi. D'altra parte, se Giu seppe non conobbe Maria prima
ch'ella avesse partorito Gesù, per
illazione si deve conchiudere che la
conobbe dopo, e che l'evangelista abbia
voluto sol tanto indicare che la continenza degli sposi durd fino alla nascita del reden tore.
Che questo fosse il suo vero pen siero, si può desumere dallo stesso e
vangelista, il quale più innanzi narra,
che mentre Gesù parlava ancora alle
turbe >> o il sostegno
dell' estensione, bisogne rebbe che essa avesse in se stessa un'al tra
estensione che la rendesse propria ad
essere substratum o sostegno, e così di
seguito all'infinito. Ora io vi doman do se non è questauna cosa assurda
in sè, e nel medesimo tempo contraddito
ria a ciò che mi avete testè accordato,
che il substratum, o il sostegno dell'e stensione debba essere qualche
cosa di stinta dall' estensione ed ancora che
1 l' escluda ? Chi non vede che
cotesto sofisma si risolve infine in una
pura questione di parole ? Tutto
l'errore dell' argomen tazione sta nel supporre che il substrato o sostegno, come si voglia chiamare, sta sotto all'estensione. La
confutazione poteva correre per la
vecchia scuola, la qual supponeva che
sotto all'estensione, alla forza e agli
altri fenomeni della sostanza esisteva
un substrato sostan ziale. Oggidì nè sotto nè sopra alla materia si ammette che esista cosa al cuna.
L'estensione e la forza non stanno nella
materia, ma sono la materia, od
altrimenti sono un modo di essere della
materia. Sotto all' estensione non sta
dunque cosa alcuna novellamente estesa,
poichè l'estensione non è cosa, ma mo do di essere delle cose. Il Genovesi ha ben dimostrata tal trinsecamente da una cosa di cui è estensione; e perciò è, o modo o attri (
Metaf. par. V). L'argomentazione del
Genovesi mi par così precisa che nulla
rimanga da opporgli . Se non che,
ponendo egli nella prima parte la
questione della semplicità della
sostanza, cade in una delle sconfinate
astrazioni di Leibnitz che son, del
resto, comuni a tutti i metafisici dei
tempi andati. Ciò che sia semplice noi
non sappiamo, e questa vocenonesprime
pernoi cheunadi quel le tante idee di negazione che sì spesso si vennero confutando in questo dizio nario.
Noi conosciamo una materia com posta di parti ed estesa; e per opposi zione
imetafisici hanno voluto concepirne un'
altra, che denominarono sostanza, la
quale essendo semplice non è com posta di parti. Mail negare le proprietá della materia non è creare una sostan za
nuova, e gl' antichi atomisti ( v. A TOMISMO ) che avevan concepito
l'atomo indivisibile e inesteso, erano
pur stati alle prese colla medesima
contraddizio ne, di ammettere, cioè, una materia di cui negavano in ultimo gli attributi. Nel fatto lamateria, che in conclusione è tutto quanto esiste di sostanza, non la percepiamo altrimenti che sotto le parvenze di questi stessi attributi, e tutte le volte che noi cerchiamo col pensiero di sopprimerli, cadiamo in una
MATERIALISMO vuota astrazione.
Imperocchè la sem plicità, nel senso inteso da' metafisici, non sappiamo nemmeno approssimati vamente che
cosa sia, e il significato di quella
voce per noi rimane allo stato di una
perfetta incognita. Tutte le dispute
adunque che si son fatte e che si posson
fare sulla sempli cità della sostanza, si risolvono infine 27
argomentazioni delle scuole, si deve con cludere che alcunchè veramente
esi ste e compone l' universo, e questo che
essere la materia, l'essenza della quale
noi ignoriamo, si piuttosto conosciamo
sol per i fenomeni ond' ella a noi si fa
palese e pei quali soltanto ai nostri
sensi è dato di percepirla. Codesta ma in meri giuochi di parole,
imperocchè la sostanza non si può
concepire altri menti che estesa, e una sostanza estesa non la si può concepire altrimenti che divisibile. Voler spingere il nostro pen
siero oltre questi limiti segnati dalla
sensazione è follia, è un ricadere nella
teoria delle idee innate (v. questa voce) èun pretendere di avere idee metafisi che
anteriori alla sensazione. Tal fu invero
l'eccesso in cui cadde Leibnitz quando
espose quel suo sistema delle monadi
vuote, o sostanze senza estensione di
che voleva composti tutti i corpi, le
quali nessuno è mai riescito aconcepire,
nè concepirà mai. Non è a dirsi in
quanti errori e in quante cisquiglie la
supposta e non mai compresa semplicità
della sostanza abbia tratto i metafisici
d'altri tempi. Wolf, per esempio, chiama
la materia un fe nomeno sostanziato. La materia, dic'egli, è l'esteso dotato della forza d'
inerzia, elamateria si mostra a noi come
un soggetto che dura e che è
modificabile, e perciò come unasostanza;
ma essendo la sostanza semplice,
l'estensione è un fenomeno, e perciò non
può dirsi che la materia sia una
sostanza, e per tal ragione puòchiamarsi
fenomeno sostan ziato ( Cosmol.). In
questa maniera, grazie alle in venzioni de' metafisici, tanto larghi di parole nuoveper supplire al difetto
delle loro idee, non avremo la sola
sostanza oil solo fenomeno, ma anche il
feno meno sostanziato, ossia qualche cosache
non essendo nè sostanza, nè fenomeno,
dovrà naturalmente relegarsi nel regno
delle chimere. Ripeto: a ben
stringere tutte le teria, comunque si
voglia chiamare e intendere,è poi
identica a quella che i metafisici
dicono sostanza, sol ch' essa, nel
concettonostro, mai non si disgiun ge, nè può disgiungersi, dai fenomeni con cui ci si palesa. Tostochè noi fac ciamo
astrazione di questi fenomeni, vale a
dire la vogliamo concepire se paratamente dalla forza dall' estensio ne, da!
movimento, dal colore, dal sa pore, dal suono e così via, essa scom pare per
noi, diviene una idea priva di senso,
inconcepibile e assurda, impe rocchè sia appunto ilcomplesso di questi fenomeni che per noi costituisce tutto quanto ci è dato d' intendere della ma
teria. All' articolo CREAZIONE fu già
dimo strata l'impossibilità della creazione
della materia dal nulla, e la quasi u nanimità degli antichi filosofi
nell' atte stare questo principio. Del dinamismo poi che nega alla materia l'esistenza e riconosce i soli centri di movimento
senza sostanza che si muova, fu detto
negli articoli DINAMISMO E
CATTANEO. Materialismo.
Sistemafilosofico il quale considera la
materia come fon-' damento e substrato
d'ogni esistenza. Non credo che del
materialismo possa darsi definizione più
esatta di questa, avvegnachè cotesta
filosofia sia per se stessa così chiara
e palese da non ri chiedere molte parole per essere defi nita, sendo le cose
chiare da tutti su bito e chiaramente intese. Invero, tutto il domma materialista si compendia in queste sole parole: affermare che esiste
la materia, e che lamateria è tutto
quanto esiste di sostanziale. Tutto il
resto nella dottrinamaterialista non è
che accessorio; si hanno negazioni ma
non altre affer 28 MATERIALISMO mazioni. Le negazioni scendono natu ralmente
dalla affermazione fondamen tale, ne sono, per così dire, la diretta conseguenza, ma non tutti, per essere materialisti sono obbligati ad intenderle ad un modo.
Vedremo in seguito quali siano
queste negazioni. Occupiamoci innanzi
tutto dell' affermazione. Che
cosa sia la materia e che in tenda il materialismo di esprimere con questa voce, fu già detto al precedente articolo Materia e a quello Forza, che non si possono dispensare di leggere coloro che ben vogliono intendere la teoria materialista. Materia e forza e
sprimono pel materialista tutto quanto
esiste di sostanziale e di fenomenico;
sol ch' egli intende la forza quale un
fenomeno e non una sostanza, unmodo
di essere proprio della materiacome la
forma, l'estensione, il colore ecc.
di è che nemmeno Dio potrebbe esi stere fuorchè materiale, stando cioè
en tro la cerchia di quell' elemento che
solo possiede l'esistenza. Questa con seguenza l' avevano già preveduta
gli antichi, e Descartes stesso
l'annuncia tuttochè s' ingegni di
respingerla. Al lorchè noi concepiamo la sostanza, dice egli, concepiamo solamente una cosa che esiste inunamaniera, in cuinon habiso gno se
non di se stessaper esistere. Vi può
essere dell' oscurità riguardo al l'espressione: non aver bisogno che di se stessa per esistere; poichè propria mente
parlando non vi è se non il solo Dio che
sia tale, e non vi è alcuna co sa creata, la quale possa esistere un solo momento senza la sua potenza ». Cosi, dopo avere sentita la necessità di porre per base dell' esistenza della ma teria
la sua indipendenza daogni altro ente,
Descartes, non vinto dal ragiona Da questa premessa fondamentale | mento, ma
pieghevole ai pregiudizi co scendono tutte le negazioni del mate rialismo, le
quali quà e là furono giá dimostrate nei
vari articoli di questo muni, s'inchina
al sofisma con che que sti gli dimostrano che la materia esi ste perchè Dio la
sostiene. Dizionario. E primieramente,
se la ma teria, di tutto quanto esista è il sub strato e il fondamento, l'anima
e lo spirito (v. ANIMA) non possono
esistere se non materiali; ma un'anima o
uno spirito materiali non sarebbero più
nè anima nè spirito, ma materia,
d'onde si vede che l' ammissione
dellamateria come fondamento unico dell'
esistenza, ripugna coll'ammissione di
una esisten za immateriale. Quest'esistenza sarebbe, in sostanza, nè più nè meno che l'atoто vuoto, ossia quella sostanza semplice, indivisibile che la metafisica è andata vanamente imaginando senza mai riu scire a
concepirla. (v. MATERIA). Se la materia
è il fondamento d'ogni esistenza,
nessuna esistenza può essere anteriore
ad essa e fuori di essa. Nem meno può essere stata creata, poichè fuori di essa nessuna cosa potendo esi stere,
' immateriale, ossia il nulla non poteva
creare la materia e darle una qualità
che esso stesso non aveva. Quin Ma la definizione era data e revo carsi non
poteva; e Spinozache intravi de tutto il profitto che ne poteva trarre, l' usò largamente. Di maniera che, po sto il
principio che per risolvere il pro blema generatore degli esseri bisogna risalire all'origine stessa delle cose e partire da alcune prime nozioni chiare chenon ne suppongono altre, egli pose come nozione primitiva quelladella so stanza.
E come Descartes aveva detto, così
Spinoza ripetè che la sostanza per
esistere non aveva bisogno che di se
stessa. E dappoichè ciò che esiste per
se stesso non ripete da altri la sua e sistenza, così conchiuse che la
sostanza èeterna e come nessuna molecola
nuova nasce nell' universo, così nessuna
si di strugge. La materia si trasforma per le
sole forze che le sono proprie, nè mai
se ne stà in riposo. (v. MATERIA).
Che il concetto dell' eternità della
materia escluda l'esistenza e l'eternità
di Dio, non pare che tutti l'intendes MATERIALISMO sero. Per lo meno l'antico dualismo ammetteva la coternità di due principii (V. DUALISMO), e molti anche ne' tempi moderni si mantennero in tali idee. Tal fu Voltaire, il quale ammettendo la ve rità
dell' antico assioma de nihilo nihil
fit, riconosceva ancora l'esistenza di
Dio, non creatore, ma regolatore della
materia. Tale credenza, del resto, fu
anche degli ebrei, i quali ammettevano
che Dio aveva ordinata, ma nou creata
la materia ( v. CREAZIONE). Si osservi
bene però che nel solo concetto dell'e ternità della materia non è
contenuta l'esclusione dell' esistenza
di Dio. Que st' esclusione invece appare evidente nel principio fondamentale del materia lismo
moderno: se la materia è fonda mento d' ogni esistenza, Dio non po 29 di esprimere il concetto che se una e ternità
esiste, questa conviene perfetta mente allamateria la quale, colle stes se
leggi del pensiero, ci si dimostra
essere eterna e per l' infinita divisibilità e per l'infinita estensione. (v.
INFINITO E DIVISIBILITA'). AncheDioper esistere dovrebbe essere sostanziale, sarebbe dunqueunasostanza. Da qui il panteismo di Spinoza il quale non differisce dal materialismo che per una mera questione di parole. L' uno e l'altro sono, infatti, disposti ad
ammettere che un' unica sostanza è
diffusa nell'u trebbe esistere senz' essere materiale o senz' essere una funzione; ora l'una e l'altra di queste idee ripugnano col concetto che noi abbiamo dell'esisten za di
Dio. Dicendo che la materia è eterna
il materialismo però non insegna un dom
ma assoluto, nè pur pretende di a vere
risolto il problema dell' eternità. Esso
riconosce anzi e sostiene che noi non
abbiamo, nè possiamo avereil concetto di
ciò ch'è eterno, echel'eternitàper l'uomo rappresenta una idea negativa piuttosto che positiva ( v. ETERNITA' E IDEE INNATE).
Ma in un modo o nell' altro, tutte le
volte che noi pensiamo ai cor pi mutabili e perituri possiamo eziandio pensare alla negazione di questi carat teri
transitori, e immaginarci un corpo, una
sostanza che non perisce. Questa è la
condizione di eternità che lo spiri tualismo afferma nello spirito senza in
tenderla, e che il materialismo rimet te nella materia senza pretendere
per questo d' intenderla meglio del suo
av versario. Ma non fraintendiamo que sta sua affermazione come molti affet
tatamente sogliono fare: affermando l'e ternità della materiail materialismo
non intende menomamente di eccedere i li
niverso, e che ogni cosa che abbia esi stenza è parte di questa immensa e u
niversale unità di sostanza. Che il primo
poi chiami Dio questa sostanza e il
secondo materia, la filosofianon ciha che veder nulla, ma sì la fisiologia, la quale dirà se aun essere così composto di
parti, omeglio a quest' universalità
degli es seri esistenti a cui mal si può attribuire un pensiero e una individualitàpropria, convenga il nome di Dio. Premiando 0 castigando le sue creature questo Dio premierebbe o punirebbe se stesso. Io confesso che non ho mai saputo concepire il panteismo altrimenti che come un materialismo svisato, sotto il quale ad ogni tratto fan capolino tutte le premessedi questo sistema. Fra l'una e l'altra dottrina vi è differenza di voci, non d'idee, e qual de' due applichi le parole nel senso proprio o nel traslato è facile a vedersi. Dalla premessa fondamentale del ma terialismo,
che la materia è base e fon damento d' ogni esistenza, scende na naturalmente
la conseguenza ch' essa è increata.
Imperocchè ciò che è fonda mento dell' esistenza ha già in se stesso la sua ragion d'essere, nè può riceverla da altri. La materia è dunque eterna. Riconoscendo che la materia è de terminata da
leggi, che gli effetti suc cedono ognora in forza di cause prece denti, il
materialismo è stato condotto anegare
illibero arbitrio, che moltissimi miti
della nostra intelligenza, ma solo í d'altrondehannonegato senz'esseremate
30 MATRIMONIO rialisti (vedi LIBERO ARBITRIO). Anche
in questa negazione il materialismo non ha creato un domma nuovo; ha sem plicemente
accettate le premesse che già erano
state poste da altri sistemi perfin
teologici ( Vedi PREDESTINAZIONE e
GRAZIA) ed ha obbedito ad un rigo roso bisogno della logica, impotente a spiegare la possibilità di effetti anco vo
litivi che potessero verificarsi senza cau.
se determinanti, senza la ragione del
loro proprio essere. Togliendo
alla morale ogni carattere assoluto, la
filosofia materialista non poneva una
semplice negazione al posto dell'
affermazione de' suoi avversari, ma
faceva ragione ai risultati dell' antro pologia, alle relazioni dei
viaggiatori, alla storia stessa dello
spirito umano, che concordemente ci
dimostrano essere la morale un risultato
variabile del cli ma, del tempo, dei costumi edei varibi sogni della societá
secondo il suo grado di coltura e la fisica
costituzione del l'uomo. (Vedi MORALE).
Ma, come gia dissi, tutte queste ne gazioni costituiscono la parte
accessoria del materialismo scientifico,
e le dissi denze sull' uno o sull' altro punto pos sono stare nel suo seno,
secondo le va rie maniere che ai filosofi di questa scuola piaccia d' interpretare i
fenomeni e di dedurne le
conseguenze. Il vero e fondamentale
carattere che distingue la filosofia
materialista dalle altre, è sempre
l'affermazione di 1 una sostanza unica esistente veramente nell' universo. E parrà strano che su questo punto sul quale tutte le scuole, eccezion fatta per l'idealista, conven gono,
possano nascere tante controver sie e tante recriminazioni. Imperocchè, aben considerare le cose, se tutti am mettono
che alcun che esiste veramente ed é
sempre esistito, tutti dovrebbero del
pari riconoscere che il chiamare questa
entità col nome di spirite, Dio,
sostanza, quiddità, atomo o materia, può
essere questione filologica ma non filo sofica, e purchè si convenga
intorno agli attributi di questo quid,
tutto il resto si riduce ad una mera
disputa di parole. Il materialismo, più modesto degli altri sistemi, ha trovato il nome di ma teria
bell' e fatto, e credette inutile van to il creare apposta voci nuove per e
sprimere idee vecchie. Matrimonio. Uno
dei sette sa cramenti della Chiesa cattolica. Sotto la legge di Mosè la poligamia non solo era permessa, ma poteva anche consi derarsi
come di divina instituzione. La Genesi
ci mostra Dio stesso sanzionante la poligamia
dei santi patriarchi. Il ma trimonio indissolubile e contratto tra un solo uomo e una sol donna fu sta bilito da
Gesù. Il quale insegnò ch' egli era
venuto, non per annullare, ma per
confermare l'antica legge; ed infatti
nulla mutò degli ordinamenti religiosi
del giudaismo; ma nel matrimonio in trodusse una vera innovazione. Ciò
che Dio ha congiunto, diss' egli
alludendo all' inviolabilità
matrimoniale, l'uomo non separi. Certo è che introducendo la mono gamia, Gesù
ha seguito un desiderio già sanzionato
dalla morale del suo tempo. Ed'aver tolti
li abusi della poligamia la filosofia
modernanon può che saper gli grado. Ma fu errore grave quello d'aver tolto il divorzio, rimedio rara mente
funesto, e sempre vantaggioso quando
proscioglie da vincoli, che spes so la stessa loro indissolubilità rende insoffribili.
Se lo stato matrimoniale sia prefe ribile alla verginità Gesù non disse,
ed ebbe torto. Ma il cristianesimo non
do veva rimanere entro i modesti confini
che gli aveva tracciati il maestro. Uo mini zelanti e apostoli esaltati
dovevano ben presto eccedere nell'
insegnamento le dottrine stesse di Gesù.
Giacchè s'e gli aveva corretta la poligamia e ordi nata la monogamia ond'
attutire i sensi e rintuzzare la
voluttà, perchè non sarebbe stata util
cosa il vietare ad drittura ogni unione carnale e proclamare MATRIMOΝΙΟ 31 la
verginita siccome uno stato di per- getta all' uomo ! E l'uomo ebbe il do
fezione ? Primo apronunciarsi in questo
senso è s. Paolo; e dopo di lui tutti o
quasi tutti i padri trovarono nel loro
santo delirio parole di amaro
rimprovero contro l'amore che invade e
penetra tutta la natura (v. AMORE). Gli stessi eretici de' primi secoli partecipano a cotesto sdegnoso diprezzo de'vincoli imposti dalla natura.
Trattasi di soffocare la concupiscenza
della car ne, di allontanare l'uomo dalla donna
per la quale, come scriveva Lattanzio,
il peccato era entrato nel mondo. Simon
Mago, Basilide, Saturnino, Cerdone, Car pocrate, i gnostici, gli
encratiti, Tazia no, i Marcioniti, i Manichei, alcuni Origenisti, gli Adamiti e i Valesiani riprovarono il matrimonio, non già per chè
ammettessero siccome superfluo il minio
sulla donna. La nascita di Gesù bastò
almeno ariabilitare la donna per cui
opera era stato concepito il redento re ? Ma no, poichè il cristianesimo, fedele alla maledizione, non vuole l'u nione
dei sessi; fa concepire Maria fuori del
matrimonio, per opera dello Spirito
Santo: la sua maternità è una violazione
della natura. Il cattolicesimo va
ancora più in nanzi: esso insegna ormai che lastessa nascita di Maria fa eccezione a tutte le leggidi natura, imperocchè ella non nacque come nascono le altre femmine: ella fu immacolata. Disputano i cattolici e gli accatolici intorno al matrimonio, al quale gli ul timi
negano l'efficacia del sacramento. Tutti
però hanno la benedizione nuziale,
obbligatoria pei primi, volontaria per gli vincolo religioso per l'unione dei sessi,
altri. Ondechè se ai protestanti può ma
perchè considéravano quest' unione come
sostanzialmente malvagia. Invero nel
dualismo prevalente in quasi tutte le
eresie dei primi secoli, il malvagio
principio accagionavasi di tutti i mali,
eposciachè la vita stessa consideravasi
comeunmale, a lui attribuivasi la pro creazione dei corpi. Onde
asserivasiche la generazione dei
figliuoli avvenivaper suggestione del cattivo
principio, ed altro non giovava se non
che ad esten dere il suo dominio. Combattere la ge nerazione valeva dunque
quanto com battere l'impero del male, e Origene
che da se stesso recidesi le parti geni tali, e i Valesiani più feroci
ancora, che sè e gli altri forzatamente
rendevano eunuchi facevano opera, nel
senso loro, sovranamente benefica. Questo delirio durò lungamente; ma come ogni cosa contro natura, dovette pure avere il suo fine. L'unione dei sessi, bestemmiata dapprima, riconosciu ta o
tollerata poi nel matrimonio, ri ceveva però nel cristianesimo la con danna
originale. Eva era caduta per la
concupiscenza, e la maledizione era stata seagliata contro di lei: Tu sarai sog parer
cosa lecita il matrimonio anche
puramente civile, pei cattolici quest' u nione divien concubinato, ed
ove non intervengano il ministro e la
materia del sacramento, unione dei sessi
per loro, lecitamente non si può dare.
E l'unione non è comunanza di
sentimenti fondata sui principii della
dignità per sonale e della civile eguaglianza, poichè laChiesa, secondo la maledizione scaglia tada
Dio sul capo di Eva, vuol ladonna
sottomessa all'uomo, e col matrimonio
non ledauncompagno, maun padrone.
Perciò essa dichiara, per la bocca di
uno de' suoi più eminenti casisti, che
nemmeno i mali trattamenti possono
essere causa del divorzio. « Le batti ture, dice S. Alfonso de Liguori,
sono una causa di divorzio ? Gli uni
affer mano, gli altri negano. Il maggior nu mero insegna esser permesso al
marito di battere la moglie, purchè nol
faccia frequentemente, per cagion
leggera e con collera, ma raramente e
mediocre mente (mediocriter). D'onde l' opinione probabile di Sanchez che insegna la donnanon poter abbandonare il marito che la batte, se i colpi son leggeri, .. 32
MATRIMONIO quand' anche fosse
colpita senza motivo, a meno che, secondo
altri, non sia di condizione nobile
». Enondimeno gl' imperatori pagani avevano notevolmente migliorata la con
dizione della donna, e il primo Anto nino aveva tolto al marito il diritto
di accusare la moglie d'adulterio
quand'e gli stesso non fosse stato irriprovevole. Dopo dieciotto secoli, la legislazione cri
stiana non è ancor giunta a questo
punto! Non già, dice uno
scrittore moder no, che la donna manchi d'ogni diritto sul padrone che la batte. Essa, per e sempio,
può involargli i cattivi libri, o un po'
di danaro per fare l' elemosina; può
abbandonarlo se cessa di essere
cattolico, o se la sollecita nell'eresia, e la carità stessa neppur l'obbliga a ri
prenderlo quand'egli si converte; ma
essa deve lasciarsi battere se è buon
credente, e cedere ai suoi desideri quan d' anche sia lebbroso, e il
figlio ch'essa potrebbe concepire
corresse pericolo di morte. ( Liguori
Teologia morale). Il diritto canonico
condanna esplici tamente il matrimonio tra i cattolici e gli eretici, imperocchè l' eresia, per comun consenso dei teologi, è uno degli impedimenti a ben ricevere il sacramen to. La
legge civile in Francia, ancora nel
secolo XVII, sanzionava siffatto
principio, come ne fa prova un editto
di Luigi XIV del mese di novembre
1680, così concepito : « Luigi ecc., I
canoni dei concili avendo condannato il
matrimonio fra gli eretici e i cattolici
come un pubblico scandalo, e una pro fanazione del sacramento, noi
abbiamo creduto tanto più necessario
d'impedirli in avvenire, in quanto
abbiamo ricono sciuto che la tolleranza di questi ma trimoni espone i cattolicia
una tentazione continua per la loro
perversione ecc. Laonde vogliamo che per
l'avvenire i nostri sudditi cattolici
non possano, sotto qualsiasi pretesto,
contrarre ma trimonio con quelli della religione pre tesa riformata,
dichiarando tali matri moni invalidi, e i figli nascituri ille gittimi ». Un decreto del 20 dicembre 1599 pubblicato nella Franca Contea dall'Ar
ciducaAlbertoe dalla sua sposa Isabella,
avea anche prima d' allora vietati i
matrimoni tra cattolici ed eretici, pena
la confisca del corpo e dei beni (An ciennes ordonnances de la Franche
Comte lib. V. tit. XVIII). Per lo meno
prima del 1724 era lecito ai protestanti
francesi di maritarsi fra di loro; ma
colla dichiarazione del 14 maggio 1724
minutata dal Cardinal di Fleury,
siffatta concessione parve li cenza, e a tutti fu ordinato coll'art. 15 di tal legge che le « forme prescritte dai canoni fossero osservate nei matri moni,
tanto dei nuovi convert.ti quanto di
tutti gli altri sudditi del re ». E
perchè quest' ultima frase comprendeva
e cattolici e protestanti, non solo i
giudici civili si rifiutarono di presiedere ai matrimoni fra i protestanti, ma an cora
furono dichiarati invalidi quelli
contratti sotto leconcessioni precedenti
eche non fossero rivestiti delle forme
canoniche. La rivoluzione
francese tolse siffatte brutture colla
instituzione del matrimo nio civile. E fu allora che la Chiesa, congiurando contro le nuove libertà, e non volendo riconoscere la potestà
civile, nė pure quella dei preti che
avevano giurato fedeltà alla
costituzione, dichia rò validi i matrimoni dei cattolici fatti fuori della legge civile e senza il mini
stero dei preti giurati, purchè contratti
alla presenza di due testimoni. « Questa
sorta di matrimoni, scriveva il cardinale di Zelada al vescovo di Luçon (Vatica no 28
maggio 1793) quantunque con tratti senza la presenza del curato, non saranno perciò men validi e leciti, come fu più volte dichiarato dalla Congrega zione
interprete del Conciliodi Trento.>>>
Più tardi se gli sposi troveranno l'oc casione di farsi benedire da un
prete non giurato, faranuo cosa buona,
ma MAUPERTUIS rare cha la benedizione
non tocca in nulla la validità del
matrimonio ». (Ri sposta della Congregazione incaricata degli affari di Francia 22 aprile1795). 33
questo sacerdote avrà cura di dichia- cattolica agli eretici, fu
riconosciuto nella riforma dalla Chiesa
anglicana e dal luteranismo (v.
ANGLICANISMO e LUTERO). Perciò che
riguarda il matrimonio dei preti,
concesso nei primi secoli e nega to poi, si consulti l' articolo CELIBATO La Chiesa cattolica non soffre l'in tervento
della potestà civile nel matri monio, nè concede che gli eretici con traggano
matrimonio coi cattolici, ma autorizza
il divorzio degli sposi eretici tutte le
volte che un d'essi si converta al
cattolicismo. Così essa divide per
regnare, e molti esempi lo provano irre cusabilmente. Ne cito uno fra i
molti, attestato dal seguente
documento: «Emmanuele, per la
misericordia di Dio e la grazia dalla
Santa sede apostolica, vescovo di S.
Sebastiano, o Rio-Janeiro. ! Al
papa profugo concedeva con un ap posito articolo della costituzione tutte le guarentigie necessarie, ove fosse tor nato
in Roma, per esercitarvi il potere L'8
settembre 1847,poco dopo l'ele zione di Pio IX, Mazzini mandavagli da Londra una lettera pereccitarlo, come già aveva fatto con Carlo Alberto, a lasciar libera la circolazione delle
idee eapropugnare il principio dell'
unitá nazionale. « Noi, scriveva
Mazzini, vi faremo sorgere una nazione
intorno, al cui sviluppo libero,
popolare, voi, vivendo,presiederete. Noi
fonderemo un governo unico in Europa che
distrug gerá l'assurdo divorzio fra il temporale e lo spirituale; e nel quale voi sarete scelto a rappresentare il principio del quale gli uomini scelti a rappresentare la nazione faranno le applicazioni.... » La separazione fra il temporale e lo spirituale era dunque daMazzini di
chiarata assurda. Fedele al suo motto La
parte più spiccata della figura di
Mazzini, emerge appunto per la missione
religiosa ch'egli si era impo sta (della quale soltanto dobbiamo qui occuparci); e i principii suoi, fedel mente
applicati, più presto ci avrebbero
condotti alla teocrazia che alla libertà. Eccone alcuni saggi. Riti e Simboli « Cristo venne e can cozzo tra loro, e che pur sono e sa > Forse sfiduciato ne suoi arditi, quan tunque
generosi, tentativi tendenti ad un fine
che era per lui fonte perenne di vita e
stimolo fortissimo all'azione, egli sentiva
ne'momenti di scoramento, ilbi sogno di sfogare il cordoglio e d'impu tare la
colpa dell'insuccesso ad unpar tito già troppo inoltrato nella lotta contro i pregiudizi dominanti, e troppo nemico di quanti idealismi e misticismi offuscarono l'intelletto umano, perchè
ai più non paresse opera buona e azion di merito il condannarlo comechessia, anche nelle cose ov' esso meno poteva per l' incapacità stessa di cui l' aveva accusato. Il materialismo fu la vittima espiatoria da lui scelta, e come giàgli antichi pagani su di essa scagliavano le loro maledizioni, per farle portare sotto il coltello del sacrificatore tutto il peso delle colpe dagli uomini com messe,
ma da essa soltanto espiate; così egli
sul capo del materialismo a veva rinversato la colpa d' ogni insu cesso de'
tentativi da lui fatti per l'e mancipazione politica. Fin dal giorno in cuipubblicando i cenni storici della sua vita, iogli espo neva
con franchezza eguale a quella d'oggi, i
motivi che mi avevano consi 40 MAZZINI gliato a sopprimere la sua formola «Dio e Popolo > laqualeposta a san zione
di governo, io considerava e con sidero come contraria ai principii della separazione della Chiesa dallo Stato e alla libertà di coscienza, fra l'altre cose egli mi scriveva: > Egli credeva nel continuo rivelarsi di Dio attraverso la Vita collettiva dell' U
manità. Dio, diceva, s' incarica peren nementenei grandifatti che
manifestano la vita universale (Dal
Conc. a Dio pag. 22).
Quidunquelarivelazione èpermanen te e progressiva, ma nulla infatti rivela fuordiquanto nel sistema de'
materialisti ègiàconcesso e preveduto.
L'opposizio ne fra ledue scuole non cambianatura: noi dicevamo chelalegge morale, nata nel senso dell'umanità per la necessità stessa de' suoi bisogni progressivi, si va svolgendo in ragione dei tempi, dei costumi e della civiltà; egli traspor tava il
principio di questo progresso fuori di
noi, in un punto incognito dello spazio,
d'onde esso emana peren nemente ma con varia efficacia, e s'in carna in noi per
mezzo di un processo che nè l'analisi,
nè la sintesi non ci hanno mai scoverto.
Ma come nel no stro sistema vogliamo riservato all'uo mo il merito dellesue
opere, così su di lui ricade la
responsabilità delle colpe e degli
errori che momentaneamente fermarono o
fecero retrocedere il pro gresso dell'umanità. Invece la perenne rivelazione di Mazzini, la quale in so stanza
non è altro che una copia adul terata del progresso,storico,ha questo do di
maggiormente assurdo ogni altra, ch'essa
toglie alsuo Dio ogni carattere
assoluto, lo fa procedere per le sue vie
emanifestarsi per fassi irregolari, con
modo di filosofarenon cape nella testa.
Noi procediamo col metodo per scoprire ❘ incarnazioni talora progressive, tal fiata il fine, non possiamo a mmettere un fine apriori, anteriore ad ogni esperienza, regredienti; ci additainfineun Ente incer to
di sè che va esplorando i tempi e
erivelatoci non si saprebbe come e da le idee, nè sa raggiungereil fine
senza chi. In conclusione, idue sistemi
dista evitare le dubbiezze e le contraddizioni
no di poco; l' essenziale differenza sta
nel modo di stabilire e condurre l'esa me, sta nel sapere se s'
incomincerà a costruire l'edificio dal
tetto o dalla base! Mabasti per il materialismo. Vediamo ora se questo intimo sentimento, questa sintesi dell'anima ha almeno a Mazzini del Dio mosaico. Questo Dio imperfetto e capriccioso, harivelato la barbarie in Australia, la civiltà inEuropa, la
scienza all' antico Egitto, la
superstizione e l'in famia ai cattolici del medio evo. Tutti quosti momenti storici che, nel sistema mazziniano, sono manifestazioni di Dio, non possono tutti ad un modo essere
MAZZINI 43 progredienti; nè tutti possono derivare i lutava
e gli sorrideva dalungi: esso at dalla
incarnazione nell' umanità di quel
medesimo essere che esso dice necessa riamente identico al Vero e al
Giusto. Ecco dunque Mazzini di fronte al
dua lismo che rimproverava a'vescovi catto lici del concilio, ma che fatalmente
la logica doveva consigliare a lui, come già consigliò a Zoroastro, a Manete, a Saturnino. Questi erano i primi effetti della sublime sintesi chevuole emanci
parsidall'analisi. Astraendo da'fatti par ticolari e dalle leggi di natura che
ge nerano edirigono il morale svolgimento
dell'umanità, e che a seconda de' casi,
delle circostanze, del clima, della ferti lità del suolo la sospingono
per questa o quella via, essa vuole
riassumere in unprincipio solo fuor
dell'universo tutti i fenomeni speciali
che qui fra noi e dentro di noi si
producono, ed incar nare la collettività degli esseri umani in un individuo solo, causa prima e u nica
d'ogni fenomeno morale sorta d'
antropomorfismo che volendo fog giarsi un Dio impersonale, non giunge amiglior parto che di darci una ima gine
sbiadita di quanto è, opera o pensa l'
Umanità! Veramente non ci voleva tanto
per convincere i materialisti che la
sintesi non crea idee nuove, ma co pia, congiunge, armonizza o deforma i fenomeni speciali rivelati dall'
analisi, secondo che più o men bene su
questa si appoggia. Ondechè
allontanandosi dall' analisi Mazzini
aveva creduto di foggiarsi un Dio nuovo,
ma in verità non aveva raggiunto altro
scopo che quello di trasportare tutti li
attributi dell'umanità nella parola Dio.
E sicco me questi attributi sono buoni e cat tivi, così egli non aveva evitato
l'eter no scogliodi tutti i rivelatori: o di am mettere il Bene e il Male
derivanti dallo stesso principio (quindi
l' imperfezione in Dio stesso) o di
creare un altro prin cipio d'onde emani ogniMale, come da Dio neviene ogni Bene. Mazzini aveva voluto respingere il Diavolo, ma lo spirito del Male lo sa tende
il posto che gli spetta nell'incom pleto sistema mazziniano, e vivrà si curo di
sè e fidente nel suo trionfo, fino a
quando vi saranno religioni o filosofie,
che vorranno far derivare il Bene o il
Male da uno stesso eassoluto
principio. Rispondendo a queste
obbiezioni un anno dopo (1870)Mazzini
inuno scritto sulla intolleranza e
l'indifferenza, cost spiegava il suo
concetto della rivela zione di Dio nell'umanità: « Noi non crediamo nella rivelazione diretta, imme
diata, in un tempodeterminato, da Dio
all'uomo. Crediamo nella rivelazione
continua dai primi giorni dell'umanità
fino a noi, per opera delle tendenze e
delle facoltà ingenite in noi quando si
sostanziano in armonia nell'intelletto e
nella virtù ». Con queste parole non
negava egli implicitamente l'esistenza
di unDio immutabile? Non toglieva alla
morale il carattere dell' immutabilitá,
solo imperativo morale, per cui tutti i
deisti che vissero finora credettero ne cessaria la credenza in Dio? Non
ab bandonava cost la morale in balla del
progresso, che è quanto dire dell' uma nita? Alla rivelazione non
sostituiva la storia, il fatto, pietra
angolare del me todo materialista; e al posto di Dionon metteva l' umanità? Quella che egli di ceva
rivelazione continua, non è forse il
pensiero dell'umanitá che perpetua mente lavora e si svolge, e conquista nuovi veri ? Or quest' è teoria affatto materialista, e checchè dicano in con trario
i mazziniani, civuol poco a ca pire che Iddio compie una funzione af fatto
inutile nel loro sistema teosofico; non
è come nei miti religiosi il rivela tore di verità assolute, eterne ed im
mutabili, chè anzi nasce, cresce e si svi luppa coll'umanitá e ha tante leggi
e tanti comandamenti quante sono le ne
cessità e i bisogni che si manifestano
nelle varie età del mondo.
Mazzini credeva nella continuitd
della vita negli angeli: che sono l'ani 44 MAZZINI
ma dei giusti che vissero nella fede e re misticismi nuovi, quando la
dimenti morirono nella speranza, nell' angelo cata origine li fa porre sugli
altari. custode, anima della creatura
che piú | Certo, questa conseguenza non sgomen santamente ci amò, nella serie
infinita di reincarnazioni dell' anima
di vita in vita, di mondo in mondo, e
finalmente nella trasformazione del
corpo, che era per lui lo strumento dato
al lavoro da compiersi (Dal Conc. a Dio
pag. 24-25). Ora tutte queste idee
cardinali della No; non invitate a
concordia me: rivolgetevi altrove
». Mazzini diceva di non aver
tesori, eserciti, carceri, ordinamento
governati vo per far che la sua formola trionfas se e anche se li avesse avuti
credeva di non aver dato in tutto il suo
passato diritto ad alcuno di sospettarlo
capace d'usarne. Nonpertanto bisognapur
con fessare che quel sospetto non era poi
affatto infondato. Da ben dieci anni si
insisteva presso di lui, o con lettere o
« con la stampa, affine di
indurlo a fare una
consimiledichiarazione, e pochi me si innanzi io gli scriveva queste
parole: Non si tratta di render grazia
ma giustizia; e il far chiaramente
intendere ai vostri amici che la formola
Dio e Popolo, è regola di coscienza che
vuol essere accettata liberamente, non
im posta come principio di governo, nè
consegnata nella costituzione, è dovere
a,cui, se siete tollerante, non potete
sottrarvi. » Allora Mazzini non
rispose, e secon do il suo costume, rispose indiretta mente poi con le parole
or riferite. Ma se almeno dopo tanto
ritardo la sua dichiarazione avesse
soddisfatte tutte le esigenze della
libertà, me ne sarei con a solato. Ma
no; egli ritoglieva da una parte quello
che dall' altra concedeva. Non voleva
imporre colla forza la sua formola, ma
lasciava però chiaramente intendere
ch'egli la voleva inalzata principio di
governo. Ora, una afferma zione ufficiale, checcè si dica in contra rio,
implica obbligazione. Credo che Mazzini
fosse tale da tenere la parola e E
veramente l'oblazione sola, oltre l'e levazione, era stata levata, perchè, di
cevasi, la Chiesa cattolica le attribuisce
il merito di rimettere i peccati per la
semplice offerta, senza esservi bisogno
nè di recarvi la fede, nè alcun movi mento buono del cuore. Poco
differisce anche la messa anglicana, la
quale se ne togli il nome cambiato, la
transu stanziazione negata, e le orazioni pei
morti soppresse, ha conservato nella
comunione, il prefazio, la consacrazione
e altre parti fondamentali del canone
cattolico. Metafisica. La scienza
che tratta dei primi principi, delle
idee universali, e delle operazioni
dello spirito. È defi nizione cotesta generalmente accettata, e della poca stabilità di essa si può argomentare della pochissima solidità e delle immense pretese di questa scien za.
Gl'idealisti moderni ricorrono spesso
alla metafisica per spiegare in qualche
maniera i fantasmi della loro immagi nazione; e Gioberti che tanto si
com piaceva di correre i campi del pensiero
per scoprirvi nuove forme, creare pa role nuove e definirle, assimila ad
drittura la metafisica al soprannaturale.
Non pare però che nei tempi anti 1
chi la metafisica fosse scienza così in determinata, e se guardiamo alle
origini di questa voce, dobbiamo anzi
conclu dere ch'essa esprimeva meno assai di
quanto vogliono ch'esprima certi filosofi moderni. Aristotile aveva scritti molti trattati su quasi tutti i rami dello scibile,
ma nonavevapensato a riunirli in classi
e a dare un titolo a queste classi, che
abbracciasse la generalità delle cose
dimostrate. Fu questo un lavoro che
fecero i suoi commentatori, eprincipal menteAlessandroAfrodisio,il quale
delle opere aristoteliche fece due
grandi di visioni: alla prima riferi le fisiche; ma dovendo poi dare un nome all' altra parte, non trovò di meglio che intito larla
metafisica, cioè dopo la fisica. 61 nessuno intende. D'altronde una scienza che si occupa delle cose sopranaturali non è scienza, mateologia, e i suoi cul tori
meglio chefilosofi sidirebbero teo logi.
Dall' inutilità della metafisica sono
insigne monumento la vanità de' suoi
Altri, per verità, voglion dare a
questa voce una diversa etimologia, e
il prof. Martini così ragiona: Μετα' è
una proposizione che ha vari signifi cati: ora esprime dopo, come si è
testé avvertito; ma altre volte esprime
oltre ossia indica passaggio da uno
stato ad un altro, o da un luogoad un
altro. Ri ferirò due esempi. Gravina, allettato dal raro ingegno poetico di Pietro Trapas si,
povero fanciullo, se lo adottò a fi gliuolo, ed amante com'era della greca favella, grecizzò quel cognome, e l'ap pello
Metastasio, che veramente e prime
Trapassi. Se alcuni l'interpreta rono Metà dell'anima mia, certo erano affatto stranieri ad ogni ellenismo. Ovi dio
intitolò il suo poema le Metamo rfosi in
cui rappresenta le trasformazioni, o
converzioni di persone in costellazioni,
in pianeti, in animali. Dunque metà fi sica vorrebbe dire trasfisica, o
trasna turale, o sopranaturale.Ma se noi dob biamo accettare in tal senso
questa voce, e non v'é ragioneper cui
non la si accetti, dopochè così è
prevalso nel l'uso comune, qual concetto dov remo noi aver d'una scienza che si occupa di cose non naturali? Dove è il campo dei suoi studi ? Dove i soggetti delle sue sperienze? Che ne sa essamai delle cose che stanno fuori dell'ordine della na tura;
anzi ancora vi son cose che non siano
naturali, e delle quali la scienza possa
seriamente occuparsi? A'metafisici credo
che saràmolto difficile rispondere
aqueste domande; ciò che non impe dirà loro di continuare a scrivere
dei volumi per spiegare a tutti cose
che sistemi. Quali scoperte ha esse
fatte ? Cercando vanamente di spingersi
fuor della natura, oltre i confini del
mondo sperimentale, essa vagò sempremai
nel regno delle ombre. In mancanza di
fatti nuovi, di nuovi enti, inventò altre
entità evocate dal nulla e chiamate trop
po facilmente all' esistenza sostanziale.
Niuno mai le vide nè le senti. (V.
ENTITÀ) Ben disse Romagnosi, che
il primo abuso, che non di rado fassi
delle pa role e del loro accozzamento, è quello
di adoperarle, con certe idee, che gli
autori medesimi non saprebbero dirsi
che si fossero. « Quando i peripatetici,
per cagion d' esempio,spiegavano molti
fenomeni della natura con due parole
Simpatia e Antipatia, io non so se essi
capissero niente di quel che voleva dir si. Interviene il medesimo, a
coloro, i quali credono esservi, oltre i
feno meni di attrazione, una vera forza at tratrice tra i corpi: questa forza
non si capendo meccanicamente, divenuta
un mistero, rende la lingua fisica
arcana. Si trovano diqueste parolee
frasi spesso negli autori antichi, e in
tutti quelli i quali parlano di cose che
non inten dono; ma in nessuna scienza v'è n' ha
più quanto nelle metafisiche. Un meta fisico, ch'è sempre uno che si
presume molto, nonpotrebbe coprire la
sua igno ranza che con una lingua che impone.
La lingua metafisicadi Omero e di tutti
gli antichi poeti teologi, è piena di
queste parole e frasi significanti un non so che, nelle quali si trovano da'
nostri eruditi tanti misteri ignoti agli
autori. Alcune volte sono parole
tecniche, cioé d'arte, e servono a
coprire l'ignoranza delle professioni le
più triviali. Tutti gli artisti ne
hanno, e sono arme da offesa e da difesa; ma in nessun a arte ve n'ha
tantequanto in chimica, in me dicina, in astrologia.>>> Metempsicosi. Dottrina religio sa la quale
suppone che le anime u mane dopo la morte passano in altri corpi. Par che i più antichi credenti nella metempsicosi siano stati
gl'indiani (V. BRAMANISMO, BUDDISMO).
Tuttavia lo ammisero anche molti
filosofi greci, tali che Empedocle.
Plutarco, Platone; e Beausobre sostiene
che anchemolti pa dri della Chiesa, come Origene e Sine sio ebbero una simile
opinione. Non occorre dire chequasitutte
le religioni dell'antichità ebbero una
tale credenza, la quale principalmente
trova il suo appoggio nei sogni. Quando,
infatti, l'i gnorante ricorda in sogno qualche per sona defunta, è naturalmente condotto acredere che quella persona esista ve ramente
in qualche luogo. La filosofia poi, che
per far muovere il corpo ave va inventato un'anima, composta di leggerissima materia, non poteva darle una occupazione conveniente durante la infinità dei secoli, che facendola tras
migrare dall'uno in altro corpo, per
richiamarla sempre a nuove vite, affine
di premiarla e di punirla dei suoi me riti o de' trascorsi mancamenti. Platone nel Timeo, nel secondo li bro della
Repubblica e nel Fedro cost spiega
l'ordine della trasmigrazione delle
anime. In primo luogo se l'anima ebbe
molte perfezioni in Dio, e abbia
scoperte molte verità, entra nel corpo
di un filosofo o di un savio. Quelle
men perfette entrano nel corpo di altri
uomini meno illustri, secondo l'ordine
seguente: 2. L'anima entra nel corpo
di un re o di ungranprincipe. 3. Essa
passa nel corpo di un magistrato o di
uncapo diuna potente famiglia. 4. En tra nel corpo di un medico. 5.
Entra nel corpo di un uomo che abbia l'
in carico di provvedere al culto degli Dei.
6. Passa nel corpo di unpoeta. 7. Nel
corpo di un operaio.8. Nel corpo di un
sofista, e infine nelcorpo diun tiranno.
Gl'indiani ammettevano anch'essi una
successione poco dissimile attraverso
alle loro caste, e i buddisti credono an cora che le anime possono
passare nel corpo degli animali più
immondi, opi nione che fu pur divisa da Pitagora e da Empedocle.
I più accaniti nemici della trasmi grazione delle anime nella Grecia
erano gli epicurei, i quali dicevano che
se noi fossimo entrati nel corpo di
altri uomini avremmo conservata la memo
ria delle nostre azioni. Quanto al pas saggio delle anime umane nel corpo degli animali, essi dicevano che questa opinione non si appoggiava ai fatti; se ciò avvenisse l'anima dovrebbe im primere
all'animale il suo proprio ca rattere, mentre invece vediamo che i leoni sono sempre coraggiosi, e 1 cervi sempre timidi. Tutti, o quasi tutti ipopoli selvaggi credono a una sorta di metempsicosi, ma questa credenza è andata scompa rendo
dalle religioni e dalle filosofie dei
popoli civili, ed ormai essa non ha fra
noi altri settatori che gli spiritisti.
(v. SPIRITISMO). Metodisti. Così
son chiamati i membri di una delle più
cospicue sette ond'è divisa la religione
anglicana. Ne fu fondatore John Wesley
nel 1730, il quale deplorando la
depravazione dei costumi e la corruzione
della Chiesa, volle con una nuova
predicazione in trodurre nella riforma una nuova ri forma. Nei suoi viaggi
nell'America, nell'Olanda e nella
Germania strinse co noscenza con molti entusiasti luterani, e visitando le loro communità presto apprese quanto facil cosa sia il cre dersi
inspirati e il farlo credere altrui.
Alcuni anni dopo, il fratel suo Carlo,
si unì a quella missione, insegnando
che Dio, dopo avere colpito colla di sperazione i suoi
prediletti,improvvisa mente apre i loro occhi alla luce e li vivifica col suo spirito. Così fu illumi nato
S. Paolo sulla via di Damasco, e così fu
Wesley chiamato alla scienza della rivelazione. Se non che non fu egli tocco dalla luceceleste, per quanto egli stesso afferma, che qualche anno dopo, cioè a Londra, nella via Alder
role: 63
Passai un'ora nella scuola di
Kingwood. Ma singolare stranezza! Che
ne avvenne delle opere mirabili della
grazia che il Signore operava nei fan gate il 29 maggio 1739 a ore otto
e tre quarti. Sul qual proposito
unoscrit tore cattolico argutamente osserva come sia assai difficile a capire com'egli, es
sendo inpreda acommozioni così vio lente potè dar retta al batterdelle
ore, o cavarsi di tasca l'oriuolo per
osser vare con tanta precisione l'ora e il mi nuto. Lo spirito di Dio che avevavisitato il maestro, non poteva restarmuto pei discepoli. Whitefield, socio di Wesley, nella nuova Chiesa ebbe anch'egli i suoi moti convulsi e le suecrisi divire, e mentr'egli con impetuosa eloquenza su per le piazze parlava ai suoi ascol
tatori, era bene spesso soprappreso da
crisi nervose e da stranivaneggiamenti.
Tali erano i segni esteriori della gra zia, colla quale i nuovi profeti,
a so miglianza dei fanatici delle Çevennes,
(v. CAMISARDI) invitavano i fedeli alla
penitenza. E che si tentassedirinnovare
allora l'invasione dei piccoli profeti, ri levasi da Soutey, il quale
narracome i maestri di Kingwood
tormentassero senza posa i fanciulli
dell'età di sette ad otto anni finchè
avessero dato se gno della loro giustificazione ». Si cer cava di gettarli in
preda al terrore e alla disperazione
spingendoli fino alla follia; e dappoi
colla calma e la sicu rezza procuravasi di fugarne lo spa vento. Wesley,
presente a simili ecces si, li approvava e li promoveva, ma sperò indarno di trarne partito per le predicazioni profetiche. O vuoi che le scuole di profezia non fossero così du
ramente avviate al misticismo come
quelle dei calvinisti, o che l'esempio
mancasse a generare il contagio men tale, o che, infine, i maestri non
per severassero nell'esaltare l'immaginazio ne dei giovanetti, fatto è che
risultati soddisfacenti non si ottennero
allora, e Wesley stesso lo attesta
conqueste pa ciulli nello scorso settembre? Tutto di sparve come un sogno!
>> La novella riformawesleiana
fudun que fondata sulla sola predicazione de gli adulti,e fu questa così attiva
e in defessa, che non pochi chiamò al suo
partito. Le molte e lunghe preghiere
i digiuni, la lettura dellaBibbia, le fre quenti comunioni, ai seguaci
di quel nuovo quietismo, meritarono per
ischer no il titolo di metodisti. Uniti sulprin cipio alla Chiesa anglicana, se
ne se pararono poi per ordinare 1 loro sacer doti, ma non tardarono a dividersi
fra loro stessi per le vive controversie
su alcuni punti dottrinali, avvenute
fra Wesley e Whitefield; perocchè
mentre il primo riteneva che le opere
erano essenziali alla salute, l'altro le
teneva come meno importanti. Fondato
sul suo principio, parve a Wesley che
le migliori opere fossero quelle che po
tessero indirizzare l'uomo a quella co tale perfezione cristiana che gli toglie ogni lecito godimento terreno per in
dirizzare la sua mente al cielo. E per ciò proibi ai suoi seguaci 'le carte,
i teatri, i balli, le corse dei cavalli,
i ma nichini, le trine, i liquori spiritosi ed
il tabacco. La verginità non impose,
ma molto encomiò coloro che nel loro
cuore fossero riusciti a totalmente e stinguere la concupiscenza. I metodisti sono anche oggi molto numerosi nell'Inghilterra e negli Stati Uniti, e possedono ricchi stabilimenti nelle Indie, a Calcutta, nell'isola di Ceylan e fin nell'Oceania. Essi hanno molti predicatori ambulanti, e parecchi ne mandano all'estero per diffondere le loro dottrine. Metodo. L'artedi disporre le pro prie idee
ordinatamente acciò s' inten dano con maggior facilità. Il metodo è perciò necessario tanto a chi studia, quanto a chi insegna, e tutti sanno quanta
maggior fatica si abbia ad ap prendere le cose esposte disordinata mente, che
non abbiano, cioè, fra loro alcuna
relazione. Il metodo è analitico o
sintetico, secondo cheincomincia dalle
cose par ticolari per passare alle generali, o vi ceversa. Era massima degli
antichi che il metodo analitico forse
adatto soltanto a ricercare e scoprire
la verità, mache il sintetico meglio
convenisse per inse gnarla e dimostrarla. Questa massima perdurò assai tempo nell' opinione dei filosofi, e si può ben dire che perdura tuttora nell' opinione di molti pedago gisti.
Non si ha molta difficoltà a am mettere che l'analisi sola conduce alla verità (vedi ANALISI ); ma si pretende che quando gia si sia inpossesso della verità meglio si riesca afarla intendere altrui col metodo sintetico. Di qui i termini, le formole, le difinizioni di
cui sono irti tutti i libri elementari.
Ma questo ragionamento non è tutto vero. Le proposizioni generali non s'intendono se prima non siano spiegate coi fatti particolari, e non si mostri in modo certo in base a quali elementi si siano pronunciate tali proposizioni. Le idee non sono innate innoicome credevano certi antichi, ma si acquistano lenta mente
coi processi sperimentali o con la
continuata osservazione di fatti si mili; osservazione per la quale astra endo
dai fatti particolari si stabilirono le
regole generali, e principii le leggi.
Nulla, infatti, pare a noi più evidente
di questo teorema: se due rette si ta gliano in qualche punto, gli
angoli ver ticali sono eguali tra loro; oppure in ogni triangolo la somma dei tre an goli
equivale a due angoli retti. Eppu re avrebbe mai potuto lageometria ac certare
queste così semplici verità, sen za che una precedente osservazione le avesse dimostrate? Certo che no. Solo dopo essersi accertato che in tuttii
casi accennati sempre si verificava la
me desima condizione, il geometra ha po tuto fare astrazione di tutti i casi
par ticolari, e stabilire la regola generale.
Ma l' osservazione precedente è stata
essenzialmente analitica; la regola sol tanto è sintetica, siccome
quella che riunisce in un solo principio
tutte le osservazioni particolari. Ma
così debole è l' evidenza di questa
sintesi per co loro che manchino di tutte le cogni zioni analitiche da essa
implicitamente supposte, che in ogni
libro di geometria elementare si vede
sempre che ogni teorema è immediatamente
seguito dalla sua dimostrazione. È vero
dunque che in questi casi si suole
incominciare dal porre la sintesi per
poi scendere col l'analisi, alla dimostrazione, ma direi the sarebbe assai più ovvio e naturale che prima si ponessero le dimostrazioni analitiche e dopo si facessero seguire dalla verità sintetica che ne è come la conclusione e la conseguenza. Certo è che in cotesti casi la sintesi che affer ma e
l'analisi che dimostra l'afferma zione, si seguono così davvicino, che la precedenza momentanea dell' una sul l'altra
non può avere inconveniente al cuno, fuor che quello di lasciare per pochi istanti sospesa la convinzione dello studioso, finchè la dimostrazione sia compiuta. Masuppongasiche untale imbizzarendo sulla pretesa precedenza della sintesi sull'analisi applicasse cote
sto metodo a modo. Egli certamente
incomincerebbe in un trattato ad es porre tutte le verità sintetiche
della geometria, d' onde una sequela di
as siomi e di teoremi tutti immediatamen te consecutivi, e tutti egualmente
non comprensibili. Il teorema
precenente suppone bensì il susseguente,
e questo quello che gli è posto innanzi,
ma sic come nessuno di essi è dimostrato, così
éevidente che tutti riesciranno incom prensibili. È vero che anche
seguendo il metodo sintetico, si dovrà
pure in fine venire all' analisi e dare
le dimo strazioni; ma quanta confusione, quale
sforzo di memoria, quanto tempo per duto nello studio arido e
puramente meccanico delle verita
sintetiche o ge METODO nerali ! E dato
pure che lo studioso rie sca a superare questa improba fatica, quale quantafaticanon durerà ancora perapplicare ad ogni principio generale 65
dessed'incominciare l'insegnamento di
quella legge, senza aver prima dimostrate le verità speciali su cui essa si fonda
e per le quali soltanto fu trovata,
sarebbe la suadimostrazione e venire via
viari schiarando nella sua mente tutte le for mole, e d'ognuna acquistarne
l'evidenza? Ora, se si vorrà essere
sinceri, si dovrà convenire che quello
che succede per la geometria, avviene
pure per le altre scienze. È un error
gravissimo quello di credere che siccome
tutte le verità particolari si trovarono
come contenute nei principi generali che
le rappresentano, da queste si deve inco
minciare l'insegnamento e non da quelle;
avvegnachè le verità generali per se
sole non siano che una astrazione dei
fatti particolari, alla conseguenza dei
quali, infin dei conti, sono dirette tutte le scienze umane; ed è ben strano che per farci conoscere le leggi che rego lano i
singoli fenomeni, si incominci dal
trasportarci lontani da essi, e direi
quasi fuor del campo della loro osser vazione. Dopo la geometriapongasi la fisica. Una delle leggi del pendolo è, che in diversi luoghi della terra, la durata delle oscillazioni, per pendoli di diver sa lunghezza,
è in ragione inversa della radice
quadrata della intensità della gravità.
Non si può negare che questo principio
generale non sia essenzial mente sintetico, e come tale non con tenga
unaquantitàdiveritàparticolari. Maposto
cosi solo,senza la cognizione analitica
deiprecedenti esperimenti, che cosa
esprime esso mai per lo studioso?
Bisognerebbe innanzi tutto ch' egli co noscesse, che per i pendoli della
mede sima lunghezza la durata delle oscilla zioni è eguale, qualunque sia la
sostan za della quale sono formati; poi che
conoscesse le leggidella gravità, l'azione suadallaperiferia al centro della terra,
e tante altre cognizioni speciali, senza
cui il principio generale non può
acquistare la necessaria evidenza. Non
v'è dubbio che unprofessoredi fisica
ilqualepreten altrettanto biasimevole del maestro e lementare che pretendesse
d' insegnare a'suoi alunni l'addizione
delle centinaia prima di aver loro
insegnata l'addizione delle decine e
delle unità. Or non so davvero perchè un
metodo che si è cosi concordemente
disposti a biasimare nelle scienze
positive, lo si voglia, non chè tollerare, anche preferire nelle di scipline
filosofiche. In verità, la ragione di
questa preferenza non si potrebbe
attribuire ad altro che alla tendenza
che hanno certi filosofi di stabilire con somma facilità le così dette leggi del pensiero, seguendo gl' impulsi del loro sentimento e della loro fantasia, piutto sto
che quelli della ragione. Si capisce
facilmente com' essi si troverebbero in
un grande impiccio se fossero costretti
a dare una ragionata analisi di quelle
loro affermazioni, e come con molta co modità si tirino d'impaccio
proclamando l'eccellenza della sintesi,
siccome quella che si presta tanto
facilmente a porre certi principii
generali che sono molto opportuni per
toccare il sentimento, mentre poi si
sottraggono, per la stessa loro generalitá,
all'analisi della ragione. Certo, si
obbietterà che uomini di molto ingegno,
come Euclide e Wolf, adottarono
esclusivamente il metodo sin tetico ; ma uomini non meno illustri, quali Bacone, Locke, Condillacmostra rono
quante ragioni dovessero far pre ferire il metodo analitico. É questa, in
fatti, la via che segue naturalmente l'u mano intelletto nella scoperta della
ve rità. Imperocchè l'uomo non incomincia
già dalla conoscenza delle cose univer sali, ma sì dalle particolari: e
dai feno meni più immediati che cadono sotto i
sensi, grado a grado, s'innalza ai più
complessi; dalle cose semplici passa alle composte, e per questa via scopre le leggi che regolano i più grandi feno meni
della natura. Laonde, il metodo 5
66 MIRABEAUD analitico, per confession stessa de'
suoi avversari, è detto essenzialmente
d' in venzione; e non so proprio intendere
perchè quello stesso metodo per ilquale
siamo condotti a scoprire laverità, deb ba poi reputarsi disadatto
quando si tratti d'insegnarla. Soave dice che ilmetodo analitico serba un ordine quasi del tutto opposto al sintetico. Imperocchè dove questo in
comincia dal premettere i principii ge nerali, da cui intende cavar poscia
le conseguenze particolari; quello all'
in contro incomincia dall'esame delle cose
particolari per farsistradadimano in ma no allegenerali: edovenel
sintetico tutto è definito, e diviso,
edistribuito in teo remi e problemi e corollari ecc, nell'a nalitico per lo
contrario quasi niuna de finizione o divisione si adopera, eniuna menzione ci si fa nè di teoremi, nè di problemi, nè di corollari; ma tutto è seguito e continuato, e tutto nasce, e si sviluppa di mano in mano dall' analisi delle idee che prendonsi aconsiderare
> (Istituz. di logica). Questo apprez
zamento non è però esatto, poichè non è
vero che le divisioni e le definizioni
manchino affatto al metodo analitico.
Esso anzi divide assai bene le varie
parti dello scibile, e certe classi di no zioni particolari in una
stessa scienza divide e raggruppa
secondo le conse guenze generali a cui conducono. Esso definisce ancora queste conseguenze e le riduce a leggi generali includenti tutti za; se cioè si debba incominciare dal dimostrare o dall' affermare. E mi par che la logica insegni doversi innanzi tutto dare la dimostrazione delle cose ha bisogno di prendere le mosse da certe verità già note. Ma queste prime affermazioni saranno assiomi enon teo remi;
attingeranno, cioè, la loro evi donzadall'esperienza immediatadei sensi enondal ragionamento, ed è per que sto che io
ho detto altrove (V. ASSIOMA) e ripeto
ora, che le verità assiomatiche sono
essenzialmente analitiche. Metrodoro di
Lampsaco. Uno dei più celebri discepoli,
e l'amico più affezionato di
Epicuro.Diogene Laerzio ce lo
rappresenta come uomo d'inconcussi
principii, onestissimo, intrepido contro
la stessa morte. Morì nel 50° anno della
sua vita, sett'anni prima del maestro
di cui professò le dottrine.Epicuro mo rendo legò nel suo testamento
agli a mici il compito di allevare e di aver
cura dei figli lasciati dal discepolo che lo aveva preceduto nella tomba. Microcosmo e Macrocosmo. ( da micros piccolo, macros grande e κοσμοςmondo)Letteralmente queste pa role
significano piccolo mondo e gran mondo,
e furono primamente adoperate dai
filosofi mistici ed ermetici per-desi gnare la perfetta corrispondenza che supponevano esistere fra l'uomo e ilmon do;
fra l'essere piccolo e quello gran dissimo, che credevano anch'esso dotato di anima. Nella filosofia moderna si adoperano, ma raramente, queste voci per indicare il mondo delle molecole, degli infusori e di tutto ciò che per essere veduto ha bisogno dell' ingran e
l'universalità dei mondi e degli astri
che compongono il MACROCOSMO. i
fatti particolari che si sono osservati | dimento del microscopio
(Microcosmo), in quel gruppo. Si diràche
quest'ultima operazione è essenzialmente
sintetica ; e sia pure. Non si tratta
giàdi escludere la sintesi, madi sapere
quale tra lasin- | Nacque in Provenza nel 1674 e fu se tesi e l'analisi debba
averela preceden- gretario dell' Accademia francese. A mico della libertà del
pensiero, egli parteggiò per la
filosofia liberale che allora appunto,
nell'Inghilterra special mente, incominciava a dare qualche barlume di libertà. Il Sistema della natura d' Holbach fu pubblicato dap prima
sotto il nome di Mirabeaud, ma niuno
fuperciò indotto in inganno, etutti
Mirabeaud. ( Giovanni Battista.)
che si andranno in seguito affermando.
Certo, anche l'analisi è pur d'uopo che
che incominci dall' affermazione, poichè | ogni ragionamento, per sempliceche sia, 1
MIRANDOLA 67 sanno che l'ardire del filosofo tedesco
restarne sorpresi. A ventiquattro anni
mal conveniva alla peritosa incredulità egli pubblicò novecento tesi per
un e che mostrò il segretario dell'accademia same scolastico de omni re
scibili, ses nei suoi scritti pubblici.AMirabeaud si santaduedellequali,a
sentirlo, dovevano attribuisce
unadissertazione sull'origine enunciare dei dommi nuovi. Il vanto di del mondo; una lettera per provare che essere
in possesso ditutteleumane co il disprezzo pergli ebrei è anteriore alla
noscenze era in quei tempi assai comu maledizione di Gesù Cristo, e final- ne,
imperocchè facilmente la dialettica,
mente le opinioni dei filosofi sulla na- aproposito od a sproposito,
discorreva tura dell'anima. Queste
attribuzioni però d' ogni cosa, e facilmente ostentava una hanno la solatestimonianzadiNaigeon. | grande
erudizione per coloroche in luo Due scritti lasciò che furono poi pubblicati dal marchese d' Argens, e sono: Sentimento dei filosofi sulla na tura
dell'anima, e Il mondo, sua cri gine e sua antichità. Nell'uno e nell'al tro
Mirabeaud dimostra che la spiri tualità dell'anima non fu conosciutadai filosofi dell' antichità; che essi consi
derarono il mondo siccome eterno, non
solo nella sostanza, ma eziandio nella
forma, salvo un piccol numero, taliche
Platone e Anassagora, i quali ne ave vano fatto risalire l'origine a un
essere intelligente. Che, del resto, il
domma della creazione ex nikilo è stato
affatto ignorato dell'antichità, come fu
sempre ignorato l'altro domma filosofico
della finale distruzione della materia. Nella Fenicia e nella Persia, diceva Mirabeaud, si credeva bensì ad una fine del mondo, maquesto concettonon rappresentava altro che una rivoluzione astronomica. In tal maniera Mirabeaud, colla storia alla mano, distruggeva i dommi fondamentali dello spiritualismo edel cristianesimo insieme. Mirandola. (Giovanni Picoconte della Mirandola e principe della Con cordia
). Nacque nel 1463 a Mirandola, piccola
terra dell' Emilia. Studid il di ritto canonico a Bologna e parve sulle prime che le sue tendenze lo chiamas go dei
fatti si appagavano delle parole. Invece
dei sessanta dommi nuovi pro messi, lacuria romana trovò che tredici delle900tesi date meritavano censura, e le altre proibil che fossero difese.Era
colà spiaciuta l' arroganza di Pico, e
aPico spiacque lacensura romana,sicchè
partl d'Italia e si recò a Parigi, ov'
ebbe buona accoglienza da Carlo VIII,
colla discesa del quale in Italia,
ritornò an ch'egli a Firenze. Pico della
Mirandola aveva vana mente cercato di conciliare le dispute degli scolastici, dimostrando che Pla tone e
Aristotile potevano benissimo stare
insieme, e tutt' e due non servi vano che di commento a Mosè. Più che filosofo, ne' suoi scritti fu
teologo: commentò la Genesi con sette
diverse significazioni, poichè tante
appunto egli trovava in ogni versetto; e
si perdette nelle fantasticherie della
cabala e della scuola mistica Alessandrina,
e perfino in quelle di Raimondo Lullo.
Con una memoria potentissima, e studi
così mal digeriti, é facile immaginarsi
qual sorta di filosofia fosse quella del
nostro mi randolese. Una vacua ambizione lo
spingeva a voler parere grande in tutte
le scienze, e per questo forse gli par vero più apprezzabili le meno
chiare alla intelligenza volgare.
Aformarsi cotesta sero allo stato
ecclesiastico. Ma dopo- | fama si poco meritata, egli riuscì cost chè Marsilio Ficino, maestro suo, ebbe gli
infuso il proprio entusiasmo per la
filosofia greca,si applicò allo studio delle lingue orientali e incominciò ben presto acredersi pieno di un così profondo e vasto sapere, che i dotti tutti
dovessero bene, chedopo di lui ilnipote
suo (Fran cesco Pico della Mirandola) scrivendo
la biografia dello zio, narra che una fiam ma orbicolare venne per un
istante ad illuminare la madre di
Giovanni della Mirandola, per annunciare
ch'ellastava perdare alla luce un figliodel quale la forma orbicolare indicava la perfezione del sapere.
Mistero. Cosa secreta non possi bile a comprendersi. Tutte le
teologie antiche hanno avuto i loro
misteri, ed erano questi ciò che il
paganesimo a veva di più augusto e di più sacro. I misteri erano cerimonie religiose alle quali i soli iniziati potevono
assistere, ele cose che vi si vedevano e
vi si u divano erano rivelate sotto il suggello
del più rigoroso segreto: una legge col piva di morte i violatori. Tutte
le prin cipali divinità avevano i loro misteri,
laonde si celebravano in Egitto in onore
di Iside ed Osiride; nella Fenicia e nel l' Isola di Cipro in memoria di
Venere e di Adone; nella Frigia ad onore
di Cibele ed Ari; nella Grecia e in
Sicilia si commemorava Cerere e Bacco. Tutti i misteri avevano laloro par te
pubblica, nella quale al popolo si la sciava intravedere ciò che si
reputava necessario a conoscersi. Erano
d' ordi nario la commemorazione di tutte le
avventure degli Dei, iloro combattimenti
e i loro trionfi; e vi si mostrava che
tutti i loro sforzi erano stati rivolti a soccorrere il genere umano, a conso larlo de'
suoi mali, a colmarlo di bene fizi. Tali erano i piccoli misteri, a cui seguivano i grandi. Isoli iniziati assiste
vano a questi,e guai aiprofani che aves sero osato introdursi nel sacro recinto durante la celebrazione.Per lungo tem po il
segreto di questi misteri fu im penetrabile. Coloro che furono sospetti di averlo tradito dovettero fuggire per sottrarsi alla morte. Esdulo corse gra vi
pericoli per aver dette poche parole dei
misteri di Cerere che si celebrava no in Eleusi, e Alcibiade fu condannato a morte per averli riprodotti nella sua casa, schernendoli. Gran numero bri gavano
l'onore di esservi iniziati, ma molti
dotti, tali come Socrate, non vol lero mai esservi ammessi. Diogene, in vitato
a farvisi iniziare, rispondeva: Pa tecione, quel famoso ladro, ottenne l'i
niziazione; Epamimonda e Agesilao non la
chiesero mai. Nella parte pubblica dei
misteri e rano rappresentati allegoricamente ide stini umani nell' altro mondo.
Vi si mo stravano degli spettri erranti nelle te nebre, il dolore, la povertà,
la morte, e si faceva in seguito
apparire il Tar taro con le furie tormentatrici dei col pevoli, e i Campi Elisi
con le loro de lizie. In ultimo gli iniziati erano intro dotti nel luogo santo
ove si vedeva la statua del Dio
risplendente di luce, e lá si udivano
cose che a nessuno era permesso di
rivelare. Quel secreto era infatti molto
essenziale per la maestà della
religione, imperocchè spesso si in segnassero cose che poco si accorda vano con
le pratiche del culto. Non solo si
revocd in dubbio l'apoteosi degli eroi,
ma si dubitò perfino della divinità
degli Dei superiori. Tali erano le
concessioni che la Chiesa si vedeva
costretta a fare all' incredulità della fi losofia dominante! Per questo
Dionigi d' Alicarnasso diceva lore, ma abborrenti i piaceri dei
sensi, condannanti il matrimonio. Colla
loro vita incomune e colla
contemplazione delle cose spirituali
alle quali sempre rivolgevano la mente,
essi furono i pre Ascoltiamo ora i precetti di Visnhu per ottenere l'estasi beatifica con mezzi molto adatti a produrre unbuona con gestione
cerebrale. Il ragionamento non può
spingersi al di là delle nostre
percezioni. Questa è una verità così
ovvia che fa meravi glia il vederla così spesso dimenticata. Leibnitz può bene innoltrarsi oltre i confini della sensazione, ma a patto però che fra la premessa e la conse guenza
del suo ragionamento, o non vi sia
rapporto alcuno necessario, o l'una sia
la negazione dell'altra. Infatti
quand'egli dice: vi sono esseri compo sti, dunque vi sono esseri
semplici, ar gomenta nello stesso modo come sedi cesse: vi sono corpi, dunque
non vi so no corpi. E veramente, se i composti
costituiscono i corpi, i semplici sono
la negazione dei corpi: l'una è l'affer verità generale che la filosofia
può de- | mazione, l'altra la negazione. Ma an durre dall' eternità delle
funzioni: (v. MORTE); e l'eternitàdella
materia trova un corrispondente nella
eternità delle Monadi. Ma il tortodi
Leibnitz è quello di giungere a questi
risultamenti per via di astrazioni, e di
trasportare gra che i bimbi che vanno a scuola sanno che nel sillogismo la conseguenza de ve
essere sempre contenuta nella pre messa. Ora nell'idea di corpo è conte nuta
l'estensione; la logica dunque mi
tuitamente le qualità dei corpi in certi
principii che non hanno alcuna delle
qualità che sono supposti di produrre.
Il difetto capitale del Monadismo, come
lo ha ben rilevato il prof. Justus, è
quellodi supporre che degli esseri ine stesi possano generare l'
estensione, che dalla esistenzadei corpi
composti di parti possa logicamente
dedursi quella di cose semplici.
Considerando con attenzione la
spiegazione del com posto, dic'egli, non si trova alcun dato che ci possa condurre all'idea di essere semplice. Gli esseri composti hanno delle parti. Dunque la prima conclu sione che
si potrebbe fareper taleprin cipio è questa: che dove esistono dei composti, vi sono anche delle parti. Or l'idea di parte non ci conduce anco ra a
quella di essere semplice, poi chè gli esseri semplici son quelli che non hanno parti: dunque per spin gersi più
innanzi coll'induzione, non si potrebbe
dir altro, se non che, laddove vieta di
dedurre per conseguenza l'e sistenza di corpi inestesi. Posso bensl dire: il corpo è compostodiparti, dun que
esistono le parti; ma queste parti
partecipano alla natura del tutto d'on de emanano, e se io attribuisco
loro qualità diverse da quelle che aveva
il tutto, faccio una induzione
difettosa. Mail sillogismo è per
lalogicaciò che per l'analisi è la
chimica: i risultati di questi due
processi se vengono riuniti devono
ricomporre il corpo, o il ragio namento decomposto. Ma se dalla riu nione di
cose inestese non potrò mai avere
l'ideadel corpo esteso, dovrò con cludere che la conseguenza contiene una nozione che non si trovava nella premessa (V. DEDUZIONE E SILLOGISMO). Tutto il Monadismo si fonda dun que sopra un
artificio simile a quello su cui si basa
il Dinamismo (V. CATTANEO) vale a dire che alle parole note sostituisce parolenuove, che son la ne
gazione di quelle; poi scambia le pa role nuove per cosevere, e queste con
MONDO sidera come esistenti, mentre
quelle che esistono nega. Mondo. Quali fossero le opinioni degli antichi sulla eternitàdel mondo si può vedere in questo Dizionario all'art. CREAZIONE. Il maggior numero dei fi losofi
pagani credette che la materia fosse
eterna; e tuttavia parecchi fra essi
negando l'intervento della divinità
79 role: Platone rigetto mai
sempre l'in finità dei mondi, e dubito del numero di essi determinato e preciso. Concedendo che poteva ben esistere, come volevano alcuni, cinque mondi in ciascun elemen to,
egli s'attenne però ad un solo. Un altro
filosofo diceva che il numero dei mondi
non era infinito, nè che ve n'era un
solo o cinque, ma cento ottantatrè nella
produzione della sostanza, ammi sero però che un ente divino avesse atteso a dar forma acotale materia e terna
secondo le attuali disposizioni del
mondo. Prima d'allora, credeva
Anassagora, tutto eraconfusione, ma lo
spiritovenne ed ogni cosa fu ordinata
(Laerz. lib. Il, Sez, VI). Questa opinione è pienamente con forme a
quella della Bibbia, dove si legge che
nel principio era il caos, dal quale
Iddio formò (non cred,secondo il
testooriginale) il cieloe la terra. Perchè fin Platone ammetteva che Iddio ave va, non
creata, ma ordinata la materia tal quale
noi la vediamo ( Laerz. lib. III seg.
LXX): e gli stoici, ei plato nici professavano tutti eguale opinione. Anzi, Platone e parecchi altri andaro no
ancora più oltre, e attribuirono al
mondo un' anima, distinguendo con ciò
il principio motore dalla materia mos sa, e raffigurandosi il mondo
quale un immenso animale dotato di un
princi pio individuo e di una vita propria. Per
i teologi, scriveva Macrobio, Jupiter è
l'anima del mondo; donde il detto di
Virgilio: Muse, cominciamo da Jupiter
poichè ogni cosa è piena di lui ( Virg.
Sogno di Scipione). Lo spirito a limenta la vita e l'anima sparsa
nelle vaste membra del mondo ne agita
la massa, e forma così un solo
immenso corpo (Saturn.) La teoria della pluralità dei mondi che alcuni credono affatto moderna, già aveva trovato un eco fragli antichi, e molti dei filosofi greci l'hanno
ammessa. Plutarco nel suo libro degli
Oracoli mette in boccaaCleombroto
questepa i quali erano regolati in forma di trian golo, ciascun lato del quale
conteneva 60 mondi e che altri tre mondi
erano aciascun angolo ». I Talmudisti
cre devano che Dio avesse creati diciotto
mondi, e Maometto nel principio del l'Alcorano invoca il Signore dei
mondi. Quanto all'età del mondo sul
quale viviamo, le teologie ci hanno dati
dei numeri molto singolari e così
diversi danon sapersi proprio a quale
aggiu star fede. Anche la Bibbia presen ta tre età differenti nell'antico Te
stamento. Infatti, coll'anno 1876 ilmon do conterebbe: Secondo le versione dei settanta, anni 7345
Secondo il testo samaritano > 6180
> 5879 Secondo la vulgata La teologia indiana ci offre dei cal coli
assai diversi. Secondo il Riga-Veda il
mondo deve durare 12,000 anni, ma un'
altra versione fa durare il giorno di
Brama corrispondente a quello del mondo
4,320,000 anni, divisi in quat tro età, l'ultima della quale, quella in cui viviamo, dura da oltre 432,000 an ni, e
dovrà finire quando l'ultimo quar to di virtù, che ancora esiste sulla ter ra,
sarà finito. Il cristianesimo fa correre
più ra pidamente il mondo allasua fine. Gesú
aveva promessodivenire nella gloria del
padre suo, co' suoi angeli a giudicare
i vivi ed i morti. E que' mille
anni fu rono variamente valutati, finchè verso
la metà del decimosecolo,Bernardo da
Turingia, predicò che la finale catastrofe sarebbe avvenuta al cominciare dell'an no
1000. E i ricchi donativi fatti alla
Pochi anni dopo, nel 1198, si sparse
di nuovo la voce della prossima fine
del mondo, non già col mezzo dei fe nonemi celesti, ma per la nascita
del l'Anticristo in Babilonia alla quale do vera seguire la distruzione del
genere umano. Nel principio del secolo decimo quarto,
l'alchimista Arnaldo da Villano,
annunciò l'avvenimento per l'anno 1335;
e nel suo trattato De sigillis applicò
l'influenza degli astri all' alchimia, e sponendo tutte le formole
misteriose che dovevano essere atte a
scongiurare i demoni. San Vincenzo
Ferreri, da fa moso predicatore spagnuolo quale egli era, fissò al mondo tanti anni di esi chiesa
in quel torno di tempo, e i te stamenti fatti colla formola appropi quante fine
mundi, provano il grande impegno che
mettevano i ricchi per ri conciliarsi con Dio, e per presentarsi con qualche merito al di lui giudizio.
strutta in quell'anno stesso. Sul qual
stenza, quanti sono i versetti che si
contano nel Salterio, cioè 2537.
Il secolodecimosesto produsse il mag gior numero di predizioni su la
diştru zione del genere umano. Nel 1584
il famoso astrologo Leo vizio predisse che la terra sarebbé di Ma passò l'anno
mille senzacataclismi, ela fine del
mondo fu rimessa all' an no 1033, perciochè fu detto allora che i mille anni non dovevano contarsi dal l'anno primo dell' era volgare, ma da quello della morte del Salvatore, che aveva incatenato > ricchiti a buon mercato. La disdetta toccata aqueste profezie, non sgomen tò il
loro autore, chè anzi lo Stoffler,
insieme al famoso Regiomontano, pre disse di nuovo la fine del mondo
per l'anno 1588, senza che il mondo mo
strasse di darsi alcunpensierodi quella | recchie, così riassunte da E.
Diamilla predizione. Ma lasciamo queste sciocche predi zioni,
tristi avanzi dei tempi d'ignoran za, e vediamo ciò che nel campo della scienza può, in via d'ipotesi,
logicamente argomentarsi sul fine ultimo
del nostro mondo. Le ipotesi finora
fatte sono pa Però una stella sconosciuta erasi
accesa improvvisamente nel 1572 nella
costellazione di Cassiope, sfolgorante di tanta luce da rendersi visibile in pien meriggio. E gli astrologhi divulgarono essere dessa la famosa Stella dei Magi, ritornata ad annunciare l'ultima venuta di Cristo, che non si lasciò vedere. Nuove predizioni sulla fine del mon dofurono
fatte nei secoli XVII e XVIII, e, ciò
che non parrà credibile, anche nel
secolo nostro le predizioni conti nuarono.
Ènota all'universale la predizione di
Salmard Montfort pubblicata nel 1826,
laquale concedeva alla terra soli dieci
anni di esistenza. La signora di
Krüdner; la donna mistica della Santa
alleanza, l' amica dell' imperatore
Alessandro, profetizzò laruina del
nostro pianeta pel giorno 13 gennaio
1819; e sette anni dopo Sal mard Montfort prediceva la distruzione della terra per l'anno 1836. Nel 1840, un prete francese, Pierre Louis, dedicò a Gregorio XVI un com mentario
dell' Apocalisse, che stabiliva la fine
dei secoli per l'anno 1900. E la ragione
era questa: Muller. Buffon aveva calcolato che la terra per raffreddarsi e ridursi alla sua tem
peratura attuale, aveva dovuto impie gare 74,831 anni, e che l'umanitá po
trebbe vivere ancora 93,291 anni prima
che la temperatura della superficie ter restre si rendesse tanto
freddadaestin guere la vita. Ma quando si conobbe che il calorico interno del globo non ha nessuna influenza alla superficie, e che la vita terrestre dipende esclusiva mente
dal sole, il calcolo di Buffon fu
trascurato. Una seconda ipotesi,
fondata eziandio sul raffreddamento
della terra, suppone che quando la sua
temperatura sarà divenuta eguale a
quelladel ghiaccio, il suolo si
spaccherà come quello della luna, e
l'ultimo avanzo d'aria e d'acс qua si fisserà in quelle caverne, ove gli uomini potranno trovare un rifugio, fin chè
l'aria e l'acquanonsiperderanno in modo
definitivo. Ma poichè la terra
èquarantanove volte più grossa della
luna, dovrà vivere 49 volte di più.
Un' altra ipotesi, la più antica fra
tutte, è quella che prevede la fine del
mondocolfuoco. Questa teoria risale ai
tempi di Zoroastro, degli Ebrei, e dei
padri della Chiesa. La superficie del
nessuna delle quali ha ottenuta
l'universalità. MONTESQUIEU 89 nella calma delle passioni egli potè con
servare quella moderazione nei desideri
Famaraviglia che opinioni si poco
ortodosse abbiano potuto stamparsi e
diffondersi in un secolo in cui la tor- | che rendono la vita piacevole
a se, e tura e l'inquisizione erano le
forme or dinarie del procedimento giudiziario ;
manondimentichiamo che Montaigne,
come disse Rousseau, dormiva fra due
guanciali: quello del dubbio da una
parte, e dall'altra quello del domma
che riposa sopra l' autorità infallibile
della Chiesa. agli altri
gioconda. Nel 1721 egli mandò alle
stampe sotto il segreto dell'anonimo le
Lettere Persiane, romanzo che a' suoi
tempi ottenne grandissima voga, e me ritò molta rinomanza al suo
autore. Parlando di queste lettere, il
celebre d' Alembert scriveva: « La
pittura dei costumi orientali, reali o
supposti che siano, non è che la minima
parte di questo scritto. Per così dire,
l' Oriente non è altro che il
pretestoperfare una sottilissima satira
dei costumi nostri. » E in realtà, per
quei tempi, le lettere persiane potevano
parere arditissime, inquantochè
Montesquieu chiaramente scriveva che il
papa è unvecchio idolo Montano Eretico
nato in Ardban nella Frigia. Con le convulsioni
e i con torcimenti soliti nei profeti, pretese di essere inviato da Gesù Cristo per puri ficare
i costumi e riformare la morale. Negava
la potestà della Chiesa nell'as solvere i grandi delitti; voleva che, non una, ma tre quaresime si osservassero con digiuni straordinari e due settimane |
che s'incensa perabitudine (lettera 29);
di Xerofagia, nelle quali sidoveva aste nersi, oltre dallecarni, da ogni
cosa che avesse succo; le seconde
nozzeconsiderò siccome adultere ; e il
sottrarsi alla per secuzione dichiarò delitto. Due donne, Priscilla e Massimilla, lo seguirono e profetarono con lui. O maligni o matti ch'essi fossero, non mancarono però di seguaci ; aCostantinopoli stabilirono
una setta, e si spinsero fin
nell'Affrica, ove acquistarono al loro
partito uno dei più famosi padri della
Chiesa, Tertulliano. Se tutti
praticassero le austerità imposte da
Montano è lecito dubitare: tutti lo
avevano in grande venerazione, lo cre devano inspirato dalParacleto e
perciò dicevano che le sentenze di lui
supe ravano in sapienza le stesse massime
che allorquando Iddio mise Adamo nel
paradiso terrestre col divieto di man giare un certo frutto, gli impose
un precetto che era assurdo per un
essere che conosceva la futura
determinazione delle anime (lettera 59);
eche il papa al postutto è un mago
ilquale vuol far credere che tre
nonsonoche uno, e che il pane non è
pane. » Fu in grazia di questo libro che
la elezione di Monte squieu all'Accademia francese fu viva mente combattuta dal
cardinale Fleury, il quale in nome del
renon vi consenti infine senza molte
sollecitazioni. Dopo unlungo viaggio nei
varipaesi d'Europa, tornato inFranciasi
accinse ascrivere lo Spirito delle
leggi, libro profondo di di Gesù. Montesquieu ( Carlo di Secon dat barone di)
Nacque a Bordeaux nel l'anno 1689 da ricca e nobile famiglia, Nel 1716 fu nominato presidente per scienza e
pregevolissimoper le congni zioni storiche, sebbene non tutti i principi propugnati possanodirsi egualmenteveri. Egli vi riconosce le leggi di Dio e quelle della natura, e confutando Hob bes
pretende che i selvaggi, anzichè petuo
delparlamento di Bordeaux e poi | combattersi, si uniscono in prima per eletto membro dell'Accademia poco pri ma
fondata in quella città. Per suapro pria confessione, Montesquieu fu uno degli uomini più felici che mai siano e
sistiti: nè invidia, nè gelosia vennero
mai a tormentare la sua ambizione, e
adempiere alla legge naturale della so ciabilità. Ma avrebbe detto più
giusta mente che i selvaggi si uniscono e si
combattono al tempo stesso, poichè
quest'unione ha per movente il solo in teresse momentaneo e si risolve
in aperta guerra tosto che cessa questo intero in ogni parte del corpo,
poichè interesse (v. MORALE). In fatto
di reli- cid varrebbe adire che la parte è e gione lo Spirito delle leggi,
pubblicato | guale al tutto; pure occorreva aMorus da Montesquieu in età avanzata assai, non è tale che possa far credere che l'autore avesse modificate notevolmente le sue idee. Crede che il cristianesimo di stabilire che lo spirito esisteva in qualche luogo, e per ciò fare invento due estensioni, l'una materiale ed este
riore, l'altra spirituale, interiore; la pri ma, come direbbe Kant, estensiva,
la seconda intensiva. Create le parole, non sia religione adatta all'Asia, e di
sapprova lo zelo dei missionari che
vanno predicando lafede nell'Oriente, e
nella Cina per costringere i popoli a
cambiare lareligione. Combattendo l'in tolleranza del suo tempo, egli
scriveva questa massima memorabile, la
quale | speculativi di credere che le parole da
parve aMore di aver creata la cosa, e
poichè le parole eran diverse, credette
anche che diverso dovesse esserne il
significato, poichè è abito de' filosofi
fu una delle accuse che la facoltà di
teologia mosse contro al suo libro: Con viene onorar Dio e non
vendicarlo mai. Nonostante queste
disposizioni della sua mente, dicesi che
Montesquieu sia morto riconciliato colla
Chiesa. Tanto almeno affermò il padre
Routh, gesuita, in una lettera al nunzio
del papa a Parigi, nella quale afferma
che l'incredulo si è a lui confessato
abiurando tutti i suoi errori. Ma di
queste ed altre abiura zioni è sempre lecito dubitare, non a vendo esse
altrotestimonio che la troppo
interessata coscienza dei signori con fessori. More (Enrico) in latino Morus. Nacque a Gutham nel Lincolnshire il 12 ottobre 1614 efu unodei propugna tori
della scuola platonica in Inghilter ra. Ammetteva che la ragione potesse introdursi anche nella teologia, poichè, aparer suo, nulla vi era nel cristiane simo,
chele fosse contrario. Combat teva
l'entusiasmo delle turbe, conside randolo giustamente come una malattia contagiosa, mentre d'altro canto am metteva
come cose vere tutti i racconti popolari
che potessero provare l' esi stenza di un mondo spirituale. Bello è vedere in qual modo egli stabilisca l'e
sistenza dello spirito entro il corpo, in
tutte le parti del quale diceva che non
si può credere che lo spirito sia dif fuso, senza ammettere che come
il corpo risulti composto di parti. Nem
meno si può credere che lo spirito sia
essi inventate esprimano veramente le
cose come sono. Moro (Tommaso)
Nacque aLondra nel 1480, studio
all'università d' Oxford e fu presto
elevato alla dignità di Gran Cancelliere
da Enrico VIII, carica nella quale durò
due annisoltanto,dopo iquali si ritirò
in una sua villa e Chelsea. Ma
sopraggiunta la rivoluzione religiosa in
seguito all' affare del divorzio, rifiuto di giurare per la supremazia religiosa del príncipe, che sottraevasi così alla Corte di Roma, fu rinchiuso nella Tor re e il
6 luglio 1535, persistendo nelle sue
convinzioni cattoliche, fu mandato al
patibolo. È strano che un uomo di convin
zioni così fermamente cattoliche abbia
scritta ' Utopia; ma ricordiamo che
questo libro, fatto nella sua gioventú,
comparve nel 1516 aLovanio in latino,
col titolo: Del migliore degli stati pos sibili, e dell'isola d'Utopia
nuovamente scoperta (De optimo
reipublicæ statu, deque nova insula
Utopia). In questo libro che fu tradotto
in tutte le lingue d'Europa, Moro
descrive un'isola imagi naria, nella quale la comunità dei beni coesiste col matrimonio e colla
famiglia. Il principe è eletto avita; il
divorzio con cesso solo neicasi di adulterio; le città hanno ciascuna una religione di propria scielta, e la tolleranza è generale. Il governo d'Utopia riposa su queste tre basi: assoluta divisione dei beni edei mali fra i cittadini amore fermo e
MORALE 91 universale della pace- disprezzo del- | riti
sono cost differenti e d'altronde le
l'oro e dell'argento. Ho vergogna
di ceva Moro, di non poter dire con pre cisione in qual mare sia situata
l'isola di cui parlo ». E Budée scri
veva: Aforza d'informazioni, ho scoperto
che l'Utopia è situata al di là dei li miti del mondo conosciuto ». Morale. Lamorale è ilfondamento dell'etica. Essa è la regola dei costumi e per essa si stabilisce l'ordine mediante il
quale gli uomini viventi in società sono
condotti a godere, senza contrasti
religioni stesse cost ben st accordano nel condannarsi vicendevolmente, che non si ha bisogno inquesto caso,d'altra testi
monianza che di quella che esse mede sime spontaneamente ci forniscono le une contro le altre. Ma anche trala sciando
la parte cerimoniale, eoccupan doci di quelle sole massime le quali sono date come regola dei costumi, le contrarietà che si notano fra i vari co
mandamenti ofraessie le prescrizioni del laciviltànostra, sono tali e tante,
damet morale, in un gran brutto impiccio. Po e senza lotte, la maggior felicità
possiter l'uomo che va intracciadi una sana
bile. Determinare i doveri ed i diritti,
acciocchè gli atti nocivi agli individui
o alla società siano impediti, eincorag giati invece quelli che
ridondano a van taggio dell' umano consorzio, è dunque ufficio della morale. Sotto questo rap porto
si può dire che la morale di un chi
esempi basteranno aconvincerci. Prendasi
il Codice di Manou, se non il più
antico, certo uno de' più antichi codici
sacriche siconoscono. Ivi si legge
popolo è la più esattamisura della sua
civiltá. Intorno aquesti
principii che sem brano tanto ovvii, non tutti però si ac cordano; e perdurano
ancoracerte scuole filosofiche le quali
si ostinano a dare alla morale ben altro
fondamento. II maggior numero si accorda
ancora con la teologia, e ammette tra la
religione 1 che il bramano venendo al mondo è collocato innanzi a tutti sopra la
terra, sovrano signore di tutti gli
esseri..... Tutto quanto il mondo
racchiude è, in certaguisa, sua
proprietà. » (Lib. 1. versetti 99-100).
Questo santo uomo ha tutti i diritti ed
assai pochi doveri, fuori di quelli
religiosi. 11 Kchatrya lo difen de, il Vaicya lavora per lui. Se la sua donna gli è infedelé, il re la faccia di
vorare dai cani sopra una piazza pub blica assai frequentata. (Lib. VIII, ver
setto 37) Egli condanni l'adultera ed il
suo complice ad essere bruciati sopra
un letto di ferro arroventato (L ib. VIII verso 372) In ricambio convien essere pieni d' indulgenza per le sue piccole imperfezioni, dappoichè per essere bra ela
morale una così intima unione, da non
permettere che questa si separi da
quella senza distruggerla; epperò le a zioni degli uomini vuole che
siano o non siano morali in quanto si
confor mano aiprecetti religiosi. Hanno costoro
lapretesa, comune del resto a tutti gli
altri, che la morale è unica ed univer- | mani non si cessadi
esseruomini. « Se sale, propria, cioè,
di tutti gli uomini e di tutti i tempi,
e non si accorgono che così affermando
pronunciano lapro pria condanna. Imperocché i principii morali d'ogni religione son cosi diversi fra di loro, e bene spesso così opposti, che il volerli conciliare insieme è im presa,
nonchè da tentarsi, neppur da (Lib. XI
vers. 130 o 131). Conmaggior ragione
ilbramano ha il diritto di obbligare il
soudra, « che > (Lib. VIII vers. 13). Se meglio gli ag grada
può derubarlo con tutta pace di
coscienza, così dice il codice (Lib. VIII
verso 417). Che se il Soudra, que sto essere infame, prodotto dalla parte inferiore di Brama,ha poi l'audacia di dare dei consigli al bramano, un terri bile
castigo gli è riservato. « Il re gli
faccia versare dell' olio bollente nella
bocca e nelle orecchie. (Lib. VIII. verso 299). Se egli ha l' audacia di prendere costituire agli occhi di Manou lagra vezza
del delitto e che solo espone alla
punizione. « Il Dawdja, dice il codice, posto allato ai gloriosi
bramani, deve > (Ecclesiaste, XXXIII, 28, 29, XLII,
1,5,) Il divieto di colpire il figlio
per lecolpe del padre. (Deut, XXIV, 16)
è degno di nota; ma è però singolare che
lo stesso Pentateuco in altri passi
contra sti il merito di questa disposizione le gislativa, rappresentando la
divinità co me disposta acolpire l'iniquitàdei padri sui figli sino alla decima generazione,
e imponga una pena,allora infamante,
ai bastardi. (Deut., XXX, 2) Fragli altri popoli dell' antichitànon sarebbe difficile trovare esempi nume rosi di
morale depravata, secondo le nostre
idee. Di eid che pensassero gli antichi
intorno alla continenza e alla lussuria
si è lungamente discorso in questo
Dizionario all' articolo AMORE, dove si
vedranno donne offerenti nel dei, ed
uomini deliranti, che si re cidono le parti genitaliperguadagnarsi il paradiso. Di sacrifici umani per pla care
la collera degli Dei son piene le
cronache antiche, e non si può affer mare con sicurezza che ancor non
si rinnovino tuttodi in qualche
lontana parte della terra. Per lo meno,
il signor de Varigny ci assicura che
nelle isole Sandwich lamemoriadi queste
ecatom be di vittime umane immolate sull'altare
degli Dei, è viva ancora nelle tradi zioni di quei popoli,
fortunatamente or mai incamminate sulla via della civiltà (Viaggio alle isole Sandwich) Tali sono i risultati della universa lità
della morale religiosa. Ma vi è una
certa classe di filosofi, i quali non vo lendo assumere la
responsabilità delle contraddizioni
teologiche, e riconoscendo che una
separazione tra i dommi reli giosi ed i morali è necessaria, respin gono
l'appoggio che spontaneamente offre a
loro la Chiesa, e fondano ad drittura l'ordine morale o sopra Dio, come facevavano i deisti del secolo pas sato,
o sopra certi principii metafisici nei
quali l' oscurità è un carattere pre dominante. Gli uni e gli altri press' a
poco ragionano all' istensamaniera, poi chè suppongono che, non già nella re
ligione, ma nella stessa natura umana
siano i caratteri ingeniti, indelebili della morale. Se non che i primi ammettono che questo carattere, o questa intuizio
nemorale, sianostati impressı da Dio al l'uomo siccome facoltà innata; gli al
tri l'origine non curano e, come fa cevano gli scrittori della Morale Indi
pendente, si occupano del fatto che tro vano, senza cercare, del come sia av
venuto. « La nozione del dovere, dice De
Gerando, è una nozione semplice,
primitiva, che non può definirsi, colla
decomposizione in altri elementi, ma si
affaccia alla riflessione quando interroga i fatti intimi della coscienza. La legge morale è obbligatoriaper se stes sa, è
riconosciuta e applicata dalla ra T 96
MORALE gione; e riscontra nella
coscienza una facoltà, un senso
speciale, che può, a buon diritto,
essere chiamato il senso morale». In tal
manieracome giàBaum garten ebbe l' infelice idea di trovare un senso speciale per l' estetica, De Gerando ne trova un' altro per la mo rale. Ma
sappiamo oramai quanto val gono questi sensi speciali con cui alcu ni filosofi
troppo corrivi sogliono in realtà
occultare le loro nebulose teorie, non
possibili a concepirsi coi sensi veri.
Confesso che creando sensi nuovi, facile
fondamento si dà a qualsivoglia teoria,
per strana ch' ella sia; ma il vantaggio
èdi poco momento, poichè la vera dif immagin AC ficoltà non consiste nel creare cotesti sensi, ma sì nel provare che essi esisto no
veramente. Ma quando coi cinque sensi
che possediomo, e che la fisiolo logia solo riconosce; quando colle no stre
passioni possiamo spiegare i feno meni che sembrano più ribelli agli ar gomenti
della scuola spiritualistica, non vedo
proprio qual necessità ci siadi in ventare o di supporre nuovi sensi o nuove facoltà, che sempre mancano di banditi delle caverne e fra le associa zioni
dei più grandi scellerati; dimodo chè coloro che sembrano avere rinun ciato ad
ogni carattere d'uomo, sono fedeli gli
uni agli altri e osservano fra loro le
regole della giustizia. lo am metto che i banditi usino così fra di loro, ma nego che ciò avvenga incon
siderazione delle regole di giustizia e
pei principii innati che sono impressi
nella loro anima. Essi osservano que sti principii soltanto come una
regola di convenienza assolutamente
necessa ria per conservare la loro associazione. La giustizia e la verità sono i vincoli necessari d'ogni associazione d' uomini, ed è per questo che i banditi e i ladri sono obbligati di osservare la fedeltà,
e qualche regola di giustizia fra di
loro; senza di che essi nonpotrebbero
vivere insieme. Si dirà forse che la con dotta dei briganti é
contraria alle loro cognizioni, e che
essi approvano tacita mente nella loro anima, ciò che smen tiscono colle
azioni. Rispondo prima mente che ho sempre credutochenonsi potesse meglioconoscereil pensiero degli dimostrazione. Or, De Gerando non si è curato di ciò cha prima di lui con tanta evidenza aveva detto la scuola sensualistica. Im
perocchè Locke avesse già discussa e
sciolta quest'ardua questione. Ecco cosa
scriveva il filosofo inglese. Per sape re se vi sia qualche principio
dimorale nel quale tutti gli uomini
convengono, io mi richiamo a tutti
coloro ch'hanno qualche conoscenza della
storia del ge nere umano, e che hanno, percosì dire, perduto di vistailcampaniledel lorovil
laggio.Mi dicanoessi ove si trovi questa
verità pratica che sia universalmente
riconosciuta, come dovrebbe essere se
fosse innata? (e sarebbe innata se un
senso speciale fosse stato dato all'uomo
per percepirla). La giustizia e l'osser vanza dei contratti par che
siail punto sul quale gli uomini si
accordano per dare il loro consenso. É
un principio, per quanto si dice,
accolto perfino dai uomini che dalle
loro azioni. Se la natura si è data la
pena di imprimere nell'anima nostra dei
principii pratici, certo dev'essere
stato affinchè essi siano messi in
opera; e per conseguenza de vono produrre delle azioni conformi, e non già un semplice consenso che li faccia ricevere siccome veri. Confesso che la natura ha dato a noi tutti il desiderio di esser felici e una grande avversione per la miseria. Son questi dei principii pratici veramente innati,
i quali secondo la destinazione di
ogni principio pratico, hanno una continua influenza sulle nostre azioni. ..
L'os servanza dei contratti è certamenteuno dei più incontestabili principii di mo rale.
Ma se voi domandate a un cri stiano che crede alle ricompense e alle pene future, per qual ragione devesi tenere laparola, vi risponderà: Perchè Dio, arbitro supremo della felicità e della infelicità eterna, ce lo comanda.
MORALE Un discepolo di Hobbes dirà: che
il pubblico vuole che così si faccia, e
che Leviathan punirà i trasgressori.
Infine un filosofo pagano avrebbe
risposto che il violare lapromessa è
cosadisonesta, indegna dell'eccellenza
dell'uomo, econ traria alla virtù, la quale inalza la 97 se
ne troveràuno solo il quale abbia
sufficiente forza per sopportare il bia simo e il disprezzo continuo
della so cietà in cui vive. «Si dirà
forse che poichè la co scienza ci rimprovera l'infrazione delle regole morali, devesi inferirne che noi natura umana al più alto grado diper fezione
possibile. Da questi differenti
principii deriva naturalmente lagrande
diversità d'opinioni che siincontrano fra gli uomini intorno a certe regole di morale, secondo le differenti specie di felicità a cui tendono. Oltre le leg gi religiose e civili, v'è
ancora lalegge di opinione o di
riputazione, che ci fa essere morali. È
chiaro che i nomi di virtù e di vizio
considerati nelle loro applicazioni
particolari sono costante mente attribuiti a tali o tali altre a zioni, che in
ciascun paese e in ogni società sono
reputate onorevoli o ver gognose. Or chiunque si immagina che l'approvazione e il biasimo non siano dei motivi sufficienti per obbligare gli uomini a conformarsi alle opinioni e alle massime di coloro fra i quali vi
vono,non parrebbe molto instruitonella
storia del genere umano, la maggior
parte del quale si governa principal mente, colle leggi della pubblica
co stumanza. D'onde risulta che essi pen sano sopra ogni cosa a conservare
la stima di coloro che frequentano,
senza darsi molta pena per le leggi di
Dio o per quelle dei magistrati. Alle
pene che sono attribuite all'infrazione
delle leggi di Dio, alcuni, e forse il
maggior numero, non pensano seriamente;
efra coloro che vi pensano, molti
sperano di mano inmano che violano
queste leggi, che un giorno si
riconcilieranno | col loro autore! E
quanto alle pene in- | flitte dallo
Stato, sperano sempre nel l'impunità. Ma non vi è uomo il quale violando le consuetudini e le opinioni di coloro che frequenta, ed ai quali vuol rendersi accetto, possa evitare la penadella loro censura e del loro dis degno.
Sopradieci mila uomini, non ne
riconosciamo la giustizia e l'obbligazione. Rispondo che queste regole ci sono insegnate dall'educazione, dalla compagnia che frequentiamo e dai co stumi del
paese: e una volta stabilita la
persuasione della morale, lacoscien zanon diventa altro che l'opinione che noi abbiamo della rettitudine morale e della perversità delle nostre azioni, secondo i principii appresi. Or se la coscienza fosse una prova dell'esistenza di principii innati, questi principii po
trebbero essere opposti gli uni aglial tri, poichè certe persone fanno per principio di coscienza, ciò che altre e
vitano di fare per lo stesso motivo.
«Si trovano nella Mingrelia, scri veva Charpin citato da Buffon (Op. T. 10 р. 399), delle femmine bellissime, che hanno un'aria maestosa e il porta mento
ammirabile, e che spirano dagli occhi
una dolcezza che innamora. Por tano un abito simile a quello dellePer siane,
sono civili e affettuose, ma per fidissime, e non vi è ribalderia di cui non facciano uso per farsidegli amanti, per conservarli o perderli. Gli uomini hanno similmente molte cattive qualità. Vengono educati al ladrocinio, e in
MORALE 99 questo esercizio fanno consistere il loro |
favore d'essere sepolti vivi, i figli più
impiego, il loro piacere e la loro glo ria. Raccontano con estrema
soddisfa zione i loro furti, e vengono perciò lo dati universalmente.
L'assassinio, il fur to, la menzogna sono per essi azioni assai belle. Il concubinato, la bigamia, e l'incesto vengono considerati come abitudini virtuose. Gli uni rapiscono le mogli degli altri, prendono senza scru polo
la zia, la nipote, e la zia della
propria moglie; sposano due o tre don ne in una sola volta, e
mantengono quante concubine vogliono.
Imariti mo strano pochissima gelosia per le loro mogli; e quando le trovano sul fatto con qualche galante, hanno diritto di obbligarlo a pagare un porco; e nonsi pigliano d'ordinario altra vendetta, e mangiano fra loro tre l'animale. Pre
tendonoche siaun costume assai buono
elodevolissimo quello di avere molte
femmine e concubine, mentre per tal
modo si procreano molti figliuoli, che
si vendono a denaro contante, o si cam biano con vestimenti e viveri.
> L'abbandono dei malati, quello
dei parenti troppo vecchi od infermi, è
una regoladella maggior partedei
selvaggi. Gli Esquimesi si prendono la
cura di costruire una tana di ghiaccio
nella quale li richiudono ancor viventi;
ma i Neo-Caledoni non si danno poi tanta fatica. Scavare unafossa e gettarvi den tro
ancor vivi i genitori decrepiti, od i
malati tediosi, è un procedere più spe dito e che la morale neo-caledone
non condanna. Il paziente d' altronde
trova questo trattamento affatto
naturale; tal volta anche si prende la briga di sca vare da se stesso la sua
fossa, e solo domanda ai suoi parenti il
lieve servi zio di un colpo di mazza. (De Rochas Nouvelle Caledonie.) AViti (Lubbock- Les Sauvages modernes d'apres Williams et le capi taine
Wilkes ) se accade che i vecchi
genitori, sia per dimenticanza, sia per
un amore smoderato ed inconveniente
della vita, ritardino un po' troppo il
o meno dolcemente insinuano loro come
sia veramente tempo di farla finita;
dopo di che il seppellimento si compie
alla piena luce del sole, non senza so lenizzare
lacerimoniaconunbanchetto, al quale sono
convitati i membri della famiglia ed i
genitori stessi. I mede simi Vitiani, allorquando muore un personaggio di qualche importanza, han no
l'abitudine di seppellire con lui le sue
donne predilette e qualche schiava, che
hanno però la cura di sgozzare. Ghiotti
oltre ogni diredellacarne umana, questi
isolani ingrassano gli schiavi per
mangiarli. Talvolta li arrostiscono vivi
per divorarli tosto; tal altra aspettano
agustare il cadavere fin che abbia rag giunto un certo grado di
putrefazione. A Viti ogni pasto
officiale deve avere un piatto d'uomo nella
sualista, e mol to disdirebbe se ciò non fosse. Tenero come l'uomo morto, è il più grande elogio che si possa fare d'una vivanda qualunque; e perciò la carne umana ha un nome significativo: puabba balava, ossia lungo porco. OgniVitiano chesia ben allevato, fino dalla sua infanzia ha appreso abasto nare la
madre sua, e la sua maggiore ambizione è
d' arrivare fino ad essere un grande
assassino, ad acquistare, per esempio,
la meritata considerazione di cui godeva
Ra Undre-Undre capo dei Raki-Raki, che potevagloriarsi
di aver mangiate novecento persone da
solo, senza permettere a chi si fosse di
pren dere la sua parte. I Vitiani d' altronde
sono intelligenti, assai cerimoniosi, indu striosi e d'una squisita
politezza. Nella NuovaCaledonia troviamo
dei gusti e dei costumi analoghi. I
quaranta o cinquanta mila individui che
abitano questa fertile isola,
trascorrono la loro vita nello scannarsi
reciprocamente, so vente, senza altro motivo che il deside rio d'aggiungere un
pezzo d'uomo agli ignami ed alle radici
che costituisco no il loro abituale nutrimento. Di so lito è una tribù vicina
che fornisce 100 MORALE il miglior piatto delbanchetto, ma tut
tavolta non è raro di vedere un capo
invitare gli amici a mangiare qualche
duno de'suoi servi. All' infuori del pa ziente, tutti trovano che è
questa una pratica assai
semplice,legittima, ed an che gloriosa per il principe. Un capo della tribù di Heinguène chiamato Bou rano
messi a morte dai loro genitori.
Bougainville nel suo Viaggio intorno
al mondo, così parla della sua perma nenza all'isola di Taiti. Ogni giorno,
> Acciajo >
Piombo> 12 Carta
13 Cartone> 14
14 Crine 15
Vermiglio Paglia 16
15 Biondo .
ecc . Bronzo
. > Nove
Dieci 11 Fante
12 Dama Re
. ecc Leone
12 Anna .
ecc PAESI OGGETTI
Italia Alfonso Fazzoletto
Spagna Temperino Svizzera
Camillo Inghilterra Francia
Berta Moneta Elisa
Ciondolo Ventaglio Alberto
Occhiali Anello Adriana
Chiave 11 Suggello
Catena . ecc
Germania Prussia Russia
Turchia Belgio .
ecc MAGNETISMO 135
ecc ecc 136 MAGNETISMO ANIMALE Per meglio intendere la cosa, fac ciamo un
breve esperimento. Noi siamo in una brigata di parecchie per sone
delle quali conosciamo perfetta-- mente
il nome, ed a cui abbiamo già fatto
riferire un numero per distinguer le. Dopo brevi passi magnetici, la no stra
sonnambola sbadiglia alcun poco,
socchiude gli occhi e ci fa la grazia di
addormentarsi. In questo esperimento
si può bendare gli occhi alla sonnam bola, sebbene d' ordinario i
magnetiz zatori non si prendano questa briga.
Ma essi agiscono con una chiave più
complicata, anche con segni non vocali,
come più innanzi vedremo, e la son nambola ha allora bisogno degli
occhi. Dopo aver reclamato dall'
adunanza il silenzio e la fede, perchè
non sia stur bata l'efficaciadel fluido, incominciamo l'azione.
D. Vi sentite in istato di completa
lucidità? R. Mi pare di poter
soddisfare al vostro desiderio, tuttochè
mi senta abdiglia alcun poco, socchiude
gli occhi e ci fa la grazia di
addormentarsi. In questo esperimento
si può bendare gli occhi alla sonnam bola, sebbene d' ordinario i
magnetiz zatori non si prendano questa briga.
Ma essi agiscono con una chiave più
complicata, anche con segni non vocali,
come più innanzi vedremo, e la son nambola ha allora bisogno degli
occhi. Dopo aver reclamato dall'
adunanza il silenzio e la fede, perchè
non sia stur bata l'efficaciadel fluido, incominciamo l'azione.
D. Vi sentite in istato di completa
lucidità? R. Mi pare di poter
soddisfare al vostro desiderio, tuttochè
mi senta abbattuta. Vi prego perciò di non affati carmi troppo. D. Terrò conto della vostra racco
mandazione. Intanto VEDIAMO se sapreste
dirmi il colore di questo oggetto ? R. È bianco.
D. GUARDATE qual' è la sua forma.
R. Quadrata. R. Elisa. D. ORA ditemi qual mano vi ha mo strato R. La sinistra. D. GUARDATE quante dita ella alza. R. Quattro.
D. E ADESSO quante ? R. Soltanto
due. D. VEDIAMO che forma ha l'
oggetto che tiene in mano Camillo. R. Rotondo.
D. POTRESTE voi dirmi che cosa sia?
R. Una moneta. D. INDICATENE il
metallo. R. D' argento. D GUARDATE bene in qual paese fu coniata.
R. In Inghilterra. D. POTRESTE
dirmi a qualmano Elisa ha posto l'
anello che poc' anzi vi ha
mostrato? R. Alla sinistra. D. VEDETE a qual dito. R. Al pollice. D. ADESSO ditemi a qual falangedel pollice.
R. Alla seconda. D. DESIGNATE la
persona che mi ha dato un libro. R.Alberto.
D. VEDIAMO- ORA- PER FAVORE a
qual pagina io apro il libro. R.
Alla pagina 190. D. GUARDATE-ADESSO
quest' altra pa D. ORA ditemi quale oggetto ha in gina. mano Camillo.
R. Un anello. R. Ad Elisa. R. É la pagina 42. D. Vi sentite abbastanza lucida per D. INDICATE a chi appartiene l'anello.
leggere? R. Ohimè! vi ho già detto ch'
era D. PROCURATE di sapermidire a chi
abbattuta. Di grazia, non vogliate dun Camillo lo ha consegnato. R. A Giorgetta. D. ADESSO ditemi con qual mano Giorgetta lo ha preso. R. Colla destra. que stancarmi troppo. D. Eppure bisogna che questi si gnori abbiano
un saggio della vostra chiaroveggenza ... Lo
voglio! R. Concedete almeno che legga
una sola lettera per volta D. VEDETE ADESSO di che cosaè l'og getto sul
quale essa pone quell'anello ? | questo esperimento mi affatica. ... R.
Lo vedo è di carta. D. INDICATE
lapersonache vi mostra una delle sue
mani. sapete che D. Sia. NOMINATE la prima lettera di questa parola. R. (Dopo alquanto spasimo) è un C. MAGNETISMO
ANIMALE D. VEDIAMO la seconda. R. È un A.
D. VEDIAMO PROCURATE di dirmi la
137 Unbravo magnetizzatore ha
bisogno di comunicare il pensiero
senz'uopo di ri petere sempre le domande sopra una terza.
R. È unR. chiave troppo limitata
e che a lungo andare potrebbe essere
avvertita; e D. VEDIAMO ancora, GUARDATE
I' ul- prestigiatori Castagnola e Sisti che si
tima. R. È un O. D. Benissimo. Tutti possono vedere che qui è scritta la parola Caro. Ma basta per la lettura. Passiamo ad altro esperimento. PROCURATE di dirmi quante carte ho in mano. R. Sette.
D. VEDETE chi me ne prende una?
R. ÉAlfonso. D. NOMINATE questa
carta. R. É il tre. D. BENE. E quale? R. Il tre di picche. D. (agli spettatori). Ora io debbo incaricarono di sbugiardare il magneti smo,
produssero con un semplice giuoco di
memnotica, fenomeni tali di trasmis sione di pensiero, da rendere attoniti
e increduli gli stessi spettatori. Il lato mirabile del giuoco, è quello di indovinare il nome e l'uso e la for madi
quei piccoli oggetti chegli spet tatori, d'ordinario, presentano in simili circostanze, e di indovinare sopratutto senza uopo, per parte del magnetizza tore, di
dovere ad ogni volta variare la
domanda. Al caso si può
provvedere in due modi: coi segni, o
colla voce; ma me chiamare l' attenzione sopra un esperi- glio ancora con gli
uni e con gli altri mento difficile e
che non potrebbe rin novarsi spesso senza molto affaticare il soggetto. La mia sonnambola leggerà un numero in cifre ...
Chi avrebbe la compiacenza di
scriverlo sopra que sta carta? ... la signora
Benis simo ( alla sonnambola ) VEDIAMO, PO ... TRESTE- ORA
PER FAVORE INDICARE la cifra che
la signora ha scritto su questa
carta? R.(Dopoqualche sforzo) sono
stanca, non lo posso. D. Eppure lo voglio! R. È il numero 15,906. Come ognunvede, il giuoco si riduce aben poca cosa, ad un artificio sem plice, ed
è davvero gran motivo di me raviglia che a cose tante dozzinali pre stino ancor fede gran parte degli uo mini.
Egli è pur forzaconvincersi, dopo un
certo numero di esperimenti, che tutti i
fenomeni di magnetismo si ridu cono a questo segreto. Veramente, la tavola memnotica può essere cambiata all'infinito. Quella che io ho dataè, co
medissi, elementare, e l'esperimento con
essa non potrebbe impunemente ripe tersi senza pericolo d' essere
scoperti. insieme. Tutto l'arcano sta
sempre nel creare nuovi segni, o vocali
o mimici, che sieno abbastanza impercettibili
per sfuggire al più attento osservatore,
e questi poi non sono tanto difficili a
for marsi, come può parere aprimagiunta.
Una vocale accentuata, una consonante
raddoppiata, un articolo premesso alla
domanda, bastano per dare un nuovo
numero. Un prestigiatore trasmetteva
alla consorte il nome di un oggetto,
senza che apparentemente mai cangiasse
il genere della domanda. All' altro
oggetto!- Tali erano le sole parole
che invariabilmente accompagnavano la
sua interrogazione. Ma quanti modi e
quante forme non ha la voce per pro nunciare una stessa parola? Infatti,
per il solo artificio della lingua, voi
potete dare a questa semplice domanda
dieci diversi significati,
rappresentauti le disci cifre, dalla cui
combinazione possono nascere tutti i
numeri possibili. Ν. Ι. L'altro
oggetto Dell' altro oggetto All' altro oggetto O l'altro oggetto «2. «3. «4. 1
138 MAGNETISMO ANIMALE Ed eccovi già, con unasemplice de clinazione,
quasi quattro numeri. Non occorre dire
che gli articoli premessi, si
pronunciano rapidamente, quasi fossero
errori di lingua. Il quintonumero lo si
può comporre, per esempio, pronun ciando la rdella parola altro, col
suono francese, e per gli altri cinque,
neces sari a comporre la decina, si raddoppia
la voce e si accentuano le sillabe. Con
questo mezzo voi trasmettete una sola
cifra, ma la combinazione dellaseconda
cifra può farsi con un altro alfabeto
tutto mimico. L'essere voltato a destra
piuttosto che asinistra, l'alzata dell'una piuttosto che dell'altra mano, son tutti segui che sfuggono all'osservazione de gli
spettatori, ma che servono assai bene
alla sonnambula. Questa, infatti, ha già
studiato amemoria unaspeciale nomen clatura per la quale, al nome di
ciascun oggetto corrisponde un numero. E
per chè il linguaggio dei segni non riesca
di soverchio intralciato per dover ri correre alla composizione di più
nume ri, giova assai che i numeri siano di visi in parecchie tavole. Sicchè, il
nu mero che, acagiond'esempio,viendato
colla voce si intenderà corrispondere,
poniamo, alla tavolaA, e quel che vien
dato col segno s'intenderà riferirsi al
numero speciale di quella tavola, equindi al nomeche aquelposto vi si trova in scritto.
Del resto, molti sono i mezzi per
comunicare il pensiero, ed è sem pre utile il comporre alfabeti di due o tre sorta, pernon lasciarsi cogliere alla sprovvista. Un magnetizzatore comuni cava il
pensiero senza parola e senza gesti: si
poneva dietro alla sonnambola ecolle
braccia tese le inviavailpotente suo
fluido, sbuffando come un-mantice. Chi
avrebbe mai sospettato che egli aveva
composto un alfabeto sul sem plice modo della sua respirazione? Per chi dunque voglia sinceramente che l'osservatore siadotato diuna certa penetrazione delle cose,diuna provata esperienza e che sopratutto si trovi li bero
da quegli impacci sociali,daquelle
deferenze, che d' ordinario in una riu nione di persone impediscono di
dubi tare di tutto e di tutti, di non accredi tar fede all' altrui parola, di
voler ve dere e toccare con mano ogni cosa, di
variare l'ordine degli esperimenti e di
volerli riprodotti in diverse circostanze. Le arti dei magnetizzatori sonomolte e varie e perciò la regolasicuraper isco prirle
deveemergere, asecondadei casi, dalla
prontezza ed accortezza dell'osser vatore. Importanotareche ifenomenidel sonno, della catalessi, dell' insensibilità periferica dell' epidermide, del rallenta
mento del polso e simili, non debbono
mai considerarsi come prove valide nella
questione. L'esercizio può produrre una
tensione de'nervi superiore all' ordina naria, e la semplice volontà di
tendere con forza i muscoli del braccio,
può rallentare la circolazione di quel
mem bro. Talora anche si ricorre ad un cinto
di gomma elastica che circonda il brac cio sotto l'ascella, il quale con
un semplice movimento stringe le vene
e toglie il libero corso alla
circolazione. Io stesso sono riuscito
con una gran tensione dei muscoli e
rallentando, per quanto è possibile il
respiro, a modifi care, se non a sopprimere del tutto, la pulsazione di un braccio. Fra-i fenomeni prodottidai magne tizzatori ve
n'è uno che maggiormente impone al
pubblico, e che i magnetiz zatori tengono in serbo siccome l'espe rimento più
adatto aridurre al silenzio
l'incredulità. Sanno tutti che
voglio parlare della perforazione del
braccio. I magnetizza tori sogliono in codesto caso trapassare il braccio del supposto magnetizzato con un lungo spillo d'oro, senza che il paziente dia pur segno d' avvedersene, e, cosa ammirabile, quand'eglino estrag gono
dal foro quello spillo, non una e senza
idee preconcette esaminare i così detti
fenomeni del magnetismo a nimale, la buona volontà, se ne accer tino pure i
lettori, non basta. Bisogna | goccia di sangue escedalla ferita. Il pubblico
che d'ordinario non sa come si faccia
quell' esperimento, ne resta fortemente
impressionato; le si gnore si coprono gli occhi per non ve derlo,e semai
vigettanodi sbieco qual che occhiata, ne sono sì commosse, e così leggiadramente atterrite, che guai al malcapitato che in quel momento 139
mentre la gomma tende a distendersi
circolarmente intorno alla periferia, l'ago comprime bensì la parte
rotonda dek braccio, manon può piegarsi
per ab bracciarne tutta lacirconferenza; d'onde
quel leggero stiramento della gomma
ches'increspa sui puntiestremi d'immer tentasse di disilluderle intorno
al ma gnetismo. Comepotranno esse
persuadersi che quell' esperimento che
riesce sempre, e sempre impone, non è
gran fatto dolo roso, come generalmente si crede, eche non occorre poi di essere magnetizzati, nètampoco catalettici per sostenerlode
gnamente? Madacchè sono sull'argomento,
vo glio pur persuadare i miei lettori, che
in tutto cotesto apparato d'insensibilità non vi è cosa alcuna che veramente meriti la loro sorpresa, dacchè il foro non trapassa guari il muscolo del brac cio.
Il magnetizzatore prende destre mente tra l'indice e il pollice la pelle dell' avambraccio, latira a sè, in guisa che quel tessuto sommamente elastico corre facilmente dai punti estremi della periferia, al luogo dove ledita lo strin
gono, e al tempostesso formando come una
piega l' allontanano dal muscolo. Ed
èlàdove le dita tengono quel ri piegamento della pelle, il quale non è più grosso di un mezzo centimetro,che il magnetizzatore immerge l'ago da sione e d' emersione. E appunto questo leggero increspamento, che sempre si osserva sulle persone così operate dai magnetizzatori, come purelostudio che questi pongono di volgersi in maniera da non essere veduti dal pubblico nel brevissimo momento in cui fanno de stramente
quella operazione, mi con dussero nel convincimento che lo spillo si immerge soltanto nella pelle, corre tra il muscolo e il derma, e se n'esce ancora dalla pelle senza avere offesa alcuna parte sensibile. Cosi spiegata la cosa si capisce subito la ragione per cui da queste ferite, per solito, non e see
mai sangue, o una goccia al più. Salvo
quei pochi e sottilissimi vasi san guignichesononelderma,nessuna vena resta offesa, e la tensione del braccio che viene alzato e tenuto immobile in una finta calessi, lo spillo lasciato im
merso per alcun tempo onde tutti gli
spettatori lo vedano e il sangue leg germente e internamente si
raggrumi, sono motivi che dovrebbero
farci mara vigliare che dalla ferita sortisse sangue, piuttosto che del casoopposto. Non ab
biamoforsepiùdi unavoltaincertipaesi
veduto ai giovani vitelli e agli agnelli, vivi ancora,tagliare la pelledelle gambe posteriori presso l' unghia, estrarne i tendini e con quelli attaccarli vivi col parte aparte. Quindi, abbandonata la pelle, quella ritorna al suo posto, la piega si distende sopra l' ago e lo co pre
quasi interamente,dimanierachè, ad
operazione finita, par che l'ago sia pas- | capo abbasso, acciocchè
dalla ferita che sato attraverso al
braccio. Egli è come se si stringesse
fra le dita la manicadi un vestito di
gomma elastica. La gom macede, si allontana dal braccio e in quel sottilissimo strato che resta fra
le dita si può immergere unospillo.
Quindi se la gomma vieneabbandonata, si
di stende, comprime lo spillo contro il
braccio e là dove sono ifori forma due
lor si farà al collo più facilmente ne
sgorghi il sangue? Ebbene, spesso ho
veduto che da questi tagh, sempre ab bastanza ampi per poterne estrarre
i tendini, nonusciva goccia di sangue,
o tutt' al più rosseggiavano i
margini della ferita; e nel laboratorio
fisiologico del prof. Schiff, ho poi
provato più di unavolta aforare la pelle
di un cane vivo eterizzato senza che
laferita, fatta Ita piccole crespe, cagionate dal fatto, che nel
modo che si èdetto, accennasse pur anche
a rosseggiare. In conclusione, se si
pensa che i tessuti vivi trapassati
dallo spillo non presentano in com plesso un diametro maggiore di tre
o quattro millimetri, si capirà
facilmente che il dolore cagionato da
quella ope razione deve essere ancora inferiore a quello che si prova nell'innesto del va
iuolo; e che perciò non occorre proprio
di essere magnetizzati per poterla so stenere senza presentare tracce
visibili di esteriore sensazione. Orcotestoesperimento,fatto e rifatto in privato, mi capitò appunto l' occa sione
di ripetere in pubblico nell'estate
dell'anno 1875, quando una sfida vera mente singolare era stata bandita
a Firenze dal magnetizzatore
Zanardelli. In quella occasione ho
pubblicamente eseguita la perforazione
del braccio senza bisogno di ricorrere
al magne tismo. Lo spillo d'oro adoperato era
lungo bennove centimetri; la distanza
fra il puntod'immersione e quello d'on deusciva dalla pelle eradi sei
centi metri, sicchè sembrava che il braccio
fosse interamente perforato poco al di
sopra del suo diametro. Il dolore della
ferita, per quanto mi assicurò il prof.
Golfarelli, che gentilmente si prestò
come paziente, non fu maggiore di
quello che potrebbe recare una sem plice puntura cutanea, è dopo l'
opera zione, nè nei giorni successivi, ebbe a
soffrire il più leggero incomodo. Ben si
vede dunque che una operazione fatta
in queste condizioni non può gran che
spaventare le nostre finte sonnambole,
e che se l'amore per laverità può
spingere gli uomini onesti a sopportare
ben di buon grado il leggero incomodo
di quella puntura, l'avidità dell'interesse può renderlo sopportabilissimo a coloro che si fanno credere magnetizzati. Quando isignorimagnetizzatori siano posti in condizioni che escludano ogni possibilità di simulazione o di allucina
zione, tosto tutte le meraviglie magne tiche scompajono, e il preteso fluido, nonchè essere inetto a generare lachia
roveggenza, è eziandio impotente apro durre qualsiasi apprezzabile
effetto. Fu questa conviuzioneche
indusse la Società dei Razionalisti di
Firenze a pubblicare il seguente
concorso ma gnetico: «La Società dei
Razionalisti di Fi (Wolf. Ontologia §
57 e 101.) Io convengo pienamente con
Wolf che l'impossibile è nulla; ma
sostengo ancora che è nulla anche il
possibile, perciocchè ogni possibile che
non sia in atto, non esiste ancora, e
ciò che non esiste è nulla. Io ho un bel
dire che fra una mezz'ora possc sperare
di avere riempita questa pagina di fitta
scrittura; ma finchè quella scrittura
non sia com parsa sulla carta, potrò io dire che qualche cosa esiste? Il possibile è una idea di pura relazione, e si riferisce
al fatti anteriori già osservati, che ci
in ducono nella possibilità che fatti simili si
ripetano ; questa relazione non può dun que esistere senza la cosa a cui
si rife risce. È la stessa distinzione che con vien fare per le funzioni in
atto e quelle in potenza. Finchè la
funzione non si estrinseca e diviene un
fatto, non può esistere. Io non posso
dire che esista il movimento di una
locomotiva ferma, sebbene sia possibile
che si muova. So bene che in potenza
essa ha questa fa coltà di moto, ma finchè la facoltà non si fa azione, moto non esiste. Concludo che la nozione del possi bile, è
nulta anch' essa, come quella dell'
impossibile. L'una e l'altra sono dei
puri concetti, e come tali esistono
subbiettivamente, solamente in quanto
ci rappresentano cose o fenomeni che i
sensi hanno percepito (possibile) o non
hanno mai percepito, e che perciò ri tengono impossibili. Mi pare che Dumarsais definisca i limiti del quesito nel seguente passo del suo Trattato dei Tropi: « Gli og getti
reali non sono sempre nella stessa
situazione: essi cambiano di luogo, spa riscono, e noi sentiamo
realmente que sto cambiamento e questa assenza. Al lora accade in noi un'
affezione reale, per la quale sentiamo
che non ricevia mo al un'impressione da un oggetto, la cui presenza eccitava in noi effetti sen
sibili: da ciò deriva l'idea di assenza,
di privazione, di nulla; di modo che,
sebbene il nulla sia in se stesso nulla,
questo vocabolo denota un' affezione
reale dell'intelletto ; cioè un'idea astratta che noi acquistiamo coll'uso della vita, nell'occasione dell'assenza degli
oggetti e di tante privazioni che ci
recano pia cere o ci affliggono ».
Nullismo o Nihilismo. Dot trina dei buddisti, per la quale credono essi che la suprema felicitá sia l'annien
tamento del corpo e dello spirito; sorte
riservata ai soli beati, i quali cessando di trasmigrare di corpo in corpo perdono
lacoscienza di se stessi e si con fondono in Dio (v. BUDDHISMO). rità oggidi
perdute ; ma questa opinione non ha
altro fondamento che la ten Numero. Ciò che fu detto all'ar ticolo MATEMATICA,
deve aver chiarita la ragione per cui
facilmente gli uomini siano trascinati
ad attribuire ai numeri un valore
simbolico che ad essi manca
assolutamente. Le operazioni che, gra zie all'aiuto dell' insegnamento
tradizio nale, si compiono con grande facilità
mediante i numeri, e poi si riconoscono
esattamente corrispondenti alla realtà,
hanno fatto credere a molti che i nu meri non solamente fossero i
simboli dellecose, ma l'essenza delle
cose stesse. Di tal novero furono
Pittagora e Pla tone, i quali introdussero nella filosofia i simboli numerici, come se fossero per se stessi dei principii propri a
spiegare le cose. Dei pregiudizi dei
Pittagorici intorno a questo argomento,
così parla Aristotile: > (Matt. V 29,30). Nel suo vivo entu siasmo,
Origene, interpretando alla let tera questo precetto, si recise le parti genitali. La quale mutilazione fu ap provata
da Demetrio suo vescovo. Ma quando il
nome e lafamadi Origene lo fecero
chiamare a Cesarea per inse gnarvi la scrittura nelle assemblee dei fedeli, Demetrio cominciò ad essergli contrario; e quando i vescovi di Cesa rea edi
Alessandria lo ordinaronoprete, Origene
nel suo libro contro Celso combattè le
accuse che questo filosofo epicureo
moveva contro i cristiani; ma il
trattato di Celso essendo perduto, nonci
resta alcun mezzo per giudicare il
fondamento delle accuse, che dalla
confutazione dalle citazioni di
Ori gene; il quale se abbia sempre citato
fedelmente è lecito dubitare vedendo
com' egli descriva Celso, così accanito
nemico dei cristiani, e al tempo stesso
credente nei miracoli di Gesù.
Origene mort nel 263 in età di 69
egli disapprovò vivamente quella ordi- anni. Di lui così scrisse S.
Gerolamo : nazione, e disse essere
Origene irrego lare, avendo commesso un omicidio so pra se stesso. Adund anche
un concilio contro Origene a cui fu intimato
di « Dopo gli Apostoli 10 considero Ori
gene come il grande maestro delle
Chiese; l' ignoranza sola potrebbe ne gare tale verità. Io mi caricherei
volen uscire d' Alessandria . L' ordinazione
vivamente combattuta da una parte e
con altrettanto calore sostenuta dai ve scovi di Alessandria e di
Cesarea, ca giond molte turbolenze nella Chiesa, e porse occasione a Demetrio di dimo strare gli
errori dommatici che quel dottore della
Chiesa aveva introdotto nel suo
insegnamento. Il Trattato dei principii
contiene l'e sposizione delle sue opinioni religiose. Secondo ogni evidenza Origene fu neo
platonico. (v. NEOPLATONISMO). Platone è
il filosofo antico che ottiene le sue
maggiori simpatie, e nella sua filosofia
egli trova chiaramente annunciata la
Trinità. Le anime senza corpo egli non
concepisce; fuor di Dio egli non vede
che esseri in relazione colla materia,
dotati di corpo. Questo carattere della
teologia origenista ci rivela che l' idea tieri delle calunnie di che gravato
venne il suo nome, purchè a tale prezzo
io potessi avere la sua scienza
profonda delle scritture ». Quantunque
fatta da un santo e da un padre della
Chiesa, non si può dire che questa
dichiara zione sia molto ortodossa.
Origenisti. Coloro che fondan dosi sugli scritti di Origene, sostene
vano che Gesù Cristo è figliuol di Dio
soltanto per adozione; che le anime e sistono prima di essere congiunte
ai corpi; che i supplizi deidannati
avranno unfine, eche i demoni stessi
saranno li beratidallepene dell'inferno. Alcuni mo nacid'Egitto e di Palestina
professarono queste opinioni, le
propugnarono con pertinacia e furono
cagione di gravi scompigli nella Chiesa:
ma vennero con dannati dal quinto concilio generale te nuto in Costantinopoli
l'anno 553, e in OTTIMISMO
quellacondanna rimase avvolto lo stesso
Origene. Erano allora gli
origenisti divisi in due sêtte; ma
nell'una e nell'altra pro fessavano tutte le sentenze de'librid'Ori gene. I
sostenitori della figliuolanza so 193
della grazia ha stabilito ilprincipio che Dio non può operare che per la sua gloria; d' onde conclude che Dio nel creare il mondo lo ha fatto secondo quell'ordine di cose che era più adatto lamente adottiva di Gesù Cristo asseri vano
altresì che nel giorno della risur rezione generale gli Apostoli sarebbero fatti eguali aGesù Cristo; perciò furono denominati isoscristi. Quelli che inse
gnavano essere le anime umane esistite
innanzi all'unione coicorpi, furono detti protocristi, voce indicante l'opinione
che sostenevano. Ignorasi donde sia
venuto aquesti il nome di tetraditi o
infatuati del numero quattro. Non deesi confondere questo orige nismo con
gli errori di un' altra sêtta i cui
partigiani vennero chiamati anch'essi
origenisti od origeniani da un Origene
loro capo, uomo affatto oscuro. Condan navano costoro il matrimonio ed
asse rivano che qualunque più enorme atto
disonesto non è peccaminoso. I Santi
Epifanio ed Agostino che ricordano que sto sozzo origenismo confessano
che nessun motivo vi diede il celebre
Ori gene, padre della Chiesa, ilquale, come
si sa, si tolse da se stesso le parti ge nitali per non cadere in
tentazione (v. EUNUCHI). Osservazione.VediEsperimento. Ottimismo. Sistema di chi af ferma che il
mondo in cui viviamo è il migliore dei
mondi possibili; che Dio stesso, sebbene
sia onnipotente, non po trebbe farlo migliore di quel che è, perocchè all'atto della creazione egli
ha appunto dovuto dispiegare tutta la
sua possanza per produrre opera degna
della sua perfezione. Malebranche e
Leibnitz furono i principali sostenitori
di questo sistema tutto teologico, col
quale essi intesero di confutare le
obiezioni di Bayle contro la provvidenza
e l'unità di Dio, dedotte dall'esistenza
del male (v. DUALISMO). Malebranche nei suoi Dialoghi me tafisici e
nel trattato Della natura e amettere in
evidenza le sue perfezioni. Egli fonda
quel suo principio, confron tando il sesto dei Proverbi, (XVI, 4) con le parole di S. Paolo ai Colossesi (I, 16) e ne deduce che Iddio, creando il mondo,nonsolamente ebbe per scopo l'ordine fisico e la bellezza dell'
opera, ma l' ordine morale e
sovranaturale di cui Gesù Cristo è, per
così dire, l'anima ed il principio, e
che dispiega ai nostri occhi i divini attributi
assai meglio che l'ordine fisico dell'
universo: perciò a voler comprendere l'
eccellenza dell' o pera di Dio, non bisognaseparare l'una dall' altra queste due considerazioni. >
(Ici, N.º 10). (N.° 10). Éfacile vedersi che qui si ritorna sempre alla solita petizione di
principio. Non si esamina se '
imperfezione del mondo non derivi da
ciò: che nessuna intelligenza creatrice
presiedette alla sua formazione; sibbene
si ammette già a priori questa
intelligenza, per con cludere che se essa ha scelto il mondo comesi trova, è segno che questo mondo è il miglioredei mondi possibili. Eppure non sarebbe difficile concepire un mondo migliore, ( v. ORDINE E PERFEZIONE ) e alla onnipotenza di Dio non doveva es sere
impossibile di farlo. Secondo l'opi nione di Leibnitz, è falso che sul nostro globo la somma dei mali superi quella dei beni. « Il difetto d'attenzione,
dice egli, è quello che diminuisce i
nostri beni, e bisogna che questa
attenzione venga in noi destata da una
mescolanza di mali. >
egli sostitui quest' altra più precisa e
più conforme ai nostri bisogni: >
Dalla Grecia il panteismo passò nella
filosofia dei romani. Varrone, Plinio il
naturalista, i poeti Manilio, Lucano e
perfin Virgilio furono accusati di aver
partecipato a questa scuola. Virgilio, di cono, ci parla di Giove come
padre di tutti gli uomini e di tutti gli
Dei; e Cicerone facendosi storico delle
dottrine sparse nella sua patria, ci
narra che secondo queste dottrine « l'
Essere ani mato, ricco di prudenza, e d'intelletto, è stato generato (non creato) inmaniera ineffabile dal Dio supremo ». Alquanto più tardi gli stoici romani abbandonan do il
panteismo per generazione, ab bracciarono quello per animazione. Lu cullo e
Balbo, secondo Cicerone, eransi
dichiarati per il mondo animale ed ani La scuola eleatica è più
esplicita. ❘ mato; e per il Dio anima del mondo. Senofane considera Dio come Uno e La quale
opinione Cicerone confutava 200
PANTEISMO mettendo in bocca all'
epicureo Vellejo | sospetti di averlo appoggiato. La sola queste parole: « Il nostro Dio è per lo meno felicissimo; mentre il vostro è so
prafatto dalle occupazioni e sfinito. Im perocchè o Dio è il mondo medesimo, e alloraniuna cosa avvi meno tranquilla di questo Dio, obbligato continuamente a rivolgersi intorno all' asse del cielo: questo Dio non potrebbe essere felice, perchè felice non è chi non ètranquillo: ovvero Dio è mescolato al mondo per animarlo e reggerlo, per vegliare al cor so
degli astri, coll' occhio sempre vigi lante su tutte le terre e su tutti mari perprocurare il bene e conservare la vita degli uomini, ed allora voi conver rete
che questo Dio è schiacciato sotto il
peso di tante sollecitudini e di tante no iose cure » (De nat.
deor) Nè pure il panteismo pittagorico
ap pagava Cicerone, il quale meravigliava
che Pittagora ammettendo le anime u mane come tante particelle della
divi nità, supponesse implicitamente un Dio
capace di soffrire e di essere lacerato
abrani. È opinione accreditata
che il pan teismo delle scuole greche sia passato anche nella filosofia neoplatonica degli alessandrini. Ma anche di questo pas saggio
si hanno pochi indizi; e mag giori induzioni che citazioni. Bayle nel suo Dizionario critico accusa Plotino di essere panteista, perch' egli diceva che ogni cosa pareva non essere infine che una sola sostanza, la quale non ha di
visioni, nè differenze che nei nostri con cetti. Noi non ne percepiamo che qual
che parte solamente, le quali non po tendo abbracciare nel loro insieme tras
formiamo in esseri reali. (Ennead.).
Anche B. Constant crede che mal grado la professione di fede deista
dei neoplatonici, quell' essere uno,
esistente realmente, quell' anima
universale con tenente tutte le anime, quella materia creata dalla forma e tutte le altre sot
tigliezze di quei filosofi si avvicinano
troppo al panteismo perchè non siano
differenza, secondo Constant, era nello
spirito dell' epoca. Il panteismo che a veva condotto Senofane all'
incredulità, conduceva invece i
neoplatonici all'en tusiasmo. Anche
parecchie sette del cristiane simo furono convinte di professare un panteismo mistico. Sotto il dualismo di Manete, alcuni hanno trovato una ten denza
unitaria, per la quale i manichei
insegnavano che il mondo è una sola
anima che si comunica atutti gli esseri
animati; non tutta a tutti come si co munica la voce, ma dividendosi
come un' acqua distribuita in diversi
canali. Marcione e Carpocrate sebbene
unitari, anzi appunto perchè unitari,
furono co involti nella stessa accusa; e dei gno stici fu detto che ammettevano
un solo principio eterno, dalquale
emanava ogni essere spirituale e
materiale. Queste ac cuse hanno forse per fondamento una soverchia generalizzazione. Ciò nono stante,
bisogna credere che il panteismo, o
aperto o latente, fosse assai divul gato anche nei primi secoli del cristia
nesimo, perchè i padri mettessero tanto
impegno nel combatterlo. Lattanzio lo
confuta nel libro De vita beatu (lib. VII); e S. Agostino nel libro II De Genesi combatte
imanichei, e nella Città di Dio (lib. IV
cap. XII) coloro che dicevano che ogni
cosa era parte della divinità. Anche S.
Crisostomo e dopo di lui Teodoreto nelle loro spie gazioni
sulla Genesi confutarono l'opi nione di coloro che sostenevano essere l'anima una parte della divinità. Écosa singolare che il panteismo, oggetto di tante censure da parte dei padri, risorgesse poi nel seno stesso della filosofia scolastica,
essenzialmente cattolica, e trovasse
maestri e propu gnatori in Davide de Dinant, Almarico e generalmente in tuttiirealisti (v. Sco
LASTICA). Non è però soverchio avver tire che questi, più che filosofi,
teologi, nonfurono scientemente condotti
alpan teismo, e che questo sistema filosofico PANTEISMO s' induce come necessaria conseguenza de' loro principii, piuttosto che essere stato dichiarato da essi come profes 201 veramente non dice S. Giovanni che nel principio era il Verbo e il Verbo era Dio, che ogni cosa è stata fattaper esso sione di fede. Maggior fondamento ha l'accusa fatta a Giordano Bruno, del quale così parla il padre Ventura. >> Hegel vuol invece che l'unità esista nella sostanza; e la sostanza che sola esiste, che sola pensa siaDio, il quale
si manifesta nel mondo finito. Io ho appena accennatoleultime fasi del panteismo. Ricaduto neltrascenden tale
esso riproduce le solite antinomie degli
scolastici; senza averne la chiarez zae la potente dialettica, si aggira
in un circolo vizioso di parole mal
defini te, e di continue equivocazioni.
Èdunque stretta giustizia il dire che
Spinoza fu l'ultimo vero panteista che
abbia fondato una scuola. Papa.
Il nome di papa, che signi fica padre, anticamente era dato dai fedeli a tutti i sacerdoti; divenne in seguito un titolo di dignitàpei vescovi, efu in fine riservato al solo vescovo di Roma, quando questi pretese il pri mato.
Per i cattolici è articolo di fede che
San Pietro è stato capo del colle gio apostolico e pastore della Chiesa universale; che il romano pontefice è il successore di quel principe degli apostoli » ed ha come lui potestà e giurisdizione su tuttalaChiesa. Il Con cilio
di Trento (Sess. VI de réform. C. I.
Sess. XI c. 7) ha espressamente de finito che il sommo pontefice è il vi cario
di Dio sulla terra, ed ha la su (XVI, 18) ove è scritto che Gesù disse aPietro: > Dunque a Costanti nopoli piuttosto che a
Roma i padri del concilio riconoscono la
giurisdi zione in grado di appello. Anche i
padri del Concilio generale di Affrica,
fra i quali si trovava S. Agostino, si PAPA 209
lagnarono col papa Celestino, perchè come alle altre Chiese d'
occidente, e aveva ammesso Appiario alla
sua co- mandò lettere a Innocenzo, vescovo di
munione, mentre era stato escluso da| Roma, nello stesso tempo che
scrisse quella delle Chiese d'
Affrica. una serie di considerazioni tendenti a rimettere in dubbio l'esistenza di questo Dio ; delle quali considerazioni ecco la sostanza. Delle cose pensate noi dobbiamo co noscere la
sostanza, la forma e il luo go, poichè nessuno potrebbe concepire, p. e, un cavallo senza sapere chefi gura
abbia, se sia corporeo o incorpo reo ecc. Ma intorno aDio i dommatici non si accordano nè sulla sostanza, nè sulla figura, nè sul luogo, giacché al cuni
lofanno incorporeo, altri gli danno
corpo; chi lo pone fuori e chi dentro
il mondo: chi gli dà sembianze umane,
echi no. Ma dicono: e tupensa un che
di incorruttibilee beato, e argomen terai questo essere Dio. Ma alla
guisa chenonconoscendo Dio altri non
può pensare gli accidenti di lui; così
poichè ignoriamo la sostanza di Dio, non
po tremo immaginare gli accidenti a lui
propri. Ma quando pure Dio fosse im maginabile, non potrebbe tuttavia di
mostrarsi. Poichè la dimostrazione
chiara od oscura. Ma se la dimostra zione di Dio fosse chiara, tutti
l'ammet terebbero, poichè in tal caso la cosa
dimostrata si concepisce insieme alla
dimostrazione, e perciò anche si intende
con essa : se la dimostrazione è o scura, ha bisogno di altra dimostra
zione per essere dimostrata, la quale
non può essere chiara, perchè in tal
caso non sarebbe più oscura, ma chiara
l'esistenza di Dio: nemmeno può essere
oscura perchè una dimostrazione oscura
non può chiarirne un' altra oscura.
Infine si adduce l'obbiezione più formi dabilenella esistenzadel
male,obbiezione che fu poi sostenuta dai
manichei e da Bayle. Chi afferma
esistere Dio, o dirà ch'ei provveda alle
cose del mon do, o che non provvede: e se provvede, sarà o a tutte o a talune. Masedi tutte e' pigliasse cura, non sarebbe nelmondo verunmale, nè alcuna cattiveria: ma di cono
che tutto sia pienodi male, dun que non si avrà a sostenere che Dio abbia cura di ogni cosa. Che se ei ne cura alcuna soltanto, perchè a queste provvede, a quelle no? In fatti, o egli vuole può atutte provvedere ; o vuole e non può; o può e non vuole: o non può e non vuole. Se volesse e potesse, avrebbe cura di tutte; ora ei non prov
vedeatutto (secondo che dicemmoinnan zi), dunque nonvuole e non può a tutto provvedere. Se ei vuole, e non può,
desso è più debole della cagione per cui
non può provvedere alle cose di cui non
si cura; ma è contro il concetto di
Dio che ei sia più debole di altro. Se
può curarsi di ogni cosa e non vuole, è
da reputarsi invidioso. Se non vuole
yè può, è invidioso e anche debole; e il dire ciò intorno a Dio è proprio degli empii.
Alle cose del mondo non provvede
dunque Iddio: e se egli non ha cura
veruna e non esiste opera di lui, nè
effetto: nessuno può dire inquale modo
comprenda l'esistenza di Dio, poscia
ch'ei non appare da sè e non si com prende per alcuno effetto. Anche
perciò è dunque incomprensibile se Dio
esista. Concludiamo, da siffatte
avvertenze, che coloro i quali dicono
asseverantemente che Dio è, sono
costretti ad empietà; che se lo dicono
provvidente ad ogni cosa, portano Dio ad
essere cagione dei mali; selo dicono
curante di alcune cose o di nessuna,
sono costretti am mettere un Dio o invidioso o debole ; tali sentenze si conoscono proprie degli empii.
Così del pari il pirronismo rima ne indifferente fra il bene e il
male, nè afferma o nega che causaci sia,
o movimento o quiete ecc. Che
alcune volte non introducanei suoi
giudizi dei veri sofismi, non può negarsi; ma nè manco è giusto affermare, come alcuni hanno fatto, che il pirronista abbia ap preso
dai sofisti tutta la scienza del dubbio.
La maggior parte degli argo menti dei pirronisti convengono piena mente agli
scettici d'oggidì, e se tutto lo
scetticismo consistesse nel negare che
intuizione vi sia dell'assoluto, si
apporrebbe al vero. Ma dalle cose as 267
il nulla. Più che diversità di principii, tra lo scettismo dell'Accademia e quello di Pirrone, vi è diversità nelle conseguen ze;
giacchè gli accademici se sospende vano il loro giudizio intorno a molte cose, non erano per questo indifferenti solute alle relative ci è grande diffe renza,
come non si può argomentare, dalla
differenza dei gusti e delle aspi razioni alla felicità, che cosa buona
non vi sia. Buona per tutti forse no;
mada coloro a cui piace o a cui reca
sollievo perchè non si dirà buona? E
perchè i sensi talora ingannano, nè
tutti perce piscono le cose nel modo stesso, si do vrà negare ad essi ogni fiducia?
Non pronunciamo mai sentenze assolute,
ma relative solamente al nostro
giudizio, ai nostri sensi; non
pretendiamo di intuire le essenze, nè di
comprendere l'infinito eallora saremo
nel vero. La relatività delle nostre
conoscenze e dei nostri giudizi bastano
per la vita pratica e per la nostra
felicità Prendiamoqueste cognizioni
relative come se fossero as solute e regoliamoci con esse, nè pre tendiamo di
tenere ognora e per tutto sospeso il
nostro giudizio, poichè una sospensione
siffatta non è nella natura nostra, nè
possibile ad applicarsi nella vita
pratica. È una contraddizione del
pirronismo quella di presentare il dub bio come uno stato fermo,
costante, che rappresenta il perfetto
equilibrio, il ri poso della volontà e il supremo bene. Questa condizione non può condurre che all'indifferenza perle cose del mon do; e
lapersuasione dell'impotenza no stra a spiegare checchessia, deve as sopire la
nostra intelligenza in un mor tale letargo. Questo stato dell'animo è la morte e non la vita; e la
indifferenza di Pirrone per i dolori
fisici così come per i morali, non è
certol'idealedella vita, nè la vera
felicità. L'assenza del dolore, e del
piacere non è la felicità, è alle cose
del mondo, ma stimavano con veniente fra le controversie appigliarsi alle più probabili, quali erano
percepite dai sensi ( v.
PROBABILITÀ). Pittagora. Lavita di
questo fi losofo si perde nella favola, tanta è
l' incertezza dei documenti che l'anti chità ci ha trasmessi intorno a
lui. L'anno della sua nascita è molto
con troverso: Lloyd la poneva nel 585 a.
G. C.; Dodwell nel 568, o nel 567;
Freret nel 580. Non si sadel pari con
certezza il luogo ove nacque; ma i più
ritengono che l'isola di Samo gli abbia
dato i natali. Suo padre eratrafficante,
l'associò per tempo ai suoi viaggi e gli
procurò una educazione distinta. Cre sciuto in età, secondo le abitudini
del suo tempo, prese a fare alcuni
viaggi di studio, a solo fine di
abboccarsi co gli uomini più illustri e visitare i luo ghi che la fama indicava
come quelli che erano più innanzi nella
civiltà. Abitò lungamente l'Egitto e
l'Asia Mi nore, e vi fu chi lo mandò fino nell'In dia e nella Persia, sicchè
dicesi che vi apprendesse l'astronomia,
la medicina e la geometria, la quale
scienza egli in segnò appena tornato in patria. Da Samo passò quindi nellaMagna Grecia; ma Porfirio e Giamblico lo fanno prima successivamente immigrare in tutte le isole della Grecia per propagarvi la scienza misteriosa che essi suppongono che abbia appreso dai sacerdoti egizi. Finalmente verso l' anno 410 a, G. C. formò stanza a Crotone, città del golfo di Taranto, nella Calabria che allora, per le Colonie greche che l' abitavano, veniva detta Magna Grecia. Di costumi austeri, frugalissimo e amante della so
litudine, non tardò a suscitare quella
viva curiosità che è foriera della fama.
In breve e giovani e vecchi accorsero 268 PITTAGORA
a sentire la sua parola, e tanto fu l'au torità che acquistò anche tra i
primati, che più e più volte fu
richiesto di con siglio intorno alla cosa pubblica. Ai giovani, a' vecchi alle donne insegnava le virtù private, parlando in pubblico e più specialmente nei templi, come per dare ai suoi precetti il carattere sacro della religione. Ma le passioni non tardarono a scatenarsi contro di Jui, e la persecuzione che accanì contro la sua scuola pare che facesse anche il filosofo sua vittima verso l'anno 500. Da chi e perchè quella persecuzione fu suscitata ? Niuno sa dirlo. Si citano la vendetta e l' invidia per spiegarla, ma qual sarebbe stato il movente di queste passioni? Diogene Laerzio così raccon
ta: Era entrato nella casa di Milone co'suoi compagni, quando uno di coloro che egli non volle accettare fra i suoi, bruciò la casa. Altri dicono che i Cro tonesi
per sospetto e per paura di do ver soffrire la sua tirannia lo piglia rono
mentre fuggiva l'incendio e l'uc cisero con alcuni de'suoi discepoli. Di cearco
narra che Pittagora fuggì nel tempio
delle Muse a Metaponto, ed es sendovi rimasto per quaranta dì senza nutrimento però d' inedia. Eraclide nel compendio delle vite del Satiro rac conta che
Pittagora dopo avere inual zato un monumento in Delo sulla tom ba di Terecide
suo maestro, ritornò in Italia, pervenne
al Metaponto ed ivi, stanco di vivere,
si lasciò morire di fame. Ermippo dice
che essendo in guerra quei di Agrigento
con i Siraçu sani, venne Pittagora con i compagni d'Agrigento a dare aiuti ; ma essendosi volti a fuga i suoi, egli ricoverò in un campo di fave, le quali volendo schi vare,
siccome sacre, fu preso dai Sira cusani e fatto morire ». La famadi Pittagoracome filosofo, è certamente superiore ai suoi meriti. Inclinato alla contemplazione mistica, egli ama il mistero, e si compiace di creare una dottrina arcana, l' immenso successo della quale e certamente do vuta
alle molte difficoltà che gli uo mini avevanod'intenderla. A somiglianza dei sacerdoti del paganesimo, instituì un doppio insegnamento: quello che egli indirizzava alla generalità degli ascol
tatori, e quello riservato ai pochi eletti.
Aveva fondato un istituto col quale i
conventi del cristianesimo hanno moita
analogia. Gli allievi vi erano assogget tati a lunghe prove, e passavano
per gradi successivi proporzionati al
loro ingegno e alla loro virtù. Era
una sorta di iniziazione sacerdotale,
una vita mistica, la quale si è sorpresi
di vedere lodata anche da molti moderni,
pedis sequi copiatori delle glorie pittagoriche. Gli allievi dell'Omachoion, nome dato all' istituto pittagorico, e che vale udi
torio comune, mettevano in comune i loro
beni e coabitavano insieme con le loro
tamiglie, tutti restando sottoposti alla
stessa regola. Vestivano una to naca bianca e alternavano le occupa zioni fra
lo studio, la lettura dei poeti, la
ginnastica, i sacrifizi e le cerimonie
religiose. Dai loro pasti era bandita o gni specie di carne: le uova, il
vino, e ognispecie di bevanda alcoolica
era loro interdetta . Anco le fave
dicesi che avessero in orrore perchè
rappre sentano le parti sessuali della fem mina; ma altri lo negano e
tengono ciò per una favola. Fatto è che
Pitta gora raccomandava a tutti l'uso dei cibi
vegetali, escludendo le carni e il pesce, come sacri agli Dei, non essendo conve
niente, diceva, che la stessa imbandigione
comparisse sulla mensadivina e su quella
degli uomini. Voleva ancora in tal ma niera abituare gli uomini alla
sobrietà e al facile vivere; acciò
sempre avessero apparecchiati i cibi
senza bisogno di cuocerli. Ma più che
altro, mi par che questa prescrizione
sia stata tolta dal l'India (se è vero che Pittagora vi sia andato) dove in grazia della metempsi cosi i
bramini hanno orrore del cibo preparato
con ogni cosa che viva. In fatti, Laerzio nella fine della sua vita di Pittagora, così l'apostrofa: « Non tu solo
ti sei astenuto dagli animati. Dim mi, o Pittagora, chi è che mangi ani mali
animati. Ma ben io mangio arro sto, o lesso, o salume, dai quali ormai l'anima è sfuggita. Così era savio Pit tagora
chè ei non voleva gustare le carni,
perchè diceva ciò esser peccato: io
lodo, ch'egli, astenendosi, ai compa 260
(ossia nella proporzione di otto a sei) : o secondo la quinta perfetta (diapente) o di una volta e mezza tanto (ossia nella proporzione di nove a sei); o giusta il suono d'ottava (diapason) o del doppio (ossia nella proporzione di do dici a
sei). tanto contagioso; e chi nell'
Italia Comte ha molto giustamente fon
data la nuova scienza sui tre diversi
modi dell' arte di osservare; vale a
dire l'osservazione pura, lo sperimento
e il metodo comparativo. Ma non è già
nel metod o ch'io trovo
manchevole la sociologia ; sì nei mezzi
stessi d'investi gazione. Il maggior numero delle vere cagioni delle cose ci sfugge inosserva to:
noi vediamo le cause apparenti e
immediate dei fenomeni sociali, e spesso
anche su queste ci inganniamo. Con
elementi così scarsi e così poco sicuri
come mai si può pretendere di costi tuire una vera scienza, una scienza
sin tetica che sia, per così dire, il com plesso di tutte le altre? Come preten
dere di rivelare le varie cagioni dei
fenomeni sociali, quando noi stessi ci
inganniamo sui veri motivi per cui ta lora siamo determinati nei nostri
atti, e se dubitiamo perfino se siamo
liberi o necessitati? L'esperimento non
è mezzo che possa applicarsi alla produzione dei fenomeni sociali, e il metodo com
parativo fra fenomeni prodotti in tempi
diversi, sotto l'impero di diverse circo stanze e da uomini diversi è un
rime dio tutt'altro che adatto a correggere
i nostri giudizi. Diciamo dunque ad drittura che la sociologia, come
scienza sintetica ed esatta, è
impossibile, avve gnachè suppone la conoscenza di cause infinite, ciò che implicherebbe la pos
sibilità di conoscere il passato e il fu turo data la conoscenza di un
solo punto della storia (v. CASO). Ma poichè tutte le nostre cognizioni attuali e probabilmente
anche tutte quelle che potremo
acquistare nell' avvenire, non sono tali
da lasciarci prevedere le sorti di una
battaglia, l' esito di una intra presa, o l'abbondanza dei raccolti di una contrada, non è temerità il dire che la sociologia già fin d'ora è con dannata
a non essere altro che una raccolta di
fatti storici, una scienza numismatica
piuttostochè una scienza sperimentale e
di previsione. Ed è, in fatti, entro questi soli limiti giàdetermi nati e
precorsi dalla filosofia della sto ria che finora è rimasta compresa la Sociologia positiva. Essa si è limitata ad esporre ed a considerare come un semplice fatto dipendente dalle condi zioni
stesse del nostro organismo e del mondo
in cui viviamo, la successiva
trasformazione dello scetticismo in po liteismo e monoteismo, per
giungere al presente stato metafisico:
tutto ciò era stato detto, e la
sociologia con questa esposizione
storica nulladi nuovo ci ha finora
rivelato, salvo il coro namento dello stato moderno o meta fisico, mediante
l'avvenimento della fi losofia positiva.
La sociologia costituisce la prima
parte della filosofia morale. La seconda
parte è costituita dalla morale positiva
propriamente detta, o religione positi va, detta altrimenti religione
dell'uma nità. È il secondo periodo della filosofia di Comte e quello che segna anche la- sua,
decadenza. Dopo avere gettate le
fondamenta di una filosofia, alla quale,
se non altro, non si poteva negare il
nome di veramente positiva, Comte si
è compiaciuto di rifare il suo lavoro
per dargli una apparenza teologica, a busando in manierafin qui non mai
ve duta del senso delle parole. Bichat,
Cabanis, Giorgio Leroy ed infine Gall, a
parere dei positivisti hanno gettatole
fondamenta della teoria dell'anima.
L'anima esiste ; è dotata di diciotto
facoltà elementari, o, per meglio dire,
sidecompone in queste di ciotto facoltà, la cui enumerazione af fatto inutile
ed arbitraria non giova riprodurre.
Basti dire che l'anima, com posta di cuore e spirito, si suddivide poi in quattro facoltà: nel cuore pro
priamente detto, nel carattere, nell' e spressione e nelconcetto.Del resto,
tutte queste facoltà, anche quella del
cuore, sono, con molta disinvoltura,
collocate nel cervello ; dimodochè non
si sa poi bene se lo spirito stia nel
cervello o se ne sia solamente la
funzione. Il padre del positivismo ha
avuto anche il torto di localizzare nel
cervello le facoltà no stre e le nostre tendenze, ed è così ca duto nei soliti
errori dei frenologi ( v.
FRENOLOGIA). Il fondamento della
morale positivi sta è l'altruismo, che essa costantemente contrappone ai così detti istinti del no stro
egoismo. Vivere per gli altri è la sua
divisa, come è regola fondamentale della
sua morale personale: non fare cosa
alcuna che non si possa confes sare. Il positivismo dichiara che una religione è necessaria, non già nel co mune
senso che si suol dare a questa
necessità, per dirigere le masse, le donne ed i fanciulli; ma una religione per tutti, per gl'ignoranti come per i dotti, da tutti ammessa, da tutti volontariamente riconosciuta perchè fondata sulla
verità. Ma ogni religione ha bisogno di
un culto, e la religione positiva deve
pure avere il suo. Quale sarà il
soggetto dell'adorazione di questa
religione non rivelata? La rivoluzione
francese aveva adorata la ragione, cosa
buona in'sè, dicono i positivisti,
mapericolosa, per chè conduce all'orgoglio e all'egoismo; meglio dunque vale adorare il cuore, e mantenere il culto di tutte le
affezioni, il culto dell'avvenire; ecco
il culto del l' Umanità, non inventato, dicono, ma scoperto dai positivisti. « L' Umanità, dice Longchamp nel suo Saggio sulla preghiera positivista, l' Umanità non è già la specie umana e non comprende l'universalità degli uomini. L' Umanità è la memoria dei mortiche inspirano e guidano i viventi, è l'insieme di tutti i
grandi pensieri, di tutti i nobili senti menti e di tutti grandi sforzi,
riferiti a un solo e medesimo essere,
l'animadel quale è costituita daquesti
grandi pen sieri e il corpo dal complesso di tutti i viventi ». Solamente coloro i quali hanno lavorato per il benessere dell'u manità
possono sperare di essere im mortali e di vivere per sempre nella. 289 le
sue preghiere. La preghiera non é una
domanda, ma una preparazione ed una
eccitazione all'affetto, la rimembran za rinnovata dei benefici ricevuti.
Non si può chiedere al Grande Essere
che un nobile progresso morale, senza ac
crescimento di ricchezza materiale.
Oltre al Grande Essere il positivi smo riconosce gli Angeli e gli
Angeli memoria dei viventi. Il positivisimo professa dunque una sorta di panteismo simbolico. Il Grande Essere, che è il Dio positivista, si
risolve nel concetto universale deli'
umanità, mentre ogni benefattore dell'
umanità dopo la morte entra a costituire
una parte di questo Grande Essere ed
a godere gli onori della divinità. «
Ogni vero adoratore del Grande Essere,
dice il dottor Robinet, uno dei tre
esecutori testamentari di A. Comte (
Notice sur l'oevre et la vie de
Comte),presenta due esistenze successive
; l'una che costitui sce la vita propriamente detta, è tem poraria ma diretta;
l'altra che comincia dopo la morte è
permanente ma indi retta ». Il Grande Essere ringiovanisce ad ogni generazione e le creature u mane
diventano i suoi organi passeg custodi nella personificazione dei nobili concetti, quali l'idea del bene, del
vero, del bello. 1 tre angeli custodi
del no stro cuore, sono l'attaccamento. la ve nerazione ela bontd. I santi sono
gli uomini che illustrarono l'Umanità
colle loro opere. Il loro nome è
consegnato in un Calendario positivista,
nel quale l'anno è diviso intredici mesi
eguali di 28 giorni ciascuno, i quali
non lasciano che un giorno
complementetare negli an ni ordinari e due negli anni bisestili. I mesi sono divisi in 4 settimane precise, ed ogni giorno dellasettimanaconserva il nome che ha attualmente. I mesi si chiamano: Mosè, Omero, Aristotile, Ar
chimede, Cesare ecc.; e la stessa scelta
di nomi si trova nei santi votivi della
settimana, dove si leggono quelli di
Confucio, Buddha, Maometto, Platone,
Alessandro, Innocenzio III, S. Bernardo,
gieri; ma i grandi pensieri e le grandi
azioni possono elevare l'uomo al grado | Bossuet, Tasso, Milton ecc.
Questastrana di organo permanente, o
persistente. Nulla del resto puòquesto
Essere sim bolico, per cambiare le cose del mon do. Se la fede teologica, dice Robinet, spiega sempre il mondo e l'uomo col
l'intervento divino, la fede positiva in segna invece che tutti gli avvenimenti del mondo e dell'uomo si producono in forza di influenze invariabili, dette leggi ».
Non è giàDio,dicono i positivisti,
che ha creato l'uomo, ma è l'uomo che
si é formato il suo Dio. E, come si
vede in questo articolo, essi si sono
valsi largamente di tale massirua, per ciocchè non solamente si sono
creati un Dio e una religione, ma eziandio
un culto. Il culto del Grande Essere,
ossia dell'Umanità, deve avere le sue
feste, e associazione di uomini che
ebbero pen sieri e operarono con finibendiversi e talora opposti, si trova d'altronde d'ac
cordo con la filosofia positiva, la quale
considera tutti i fattisociali come una
materiale esplicazione di leggi immuta bili. Ilconcetto del calendario
positivista in surrogazione del
calendario cristiano è uno di quelli che
appartengono alla seconda fase dell'
attività del signor . Comte. Il
positivismo aveva completa mente cambiato il suo carattere: dopo essere stato una filosofia scientifica,
era divenuto una religione dell'
umanità. Così dice il signor Wirouboff
(Remar ques sur le calendrier de M. Comte;
Reuve de la Phil. Pos. an. 1876 p. 48)
il quale mette in evidenza i difetti in
gran numero che sono nel calendario positivista, fra cui l'ommissione
dimolti nomi notissimi nella scienza,
mentre al loro posto si trovano molti
altri o mi tologici o appena noti. Il
culto dell' umanità, avrà i suoi
sacramenti. Essi, dice il signor de Bli gnière, legano ciascuno a tutti:
consa crando in nome della utilità sociale tutte le fasi e tutte le modificazioni
generali e importanti della vitaprivata,
essi por gono l'occasione di richiamare i doveri che incombono a ciascuno nelle circo stanze
nuove della sua vita ». Le feste saranno,
infine, la celebrazione dellame moria dei grandi uomini; lo studio della loro vita e dei loro servizi, sarà l'espres
sione verso di essi della pubblica ri conoscenza. Ma la religione positivista morl pri madi
nascere. Il solo tempio che ab bia avuto fu quello creato da Comte nella sua propria casa, nella quale, dopo di lui, si riunirono regolarmente i membri della società positivista che rimasero fedeli alle tendenze mistiche del maestro. Mauna eresia scoppiò ben presto nel seno stesso dei positivisti,
e quelli i quali erano insofferentidei
sim boh si unirono al signor E. Littrè, che
è attualmente il più illustre rappresen tante del positivismo. La nuova
filoso fia spogliata da ogni misticismo, è ri masta una filosofia materialista
nella sostanza, sebbene nella forma
accenni a velleità di far credere ad un
sistema tutto proprio. Nel fatto però la
sola Questo è il culto positivista ; ma
differenza che esiste fra il positivismo
quali ne saranno i sacerdoti ? Tutte le e il materialismo è, che il
primo non funzioni che spettano
normalmente ai | crede che l'uomo possa mai spiegare preti, sono ora divise fra i medici, i preti attuali, ed i dotti,professori e fi
losofi di tutti i gradi. I positivisti tro vano che non è possibile di
studiare separatamente l'uomo nel cuore,
nel corpo e nello spirito, e perciò
vogliono che i ministri della nuova
religione le causeprime ed assolute, e
che quan d'anche spiegate le avesse, queste spie gazioni non potrebbero
influire sulla vita pratica. Io mi accordo,
fino ad un certo punto, con questa
conseguenza; ma si tratta di sapere
sedopo aver di chiarato di non volersi occupare delle siano ad un tempo medici, filosofi e preti. Così il nuovo culto sarà comple to ;
potrà sfidare i suoi nemici ed avere i
suoi martiri. L'avvenire gli è assi curato.
Al pari dei sacerdoti pagani, i quali
sotto i simboli del politeismo, preten devano di onorare le leggi della
natura (v. MISTERI ) Così i positivisti,
creando una religione materialista,
credevano di essere coerenti con la
verità. E non pensavano nemmeno che col
volgere degli anni questi simboli,per
ladimen ticata origine, sarebbero stati posti su gli altari e adorati per se
stessi, e non già per i principii che
avranno rappre cause prime, la curiosità, che è figlia del sapere, non ci proporrà perpetua mente
queste domande: Chi siamo ? d'onde
veniamo? Il materialismo, che non
rinnega alcuno dei mezzi di inve stigazione suggeriti dal positivismo, e chi li ha anzi applicati prima ancora
che il positivismo fosse nato, non ha
temuto di pronunciare i suoi giudizi, i
quali, intorno allecause prime,
nondevono in tendersi in un senso assoluto, ma come la conseguenza probabilissima che de riva
dalle nostre attuali cognizioni. Il
positivismo, più pudico, vuole riservare
il suo giudizio, anzi nè pure consente
adiscutere le origini dell' universo e
il fine ultimo dell' umanità. La quale
astenzione, se rende più facile la sua
missione e gli risparmia le accuse di
sentati. L'interesse dei sacerdoti li avreb be spinti a sollecitare
questo felice mo mento, in cui essi soli, fatti padroni del vero senso dei simboli, avrebbero potuto |
molti nemici, non rende perciò il suo
dominare il popolo con le potenze mi steriose che avevano poste sugli
altari. sistema più filosofico, e non
toglie che ogni positivista
individualmente non si PRASSEA trovi,
tutti i giorni dinanzi agli eterni
201 dere a tale richiesta col
Dato ma non einevitabili problemi della
nostra ori gine e della nostra fine. Ammessopure chequesti problemi siano indifferenti
per lavitapratica, nederiverà per questo
che noi potremo evitarli? Quante altre
que stioni hanno assorbita tutta l'attività di
grandi pensatori ? Che cosaè ilmagneti smo, l'elettricità, l'attrazione?
Che cosaso concesso » vale a dire « ammetto pel
momento, ma non credo ». Kant
chiama postulato della ragione pura
l'immortalità dell'anima, essendo essa
un domma dalla filosofia nondimo strabile, e non pertanto necessario ad ammettersi,aparer suo,comeconseguen. za dell' ordine universale. Il postulato
é nole comete, il sole i pianetietutti
gli | dunque unaipotesi chein seguito potrà
essere dimostrata direttamente, od an che indirettamente con le
conseguenze astri del firmamento?
Quantopesano, di quali materie sono
composti? Tutte que ste domande hanno unvalor puramente scientifico, senza alcuna pratica conse
guenza. Ne deriverà per questo che i
dotti devano trascurarle? Il positivismo
se ne è occupato, e ha pure su molti
argomenti, inutili per la pratica, fatte
le sue ipotesi. E perchè troverà esso
che per la vita pratica importi più il
conoscere se la luna abbia o non abbia
una atmosfera, di quel che sapere se
esiste un Dio creatore, un'anima immor tale e una vita avvenire? Gli
attuali e retici del positivismo, iquali non hanno creduto di accettare la religione inven tata
daA. Comte,avranno forse ragione di dire
cheprudenza è l'astenersi di sen stesse che deriveranno dall'insieme della discussione.
Poveri cattolici. Nomi di certi
religiosi, i quali erano un ramo di Val desi o Poveri di Lione che si
converti rono nel 1207. Formarono una Congre gazione, che si diffuse nelle
provincie meridionali della Francia e
che s' ac crebbe per la successiva conversione di altri Valdesi, fondendosi poi, l'anno 1256, in quella degli eremitidi Sant'Ago
stino. Heliot, storia degli ordini mona stici t. III. pag. 21 . Prassea. Eretico del secondo se colo e
discepolo di Montano, che poi abbandonò
per farsi capo setta. Fon tenziare in codeste materie; ma hanno | dandosi sopra
i passi evengelici ove si torto di
proclamare che codesta asten dice: zione
sia veramente scientifica. Perfino lo
scetticismo che non sentenzia, ha loro
insegnato che anche per giungere al
dubbio è necessario esaminare le ra gioni favorevoli e le contrarie al
dom il Padre ed io siamo un solo; quello
che mi vede, vedepuremio Pa dre; io sono nel Padre e il Padre è in me > concluseche Gesù, o ilFiglio,
non era distinto dal Padre, che entrambi
co stituivano una sola persona divina; che
il Padre era disceso nel ventre della Ver gine si eraincarnato,
avevapatito edera matismo. D'altronde,
questa astensione non è sincera, e non
vi è positivista il quale nell' intimo
foro della coscienza | morto sulla Croce. Eresia non dissimile non abbia esaminato le ragioni dei cre denti
e degli increduli, e non abbia
pronunciato il suo giudizio. La stessa
religione positivista, sotto i suoi simboli, non faceva altro che insegnare l'incre
dulità. Postulato (dapostulatum, cosado
mandata). Aristotile così chiama una proposizione non ancora dimostrata, ma che si richiede di ammettere intanto gratuitamente per il bisogno della di
scussione. Dagli italiani si suol rispon da quella di Noeto edi Sabellio, per
cui i settatori di questi tre eretici s'
ebbero il nome di Monarchici, perchè
ricono scevano soltanto il Padre qual signore
di tutte le cose; e quello di Patripassia ni, perchè lo supponevano
capace di patire. Il Beausobre (Storia
del Mani cheismo, lib. III Cap. 6 § 7) citando un passo di Tertulliano ilqualdice che l'e resia
di Prassea fu confermata da Vit torino, aggiunge che questi è, per co
munconsentimento, il papa Vittore. 292
PREDESTINAZIONE
Predestinazione.Vocabolo che
letteralmente significa una destinazione
anteriore : nel linguaggio teologico e sprime il disegno formato da Dio
ab eterno, di condurre, mercè la sua gra
zia, taluni all'eterna salute. Alcuni
Padri della Chiesa adopera rono talvolta il vocabolo di predestina zione in
generale, così per la destina zione degli eletti alla grazia ed alla gloria, che per quella de'riprovati alla dannazione; ma siffatta espressione par ve
troppocrudele; oggidì pigliasi questa
voce in buona parte soltanto ; signifi cando la elezione alla grazia od
alla gloria, e chiamandosi riprovazione
il decreto contrario; sebbene, in
sostanza, e l'uno e l'altro decreto
costituiscano la predestinazione, in
quanto sono stati pronunciati da Dio
prima ancora che gli uomini predestinati
al paradiso o all'inferno fossero nati;
anzi prima ancora del cominciamento dei
tempi. Sant' Agostino nel suo libro de
dono perseverantiæ (cap. 7 n. 15. e cap.
14n. 35)definiscelapredestinazione:
Præscien tia et præparatio beneficiorum quibus
certissime liberantur quicumque libe runtur. Aggiunge poi al cap.(17, n.
41.), Dio dispone egli stesso ciò che
fard, secondo la infallibile sua
prescienza : questo, e niente di più,
essere prede stinare. Secondo San Tommaso (part. 1. Q. 23. art. 1.) la predestinazione è il modo, col quale guida Iddio la creatura ragionevole al suo fine, che è la vita eterna.
I principii su cui si fondalaprede stinazione presso i cattolici sono
così riassunti dal Bergier: 1.º Vi è in Dio un decreto di pre
destinazione, ossia una volontà assoluta
ed efficace di dare il regno de' cieli a
tutti quelli che effettivamente vi giun geranno. 2.º Iddio, nel predestinarli alla glo ria
eterna, ha loro altresì destinato i
mezzi e le grazie, mercè le quali ve li
conduce infallibilmente. (San Fulgenzio,
de Verit. Prædestin. 1. 13.) 3.°
Questo decreto è inDio ab eterno eloha
egli formato, come dice San Paolo,
(Ephes. I. 3. 5.) prima della creazione
del mondo. 4.° Il medesimo è un effetto
della pura bontà di lui: epperò questo
decreto è perfettamente libero da parte
di Dio ed esente da ogni necessità(San
Paolo, Ibidem. 6 e 11.) 5.º Tal decreto di predestinazione è certo ed infallibile, deve immancabil mente
sortire il suo effetto, il quale al cuno ostacolo nonpotrà mai impedire; così dichiara Gesù Cristo (Joan. c. 10, 27, 29.)
6.º Ameno di una esplicita rivela ❘zione,
nessuno può andar certo d'essere nel
novero de'predestinati o degli elet ti, lo che provasi con SanPaolo
(Filip. 11. 12. 5. Cor. IV, 4) e fu
definito dal Tridentino (Sess. 6, c. 9,
12, 16. e can. 15.) 7.º Il numero dei predestinati è fisso ed immutabile, sicchè non può essere aumentato nè diminuito ; avendolo Iddio fissato ab eterno e non potendo la sua prescienza ingannarsi (Joan. IX. 27, Sant'Agostino, I, De corrept. et gratia XIII, 8). Non impone il decreto di pre
destinazione, nè per sè, nè pei mezzi,
onde giovasi Iddio per mandarlo ad ef fetto, veruna necessità negli
eletti di praticare il bene. Dessi
operano sempre liberissimamente e
conservano sempre, allora pure che
ottemperano alla Leg ge, la facoltà di non osservarla (San Prospero, Respons, ad object. Gallor). Quante contraddizioni in questi punti della fede cattolica! Il numero dei pre
destinati è fisso e immutabile; essi sono
scielti da Dio ab eterno e persemplice
bontà di lui; e ciò nonostante essi sono
liberissimi di salvarsi, o di dannarsi.
Quale sciocchezza! La libertà suppone
la facoltà di fare o di non fare una
cosa: or come potrei io non dannarmi
se giàperdecreto pronunciato ab eterno
sono stato escluso dagli eletti? Si ri sponde che questo decreto indica
la semplice prescienza di Dio, il quale
sa PREDESTINAZIONE le cose future, manon
suppone l'azione diretta di Lui sull'
uomo per indurlo 293 psari; altri insegnarono avere Iddio fatto un tal decreto di condanna sol alla
salute o alla dannazione. Codesta è una
distinzione gesuitica che non ha
fondamento. Ilfuturo si conosce per la
successione delle cause edegli effetti, e Diocheè infinito, conosce cause
infinite. Ma acciocchè il futuro possa
essere preveduto, conviene che le cause
indu cano la necessità dei loro effetti, e que sti siuno cause necessarie di
effe tti sus seguenti. Senza questa necessità il caso e l'arbitrio sarebbero nell'universo, e
la prescienza divina sarebbe un
assurdo, poichè prescienza vale
predetermina zione, conoscenza anticipata della suc cessione delle cause e
degli effetti. Dove è il caso là non vi
è prescienza possi bile, avvegnachè il caso sia appunto la negazione d'ogni predeterminazione. (V. Caso edEFFETTO). Se adunque Iddio non agisce direttamente sull'uomo, egli però vi agisce necessariamente colla succes sione
di cause che ha create e prede stinate in maniera di conoscere antici patamente
il loro risultato ultimo. Lutero e
Calvino piú brutali, ma più sinceri,
avevano evitata la contraddi zione dei cattolici, ammettendo questa conseguenza. Secondo la loro dottrina Dio aveva, ab eterno, con immutabile decreto separato il genere umano in due parti, l'una di eletti favoriti a cui
volle assolutamente assicurata l'eterna
beati tudine, ai quali largisce le grazie effi caci, la cui mercè operano
necessaria mente il bene; l'altra di oggetti della sua collera, da lui destinati al fuoco eter no, e
di cui dirige per modo le azioni che
devono di necessità commettere il male,
perseverare e morire in questo stato. La
quale orribile dottrina so stennero Beza ed altri riformatori. Me lantone, più
moderato, n'ebbe orrore e procurò
raddolcirla. Parecchi de' setta tori di Calvino perseverarono, come il maestro, a sostenere che pur anterior mente
alpeccato di Adamo, Dio hapre destinato la maggior parte degli uomini tanto consecutivamente alla previsione della colpa de' nostri progenitori, e a costoro venne dato il nome d' infrala psari.
Non affermavano come i prece denti che Iddio avesse per si fatto modo determinata la caduta del primo uomo e che Adamo non potesse fare a meno di peccare, ma pretendevano che dopo questa caduta quelli che peccano non possano rimanersene dal farlo. Quantunque una tal dottrina, come dice ipocritamente il cattolico Bergier, sia orrenda, tuttavia essa regnò tra i calvinisti fin quasi a'nostri
giorni.Eglino persistettero
nell'affermare che tale è la pura
dottrina della Santa Scrittura e che
Sant' Agostino la propugnò a tut t'uomo contro aipelagiani. Sullo scorcio del secolo decimosettimo,Bayle asseriva come nessun maestro osasse insegnare il contrario, che se alcuni pareva che se ne fossero scostati, ciò era solo ap
parentemente, non avendo cangiato che
alcune espressioni dei predestinaziani.
Nel 1601, Giacobbe Van-Hermine,
conosciuto sotto il nome di Arminio,
professore nell' Olanda, attacco aperta mente la predestinazione
assoluta; so stenne che Iddio vuol sinceramente sal vare tutti gli uomini, che
a tutti, sen z'eccezione di sorta, dà sufficienti mezzi di salute, e che riprova coloro
soltanto, i quali abusarono di questi
mezzi o vi hanno resistito. Arminio ebbe
ben pre sto un gran numero di seguaci: ma
Gomar, altro professore, sostenne perti nacemente la dottrina rigorosa
de'pri mi riformatori e seppe conservarsi un
partito potente. In tal maniera il cal vinismo resto diviso in due
fazioni, l'una degli arminiani o
rimostranti, l'altra dei gomaristi o
contro rimostranti. A defi nire questa contesa gli stati generali d'Olanda convocarono nel 1615, a Dor drecht, un
sinodo nazionale; vi preval. sero i
gomaristi, i quali condannarono gli
arminiani, della cui dottrina venne alla
dannazione e furon detti soprala- I proibito l'insegnamento. Ma questa
decisione lungi dall' ac quetare gli animi, non fece che au mentare la
discordia: non trovò essa alcun
partigiano in Inghilterra, e fu re spinta in più paesi dell' Olanda e della Germania, e nemmeno in Ginevra le si ebbe rispetto. N'assicura il Mosemio che d'allora in poi la dottrina della predestinazione assoluta andò dall'un di coll'altro declinando, e che gli arminia ni
ripresero poco per volta il sopraven to. (Hist. eccles. secolo XVII, Lez.
II, part. II c. 2. n. 12). Pregiudizio (da præ, prima, e
judicare, giudizio, giudicar prima). Voce primamente usata nella giurisprudenza per indicare il giudizio di quelle cause le cui conseguenze erano così evidenti, che la sentenza veniva preveduta prima ancora del processo. Nella filosofia in dicò
poi il giudizio pronunciato od ac cettato senza esame in forza dei princi pii
ricevuti dalla tradizione. Questo si gnificato non esprime però
interamente il concetto di pregiudizio,
tale come le s'intende oggidi. Vi sono
dei giudizi accettati senza esame che
nondimeno sono verissimi, tali, ad
esempio, tutte le leggi stabilite nelle
scienze, le quali, in grazia del metodo
sintetico, s' inse gnano nelle scuole prima della dimo strazione, o primache
l'intelligenza ab bia acquistato il necessario sviluppo per poterle intendere. Aformare il vero pregiudizio ec corre che il
giudizio, non solo sia pro nunciato senza esame, ma ehe ezian dio sia falso. Un
pregiudizio vero non può esistere : non
sarebbe più pregiu dizio, nel senso in cui intendiamo oggi questa voce, ma una verità. Sono pregiudizi gli errori a cui sia mo
condotti nell'applicazione di princi pii tradizionali ricevuti senza esame ; se però questi errori riguardano la reli gione,
meglio si chiamano superstizioni. Éuna
superstizione il credere alla esi stenza delle streghe, all'invasamento del demonio, all'influenza degli spiriti ;
ma èun pregiudizio il credere,come comu
nemente si fa, alla chiaroveggenza ma gnetica, all'influenza delle comete sugli avvenimenti umani ; all'influenza di
certi numeri piuttosto che di certi
altri, e cosìvia. Vi sono pregiudizi politici e pre giudizi
scientifici che dipendono unica mente dal nostro amor proprio. Fra i primi si conta la singolare pretesa d'o gni
nazione di essere la prima del mon do; fra i secondi ' ostinata adorazione delle proprie idee, e la pretesa di
tutti i cultori di qualche scienza
speciale, i quali nelle loro prolusioni
nonmancano mai di proclamare che la loro
scienza è fra le più necessarie al
consorzio u mano. Ho detto che non tutti
igiudizi pro nunciati a priori sono pregiudizi ; e che non to sono precisamente quelli che sono fondati sulla verità. Del pari non tutti i giudizi falsi sonopregiudizi, ma lo sono solamente quelli i quali si pro
nunciano senza esame, in forza di prin cipii già ricevuti. L'uomo il quale,dopo maturo esame, disgraziatamente affermacosanonvera, non cade in un pregiudizio, ma sem plicemente
in un errore. Presbiteri. Due sorta di
Chiese presbiteriane si trovano in
Inghilterra. Quella così detta Chiesa
stabilita o na zionale, e la Chiesa libera o Indipendente che si separò dall' altra per non voler conformarsi alla liturgia che fu stabilit a per la Chiesa ufficiale. (V. ANGLICA
NISMO) Preesistente. Cosa che
esiste anteriormente ad un' altra. Gli
antichi filosofi, non ammettendo la sua
azione, stimarono che Iddio avesse fatte
le cose tutte d'una maniera preesistente
ed al pari di lui eterna. Alcuni dissero
Iddio avere fatto ogni cosa da ciò che
non esisteva, ex non extantibus; espressione che a prima vistapare voler significare ch'egli ha fatto il tutto dal nulla,
quindi tutto creato; ma i critici
moderni di mostrano che per non extanita inten devasi la materia, e che tal
frase significava soltanto aver Iddio data una
forma a ciò che non ne aveva alcuna.
Del resto, una materia preesistente, e terna e senza forma, è per lo
meno egualmente difficile a concepirsi
che la 295 tazione le parole di Gesù: lo sono la vite, io sono la porta,per mostrare che se doveva intendersi nel senso letterale creazione: poté forse la materia
esistere senza dimensioni; non sono elleno
una forma? I pittagorici ed iplatonici credettero nella preesistenza delle anime umane, ossia che le anime avessero esistito in un' altra vita prima d' essere mandate ne' corpi per animarli; soggiungevano che l'unione delle anime ai corpi che sono per esse una sorta di prigione, era una punizione de' peccati da lor commessi in una vita anteriore. Simove accusa a Origene di averpartecipato a tale opinione e talvolta veramente par la sostenga; ma Uezio osservò che Ori gene, e
così sant' Agostino, si tennero entro i
confini del dubbio intorno alla vera
origine dell' anima. (Origenian., I. II
c. VI, N. 1). Presenza reale. Dommaper
il quale i fedeli credono che sotto le
ma terie dell'Eucarestia esiste veramente il
corpo ed il sangue diGesù Cristo. Que sto domma differisce da quello
della transubstanziazione in ciò, che
questo ultimo suppone che le stesse
materie del Sacramento si trasformano
nel corpo enel sangue di Gesù,mentre
ilprimo ammette che il corpo e il sangue
stanno sotto alle materie del Sacramento
senza che però questecambino la loro
natura. Il domma della presenza reale
era generalmente ricevuto dalle Chiese
ri formate, quando Carlostadiomandò per
le stampe alcune scritture per combat terlo. A lui si unirono Zuinglio
ed Eco lampadio, i quali convennero che le
parole dette da Gesù nella Cena men tre spezzava il pane: questo è il
mio corpo, dovessero intendersi in senso
fi gurato. La parolaè devesi intendere in
senso significativo, diceva Zuinglio :
Corpo, cioè il segno del Corpo, aggiun geva Ecolampadio. L'uno e ' altro
ad ducevano in prova della loro interpre che il pane era il corpo di Gesù, do
veva pure intendersi che Gesù fosse la
vite e la porta. Il segretario della città che disputava sostenendo la dottrina opposta, ben adduceva che questi esem pi non
erano della stessa sorte, poichè quando
Gesù disse: questo è ilmio cor po, questo è il mio sangue, non propo neva una
parabola, nè spiegava una allegoria.
Alla quale obbiezione Zuinglio cercava
una soluzione. E dopo dodici dì ebbe un
sogno in cui dice, che imma ginandosi di disputare ancora col se gretario della
città, vide comparirsi ad un tratto un
fantasma bianco o nero, che gli disse
queste parole: vile, perché non rispondi
tu ciò che è scritto nel l'Esodo, l'agnello è la Pasqua, per dir che n'è il segno? (Esod.). Frattanto non erano i soli cattolici quelli che osteggiavano
l'interpretazione figurata. Lutero
stesso, il qual vedeva di mal occhio le
innovazioni degli altri riformatori,
sosteneva che volgendo al figurato le
parole del Vangelo, era a prire una porta, per la quale tutti i misteri sarebbero sfuggiti in figure. Elagnandosi di coloro che opponevan gli
essere la presenza reale un domma inconcepibile,
diceva: « Allorchè Gesù Cristo è stato
concepito per opera dello Spirito Santo
nel seno d' una Vergine, questo miracolo
maggiore di tutti, a chi è stato
sensibile? Quandola Divinità è
corporalmente abitata in Gesù Cristo,
chi lo ha veduto e chi l'ha compre so? Chi lo vede alla destra del
Padre di dove esercita la sua
onnipotenza su tutto l'universo ? É questo
ciò che li costringe a torcere, a
mettere in pezzi le parole del maestro ?
Noi non com prendiamo, dicono essi, come egli le possa eseguire alla lettera. Mi provan bene con questa ragione che il seuso umano non si accorda colla sapienza di Dio: io ne convengo; ma non sapeva per anche essermi necessario il credere
296 PRESENZA REALE solamente quel che scorgesi aprendo gli occhi, o quello che può adattarsi al l'umana
ragione » (Sermo de corp. et sang.
Christ ) Rispondendo a Lutero i
Zuingliani non mancaronodi provargli che
quando si dovessero intendere alla
lettera le parole di Gesù, non la sola
presenza reale, ma la transubstanzazione
dei cat tolici diventerebbe necessaria. Osserva rono essi che Gesù Cristo non
aveva dell'Eucarestia è il vero corpo
naturale del nostro Signore, la quale
dottrina contenuta nella ultima sua
confessione di fede fu approvata da
Melantone e da tutta la Sassonia. Contro
a' Zuingliani scagliavasi furioso. α Mi
hanno fatto piacere, scriveva in una
lettera, chia mandomi infelice. Io dunque il più in felice di tutti gli uomini,
mi sti detto : il mio corpo è qui; ovvero : il
mio corpo è sotto questa cosa ; oppure:
questo contiene il mio corpo. Così cid
ch'ei voleva dare ai suoi fedeli, non era, una sostanzachecontenesse il suo corpo, ochelo accompagnasse, ma il suo corpo senz'altra sostanza straniera.
Nonhadetto nemmeno: questo pane è il mio
corpo, che è l'altra spiegazione di
Lutero, ma disse: questo è il mio corpo,
con un termine indefinito, per mostrare
che la sostanza da esso data non è più
pane, ma il suo corpo. Perciò Zuinglio
nella confessione di fede che mandò ad
Au gusta e che fu approvata da tutti gli
Svizzeri, dichiarava espressamente « che
il corpo di Gesù Cristo dopo la sua ascensione non era in altro luogo che in Cielo; e non poteva esistere in altra parte: che per veritá era come presente nella Cena per la contemplazione della fede, e non realmente, nè colla sua es senza
» (Bossuet Storia delle variaz. lib.
III, 14). E in una lettera indirizzata a
Francesco I, dice che quanto al man giare che fanno gli Ebrei come i Pa pisti,
deve cagionare lo stesso orrore che
avrebbe un padre cui si desse da
mangiare il suo figliuolo; che la fede
ha orrore della presenza visibile e cor porale, e che non si deve
mangiare Gesù Cristo in una maniera
carnale e materiale: un'anima religiosa
mangia il suo corpo sacramentalmente,
cioè in segno, spiritualmente, cioè per
la con templazione della fede.
Contuttociò Lutero fu ben lontano
di piegarsi alla opinione dei sacramenta ri; egli sostenne maisempre che
il pane mo per una sola cosa felice, e
non voglio che la beatitudine del Salmi
sta: beato l'uomo che non è stato nel
concilio dei sacramentari, e non hamai
camminato per le vie dei Zuingliani, nè
si è posto a sedere nella cattedra di
quei di Zurigo ». Lutero moriva
al 25 gennaio 1546, e nell'anno 1561
un'adunanza dei teclogi di Vittemberga e
di Lipsia tenuta in Dresda per ordine
dell'Elettore, ne mo dificava sensibilmente la dottrina. Di chiararono « che il
vero corpo sostan ziale è veramente e sostanzialmente dato nella Cena, senza che tuttavia di venti
necessario il dire che il pane sia il corpo
essenziale o il proprio corpo di Gesù
Cristo, nè che si riceva corpo ralmente e carnalmente colla bocca del corpo; che l' ubiquità loro faceva or rore ;
che vi era argomentoa stupirsi che vi
fosse tanto attaccamento al dire che il
corpo sia presente nel pane, perché era
molto meglio considerare ciò che si fa
nell'uomo, per il quale, e non pel pane,
Gesù Cristo si rendeva presente ».
Questa attenuazione eracontraddito ria, giacchè, mentre voleva che il
corpo fosse veramente dato
nell'Eucarestia, si avvicinava poi
all'interpretazione simbo lica dei sacramentari, in quanto non ammetteva che il corpo eucaristico fosse il proprio corpo di Gesù. Non si pote va in
così poche parole annunciare due
principii più contrari! Nonostante la
sua poca conseguenza questa confes sione fu il principio di una serie di transizioni fra i due partiti. Calvino ammette una presenza quasi miracolosa e divina; non cessa dal ripetere che il mistero dell Eucaristia supera i sensi,
PREVOST che èun'opera incomprensibile
della di vina potenza, e nel suo catechismo si
sforza di spiegare come sia possibile
ma lo vollero addrit tura infinito ». Già s'intende che questa infinità contiene una impossibi lità
implicita, imperocchè essa suppone nell'
ingegno umano una potenza di svolgimento
infinito. Or noi sappiamo bene che le
facoltà percettive del no stro intendimento sono limitate a un maggiore o minor numero di cognizio ni, e che
quando nuove idee vengono a imprimersi
nella nostra memoria, di mentichiamo una seriedi altre idee, sic chè le une
cancellano le altre, e non vi è nel
nostro intelletto aggiunzione di idee
nuove, ma semplice successione (V.
MEMORIA). Vié dunque un limite
intellettivo, oltre il quale l'uomo, così come è ora organizzato, non può spin gersi.
Anche la divisione di una mede sima scienza i vari rami coltivati dagli specialisti, già indica che un nomonon può approfondire le sue cognizioni, se non si dedica esclusivamenle a un de
terminato e ristretto numero di fatti.
Ma il pragresso infinito malpuò conte ciclopedia delle scienze, e
conoscere tutti i particolari dellastoria,
per quanto grande sia il numero dei
secoli che conta la vita del
mondo.Epoichè pro gresso infinito vale tempo infinito, cosa infinita, così bisognerà credere che
possa venire un tempo incuil'uomo
conoscerà tutti i fenomeni dell'
universo infinito, nel qualel'eternitànel
tempo e nello spazio non saranno più una
incognita per lui. Siffatta esagerazione
nonhabisogno di essere confutata. Il
mondo nè peg giora, nè progredisce infinitamente. II nostro miglioramento è semplicemente indefinito, vale a dire che se noi pos siamo
accertare il costante progresso
dellasocietà, manchiamo peròdi qualsiasi
dato per stabilire il punto in cui que stoprogresso dovrà arrestarsi.Sappiamo però che una legge di trasformazione è immanente in tutta la natura; che la specie nostra e la nostra vita non rap
presentano che un punto e un minuto
nella vita dell' universo; e che nati su
questa terra allorchè le condizioni di
calore furono propizie allo sviluppodella vita organica, noi cesseremo di esistere tostochè il successivo raffreddamento di essa più non permetterà agli attuali organismi di trovarsi nelle condizioni necessarie alla loro esistenza (v.
Mondo). Proposizione. La più
semplice forma logica con
laqualeesponiamo un giudizio. Ogni
proposizione, infatti, per semplice che
essa sia, contiene sempre un giudizio,
avvegnachè, ancor che sia ridotta ai
suoi minimi termini, essa e sprime sempre l'oggetto e l'attributo, e spesso la relazione tra l' uno e
l'altro. Quando io dico la forza è
eterna, il verbo é indica la relazione
che corre fra il soggetto forza e
l'attributo di eternità di cui è o la
suppongo dotata. Questa sarebbe una
proposizione affermativa perché il verbo
afferma l'attributo; sa rebbe negativa se lo negasse, come per esempio in quest' altra: l'anima non è immortale. Platone nel Sofista riduce a due
soli i segni vocali della proposizione:
> Morto Francesco I, il suo succes
sore restitul aRamus la libertà di par lare e di scrivere, e cred anche per
lui una nuova cattedra al Collegio di
Fran cia: ma la protezione reale non valse
ad impedire l'odio di quelli che mal
tolleravano i suoi tentativi di riforma in ciascuna delle arti liberali, dalla gram
matica alle matematiche. Qui vuol es sere ricordata la questione, divenuta famosa, dei quisquis e dei quanquam. I teologi della Sorbona pronunciavano quelle parole alla francese, e cioè come se fossero scritte Kiskis e Kankam: i lettori del re invece respingevano come barbarismo quel modo dipronuncia. Un beneficiario che aveva adottata la pro nuncia
di questi ultimi, fu perciò solo citato in
giudizio davanti al Parlamento di
Parigi, ed egli correva gran rischio di
pagare la sua grammaticale eresia colla
perdita del beneficio, se non lo
avessero caldamente difeso i professori
del Collegio di Francia e Ramus con
essi, i quali a gravissimo stento riesci rono a persuadere i giudici che
le re gole dell' ortoepia non erano soggette
alla loro giurisdizione. Giudichisi da
questo fatto quale fosse allora la forza
delle vecchie consuetudini, e del princi pio di autorità, e quanto
coraggio do vessepossedere chi in qualsiasi guisa vo lesse sfatare questo o
quelle.Pure Ramus non si lasciò spaventare da ostacoli di tale natura ; riprese le sue lezioni di 329 le
dottrine di Platone e di Aristotile
logica ad onta dei clamori e dei tumulti
con cui si tento ripetutamente di inter romperle; anzi adottò per testo
appunto quelle considerazioni sulla logica di Aristotile » per cui erasi scatenata su lui tanta tempesta. Nello stesso tempo osò pubblicamentesostenere(ed era al lora
esecranda eresia) che anche Cice rone e gli altri autori antichi avevano i loro difetti, e che « se furono ottimi in qualche cosa non erabuona ragione per adorarli in ginocchio e per procla marli
perfetti in tutto ». Avendo Ramus abbracciata
in quel l'epocala religione protestante,dapprima segretamente e pubblicamente dopo l'e ditto
di tolleranza del gennaio 1562, offri ai
numerosi nemici che si era procurati
colla sua audacia una poten tissima arma per perderlo. Egli divenne l' oggetto delle calunnie più odiose, e per due volte fu costretto ad abbando nare la
cattedra ed a correre la via dell'esiglio.
Finalmente, come già dissi, fu
barbaramente trucidato la sera della
strage di San Bartolomeo, dopo che a veva già convenuto e pagato ai suoi
as sassini il prezzo del suo riscatto.
Tra le sue opere ricordo le « dia lectuæ partitiones ad Academiam Pari
siensem, e gli arithmeticae libri tres ».
Rapin (Renato). Nacque in Tours
nel 1621; morìl in Parigi il 27 Ottobre
1687: entrò nel 1639 nella compagniadi
Gesù, dove fu destinato all'insegnamento. Scrisse molte opere filosofiche, nes suna
però di qualche merito. Come un
infecondo tentativo di filosofia teologica va ricordato il suo « confronto tra Pla tone
ed Aristotile coi giudizi dei padri
sulle loro dottrine. Con esso l'autore
si propose di dimostrare che fu irra gionevole il disprezzo ostentato da
De scartes per le tradizioni filosofiche che
erano in auge prima di lui, ed erroneo
ed incompleto il sistema da lui seguito
e le conseguenze che ne dedusse. Pre messa unasuperficiale esposizione
del (tra cui fa un confronto non meno su perficiale) come dei padri della
chiesa, Rapin giunge alla conclusione
che mal grado la loro ignoranza delle leggi fi siche tutti costoro furono
eccellenti filo sofi appunto per aver saputo meglio di Descartes apprezzare l'importanzadella metafisica e per averne riconosciuta la preminenza sopra le scienze fisiche. Del resto, anche non tenendoconto della va
cuitàdelle opere delRapin, i suoi stessi
fautori riconoscono non aver egli saputo
senonchè esporre conuna forma molto
infelice le idee su Platone di un cano nico di poca fama, di cui egli in
tal guisa non sarebbe stato che un impe
rito plagiario. Razionalismo. Così si
chiama quel sistema di filosofia il
quale pro fessa di non riconoscere altre verità che quelle dimostrate dalla ragione. Data questa definizione,che è la piùgenerale, si capisce facilmente che le credenze
dei Razionalisti possono essere tanto
diverse quanto sono diversi icervelli
degli uo mini. Se la ragione fosse eguale in tutti gli uomini, certo sarebbe unico anche il criterio dei razionalisti per
scoprire la verità; ma disgraziatamente
non è così; e poichè ogni uomo crede di
se guire i dettati della sua ragione, anche
quando non rettamente argomenta, da
questa varietà doveva necessariamente
derivare, come infatti n'è derivata, una
grandissima diversità nelle conclusioni
dei razionalisti, i quali vanno divisi in tante scuole, che a tutte nettamente determinare è ardua impresa. Dirò per tanto
di alcune di esse e delle più note. La
prima scuola,la quale interpreta il
razionalismo nel modo più ristretto e,
dirò anche in un senso affatto im proprio, è quella del razionalismo teo
logico. Questa scuola, per la maggior
parte compostadi veri teologi, professa
sibbene di accettare la ragione come
criterio di verità, ma riconosce poi che
ci sono dei veri i quali eccedono la ca pacitànaturaledell'umana
ragione, quali sono ad esempio i misteridella religione,❘ primitivo ha potuto colsolo aiuto della iquali non possono dimostrarsi, ma devono di necessità essere creduti per fede. Tutti di leggeri intendono che impropriamente cotesti tali presero il nomedi razionalisti, imperocchè dalmo mento
che l'uomo sottrae al giudizio della sua
ragione una opinione od un principio,
perde per ciò stesso il diritto di dirsi
razionalista; altrimenti bisogna rebbe che tal nome fosse dato a tutti gli uomini; inquantochè tutti inqualche cosa si sottomettono ai dettati della ragione.
Fra questi stessi teologi il nome di
razionalisti fu disputato; ma infine ge neralmente convennero di
applicare tale appellativo a quelli fra
di loro i quali si sforzano didimostrare
laverità della fede collaragione. Si sa
che ilmaggior numero conviene che molti
dommi te ologici sono superiori al nostro inten dimento, e che impresa vana è
il ten tarne la dimostrazione. Non pochi però
furono di contrario avviso, e appog giandosi al detto di S. Paolo « la cre
denza sia ragionevole » hanno concluso
che ognidommapuò edeve esserespie gatodallaragione, permezzodella
quale si sono accinti a dimostrare, a
parer loro razionalmente, le così dette
verità della fede. Non e a dirsi la
meschina figura che certi tali hanno
fatto in co tale improba intrapresa, giacchè, messi alle strette tra la fede e la ragione, nonhanno fatto questa giudice di quella, ina piuttosto un' umile ancella, i cui servigi sono stati assai poco apprezzati e ancor peggio rimunerati. Molti teologi hanno severamente biasimataquesta ten denzadi
introdurre laragione nelcampo dei
misteri; e non avevano torto, poichè la
ragione nulla possa in quelle cose che
la Chiesa stessa ex cattedra ha de finite superiori all'umano
intendimento. Appenapochi lustri or sono
eraviva in Francia la disputateologica
tra i ra zionalisti ed i tradizionalisti; i primi cercavano di dimostrare con esempi at tinti
alla natura e alla storia che l'uomo sua
ragione man mano sollevarsi dallo stato
selvaggio alla presente civiltà. So stenevano invece i tradizionalisti che senza il soccorso della tradizione, per la quale venne trasmessa la rivelazione fatta da Dio al primo uomo, non solo il genere umano sarebbe andato dege nerando,
ma non sarebbe mai riuscito neppure a crearsi un linguaggio. Era, per verità, da partedei teologi razionalisti, un'ardua impresa quella di sostenere arditamente la potenza civi lizzatrice
della ragione, e di opporla al potere
della rivelazione. Manon dimen tichiamo che quei singolari razionalisti nonsostenevano la ragione che per ado perarla
poi a beneficio della fede. Essi non
escludevano il sovranaturale, tut t'altro; partivano anzi da un principio poco diverso dalle idee archetipe di Pla
tone, pel quale sostenevano che l'intel letto nostro contiene in germe tutte
le verità così religiose come naturali;
che queste verità, dono gratuitodi Dio,
van no manmano svolgendosicol progresso
storico dell' umangenere. Tutte le loro
dispute si struggevano intorno aquesto
solo principio: la rivelazione è un fatto vero ma non necessario. Se Dio non avesse data la rivelazione, gli uomini col solo aiuto dei germi che Dio ha posti nell'intelletto umano, si
sarebbero innalzati alla civiltà,
avrebbero acqui stata la conoscenza di Dio e della sua legge morale.
Non si può negare che per dei filo sofi teologi questo era un passo
assai ardito. Ma stretti com' erano dai
vincoli della fede, alla quale non
potevano sot trarsi, come avrebbero potuto non mal trattare la logica a
beneficio della re ligione? Perciò vittoriosamente oppo nevano i loro avversari
che laragione umana essendo limitata,
non potrebbe da se solaelevarsi fino
alla chiara idea diDio. Quindi
conchiudevano con l'ar gomento di S. Tomaso (Contr. Gen. c.4) che tre inconvenienti sarebbero venuti ove Dio avesse abbandonato alle ricer
RAZIONALISMO che di ciascun uomo l'opera
di for marsi le nozioni riguardanti Dio, la cre azione, la legge morale e la
vita avve nire. E cioè: 1.º che pochi uomini ar riverebbero fino alla cognizione
di Dio, essendo il maggior numero
impedito o da inettitudine o da estranee
occupa zioni, o dall' inerzia; 2.º che anche que sti pochi i quali hanno capacità, tempo e volontà, a stento vi potrebbero per venire
dopo anni assai, e ad età inol trata; 3.º che essendo limitata laragione e soggetta ad errare, non potrebbero quindi avere mai la piena e formale sulle
forme del culto, divien scettico sui
dommi fondamentali della vita av venire; non afferma nè nega, ma s'a stiene,
come il positivismo. Ciò, pertan to, che fudetto perl'uno valeanche per l'altro. Dirò ancora che, a parer mio, questa astensione non èmolto ragione vole,
poichè in tutte le cose l'uomo certezza
di avere colto nel vero. I razionalisti
teologi sono molti dif fusi inGermania dove, per razionalismo, non s'intende già una filosofia
incredula, ma una filosofia, la quale,
benchè sia contraria ai dommi della
religione, è pur sempre sottomessa ai
dommi fonda mentali dell' esistenza di Dio, della spi ritualità e dell'
immortalità dell'anima. Ai nostri giorni
nell' Italia e nella Francia è sorto il
razionalismo filosofico, il quale, assai
più ardito del suo confra tello, ha scosso tutti i dommidella fede pronunzia il suo giudizio seguendo le regole della probabilità. Nel Fedone, parlando Socrate della immortalità del
l'anima, dice: « lachiara cognizione di
tali cose in questa vita è impossibile,
od almenodifficilissima ... Il savio deve dunque tenersi a ciò che sembra più probabile quando non abbia dei lumi più sicuri, o una rivelazione che lo gui di
». Or i razionalisti questa rivelazione
non l'hanno, nè ammettono per vere
quelle a cui credono gli altri uomini;
perchè dunque non si atterranno al co mun modo di determinarsi nei
casi dubbi? Dicono che questequestioni
ec cedono lacapacitànostra e che i motivi
addotti pro e contro non hanno alcun
valore. Ragione di più anzi per deter mivarci alla negazione, perciocchè
se alcuno ci venisse innanzi affermando
l'e equelli ancora della filosofia spiritua lista. Questo razionalismo,
proclamando l' assoluta indipendenzadella
ragione, e la sua esclusiva competenza a
scoprire ❘ prensibili, certo non si
pretenderebbe cheda noi si adducessero
argomenti sistenza dicosa impossibilee
pretendesse dimostrarcela con argomenti
incom il vero, nega recisamente ogni culto e sterno ed eziandio ogni religione.
Si arresta, per altro, dinanzi ai dommi
fon damentali dell'esistenza di Dio e dell'a nima immortale, non giá perché
esso li ammetta siccome veri; ma perchè
li di chiara impossibili a concepirsi e a di mostrarsi col nostro intendimento.
Par rebbe ovvio che dopo taldichiarazione
il razionalismo dovesse negarli; pure
non è così, giacchè esso aggiunge inol tre, che come quei dommi non
possono concepirsi nè dimostrarsi, così
neppure possono confutarsi e negarsi;
che tanto le prove affermative quanto
lenegative non hanno valore quando si
applicano ad argomenti che eccedono i
limiti del l'umana ragione. Mentre adunque il
positivi per negarla. Finchè una cosa
non sia dimostrata, per noi non esiste
ancora, e per negare ciò che non esiste
occorrono forse argomenti positivi? Ma
dimostrato non è ciò che si ammette
eccedere i limiti delnostro intendimento, perciocchè la dimostrazione vuol essere compresa, o non è dimostrazione. Se non è dimostrazione, dunque la cosa rimane indimostrata; e se la dimostra zione
non è conpresa, dunque la cosa non resta
nè compresa ne dimostrata, come non lo
sono tutti i sogni della nostra
immaginazione, ad annullare i quali
bastala semplice attestazione dei
sensi. L' astensione del
razionalismo sui razionalismo filosofico
è affatto incredulo | dommi fondamentali della religione non può
dunquefondarsi, come si pretende, sulla
incompetenza della ragione. Un certo
ritegno, consigliato piuttosto dalla
opportunità, per non spingerela nega zione a tutta oltranza e per non
cre arsi troppi nemici, è il vero motivo di
questa astensione. Ma molti hanno già
superato anche le ultime barriere e
spingono il razionalismo filosofico alle
sue ultime conseguenze, quali quelle di
emancipare la ragione umana da ogni
incomprensibile sovranaturale e di ren derla suprema giudicatrice d'
ogni con troversia. Razza, Specie. I
naturalisti divi dono gli esseri vivi che popolano il mon do in vari generi,
ogni genere sidivide in varie specie, e
le specie in razze. La specie dunque
comprende la razza; e se si ammette che
le razze comprese in una medesima specie
derivano tutte da un'unica fonte, non
così sono tutti disposti ad ammettere
che le specie possono essere derivate le
une dalle altre. Darwin è stato uno fra
i primi che hanno dimostrata la
trasformozionedelle specie e il loro
possibile passaggio dal l'una in altra (v. DARWINISMO ). Rima ne tuttavia il
dubbio sul valore delle varie razze
umane, rimane, cioè, a co noscersi se le varietà che si notano nel fisico umano, derivano dalladegradazio ne o
dal miglioramento di individui e guali, oppure se queste varietà sussi stettero
in ogni tempoe fin dall'origine dei vari
tipi, i quali sarebbero perciò distinti
con caratteri specifici e costi tuirebbero altrettante specie. Già fin dal secolo scorso i naturalisti erano discordi intorno a questo punto. Buffon ammetteva una sola specieuma na,
fondandosi sul fatto che da un clima
all' altro le singole razze di uomini sono insieme collegate; che a lungo andare ogni uomo risente la influenza del
clima, che una medesima latitudine,
allorchè contiene climi diversi,
presenta pure razze differenti;
finalmente che le varie razze d'uomini
possono associarsi vicen devolmente e generare individui fecondi. Quest'ultimo carattere fu però negato da molti naturalisti, specialmente dopo le infeconde unioni sperimentate sui negri d' Affrica trasportati in America (V. DARWINISMO ). D'altra parte si è pure giustamente obbiettato che la fe condità
delle unioni fra individui di differente
razza non proverebbe che essi
appartengono alla medesima specie,poi chè, come osserva il prof. Adelon,
è certo che molti animali di specie evi
dentemente diversapossono accoppiarsi e
procreare individui fecondi. A molti
parve poi impossibile di attribuire al l'influenza del clima le
differenze che si riscontrano fra le
varie razze umane. Nella storia
naturale, dicono essi, le specie si
fondano sopra diversità im portanti, dipendenti dall' organizzazione primitiva, le quali resistendo ad ogni esterna influenza, si trasmettono immu tabili
attraverso alle generazioni. Essi dicono
che le differenze che si notano fra le
razze umane in certi casi hanno questo
carattere specifico. Si incontrano
uomini neri vicino ai poli e uomini
bianchi sotto ai tropici; gli uni e gli
altri si mantengono tali in climi opposti quando non si uniscono con altre razze; ed in tal modo ibianchi rimangono bianchi sotto ai tropici ed imori
restano mori nella terra di Diemen,
paese fred do, come pure nell' America settentrio nale. Quante nazioni
conservano il pri mitivo loro tipo a malgrado dei secoli e dei climi, quando non contraggono estranee alleanze, come, per esempio, la nazione ebrea! D'altronde il moro non ha mica la sola pelle nera; sono pure neri ilsuo sangue, i suoi organi interni, e se pretendesi che la prima sia stata annerita dal calore del clima si vorrà forse che egualmente abbia anneriti gli altri? D'altronde non fu forse osservato avere il negro un pidocchio particolare ad esso, e diverso da quello che
affligge la razza bianca? Intorno a questo argomento così si spiega il Dott. Bertillon in un notevole scritto sull' antropologia: «Uno dei criteri
di coloro che sogliono attenersi al ❘ di
principio per sviluppare la confusa.
gruppo specifico è l'origine. Sono di chiarati della stessa specie
coloro che sortono dalla medesima
coppia. Compre sa in questa generalità la tesi è incon testabile, perchè si
suppone che la discen denza è unfatto osservato, maquando la comunanza d'origine non è stata scien
tificamente accertata, e in conseguenza
tutte le volte che essa risale a tempi
lontanissimi, come nel caso dell' uomo,
bisogna relegare questo preteso criterio
fra le più detestabili inspirazioni di cui i miti religiosi hanno infettate le
fonti della scienza. Quand' anche gli
uomini non fossero che delle scimmie
antropo morfe perfezionate da una lunga selezio ne, non costituirebbero perciò
meno un gruppo generico ben distinto; e
se an che gli astronomi, che oggi ci mostrano
l'esistenza del ferro, del rame, dell'i drogeno ecc. nelsole,
riuscissero a farci vedere degli uomini
nel pianeta Marte, Od altrimenti, il
raziociniosi fa quando, con dei principii
luminosi ben applicati alle cose oscure
e ignote, si dimostra quel che era
occulto. Raynal ( Tommaso Guglielmo ) nato a Saint-Genis il 12 Aprile 1713, morto a Chaillot il 6 Maggio 1796. Fudapprima ascritto alla compagnia dei Gesuiti, mase ne allontand ben pre sto e,
recatosi a Parigi, vi abbandonò
apertamente il sacerdozio. Alcuni
lavori di diversa natura, sto rici in gran parte, incominciarono ad acquistargli rinomanza, e lo fecero ac
cettare quale uno dei redattori del Mer curio. Avendo poi stretta amicizia
con Holbach ed Helvetius difese con ar
dire e convinzione i principi da essi
professati. Ebbe fama luminosaper
lasua ope ra maggiore intitolata « storiafilosofica e politica degli stabilimenti e del com
mercio degli Europei nelle due Indie ».
qualunque fosse la loro eguaglianza or ganica con noi,dovrebbero forse
costi-❘ Con quel libro Raynal tradusse in
atto tuire una specie aparte, sotto
pretesto che non discendono dagli stessi
ante un concetto di difficile esecuzione e va nati ? Il solo proporsi queste
questioni vale risolverle. La formazione
dei gruppi specifici deve riposare, o
sulla fecondità scientificamente
accertata e duratura fra gli individui
che li compongono, oppure sul complesso
dei rapporti di rassomi glianza e d'intimità i quali possano condurci ad ammettere come attualmen te
possibile la riproduzione durevole dello
stesso tipo ». Con ciò si conclude che
se in nessuna scienza si possono fare
delle divisioni assolute, meno poi
èlecito farle nella storia naturale, nella quale queste divisioni sono affatto con
venzionali enon meritano proprio, come
ben dice il dott. Bertillon, le lunghe
discussioni che hanno generato.
Raziocinio. L'atto del commet tere insieme giudizi per induzione o per dimostrazione. Il raziocinio, diceRo
magnosi, discorso,argomento, prova, non
è che lo sviluppo di una idea chiaro confusa, nellaquale laparte chiara
serve stissimo, quale era quello
diriunire in un quadro metodico e ben
fattola sto ria di tutte le imprese degli Europei nell' India e nel nuovo mondo. Come egli sia riescito in questa impresa si ardua, lo mostra la splendida celebrità che al suo primo apparire l'opera gua dagnava
all'autore. Della Storia filoso fica, furono fatte nella sola Francia
venti edizioni, e più che cinquanta
altrove. E fu un successo ben meritato,
perchè se in qualche punto si sarebbe
potuto usare una critica storica più
severa, tale menda però scompare di
fronte ai pre valenti pregi reali dell'opera, nella quale l'autore, alla esatta esposizione dei
fatti, seppe accoppiare profondi
insegnamenti, ed interessantissime
considerazioni, qua li sono quelle sulla tratta deinegri, e sul la libertà del
commercio, cherimangono adimostrare il
suo profondo affetto per l'umanità, e
per il civile progresso. L'opera, per la
sua indole storica, più che filosofica,
mal si prestava ad una completa ed ordinata esposizione di dot trine. Tuttavia
Raynal non lascid sfug gire occasione veruna per battere in breccia l'assolutismo e lasuperstizione, eper ridurre al loro giusto valore le teorie dell'assoluto. Così egli rifiuta ogni fede all'esi stenza di
Dio, ed anzichè supporre un ordine
morale eguale in ogni tempo ed in ogni
luogo ed indipendente dalla diversità
dei fatti e delle forme sociali,
dimostra essere la morale una creazione
e della società, diversa nei
diversi tempi nei diversi luoghi, ed
intieramente subordinata ai climi, alle
consuetudini, ed alle forme di
governo. e «la storia del Parlamento
d'Inghilterra». Realismo. Vedi
NOMINALISMO. Redenzione. Nell' antico
Testa mento redentore è detto chi redimeva
od aveva diritto di redimere l'eredità
venduta da alcuno dei suoiparenti, o il
parente stesso, dalla schiavitù, e chi ri scattava una vittima destinata
al sacri ficio. Redentore del sangue era colui
che aveva diritto di vendicare l'uccisione di qualche suo parente, ammazzando l'uccisore.
Nel nuovo Testamento Gesù è detto
il Redentore, colui che diede la sua
vita per la redenzione degli uomini
(Matt. XX, 12). Ivi s' insegna che noi
resero molti onori. RELAZIONE, RELATIVO
siamo stati riscattati a gran prezzo (I
Cor. VI, 20), che il nostro riscatto
non fu fatto a prezzo d'argento,macol
335 uomini ed a concedere loro la
vita e sangue dell' agnello immacolato, il quale è Gesù Cristo. (I Piet. I, 11). Gli scrit
terna. La quale opinione, che fadi Gesù
Cristoil nostro redentore per in tercessione e non per soddisfazione, è avversata dalla maggior parte dei cri tori
sacri partendo dal concetto del| stiani, i quali siconfortanocolleparole peccato originale, giungevano fino a supporre che tutti gli uomini fossero dannati e fatti preda del demonio, e che Gesù solamente col versare il suo cato e la nostra liberazione. Conviene di Gesù: « Questo è il sangue mio del nuovo testamento, il quale sarà sparso per molti in remissione dei peccati ». Essi dicono ancora chenell'anticalegge la redenzione o il riscatto dei primo sangue,
offrendolo in olocausto al Pa drè suo, ottenne laremissione del pec-❘ geniti consisteva nel pagare il
prezzo per ricuperarli; la redenzione
dunque del genere umano consistere
nell'avere ricordare che sotto l'anticalegge
il sa Gesù pagato il prezzo per salvare gli
uomini colpevoli e degui della morte
eterna. Ma fu risposto che se quello di
Gesù Cristo fosse stato un riscatto ve crificio costituiva il fondamento
di tutto il culto. Il popolo d'Israele,
simile in questo a tutto il paganesimo,
non im petrava la clemenza di Dio in altro
modo che coll' offrirgli de' sacrifizi. I migliori animali e i più immacolati e rano
immolati sull'altare della divinità, e
su quella vittima innocente ciascuno
scagliava la sua maledizione come per
rovesciare su di lei le colpe di tutti.
Ammesso dunque il peccato originale,
ai primi cristiani doveva parer cosagiu- muoia per alcuni colpevoli, nè
offrendo sta che il sangue di unuomo
fosse dato come corrispettivo del
riscatto di tutta ro, egli avrebbe
dovutopagarne il prezzo al demonio da
cui li riscattava, e che questa idea era
troppo orribile per es ser vera. D'altra parte fu detto che la redenzione per soddisfazione, sarebbe contraria alla giustizia divina, non es sendo
giusto che un innocente patisca e
l'umanità. Ai sociniani però non
parve conve nevole per la divinità ch'ella vendesse, fosse pure a prezzo di sangue, la re denzione
degli uomini; laonde cercarono di
mitigare quanto ha in se stesso di
brutale questo domma, insegnando che,
non già per lamortedi Gesù,Dio aveva
perdonato agli uomini, ma per le sue.
preghiere. Quanto ai pelagiani che ne gavano la propagazione delpeccato
ori ginale, dovevano necessariamente inten dere la redenzione in un senso simbo
lico. Dissero perciò che Gesù è reden tore degli uomini perchè li ha
istruiti con laparola e con l'esempio,
riscat tandoli dalle tenebre dell' ignoranza, e
ponendoli in condizione di acquistarsi
il cielo. Anche Le Clerc nella sua Sto ria Ecclesiastica si avvicina a
questa dottrina, dicendo che Gesù pregò
il questa sostituzione soddisfazione
alcuna pel delitto. Che, infine, sarebbe
stata cosa più degna della bontà
infinita il perdonare senz' altro a rei
pentiti che l'esigere una rigorosa
soddisfazione. Aqueste ed altre
obbiezioni, i cre denti nella soddisfazione hanno risposto essere una veratemeritàil crederedi sa pere
meglio di Dio ciò checonvenisse ad una
bontà infinita. In questa maniera
eludendo la domandaconvennero che il
domma della redenzione non è spiega bile dalla ragione umana, e che
costi tuisce perciò un mistero imperscruta bile. V. GESÙ, CRISTO, MESSIA,
INCARNA ZIONE. Relazione, relativo.L'atto
col quale l'intelletto consideradue cose
di verse, ideali o reali, per indurne conse guenze sulla loro
convenienzaosconve nienza si chiama paragone; le conse guenze indotte le quali
indicano ciòche una cosa è rispetto
all'altra, sono la Padre suo a perdonare
i falli degli | relazione . Le relazioni che le cose hanno fra di loro sono
innumerevoli, e la loro conoscenza
costituisce il nerbo delle nostre
cognizioni. Sono cose o ideerelative
quelle che hanno dipendenza da altre
cose o idee. L'effetto è relativo alla
causa da cui dipende; il colore è
relativo al corpo in cui si manifesta od
all'organo da cui è percepito. Adoperasi
perciò nella filoso fia la voce relativo per indicare uno stato o una condizione differente dal
l'assoluto. Ogni nostra idea è relativa a
noi,manon è assoluta; il concetto che
io mi formo del suono, deicolori, della
luce, è affatto relativo al mio modo di
percepirli; ma chi sa in quale altra
maniera sono percepiti da altri esseri ?
e chi sa che cosa questi fenomeni sono
in realtà? Di cose assolute non può e sisterne che una, ed è la
sostanza, la quale essendo indipendente
da ogni al tro essere, ed unica, non ha relazione conaltre cose, poichè tutte le cose sono parte di essa . Tolta questa unica eduniversale sostanza, tutti i feno meni
percepiti sono relativi o al no stro modo di percepirli, o alla causa d'onde emanano, o alle condizioni di e
sistenza che essi trovano. Tutte le idee
che noi abbiamo sono relative. Invano
noi cerchiamo di avere la nozione
assoluta delle cose; tutto ciò che noi
impariamo, lo impariamo in grazia dei
nostri sensi e perciò la ve rità di tutte le nostre cognizioni è pu ramente
relativa a questi sensi. (v. PIR RONISMO).
Religione. Sentimento dell'animo
verso Dio, il quale non deve confon dersi con gli atti di divozione,
che costituiscono più propriamente il
culto. Vi sono alcuni chehannouna
religione enon uncultoesterno; ma
l'elevazione della mente verso Dio è in
ogni caso carattere essenziale della
religione. Han no torto quegli increduli i quali affet tano di professare la «
religione della scienza » la « religione
dell'umanità >> ola « religione
del vero ». Queste ed aitre tali
espressioni o non esprimono giustamente
il loro pensiero, oppure non servono che
ad occultare la loro incredulità. Si
possono professare delle opinioni filosofiche
intorno alla scienza o all'umanità; ma
acostituire una reli gione, ossia un sentimento di relazione fra l'uomo e un supposto essere sovra
naturale, non bastano leideepuramente
relative a cose naturali. Questo
per ciò che riguarda la de finizione. Se poi si'considera la reli gione nella
sua essenza, si vede che quel il quale
si suppone innato in tutti gli uomini,
non è altro che l' espressione di quel l'occulto timore che l'uomo prova
din nanzi agli agenti naturali più potenti
di lui. Feuerbachha detto giustamente
che il sentimento di dipendenza è la
sorgente di tutte le religioni; or il
primo motivo di questa dipendenza de riva dalla natura, e perciò essa è
stata l'oggetto del primo culto. « I
filosofi speculativi rai hanno
canzonato, scri veva Feuerbach, perchè ioho detto che il sentimento di dipendenza è la sor gente
del sentimento religioso, defini zione che parve a loro faceta, dopo che Hegel disse a Schleiemacher, che se il sentimento di dipendenza è la sorgente della religione, il canedovrebbe averne una; avvegnachè esso si sente sotto la dipendenza del suo padrone ». AFeuerbach parve così poco seria ' obbiezione di Hegel, che dopo averla accennata non credette di spendere parole per confutarla. D'altronde gli sarebbe stato facile il dimostrare che, se il cane, col suo corto raziocinio, sentisse il bisogno di credere in un es- sere
superiore, certo l'uomo sarebbe it' suo
Dio, con la differenza che esso ha pel
suo padrone un' affezione assai più vera
di quella che l'uomoprova per la
Divinità. ; ma ai filosofi moderni, siffatta credenza
par troppo ridicola. Ben altrimenti che
tor nare in polvere, il corpo umano per la
massima parte si volatizza in gaz, i gaz
sono assorbiti dalle piante, le piante si trasformano in frutti, i frutti sono man
giati dall'uomo e si assimilano alla sua
carne (v. MORTE). Questo esempio rac chiude così all' ingrosso tutto il
con cetto della trasformazione della mate ria; ma uno studio accurato della spe
cialità dimostra, che sì nell' uno che
nell' altro modo, per un circolo di tra sformazione più o meno lungo, la
ma teria torna quasi sempre al punto di
partenza e compie una rotazione non
dissimile da quella che subisce l'acqua
nei suoi fenomeni apparenti: svapora,
cioé, dal mare, si trasforma in nube,
quindi si condensa in acqua o neve,
penetra nei fianchi dei monti, scaturi sce in sorgenti e quindi le
sorgenti fanno i ruscelli, i torrenti, i
fiumi, che finalmente ritornano al mare.
Così del pari la materia di che è
composto il nostro corpo, sarà a poco a
poco assi milata da altri corpi; formerà vegetali, animali e uomini, di guisa che, in ulti ma
analisi, può dirsi con matematica
esattezza, che tutti gli uomini son fatti dall'istessa sostanza. Ora se la materia di che é composto ilmio corpo è quella stessa che formò il corpo di altri uo mini
che vissero prima di me, avremo un corpo
solo ognidieci, ogni cinquanta ocento
uomini, di guisa che molti sa ranno impossibilitati a risorgere. Lo statuario che modellando la sua creta forma una figura, e cessato il bisogno l'infrange per formare con essa nuovi modelli, potrebb'egli mai coll' istessa creta pretendere di ricostruire tutti i modelli che con essa egli ha prodotti? S. Paolo così rispondea questa diffi tempi
gli opponevano i Corinti: « Ma, dirà
alcuno, come risuscitano i morti e con
qual corpo verranno? Pazzo che sei !
Quel che tu semininon èvivificato, se
prima non muore. Tu non semini it corpo
che deve nascere,maun granello ignudo;
ed aciascunseme Iddiodà il suo proprio
corpo. Non ognicarne è la stessa carne,
anzi altra è la carne degli uo mini, altra quella delle bestie. Vi sono ancora dei corpi celesti e dei corpi ter
restri, ma altra è la gloria dei celesti,
altra quella dei terrestri. Cosi ancora
sará la risurrezione dei morti: il corpo
è seminato in corruzione e risusciterà
incorruttibile Egli è seminato in diso nore e risusciterà in gloria:
egli è se minato in debolezza, e risusciterà in
forza: egli è seminato corpo animale e
risusciterà corpo spirituale. (Cor.). Certo, qui San Paolo non spiega l' impossibilità fisica di
formare due o più corpi con lamedesima
mate ria contemporaneamente. Il corpo dei
risorti dev'essere spirituale; e intendasi pure che in queitempi neiquali lo spi
ritualismo moderno non eranato, con la
voce spirituale intendesse di indicare
una sostanza più leggera della materia
(v. ANIMA), una sostanza incorruttibile,
cioè non soggetta a trasformarsi Sarà
pur sempre vero che, secondo S. Paolo,
non saranno già i nostri propri corpi
che dovranno risorgere, ma altri corpi
fatti di una sostanza diversa. Perchè
non è piaciuto ai teologi di restar fe deli a questo insegnamento ?
Volendo lusingare la vanità dei vulgari
essi hanno forse capito che se il
domma della risurrezione giovava al
cristiane simo, ciò era apatto che il nostro pro prio corpo fosse chiamato alla
risurre zione; cioè quel corpo al quale siamo
tanto attaccati, e che costituisce per
noi tutta la nostra personalità. Perciò
amolti teologi èpiaciuto di sbizzarrirsi
descrivendo le condizioni della nostra
risurrezione.A sentirli, tutti i corpi do vranno essere perfetti; quindi
gli storpi si raddrizzeranno, i ciechi avranno la vista e i sordi l'udito; i grassi diver ranno
un po'magri e i magri ingrasse ranno; i vecchi dovranno diventar gio vani e
igiovani dovranno farsi adulti, in
modoche tutti abbiano la perfetta età di
33 anni. Non hanno detto però se per
amore di questa tanto invidiabile ugua glianza e di questa sublime
perfezione, le vergini dovranno cessare
di essere tali, o se le donne maritate
dovranno tornare vergini. Quest'ultima
opinione è però assai più probabile,
attesochèGesù Cristo, rispondendo ad una
interpellanza chegliavevanofatta
iSadducei, dichiarò che quando gli
uomini saranno risu scitati dai morti, non prenderanno nè daranno mogli, ma faranno come gli angeli che son ne'cieli » (Marco XII, 25). Quindi gli uomini avranno la bocca ma nonmangeranno; il ventricolo ma non digeriranno; gli organidellagene razione
ma nongenereranno. In termini assoluti
si può dunque dire, che tutti questi
organi saranno superflui : or è molto
dubbio che le cose superflue sian perfette.
Perciò, guidati da questa ob biezione, molti teologi supposero che nella risurrezione non si farà più di
stinzione di sesso. Questa opinione ha
fondamento in un passo dell' Evangelo
apocrifo degli Egiziani, nel quale si
leggevano queste parole: « Il Signore
fu interrogato daSalome quando verreb be il suo regno? Ed egli disse:
quando voi calcherete sotto i piedi gli
abiti della vostra nudità, quando due
saranno una, e ciò che è di fuori sarà
come cid che è di dentro e non vi sarà
più nè maschio nè femmina » .
Giustamente osservò BianchiGiovini,che
con questa anfibologia pare si voglia
dire, che la trasformazione del mondo presente
deb ba produrre anche una trasformazione
dell'essere umano, il quale sarà vestito
di un corpo diafano, liscio, senza sesso, senza membri o visceri, di cui non vi sarà più bisogno; come non vi sarà bi sogno
di vestimenta essendo cessati i riguardi
del pudore e le esigenze delle stagioni.
In tutti i casi le prime fonti cristiane
insegnerebbero che la risurre zione si farà con corpi diversi dai no stri, e se
i teologi vi avessero attinto fedelmente
e senza esagerazioni, avreb bero almeno evitata la impossibilità fi sica di cui
si è parlato. Rivelazione. Nelsenso dei
dom matici è l'atto col quale Dio ha inse gnato agli uomini, a viva voce, o
per mezzo dei suoi inviati, lecosì dette
ve rità della religione. Tutte le religioni
positive ammettono una rivelazione fatta
daDioall'uomo,siadirettamente all'atte
della creazione, sia indirettamente col
mezzo di mandatari che consegnarono le
regole della religionenei codici sacri, i quali perciò si considerano dai credenti come inspiratidalla divinità. I
principali libri sacri sono: i Veddas,
il CodicediMa nou e i Purana degli Indiani; il Zend Avesta dei Persiani;
laBibbia degli ebrei (V. BIBBIA) l'Edda
degli Scandinavi e il Korano dei
mussulmani.IGreci ediRo mani avevano ingrande venerazione al cuni scritti dei
poeti, tali che Omero ed Esiodo, certe
raccolte degli oracoli ed i libri
Sibillini, evidentemente apocrifi.
Allora la poesia dettava le sue leggi ai
popoli, dei quali i poeti erano i natu rali legislatori. Nei primordi
della ci viltà gli uomini non ebbero altra re gola di condotta all'infuori di
questa : ecoloro fra essi che per il
loro inge gno, per il coraggio o per l'entusiasmo si distinsero dagli altri, furono creduti inspirati dagli enti superiori. L' uomo aveva vicino i suoi Dei, e tutti i
giorni ne udiva la voce, iconsigli e
icomandi in tutti i fenomeni della
natura, nei tuoni e nei lampi, nel volo
degli uc celli, nelle interiora degli animali, nei vapori delle caverne, nel canto dei poe ti, e
perfino negli incoerenti propositi dei
pazzi (v. ORACOLI). Chi per le doti del
suo ingegno si sentiva chiamato a
dirigere i destini della società, si cre deva o fingeva di credersi
inspirato da Dio; dettava le sue leggi,
e i suoi scritti andavano bene spesso ad
aumen RIVELAZIONE tare il codice dei
libri sacri. Il sorgere di un profeta,
di un rivelatore era cosa assai comune
tra gli orientali; come tra i Greci ed i
Romani comunissima era la scoperta di
nuovi oracoli. Dio parlava all'umanità
in tutte le guise, sotto tutte le forme.
Dal serpente del l'Eden che predice all'
uomo la reden zione, dall'asino di Balaam all'umile fa legname di Nazareth, la
storia degli ebrei non è che una
continua succes 1 353 serie dei profeti. Pietro de Bruys, Eon della Stella, Epifane, gl'Illuminati, i Ca
misardi, i Giansenisti, e gli Svedenbor gisti, ci provano quanto in ogni
tempo sia stato facile il farsi credere
in comu nicazione con la divinità. Ancora ai
giorni nostri la rivelazione non è ces sata. Brigham Young non ha egli
pro nunciati i suoi oracoli fra i mormoni?
e tutti i giorni i medium spiritisti non
rivelano ai credenti le cose dell' al sione di profeti e di entusiasti,
del mag gior numero dei quali la tradizione
forse ci ha taciuto il nome. Così divul gata era allora la credenza
della par tecipazione degli Dei nei consigli uma ni, che molti filosofi non la
posero in dubbio, e quando pure dubitarono
di questo o quell'oracolo, non
dubitarono di tutti. Pittagora si diceva
egli stesso in comunicazione colla
divinità. Platone nel quarto libro delle
leggi insegnava doversi ricorrere a
qualche Nume, o at tendere dal cielo una guida, un mae stro che ci istruisca.
Nel Fedone par lando Socrate dell'immortalità dell'ani ma diceva, dovere il
sapiente tenersi al probabile, quando
non ha dei lumi più sicuri, o la parola
di Dio stesso che gli serva di guida.
Tutta la scuola pitta gorica e neoplatonica, come quella di tutti i mistici ha professato lacredenza nella facile comunicazione con ladi
vinità. Il gran numero degli evangeli apo
crifici ( v. APOCRIFI ) dimostra quanto
fosse facile il compilare dei libri rive lati anche nei primi secoli del
cristia nesimo. Solamente dopo che la Chiesa
ebbe stabilito il suo poteree fu custode
gelosa della sua autorità, tacque la
voce dei profeti,e gli oracoli con leggi
violenti furono costretti al silenzio. Ma non cessò per questo il popolo di con sultare
i suoi genii; e nel medio evoebbe per
profeti le streghe e gli stregoni e il
demonio per rivelatore. Di tempo in
tempo sorgevano nuovi inspirati, iquali,
sempre condannati dalla Chiesa, ma sem pre creduti dalle
turbe,continuarono la tro mondo? (V.
MORMONISMO E SPIRI TISMO). I deisti, i
quali non ammettono reli gione positiva, negano che vi sia stata una vera rivelazione, poichè a quanto dicono, l'uomo non ha che a seguire i dettami dellasua ragione e il lume della sua coscienza per conformarsi alle leggi divine. Una rivelazione, continuano
essi, fatta ad un popolo o ad una
schiatta, sarebbe ingiusta, poichè essa
conter rebbe delle regole di condotta che sa rebbero ignorate dai popoli ai
quali la rivelazione non venne
data. Se ciò fosse vero, rispondono i
cat tolici, bisognerebbe conchiudere essere
interdetto il porgere agli uomini istru zione ed educazione di sorta; un
im pertinente essere stato qualunque filosofo
tentò farsi maestro ai propri simili, ed
insegnare a pochi uominiquello ch'egli
era in dovere di insegnare all'universo
intero. Ma questa risposta non giova
proprio ai cattolici, i quali sanno pure
che Dio non è un filosofo, la cui azione
è limitata necessariamente al ristretto
numero di coloro che aspettano i suoi
insegnamenti. Ma se il filosofo non può
istruire tutti gli uomini, Dio poteva
farlo, nè ciò gli sarebbe costata mag giore fatica di quellacheglisia
costata l'istruzione di pochi
eletti. Una religione rivelata,dicono
ancora i deisti, non può essere
destinata da Dio a tutti gli uomini,
poichè non ve n'è alcuna che abbia tali
prove, che comprendere si possano da
ogni uomo; altrimenti Dio esigerebbe
l'impossibile ; quanto poi alla
rivelazione cristiana in particolare, non si può dire che essa eccelle in perfezione, imperocchè errori di fisica, di astronomia, di morale e per
fino di cronologia si trovano nei libri
nei quali questa pretesa rivelazione è
stata consegnata (V. BIBBIA).
Robinet ( Giovanni-Battista-Re nato) nacque a Rennes nel 1735, morì il 24 febbraio 1820. ed il riposo e la sicurezza di cui cia scuno
gode. E la compensazione deriva da ciò,
che immutabili sono soltanto Dio ed il
nulla: l'essere finito cambia ad ogni
istante ma nonpossiede senon chè laminima parte possibile di esi stenza, così
che in ogni istante perde altrettanta
esistenza, quanto ne riceve : e siccome
esistere è il bene e non esi Entrò nella società dei Gesuiti, ma stere il male,
ecco stabilitaper sè stessa si stancò
ben presto di un genere di la compensazione. La quale è inoltre vita pel quale non era inclinato. Usci
manifestata da tutti i grandi fenomeni
quindi da quel sodalizio per dedicarsi della natura come da quelli
dell'ordine interamente alla filosofia.
Stampò in sociale: la nutrizione non può ristorare Olanda (dove recavasi a questo scopo) senza
distruggere, l'attività distrugge il suo
libro della Natura, la cui pub- quanto produce, la sensibilità accoppia blicazione non sarebbe stata permessa al
piacere la pena; ogni stato ha le sue in
Francia dall' autorità. L'opera fece gioie e le sue miserie, ogni condizione tanto rumore che fu attribuita agli i suoi
vantaggi ed i suoi inconvenienti.
scrittori più celebri dell' epoca, quali Ma gli esseri, oltre avere la
stessa som Helvetius, Diderot, Voltaire, ma Robinet ma di beni e di mali, hanno
anche la non tardo a rivendicare in
termini fermi stessa origine. Tutti sono varietà del emodesti la paternità come la respon- tipo
animale, hanno organi con cui ri sabilità del lavoro. Se però il suo nome
prodursi, ed i minerali e gli astri sono
fu più conosciuto, non migliorò per que- soggetti alle leggi della
generazione, sto la sua condizione
economica, tanto come gli animali e le piante. Ora legge che fu costretto a mettersi agli stipendi
universale della natura animale è l'i de'librai, ed a tradurre dall'inglese per
stinto: l' istinto è adunque la Legge su
essi de' romanzi. Ritornò in cui si fondano la società, i costumi e Parigi, e qualunque fosse stata l'impres- la
legge della specie umana; la stessa
sione prodotta dal suo libro, la mede- | morale non è che un istinto più
per sima era già così cancellata, che l'au tore fu nominato censore reale e con
servò l'impiego fino al momento in cui
quella carica fu soppressa. Robinet du rante la rivoluzione si ritrasse
a sua Rennes, ove fint i suoi
giorni. Concetto fondamentale dell'
opera la Natura è che i benied i mali si
e quilibrano perfettamente nel mondo. Il
dolore ed il piacere, il vizio e la virtù corrispondono a monete il cui corso è regolato ed il cui valore si eleva e si abbassa in proporzioni costanti. Gli es seri
più perfetti dopo Dio, i più ricchi,
quelli che hanno ricevuto le facoltà più
potenti sono anche quelli che trovansi
più esposti alla corruzione e quindi alla maggiore infelicità. Vi è adunque com
pensazione tra il benessere di ciascuno,
fetto di quello degli altri animali.
Quanto all' anima, Robinet suppone
che dall'istante della creazione abbiano
esistito insieme i germi di tutte le ani me e quelle di tutte le
organizzazioni. Ledue nature non
derivano l'una dal l'altra, ma non possono esistere l'una senza dell'altra. Ad ogni funzione dello spirito, alle sensazioni, alle idee, alle vo
lontà corrispondono certi organi interni
e certe fibre del cervello, così che se
corpo. il corpo è animato dallo
spirito, l'anima non pensa ed agisce che per mezzo del 1
Robinet riconosce che l'idea comune
di Dio non è che l'idea stessa dell'uomo
elevata a proporzioni chimeriche, o ri dotte, il che è lo stesso, ad un
concetto negativo. Pure, anzichè
concluderne che ROSCELINO con ciò stesso
si distrugge la teoria del l'ideainnatadiDio, ed insieme uno degli argomentipiùfavoriti deideisti,egli siper
deneltentativo di togliere dalla nozione
dell'essere supremo ogni legadiantropo morfismo, ammettendo come
indiscuti 355 da lui seguito nelle
conferenze pubbli che che teneva in Parigi tutti i merco ledì. Egli incominciava
col porre alcune generali proposizioni
tratte dall' espe rienza e ne deduceva laspiegazione dei fenomeni: ciò dava origine a discus bile
l'esistenza dell'essere stesso. « Noi
sappiamo, egli dice, che Dio esiste, elo
riconosciamo come creatore, poichè l'ef fetto ci attesta la causa e il
finito l'in finito; ma nessuna analogia è possibile tra questi due ordini di esistenze. La causa prima abita una gloria inaccessi bile,
e noi, non potendo che distinguerla da
ciò che essa noné, dobbiamo rasse gnarci alla conclusione che la natura divina è per noi assolutamente incom
prensibile ». Edal creatore venendo alla
creazione, Robinet crede che Dio da
tutta l'eternità dia alla natura una esi stenza temporanea, e cioè che
se la creazione è eterna non lo sieno
ilmondo e gli oggetti creati; con questa
propo sizione egli addottò una opinionemedia
tra quelli che considerano ilmondo co me eterno, e quelli che lo
suppongono creato dopo una eternità, e
non si av vide che l'idea di Dio creatore è tanto assurda che con essa nessuna teoria regge alla critica. Così che delle tre idee suaccennate nessuna è conciliabile coll' idea di Dio creatore: non la sua perchè suppone unDio che crea e non crea, o che vuol creare e non crea nel medesimo tempo; non la seconda che facendo il mondo coeterno a Dio lo so
stituisce a lui, come fece Spinoza ; non
la terza che suppone un' eternità limi tata, od un mondo che esiste
senz' es sere stato ancora crea to, mentre non
potrebbe d'altronde esistere che per la
creazione. Rohault(Giacomo)nato
in Amiens nel 1620, morto nel 1675. Fu
uno dei sioni di ogni sorta sui diversi
argomen ti, discussioni che egli poi riassumeva, esponendo il suo avviso, cui corrobo rava
colla esperienza. Con siffatte le zioni Rohault compose il migliore trat tato
di fisica che fosse stato stampato fino allora,
cosi che fino a Newton ven ne considerato come opera classica in Francia ed in Inghilterra. Rohault fu autore anche di una o pera di
metafisica intitolata cade talora in contraddizione, giacchè tra due pareri contrari egli non prende par tito
senza avvilupparsi in un dedalo di
distinzioni spesso inutili e sempre poco
chiare. Perciò molti hanno detto scri vere il Romagnosi per sè A non per
gli altri, e un suo apologista confessa
che gli accadde sentire da qualcuno che
a vendo letto per intero il suo libro della
Mente sana, era giunto alla fine senza
intender niente. ( Prof. Celso Mazzuc chi, sull' economia dell' umano
sapere). Rosmini (Antonio)nato nel
1797 a Roveredo presso Trento. Studid
all'u niversità di Padova e fino da allora
diede segni di spiegata tendenza al mi sticismo. Nel 1821 fu ordinato
frate. Si segnale per qualche tempo per
fanati smo ed intolleranza, ma si mitigò poscia
sensibilmente e tanto da dedicare il re sto della sua vita al trionfo
del cosi detto cattolicismo liberale ed alla indi pendenza politica d' Italia.
Con questi scopi fondò egli stesso un
ordine reli gioso destinato a riunire in sodalizio preti istruiti e tolleranti, e pubblicò gran numero di opere che fecero di lui un capo-scuola. Per quanto la sincerità della sua fede religiosa e la sua opposizione alla teocrazia gli avessero guadagnata gran de
rinomanza e numerosi seguaci, pure
dovette convincersi asue spese che tenta
un'opera impossibile chi aspira a con ciliare tra loro i due principi
affatto incompatibili del cattolicismo e
della libertà. I suoi progetti di
riforma eccle siastica e le sue opinioni teologichesu scitarougli contre l'odio
dei gesuiti. Speditoda re Carlo Alberto
in missione presso il papa, lo segul a
Gaeta all'e poca della fuga famosa, ma essendosi poi reso sospetto al papa e trovandosi sotto la minaccia del carcere della po lizia
borbonica, dovette partire e rifu giarsi aTresa sul lagoMaggiore dove morì nel 1855, dopo avere (con un atto di sommissione inesplicabile di fronte alla energia del suo carattere) ricono
sciutoil giudizio con cui la Chiesa met teva all'indice le sue opere, anzi
dopo aver distrutti quanti più potè dei
libri che avevano cagionata la condanna. Le fondamenta del nuovo ordine fu rono da lui
gettate al Calvario di Do modossola nell'alto Novarese, dove con alcuni pochi compagni si era ritirato nel febbraio dell'anno 1828. Il voto era perpetuo, ma non privava imembridel diritto di possedere beni propri; sola mente
li sottometteva ad una ammini strazione comune e li privava del diritto di applicarli per volontà propria in fac
ROSMINI cia alla coscienza, non già in
faccia alle leggi civili, per le quali
possedevano come ogni privato. L'Istituto,
come cor po,nonpossedendo nulla, i suoi membri
dovevanoesser provveduti diuna rendita
359 se questi filosofi si fossero
data la briga di uscire dalla ristretta
cerchia del loro per la loro sussistenza
personale, la quale per i nullatenenti è
supplita dal superfluo dei loro
fratelli. L' Istituto era diffuso nel
Piemonte, dove aveva case a Stresa, a
Domodossola e a S. Ambrogio di Susa.
Qualche casa di ro veretani fu pure fondata nell'Inghilterra, mase abbiano prosperato o no, ignoro. Tutto il sistema della filosofia rosmi niana
si fonda sopra unprimo errore, un errore
fondamentale, distrutto il quale,
l'intero sistema resta scomposto. Questo
errore è l'intuizione dell' ente univer sale, la quale daRosmini cosi si
dimo stra: « Io so d'esistere, io so che esi stono altri esseri simili a me; so
ch'e sistono de' corpi estesi, larghi, lunghi
eprofondi. Noncerco ora se questo mio
sapere m'inganni o no; io intanto so
tutto questo e cerco disapere come lo
so. Ora io veggo che non saprei che esiste un solo ente, se io non dicessi, se non avessi mai detto a me stesso che quell'ente esiste. Sapere dunque che osiste un ente e dire e pronunciare meco stesso che esiste, é il medesimo. Lamia cognizione adunque degli entireali non è che un' affermazione interna, un giu dizio.
Conosciuto questo, non mi rimane che ad
analizzare un tale giudizio, ad
osservarne l'intima costituzione. Quando
io dico meco stesso che esiste un dato
ente qualunque particolare e reale, non
intenderei ciò che dico, se non sapessi
che cosa è ente, che cosa è entità. La
notizia dunque dell'entità in universale
debb'essere in me, e precedere tutti quei giudizi, coi quali dico che qualche ente particolare e reale esiste ». Il frate roveretano supponeva dunque che noi abbiamo la conoscenzadegli u
niversali, prima ancora di avere quella
dei particolari, errore, che, d'altronde, bisogna perdonargli di buon grado, poi chè è
stato comune a molti filosofi. Ma
subbiettivismo, per esaminare ciò che
accade nella realtà, si sarebbero presto
accorti, che prima noi conosciamo le
cose particolari, e poi ci facciamo l'idea değli universali, i quali non sono altro che l'astrazione o la generalizzazione dei particolari. I selvaggi australiani, per quanto ne riferisce il padre Salva do,
hanno voci per dinotare ogni specie di
albero, ma non hanno una voce per
esprimere l'idea d'albero in generale;
hanno voci per indicare i vari animali
daessi conosciuti, manon per esprimere
l'animale in genere, ossia la riunione
dei caratteri comuni a tutti gli animali, astrazion fatta delle loro qualità par
ticolari. Chi vede per la prima volta un
og getto, ha l'idea particolare di quell'og getto e non altro; i particolari
che gli sono propri lo colpiscono per i
primi; ne apprezza il colore, l'odore,
il sapo re o la forma, che sono i fenomeni,
nè pensa in alcuna maniera all'essenza
che assume la forma di quei fenomeni,
e che costituisce l'idea dell' ente uni versale, tale come Rosmini l'
intende. Solamente dopo una serie
continua di percezioni la mente umana si
eleverà dal particolare all' universale,
ossia a quel carattere comune atutti gli
esseri, che per astrazione si
attribuisce ad un essere unico non
percepito. Ma l'idea dell' ente privato
delle sue realità feno menali èuna pura negazione. Percepisco il colore, e penso poi a uncorpo senza colore; questo secondo concetto non è altro che una negazione del primo, e quand' anche gli si volesse dare un ca
rattere positivo, sarebbe sucessivo e non
precedente alla percezione della cosa
particolare. Pertanto ' affermazione ro sminiana,che noi abbiamo
l'intuizione dell'ente in universale,
astrazione fatta degli enti particolari,
vale quanto dire che noi abbiamo la
conoscenza di nes suna cosa prima che qualche cosa sia stata da noi percepita. Posto questo primo
errore comeuna verità fondamentale del
suo sistema, Rosmini ha bel giuoco nel
confondere gli scettici. Data la cognizione
della prima verità, cioè quella dell'
ente in astratto, egli risponde
all'obbiezione di coloro che gli
dicevano « a voi pare di sapere che cosa
sia essere, ma forse nol sapete ». E
dice: « Il sapere, sem plicemente che cosa è essere, senza aggiungervi alcuna determinazione, e il credere di saperlo, è la medesima cosa: credere di sapere che cosa è es sere, e
sapere che cosa è essere è sa pere la verità, perchè l'essere essen zialmente
è... Si consideri bene che sapere che
cosa è essere, è la semplice concezione
dell' essere, non è afferma zione di alcuna cosa sussistente; l' illu sione
adunque che si obbietta non è possibile,
giacchè non si può favellare della
illusione della concezione dell'es sere senza ammettere già questa con cezione
di cui si disputa ». Così dunque per
Rosmini un' affer mazione che non riguarda alcuna cosa sussistente, provache un enteveramente esiste; e il credere che un ente vera mente
esiste, provache esisteveramente. Anche
volendo passar sopra a queste
incongruenze, la prova rosminiana si
ridurrebbe a dire: penso che penso,
dunquepenso veramente. Può darsi ch'e gli abbiapensato dipensare; quello
che per certo non ha pensato, è che
ilpen siero non nasce in noi senza unacausa
occasionale estérna, e che la percezione
di questa causa, tale quale ci si mani festa nelle sue accidentalità, è
il primo pensiero che noi abbiamo. Se vedo
un oggetto verde, penso al verde; e se
a questo pensiero tolgo il concetto
di verde, che è l' accidentalità, non ho
l'i dea dell' essenza dell'ente, ma sopprimo
addrittura il pensiero, perocchè il pen siero non può stare senza
l'oggetto pensato. Quanto alla teologia naturale rosmi miana
nonsi può dire che abbia almeno il
merito d' esser chiara. Rosmini vuole
che il principio di causa conduca alla
conoscenza di Dio; quanto all' esistenza
dell' anima non cura di dimostrarla,
parendogli di averne fin troppo bene
dimostrati i carattari di semplicità e di immortalità . Questa dimostrazione è davvero così singolare che merita ne sia dato un saggio: « La semplicità si prova da questo appunto che l'anima èun principio unico e immune dallo spazio, perchè l'identico principio che sente è anche quello che intende: per chè
l'atto del sentire in opposizione
all'esteso sentito esclude l'estensione
per lamedesima opposizione; finalmente
perchè il principio intelligente riceve
la forma dell'idea, cosa immune affatto
dallo spazio e dal tempo ». Questa serie
di pretese dimostrazioni, non sono che
affermazioni pure e semplici, le quali
supponendo cio che è inquestione, piut tosto che servire di
dimostrazione a vrebbero anzi bisogno di essere dimo strate. Dello stesso genere sono le altre prove date nella teologia naturale ro
sminiana, sicché inutile sarrebbe qui
l'accennarle, e più inutile ancora il con futarle. Rubov (Rubovius) nato a Luchow nel 1703, morto ad Hannovernel 1774. Fu professore di teologia
nell'università di Gottinga. Divise le
opinioni filosofiche di Wolf, anzi
imprese a mostrare che le medesime erano
in perfetto accordo coi dommi del
cristianesimo. Lasciò due opere Sviluppo delle idee razionali di Wolf su Dio-Dissertatio de anima brutorum.
Rousseau(GianGiacomo).Nacque a
Ginevra il 28giugno 1712daun oro logiaio. I primi anni della sua giovinezza trascorsero in una vita avventurosa e assai poco edificante. Fu dapprima po sto in
pensione presso un ministro a Bossey, dove
imparò il latino, quindi collocato come
scrivano presso il can celliere di Ginevra, fu poco appresso ri mandato siccome
inetto. Fece poi il suo tirocinio presso
un incisore, i cattivi ROUSSEAU
trattamenti del quale instillarono nel l'animo di Rousseau, per quanto
ne dice egli stesso, l'infingardaggine,
la menzogna e la tendenza al furto. Con
fessa egli stesso ; ammirava il carat tere della divinità dell' Evangelo;
poi aggiungeva >> menò in moglie la signorina de Camp grand dalla
quale si separò poi con atto di
divorzio. Confessa egli stesso che vo leva usare del matrimonio come di un mezzoper studiareiscienziati, e che per migliorare l'organizzazione del sistema scientifico, gli occorreva di conoscere >>
e la trasforma con uno slancio trascen dentale nel solo assoluto
universale! Scho penhauer scrive:
l'universo e volontà! Egli procura anche
didimostrare laverità di questo sofisma
con degli argomenti empi rici, e passando attraverso ai regni della natura, cerca di persuadere che il vege tale
ha già degli istinti, i quali si tra sformano in volontà negli animali;
che gli animali delle classi inferiori,
quan tunque non abbiano ancor la coscienza
della loro propria volontà, pure per la
tendenza che hanno a soddisfare i loro
bisogni accennano già alla volontà di
vivere, la quale si va viavia sviluppan do nelle classi superiori. Nella
sua sma nia di scoprire la volontà germogliante
in ogni dove, il filosofo di Dantzig non
teme di trovare una nuova formola
della teoria delle cause finali, poiché
egli dice che l'organismo si conforma
alla volontà, che il leone p. e., ha le
zanne perché vuol lacerare la preda, e
che l'uccello ha le ali perché vuol vo lare. S'egli si fosse limitato a
dire che l'uccello vola perché ha ie ali
e che il leone squarta la preda perchè
ha le zanne, sarebbe rimasto nel vero.
Avreb be allora designata una legge e non una
volontà, giacchè il senso che egli attri buisce a questa voce è
assolutamente nuovo, per non dire
addrittura contra rio a quello che essa ha veramente nella lingua. Questa pretesa volontà se
parata dai corpi volenti, non è che una
generalizzazione, è l'astrazione delle vo lontà particolari, e tanto
varrebbe dire che esiste una persona
generale, indi pendente da ogni individuo e da ogni forma, perchè esistono delle persone particolari. Qui Schopenhauer cade nello stesso errore dei realisti (v.
SCOLASTICA) dal quale avrebbe tanto più
dovuto guardarsi, in quanto egli non si
perita di accusare Spinoza di usare le
parole in un senso affatto nuovo, e di
chiamar Dio l'universo, diritto la
forza, volontá la determinazione. Io ho detto poc'anzi che la filosofia di Schopenhauer è un puroidealismo sub
biettivo. Il suo sistema della volontà
non mi pare fatto per togliermi da
questa convinzione. Se il mondo non è
che l' obbiettivazione della volontà, e
se « la volontà è tutto ciò che costitui sce il mondo al di fuoridella
immagine rappresentativa » a parte la
poca coe renza di queste due idee, mi pare che
niun dubbio possa esistere su questo
punto. Pure è Schopenhauer stesso quello
che nega questa conseguenza, e dopo
aver detto che « il sole ha bisogno di
occhio che lo veda per illuminare », si
rappresenta il sole delle epoche geolo giche, quando la terra era
coperta da «uno strato uniforme di
granito >> e così lo fa
interrogare : « Perché ti dai tu tanta
pena di comparire così? Non vi è occhio
che ti veda nè intel SCHOPENHAUER letto
che ti comprenda! E il sole ri sponde: Ma io sono il sole, e appaio perchè io sono: coloro che lo possono mi vedano ». Dunque anche il sole esi ste e
illumina senza che occhio vi sia per
vederlo, senza intelletto ove riflettere la sua immagine rappresentativa ! Non ten terò
di conciliare Schopenhauer con se
393 a dire che essa non può
formarsi spon taneamente, nè aver fine; il quantum di sostanza che si trova nel mondo non stesso. Nessuno, per quanto io sappia, l'ha fatto. Vi sono de filosofi tedeschi che bisogna ammirare ma non discute re, e i
più fanno così solo perchè ciò fa comodo
al loro pigro intelletto. Se si riduce
al suo vero valore la
contraddizionediSchopenhauer,interpre tandola nel modo il più benigno,
biso gnerebbe credere ch' egli abbia voluto
stabilire, che senza intelletto non vi può essere immagine rappresentativa e che per noi l' immagine rappresentativa è tutto quanto conosciamo del mondo. Ma codesta è una verità così banale che nessun filosofo ha creduto di stabi lırla,
appunto perché la sua evidenza è tale
che anessuno é mai venuto in mente di
negarla. Schopenhauer, volente o
nolente, idea lista, combatte acerbamente Fichte, per ché le conseguenze del
suo sistema con ducono a negare la realtà dell' ob biettivo; con la stessa
coerenza com batte i materialisti, ch'egli accusa di fondarsi sopra una enorme petizione di principio, prendendo l'oggetto dellafilo
sofia per base di essa,mentre senza laco noscenza che il materialismo fa
derivare dalla materia, noi non avremmo
alcuna cognizione, neppur quella della
materia, che è il puntodi
partenzadelmateriali smo. Così lanciata, come il solito, la sua accusa, forse per avere l'aria di
costruire una filosofia tutt'affatto
indipendente, egli prende senza scrupolo
iprincipii fonda mentali del materialismo, al quale natu ralmente si crede
dispensato di dirigere qualsiasi
ringraziamento. In conseguenza egli
dichiara che la materia è imperi tura, e contro Hegel dice che « negare questo fatto vale rinunciare al buon senso. La sostanza persiste sempre, vale può dunque nè aumentare nè diminui re ». Più
innanzi Schopenhauer designa la materia
come assoluta, la dice su scettibile di pensare, « se la materia può cadere perla gravitazione, essa può anche pensare ». Come poiqueste affer mazioni
si accordino col suo sistemafi losofico, egli non cura di dircelo. Nelle scienze positive tanti e tanti sonogli errori di Schopenhauer, che rie sce
difficile accreditar fede al suo si stema, vedendo quanto poco sia adden tro
nell'arte di osservare. La storia della
terra per lui non è altro che una ob biettivazione sensibilmente ascendente della volontà; suppone che l'uomo fu dalla natura creato erbivoro; tira in campo come cosa positiva quella forsa vitale, che fu oramai abbandonata da tutti i fisiologi. Tutte le favole più inve
rosimili spacciate dai ciarlatani sul ma gnetismo animale, sulla
chiaroveggenza, sulla apparizione degli
spiriti trovano in lui uno strenuo
difensore; egli le inquadra nel suo
sistema come tante prove empiriche
della, obbiettivazione della volontà.
Egli considera natural mente tutti i contradditori del magne tismo animale come
tanti ignoranti, e dice che la scienza
mesmerica è la più istruttiva di tutte
le scoperte. Dicesi che il suo entusiasmo
per imagnetizza tori, ha dato luogo a delle scene co miche, nell'occasione in
cui i medici di Francoforte si erano
incaricati di sma scherare il famoso Regazzoni, magne tizzatore italiano. Nel 1836 Schopenhauer pubblicò uno scritto sulla Volontà nella natura, nel quale procurò di dimostrare che le ul time
scoperte della scienza hanno pie namente confermata la sua filosofia. Non occorre dire che la maggior parte delle scoperte a cui egli allude, o non hanno alcun rapporto colle sue idee, o appartengono al novero di quelle ora accennate. 394 SCIENZA
Scienza. Conoscenza ordinata e
metodica delle cose e dei fenomeni.
Tutte le scienze degli antichi erano
comprese nella filosofia, sicchè filosofo suonava allora amico della scienza, co Jui
che la insegnava e che la faceva
avanzare colle sue scoperte. Erano i
filosofi greci che insegnavano l' astro nomia, la geologia, la musica, e
la ma tematica, e per lungo tempo tutta la
medicina fu campo aperto alle dispute
filosofiche, per le quali l'arte di gua rire si deduceva da principii
generali e astratti, piuttosto che dalla
osserva zione e dalla esperienza. sotto
quei reali rapporti d' unità che a noi è
dato conoscere, si può dire sa piente. I sapienti sono assai più rari di quello che nella comune si crede; in vece la
scienza appartiene a molti ». Questa
distinzione é così poco chiara, che
Tommaseo nella stessa pagina, con assai
poca coerenza, lacontraddice « La
scienza conosce; la sapienza conosce,
contempla, opera ed ama. La sapienza
comprende la teoria e la pratica; la
scienza la sola teoria ». Dunque la sa pienza comprende la scienza e
qualche cosa più. Ma poco dopo lo stesso
au tore aggiunge: « Senza molta scienza
La scienza si distingue dall'arte per può l'uomo essere sapiente. C'è
una questo solo, che la prima conosce e
sapienza pratica che fa a meno della
scopre, la seconda eseguisce. La pittu- scienza e n' ha gli ultimi
frutti ». Non ra, la scultura e lamusica
sono arti in è questa la sola volta che Tommaseo quanto traducono in atto la rappresen- si
contraddice nel suo dizionario. Cote tazione delle forme e dei suoni. Per lo
sta smania di sottili distinzioni, utile
stesso motivo è arte la poesia, lo stu- forse ai grammatici, è
perniciosissima dio delle lingue e la
rettorica ; ma lo ai filosofi, i quali piú che all'apparenza studio teorico della combinazione dei devono
badare alla sostanza delle cose. colori
e della produzione dei suoni, co- E finchè i grammatici non si saranno stituiscono l'ottica e l'acustica, che sono
ben intesi per dare un chiaro senso
scienze, com' è scienza la filologia, che alle parole, i filosofi che
correranno si occupa della origine e
della deriva-| sulle tracce delle loro affettate distin zione delle lingue. La
scienza dunque 1 studia, scopre e stabilisce le regole
che sono applicate dall'arte. La necessità di ordinare la varietà delle nostre cognizioni, ha resa neces saria
la divisione della scienza in vari rami,
a ciascuno dei quali venne pure dato il
nome di scienza. Le principali di queste
divisioni costituiscono lescien ze astratte o speculative, come la filo sofia,
la logica e la matematica;le scienze
sperimentali tali che la fisica, la
chimica, la medicina; le scienze d'os servazione, come l'astronomia e la sto
ria naturale; e le scienze morali e po litiche, come l' economia pubblica,
la politica, la giurisprudenza ecc. Tommaseo
sull'esempio da BALDINI (vedasi), nel Dizionario dei sinonimi, distingue la
scienza dalla sapienza, qua sichè vi possa essere sapere senza scienza e viceversa.
Chi, dice, vede il creato zioni
crederanno di discutere sulla na tura di cose differenti, laddove in fondo non vi sarà che distinzione di parole. Nei passi ora citati, N. Tommaseo pone la sapienza umanacome conoscen za
sinteticadel creato ; rari perciò sono i
sapienti, e molti i scienziati. Non solo
dice che la sapienza comprende la teo ria, ma anche la pratica; e giunge
in fine alla conclusione che senza molta
scienza si può essere sapienti! Non era
meglio dire che cotesta sorta di sa pienza non è che una affettazione,
una vana ostentazione? Si dicevano
sapienti coloro che dettavano facili
sentenze e luoghi comuni ; e i proverbi
diconsi an cora la sapienza delle nazioni. Ma essa è la sapienza dei pregiudizi correnti; e a questa conoscenza veramente con poca scienza, si adatta così bene il nome di sapienza quanto quello di me dico
conviene al ciarlatano che corre i
villaggi e le città. SCOLASTICA
Scisma. Voce greca che vale di stacco, separazione. Indica la separa
zione dalla Chiesa cattolicadi una parte
dei suoi membri, per costituirsi in una
comunione separata. La Chiesa
cattolica commina la sofia. La
scolastica è filosofia religiosa;
qualche volta un po'eretica, ma non mai
incredula. Tutte le questioni teologiche
sono state da essa discusse, e però non
dobbiamo meravigliarci se tra coloro
che la coltivarono noi troviamo dei teo scomunica contro i scismatici;
ma le comunioni riformate, costrettevi
dalla stessa libertá di interpretazione
della Bibbia, che esse accordano ai
fedeli, sono obbligate a proclamare che
ladi versità delle opinioni non costituisce un
peccato, e che le molte comunioni
sistenti nella religione riformata, sono
una conseguenza della libertà che ha
ogni uomo d' intendere a suo modo la
parola di Dio. e Io non voglio
qui esaminare la stra nezza di questa dottrina, la quale sup pone che Dio si
sia rivelato al mondo in tal maniera da
farsi intendere da tutti gli uomini
diversamente. Accettia mo questa libertà d'interpretazione per i benefizi che essa ha portato alla libertà del pensiero, senza preoccuparci del poco logico fondamento su cui si fonda. Ma i cattolici che hanno un grande in teresse
nel conservare l'unità della Chiesa,
hanno ben trovato nella Scrit tura molti passi che fanno al caso loro. Essi hanno citato S. Paolo, il quale biasima qualunque sorta di divisioni, e sostiene che le eresie sono necessarie per mostrare quali sono di buona lega (Cor.). L'uomo eretico, dice ancora S. Paolo, dopo la prima e la seconda correzione sia sfug gito (
Tito). Giovanni, vuole che gli si ricusi
perfino il saluto (Giov.). Scolastica.
Cousin, nel Corso della storia della
filosofia, definiva la Scolastica
l'applicazione della filosofia, come
semplice forma, a servizio della fede.
Questa definizione non è sempre vera,
sebbene sia vero che tutti gli
scolastici appartenessero alla filosofia
cattolica e si allontanas sero qualche volta dall' ortodossia solo per certe accidentalità della loro filo logi,
dei monaci e dei vescovi, e non mai
de'veri filosofi. La scolastica è una
lotta intestina combattuta nel seno
stesso della Chiesa, da uomini profon damente credenti, tuttochè qualche
volta nel calore della disputa i loro
argo menti sembrino piuttosto adatti a dar
ragione agli increduli. Di questa lotta
nella quale combatterono vari teologi
il cui nome è taciuto in questo dizio nario, mi par conveniente dare un
sag gio alquanto diffuso, al quale scopo mi
giova qui compendiare le varie notizie
su questo argomento raccolte e pubbli cate da Bartolomeo Haureau. Egli
esor disce col dire che la definizione di
Cousin non è nè chiara nè esatta.
Quanti, di fatto, tra i filosofi detti sco lastici furono dall' autorità
richiamati al dovere! E se qualche
paziente e sa gace inquisitore volesse di presente to gliere a censurare, dal
lato della dot trina, tra questi filosofi, quelli il cui nome fu onorato e santificato anche dalla Chiesa, quanti troverebbe non e senti
da sospetto d' eresia! La defini zione di Cousin potrebbe pertanto es sere così
modificata: La scolastica è
l'applicazione della filosofia alla discus sione dei dommi della
fede. Maanche così emendata la
definizione non troppo soddisfa il sig.
Haureau: pe rocchè, dic'egli, lascolastica ha principio aduncerto tempo, e sebbene non siano concordi le opinioni degli storici intorno a questo tempo, tuttavia ne sono ormai convenuti i limiti, e questi non permet tono
di accettare la definizione di Cou sin, neppure così emendata. Pare a lui che i padri e gli scolastici abbiano
tutti fatta entrare la filosofia nell'
analisi e nella discussione della fede .
Conse guenza per verità un po'esagerata, im perocchè laddove la fede è sovrana
e 306 SCOLASTICA impone ossequio alla ragione, la filoso fia
vanamente dibattesi tra le distrette di
principii già accettati e dichiarati
inviolabili. Per essere giusti si dovrà
dunque dire che la definizione di Cou sin, se non è sempre vera, è però
in gran parte vera. Secondo il sig. Haureau, la scola stica non
può essere definita, poichè essa non è
una scienza distinta dalle altre
scienze, e nemmeno è, a parlare
esattamente, una forma particolare della
filosofia, ma propriamente la filosofia
di una cert'epoca, che ha e deve avere
il carattere tutto teologico di quel tem po. Che se nondimeno vuolsi
che, at tenendoci a quanto il rigore del metodo
richiede, non passiamo oltre senza aver
prima determinato l'oggetto di questo
articolo, diremo, la storia della Scola stica essere quella delle
diverse dot trine professate nelle scuole del medio evo, dall' istituzione di queste fino a quando fu ad esse tolta l' istruzione prima e la direzione delle menti. Ma quando furono le scuole insti tuite? Tutti
gli storici monumenti ne attribuiscono a
Carlo Magno l' onore, epperò il signor
Haureau fa da lui in comincirre il primo periodo della sco lastica, il qual
finisce col secolo XI, cioè da Alcuino a
Berengario. Comin cia con questi due il secondo periodo. Il più illustre campione di questo pe riodo è
Giovanni Scoto. Egli conosceva il greco
e l'ebraico, corresse la Volga ta, e tradusse il libro dei Nomi divini, attribuito a San Dionigi areopagita, sopra un manoscritto mandato da Mi chele Balbo
a Luigi il Pio. Era inol tre, se crediamo al signor Haureau, li bero pensatore,
tanto che nel principio della sua opera
principale così si espri me aproposito della Tradizione: « L'au Prende ad esempio il battesi mo. Nelle
cerimonie di esso il tatto, la vista ed
il gusto dandosi mano a vicen da accertano la presenza dell'acqua: la ragione va più oltre, ed arriva a cono scere
le naturali proprietà e l'essenza della
medesima, non che le parti che la
compongono; ma non è dal battesi mo sollevata fino a comprendere il mi stero
della salvazione ; la ragione è in feriore alla fede, come ad essa sono inferiori i sensi. Aldemanno non fu il solo oppositore; ma ebbe anche Beren gario i
suoi discepoli, tra cui Ildeberto di
Lavardino, arcivescovo di Tours. Egli
vorrebbe rilevare la ragione; ma come
farlo senza offendere la fede? Que sta difficoltà non fu punto da
Ildeberto risoluta. Berengario,
distinguendo varie maniere di certezza,
ammetteva tanto le credenze della fede,
quanto quelle della ragione ; ma non
voleva che venissero confuse, siccome insegnava la Chiesa. Ildeberto ammette sì le distin zioni
del maestro, ma dimostreremo che il pio
arcivescovo di Tours, chiamato dai
contemporanei colonna della Chiesa,
s'accosta all'eresia più che non si crede. Apriamo il Trattato di teologia, e vi troveremo sul bel principio questa defi
nizione per lo meno ardita: La fede è la
certezza volontaria delle cose as senti ; essa è superiore all' opinione
ed inferiore alla scienza ». egli dice « deve sotto > Fin quì il
filosofo è unicamente idealista, mava
più innanzi loro dice >>
Questi due frammenti contengono
intera la dottrina nominalistica. Rosce lino ne trasse alcune
conseguenze teo logiche, ed a malgrado del rispetto che la fede imponeva pei misteri, osò, con iscandalo della Chiesa, sottomettere il Mistero della Trinità al criterio della ragione, argomentando in questo modo: Giusta le premesse, la cosa, come «
cosa, non è altro che una e non ha
parte; soltanto l'unità è reale. In pari
modo, Dio, come Dio, non è altro che
Dio, non il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo ». Faceva pertanto questo dilem
ma: O la Chiesa, d'accordo con Sa
bellio, deve nella Trinità ammettere tre
Dei separati, distinti, individui, come
sono tre angeli, tre spiriti; o non po trà attribuire la realtà e la
sostanza che a un solo Dio, chiamato con
tre nomi, ma senzadistinzione di persone
». Contro Roscelino si elevò Guglielmo
di Champeaux il quale insegnava a
Parigi, nella scuola del chiostro. Bayle
accusa di spinozismo la dottrina di lui;
nè priva di fondamento è quest' accusa,
la quale, del resto, è diretta contro
tutta la scuola realistica. Insegnava
egli che il genere è essenzialmente,
integral mente e simultaneamente identico in
tutti gl'individui, e che gl' individui sono fralorodistintinon peraltro che persem plici
accidenti, ed argomentava in cosi fattomodo:
« L'umanità è unacosa essen zialmente una, che non possiede daper sè, ma riceve d' altronde certe forme che fanno Socrate. Questa cosa, re stando
essenzialmente la medesima ri ceve del pari altre forme che fanno Platone e gli altri individui dell'umana specie; ed eccettuate le forme che si applicano
a questa materia per pro durre Socrate, nulla è in Socrate che non sia ad un tempo in Platone, ma sotto le forme di Platone ». Questo teologo apparteneva, come si vede, alla scuola del più aperto reali smo.
Egli non riconosceva altra esistenza che
gli universali: le cose particolari sono
accidenti o fenomeni. In questo modo il
realismo volendo da una parte evitare lo
scetticismo dei nominalisti, ri cadeva dall'altra nel panteismo. Gugliel mo di
Champeaux doveva trovare un terribile
oppositore nel giovane Abe l' universale esista, ma che la mente chiama universale ciò che esiste di si milare
inciascunindividuo (v. ABELARDO). Così
si ebbe il concettualismo, scuola che in
sostanza non mipare diversa da quella
dei nominalisti. Tra le scuole a cui ha
dato origine il concettualismo di
Abelardo, vuol es sere ricordata quella dei Cornificiani, di cui Giovanni di Salisbury lasciò un qua dro
sì poco favorevole. I Cornificiani,
partecipando ad un tempo dei realisti e
dei nominalisti, riducevano tutte le dot trine e tutte le idee a
semplici formole: queste formole, ne
cercavano le con traddizioni. Questo metodo doveva age volmente guidare al più
universale scet ticismo ; e Giovanni di Salisbury rac lardo (di Palais nella
Bretagna), il più i quindi ponendo a confronto tra loro illustre discepolo di Roscelino. All' ar
gomentazione realistica egli risponde va: « Se così è, chi potrà negare
che Socrate sia ad un tempo stesso in
Roma ed in Atene? Difatto dove è
Socrate, trovasi altresì l'uomo
universale che ha vestito nella sua
intierezza la forma della sua socratità.
Perocche tutto ciò che comprende l'
universale, lo ritiene nella sua
totalità. Se pertanto l'univer sale, che è affetto per intiero della so
cratità, trovasi in Roma nel tempo stesso
tutt' intiero in Platone, egli è impossi bile che nel tempo stesso e nel
mede simo luogo non si trovi la socratità che
è nell'uomo; là è Socrate, poichè Socrate è l' uomo socratico. Chiunque ragioni, conta che la più parte dei Cornificiani ne diedero non dubbia prova, rinun ciando per
disperazione allo studio della
filosofia, quali per chiudersi nei chio stri, quali per darsi alla
medicina. Dopo Abelardo la scolastica
ricade in un aperto misticismo. San
Vittore e Ugone mostrano pari disprezzo
per la ragione, e l'uno vanta i meriti
dell'intui zione, ' altro quelli della contempla zione. Alano Magno delle Isole (Yssel o Rupel) dimostrò con vigoroso raziocinio nonhacome rispondere a ciò ». Ache tende Abelardo? A provare che l'universale è, non una cosa, ma un'idea, una parola; che se l'universale fosse alcuna cosa, questa siccome uni versale
od assoluta sarebbe necessaria mente contenuta per intero in ciascun individuo, il che è assurdo. Aggiunge : >
dicono gli autori del Compendio ad uso
del collegio di Juilly una
naturale inclinazione, che è come « un'
incoazione di questa virtù, la qual ;
che « Iddio è una sfera impassibile ».
Diogene Laerzio gli fa dire che «
l'essenza di Dio è sferica>>> e
Teodoreto che « il tutto è uno; è
sferico » . Lo stesso dice Aristotile
quando assicura che secondo Senofonte
> convennero che in certi
animali infe riori la sede della sensibilitàrisiede nel midollo allungato,laquale,secondo Loriy, Desmoulins, Gerdy, J. Muller ecc. è anche la « sorgente del movimento ». Gerdy appoggiandosi ai suoi propri e
sperimenti riconosce che l'ablazione del
cervello pone l'animale in uno stato di
sonnolenza, senza però distruggere ogni
manifestazione della percezione e della
volontà, giacchè se l'animale è viva mente irritato fa degli sforzi per
sfug gire al dolore. Poichè la facoltà di per cepire e la volontà sono rese
ottuse per l'asportazione dei lobi
cerebrali, il cervello, dice questo
autore, serve dun que a tali funzioni: ma poiché esse con tinuano ancora dopo
la recisione, biso gna dire che non sia solo a produrle. Il suo completamento non sarebbe già il cervelletto, l'ablazione del quale par che ecciti l' animale piuttosto che stor
dirlo, ma a giudizio di Gerdy, la per cezione e la volontà avrebbero sede
nel cervello e nella protuberanza. Aquesta supposizione F. A. Longet presta tutto l'appoggio della sua espe
rienza. Allorchè, dic'egli, viene mutilata
la massa encefalica di un coniglio o di
un giovane cane, fino al punto di non
lasciare nella cavità del cranio altro che la protuberanza e il bulbo, questi ani mali,
quantunque sembrino immersi in un coma
profondo, sotto l' influenza di vive
irritazioni esterne, potranno ancora
mandare dei gemiti, ed agitarsi violen temente; ma quando vien lesa abba
stanza profondamente la protuberanza
anulare, subito i gemiti e l' agitazione
cessano, e più non resta che un ani male nel quale la circolazione, la
re spirazione e le altre funzioni nutritive
continuano momentaneamente. Fu
domandato se senza la parteci pazione dei lobi cerebrali può realmente esistere sensazione di dolore. lo chiamo l' attenzione del lettore sulla risposta che il signor Longet, fisiologo certo
410 SENSAZIONE non materialista, e per conseguenza non sospetto di parzialità per la nostra filosofia, ha creduto di dover dare a questa domanda. ( Anatomie descriptive t . I ). Savart avendo osservato che la sabbia posta | degli
ossicini! Chi pretendeva che il sopra
una membrana vibrante saltava tanto più
alto quanto meno la membrana era tesa,
ha concluso, contrariamente a Bichat,
che è la tensione e non già il solo
martello picchiasse, chi tutti insie rilassamento della membrana che di
minuisce la sua facoltà conduttrice. Que sta opinione, non è generalmente accet
tata; e Longet, p. e, crede che l'a zione del muscolo sia quella di OV viare
semplicemente alle variazioni di
tensione che può presentare la mem brana, impedendo specialmenteche
essa si rilassi completemente. La cavità del timpano è attraversata da una catena di ossicini articolati fra loro in guisa da formare una leva an golare,
una estremità della quale è at taccata alla membrana del timpano, e l'altra a quella della finestra ovale. Questi ossicini sono in numero di quat tro:
il martello, l'incudine, l'orbicolare e
la staffa. Non si è ancora ben potuto
spiegare quale utilità essi rechino nella funzione dell'udito. Certo essi trasmet tono
le vibrazioni dell'orecchio medio al me, e chi voleva non avessero azione sulla trasmissione del suono. Del pari, cosa non si è detto della tromba di Eustachio, canale che mette in co municazione
la fossa nasale colla pa rete interna della cassa del timpano! Non si accontentarono della supposi zione
probabile ch' essa fosse data per la
rinnovazione dell'aria contenuta nella
cassa, ma vollero alcuni ch'essa servisse anche all'animale per udire la sua pro pria
voce ! Dalle finestre ovale e rotonda,
chiuse, da membrane vibratili le
vibrazioni sonore sono trasmesse all'
orecchio in terno, al vestibula, e alla linfa del co tugno, che riempie tutto
il labirinto ; il quale nella parte
anteriore è occupato dalla chiocciola e
nella posteriore dai ' orecchio interno
attraverso alla fine stra ovale ; male vibrazioni della cassa timpanica non avrebbero forse egual mente
potuto trasmettersi col mezzo dell' aria
contenuta nella cassa, come. ciò avviene
per la viadella finestra ro tonda? Il meccanismo dell' orecchio in contra ad
ogni passo serie difficoltà, e i fautori
delle cause finali non man carono di ricercare in ogni organo uno scopo dato dal creatore alla sua fun zione.
Boërhaave non ha forsedetto che il
padiglione esterno dell' orecchio pre senta delle curve disposte geometrica
mente ed in modo da riflettere nel con canali semicircolari. Ma queste tre
parti, vestibolo, canali semicircolari e
chioc ciola, non sono la porzione essenziale
dell'organo, solo costituiscono la cavità ossea nella quale risiedeuna membrana, alla quale fanno capo gli ultimi filetti del nervo acustico, incaricato di por tare le
sensazioni sonore all' encefalo. Il
signor Adelon ha giustamente os servato che tutto questo apparecchio non serve infine che a trasmettere le vibrazioni sonore al nervo conduttore naturale del suono, e che in conse guenza il
suono può pervenirci altri menti che per questa trafila, cioè col l' intermedio
delle ossa del cranio, ma soltanto
quando il corpo sonoro è posto a
contatto immediato con esse. Il ru more di un orologio é inteso, benchè gli orecchi siano turati, quando ' oro
SENSAZIONE 421 logio è tenuto fra i denti. Ingrassias | più
debole,sia tale, non perchè lontano,
cita l'osservazione di uno spagnuolo, il
quale, divenuto sordo per l'ostruzione
del condotto uditivo esterno, sentiva il
suono di una chitarra ponendone il
manico fra'denti, oppure mettendo nella
ma perchè più debole veramente. Pos- siamo noi dire qual sia la distanza
del rombo del cannone, se non
sappiamo innanzi tutto da qual sorta di
cannoni nasce quel rumore. Possono darsi
can sua bocca l'estremità d'una bacchetta
mentre coll' altra estremità toccava lo
strumento. Questi fatti non ci avver tono, come ben diceva Blainville,
che I udito non è altro, infine, che
una specie di tatto? Molti animali che
sono privi di quel senso, distinguono
nondi meno le vibrazioni dei corpi sonori per
la sola impressione che esse producono
sulla loro pelle. Noi stessi riusciamo a
sentire queste impressioni nei forti ru mori; cosa la quale può
farcicompren dere facilmente, che quel fenomeno il quale è suono nel nervo acustico, fuori di esso non è che movimento. Berkeley e la scuola sensualista hanno perciò avuto ragione di dire che le sensazioni sono dentro di noi piuttosto che fuori di noi, tanto poca relazione ha il movi mento
con l' idea che noi abbiamo del suono,
che forza è concludere essere il suono
una pura modificazione del nervo
acustico al quale si comunicano le vi brazioni. Fu detto che il senso dell'udito po teva esso
solo farci conoscere le di stanze, poichè noi sappiamo giudicare se un corpo sonoro è più o meno vi cino a
noi. Ma questa è una induzione erronea,
poichè noi riesciamo a giudi care la distanza della sorgente da cui partono i suoni solamente quando trat tasi di
suoni noti. In questi casi noi abbiamo
già veduto l'istrumento o il corpo da
cui parte il suono, e l' espe rienza ci ha già avvertiti di quanto di
minuiscono questi suoni per rapporto
alla lontananza. E poichè sappiamo che
tutti i suoni diminuiscono colla lonta nanza noi crediamo lontani tutti
i suoni deboli, col qual giudizio
cadiamo molte volte in errore. Ad
esempio, dall'inten sità del tuono molti ne giudicano la lon tananza; pure può
avvenire che un tuono noni di gran
portata il cui rombo si faccia sentire
distintamente a distanza maggiore di
quella che basterebbe a rendere
impercettibile la scarica di can noni di portata minore. Dunque la va lutazione
delle distanze col mezzo degli orecchi
suppone una esperienza combi nata con un altro senso. Senza questa esperienza, noi non avremmo alcuna ragione di dire che i suoni deboli sono più lontani dei suoni forti, giacchè vi sono dei suoni forti che succedono a distanza maggiore di quelli che ci sem brano
deboli. Nè meglio riescirebbe l'orecchio
solo a giudicare la direzione delle onde
sonore. É vero che portando l'orecchio
nella direzione delle onde so nore la sensazione si accresce, ma perchè mai l'orecchio giudicherebbe che quell' accrescimento sia lo stesso suono percepito più distintamente, an zichè
un altro suono più forte ? Se gli occhi
od il tatto non ci avessero mai
avvertiti che lo stesso suono si indebo lisce o si rinforza secondo che
l'orec chio è più o men bene posto nella di rezione della sorgente da cui
partono le onde sonore, certo l'udito
solo non ci avrebbe mai potuto istruire
di que sto fatto. Il senso dell' odorato
non è più di stinto di quello dell'udito, sebbene per cepisca delle impressioni
che sono im percettibili a tutti gli altri sensi. In torno alla natura degli
odori, fisici e fisiologi sono ancora
divisi in due o pinioni; quella dell'emanazione, e quella della vibrazione. Coloro i quali adot tano la
prima opinione suppongono che dai corpi
odorosi emanino delle parti celle tenuissime ed imponderabili le quali penetrando nel nostro organo produ cono,
mediante il contatto, la sensa zione dell' odorato. L'altra opinione 422 SENSAZIONE
applica eziandio agli odori quella
legge di vibrazione che abbiamo attri buita alla luce e al suono.
Secondo questa ipotesi i corpi odorosi,
come i luminosi ed i sonori, avrebbero
una spe ciale maniera di vibrazione, la quale
comunicandosi al mezzo ambientę, ir raggerebbe tutt'intorno trasmettendo
le onde odorose fino a noi. Gli
emanatisti sostengono la loro opinione
mostrando che i corpi più odorosi sono
quelli che più facilmente si
volatizzano; ma ri spondono gli avversari che questa vo latizzazione, se getta
nell'atmosfera una parte del corpo
odoroso, deve natural mente rendere anche più facile la per cezione dell'
odore, in grazia dei molti centri di
vibrazione che si stabiliscono intorno a
noi; che per questa ragione 1 molte essenze diventano più odorose quando si volatizzano, mentre se si fiu tano
nelle boccette producono una assai
minore impressione sull'organo olfatto rio . Aggiungono che certe
sostanze, come il muschio e l'ambra
grigia, dopo avere eccitate per parecchi
anni le no stre impressioni olfattive, se sono pesate anche colle più perfette bilancie, non
si trova che abbiano diminuito di
peso. Ma contro queste dimostrazioni si
ri sponde che i nostri sensi sono assai
più sensibili delle nostre bilancie e che l'ipotesi di un movimento vibratorio non si accorda nè col trasporto degli odori a distanze sovente enormi, nè con certe condizioni della sensazione olfattiva, come sarebbe la necessità di una cor rente
d'aria per mettere l'apparecchio
dell'olfatto in rapporto col suo eccitante naturale.
Comunque sia, o corpuscoli o vibra zioni, il contatto o il movimento,
per essere percepito, deve essere
comunicato alla membrana olfattiva o
pituitaria onde sono rivestite le fosse
nasali ; cavità ossea che si trova sotto
alla fronte e che corrisponde alla parte
superioredel naso. Questamembrana del
genere delle mucose, nella
partesuperiore e media è intersecata da
una quarantina di filetti nervosi, i
quali, dopo avere attraversato i fori
che crivellano la lamina dell'osso
etmoidale, riunisconsinel nervo olfattorio incaricato di portare le sensazioni odo rose
al cervello. I soliti fisiologi
teleologi non hanno mancato di ricercare
nell'organo dell'o dorato quella perfezione che essi tro vano sempre in tutte
lecose (v. CAUSE FINALI). Dissero in
prima che l' organo dell'odorato, per la
sua stretta relazione coll'organo del
gusto, ci era stato dato per avvertirci
della bontà delle materie che ci
prepariamo ad ingestire. Ma fu osservato
che nell' uomo l'odorato è il senso meno
perfetto di tutti gli altri, e che sotto
questo rapporto egli è meno favorito di
molti animali. Il nervo ol fattorio dell' uomo è, in proporzione, molto piccolo; il ganglio olfattorio è molto gracile, e il signor de Blanville lo dice addrittura rudimentario. Poco estese sono le fosse nasali, ed il naso esterno non è così ben disposto per ri cevere
gli odori come il muso del cane, il
grugno del porco o la proboscide
dell'elefante. I nervi che lo dovrebbero
muovere sono poco sviluppati, quasi
come quelli delle orecchie, che sono
nell' uomo affatto immobili ; e la mem brana olfattoria presenta poca
superfi cie in confronto di quei giri doppi e
tripli che offrono i cornetti del cane.
Perciò nell' uomo gli avvertimenti del l'odorato sono poco sicuri; non
gli sve lano la presenza di molti gas la cui
respirazione è funesta, e gli fanno in vece incontrare un odore
spiacevole nei buoni alimenti e un
gradevole odore in molti veleni. La speciale disposizione dell' organo è quella che determina la natura degli odori, che ce li rende grati o sgrade voli
indipendentemente dalla loro qua lità intrinseca. Ciò che è odoroso per un animale può essere inodoro per un altro e ciò che piace ad una specie può spiacere ad un'altra. Certe persone, dice il signor Adelon, amano gli odori che altri sfuggono; Luigi XIV, per esempio,
SENSAZIONE gradiva gli odori virosi ; i
Persiani qua lificavano col titolo di cibo degli Dei l'assa-fetida, che noi indichiamo col vo
cabolo di stercus diaboli. 423 scellare superiore e dal ganglio sfeno Si è
detto che gli odori gradevoli hanno una
diretta influenza sugli or gani genitali, ed è un fatto ch'essi c'in nebbriano
e ci dispongono all'amore. Ma èpur vero,
come osserva il professore Longet, che
vi sono degli uomini i quali
nell'influenza esercitata dall'odore della vulva sulla pituitaria, trovano lo sti molo a
disposizioni erotiche; come l'o dore dell' uomo eccita in alcune donne ardenti il bisogno del piacere. L'imma
ginazione coopera certamente a pro durre in alcuni questo singolare feno meno.
Manegli animali questa influenza delle
impressioni olfattive è ancor più pronunciata, poichè gli organi sessuali delle femmine di molte specie,all'epoca del rut sviluppano un odore forte e speciale, le cui esalazioni sembrano at
tirare i maschi sulle loro peste. Per la
natura dell'organo che loper cepisce, il gusto è il senso che piú di tutti gli altri si avvicina al tatto.
Per svilupparsi esso ha bisogno del
contatto di un corpo estraneo, e questo
contatto deve operarsi in una maniera
perfetta, cioè colla dissoluzione delle
parti sapide entro gli umori secretati
dalla bocca. La sensazione del gusto,
per comune consenso, si esercita dalle
papille che si trovano sulla membrana
mucosa della lingua, principalmente
formate dalle fi nali estremità dei nervi, la cui tenuità però è tale, che difficile è il vedere com'essi vi si dispongano. Per la stessa ragione difficile è il sapere quale dei nervi che mettono alla lingua sia quello chepresiede allaloro formazione e quale meriti perciò di essere detto il nervo del gusto. Vi sono state e vi sono tut tavia
delle controversie su questo pro posito, giacchè molti nervi distribui sconsi
nella lingua, e sono: il nervo lin guale, del quinto paio, il nervo grande ipoglosso ed il grosso faringeo, come pure alcuni filetti provenienti dal ma
palatino. Ma se uno o se diversi di
questi nervi cooperano atrasportare la
sensazione del gusto al cervello è que stione indifferente per la
filosofia. Servendosi di una piccola
spugna at taccata all'estremità di un osso di balena, Antonio Vernièr ha cercato di esplorare quali parti della bocca fossero
sensibili alle impressioni sapide. Egli
affermò di avere costantemente trovate
insensibili all'azione dei sapori la membrana
mu cosa della volta palatina, delle gengive,
delle gote, delle labbra, della [regione
media e dorsale della lingua; mentre la
sensibilità gustativa fu da lui trovata
nella mucosa che copre le glande sub linguali, la superficie inferiore,
la punta, i contorni e la base della
lingua, le due faccie del velo del
palato e la fa ringe. I signori Gussot e Admyrauld rinnovando le esperienze in altre con dizioni
confermarono le conclusioni di Vernière,
colla sola differenza ch' essi trovarono
traccie di sensibilità sopra una piccola
parte della volta del palato situata al
centro della sua superficie anteriore. I
medesimi fisiologi si sono eziandio
proposti di conoscere se tutte le
superficie sensibili percepissero il
gusto alla stessa maniera, e i loro e sperimenti li hanno condotti a
conchiu dere che molti corpi, e specialmente i
sali, producono sensazioni differenti se condo che sono gustati dalla
parte an teriore della lingua oppure dalla poste riore. Per esempio, dicono
essi, lace tato di potassa solido, d' una acidità bruciante alla parte anteriore della bocca, è amaro, insipido e nauseoso alla parte posteriore. L' idroclorato di po tassa
semplicemente fresco e salato da vanti, diviene dolciastro vicino alla gola. Il nitrato di potassa fresco e piccante sul davanti, nella parte posteriore
della bocca diviene leggermente amaro e
in sipido. L' alunno solido, poco sapido,
fresco, acido e molto stitico sul davanti, nella parte posteriore dà un sapore dolciastro senza alcuna acidità. Il sol fato di soda molto salato sul davanti, è amaro sul fondo della bocca ecc. Questi esperimenti sono adatti a ren dere
assai dubbioso il nostro giudizio sulla
vera natura dei sapori, e se poi teniamo
conto della diversità grandissima di gu sti che si notano fra le diverse
specie animali e fra gli stessi uomini,
potremo facilmente essere condotti ad
affermare che i sapori non esistono
fuori di noi, ma che sono solamente in
noi, o piut tosto sono unafunzionedipendente dal l'intima natura dei nostri organi. Il gusto non somministra all'intelli genza
alcuna nozione estrinseca, salvo la
qualità sapida dei corpi gustati; esso è
assolutamente inetto ad obbiettivare la
sensazione, nè vi è alcun dubbio che
questo solo senso non basterebbe a darci
alcuna cognizione dei corpi esteriori.
Fu perciò detto che il gusto non è un
senso della intelligenza, madella nutri zione. Se non che i teleologi
hanno trovato che la sua destinazione
provvi denziale era quella di farci scegliere,
fra le diverse sostanze che la natura ci
presenta, quelle che sono proprie a ser virci d'alimenti. Questa
proprietà non è però rigorosamente vera.
Vi sono delle sostanze velenose o nocive
all'ingestione delle quali non proviamo
alcuna nausea, se pure tal fiata non
hanno sapore gra devole, mentre altre sostanze che sareb bero eminentemente
plastiche e nutri enti ci ripugnano. Inoltre, se lo scopo del gusto fosse stato quello di avver tirci
dei bisogni dello stomaco, pare na turale che certi farmachi, che pure gio vano
adeccitare, a mantenere od ari stabilire le funzioni dell' organo dige stivo,
avrebbero dovuto parere meno ingrati
all'organo del gusto. In qual maniera i
corpi agiscono sull' organo del gusto
per generare la sensazione che gli è
propria? Molte i potesi furono fatte a questo riguardo, ma tutte insufficenti. Alcuni hanno at
tribuito questa facoltà alla forma delle
molecole, ed in conseguenza hanno ri ferita ladiversità dei sapori alla
differen te figuradelle molecole integranti; altri alla natura chimica dei corpi; altri
alla vibrazione speciale delle molecole
dei vari corpi; ma tutto questo non ci a
vanza nella spiegazione del fenomeno,
come non ne erano avvantaggiati gli
antichi pei loro principii salino, acido, o igneo che supponevano risiedere nei corpi come causa dei sapori. Noi dobbiamo confessare che tutte le spiegazioni date su questo e sugli altri sensi non ci spingono più in là dell' idea di contatto (v. CAUSA) e che nel resto siamo affatto all' oscuro sul come questo contatto, secondo la di versa
natura dei nervi su cui si opera, si
trasforma in sensazioni diverse. Que sta oscurità impenetrabile non ha
però in se stessa nulla di misterioso, e
non è in alcuna maniera l'indizio che
sotto il nostro involucro materiale si
nascon da uno spirito. Questa conseguenza sa rebbe tanto fondata quanto quella
di quel selvaggio, il quale vedendo un o
rologio che si muoveva da sè, lo repu tava un Dio. Il nostro corpo è una macchina chiusa, i cui ordegni non co
nosciamo interamente. Noi nonpossiamo
aprire questa macchina senza scompor la, senza guastarla e senza
sospenderne il movimento; noi non
abbiamo mai potuto seguire i movimenti
del cervello nelle sue intime fibre, nè
percorrere insieme alla sensazione i
nervi condut tori. L' anatomia spiega la forma e la disposizione dei congegnidi questa mac china,
ma non la funzione; la fisiologia colle
sue vivisezioni si è inoltrata al cunpoco nello studio dei movimenti in azione, ma tosto che essa si spinge al centro del movimento, le lesioni che produce sconvolgono tutta la macchina, e il movimento scompare. Qual maravi glia,
dunque, se la causa dell'azione ci
sfugge tuttora e se il nostro stesso corpo resta per noi come una scatola chiusa? Forsechè il solo pensiero può bastare a darci l' idea di quel che siamo? Ma il nostro io è la funzione, il risultato di questa macchina che diciamo uomo, SENSISMO O
SENSUALISMO non può trovare in sè che
gli elementi della funzione e non quelli
della cau sa. Se non fosse così, perchè mai gli
spiritualisti non intendono meglio lo
spirito di quello che noi intendiamo il
intesa da Cartesio, il quale sul pro posito delt' idea di Dio così si
cor reggeva: « Quando dissi che l'esistenza
di Dio è naturalmente in noi, volli in corpo? E perchè gli stessi
materialisti rientrando col pensiero in
se stessi non scoprono questa stupenda e
misteriosa causaspirituale, laquale,
tuttochè non sia altro che l'essenza di
noi stessi, si ostinaa restare per noi
nel più profondo mistero? Sensismo o
Sensualismo. Dottrina colla quale si
dimostra che tutte le nostre idee
derivano dalla sen sazione. Dopochè Platone aveva inse gnato che le idee sono
innate in noi, (v. IDEE INNATE)
Aristotile sorse a com batterlo e a dimostrare il doppio prin cipio : 1º nulla
trovarsi nell' intelletto che prima non
esista nei sensi; 2º l'a nima umana essere in principio una tavola rasa sulla quale nulla è scritto. Queste due opposte teorie subirono na
turalmente le fasi di favore e disfavore
acui soggiacquero successivamente i si stemi di quei due filosofi; ma il
pre dominio era rimasto a Platone e le sue
idee innate, più o meno modificate, e rano state accolte dai più
rinomati fi losofi del secolo XVII. Mentre Platone considerava le idee come enti sostan
zialmente esistenti in noi, Cartesio le
aveva ammesse solamente come esistenti
per una certa disposizione dello spirito, in potenza ; mentre Leibnitz credeva che le idee stanno nello spirito come una statua si trova in un masso di marmo prima che ne sia tratta dallo scalpello dell'artista. Per verità, il
modo che usavano questi due filosofi per
con cepire leidee innate differiva sostanzial mente da quello di Platone,
perciocchè una disposizione dello
spirito a produrre una idea, non può
dirsi ancora che sia una idea, come la
proprietà che hanno i corpi di muoversi
non può dirsi che sia movimento. Una
cosa non può es sere e non essere al tempo stesso, e ciò che è possibile non è ancora un fatto. Questa sostanziale differenza fu pure tendere soltanto che la natura ha po sto in noi
una facoltà mediante la quale noi
possiamo conoscere Dio; ma non ho mai
scritto nè pensato che questa idea fosse
attuale ». Bacone fu il primo che
intravvide lamodernateoriadei sensisti,
insegnan do che le idee civengono trasmesse dai
sensi, i quali ne formano degli idoli
(idola) o delle immagini, grazie a certe
particelle materiali, le quali, come a veva supposto Democrito, si
staccauo dagli oggetti, e per mezzo dei
sensi si introducono nel cervello.
Questa teoria, per quanto possa parer
singolare, non è poi affatto strana, se
si considera che l'ultima parola della
fisiologia e della fi sica, se non è favorevole ad una vera epropria traslazione della materia, am mette
però una continuità di vibrazione che,
per la via dei nervi sensori, dagli
oggetti percepiti giunge al centro della
percezione (v. SENSAZIONE). Il
problema della filosofia sulla ori gine delle nostre idee ha cominciato ad essere metodicamente sottoposto ad una accurata analisi delle nostre sen sazioni
nel 1694, nel quale comparve il Saggio
di Locke sull' umano intendi mento. Questo celebre filosofo ha rigo rosamente
impugnata la dottrina carte siana sulle idee preesistenti alla sensa zione, ed
ha dimostrato la verità dell'a forismo aristotelico (v. IDEE INNATE). Egli costruì arditamente una nuova teoria, e dimostrò che tutte le nostre idee, così le più semplici, come le più complesse, derivano dalla sensazione e dalla riflessione. Divise perciò l' espe
rienza in esteriore ed interiore e le idee
in due specie: quelle che vengono dal l'esperienza esteriore, cioè dalle
sensa zioni, e quelle che derivano dall' espe rienza interna, cioè dalla
coscienza. Le prime si riferiscono alle
cose materiali ; le altre alle morali. Condillac
ha rassodata la teoria di Locke e l'ha
anche perfezionata. Giu stamente egli ha osservato che la di stinzione del
filosofo inglese, il quale fa procedere
le idee dai sensi e dalla ri flessione è superflua. Sarebbe stato più esatto, dic'egli, di non riconoscere che una sola sorgente, sia perchè la ri flessione
non è essenzialmente diversa dalla
stessa sensazione; sia perchè essa non è
tanto lasorgente delle idee quanto il
canale per il quale esse derivano dai
sensi. Questa inesattezza, continua Con dillac, quantunque sembri di
poco mo mento, rende molto oscuro il sistema di
Locke, giacchè lo mette nell' impossibi lità di svilupparne i principii;
ragione per cui egli si accontenta di
ricono scere che l' anima comprende, pen
sa, dubita, crede, ragiona, vuole, riflet te; che noi siamo
convintidell'esistenza di queste
operazioni perchè le troviamo in noi
stessi e vediamo che contribui scono al progresso delle nostre cogni zioni. Condillac
tenta di dare un nuovo saggio delle
nostre facoltà senza però riuscire più
chiaro di Locke. Egli stesso lo
confessa, e ne ha poi fatta larga
ammenda, allorchènel 1754, pubblicando
il Trattato delle sensazioni, intraprese
vittoriosamente a ridurre nei loro primi
elementi le idee complesse che noi ab biamo dei corpi. E fuin questo
libro che ritrattò il parere contrario a
quello che Locke aveva dato sul problema
da Molineaux proposto in questi termini. L' autore segue a spiegarci come il tatto istruisce gli occhi a vedere al di fuori: « L'occhio, egli dice, è un or gano
che si limita unicamente a modi ficar l'animo, e le sensazioni ch'esso le trasmette nonhanno, come il sentimento di solidità, quel doppio rapporto
ilquale fa che noi ci sentiamo, e che
sentiamo insieme qualche cosa esteriore
a noi. Esso non ha dunque per sè stesso
la facoltà di vedere gli oggetti
colorati ; SENSISMO O SENSUALISMO gli
abbisognano de'soccorsi per acqui 429
denza stessa é la cosa più difficile ad
starla. A questedomande Diderot aveva cer cato di rispondere prima di
Condillac, nelle sue Lettere sui
sordo-muti stara pate, quando appunto Condil lac, com'egli stesso afferma,
stava lavo rando intorno al suo Trattato delle sen sazioni « La mia idea, dice
l'autore delle lettere citate, sarebbe,
per così dire, di decomporre un uomo e
di con siderare ciò ch'egli tiene da ciascun senso. Sarebbe, a parer mio, una sin golare società
quella di cinque persone, ciascuna delle
quali non avesse che un senso. Per la
facoltà ch'esse avrebbero di astrarre,
tutte potrebbero essere geo metri, intendersi a meraviglia e non in tendersi
che in geometria ». Leibnitz che già
dalungo tempo non teneva più alcuna
sentenza di Newton, si risentì
giustamente di questa defini zione dello spazio come il sensorio della divinità, e sostenne l'opinione cartesia na,
che lo spazio altro non è che la
relazione che noi concepiamo tra gli
enti coesistenti; non altro che l'ordine
dei corpi, la loro disposizione, le loro
distanze. ANewton mancò il
coraggio di ri spondere direttamente al suo avversario, e lasciò al suodiscepolo,il dottor
Clarke, la cura di difenderlo. Costui vi
si ac cinse infatti con ardore e comincid col
giustificare il maestro pel paragone
preso dal sensorio, attesa l'impossibilità d'esprimersi chiaramente, diceva, in cui uno si trova inqualunque lingua quan do
ardisce parlare di Dio. Quindi ri battendo l'opinione di Leibnitz sullo spazio, sostenne che se questo nor fos se
reale ne deriverebbe un assurdo ; poichè
se Dio avesse posta la terra, la Luna e
il Solenel luogo in cui sono le stelle
fisse, purchè la Terra, la Luna e il
Sole fossero fra di loro nel mede simo ordine, in cui sono attualmente, ne seguirebbe che la Terra la Luna 29 •il
Solesarebbero nel medesimo luogo | gli avversari di Descartes, non vi sa in cui
ora sono; lo che, diceva, è una rebbe vuoto, e lamancanza delvuoto to--
contraddizione nei termini. glierebbe
nell'universo la possibilità di
ALeibnitz non fu difficile di rispon dere che se tutti i corpi dell'
universo fossero trasferiti in altro
luogo, sarebbe precisamente come se si
trovassero nel luogo stesso, poichè ciò
che determina il luogo è la relazione
che esiste fra essi corpi, e una volta
che questa re lazione rimane inalterata, non si può dire che vi sia, nè i nostri sensi lo po
trebbero percepire, un cambiamento di
luogo; poichè cambiamento di luogo
importacambiamento di rapporti, e rap porti possono bensì esistere tra i
corpi, ma non tra i corpi e il
nulla. Lo spazio e laduratasonoquantità, ribatteva Clarke, dunque sono qualche cosa di veramente positivo. Ma qui il discepolo di Newton non rifletteva che nè lo spazio nè la durata sono quan tità, ma
che le quantità sono propria--mente i corpi che occupano lo spazio onei quali si manifestano ifenomeni di successione che rappresentano la dura •ta.
Egli aggiungeva quest' antico argo mento: Stenda un uomo il suo braccio ai confini dell'universo; questo braccio deve essere nello spazio puro, poichè esso non è nel nulla ; e se si risponde che esso è ancora nella materia, il mondo in questo caso è dunque infini to, il
mondo è dunque Dio. Leibnitz che era
deista, nonostante la sua teoria delle
monadi, doveva trovarsi non poco im barazzato per rispondere a questa do
*manda. Come mai un deista avrebbe
potuto ammettere la materia infinita ?
Newton si appoggiava forte a questo
argomento, che oggidì non ha piú alcun
valore, giacchè esso ha anzi condotto
direttamente al panteismo ed al mate rialismo. Di tutti gli argomenti addotti con tro la
negazione dello spazio come re altà uno solo è adoperato dai filosofi dei nostri giorni, i quali lo adducono ancora come una prova inconfutabile. Se tutto il mondo è pieno, opponevano qualsiasi movimento, giacchè l'impene
trabilità della materia non permette rebbe che un corpo entrasse al posto occupato da un altro corpo. Ho veduto molte volte addurre que st'
argomento ne' tempi nostri, da uo mini eruditissimi, tra cui anche Tyn dall, i
quali mi parvero che neppur
sospettassero che Descartes vi aveva già
sufficientemente risposto. Ecco, infatti, in qual maniera un autore anonimo suo contemporaneo riassume la dimostra zione
della possibilità del movimento nel
pieno. > Per assai tempo, continua l' amico mio Miron, io ho frequentato un cena colo
spiritista nel quale le comunica zioni si fanno con un cestello munito di una matita, sul quale un frequenta tore
delle sedute e la padrona della casa
pongono le loro dita. Codesta ultima
signora è uno dei medium più famosi,
avvegnachè dicesi che ella abbia otte nuto un libro che in certo qual
módo serve di vangelo a una delle chiese
spi sitiste. Alle sue serate s' incontravano
spesso le sommitàdel magnetismo e dello
spiritismo, prova evidente che quello era uno dei centri più importanti di rivela
zione. Là ogni spettatore può a suo ta lento evocare lo spirito col quale
vuol essere in comunicazione. E tosto
fatta l'evocazione un signore, chepuò
riguar darsi come co-medium, prova una vio lente scossa e annuncia che lo
spirito evocato è presente. L'evocatore
fa poi tutte le domande che crede, e il
cestello, mettendosi in movimento sotto
le dita del medium principale, traccia
le risposte. Parecchie fiate alcuni
evocarono de gli esseri immaginari, oppure dicendo di voler fare l'evocazione mentale,
nulla invocarono. Il co-medium non
perciò cessava di provare le sue scosse,
e at testava con piena sicurezza la presenza
degli spiriti evocati. Malgrado poi la
diversità di questi spiriti, le loro ri sposte sono di un carattere
uniforme e di una povertàveramente
umiliante. Si evochi Cicerone o Cadet
Roussel, lo stile ei pensieri sono
sempre identici, edenotano la stessa
ignoranza. Eccone un saggio. L'illustre astronomo Arago essendo evocato, dichiara che la scienza terre stre
èun nulla in confronto della scienza
celeste che egli possiede attualmente. Or è possibile che così sia; ma siccome non si possono revocare in dubbio le matematiche, bisogna credere che quanto aquesto ramo delle umane conoscenze 'gono di esercizi presso a poco eguali a
464 SPIRITISMO lascienza celeste non può essere diffe rente
dalla nostra. Arago, divenuto più
sapiente, non può dunque aver disim parate le matematiche. Lo si
interroga su questo proposito, e si vede
che il cestello, nè comprende la
domanda, nè pure il valore delle parole
di cui si serve. Lo si interroga
allorasul sistema del mondo, e il
cestello risponde che la terra non gira
intorno al sole più che il sole giri
intorno alla terra, ma che la terra
oscilla (se balance ) intorno al sole.
Si domanda allora di quanti gradi sia
l'ampiezza dell'oscillazione, lo spirito
risponde : quattro miliardi di gradi.
L'interrogatore manifestando allora qual chestupore per una tal
risposta, il co medium, iniziato certamente ai misteri del cestello spiritico, si affretta a sog
giungere che questi gradi sono di 25
leghe ciascuno. I devoti sono incantati
di tal risposta ed hanno pietà della
scienza terrestre che non avrebbe mai
scoperte sì belle cose! Gli
evocatori ingeneralenon hanno alcun
dubbio sulla identità degli spiriti che
si manifestano. Però talvolta alcuni
vogliono accertarsene, ed invitano lo
spirito a fornirequalche prova indicando
peresempio il suo nome, o il tempo della
sua nascita o della morte. Lo spirito
allora risponde: scrivete dieci nomi fra
i quali io indicherò quello dello spirito domandato. Per altro, cotesta prova non riesce quasi mai.Unasignora di mia co
noscenza la quale avevaevocatoilmarito,
evoleva che egli indicasse il suo pre nome, scrisse come gli fu
prescritto, i dieci nomi, fra cui era
quello che si doveva scoprire. Il
cestello si mise in movimento e percorse
lentamente la lista, e di tempo in tempo
lapunta della matita si avvicinava a un
nome, mentrechè il medium, cogli occhi
fissi sull' evocatrice, cercava di
leggere sul suo viso qualche traccia che
gli accen nasse aver egli ben indovinato. Non
trovandosi l'espressione cercata, il ce stello fint col segnare a caso
un nome: scoraggiarsi, indicò unsecondo,
poi un terzo e fino a sette nomi senza
coglier nel segno! Cotali svarioni
nonnocquero minimamente al medium. Si sa
bene che gli spiriti liberati dai legami
ter restri obliano spesso le particolarità
della loro vita passata. Grande è
la lezione che ci dà oggi lo spiritismo
sull'attitudine dell'uomo a credere e a
creare il maraviglioso. Se la scienza
non fosse giunta ad una so luzione abbastanza negativa, e non ci garantisse oramai da ogni durevole traviamento, lo spiritismo sarebbe di ventato
religione elegislatori inappella bili i suoi sacerdoti. Il lato temibile di questa nuova su
perstizione, destinata fra noi a morire
col secolo che le diede vita, non tanto
sarebbe statala sua stravaganza, quanto
l' l'apparente sua
connessionecolla scienza, alla quale i
suoi sacerdoti tentano rian nodarla. Approfittandosi essi della u mana
credulità e delle superstizioni cor renti, cercano di provare l'esistenza
di spiriti incorporei che col mezzo di
tra smigrazioni, vengono sulla terra ad a nimare gli uomini, e ritornano
nello spazio dotati di una personalità e
di una volontà propria. Essi hanno
inoltre una forma, sono limitati, si
trasportano negli altri mondi a
piacimento, e fra loro si distinguono in
più o meno puri, cosicchè, come si è creato
una scala saliente e progressiva per gli
esseri viventi del nostro globo, lo
spiritismo la crea per gli spiriti.
Possono essere più o meno buoni, secondo
il grado di perfezione a cui sono
giunti; ipiù im perfetti sono anche quelli che tengono ancora alla materia, dalla quale vanno allontanandosi gradatamente, per avvi cinarsi
a Dio. Del resto, l'uomo, come gli
spiriti, sono destinati a progredire e
aperfezionarsi, sino aqual punto poi, lo
spiritismo non lo dice. Essi si incar nano, siaper compiere unamissione,
sia per espiazione, e in tal caso
diventano ciò che volgarmente chiamasi
l' anima. Come nel mondo materiale, vi
sono esso si eraingannato Ricominciò
senza SPIRITISMO nel mondo spiritico
sensazioni e piaceri, libero arbitrio,
gerarchia, e tutta la sequela dei mali,
che,sebben diversi dai nostri, non
cessano però di esser mali. Il fine
ultimo della perfezione ci è rap presentato dagli spiriti superiori, i
quali non potendo più oltre
perfezionarsi, sono interamente occupati
aricevere diretta mente gli ordini di Dio, a trasportarli in tutto l'universo ed a vegliare diret
tamente alla loro esecuzione (Le livre
des Esprits, par Kardec). Evi dentemente lo spiritismo, che mostrasi,
nemmen fa d' uopo dirlo, una religione o
filosofia che pre tende insegnare il modo di evocar gli spiriti, che con mille illusioni tenta di traviar le menti dei creduli ; che dichiara il sonnambulismo l'effetto di tanto avverso al suo mortal nemico il materialismo, pare che non abbia sa puto
inventare di meglio che il tra sporto della gerarchia sociale nello spazio!
Il sistema, bisogna confessarlo, è in gegnosissimo; esso però ha un
difetto solo, quello di mancar di prove.
Infatti, qual'è la base dello
spiritismo? Il si gnor Allan Kardec, che si può ritenere sia stato il maestro di questa nuova superstizione in Francia, lo dichiarava in modo esplicito: la rivelazione, i mi
racoli, il sovrannaturale sono, secondo
lui, il fine ultimo della dottrina spiriti ca, ed a questo fine pare che
egli miri sopra ogni altra cosa,
procurando di conformarvi la rivelazione
degli spiriti (L'Evangile selon le
spiritisme). « Essi non riflettono, dice
egli, parlando degli avversari, che
facendo il processo al meraviglioso,
fanno anche quello della religione che è
fondata sulla rivelazione esui miracoli
; ora, che è mai la rive lazione se non una comunicazione extra umana? I fratelliPettyhannopresentato parecchi dei fenomeni che essi avevano annunciati, allorchè non venne presa alcuna precauzione, tale da prevenire lapossibilità di inganno, oallorchè que ste
precauzioni erano indicate dai te stimoni e non escludevano perciò la possibilità di questo inganno. > 2. I fenomeni promessi o non si sono prodotti, oppure la frode dei fra
accolto questa proposta. Alla seconda | telli Petty è stata svelata ogni volta
che seduta della Commissione essi
hanno enumerato i generi di fenomeni che
co noscevano ed hanno raccomandato di
studiare quelli che avvengono in pre senza dei medium, cioè delle
persone coll'intermediario delle quali i
fenomeni si manifestano con maggior
intensità e precisione. Il signor A.
Axakof ha pro messo di presentare dei medium alla Commissione. Questa, da parte sua, ac
cogliendo con riconoscenza il concorso
che le era in questa guisa offerto pel
compimento del suo mandato,hadeciso
di ammettere ai suoi esperimenti tre
testimoni designati dai medium, ha pro posto di limitare le ricerche ai
più sem plici fra i fatti dello spiritismo, ed ha dai membri della Commissione furono prese lepiù elementari precauzioni per confondere l'impostura. I testimoni,
riferendosi ad una lunga pratica dello
spiritismo, ed ime dium stessi, hanno posto alle sedute delle condizioni, le quali escludevano la possibilità di una osservazione esatta, quali l'oscurità, la mezzaluce o l'allon
tanamento dei membri della Commis sione ad una certa distanza dai medium. I
testimoni adiverse ripresehanno
determinato molto diversamente le con dizioni che essi pretendevano
favorevoli alla manifestazione dei
fenomeni spi ritici. Alla sedutadel 20 novembre, si fissato il termine di un anno per la du- |
constato la rottura di una cortina po rata dei suoi lavori. Nel mese di ottobre 1875, due me dium, i
fratelli Petty, di Newcastle, che il
sig. A. Axakof aveva invitati a re carsi a Pietroburgo, sono stati presen tati
alla Commissione. La loro qualità di
medium era attestata dauna dichia razione scritta del signor A. Axakof e danumerose testimonianze stampate che provenivano dagli spiriti. «La Commissione tenne sedute coi fratelli Petty; i testimoni erano i si gnori Axakof e Boutlerof. Secondo il desiderio dei testimoni, le due prime sedute furono occupate dai medium nel far conoscenza coll' ambiente nel quale erano chiamati ad agire. Le quattro se dute
successive sono state consacrate allo
scopo della Commissione ed ebbero luogo
nel mese di novembre. I loro ri sultati furono i seguenti: sta vicina al medium per isolarli dal campanello, il cui tintinnio doveva co
stituire un fenomeno annunziato. >
Dopoquesti fatti il sig. A. Axakof ha
allontanato i medium dalla Commis sione. I testimoni dichiarano oggi che i fratelli Petty sono dei medium assai deboli. In quanto alla Commissione, essa ha, nella sua seconda seduta, dichiarato che i fratelli Petty erano due impo
stori. > Nelmese di gennaio 1876, il
signor A. Axakof avendo annunziato
l'arrivo dall'Inghilterra di madama
Clayre, me dium dilettante, la Commissione si èdi nuovo radunata in seduta. I testimoni hanno certificato alla Commissione che la signora Clayre era un medium po tente e
che il professore Crooks aveva fatto con
lei inInghilterraparecchi degli esperimenti che sonopresentati co >3. I sollevamentideitavolini
ordinari me prove in favore dello
spiritismo. La Commissione decise di
procedere imme diatamente all'esame dei fenomeni spi ritici manifestati in
presenza della si gnora Clayre, adoperando degli appa recchi a questo effetto
preparati, affine di sostituire alle
ossrrvazioni dirette, che sono incomode
e non lasciano trac cia di sè, l'osservazione più probativa delleindicazionidiapparecchi, la testimo
nianza dei quali è irrecusabile. Il sig.
A. Axakof ha riconosciuto l'uso degli
apparecchi possibile in questa circo stanza, vista la potenza singolare
del medium e le esperienze di questo ge
nere che erano già state fatte con
quella persona. La Commissione
tenne nelmesedi gennaio quattro sedute
colla signora Clayre come medium e coi
signori Axakof, Boutlerof e Wagner come
te stimoni. I risultati furono i seguenti: I testimoni hanno insistito
sulla necessità, per lo sviluppo dei
fenomeni, di tenere le sedute intorno ad
una tavola,ordinaria ; alcuni membri della
Commissione non furono ammessi nella
sala delle sedute; fu loro persino im pedito di fare delle osservazioni
dalla stanza vicina. Le sedute stesse
attorno ad una tavola ordinaria ebbero
luogo, grazie ai testimoni, in
condizioni che
escludonolafacilitàd'osservare,lasciando
al medium piena libertà d'azione, senza
sindacato. É stato pure richiesto, per
esempio, che tutte le persone presenti
stessero contro la tavola, quando si u diva il moto di questa, ciò che
facili tava la possibilità di farla muovere col
che si osservarono nelle sedute colla
signora Clayre, erano, per desiderio dei
testimoni e del medium, circondati da
condizioni tali, che il medium stesso
poteva scuotere il tavolino, avanzare i
piedi sotto il mobile e sollevare anche
questo . I membri della Commissione
hanno più volte osservato dei tentativi
di questo genere, ed hanno veduto il
piede del medium sotto quello del
tavolino. > 4. Itestimoni
nonhanno acconsen tito che una volta all' uso d'una tavola manometrica, provveduta d' apparecchi destinati a misurare lo sforzo delle mani apposte su quella tavola. Non avvenne oscillazione, nè movimento, nè sollevazione di quella tavola. I
testimoni hanno poscia respinto a più
riprese l'invito della Commissione di
procedere adelle osservazioni mediante
apparec chi misuratori. > 5. Un tavolino apiedi curvi, che in grazia della sua costruzione non era facile a farsi oscillare colla semplice pressione delle mani sulla tavoletta, e che allontanava la possibilità di porre un piede sotto il piede del mobile, non si mosse una volta sola, sebbene si fosse adoperato quando dei movimenti erano avvenuti con una tavola ordi naria. Tutti
i fenomeni chesiprodus sero in presenza della signora Clayre possono esser prodotti da qualsiasi per sona
che si trovasse nelle condizioni
favorevoli alla frode in cui, per deside rio dei testimoni, questo
medium era collocato durante le sedute
della Com missione; i membri della Commissione
lo hanno provato da se stessi. Nelle ultime sedute colla signora Clayre, la Commissione ha richiesto ca piede
senza esser veduti. > 2. I movimenti
e le oscillazioni di una tavola
ordinaria che ebbero luogo nelle sedute,
mentre le persone pre senti tenevano sulla tavolale loro mani, ❘ tegoricamente che non si fossero più sono stati incontrastabilmente prodotti coll'aiuto delle mani del medium, come impiegate delle tavole ordinarie, e che I' osservazione dei fenomeni non a si potè
indurlodallaloro tensione e dai loro
cambiamenti di posto che prece devano le mutazioni della tavola. vesse luogo che col sussidio dei mezzi proposti da essa. I testimoni vi hanno aderito, ma esprimendo
ildesiderio che questi apparecchi
fossero loro portati a domicilio per
essere anticipatamente e sperimentati. Dopo aver ricevuto due di questi
apparecchi, i te stimoni hanno sospeso le sedute e in seguito vi hanno definitivamente posto termine. Nelle dichiarazioni che essi hanno
allora presentato, i testimoni hanno
rinnovato l' assicurazione delle potenti
facoltà me dianiche di madama Clayre, e hanno mo tivato il loro rifiuto
principalmente sulla prevenzione della
Commissione contro lo spiritismo, e sul
desiderio di questa di non fare
l'osservazione dei fenomeni dello
spiritismo che con l'aiuto d'appa recchi.
> La Commissione ha considerato al lora come raggiunto il suo scopo,
per chè essa si era accertata che fra i fe nomeni prodotti dal piùpotente
medium, in tutte le condizioni più
favorevoli, non ve ne era stato un solo
che potesse in dicare la esistenza di un ordine parti colare di fenomeni
costituenti lo spiri tismo. >>
Nelle quattro sedute che essa ha te nuto nel mese di marzo, la Commissione ha discusso:
Dei dati stampati sui fenomeni
spiritici e sullo spiritismo in generale; Delle prove ed osservazioni
fatte dai suoi membri, fuori del suo
seno, sopra dei fenomeni attribuiti allo
spiri tismo e prodotti con o senza la presenza
dei medium.. > 3. I suoi
processi verbali e lestampe ricevute
alle sedute che essa tenne coi medium
Petty e Clayre, in presenza dei signori
Axakof, Boutlerof e Wagner,
testimoni. > 4.
Ledichiarazioniscritte da questi
testimoni alla Commissione.
contrastabilmentedeterminati dall'effetto della pressione esercitata, intenzional mente
o no, dalle persone presenti; si
riferiscono cioè a dei movimenti mu scolari consci e incosci; per
spiegarli non è necessario ammettere la
esistenza della forza o della causa
nuova, accet ta dagli spiritisti. Dei fenomeni, qualelasollevazione delle tavole o il movimento di diversi oggetti dietro una cortina o neila oscu rità,
portano il carattere irrecusabile di
atti di frode commessi scientemente dai
medium. Allorchè delle misure efficaci
sono prese contro la possibilità dell'im postura, questi fenomeni non
avvengono, oppure l'inganno è
svelato. I rumori e i suoninei quali
gli spiritisti vedono dei fenomeni
aventi un senso, e che possono servire a
comuni care cogli spiriti, stanno negli atti per sonali dei medium ed hanno la
stessa importanzae lo stesso carattere
dell'acci dentalità o della frode, dei vaticini e dei presagi di buona fortuna. > 4. I fenomeni attribuiti
all'influsso dei medium chiamati medium
plastiques dagli spiritisti, come la
materializzazione delle varie partidegli
spiriti e l' appari zione di figure umane, sono incontra stabilmente falsi; si
deve infatti così conchiudere, non solo
per l'assenza di qualsiasi prova
precisa, ma ancora: Dall' assenza di attitudine all'os servazione scientifica
nelle persone che credono alla
autenticità di questi-feno meni, le quali descrivono ciò che hanno veduto;
b) Dalle precauzioni che gli spiri tisti e i medium chiedono ordinaria
mente alle persone davanti alle quali
devono compiersi questi fenomeni; Finalmente, dai casi numerosi nei quali i medium furono direttamente Da
quest' esame la Commissioneha convinti d'avere prodotto coll' impostura tratto le seguenti conclusioni: simili manifestazioni, sia da sè stessi, > 1. Quelli fra i fenomeni attribuiti allo spiritismo, che avvengono coll' im
posizione delle mani, come, per esem pio, i movimenti delle tavole, sono in sia
col sussidio di terzi. Nelle loro
manifestazioni, le per sone simili ai medium mettono a pro fitto, da unaparte
imovimenti inconsci SPIRITUALISMO
einvolontari delle persone presenti, e
dall' altra parte la credulità dellagente onesta, ma superficiale, che non
sospetta la frode e non prende
precauzioni per prevenirla. > 6. Lamaggior parte degli aderenti allo spiritismo non danno prova nè di tolleranza per l'opinione delle persone che nulla di scientifico scorgono nello spiritismo, nè di critica per l'oggetto della loro credenza, nè di desiderio di 471
partecipazione di persone umane alla
produzione di quei fatti; quando si os servarono i principii razionali
delle ri cerche scientifiche, come consiglianoGay Lussac, Arago, Chevreuil, Faraday, Tyn dal,
Carpentier e altri, è stato provato che
i fenomeni attribuiti ai medium so no il risultato, o di movimenti involon
tari, che provengono da particolarità
naturali dell' organismo, o dalla furbe ria, o dall' inganno di persone
che por studiare i fenomeni spiritici coll' aiuto dei mezzi d' investigazione ordinari
della scienza. Però gli spiritisti
diffondono con ostinazione le loro idee
mistiche, dandole per nuove verità
scientifiche. Queste idee sono accettate
da molti perchè rispondono a vecchie
supersti zioni contro le quali la scienza e la
verità da gran tempo combattono. Gli
uomini di scienza che sono trascinati
dallo spiritismo, si comportano verso di
questo come dei dilettanti passivi di
spettacoli e non come dei cercatori di
fenomeni della natura. > 7. Lepoche
esperienze con apparec chi atti a misurare, che si citano quali prove in favore dello spiritismo, sono state eseguite in condizioni, le quali permettono giudizi precisi, e mostrano che gli sperimentatori non conoscono sufficientemente i metodi adatti allo studio scientifico dei fatti nuovi e dub
biosi. Questi sono, per esempio, gli e sperimenti eseguiti dagli spiritisti
con una membrana o con delle bilancie. > 8. Ogni volta che degli spiritisti fu
rono invitati, o che si sono offerti a
provare coll' esperienza ciò che essi af fermavano nei circoli delle
persone che conoscono le scienze esatte,
esse si sono volentieri messi all'
opera, maognivolta hanno interrotte le
prove, hanno allonta nato i medium e si sono lagnati delle prevenzioni degli esperimentatori, appe na
trovarono che i fatti osservati erano
sottomessi ad un esame critico.
> 9. Allorquando lo studio dei feno meni spiritici è stato circondato
da pre cauzioni atte a mettere in luce la
tano denominazioni analoghe a quelle
dei medium. E ciò è quanto la
Commissione ha pure constatato nelle sue
osservazioni sui tre medium inglesi, che
le furono presentati dai nostri
spiritisti. Fondandosi sul complesso di
ciò che essi hanno appreso e veduto, i
membri della Commissione sono unanimi
nel for mulare la seguente conclusione: ifeno meni spiritici provengono
damovimeuti involontari e da una
impostura consa pevole, e la dottrina spiritica è una su perstizione. Firmati: i membri della Commis sione: Bo
Bylef, aggregato di fisica al l'Università di Pietroburgo.- Borgman, preparatore al gabinetto di fisica del l'
Università di Pietroburgo Bouly guine- Hezehus, licenziato in fisica Elenef
preparatore al laboratorio di chimica
dell'Università di Pietroburgo-Krajëvitch, maestro di fisica all' isti tuto
delle miniere e alla scuola degli
ingegneri-Latchinof, maestro di fisica
all' istituto agronomico di Pietroburgo
Mendèleief, professore di chimica al l' Università di Pietroburgo-
Perrat, professore dimeccanica-Pétrouschevski, professore di fisica all' Università di
Pie-- troburgo- Khmolowsly, maestro di
fi sica
Van der Vliet, aggregato di fi sica all' università di Pietroburgo. Pietroburgo.
Spiritualismo. Dottrina di co loro i quali credono all'esistenza
dello spirito. La filosofia
spiritualista è essen zialmente cristiana, nè vi è esempio tra i filosofici pagani, il qualeprovi che gli antichi
concepissero l' anima secondo
l'astrazione dei moderni spiritualisti.
Anzi, alcuni tra gli stessi padri della
Chiesa concepirono l'animain un senso
affatto materiale, come una sostanza
sottilissima, ma tuttavia molto diversa
daquella dello spirito. (Vedi ANIMA,
SPIRITO). Tra i filosofi cristiani, non
mancarono coloro che, come Priestley,
riconobbero non essere necessario am mettere l'esistenza di uno spirito
per spiegare i fenomeni del pensiero,
giac chè Dio ha benissimo potuto dare alla
materia la facoltà di pensare, come le
ha dato quella di muoversi e di agire.
Anche Voltaire, che era Deista, aveva
sposato questa opinione V. SPIRITISMO.
Sensibilità. Suolsi definire la
sensibilità la facoltà di sentire; poi la si considera come un fatto reale in se stesso ben distinto dalla sensazione. Ma se i metafisici facessero attenzione più alla sostanza delle cose di cui trattano, che alle parole colle quali le definisco no,
si accorgerebbero che la sensazione
contiene già in se stessa la sensibilità, giacchè non vi può essere sensazione che non sia sentita. Anzi, a propria mente
parlare, la sensazione non è al tro che l'atto col quale sentiamo che una modificazione si è prodotta in noi. Or che cosa è la sensibilità? L'astra zione
appunto di questo atto, e non per altro
questo vocabolo entra nella cate gioria dei nomi astratti. Sensibilità è
la possibilità di sentire. Ma questa
possi blità é qualche cosa od è niente? Per
essere qualche cosa bisognerebbe rap presentarcela in azione; ma nel mo
mento in cui la sensibilità é, per così
dire, in atto, essa diventa sensazione.
Se poi si considera la sensibilità non
in atto, essa non ha niente di reale in
se, e indica solamente la facoltà che
hanno gli esseri vivi di provare sen sazioni. Questo così elementare ragionamento basta a mostrare la vacuità di tutte le disquisizioni che i metafisici si
credono in dovere di fare sulla
sensibilità e mi limito a rimandare il
lettore all' arti colo SENSAZIONE, per quella stessa ragione che un professore di meccanica, do po avere
lungamente parlato del movi mento, troverebbe affatto inutile didilun garsi
sulla mobilità, la quale non è unacosa
in se, ma una semplice parola creata per
indicare che icorpi possono entrare in
movimento. Cionondimeno un filosofo
contemporaneo, il signor A. Franck
membro dell' Istituto, ha tro vato il modo di scrivere molte pagine intorno a questa voce, sulla quale ci dà delle notizie veramente peregrine, come, per esempio, questa che non mi sarei certamente immaginato di dover leggere nei nostri tempi: « La sensibilità, se
si eccettuano le passioni, che sono
l'opera dell' uomo, é un movimento che
emana da Dio, una azione immediata della
sua potenza, che ci inclina senza
costrizione verso il nostro fine, e ci
penetra senza assorbirci ». Io capisco
bene che col l'intervento del Deus ex machina, i metafisici spiegano facilmente ogni
cosa, ma sarebbe pur tempo che siffatti
me schini espedienti fossero lasciati ai te ologi. Senso comune. (Dottrina del) Da tempo immemorabile teologi e filo sofi
cattolici hanno combattuto lo scet ticismo coll' autorità della rivelazione
e col senso comune, o consentimento u
niversale. L'esistenza di Dio, la verità
della fede, la stessa autorità della rive lazione, dicevano
certissimamente con fermate dall' universale consentimentodi tutti gli uomini, i quali in tutti itempi ein tutti i paesi hanno creduto e cre dono in
un Ente creatore e conserva tore del mondo. Finché le cognizioni antropologiche ed etnologighe furono limitate a poche relazioni di
missionari, che d'altronde non erano
divulgate, questa dottrina sembrò fare
buonapro SI e va; ma quando le comunicazioni
stesero e numerosi viaggiatori intrapre sero lo studio dei costumi de'
popoli lontani, appari chiaramente che
questa supposta unanimità di credenza
erame SENSO COMUNE ramente effimera; che
vi sono popoli increduli o credenti in
esseri che non possono in alcuna maniera
riferirsi al Dio metafisico immaginato
dai cristiani. (ν. ΑTEL, DIO,
IMMORTALITÀ, SPIRITO). Nemmeno come
principio la dottrina del senso comune
potrebbe addursi in prova di
checchessia, giacché l' ade sione unanime di tutti gli uomini non 173
Fra gli autori cattolici favorevoli
alla dottrina del senso comune, vuol es sere ricordato Lamennais. Egli
ha detto che i nostri sensi c'
ingannano, che la ragione individuale è
impotente a sco prire la verità, e che l'uomo ridotto alle sue sole risorse, non potendo cre
proverebbe che le cose sulle quali vi ė
unanime accordo siano vere; essa pro verebbe solamente che gli uomini
si accordano a ritenerle tali; ogni di
più eccederebbe i limiti del sillogismo
e costituirebbe una conseguenza i princi
pii della quale non sarebbero contenuti
nella premessa. Infatti, perché
la conseguenza fosse corretta, il
sillogismo dovrebbe costru irsi così:
dere, nè a Dio, nè all' universo, nè a
se stesso, cadrebbenel più assoluto scet ticismo. Solo rimedio efficace
contro il dubbio egli credeva che fosse
l' univer sale consentimento, fondato sulla tradi zione costante dell' umanilà
alla quale é stato rivelato quel vero
ch' essa stes sa è impotente a scoprire. Ma come si potrebbe consultare questo senso co mune?
Lamennais trovava che il mezzo era molto
semplice. LaChiesa cattolica, legittima
depositariadella tradizione, era anche
l'organo per mezzo del quale la Ciò che
tutti gli uomini credono sic- tradizione parlava; e il papa che é il come vero, é vero realmente. Tutti gli uomini credono in Dio. Dunque Dio esiste realmente. Ma, domando io, esiste un solo filo sofo il
quale sia disposto ad ammettere la
maggiore di queste premesse? Io non lo
credo, giacché non vi é alcuno che non veda
a quali stolti giudizi esso ci
condurrebbe. Se ciò che tutti gli
uomini credono é realmente vero; tutti
hanno creduto che il sole si muovesse
intorno alla terra; dunque sarebbe vero
che il sole si muove! Con questo
principio non vi sa rebbe errore santificato dai secoli e dal l'ignoranza che
non potrebbe essere di mostrato per vero; e allascienza non re sterebbe altro
che raccogliere le antiche credenze,
siccome le più attendibili e le più
universalmente credute. (v. CERTEZZA REID).
Nella stessa religione il principiodel
senso comune potrebbe essere rivolto
contro la verità di molti dommi; e per fino il cristianesimo dovrebbe
essere con siderato come una falsa rivelazione,
quando fosse confrontato colla gran
maggioranza dei settatori di altre reli gioni (V. RELIGIONI). capo visibile di questa Chiesa ne era il legittimo interprete (Essai sur l'indif
ference). Grazie e questo consentimento
uni versale, Lamennais conferiva alla ragione
umana collettivamente, ciò che singolar mente rifiutava ad ogni ragione
parti colare, e concretava poi in un solo uo mo la collezione di tutte queste
ragioni. Finché Lamennais si attenne a
questa si poco liberale applicazione
della dot trina del senso comune, la Chiesanulla trovò a ridire; ma venticinque anni ap
presso, quand' egli, piegandosi al movi mento generale del pensiero, dettò l'E
squisse d' une philosophie, nella quale,
pur sempre restando prete, cessò di in carnare nella Chiesa cattolica la
rap presentazione della ragione collettiva
dell'umanità, papa Gregorio XVI trovò
che quella dottrina era vana, futile e
incerta, e solennemente la riprovò nel
modo che segue: « Egli é assai deplo revole il vedere in quale eccesso
di de lirio si precipiti l' umana ragione, al lorché l'uomo si lasciapigliare
all'esca. della novità, e sforzandosi,
malgrado l'avvertimento dell' apostolo,
a riescire piu saggio di quel che
abbisogni, troppo fidente di se, reputa che la verità possa cercarsi fuori della cerchia della Chiesa cattolica stupenda definizione che
ha solamente il difetto di non esser
chiara; manon si può volergli male per
que sto: il miglior professore di sentimen talismo non potrebbe dircene di più. Servet Nasce a Villanova nell' Aragona. Si recaa Tolosa per studiarvi il diritto, che abbandonò poi per dedicarsi inte ramente
alla teologia. Fra tutti i dommi
religiosi quello della trinità gli parve
il più strano, e il mendegno dellapub blica fede, sicchè cercò di
renderlo, se non altro, più
intelligibile, considerando le tre
persone divine come la semplice
manifestazione di un solo Dio. Trovata
questa spiegazione per lui soddisfacente; sperò che i capi della riforma in Ger mania
sarebbero stati del suo avviso; ne
scrisse perciò ad Ecolampadio, ed egli
stesso si trasferì a Strasburgo per
conferire con Bucero. Ma ildabben uo mo non aveva pensato che i capi
della riforma erano per lo meno tanto
intol leranti quanto i papisti: egli fu detto
un bestemmiatore ed un messo del
diavolo » e Zuinglio trascorse fino a
maledire il maledetto e scellerato Spa gnuolo. Nonostante questa
opposizione pubblicò nel 1532 il libro
sugli Errori della Trinità e l'anno
seguente i Dia loghi sulla Trinita. Lo scandalo destato da questi due scritti fu tale, ch'egli
si vide costretto a cambiar di nome e
a rifugiarsi a Lione, ove visse
parecchio tempo in una tipografia, correggendo | lo calunnia, lo insulta, nè si
sta pago, bozze di stampa. Fatto che
ebbe qual finchè la sentenza di morte è pronun che risparmio, si trasferì a
Parigi, ove stu diò le matematiche e la medicina,scienze nella quale fu addottorato. Dopo avere professato nel collegio dei Lombardi, Pietro Paumier, suo discepolo nominato vescovo a Vienna nel Delfinato, lo chia mò
presso di senellaqualitàdimedico. Servet
visse così tranquillamente dodici anni,
nel qual tempo alternò i suoi studi di
medicina con quelli di teologia, e venne
compilando un libro col titolo
Restitutio Cristianismi, nel quale in tendeva di proporre una
nuovariforma della religione. Prima di
pubblicarlo egli entrò in corrispondenza
con Calvino, sperando forse di poterlo
trarre alle sue idee. Ma dopo parecchie
lettere, il capo della riforma di
Ginevra, irritato forse dall'
ostinazione e dalle arguzie di Ser vet, ruppe ogni commercio con lui. Intanto il Servet mandò alla stampe il suo libro, e poichè trovavasi in
paese cattolico, lo fece imprimere con
tutta segretezza, ma non tanto che
Calvino non ne avesse sentore. Il furore
teolo gico allora invase costui a tal punto,
ch'egli, capo della riforma, non temette
di far denunciare il suo avversario al l' inquisizione cattolica. In
quell' occa sione, dice Gabriel, Calvino si mostra talmente acciecato dal fanatismo, che perde perfino le nozioni distinte del bene e del male » (Hist. de l' Eglise de Genève T. 2).
ciata contro di lui e, mandata ad
esecuzione mediante il rogo. Benchè
oltre ogni dire abbattuto, Ser vet rifiutò mai sempre di ritrattare le sue opinioni, anche allora che gli fu promesso di convertire la penadimorte mediante il rogo,conquellaper la spada. Egli perì tra le fiamme dopo mezz' ora di inauditi tormenti. Tra i capi d'accusa della sentenza si leggono questi, i quali possono
mettere in luce quali fossero le eresie
che cat tolici e protestanti imputavano a Servet. « Item. Ha spontaneamente confes sato che nel
libro Christianismi resti tutio egli chiama trinitari edatei coloro che credono nella Trinità. io, con è fatto arrestare dall' inquisizione
e sot- tinua Calvino, essendo corrucciato di
toposto a processo. Un giorno però gli una assurdità si grossa, replicai
di ri vien fatto di fuggirsene; egli pensa di scontro: come, povero uomo, se
qualcuno recarsi a Napoli per
esercitarvi la me- battesse col piede questo pavimento, e dicina, e per la via delle Alpi scende a
dicesse che calpesta il suo Dio non i Ginevra all' osteria della Rosa. Appena
norridiresti di aver assoggettata lamae Calvino ha sentore dell' arrivo a Gine-
stà di Dio ad un tale obbrobrio? Allora
vra del suo avversario, tostolo denun- egli rispose: io non dubito
menoma cia all' autorità criminale, e mette in mente che questo banco e questa
cre cauzione il suo stesso segretario accioc- denza e tutto ciò che si potrà
mostrare chè, secondo le leggi d'allora,
avesse non sia la sostanza di Dio. Nuovamente
egli la parte di accusatore. Egli assale gli fu opposto che, a parer
suo, dun il suo avversariod' innanzi al Consiglio, | que il diavolo sarebbe
sostanzialmente SESTO EMPIRICO 477 Dio. Ridendo, egli arditamente rispose: |
dallo affermare qualcosa,così senza mal
ne dubitate voi? Quanto ame tengo per
massima generale che tutte le cose sono
una parte e porzione di Dio, e che ogni
natura è il suo spirito sostanziale ».
animo contro altri, eglino espongono
le proprie dubitazioni sopra ogni ma niera di discipline; dacchè non
rinven Sesto Empirico. Il luogo e il
tempo preciso della nascita di questo
filosofo si ignora. Sulla fe le di Diogene Laerzio che lo annovera tra i discepoli di Erodoto di Tarso, si crede general mente
ch' egli sia fiorito verso il prin cipio del terzo secolo, e che sia origina
rio d' Africa. Ch' egli fosse medico ed
esercitasse l'arte salutare non è dub nero in nessuna la verità che
cercavano con gli studi. « Nega, anzi
tutto, l' esi stenza della disciplina, argomentandone e dalla indeterminata controversia dei filosofi circa la essenza sua e dal non potersi affermare quale si è la cosa in
segnata, chi l'istruttore, chi l' ammae strato, e quale il modo dello appren
bio, poichè egli stesso lo afferma; e che
fra i medici egli appartenesse alla setta degli empirici pare altrettanto certo, per quanto dice Diogene, e per lo stes so
nome di Empirico che gliene è de rivato. Null' altro si sa della sua vita, nè pure delle sue opinioni in medicina, giacchè le sue Memorie di medicina❘le, nè la istorica, né quella che con andarono
perdute. dere. E come i principii e il
metodo generale della asserita
disciplina si por gono della grammatica; chiamandola unalusingatrice sirena, entra
sottilmente amostrarla arbitraria ne'
propri ele menti, nelle leggi stabilite per le sil labe, pei nomi, per
lametrica, per l'or tografia, per la etimologia; e ne deduce non esistente nè la parte sua artificia cerne
i poeti e gli scrittori (L. 7) e tanto
meno quella chehaper iscopo di rizzata
la filosofia di Pirrone. Nel suo libro
Contro i matematici, egli confuta i
dommatici inqualsiasi scienza, i gram matici dapprima, quindi i rettorici,
i geometri, gli aritmetici, gli
astrologi, e i musici. Più conosciute
sono le sue Ipotiposi pirroniane, che
furono tra dotte in francese prima da un tal Huart col titolo: Les Hipotiposes ou Institu tions
pirroniennes (Amsterdam 1725) e poi da
Samuele Sorbière. L'autore riproducendo
le obbiezioni di Pirrone contro i
dommatici si di chiara apertamente in favoredegliscet Sesto Empirico é invece
conosciu tissimo nella filosofia per avere volga- persuadere, ossia la
rettorica (L.). Passa ai Geometri; e subito toglie concludenza alle loro argomentazioni chiarendo inefficace ogni discorso che non abbia base dimostrata, come sono i loro; costruiti sopra ipotesi, e con principii egualmente indimostrabili (qua li
il punto e la linea), e da cui nessu no può mai nulla togliere nè tagliare (L.) Conlo stesso argomento della impossibilità di aggiungere o sottrarre qualcosa, confuta le teorie degli arit metici
massime pitagorici (L.). Ingegnosi ed afforzati da giusta erudizione, sono gli argomenti contro gli Astrologi Caldei i quali, dice, in vario modo fanno onta alla vita, fab
bricandoci una grande superstizione, nè
consentendoci operare nulla confor. me a
ragione (L.) tici. Le parti principali
di questo libro vôlto in italiano da
Stefano Bissolati, essendostate
riprodotte all'articolo PIR RONISMO, gioverà qui citare il sunto che lo stesso antore dà del libro contro i matematici.
> Siccome i pirroniani accostatisi
alla filosofia per desiderio di incontrarsi al vero, e non lo avendo trovato in nessuna parte, per l' eguale peso di ra gioni
che stanno in tutte, si astennero >
Pur accordando che dalle armo nie si sia potuto trarre bene, e dol cezza, e
conforti; incalza i musici col mettere
in aperto la nonesistenza delle
modulazioni e de' ritmi (L. VI).
> Spiegata la forma generale della 478 SOCINIANISMO
scettica, viene alla particolare, ossia a quella che parzialmente combatte la filosofia divisa in razionale, naturale, morale. Nel primo libro (L.) contro i logici diffusamente espone e sottil mente
oppugnaquanto erasidetto, circa il
criterio della verità, dai filosofi che
ne negavano la esistenza e da chi la
ammetteva; bene avvertendo essere que sta la suprema delle indagini.
Giac ché o non si trova la regola per cui
conoscere la vera esistenza delle cose,
ebisognerà finirla coi grandiosi vanta menti dei dommatici; o
scorgerassi qual cosa che valga acondurci allacompren sione della verità, e
meriteranno censura di audaci gli scettici
che sanno andare contro alla comune
credenza. « Nel se condo (L. VIII) discorre in particolare del vero, del segno, degli oscuri, della dimostrazione, della materia della di
mostrazione e se la dimostrazione esi sta. E poiché ha concluso che tutto
è incomprensibile e indimostrabile; e
con tro l' obbiezione che, quando non ci
abbia possibilità di dimostrazione, an che il discorso dello scettico
non vale ed egli non può trarre arma che
ab batta il dommatico, risposto con l'ar gomento dato nel Libro I. c. 8 delle Istituzioni; entra in lotta (L. IX) coi Fisici. E la critica è intorno i
principii naturali, gli dei, la causa e
l'effetto, circa il tutto e la parte e
sopra il cor po; e appresso dice contro del luogo, del moto, del tempo, del numero,della generazione e del corrompimento. Chiu de la
serie dei combattimenti opponen do ai filosofi moralisti sopra i sette punti fondamentali dell' etica: quale
sia il bene, e il male, e
l'indifferente; se per natura ci sieno
il bene e il male; se pure ammessa la
esistenza del bene e del male in natura,
sia possibile il vi ver felice; se chi astiensi dallo ammet tere o dal negare
l'esistenza del bene e del male,
incontri ed essere felice, se una
qualche arte si trovi per con durre la vita; e se quella possa venire insegnata ».
Socinianismo. Dottrina inse gnata da Lelio e Fausto Socino, con traria
alla Trinità. Nel 1546 dopochè le
dispute di Lutero ebbero fatto ri sorgere il gusto per le controversie re
ligiose, alcuni nobili stabilirono in Vi cenza una Accademia collo scopo
di discorrere di siffatte materie. Lelio
So cino era nel numero di costoro, i quali
interpretando le scritture, dommatizza rono che vi è un sommo Iddio che hacreato tutte le cose pel ministero del suo Verbo, che il Verbo è Figlio di Dio; che il Figlio di Dio è Gesù di Nazareth; e che Gesù di Nazareth è un uomo. Questadottrinanon faceva molto onore alla logica dei novelli Accade mici; e
tutto ciò che vi era in essa di chiaro
era la riproduzione della eresia di Ario
( Vedi ARIO) che negava la divinità di
Gesù, e la sua consustan zialità col Padre. Ma di pensare inque sta guisa in
quei tempi, nemmeno ai nobili era cosa
lecita,laonde, saputasi la cosa, il
governo ne fece arrestare alcuni che
mandò amorte; mentre altri, tracui il
Socino, si rifugiarono nella Polonia
dove l' unitarismo aveva fatto de' sen sibili progressi. Lelio Socino fu
ospi tato dai nobili Polacchi, ma morì a
Zurigo il 17 Marzo 1562 senza aver
fatto molti proseliti. Alcuni anni dopo
Fausto Socino nipote di Lelio, dopo
aver brillato alla Corte ducale di To scana, divisò d' intraprendere la
car riera teologica dello zio; fu a Basilea,
quindi nella Transilvania, e finalmente
l'anno 1579 giunse in Polonia. Quivi,
posto al sicuro dalle persecuzioni cat toliche, non men che da quelle
dei nuovi protestanti pure tremendi
nelle loro vendette, armeggiò contro
Lutero e Calvino e ottenne di riunire in
una sol comunione le trenta e più Chiese
an titrinitarie che esistevano nella Polonia.
Morì nella villa di Luclavia l'anno 1604
e sul suo sepolcro fu posto un epitafio
latino che diceva così: Lutero distrusse
il tetto di Babilonia, Calvino ne ro- vesciò le muraglie, ma Socino ne
strap SOFISMA pò le fondamenta. Dopo la
morte di Socino non si spense l'eresia
sua. Molti nobili erano venuti al suo
partito, e questi in sì buon numero che
nella Dieta riuscirono ad avere il
sopravvento e a far proclamare la
libertà di coscienza. 479 Nome dato da Augusto Comte alla fi losofia
della storia. Nel sistema positi vista essa costituisce la prima parte della filosofia morale, e si propone di scoprire le leggi costanti che reggono la successione degli avvenimenti sociali. Ma non andò molto che Cattolici e Protestanti insieme intolleranti che si negasse la divinità di Gesù, unirono i loro suffragi e riuscirono a far décre tare
che i Sociniani, o rientrassero in una
delle chiese tollerate, o uscissero dai
confini dello stato; il qual decreto fu
il segnale della persecuzione gene rale di tutti gli stati contro i
Sociniani che riparavano entro i lor
confini. Dal catechismo di Cracovia
compilato da Socino si deducono i
seguenti prin cipii fondamentali della sua dottrina. 1. La sacra Scrittura è la sola regola di fede, ed è interpretata dalla
ragione. 2. Conseguenza di questo
principio è che i dommi della Trinità,
della Incar nazione, della Divinità di Gesù Cristo, del Peccato originale, i quali non sono chiaramente annunciati nella Scrittura, non hanno diritto alla nostra fede. 3. Del pari la creazione dal nulla non è domma comprensibile nè credibile, poi chè Dio non chiaramente lo palesò nella Scrittura, dov' egli forma il mondo da una materia preesistente ( Vedi "CREA
ZIONE). 4. Gesù è il divin verbo, figliuol
di Dio; Dio manifestatosi in carne, ma
questi simboli usati dai Sociniani non
hanno per loro che un senso puramente
metaforico. 5. Il battesimo e la cena,
come credono i protestanti, sono i due
soli sacramenti istituiti da Gesù, ma
non hanno altra virtù che quella di
eccitare la fede. 6. La risurrezione della carne è impossibile, le pene eterne in
giuste: le anime dei malvagi saranno (V.
POSITIVISMO). Sofisma. Chiamasi cosi
ogni sil logismo il quale, sebbene lasci intendere di condurre a conseguenze assurde, pure presentasi con certe forme sotto le
quali si è imbarazzati a scoprirlo, o
almeno si è imbrogliati a dire in qual
parte il ragionamento sia falso e
capzioso. Varie classi di sofismi si
distinguono nelle scuole, e a ciascuna
classe l'antica filosofia ha applicato
uno special nome. Prima classe.
Grammatica fallace o amfibologia; sorta
di sofismi che deri vano o dall' ambiguità dei termini o dall' equivoco. Esempio: Dio è dovunque; dovunque è un avverbio, dunque Dio è un avverbio.
Seconda classe. Ignoratio elenchi ;
consiste nell' ignoranza del soggetto in
questione. Terza classe.
Petizione di principio. Succede quando
si vuol spiegare lacosa che è in
questione, con un' altra cosa che essa
stessa dev' essere provata, per cui si
torna ancora alla questione di
principio. Esempio: La Bibbia è infal libile perchè lo afferma la
Chiesa; la Chiesa è infallibile perchè
lo afferma la Bibbia; dunque la Bibbia e
la Chiesa sono infallibili. Si capisce
facilmente che i libri dei teologi sono
pieni di petizioni di principio. Quarta classe. Del falso supponente. Supporre vero il falso è vizio più co mune di
quel che si pensa, ond'è che in questa
classe di sofismi cadono facil mente i credenti, i quali deducono lo
annichilate. A niuno è lecito guereg- giche conseguenze da falsi
principii. giare nè reclamare in
giudizio la ripa razione di una ingiuria, essendo queste cose chiaramente divietate dal Vangelo, equesto principio fu comune ai Qua CHERI e
agli ANABATTISTI. Sociologia, o Scienza
sociale. Quinta classe. Non causa pro
causa. Prendere per causa ciò che non è
causa. In quest' anno è succeduta una guerra;
ma la guerra è stata preceduta dalla
comparsa di una cometa; dunque la co
meta è stata la causa della guerra. SONNO E SOGNI Sesta classe. Consequentis. Sofisma | tative,
e sopprime solamente ifenomeni che si fa
quando si reciproca dove non della coscienza, della volontà, i movi si può,
perchè il soggetto della propo- menti muscolari e l' attitudine dei nervi sizione non contiene tutto il suo predi- a
trasmettere le sensazioni. La respira cato. Ogni cubo è una figura, dunque
zione e la circolazione deifluidi durante
ogni figura è un cubo. Settima
classe. Fallacia dicti non simpliciter.
Si fa quando da quel che è vero in parte
si conchiude che è vero in tutto.
Esempio: Pietro è buono; ma Pietro è
pittore; dunque Pietro è buon
pittore. Sonno e Sogni. Il sonno
e i sogni sono stati argomento di non po
che controversie tra i psicologi, e hanno
fornito a Dugald-Stevart l' occasione di
un serio studio, per determinare quale
sia lo stato dell'anima nel sonno. I
fisiologi poi si sono occupatidello stesso argomento per stabilire di qual natura sia la funzione fisiologica del sonno, e inqual maniera essa succeda. Comin cerò da
quest'ultimo argomento, dal quale
principalmente dipende la solu zione del problema che si sono propo sti i
psicologi. Cabanis ha definito il sonno uno
stato che non è puramente passivo, ma
che è una funzione particolare del cer vello, la quale succede quando si
sta bilisce in quest' organo una serie di
movimenti particolari, la cessazione dei
quali conduce il risveglio (Rapport
du physique et du moral). Que sta proposizione avrebbe bisogno di es
sere provata, né alcuno ha ancor po tuto determinare quali siano i movi menti
intracerebrali che producono e
mantengono il sonno. Buffon ha detto
più genericamente, ma perciò appunto
con maggior verità, che il sonno
é un modo di esistere altrettanto reale
e più generale che ogni altro; che
tutti gli esseri organizzati i quali
mancano di sensi esistono in questa
maniera (Hist. nat.). Questa definizione mi
pare preferibile a quelle più o meno
ampollose, date da vari fisiologi. In ef fetto, il sonno lascia intatte
tutte le funzioniche, sarei tentato di
dire, vege il sonno continua regolarmente, ma i
nervi riposano, e coi nervi il cervello. Tuttavia questo riposo non
succede immediatamente e in un sol
tratto per tutti gli organi.
Generalmente laprima azione che si
sospende è lamuscolare; le membra si
rilassano e cadonopel pro prio peso restando immobili nella posi zione che si
sono scielta e secondo la disposizione
delle articolazioni. Dumeril ha
dimostrato che nessuna azione vo lontaria nè alcun sforzo muscolare de vono
esercitare gli uccelli per mante nersi dritti sui rami durante il sonno. Egli sostiene che uno dei tendini del crurale passa sulla rotella per unirsi
ai tendini motori dei pollici,
cosicchè quando lagamba degli uccelli è
pie gata, i pollici si trovano mantenuti nella
flessione in una maniera fissa, perma nente e solida, quantunque
passiva. Durante il sonno tutti isensi
dimo rano in uno stato di riposo. Non biso gna però confondere questo stato
colla soppressione assoluta della
sensazione, poichè se ciò fosse si
correrebbe peri colo di non svegliarsi più. Il sonno ot tunde i sensi, ma non li sopprime, e numerosi esempi ci dimostrano che la semplice eccitazione di un senso basta a svegliarci. Spesso però accade che quando l'eccitazione non è sufficente mente
forte e che il sonno è profondo, la
sensazione avvenga senza essere per cepita. L'uomo addormentato spesso si toglie da una posizione incomoda, ed eseguisce dei movimenti muscolari. La luce, dice il Prof. Longet, può manife stare
durante il sonno la sua azione sulla
retina senza che visia percezione.
Infatti le pupille dell' uomo che dorme
in un luogo oscuro sono dilatate, men tre quelle di chi si addormenta
alsole cogli occhi rivolti verso quest'
astro sono contratte, come si
contraggono SONNO E SOGNI eziandio
quelle di chi, senza svegliarsi, sia
fatto passare dall' oscurità alla luce.
Il Prof. Longet attribuisce quest' azione a un movimento riflesso dell' asse ce
187 Gli spiritualisti si sono proposti
il problema: Quale è lo stato delio
spirito rebro spinale. É certo però che
alcune volte l'impressione luminosa
giunge fino all' encefalo ed è da noi
percepita sebbene spesso non sia così
forte per svegliarci. L'udito è l'ultimo senso che si ad dormenta.
Già i muscoli sono nel riposo, e
l'occhio più non percepisce la luce,
quando encora persiste l' udito. La vi sta trova nelle palpebre un
riposo con tro le moleste impressioni esteriori, ma I'udito non ha mezzo alcuno per sot trarsi
naturalmente all' azione dei suoni,
Quest' organo, dice Longet, che è il più
ribelle alle influenze del suono, è ezian dio quello che più resiste
agli attacchi della morte: si ode ancora
dopo che tutti gli altri sensi hanno
cessato di vivere, nella stessa maniera
che si ode ancora quando tutti gli altri
sensi dor mono. É per l' organo dell' udito, con tinua Longet, che penetrano
sovente le influenze soporifere, ed è
per il suo in termediario che gli altri sensi dormono mentre esso veglia ancora. Però que sta
osservazione non mi pare esatta, giacchè
se è vero che certi rumori mo notoni sembrano conciliare il sonno, è pur vero che questo fatto non può at tribuirsi
ad altro che ad una nostra illusione.
Infatti, niuno può negare che il
silenzio sopratutto sia favorevole al
riposo, e che chi si addormenta nel si lenzio è senz' altro svegliato da
ogni piccolo rumore. Che se noi
riusciamo ad addormentarci nonostante
certi ru mori regolari e continuati, ciò si deve attribuire al fatto che tutte le impres sioni
eguali e continuate, divenendo, do po un certo tempo, abituali, l'organo finisce per adattarvisi e a restarvi pres
sochè indifferente. É in questa maniera
durante il sonno? E tutti si sono ac cordati nella sentenza, che durante
il sonno lo spirito non è come il
corpo in uno stato speciale, ma ch'esso
ve glia sempre. Essi erano condotti neces sariamente a questa affermazione,
dalle conseguenze imperiose del loro
sistema, imperocchè ammessa che sia una
so stanza semplice, indivisibile, immutabile
ed essenzialmente pensante, com'è lo
lo spirito, la cessazione del pensiero
non avrebbe potuto a meno di condurre
la cessazione o la modificazione della
sostanza. Ma nè lo spirito può cessare
di essere senza diventare mortale, nè
può trasformarsi, perchè essendo sem plice e indivisibile ogni
trasformazione cambierebbe
essenzialmente la sua na tura. Gli spiritualisti hanno perciò as serito che nel
sonno del corpo la vo lontà esiste pur sempre, tuttochè perda la sua influenza sui membri del corpo. Io
consento che il corpo del Si gnor Voltaire sia trasportato senza ce rimonia,
rinunziando a questo riguardo a tutti i
diritti curiali che mi competono. Attesto e dichiaro che io sono stato chiamato per confessare Voltaire, che ho trovato, permancanza di sentimenti, incapace di essere ascoltato in confes
sione Non tocca a noi parlare delle
opere semplicemente letterarie di
Voltaire ed esporne i pregi ed i
difetti. Non accen neremo quindi che i suoi lavori filosofici e quelli che hanno una qualche re lazione
colla filosofia. Presentasi prima il
saggio sui co stumi e lo spirito delle nazioni, che è forse l'opera più ragguardevole usci ta
dalla sua penna. Con tutt'altro scopo
continua il lavoro omonimo di Bossuet,
rire in pace! Il curato di S. Sulpicio | incominciando ove questi
fini,dalla fon ciò udendo, rivolto ai circostanti: voi dazione, cioè,
dell'Impero diCarlomagno. VOLTAIRE Ma
mentre Bossuet proponevasi di ser vire alla gloria ed al consolidamento della religione cattolica, Voltaire invece combatte arditamente per avvilirla, anzi per distruggerla. Bossuet riferisce alla istituzione del cristianesimo come al loro unico fine tutti gli avvenimenti:
Voltaire gli attribuisce come a vera
causa di quasi tutti i delitti e dei
mali che desolarono l'universo dalla
fondazione dell'Impero d'occidente in
avanti. Implacabile nella ricerca del
vero, distrugge, nella sua rapida corsa
attraverso i secoli, la fa di Voltaire vogliono essere menzionati le Questioni sull'enclopedia, pubblicate in seguito col titolo, per vero poco me
ritato, di Dizionario filosofico; il Filosofo ignorante; La bibbia infine spie
gata; Esame importante di milord Bolinbroke; Commentario su Malebranche, Trattato della tolleranza; Storia dello ma di civilizzatore usurpata dal cristia
nesimo, lacera il velo che copriva le
infinite infamie commesse dal clero e
dai suoi seguaci in nome della religione, ne palesa le debolezze, i vizi e i de litti,
imprimendo al papismo ed ai suoi
ministri un marchio disonorante che
non potrà più venir cancellato. Così
l'opera spetta meglio alla filosofia che
allastoria, perché gli avvenimenti vi sono riferiti non tanto per sè stessi, quanto come argomento alle riflessioni che vi fanno seguito. Fedele al suotitolo
attende principalmente a far conoscere i
costu mi e lo spirito delle nazioni, e nulla
conveniva meglio al suo ingegno tanto
abile nel cogliere i tratti caratteristici dei costumi, degli usi, delle opinioni e dei pregiudizi. Poche letture poi sono dilettevoli quanto i romanzi di Voltaire, e quasi tutti hanno uno scope filosofico. Cosi Candido,
quadro giocoso delle miserie della vita
umana è una confutazione del sistema
ottimista, che già l'autore aveva
combattuto in modo più serio manon più
efficace nelpoema: il Disa stro di Lisbona. Mennone tende a pro vare che il
proporsi di essere perfetta mente ragionevole è pretta pazzia, tanto gli avvenimenti trascinano l'uomo con maggior forza de' suoi propositi. I Viaggi di
Scarmentado, la visione di Babuc,
Micromegas ecc; celano sotto finzioni
d'ordine naturale qualche principio di
filosofia speculativa o qualche verità di morale pratica. Tra i libri di filosofia stabilimento del cristianesimo; e molti scritti minori. La maggior parte di
queste opere comparve sotto una quantità
di pseudonimi, ch'egli per la necessità
di nascondersi, cambiava ad ogni tratto. Senonchè quando alcune volesse de terminare
in che precisamente consista la
filosofia di Voltaire, arrischierebbe di
trovarsi gravemente imbarazzato. La sua,
più che altro, è una dottrina nega tiva: sottrarre l'umanità al predominio di quell'ammasso informe di assurdi e di pregiudizi che costituiscono le reli gioni
rivelate, ecco l'unico concetto che
predomina nelle numerosissime opere di
Voltaire. Le altre questioni filosofiche
lo preoccupano generalmente benpoco:
talora con quell'acutezza onde il suo
genio getta così spesso splendidi lampi,
d'una sola frase incisiva affronta e ri solve i problemi più difficili:
talora in vece si lascia trascinare daidee precon cette, cade in inesplicabili
contraddi zioni, e assale con indegni improperi i materialisti più illustri, tali che Hol bach
e La-Mettrie ch'egli combatte, non già
argomenti, ma col sarcasmo. Leggendo gli
scritti di Voltaire più volte accade di
trovarlo in contraddizione con sè
stesso, sì perchè sovente egli stesso si
compiaceva di occultare il suo pensiero,
sì perchè talora le sue idee stesse si
vennero modificando. Ad esem pio, mentre nel 1839 in una lettera ad Helvetius egli sostiene il libero
arbitrio, nel Filosofo ignorante,
partendo dal principio che nessun effetto
vi è senza causa, conclude che se noi
siamo liberi di seguire gl'impulsi
dellanostravolontà, questa volontà è
però necessariamente determinata da
cause. Voltaire si dichiarò più volte puro
sensista ; la teoria delle idee innate
sembrava a lui come già a Locke il
nec plus ultra dell'assurdo. A convin cersene basta leggere in
Micromega il brano in cui adopera la sua
sottile ironia contro quel paradosso: »
Il car tesiano prese la parola e disse: l'anima
è uno spirito che nel ventre della ma dre ricevette tutte le idee
metafisiche, e che uscendone è obbligato
di andare alla scuola per imparare tutto
ciò che sapeva così bene e che non saprà
più. Non valeva adunque la pena,
rispose l'animale di otto leghe, che la
tua ani ma fosse così sapientenel ventre di tua
madre, perchè poi tu avessi a finire
cosl ignorante, quantunque abbi già il
barbuto mento. Un piccolo seguace di Locke. io non so, disse,come penso; so che non ho pensato che all'occasio ne de'
miei sensi. La bestia di Si rio sorrise,
non trovando costui ilmeno saggio, e
l'avrebbe abbracciato senza l'estrema
sproporzione » (Micromega) Eppure ad affermazioni così recise, invano si ricercano conseguenze egualmente risolute. Voltaire non sa indursi a negare nè l'esistenza di una legge morale, né Dio, nè la libertà e nemmeno la vita futura. Dirò di più: egli anzi, quanto al meno alla
legge morale, a Dio, alla li bertà, le ammette in guisa da escludere ogni equivoco. Perlaprimaveggasi ad esempio quan to esso
scrive in Cu-Su et Kou: » Kου La setta
di Laokium dice che non vi ènè giusto,
nè ingiusto, nè vizio, nè virtù. Cu-Su. La setta di Laokium dice forse anche che non vi è nè salute nè malattia?
E nel filosofo ignorante: Vi sono
mille differenze, in mille circostanze,
nella interpretazione della legge morale: ma il fondo rimane sempre eguale, ed è l'idea del giusto e dell'ingiusto. Voltaire
èdeista e per sessan t'anni lotto in tutti i modi a difesa di questa idea: negò la generazione spon tanea
che era un argomento in favore
dell'ateismo, e fece ogni sforzo per com battere lecause finali,mentre
poi, senza pur avvedersene, deducela
maggior co pia delle sue prove dell'esistenza di Dio dalla perfezione del creato. Il pensiero di Voltaire non è così esplicito intorno alla natura
dell'anima, ch'egli ammette possa anche
essere ma teriale. » Le voci materia e spirito,
scriveva nel Filosofo ignorante, non so no che parole; noi non abbiamo
alcuna nozione completa di queste due
cose. In sostanza, vi è tanta temerità a
dire che un corpo organizzato da Dio
stesso, non può ricevere il pensiero da
Dio me desimo, quanto sarebbe ridicolo di dire
che lo spirito non può pensare ».
Diffatti Voltaire non ammetteva che
la ragione fosse privilegio esclusivo del l'uomo, e su questo argomento
com battendo l' opinione contraria dei car tesiani, diceva: Quelli che non
ebbero il tempo di osservare la condotta
degli animali, leg gano nell' Enciclopedia l'eccellente ar ticolo ISTINTO:
saranno convinti dell'e sistenza di questa facoltà, che è la ra gione delle
bestie, ragione tanto infe riore alla nostra quanto lo è uno spiedo all'orologio di Strasburgo: ragione limi tata
ma reale: intelligenza grossolana, ma
intelligenza dipendente dai sensi COME
LA NOSTRA ecc. (Dialogo Gli adoratori e le lodi di Dio). In sostanza, giovaripeterlo, Voltaire nè segui, nè creò alcun vero sistema filosofico positivo: indipendente da
tutti, bene spesso anche dasè medesimo,
non esaminò con attenzione delle
dottrine filosofiche che quelle le quali
servivan gli per il grande scopo della sua vita: la lotta contro la superstizione; le
altre non approfondi, ma accetto o
respinse, ZENONE meno per convinzione
ragionata che per inclinazione.
Cionondimeno egli resterà sempre uno
delle più splendide figure del suo
secolo, ed il suo nome sarà sempre
onorato, perchè indissolu bilmente congiunto alla storia della lotta,
iniziatasi prima di lui ma da lui
capitanata per tanto tempo; lotta del
buon senso contro lasuperstizione, della
tolleranza religiosa e politica contro
l'assolutismo del progresso,contro l' im mobilità e l'oscurantismo. Z
Zenone. Nacquea Cizianell' isola
di Cipro verso l'anno 358 a. G., e morl
adAtene verso l'anno 260. Figlio di
un ricco mercante d' origine greca, si
esercitò per tempo nello studio della
filosofia coi libri che il padre gli por restano i titoli, tali che
quelli dei libri sull' Etica di Crate,
Sull' istinto, Sulle passioni, Sull'
Essere, Sui segni, e l'Arte dell' Amore.
Ciò che si sa della dottrina di Zenone,
grazie agli scritti dei filosofi e
deicommentatori antichi, è abbastanza
confuso; nè è facile a distinguersi cid
tava, ritornando dai suoi viaggi nella
Grecia. Venuto ad Atene si fece disce- | che gli appartiene in proprio
da quello polo di Crate il cinico e
dalui apprese a disprezzare i bisogni
del corpo e a dominare coll'impero della
volontà le che alle sue opinioni fu
aggiunto dai discepoli. Dicesi che fosse il primo ad intro durre il
dilemma nelle dispute filosofi che, e ch'egli usasse una dialettica ro busta e
incalzante che distruggeva le
argomentazioni piùsicure de' dommatici.
passioni, i desideri e il dolore. Ma se
adottò le massime della scuola cinica,
non così ne approvò le forme esterne,
e l'ostentazione che i cinici ponevano
nel mostrarsi in pubblico noncuranti nel | Par che ammettesse
un'unitàdetta Dio, vestire. Si aggregò
in seguito alla scuola e che questa
unità confondesse col mon megarica ed all' accademica, e, se cre diamo aDiogene
Laerzio, vent' anni più tardi, prese
egli medesimo ad insegnare filosofia in
Atene. Scelse a luogo dei suoi convegni
coi discepoli il portico (Stoa) dell'
Azora, d'onde derivò il no me alla scuola stoica da lui fondata. (V. STOICISMO). Presto egli salı in
tanta fama, che Antigone Gonata, re di
Ma cedonia, si ascrisse ad onore di mettersi
fra i suoi discepoli; Tolomeo Filadelfo
lo chiamò, sebbene invano, nell' Egitto,
e Atene gli conferì il diritto di citta dinanza. Resistendo alle splendide offerte che gli venivano fatte, Zenone preferì re stare
in Atene, ov' egli condusse vita
frugale, e mantenne ne' suoi costumi
una purità che nessuno gli contesta.
Gli scritti di Zenone andarono tutti
perduti, e d'alcuni di essi soltanto ci
do che diceva eterno. La creazione ne gava pel noto principio che dal
nulla si fa nulla, e che ciò cheesiste
da tutta l'eternità non può produrre
cosa di versa da se. Più unità, ossia più Dei
non poteva ammettere, conciossiachè se
essi anche avessero perfezioni eguali,
non potrebbero esser Dei, non essendo
ciascun di loro, preso isolatamente, nè
il più grande, ne il più potente, nè il
più perfetto. Zenone sosteneva con Se nofane, che se Dio è uno, deve
avere forma sferica, giacchè la Divinità
per essere perfetta deve essere in ogni
parte simile a se stessa; e la sfera non
può essere nè infinita nè circoscritta,
giac chè circoscritte sono le cose finite, e
infinito è il solo nulla, il quale nonha
principio, nè mezzo, nè fine. L'unità
non può essere neppuremutabile o im mutabile, non essendovi d'immutabile
530 ZUINGLIO che il solo nulla, il quale non può cam
biarsi nè unirsi con le cose esistenti;
nè pure potrebbe mutarsi, poichè ogni
cambiamento importa movimento, e per chè col cambiamento la sostanza
unica cesserebbe di esser tale. La
divinità di Zenone è dunque un essere
unico, sfe rico, sempre eguale a se stesso; nè fi nito, nè infinito; nè
mutabile, nè in mo vimento. Sulla
pluralità delle cose Zenone cadeva nello
scetticismo, giacchè egli si sforzava a
dimostrare che il ragio namento è impotente a provare che e sista qualche cosa
o che esista nulla. Essere o non essere
eran per lui forme di dire, e il nulla a
suo credere esisteva tanto bene quanto
l'esisteate. Le prove empiriche
respingeva siccome inefficaci acondurci
alla ricerca dellaverità; per chè secondo lui contro il ragionamento che dimostra non potere esistere che un essere unico, l'esperienza a nulla giova. Quanto all'essere unico, egli argomentava che fosse prova, non ne gazione
del nulla, poichè, diceva, se e siste un essere unico, quest'uno è in
divisibile; ma ciò che non è divisibile
non è qualche cosa, perchè non si può
porre nel numero degli esseri ciò che
per sua natura, se è aggiunto ad un
altro, non arreca aumento, distaccato
non vi produce diminuzione: dunque
I'essere unico è nulla, e non esiste pro priamente un essere. Le sottigliezze di Zenone per negare il movimento e l'empirismo l'hanno fatto considerare da alcuni come un sofista. Certo è che l'unitá del suo es sere
sferico lo dimostra fedele alle ten denze panteistiche degli eleatici e che i cavilli da lui adoperati per negare la realtà obbiettiva delle cose, ci ri
cordano le vane disquisizioni degli i dealisti. Aveva molti discepoli, che al
cuni sommano fino a ottantamila, nu mero per certo esagerato, ma che ad ogni modo prova sempre il facile di vulgarsi
della sua dottrina. Questo fi losofo, che fu riguardato siccome un Dio, presso amorire confessò ai suoi seguaci che aveva loro sempre taciuta la verità, e che essendo venuto il momento di togliere le metafore ond' egli usava, li ammoniva che nessuna ricercapuò farsi con speranza di conseguire la cono scenza
delle essenze, giacchè il nulla ed il
vuoto sono il principio di tutte
cose. Zuinglio (Ulrico). Capo
della setta protestante che da lui s'
intitola. Nacque nella Svizzera e fu
curato della primaria parocchia nella
città di Zu rigo. Disputano iprotestanti per sapere se prima o contemporaneamente a Lu tero
predicasse la riforma. Certo è che, o
prima o poi, questi due riformatori, senza
nemmeno affiatarsi nèconoscersi,
predicarono quasi insieme li stessi prin cipii. Per altro, Zuinglio
dissentiva dal la riforma luterana intorno a due punti, il primo dei quali è la rigida prede
stinazione predicata da Lutero, in forza
della quale niuno può salvarsi se non
è daDio predestinato. Zuinglio sperava
di addolcire quest' empio domma sup ponendo che eziandio i pagani potes
sero salvarsi colle loro virtù e per una
certa qual grazia giustificante che, al
postutto, diventava ancora predestinante, poichè proveniva dall' alto e non dal l'uomo.
Il secondo punto dottrinale sul quale
Zuinglio differiva da Lutero, era la
cena, od eucaristia intorno allaquale,
mentre Lutero sosteneva il domma della
presenza reale di Gesù Cristo, quan tunque negasse la
transubstanziazione, Zuinglio invece non
voleva riconoscere che una semplice
commemorazione. On de diceva che nelle parole di Gesù: questo è il mio corpo ecc. il verbo è e
quivale a significa, nello stesso modo
che nella Bibbia è detto: L'agnello è
la Pasqua, per indicare che è il segno
0 la rappresentazione della
Pasqua (Esodo XII. 27). WICLEFF W
Wicleff. Nacque a Wicleff nella
provincia di Yorck nell' anno 1329; fu
professore di teologia e capo della setta dei Wicleffisti. Egli accusò il papad'es sere
simoniaco ed eretico; il potere dei
vescovi negò, gli ordini monastici chia md sette, l'eucaristia una
falsità, le preghiere per i morti
inutili pratiche. D'onde si vede che
Wicleff fu uno dei più arditi precursori
della riforma inglese. Molti seguaci
egli ebbe, e come lui arditi, ma il papa
ancor troppo do minava nella Chiesa inglese perchè po 531 tessero i loro sforzi sortire allora
piena efficacia. Wicleff mori paralitico,
non prima di aver sentita l' Università
di Oxford condan nare 278 proposizioni estratte dai suoi libri. Il clero scomunicò poi i suoi pro
seliti e ottenne dal re vari editti, in
grazia dei quali alcuni eretici furono
mandati al rogo. I libri di Wicleff por tati nella Germania furono
stimolo e fondamento alla nuova eresia
di Gio vanni Huss. FINE DEL SECONDO ED
ULTIMO VOLUME.The fabric of philosophical Latin has undergone a series of
crucial transformations induced by historical events as well as intellectual
reasons. To begin with, the translation activity from Greek into Latin
carried out by several humanists in Italy and their own reflection on that
activity has a profound impact on the practice of philosophical writing, on
both the stylistic and the conceptual level. In this context,
BRUNI, VALLA, and PICO, to mention only a few, are perfect cases in
point. But the debate about the style of philosophical Latin involves
quite a number of humanists and schoolmen, continuing long after. By
injecting the germs of historicity, cultural relativism, and social
constructivism into the body of metaphysical knowledge —a kind of knowledge
viewed as stable and self-sufficient —, humanistic reflection helps accelerate
the crisis of philosophical Latin in the early modern period. Closely
connected to characteristically humanist discontents about the status of
scholastic jargon is the renewed eagerness to provide Latin translations from
Greek, Arabic, and Hebrew sources. While some of these works were
in fact re-translations of previously translated texts, others were original
versions of treatises that had never been translated before. The recovery
of Platonic and Hermetic sources and Ficino’s influential translations
represent some of the most significant instances in this field. One
should also add, however, the various editions of Aristotle’s collected works
supplied with Averroes's commentaries, which, as was the case with the
celebrated editions of the Venetian Giuntine press, come out with new translations
and editorial contributions (Schmitt; Burnett). Among the new translations
of Averroes's works, his Destructio destructionum refuting an earlier
Destruction of Philosophers by Al-Ghazali) becomes certainly the most
significant addition, first commented upon by NIFO in a slightly revised
version of the translation by one Calonymos ben Calonymos of Arles, and later
published in a new translation by a Neapolitan physician who also called
himself Calonymos, entitled Subtilissimus liber Averois qui dicitur Destructio.
Another factor in the transformation of philosophical Latin is the increasingly
more frequent appearance of cases of philosophical bilingualism, evident among
authors who began to write in both Latin and the vernacular, such as
Ficino, Patrizi, Bruno, Bacon, Campanella, Descartes, Hobbes and
Spinoza. Such a close proximity of Latin and the vernacular, besides signaling
a growing tension between traditional institutional sites of Latin
knowledge such as the university and milieus that were becoming more and more
receptive to philosophical discussions in the vernacular (courts in the first
place, but also academies, convents, chanceries, and salons), result in
particularly creative phenomena of hybridization and cross-pollination between
different linguistic currencies. An important medium that more than any
other reflects the early modern evolution of philosophical Latin is the genre
of the Latin dictionary of philosophy, which became extremely popular between
the sixteenth and the eighteenth century, as a by-product of a diffuse interest
in lexica, glossaries, and other linguistic tools. Dictionaries
are meant to handle and organize an increasingly unmanageable load of
information that pours out throughout Europe, as a result of the combined
action of the printing press, geographical discoveries, technological progress,
and a singularly vibrant culture of intellectual confrontation and
debate. Among the various attempts to harvest and index philosophi-cal
information, the most significant case was Goclenius's Lexicon
philosophicum and Lexicon philosophicum Graecum. But but we should
add Micraelius's Lexicon terminorum philosophis usitatorum and Chauvin's
Lexicon rationale, sive thesaurus philosophicus. Bruno compiles his own
dictionary of philosophical concepts, Summa terminorum metaphysicorum, probably
devised as a teaching tool while he was lecturing in some German universities
(Canone; Bruno). This tradition culminates with Bayles vernacular
Dictionnaire historique et cri-tique and had its witty coda with Voltaires
Dictionnaire philosophique. Major linguistic turns periodically affect the
course of philosophical inquiries in Europe. In ancient Greece, the
fifth-century sophists are able to question the idea of an original
correspondence between reason and reality by emphasizing the inherently
conventional and contractual nature of language. While doing so, they act
as powerful catalysts for both Plato's and Aristotle’s responses in the domain
of metaphysics. Likewise, the effort to test the boundaries that separate
reality from its linguistic descriptions became a recurrent leitmotif in
philosophy, in both the Continental (Heidegger) and the analytical traditions
(Wittgenstein). The Renaissance represents another of these decisive
linguistic turns. The debate concerning the relationship between reason
and language takes place on two different levels: one of a technical character
(the nature of scholastic Latin), the other of a broader cultural significance
(the issue of multilingualism). With respect to the first level, it should be
pointed out that a large part of the philosophical output is written in
Latin. Starting with BOEZIO, a momentous effort in translation and
exegesis, marked by a sophisticated level of analytical precision and
linguistic creativity, results in a formidable corpus of knowledge. Its
Latin is one of the principal reasons for its long-lasting success (Gregory;
Dionisotti). Precisely because of its aspects of raw artificiality, free
from the strictures of idiomatic decorum, Latins turns out to be a most
flexible tool for the exercise of thinking, open to all sorts of experiments
with respect to both language and logic. Here I am deliberately using the
oxymoronic label "raw artificiality." Latin is largely
an artificial creation produced in the great translation laboratories of
medieval Europe (Sicily) and remains characterized by a distinctive quality of
unpolished immediacy that suits very well the task of thinking, and thinking
outside the historical box. Due to particular circumstances, this
encounter of Latin and philosophy is quite a unique episode in the history of
Western culture, more so than in the fields of law and medicine, where the
question of the relationship between verbal and nonverbal knowledge never
manages to rise to the status of foundational issue, as happens in
metaphysics. A number of philosophical innovators charge Latin with being
a parasitical construction in relation to the free exercise of thought. In
fact, that kind of Latin has long been an uncanny symbiosis of mind and
word. As far as the second level is concerned —that is to say, the
emergence of national vernaculars as legitimate media for literary pursuits of
all kinds and orders—a generalized state of multilingualism creates the ideal
conditions for the rise of original considerations on the nature of
language. The humanist revolt against the use of Latin is fueled
by discussions about the nature of translation. In De
interpretatione recta, designed as a manifesto stating the requisites for a
good translation, Bruni prefers to dwell on the technical aspects of the
question rather than explore the speculative implications underlying the
activity of thinking. Criticizing the medieval translator of Aristotle's
Nicomachean Ethics, whom we know to be Grosseteste, Bruni points out the
"(imperitia litterarum) of the latter-that is, both the naiveté with which
he had undertaken a task well beyond his capabilities, and his obvious lack of
literary taste, which had prevented him from reproducing the original flair of
Aristotle'stext (Bruni). In Bruni's opinion, the "efficacy" and
"rationale" (vis and ratio) of a good translation lie in transferring
the written form of a particular language into the form of another language. In
order to do so, a translator needs to have a vast and confident knowledge of
both languages, acquired through long and careful readings of different kinds
of writing (multiplex et varia ac accurata lectio omnis generis
scriptorum; Bruni). Being a transfer of forms more than an exercise
in thinking, translation was first and foremost a reenactment of the original
experience of literary enchantment and largely an aesthetic experience. This
also applied to the field of philosophy, for, Bruni pointed out, Plato's and
Aristotle's essays were "replete with (exornationes) and
venustates)" (Bruni). The best translator was therefore that artisan
of the written word who was capable of transforming himself entirely-with both
his mind and will-into the author he was translating (sese in primum scribendi
auctorem tota mente et animo et voluntate convertet). Bruni argued that if
a translator is not capable of recovering the spirit of the original, he cannot
aspire to preserve its meaning (sensus). The skill lies in keeping the
stylistic template of the original (figura primae orationis) and the verbal
coloring (verborum colores). The model is therefore painting, not
philosophy. More specifically, with respect to philosophical translation,
the translator is supposed to combine knowledge of reality (doctrina rerum)
with style (scribendi ornatus), for the ultimate aim behind all his efforts is
to recover the life of the author's thoughts, their vividness (splendor
sententiarum) and the naturally harmonic flow of the original (tota ad numerum
facta oratio; Bruni). A militant anti-philosophical attitude lingers in
Valla's Dialecticae disputationes composed in three different
redactions). As in Bruni's De interpretatione recta, Vallas
arguments were grammatical and aesthetic rather than philosophical (Valla;
Dionisotti). In focusing on the aspects of aesthetic and grammatical
awkwardness among scholastic philosophers, Lorenzo Valla was close to Bruni's
position. Like Bruni, he dismissed the scholastic tendency to reify
adjectives and pronouns (sometimes even adverbs) into philosophical objects as
an illegitimate and pointless practice, for they were abusing, as it were, the
natural-grammatically correct-process of deriving abstract nouns from
adjectives, such as sanitas ("health") from sanus ("healthy"). Contrary
to the logic of historical lan-guages, philosophers made instead quiditas
("whatness") out of quid ("what"), perseitas ("per
se-ness") out of per se and haecceitas ("thisness") out of
haecce ("this"), and this was all the more irritating because
creations of this kind could not even be found in Aristotle's own works (haec
ab Aristotele non traduntur). Most of all, Valla condemned the artificial
decision of giving a name to the very essence of being, entitas
(literally "being-ness," later entering standard English usage
as "entity"), out of ens, which was a fictional present participle of
the verb esse ("to be"), never used by Latin writers. Pico
tackles the question of Latinate forms of philosophical expression by appealing
to the ancient trope of contrasting nature with convention. In Pico's opinion,
the effort to understand reality was always more pressing than finding the
correct linguistic expression. Reworking in an original way the classical
argument used to defend the power of language over freedom of thinking, Pico
assigns a priority to philosophy over Latinity based on both nature and
conventions. Addressing the Venetian scholar Barbaro (Garin), Pico
claims that he was even ready to embrace the argument based on convention,
which is the traditional prerogative of rhetoricians and sophists.
If the foundations of any language are deemed to be conventional, Pico
goes on, every linguistic community on earth is entitled to have its “normae
dicendi” and to philosophize in accordance with those “normae.” Indeed, it
is precisely the thesis of the conventional, historical, and social origins of
language, so often championed by the humanists, which, in Pico's opinion, make
their charges against Latin irrelevant. However, Pico believes that
anxieties against Latin are even more out of place if the discussion pertains
to the natural origin of meanings and words. If “rectitudo nominum”
depends on nature, Pico goes on, why should one turn to the rhetoricians to
know more about the nature of this “rectitudo,” and not to those philosophers
“who alone examine and clarify the nature of all things?" Formulated
with a precise anti-rhetorical aim in mind, the tone of Picos question is
clearly rhetorical. We know where Pico's allegiances lies — namely, for
the philosophers and against the rhetoricians. “That which the ears reject
as being too harsh, reason accepts as more in tune with reality (utpote rebus
cognatiora)" (Garin). Pico is convinced that by
revealing the unsettling domain of things that is not verbally articulated, the
limits of language expose reality in its more perplexing aspects. The need
for the philosopher to stretch the boundaries of the common use of words comes,
therefore, directly from a perceived rift between what may and what may not be
said. “Why does a philosopher need to introduce innovations into the
language?” Pico asks, “if they were born among Latins?" This time,
the question is not rhetorical. Indeed, it is the most crucial question of
all. Pico, like Plato, is convinced that, ontologically speaking,
there is an original surplus of meaning that no historic language ever
encompasses (Garin), and even a language as nuanced as Latin is not equal to
putting into words the full range of human ideas and experience.
Not only is reality ontologically richer than any description language
provides; it also evolves faster than a historic language like Italian.
At a time when the overflow of information demands new words and
new linguistic solutions, philosophers, whether metaphysicians, logicians, or
natural and moral thinkers do not have time to check their Latin grammar
or dictionary and repertoires of verbal elegantiae. In his
Dialogo delle lingue, Speroni — one of the most illustrious members of the
Paduan Infiammati, represents the contrast of “arbitrio” and “natura” by
imagining a duel between Lascaris and Pomponazzi. In this
case, a curious reversal of roles occurs between nature and convention.
Lascaris, who in the dialogue defends the need to be proficient in Latin
in order to be able to practice philosophy, appeals to nature as a norm that is
not changed by a social or a cultural intervention. Pomponazzi, by
contrast, resumes the well-rehearsed humanist argument about the conventional
origin of languages in order to vindicate the right a nation like Italy to
philosophize in the vernacular (Speroni). Stimulated by the broad
linguistic turn that took place during the Renaissance and by individual
contributions of humanist scholars (Schmitt), a good number of philosophers,
including the most stylistically and linguistically alert, reach the conclusion
that thinking requires a deeper investment than simply relying on grammatical and
rhetorical proficiency. The reason is that reality itself is
richer, and evolving more quickly than words. Thinking is
also a more integral and wholesome experience than the one provided by a
correct description of the thing, both grammatically and stylistically. Any
verbal account of reality is inherently partial and effete compared to the
freedom and poignancy of inner meditation. As Pico points out to Barbaro,
philosophers are always in search of a language is close to reality as a whole,
including the reality of the soul. In this way, reasons of intellectual
honesty make inward experience more valuable than linguistic proficiency. Those
who create a disagreement between the heart and the *tongue* are mistaken. However,
isn’t he who “totus est lingua” precisely because he is “excordes” simply a
dead dictionary, as Cato says?" (Garin, Kraye). Starting with
Dante's ITALIAN Convivio in Italy, GALLIC translations of
Aristotle's Nicomachean Ethics and Politics and a teeming output of
mystical treatises in TEDESCO (Eckhart being the most representative case), the
use of the vernacular to compose a philosophical essay is prompted by
rhetorical, political, and religious motives, such as the need to extend the
range of the author's readership, the will to reach a social class not directly
involved in courtly or intellectual life, the urge to give immediate expression
to some lofty theological speculation, and a pathetic dearth of administrative
and diplomatic personnel trained in the fine art of ‘classical’ argument. And
yet, in all these cases, there is still a link that connects a neo-Latin
vernacular such as Italian to the template of ‘palaeo’-Latin. Even the
rising of a philosophical discourse in TEDESCO with strong mystical overtones
emerges out of Latin (De Libera). When Segni, to give another example,
translates and comments the Nicomachean Ethics into Tuscan Italian (Segni), the
technical language remains appropriately highly Latinate when a vernacular
couplet is even available (implicatura, empiegatura). Bruno, to mention
someone who is as linguistically creative in his vernacular Italian as he
loathes both scholastic obscurity and grammatical pedantry, fully recognises
the speculative value of the scholastic tradition Averroes, Bruno
famously retorts, knows his Aristotle better than any of his Greek readers
(Bruno). The relationship between Latin and the vernacular in the domain
of the philosophical essay becomes increasingly more sophisticated. The
practice of translating from palaeo-Latin into the neo-Latin Italian
vernacular and the complementary trend to turn a vernacular philosophical essay
into Latin respond to different but parallel communicative strategies.
While the move from palaeo-Latin into the vernacular like
Neo-Latin Italian is largely aimed at expanding the social spectrum of the
philosophical audience, the tendency to transpose vernacular essay into Latin
makes the most recent and innovative results in the field accessible to a
readership beyond the vernacular-only one. To these general lines of
exchange one should add individual cases of self-translation, in which the
philosopher, depending on his specific needs and rhetorical preference,
switches from one medium to another and experiment with different linguistic
resources. To mention a few examples of self-translation, Ficino turns his
“De amore and De Christiana religione” into Tuscan; Campanella translated his
Città del sole, II senso delle cose, and Ateismo trionfato from Italian
neo-Latin into palaeo-Latin. Hobbes provides a palaeo-Latin
version of his Leviathan with significant changes and additions to the original
in his vernacular — Anglice — Malcolm in Hobbes. A translation into
vernacular and Latin as well as self-translations are all ways of testing
(sometimes breaking) the limits of linguistic rectitudo and of demonstrating
that the boundaries of reason in different contexts (between different
languages, nations, and classes) is in fact porous. Leibniz advocates the
need to start (Germanice philosophari) and rejects a distorted use of
palaeo-Latin (cfr. Peano, Latino) as a way of narrowing the social compass of
philosophy by excluding the plebs) and (feminae) from its exercise (Leibniz
The use of a vernacular like neo-Latin Italian often ensures greater freedom of
expression and a certain level of stylistic playfulness, which may turn out to
be refreshing and inspiring (Dionisotti. Significantly, by the time
Montaigne had written his Essais in Gallica "a type of philosophy had been
created which was both colloquial and militant" (Zambelli Within the
general debate about the philosophical potential of palaeo-Latin in its
relationship to both its contemporary neo-Latin vernacular like Itala or
Gallica and other languages (first and foremost Greek, but also Hebrew and
Arabic), some technical points betray specific assumptions of a more
theoretical order. Bruni believes that all languages may be translated
into each other without losing any of the original meaning and style. Bruno is
not however interested in defending the special status of any particular
*historical* language as better suited to the exercise of philosophical
inquiry. Bruni’s position differs from the one championed by such
philhellenes as those depicted by Speroni in his dialogue Lascaris and
Buonamici), who show no qualms about advocating the philosophical primacy of
Greek, claiming that it had been no accident that philosophy had originally
been written in Greek and that Greek should continue to be the model —
(philhellenism by the way, is a recurrent vogue in the history of philosophy,
from to Heidegger! By contrast, even an admirer like VALLA of the expressive
potential of Latin and a firm believer in the superiority of both history and
poetry over philosophy remains convinced that a philosophical concept — or
twist of idiom: think the optative — that was originally elaborated in Greek
may not find adequate expression in Latin and should be left
UNtranslated. (V) multa belle dicuntur Graece quae non belle dicuntur
Latine — (V) inclusa — Valla pomponazzi, a philosopher trained in the
subtleties of scholasticism considers the question about what language —
Palaeo-Latin, neo-Latin — is most suitable for composing a philosophical
essay as irrelevant and looks at the philosophical discussion about the
veridical import of a historical language as a waste of time
(Paccagnella. The thesis that one is allowed to philosophize in one
of the available idioms represents a further argument against the dogmatic
belief that there is only *one* true description of the world. Speroni's
recommendations to (filoso-far volgarmente), without knowing palaeo-Latin"
(Speroni is a sign that the time has come when a philosopher could
compose an essay not only in Italian, or French — but Dutch, German, and
beyond. The philosophical potential of the vernacular neo-Latin
Italian, being a question that is closely intertwined with issues of readership
and communication, also bear on the problem of distinguishing between what is
safe to say! Resuming a characteristically Academic posture,
Pico does not miss the opportunity to describe the relationship between
language and philosophy in terms of esoteric and exoteric communica-tion.
Philosophers, Pico argues in De ente et uno, should
sentire quidem ut pauci, loqui autem ut plures), for (loquimur ut intelligamur;
Pico. This was another situation that requires the philosopher to strike a
balance between intellectual novelty and linguistic tradition.
Since language represents the vehicle of conventional wisdom (Grice on
Austin), a philosopher was supposed to accept the rules of the linguistic game
(with its attached social conventions) while skillfully circumventing the traps
of linguistic pressure. The NEO-Latin lexicon gets enriched with new terms
as a result of discovery, invention, insight, and the successive waves of Latin
translations from Greek, Arabic, and Hebrew, from Boezio to Wolff's
Latinization of Leibniz's metaphysics, and it is worth recording the most
significant changes that affect the Latin philosophical vocabulary. Some Latin
keywords mark the evolution of the philosophical lexicon: res subiectum obiectum conceptus intentio
intentionalitas Transliterations and calques from other languages,
such as entelechia — or from a non-Aryan source colchodea (the
intellect as "giver of forms"), enjoy a remarkable fate in Latin and
continue to be the subject of heated debate among humanist philosophers. Poliziano
devotes one of his essays in Miscellaneorum centuria prima to clarify the
many pphilosophical issues involved in a discussion of the difference between
entelechia, an activity as the fulfillment of apotentiality, and
endelechia, the (activity as a perpetual movement; Poliziano — whereas Pico saw
it as a vulgar typo! If it is true that not as many transliterations from
the nonAryan Arabic became part of the technical lexicon of philosophical Latin
as for mathematics, astrology, and alchemy (Burnett the impact of the
translations from Arabic result in significant additions to the specific
vocabulary of the internal senses ([virtus) aestimativa, i.e., animal instinct,
and cogitativa, e. G. human rea-son. Some illustrious Greek
transliterations also enjoyed a new life such as of energeia and energeticus
which, begin to be used with increasing frequency to denote the life and energy
of matter and a material being. Glisson is probably the most interesting
case, with his De natura substantiae energetica, a foundational work of
physiology. New words — such as Sidonius implicatura — are created by the
philosopher who feels the need to hone his expressive tools and expand the
range of the available vocabulary. Other examples are Campanellas
primalitas, essentiatio specificatio ), corporatio and
toticipatio — Giglioni In philosophy, where (verba) find
themselves in a relationship of uneasiness with res) from the very beginning,
it is precisely the use of the neologism -in the technical sense of linguistic
expressions contravening the standard of good use and purity-that often
facilitate the task of finding words for a particularly vexing notion. Bruni
recommends that translators avoid neologisms and new ways of expressing old
things (et verborum et orationis novitas). Above all, a translator is
supposed to shun (inepta et barbara). Bruni's main contribution is
his idea that any language could be turned into any other: nihil Graece
dictum est quod Latine dici non possit; Bruni While concerned with the use
of the neologism in philosophy, others like Gockel, displays a more
tolerant attitude. For instance, Gockel describes the use of “vigorari in
Zabarella's commentary on Aristotle's De anima as an innovation, which is
necessary to explain the heightened condition undergone by the intellect when
invigorated by the power of a forceful intelligible (i.e., object of
understanding; vehemens ac excellens intelligibile; Goclenius. It is
significant to note that, a scholastic philosopher by training and profession,
Govkrl allows for certain latitude in philosophese. Among the
innovators" Duns Scotus is probably the most creative, and Gockrl
carefully surveys his influence over philosophical Latin tlexicon. Gockel
notes that even Scaliger's (lautissima lingua) entertains a
conceptual closeness with Scotist ideas (Goclenius Glocker is so concerned
with the influence that Latin innovations exercise on the philosophical
tradition that he adds to his *Greek* dictionary a little APPENDIX to his
earlier *Latin* dictionary, entirely devoted to a meticulous analysis of all
sorts of inappropriate ways of expressing philosophical notions: a Sylloge
vocum et phrasium quarumdam obsoletarum, minus usu receptarum, nuper natarum,
ineptarum, lutulentarum, subrusticarum, barmi-barbararum, soloecismorum et
hyposoloikön Of the specific technical terms in philosophy, res may be
considered one of the most important ones. In his Lexicon philosophicum,
Goclenius defines res as (quodlibet conceptibile)non includens
contradic-tionem), in the domain of both (ens rationis) and (ens reale). Glocker
explains that in philosophy res may be taken com-munissime), communiter),
or i (strictissime seu appropriate). Combining Aristotle with Quintilian,
and perhaps aware of Vallas sophisticated treatment of the matter in his
Dialecticae disputationes, Goclenius identifies res in the strictest sense with
(substantia; Goclenius. Here it is crucial to point out that, while Goclenius
reconfirms the primacy of substance as the ontological marker of reality (and
in this sense, res were substantiae), Valla follows the opposite route and
brings substantia back to res, understood, in line with the rhetorical
tradition, as that which can be said of a particular reality. By thus
resolving "substance" into "thing," Valla, like other
humanists in fact deflates the ontological content of res by transforming it
into any subject that could be conceptual-ized through words. Among the
most illustrious Latin words that enter a phase of remarkable decline,
actualitas can be taken as a vivid example of a term with a glorious past in
the sphere of philosophical learning, which, finds itself heading towards
extinction. Any professional philosopher trained in a university would
have called reality actualitas. As recorded by Goclenius in his
diction-ary, actualitas prima, is conceived as the principal ontological
requirement behind the existence of anything. This alleged process of
reifi-cation or actualitas through which the notion of being as activity
(energeia in Aristotle) mutates into that of being as static presence (be that
presence subiectum or res) is interpreted as the dominant event in the history
of metaphysics. In an attempt to come to terms with the powerful
consequences of Descartes's philosophy and the way he polarizes reality between
the extremes of the res cogitans) and the res extensa) Gilson dissects with
painstaking precision the many layers accrued by the principal categories of
Latin ontology (esse, ens, entitas, and essentia), making a powerful case for
the vitality and creativity of scholastic philosophy. After all,
Descartes's great accomplishment, in Gilson's opinion, lies in the way in which
the Gallic-speaking philosopher takes advantage- both speculatively and
linguistically - of scholastic lore, fertile and productive as it is
(Gilson Latin is also a source of speculative inspiration for
Heidegger, who secures his philosophical credentials by detecting in the
process through which energeia becomes actualitas the symptom of a lingering
metaphysical malaise; that is, the gradual obfuscation or oblivion of the true
meaning of being (Seinsvergessenheit. Here it may be useful to point out
that behind Heidegger's effort to reawaken our awareness of the energeia of
being, there is no humanistic intent, as he clearly intimates in his Brief über
den Humanismus,. Indeed, the opposite is true for Heidegger. The legacy of
scholastic philosophical Latin (and significantly Heidegger's first foray into
the domains of philosophy had been a dissertation ion Duns Scotus's ontology)
is clear and strong in his mind. Or perhaps, we might say that a peculiarly
humanist urge underlies Heidegger's warnings about the
"presentification" oGegenwärtigung), of being in that, like
Lascaris and Buonamici, he thinks that Greek is more suitable than Latin to
metaphysical inquiries for the ominous Seinsvergessenheit had already happened
with the Italic pre-Socratics in Crotone, Girgenti and Velia, and therefore the
truth had begun to hide itself (Verborgenheit) quite early on. In the specific
domain of thinking, unlike Latin, Greek is inherently philosophical, for Latin
helps disseminate the Gegenwärtigung of being. It is by referring to Heidegger
that Libera asks the crucial question: Is Latin a language suitable for
philosophy? Libera’s answer to this question is unambiguously
positive. Libera characterises the "multilingual translatio
["transfer"] of philosophy" (in particular its Latin transfer)
as a "linguistic event" that affected the development of modern
thinking in a significant way (De Libera Libera draws our attention to a
moment in history when Latin stops being a language of philosophy to become the
language of philosophical taxonomy (not to say, taxidermy). In other
words, the moment in which Latin moves from the status of a language that is
philosophically alive to that of a language that is *philosophically*
dead" (Libera That is not the case the transfer of learning
prompted by t(translatio studiorum), when Latin plays a fundamental role in the
"philosophi-cal acculturation of Europe" (Libera And yet, from
its very beginnings at Rome — Appio — philosophy has always had an extremely
uncomfortable relationship with the Latin language. The act of thinking
cannot help stumbling over words. According to Libera, the most
fascinating aspect of Latin is the far-reaching linguistic
experiment—an extremely successful one, it must be said, through which, in the
translation and exegetical laboratories of European studia and universities,
masters of arts and theologians forge a language suitable for philosophy, a
privileged medium that allowed a trans-national, trans-linguistic, and
trans-cultural discussion for the transmission of ideas. So it happens
that precisely the artificiality condemned by the humanists may be seen as the
major innovation and resource introduced by the philosophical Latin of the
schools, for that raw neo- Latin expands the scope of the thinking
exercise. Petrarca and Bruni fail to understand this Addressing
Grosseteste, Bruni, who asserts himself as part of the neo-Latin community,
proudly declared his inability to make sense of Grosseteste's Latin.
ego Latinus, istam barbariem tuam non intelligo ; Bruni From a
genuinely philosophical point of view, what Bruni fails to understand is that
not mastering a language, with all its idioms and elegancies (which, in the
final analysis, we should admit is rather harmless, betrays the philosopher's
effort to come to terms with a much deeper issue that is, the remorselessly
foreign and alienating experience of thinking of the other qua other.Bruno
opposes the obsession with linguistic decorum (an obsession that is for him the
defining feature of "grammarians" and "pedants" to the
philosophical disorientation that derives from delving into the depths of the
thinking process (profondano ne' sentimenti, Bruno Bruno Ciliberto Perhaps,
the most significant point we can make out of this whole discussion is that,
more than in any other discipline, novitas, the perplexing nature of what is
unfamiliar) is the very hallmark of philosophy. Reality is inherently
challenging" because it is every time foreign and new to the human mind,
and it challenges the mind's attempts to represent it. This sense of
ontological "novelty" was clear to Giovanni Pico, who as a
philosopher was equally open to reasons of linguistic perspicuity and
philosophical inquiry. His was a subtle mediation between language (tradition)
and thought (novelty). In De ente et uno, Pico praises Poliziano,
"vindicator of a more elegant lan-guage," for allowing the use of
"a few terms that are not entirely Latin, but necessary in any case
because of the (ipsa rerum novitas]" (Pico The fact is that reality
is for the most part brutally opaque, while language is often employed to
confirm and reassert its opacity (through the use of rhetorical and literary
devices, for instance), more than to shed light on it. The exercise of
thinking, as an attempt to dissolve this resistance to interpretation, finds
itself uneasily squeezed between a reality that is perceived as already given
and the expressive resources made available by a particular linguistic
communities. The Latin of scholastic philosophy, precisely
because of its artificiality is more than well equipped to cope with bouts
of reality, and it continued to do so. To Libera we should therefore
add here Schmitt: scholastic Latin was in good health
— Schmitt. Indeed, the taxonomical and taxidermic use of
Latin, so much feared by de Libera, if we bear in mind thatthe imposing system
of Leibnizian scholasticism Latinized by Wolff became the breeding ground
for Kant's pre-critical production. On the development
of philosophical ideas in Latinate contexts f see "Latin and
philosophy" in ENLW Garrod, Rees, Kraye, De Bom, and van
Bunge). The close link between philology and philosophy is
examined by Kraye The research institute Lessico Intellettuale Europe has
been publishing regular contributions to the study of philosophical Latin
keywords in their developments from antiquity to the eighteenth century. (Florence: Olschki): Ordo
Res Spiritus Phantasia/Imaginatio
Idea Ratio Sensus/Sensatio Signum
), Experientia Machina Materia Bruni, Opere
letterarie e politiche, cur. Viti. Turin: Utet. Bruno, La cena de le
ceneri. Cur. Aquilecchia. Turin: Einaudi. De la causa principio e
uno." In Dialoghi Italiani, cur. Gentile e Aquilecchia, Firenze
Sansoni. Summa terminorum metaphysicorum. Cur. Gregory e Canone.
Roma:
Ateneo. Burnett, The Enrichment of Latin Philosophical Vocabulary through
Translations from Arabic: The Problem of Transliterations." In Les
innovations du vocabu-laire latin à la fin du moyen âge: Autour du Glossaire du
Latin philosophique, cur. Weijers, Costa, e Oliva, 37-44. Turnhout:
Brepols. "Revisiting the Aristotle-Averroes Edition." In
Renaissance Averroism and Its Aftermath: Arabic Philosophy in Early Modern
Europe, cur. Akasoy
e Giglioni, Dordrecht: Springer. Canone, .
"Phantasia/Imaginatio come problema terminologico nella lessico-grafia
filosofica " In Phantasia-Imaginatio, cur. Fattori e Bianchi,
Roma: Ateneo. Ciliberto, Lessico di Bruno. Roma:
Ateneo et Bizzarri. Libera, . "Sermo mysticus: La
transposition du vocabulaire scolastique dans la mystique allemande du XIV°
siècle." Rue Descartes Le latin, véritable langue de la
philosophie." In Hamesse Dionisotti, Philosophie grecque et
tradition latine." In
Hamesse Dionisotti, Introduction to Prose e rime, by Bembo,
Turn: Utet. Garin, Prosatori latini del Quattrocento. Milan:
Ricciardi. Giglioni, "Primalità (primalitas)." In Enciclopedia
bruniana et campanel-liana, ed. Canone/Ernst, Pisa: Serra.Gilson, Index scolastico-cartésien.
Paris: Alcan. Being and Some Philosophers. Toronto: Pontifical Institute
of Mediaeval Studies. Goclenius, Lexicon philosophicum quo tanquam clave
philosophiae fores aperiun-tur. Frankfurt: Becker. Lexicon philosophicum
Graecum ... accessit adiicienda Latino lexico sylloge vocum et phrasium. Marburg: Hutwelcker. Gregory,
Origini della terminologia filosofica moderna: Linee di ricerca. Firenze,
Olschki. Hamesse, Aux origines du lexique philosophique européen:
L'influence de la Latinitas. Louvain-La-Neuve: Collège Cardinal
Mercier. Hobbes, Leviathan, ed. Malcolm, Clarendon. Kraye, Philologists
and Philosophers." In The Cambridge Companion to Renaissance Humanism,
edited by Jill Kraye, Cambridge: Cambridge, Pico on the Relationship of
Rhetoric and Philosophy." In Pico della Mirandola: New Essays,
edited by Michael V. Doughert. Cambridg. Leibniz, Die philosophischen
Schriften, 7 vols., edited by Carl I. Gerhardt. Berlin: Weidmann.
Paccagnella, La lingua del Peretto" In Pomponazzi: Tradizione e dissenso,
edited by Marco Sgarbi. Florence: Olschki. Pico, De ente et
uno." In De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno, e scritti vari,
edited by Garin, Florence: Vallecchi. Poliziano, Angelo.
"Miscellaneorum centuria prima." In Opera omnia, Basel: Nicholas
Episcopius. Schmitt, Aristotle and the Renaissance. Harvard. The Aristotelian
Tradition and Renaissance Universities. London: Variorum. Renaissance Averroism
Studied through the Venetian Editions Aristotle-Averroes (with Particular
Reference to the Giunta Edition In Schmitt, Aristotelian Textual Studies
at Padova: The Case of CAVALLI (vedasi), in Schmitt. SEGNI (vedasi), L'Ethica tradotta
in lingua volgare fiorentina et comentata. Firenze: Torrentino.
Speroni "Dialogo delle lingue." In Opere, Venezia, Occhi. Valla, Dialectical
Disputations. Ed. Copenhaver/Nauta. Harvard. Zambelli, From the
Questiones to the Essais: On the autonomy and Methods of the History of
Philosophy, In Astrology and Magic from the Medieval Latin and Islamic World to
Renaissance Europe: Theories and Approches, Farnham: Ashgate. Stefanoni.
Luigi Speranza -- Grice e Stella: la ragione
conversazionale dell’ iustum/iussum, o la causa dell’anormale come l’
implicatura d’Honorè – la scuola di
Sernaglia -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sernaglia). Filosofo vento. Filosofo italiano. Sernaglia,
Treviso, Veneto. Grice: “What is it with Italian philosoophers that they are
all into what at Oxford we would call jurisprudence?” Grice: “It seems like all
Italian philosophers are like Italian versions of H. L. A. Hart!”. Studia a Treviso e Milano, sotto CRESPI. Insegna
a Catania e Milano. I suoi saggi si diregeno su alcune tipologie di reati, successivamente
sugl’elementi strutturali del reato. Il
suo contributo filosofico più noto, presso gl’operatori del diritto penale e la
comunità accademica, è “La spiegazione causale dell’azione umana” (Milano), in
cui ricostruisce il problema del nesso
di causalità prospettando il criterio della sussunzione sotto una *legge* come
strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una legge di copertura,
atta a spiegare il rapport causale fra la condotta dell’attore ed il effetto e possibile
formulare un giudizio sulla responsabilità dell’attore. Ad es., solo dopo aver
dimostrato, sulla base di una legge, che l'ingestione di un determinato farmaco
determina casualmente malformazioni del feto, e possibile imputare alla ditta
produttrice il reato di lesioni gravissime, colpose o dolose. In difetto di questa
spiegazione causale non puo formularsi alcuna responsabilità a regola di
giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione
anche in un processo. Il principio venne accolto in tema di nesso causale dalla
corte suprema di cassazione, anche a sezioni unite. Oggi è norma codicistica.
Dirige riviste giuridiche di diritto penale ed è fra i curatori di raccolte
normative di largo successo presso la comunità forense. S’interessa anche nella
teoria generale del diritto e la filosofia del diritto, mediante saggi maggiormente
agili rispetto ai saggi penalistici. Esercita la professione di avvocato,
partecipa in qualità di difensore d’alcuni imputati, al processo del petrolchimico
di Porto Marghera, dove fa applicazione, dal principio della spiegazione
causale. Altri saggi: “L'alterazione di stato mediante falsità” (Milano); “La descrizione dell'evento” (Milano); “Giustizia”
(Milano); “Dei giudici” (Milano); “ll giudice corpuscolariano” (Milano); “Le ingiustizie”
(Bologna); “il galantumo del diritto”, Corriere della Sera. Grice’s
implicature: ‘only abnormal cases require a cause’ (Teoria causale della
percezione). Federico Stella. Stella. Keywords: Grice, implicature della
descrizione d’azione umana, H. L. A. Hart, Honoré, J. L. Austin, responsibity,
aspets of reason, alethic reason. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stella”.
Luigi Speranza -- Grice e Stellini: la ragione
conversazionale dell’ortu morum – filosofia friulese -- la scuola di Cividale – filosofia friulana -- filosofia
italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Cividale).
Filosofo italiano. Cividale, Udine, Friuli-Venezia Giulia. La sua fama è dovuta
soprattutto al “Saggio dell’origine e del progresso de’ costume e delle opinion
a’ medesimi pertinenti – con quale ordine si sviluppassero le facolta degl’uomini,
ed appetite ne uscissero loro connaturali” (Siena, Porri). La sua concezione
morale è di stampo liceale -- e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno
dei precursori della sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di
Udine e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi. Enciclopedia
Treccani, su treccani. Dizionario biografico friulano, su friul. SAGGIO so PK A
L'ORIGINE ED IL PROGRESSO DE’ COSTUMI,
DELLE OPINIONI A’ MEDESIMI PERTINENTI
DI giagopo stellini VOLGARIZZATO DA
Lodovico valeriani. 2lfeum
sempcr jadlcmm omnia nostros aiti
iwenwe per se sapientius quam GreBcos, aut aecepta ab illts ^ccisse meliora . Cecrroj^e TascuL lib* i* r. MILANO . MDGCGVI, Presso Pi ROTTA e Maspero
Stampatori-Librai in S. Margherita ragionamento OEL traduttore. CHIARISSIMO SI MONE ST RAT ICO LODOVICO VALERIANI. ^ ■ QQiene Amico
Veneratissimo, Cill Opere di cert'*
-Ingegni ciò che avveniva nel Paganesimo
a" boschi sagrati a qualche
Divinità . Si o/zo- ravano, si
rispettavano ^ se ne dicevano maraviglie ; ma ninno usa- appressarvisi, ninno era vago di venerarvi per sè medesimo la r t %
\ IV
moesfft soUtana de’ loro Da . Co
Sé U.Ù i prodi,!, C. ne rc,aoo
per il ^ol,o, non ^rano cU „cn-.0inc di
alquanti pn noaelhe- ri, /.none
piuttosto a * ragione umana al cospetto
ro- mulgassero anch* essi nell*
idioma de* Pajnnìani e de* Cesari :
nù gli ern certo di freno V esser
dig^ aià questa lingua jiress' ogni
j'io- polo spenta nella memoria del volgo
. Perchè a tenere le genti nella unità
delle massime bastava farla comune a
quelli, che in ogni Stato governano la
mente e il cuore del popolo; e s* era ad
essi già resa ^ non solo amabile, ma
necessaria con tutti i mezzi ^ che possono e
lusingarne e costring,erne il sentu
mento, altronde tal generale igno*
ranza felicemente contrihuwa a
coprir gli oracoli di quelle tenebre,
dentro le quali fnchè sien chiusi
gli oggetti del culto pubblico ser-
bano sempre inconcussa V autorità
senza pericolo di mai scemare nella
comune opinione di riverenza. As~
sunta di questa forma ad intera
prete del Santuario e del Foro j
qual maraviglia che fosse ancora
trascelta per dirozzare e diffondere
le scienze e V arti ^ che piu cimentano la riflessione, ed impegnano
la estimazione degli uomini ? Piace agV ingegni estesa celebrità ; nè piace meno
di vivere per fama splendida nella memoria de" posteri, che di fiorire per sentimento onorevole nella opinione de" coetanei . Quando
ella pure non fosse stata per se
medesima commendabile su quante oTìdcivciTìO ITI tanta pertUThazio ne di popoli rusticamente abozzan- dosi 3 e quando ancora le fosse venula meno la digfiltà conferitale dal Sacerdozio, valeva a render^ la degna di preferenza^ nelle più nobili discipline la facoltà di rapire l nomi
degli Scrittori dulie strettezze di una
provìncia o di un regno f>er farli
chiari iti ogni angolo deW universo .
iVé finche Jìoma tenne tranquilla il
jmimato nel Cristianesimo tale opinione
invi^ lì . Ma non s) tosto si ruppero le Cermanie j che il primo impegno de’ Voratori, doi inique spirit o di libertà religiosa insinuò, fu di ritogliere i
Libri sacri alla iiiterpre- iazione (le*
j> 0 (hi addetti a* misteri, e nudi
esporli ne’ jiopola ri diai etti alla
moltitudine, cui semjire igno^ tu è
l’oggetto di riti arcani . /71
Inghilterra intanto alle tiranniche
rinnovazioni di culto successero le feroci rivalità di governo ; e la pre* mura involgere nelle contese di Stato il popolo strinse a discutere neW idioma del popolo ogni ragie- ne di Stato. E questo accadde mentre la Francia, piena di Greca e di Latina
eloquenza ^ spingeva il secolo di Luigi ad emulare la gloria de'piu distinti per gentilezza di
lettere ; talché ben presto per tutta
Europa si sparsero volumi ogni argomento, nativamente scritti da que^ due popoli ^ arbìtri già del commercio delle nazioni. Correano allora per noi qué' giorni, che
guasta la poesia, contaminato ogni genere di eloquenza ^ pareva poco agV ingegni di segnalarsi per
frenesia di concetti, se non rendevali
ancor piu stolti la insania delV
espressioni ; cosicché trattine pochi e
spezialmente de* trattatori di fisiche
proprietà . era comune il delirio di
travagliare a corrompere con mostruose
arditezze la dignità della patria
letteratura.^ Nel maggior impeto appunto
di €piel farnetico fu presa Italia da quel dispetto per le civili dottrine., che presto degenerò e in colpevole dimenticanza per gli anlenaù,, che avevanle sujìcriormente illustrate., e in esecrabile indifferenza pe^ successori,
che allo spuntare di miglior secolo
arditamente prendevano a ristorarle .
Rinacque allor vera~ mente con la
purezza delle maniere il desiderio e C amore di quelle scienze ., che nostre parvero, e sono j per
evidente cortforinila di carattere ; ma ricevutesi, ed apprezzatesi come
straniere, incominciarono ancora come straniere /a trattarsi . Quindi la stima
sLifyerstlzio- sa pe* libri d^ altre
naziorii; quindi la nausea per ogni cosa ^ moderna o antica f che fosse
nostra; (pùndi la smania di conformare
la mente e il cuore j, come le mense e
le vesti cC costumi altrui ; di qui
naque alfine per quanto io stimo
doversene ar fomentar e ^ che mentre in
altre nazioni Vinvilimen- to della
Romana crebbe decoro e vaghezza alla
propria lingua, tra noi col pregio
scemato a quella venne il languore, il
fastìdio ^ e finalmente la corruzione, e
lo strazio deir Italiana, F* ebbero sempre
dé^ Grandi, che V una e V altra
onorarono; perchè in Italia si può
sopire ne* più, ma non estinguere
in tutti il senso della verace grandezza patria ; nè volse tempo
così infelice per noi, che non
brillasse d* un raggio della primiera
maestà. Ma le concordi querele di
questi Grandi sul depravato carattere
del* la nazione fanno argomento,
che Fuso, arbitro delle lingue e
de^ costumi de'* popoli, già
insolentiva per modi barbari nelV
obbiezione d'ogni nativa eloquenza, Erano
certo rpieste sciae bastantemente già grapi per sè medesime, se non cfte resele
ancor più. gravi, ciò eh'è di estrema
de- j/rara zinne argomento, V esser si
fatta per esse vana ed infrutfuosa a’
jffogressi de* nostd ingegni nelle
utili faroìtà la estimazione serbata
pure incorrotta a fjne* sommi uo-
miìù^ che più tra r/ffi le illustrarono, J^oichò non basta che
s*ahhian essi la debita celebrità,
perchè la gloria de* trapassati divenga
stimolo di virtù j)er ar(tendere la c-
mulazione de* jiosteri. Conviene sia
noto il titolo ; se ne conosca il carattere^ la rjnaiità, V
estensioneche non solo aveste patria
'comune- con lui, ma suo Collega pur
foste nello splendore di antica Università; lui per lungh^ anni congiunto ancora co* vincoli della più ferma ed mge- uUfa benevolenza. Quando pur fosse la sua dottrina di tenebroso oarat- ter e per ingegni ritrosi ad alte speculazioni > avrebbe potuto egli non acquistarsi la stima cZe* più volgari intelletti? Urb Uomo d?ab- bietta . e\ misera condizione j che nella infanzia stessa muove la maraviglia di
un Istituto piamente inteso alla
pubblica utilità ; che ammesso a tale
Istituto j splendido già per carattere
di sapienza;, fas- sene tosto raro e
pregiato ornamento ; che il primo aringo tentato in sua giovinezza è di sforzare
la patria lira a render libera i sensi
della Tehana y cercando h ( f 1
r § ¥ r
.ir r l
• \
adentro e chiarendo V arcano spU
rito d^un Poeta, che i>aTve, ai-
dire d^illustre Critico, altro di se
non volesse svelare asti uomini,
che quanto loro bastava per am-
mìrarln senza permettere di cono-'
scerlo ; che non contento do co-
irlier fiori d'agni vaghezza nella
tolgar poesia, tratta anche i numeri latini e greci ; c/te in ogni nohìLe estranea lingua niostra perizia e
valore eguale che nella patria ; che in età giovane ancora vedesi assunto aW incarico, dovunque arduo,
m.a somiTiamente gel(f- so in oligarchia
3 di ammaestrare i figli del più
distinto Patrizio della sua Patria, c
del Ministro più benemerito e caro alla
sua Repubblica; che dall' onore di
tal privata istruzione viene di pubblica
aìitorità destinatoad espor la scienza,
come la più necessaria al bene delie
nazioni e degli uo^ r m mìni
j co5Ì la più malagepole per lo
contrasto implacabile de^ costumi e delle opinioni^ in quella Città che ricorda e Galileo e Santorio ^ ammira e Luzzarini e Morgagni ^ a cui / affrettano già di succedere un
Cesarotti ^ un Toaldo, nè la modestia
vostra se ne quereli 5 uno Stratico ;
che per interi sei lustri così la
espone^ che non più solida o più
benefica la propose nè V Accademia, nè
il Portico ^ nè il Liceo ; che ne*
riposi pur 7 nostrasi qual ne* cimenti
gV ingegni meglio addestrati ^ perocché
sono suoi passatempi eruditi e liberare Euclide dalle censure de* matematici j e vendicar dalla sferza dello
Scaligero Giorgio di Tre- bisonda ed
Ermogene, chiarire Aristide Quintiliano^ proteggere dalle aggressioni di Meìbomio Epicuro, purgar Platone dalle bruttezze appostegli da
traduttori ed interpreti^ pili mloroii nella grammatica che nella greca filosofia y svolgere i sensi creduti già inestricabili di Aristotile,
crearsi in fine tal credito di
universale intelletto^ che a Zui il-
corrano scienziati d ogni maniera ^
quale a maestro e ad oracolo ; che
mentre illustra e feconda e con
precetti e con opere ogni arte e
scienza profana e sacra ^ medita e
compie V ardito proponimento di
stringer tutte le cognizioni in sistema i emulo di Bacone j di
Cìiarrl- hers ^ di Diderotto; un Uomo
di tal carattere per quanto veli sè stesso agli uomini ^ non è possibile che non tpeuminài una lucc'^ che ìjfmwof i cuori più stupidi a ripe- penza . E come poi lo sarebbe ^ se a tarile doti di spirito le piu soavi^ si
unissero prerogative del cito-^ re?
Parlo di quelle virlit morali,^ che
parvero così belle al Giovine Plinio in
Eufrate Filosofo ; virtù > che
rendono V uomo caro agli uomini _j e
cjie rendeva nello Steliini più luminose ed amahili quella natica modestia rara ^ per cui pareva lui
solo non aver cuore per apprezzare se
stesso . JVon p’ ha carattere ^ che non
si pieghi benevolo a C 05 Ì. nobile immagine di virtù, I sommi ingegni
compìaccionsi di ravvisare in lei,, come
in cristallo purissimo, senza macola
quella eccellenza di spirito j,' che li sublima
dai vó lgo : i piccioli vi si affisano ^
come a Sole ^ Il qual riscalda ed
illumina senza offendere : pur quegli stessi j che tanto un* ombra
di scienza in sè stessi onorano
quanto ne ahborrono ogni sostanza in altrui
y timidi sempre che il merito possa
decidere della fortuna y questi medesimi non ricusano di riverir e ^un
Filosofo, che sempre chiuso in sè stesso non si dà briga per niuho di quegli eventi, che romo- XXIJ
t'Bggiano 6 pOiSsoiTio* I*^iufio stupoìc
adunque ^ che lo Stelliiii ^ vissuto
nella benevolenza, morisse nella venerazione degli uomini : niuno stupore
5 che ne sonassero elogj per tutta
Italia^ ed uomini sapientis- simi si
consagrassero per anni interi a raccogliere quanto di grande lasciò morendo
senza curare che fosse per
sop)ravvivergli : niuno stupore alfine^ che così viva la sua memoria nel sentimento di quanti personalmente ammirarono la sua virtù ^ che il nome vadane ancora di lìngua in lingua ^ siccome d^iio- mo sempre mai degno di pubblica ricordanza .
Può questa dirsi e parere in vero
assai splendida celebrità. Per
dichiarirne il merito consideriamone la sostanza. Pochi v’han certo
^ che nominando Steliini non lo ricordino.}
come il decoro di Padova pe^l suo
mirabile magistero. Gioiti pur sono y che si compiacciono di replicarne il giudizio datone dalV Algarotti y che non vi fosse arte o scienza y ne^ cui segreti non penetrasse y
talché potesse in un anno spiegare in
tutte carattere di maestro y siccome appunto quel Mimo, di Lucianoy che in una danza contraffaceva
tutti gli Dei. dorranno alcuni sino
convincervi e persuadervi y ch^ egli ebbe forme e carattere pressoché simili a
Socrate . jVoii vi sarà finalmente chi
non lo esalti siccome un gran
metafi- ficOy senza neppure permettervi
di riflettere che vaglia il suono indistinto
di un tal vocabolo . Qual è frattanto
generalmente il suo credito sopra le
Scienze Morali ? Dico generalmente y
perche siccome da pochi mal s^ argomenta il
costume y cosi mal cercasi in pochi il giudizio pubblico, Non egli è impresa di poche pagine strin% xxiv
gere in hreoe argomento V Etica,
intera dello Steliini . Pure non è
difficile con lievi tratti, che ne di-
stinguan lo spirito, mostrarla lale^
quale non mai s* adombrò . Fu
della Veneta Signoria sapientissima istituzione tra le dottrine da esporsi a’ giovani collocar quella ^ che tutte le perfeziona indirizzandole tutte
alla pubblica felicita la scienza della
ragione e de costumi degli uomini. Perchè qual
cosa più stolta, siccome aweite
piacevolmente il dottissimo Fonte-
nelle, che rilegar la filosofia nel
cielo a calcolarvi oziosa i dìopì-
menti degli astri, ovver condurla
raminga sopra la- terra a vagheggiar quanto s* offre dalla natura alV mnana curiosità ^ senza per^ metterle che mai s* approssimi all* uomo per trarne leggi di vita cor- rispondeìiti ah carattere delle'‘ sue splendide attribuzioni F Socrate fu per r uso di coiai proi^^ida peritò detto il più 5 apio degli uomini . JJegno fu pure di tanto senno in^^ stituire a maestro di questa scienza
Aristotile t Imperocché di quanti
presero in Grecia a distinguersi
nella dottrina messa in onore da
Socrate solo Aristotile seppe acconciarla al carattere delle
abitudini umane . Chi trasse V uomo a
tale felicità, quale da pochi appena
si può raggiungere ^ e che
raggiunta niun bene arreca alla società
voluta dalla natura tra gli uomini;
perciocché pochi son quelli ^ che distaccandosi affatto da quelle
cose^ di cui si allegrano i sensi,
trag- gansi dietro ad oggetti, che
solo possono attingersi con V intelletto
j perdendo V animo in vane contemplazioni
. Chi ne forrrpò tale immagine ^ che non
potesse lusingar V uomo se non rinchiuso in sè
stesso 5 talché per ogni contatto di
c xxvj cosa estranea s* inamarisse, can- giando Vuomo in un essere inerte e timido i che si tenesse beato qiian^ do si fosse condotto a credere d’essersi
fatto insensibile ad ogni umana COSI straniera che propria necessità . Ohi
tutto il volle ne sensi immerso,
ammaestrandolo a non curare che quanto
stimola il corpo per disputare a'bruti una felicità ^ la quale > appena
toccati ^ fugge da quegli oggetti ^ che
più fan mostra alV istinto di possederla
. Chi finalmente non trovò meglio per V
uomo, quanto distruggergli in cuore ogni regola
di certezza^ ed infoscargli nelV intelletto ogni luce di veri!à ^
perchè, non più da speranza o da
paura condotto, si abbandonasse senza
consiglio alV impulso di quegli eventi ^
cZe’ quali, mai non osando esplorar
le cause^ mai non sapesse nè temperare;, nè rompere le conseguenze
^ Sempre guardingo Aristotile
dalle insidie della immaginazione e
de^ sensi ^ mentre dagli altri si
apriva alV uomo un cammino ^ non prati- cabile che a ritroso della ragione o del cuore ^ egli svolgendone le attribuzioni
e le primarie spiandone facoltà, lo
trasse dove ciascuno ^ che umano vivere
non abborra, dee pur conoscere e
consentire doversi affrettar chiunque
abbiasi fior intelletto, Imperocché cercò egli quella felicità ^ che il meno si
allontanasse dal comun senso degli uomini ; che r uomo intero > quanto e qual fosse ^ abbracciasse ; che lo rendesse geloso amico di sè medesimo, e
cittadino benefico ed operoso ; che lo impegnasse in somma y non a dibattersi
vanamente per farsi libero,, ma per
giovarsi utilmente di quelle cose y
tolte le quali è pur forza che si
disciolgano i vincoli d* ogni civile e domestica società . Mostrò ^ che il senso non dweniva inimico della ragione, che quando già- la ra- gione pià rì,on curava se stessa y che ninna cosa esteriore corrompe i sensi, od* essi stessi non prenda-^ no ad alterare il carattere delle cose, disordinando le relazioni, che uniscon V uomo ad ogni eS" sere deir universo ; che tra lo spi^ rito e il cuore v^ ha di natura tale corrispondenza y che quando questo sia retto y quello non può suW ordine della vita essere mai tenebroso ; che le virtù morali sono di tale carattere y che rimanersi non possono y dovunque allignino, infruttuose ; che in conseguenza può ciascheduno egualmente cori» darsi a tale felicità che altrui si renda benefico nel provvedere a se stesso. Meritamente adunque fu tal Morale distinta per ogni 56 * colo, come la più civile che pre- • xxix 5en£a55e alV umanità la greca fi-’ lo sofia : meritamente da’ saQj d’o- «
gni nazione fu sempre ornata in
maniera di affezionarle gV ingegni j eh’ amano instituirsi prwata- mente con arti buone al possesso di una virtù non difficile a conservarsi, e
procacciarle nel tempo stesso il favore
de’magistrati s che aspirano a stabilire
la pubblica felicità sopra leggi > che guidino con dodi freno i costumi sempre variàbili e
sempre varii degli uomini, Talmentechè
que’ Sapienti^ che nel risorgere delle
scienze si argomentarono a svolgere la morale secon- dochè da filosofi d'altro carattere fu composta, furono pochi e rivali rimpetto a
molti e concordi s ebbero fama d’ingegno
più che frequenza di scuola ) soti chiari in
fine per merito di erudizione, fna
non in grido egualmente per magistero di umana felicità * Lad- doQe f caduta ancora la signoria che tenne ferma Aristotile su le scienze sinché le scienze furono schiave di tali, che più temevano la ragione che non i vizj degli uomini ; quando ancor pure si nau~ seava per moda ciò che per moda in prima divini zzavasi ; e il Precet- tor di Alessandro si ricordava per giuoco sino in que^ circoli ^ ne^ quali i nomi de^ grandi ingegni ^ pur pronunziati con riverenza, si disonorano ; furono e V Etica e la Politica Aristotelica sempre onorate ed
accette^ siccome quelle che illustrano
ed avvalorano ^ non vi-^ zìan V uomo o V
insultano, e in luogo di provvedere a
pochi con la disperazione dei più
mostransi pronte a’ bisogni j e Ze
speranzè sostengono delle nazioni . Bastava dunque ^ per essere veracemente
utile e grande j che si attenesse
Stellini alV ordine di Aristotìle ; hastam certo^ che Verme sue ricalcando, non 5’ impegnasse che a svolgerne i sensi astrusi ^ a* renderne più luminosi i prìncipi, a costruirne più solidi gli argo* nienti, ad ampliarne le conseguen^ ze j, ad estenderne le istruzioni ^ perchè amoreooli e facili si pre^ stassero alle occorrenze e al carattere delle
variate abitudini y si prevalesse in
somma della infinita sua erudizione per
illustrare di nuova luce le massime del
Peripa~ io 3 con la eloquenza
esponendole 3 che in lui fi.oriva
spontanea, ed era di tal carattere 3 che
mentre con il calar delle iminagini
agitava la fantasia 3 con il vigore de*
sentimenti sforzava il cuore, e sì traeva despotica Vintelletto. Ma non contento di correre gloriosamente un aringo già segnalato da molti 3 volle egli aprirsi una strada 3 per cui potfssse così distinguersi 3 che 3 h
xxxij * TìlCTltr6 pOjTCVOi iìltCìltO ^ SB^IMT altrui fi riuscisse dove chiunque hra^ masse pure di spiri, ger si ad e guai mela dovesse jmr confessare non rimanergli che seguitare lui stesso. Il primo impegno fu dunque dare alle cose morali quella certezza, sommo argomento di verità ^ ^ cui negò loro ÀristoLile ^ e che 2 ora maso d'Jquino stesso nel suo Com-^ mento aW Etica Aristotèlica non seppe loro concedere j e la qual mentre diceva Loche non esser loi o impossibile di sostenere fi si dimostrava da
Vico SI bene ad esse acconciar si fi siccome a cose^ che han di natura tal regolare andamento fi qual si conviene a sostanze j, che hanno attributi e forme e relazioni i
iwariahili non altrimenti che qualunqu-
essere organico deW universo, Ma Vico non guardò V uomo individuo j che per librarlo operante in massa con gli altri uomini ; i suoi riguardi non si fissarono sopra gli
umani caratteri costituenti Iq>
spezie umana j, che per isQolge^ re e
misurare e conchiudere V in-' tero corso
costante e certo nella sostanza
quantunque incerto nelle apparenze e
volubiledelle umane generazioni.
Steliini adunque ìnsU stendo su que^
principi, ch^avea già Vico proposti
siccome base d^ ogni morale argomento,
principi ingenu ti j che rivelati una
volta non pos-> sono non rimanersi
eternamente uni per tutti ^ prese a
discuter Z’uo- TUO individualmente per
avverare quali dalla spiegata natura
sua regole uscissero e forme di
umana felicità . Ei conosceva assai
bene quanto contribuisse a mettere in luce e in forza ogni ragione di verità la via tenuta .nel rintracciarla per
consentire filosofando alla massima di
Bacone, che quella forma di ragionare, la qual
d da" fird, cui s^è proposto V Autore della natura, intende scoprir U leggi particolari degli esseri, vuoisi considerare, come una vergine a Dìo votata e in feconda . Quindi ei non mosse dalla dichiarazione del foie per poi discendere alla generazione
delle virtù ed’alla forma degli abiti,
qualificando le azioni umane più dal
soggetto parziale che le dispone, che
dal principio universale che V anima
rispetto al fine che le necessita •
jyia, tutto inteso a discerner V uomo
per il carattere delle distinte sue
attribuzioni, da cui può,solo evidente’^
mente raccogliersi a qual ragione
di vivere sia condotto, fecesi egli
primieramente a considerare quelle
facoltà umane, che dalle umane
attribuzioni si avvivano, e che pur
tutte, benché non tutte in un gta-
do, sensibilmente negli uomini si
manifestano; gli usi, ne" quali coynunemente sogliono adoperarsi
da- gli uomini ; gli effetti in fine^
che al par io ed agitato lor vipere
ne risultano, Conosciuto di questa guisa non solamente il carattere ^ ma la estensione ancora di ciascheduna y ed
avvisato per conseguenza come tra loro
son élleno di forze molto ineguali y
tali però da poter si. accordare insieme per attuarsi accordate insieme ad un termine y dal contrapposto delle diverse lor indoli spiegò gli uffizj di ciascheduna y
segnando i limiti a tutte da contenersi
y affinchè y ognuna contribuendo (ù bisogni umani sol quanto lei sì conviene si
avvalorassero insiemey non /
implicassero, nè soperchiandosi smodatamente si riduce ssej'O ad essere
scambievolmente disutili. risto però che uomo
non solamente nascevasi dal consorzio y ma nel consorzio ancora di altri uomini y e cK era tale consorzio
disposto in t zarà col crescere » in ciascun uomo guisa da rlnfor", chiarì tal
essere il carattere delie parziali sue facoltà, che non sol queste si sviluppassero in comunw- ne con altri uomini, ma che da tal comunione principalmente pulso e lena prendessero a svilupparsi.
Quindi ei si accinse a mostrare il segno, insino al juale dee V uso loro dagl’ individui distendersi,
non altrimenti rispetto a sè che ad
altrui, chiarificando comè tal uso per
dirsi retto consiste nel provvedere alla
vita individuale giovandosi de* soccorsi, che appresta all* uomo la comunione degli uomini :
soccorsi certo maggiori di quanti
altronde ne possa attendere ; ma che si perdono, anzi in rovina si volgono per qualunqu* uomo si
attenti a vivere senza rispetto ad esseri, che similissimi a lui son come lui provveduti delle medesime
facoltà. Così fu tratto dal fine stesso
della Worale a connettere essenzialmente con essa ^ e in conseguenza a discutere la sostane za i le relazioni e il carattere di quella prima società umana ^ senza di cui nè
giammai stata sarebbe fumana stirpe^, nè
mai sarebbe per conseri^arsi e per
essere. Parlo della famiglia y della doìnestica società parlo y la quale è tale
y che^ qualunqu^ altra ragion di vwere
si pongan gli uomini amplificati a popolazioni) non può non essere il fondamento e il vincolo di tutto il pivere umano* Tale carattere Steliini in lei ravvisò ; ne investigò la sostanza in modo y che ciascheduno vi
contemplasse y noti contraffatta dalle opinioni degli uomini) l'opera stessa della naturay traen- dola dalla caligine y ove giacea per antica rivalità di sistemi ; C 05 Ì
fi"" nalmente esposela y che
si mostrasse legata in guisa con il parziale^
ben essere 3, che solaìnénf e da lei
nascessero 3 e solo in forza di lei
si rannodasser que vincoli 3 che
stringer debbono gli uomini in quel-’
lo stato 3 in cui pur dopo le agitazioni domestiche 3 e per il bene deW individuo e per la utilità della spezie 3
son violento ti a comporsi dalla natura
. Di questa forma pesando V originale
carattere di questo stato 3 avverandone
i fonda- menti 3 chiarificandone le
naturali sue relazioni 3 sempre rispetto
al principio della individuale prosperità
raccolto dalle individuali facoltà umane 3 condusse VEtica sino a quél punto 3
oé ella deve arrestarsi per non turbar le ragioni della Politica 3 cui si convien dalla essenza
della Città desumerne le varie forme per
congegnarle in modo 3 che sempre a* voti
rispondano della natura e degli uomini*
E questo fu V altro assunto ^ per
cui Steliini cercò distinguersi trcd
maestri della maral facoltà. Imperocché gli è pero ^ che fu la scienza morale introdotta in Grecia per
soi?P€nire alV indole delle cibili
occorrenze ; gli è pero ancora ^ siccome
ho già divisato j che il più fra quanti
accinsero a segnalarsi neir arte
nobilitata da Socrate fu certamente
Aristotile^ che la vestisse di umana forma perchè guidasse benefica le
inclinazioni de-- gli uomini. Ma
svolgere cosi Vuo- tno j che le medesime
facoltà sue palesassero V insufficienza
propria di svilupparsi utilmente senza
il commercio degli altri uomini j
cosi discutere gli usi loro 3 che si apprendesse
per essi come sia d*uopo accordarle
utilmente insieme ; disaminarne così gli effetti eh* essi medesimi suggerissero a quali regole convenga
attendersi per ben giocarsi degli
uomini^ mostrare in somma nel virtuoso
.operare nx>n solameàtè la^
perfezione . del fio-e preposto' àlV
uomo y» d \mezzo ancora essenziale
d'abilUm^fO'raggiunger e 'un colai fine ; e -in i. con ^ seguenza verificare e propor le basi d^ 'Ogni sociale rallori di n^ere ^ non solo come illazioni > a cui debba
andarsi dopo la istituzione d^or- gni
moral carattere per abbellirlo ^ ma
quali temi così connessi con V argomento
della parziale felici-- tà, che separare
non se ne posso^ no senza corrompere la
istituzioni delV uomo stesso ; fu questa
impresa onorevole di Steliini . Opera sua. fu pure ^ che le morali proposisioTbt -SI conducessero, ikii f orma ^
che ciascheduno per accertar- nè^ la
'verità xrrxm avesse clw a rintracciarne i principi tacila coscienza^ à 6
doGunienti attenderne dalla esperiénzà di sè medesimo* Nè . vuol tacersi y di' ei veramente per non viziarne V essenza la tenne ferma a quel fine y che le prescrisse
Aristotile y e che Tommaso (TA^ quino
stesso interpretando Aristotile le assegnò y di procurare alVuo- rao tale felicità y quale può solo nel corso di questa vita raggiun-- gersi. Non però volle siccome il greco Filosofo ridurla a tale da trasandare negli uomini y se non forsbanco distruggere y ogni speranza di
perfezione avvenire y dal che può sorger
neWuom.Oy temporalmente anche preso y un turbamento inimico della terrena
stessa felicità. Ma senza mescervi
estranee cose y COSI gli attributi umani
considerò y che mentre il retto
esercizio loro mostrasse a tutti la via
del temporale ben essere y mettesse pure vigore ed animo a quelli j che s^ indirizzano
a miglior fine con vie. migliori speranze. Quindi quelle qui- xlij
stìoni, che in altre opere di mo-
vale, o si dibattono con uno zeta
inimico della morale e degli uomini, oppur vi sono siccome a pompa dHngegno senza un legame che le congiunga alla umana Je- licitày nella Morale dello Stellmi discendono dal carattere della morale
medesima i mostrano vivo l impegno di provvedere a tutta la^ spezie umana,
pesano solo alV em- pio 5 nè
intimidiscono che lo stolto. Si aggiunga
a ciò la maniera ^ ond^ egli prese ad
esporla, Imperocché attenendosi nelV ordinare la tela de' suoi pensieri severamente al carattere dii /éristotile ^ che preferiva
al pomposo pensare il solido ^ €
procedeva negli argomenti per vie
spedite a convincere V intelletto ^
volle nel presentarli imitar Platone, il quale offrì colorito ai
sensi ^anto potevasi astrattamente
dall animo concepire p non risparmiando grazia
e vigore immagini ^ nè vezzo o numero di
parole per impegnare a convincere la ragione la
stessa iimnaginazione degli uomini, iVè lo Steliini era tale di fantasia
j, che irresoluta e timida gli si
prestasse aW incarico . Imperocché^ oltre alV essere vivace ardita e feconda per sé medesima ren- densi ognora più vigorosa e pronta con la
consuetudine de’ poeti ^ de’ quali usava
non solamente a ristoro delV intelletto,
ma per avverare in 65^1 principalmente il carattere delle opinioni e degli
usi predominanti de’ secoli ^ siccome
in quelli f che le impressioni più vivamente
ne soffrono s più se ne irritano 5 e quindi con più calore ne avvertono, e con più senso re’ esprimono V
andamento, Da ciò pur venne eh’ ei così
scrisse latinamente j, che mal direttesi a qual latino esemplare si conformasse
j perche da tutti cogliendo il fiore cosi
trattò questa lingua^ quasi^ pur
fosse nativa in lui e fattasi in lui
domestica o ne^ Comizj agitando il
popolo j o colloquiando aneli ei di
filosofia negli ozj del Tusculano .
Se dunque fosse tal Etica venuta a luce quando V Italia pregiava Cantica
lìngua come reiag- gio non tenue di
antica gloria ^ ne aveva appreso agli
estranei a sprezzare i suoi col farsi bella di non conoscerli o non curarli essa stessa ^
avrebbe certo incontrata tale celebrità
^ che nè splendore di commentari f nè copia di traduzioni j nè tipografici adornamenti niun le sarebbe restato in somma a desiderare di
quegli onori ^ onde si videro illustri
né* tempi andati o- pere nostre dibassai
minore importanza. Ma lo Stellini fiorì nel
tempo f che intiepidito generalmente il fervore di segnalarsi nelV idioìna,
lutino ^ leggi nè forti à reg^ gere piìi
i costuìni y nè sagge al~ meno di
concordarli con gV inte^^ ressi degli
uomini y perseuerai^ano CI riguardare
come sacrilega qua~ lunque lingua y che
avesse arditó d^ esporre giovani con
altre for~ mole y che latine y le
facoltà necessarie a svolgere V ingegno umano.
La scienza astrusa per sè medesima j il nuovo aspetto da riguardarla y V
impegno di presentarla in relazione
immediata co’ fondamenti sempre agitati deWuman vivere y la rigidezza delV ordine per sostenerla in
tale argomento y V erudizione recondita nel dichiararla y una latinità finalmente y cpianto nervosa e florida y tanto più scabra ed ardua y erano in vero cagione y che lo Stellini sì udisse dalla sua cattedra con maggiore curiosità y che frutto y e accagionato pur fosse di
oscurità y come attestane il li SUO- discepolo e splendidissimo lo- dator suo Carondli, prima per debolezza dagli
uditori 3 quindi^ per interesse dal
volgo de"" letterati > alfine poi per invidia dagli
scienziati medesimi. Nè miglior sorte
potea succederle^ quando per onera altrui
tal Etica si pubblicò : perocché gli usi f già guasti, non promettevano ancora
miglior fortuna. Da questo avviene, che
ancor fiorendo la fama di tanto ingegno
scodano molti 3 chiari eziandìo per
lettere j nel noverar gli argomenti
e i titoli di gloria patria dolersi
ninno aver noi che ne agguagli
nélla dottrina della morale agli
estranei ; i quali in vero non so in
quaV arte voglian maggiore V Italia ^ se quelle a lei non
concedono^ che per giudizio degli
stranieri medesimi sue sempre furono ^ e che
per tanti scrittori di chiaro merito ^ mancandole pur tal Etica j
le xlvij si appartengono . E come infatti potrebbe altrimenti credersi ^ quando lo
Storico nostro della filosofia^ yiel
punto stesso di accingersi a conservare
aW Italia la primazia nelle morali
dottrine ^ trascelti alcuni ^ che benché sommi non erano i più opportuni al bisogno, nomina appena
Stellinì in truppa con altri nomi y non
egualmente onorevoli a ricordarsi ? Quindi non è maraviglia, se nella Istoria sua de^ sistemi il Signore Degerandò non colloca tra gV istorici della jilosojia lo Steliini ^ che tale istoria
della morale adornò, quale non altra
d^altra dottrina può superiore aspettarsi, dimenticandolo affatto con Genovesi
e con Fico ^ i quali se fra gV inorici
della filosofia non han luogo ^ non saprei
quale più degno ne resti a lei secondo i grandi caratteri di Bacone, Ma
chi disprezza sè stesso xlvilj mn,^-diritto alla stima altrui; '^''hu.ésta per qualche tempo fu nostra
calamità* Per altro come stupirsi^ che V opere di Stellini venute a luce, lui
morto, sì poco grido muovessero tra gli stranieri ^ e tra' suoi j, se quella pure che vivo lui si 2>rodusse j anzi eh' egli medesimo
nel fiore espose dell'età sua^ quasi ad
esperimento del suo valore^ nel
magistero che apparecchiavasi ad
intraprendere tale fortuna incontrò 3 che fu quasi generalmente dimsniicata. Io non ignoro eh' essa formo la delizia di Peccaria; che pAlgarotti la predicava eguale aZ- la Dis’^crtrCzione del metodo di Cartesio c
il ^o&tì'Q illustre FrateU i 'sómmo
per, eloquenza non meno che per-d'ól’vfirialà "Estimò de- gnq> di meritar le sue cure per esser
fatta 3 di .lìngua arkcorag italiana.r- E cosu^')Ure fosse piaciuto alla sua modestia di non inandare perduta
almeno quest* opera con Valtre molte)
non tali certo da togliersi al desiderio della posterità) coinè tal Saggio or avrebbe si in nostra
lìngua quale potea recarcelo chi seppe
usarla con tanta pompa ad onore de*
trapassati^ Ma tal proposito stesso ) penato in lui non certamente d'altronde
che dalVardore di propagare la fama di
tanto senno ) basta sol esso a convincerne ) che fu tal* opera) quale per altr* indlzj noto è che fosse ) non solo ignota alla moltitudine pur disadatta ad intenderla ) ma neppur messa coni* era debito in pregio da que* medesimi che più
doveano onorarla. Varie cagioni concorsero a coiai esito ma somma fu V esser
ella di tenebroso carattere sopra ogni
altra ) che lo Steliini imprendesse a
scripere nella medesima lingua ♦
La rese tale primieramente la sua
.maniera di esprìmersi . Il preseritare con i colorii de^ sensi
allOi magmatica i concetti deW intelletto
y perchè discendano piu dolci e facili
al cuore, è ardua impresa per ogni
lingua y w.a spezialmente per quella,
che mancò alVuso degli uomini primachè loro^ si ofirisserò e nuovi oggetti a
discutersi, e nuove immagini a
disegnarsi . Grandi maestri seppero
certo adattarla a ciò; ma non è agevole a
tutti di poi discernere speditamenn
te sotto il velame di antiche forme
pensieri e cose di fresca origine,
principalmente ove sieno di non
volgare carattere, La quale difficoltà vieppiù sHncontra in taV Opera,
perchè Stellini, impegnato a stringere
in poche pagine ciocch e- ra pure
argomento di piu volumi, così raccolse i
concetti, che si potessero per così dire agguagliare al numero delle parole ; e di tal guisa intrecciandoli, che gravi e Ij
CLTinonici sostenessero la maestà del-^
V oratorio andamento. Uarduità
del subbicito inoltre crebbe durezza
d^ intelligenza allo stile. Imperoc^
chè non intese ad altro ^ che a di-^
mostrarci spiegata dinanzi agli occhi la vera istoria del cuore e
dello spirito umano, dalV età prima
alla nostra^ storia che in quel volume
sol potea leggersi i in cui sì bene
Vico avverò i principi delle civili
catcì- ' strofi y nella natura cioè
delVuomo in relazione con Verdine
delVuniverso . Talmentechè rinchiudendo ^
siccome in germe ^ in, tal Saggio
quanV ha e può avere corrispondenza con il morale ben essere ^ non solamente insegnò come tracciare e svolgere e le opinioni e i costumi de^ tempi andati ^ ma come ancora distinguere e governare il carattere delle correnti abitudini ^ e prepararle a
que^ cangiamenti ^ quali senza consiglio
andrehbono^ con il lij disegno di renderli, se non propizjj non tanto molesti almeno alla pace delle nazioni. Così rwelando alV uomo V origine e il fondamento d’ ogni moralità mostrò a’ rettori degli uomini le sorgenti della pe- ì'ace utilità pubblica^ e dimostrando filologi quale filosofia si conpe- nlsse aW istoria diede il modello a filosofi come condur la storia d o- gnifilosofià. Tale è il carattere di questo Saggio j e tale essendo gli e forza inarapigliarsi non meritasse altr^ onore dal chiaro Degerandò ^ cN essere con altr^ opere nudamente rammemorato ^ alcune pur delle quali poco alV Italia dorrebbe in pero che andassero dimenticate. E a rendere le dwisate due qua- lità pieppià disposte a pelare il nervo de’ sentimenti altra ragione aggiunse. Era Steliini di massima^ come
dichiarasi nel Proemio che non si
debbono tutte ^ o che tdmen
sempre non dehbonsij in pie^ na luce
mostrare agli uomini le verità . Quindi
si dee ripetere V a~ bitudìne di
presentar molte idee con forme poco
sensibili; di preferir le * maniere non usuali agli autori stes^ si delV aurea latinità ^ traendole ancor talvolta da^ primi suoi for^- matori ; di usare in fine vocaboli, frequentemente di equìvoco, e talor pure di opposto significato* E avea ben egli onde credere, che procedendo
altrimenti, con le piu rette intenzioni
ancora, correa pericolo di molto nuocere
a se poco giovando ad altrui . Poich^ egli volle discuter V uomo secondo che la
ragione, senz^ altra luce che quella del
naturale intelletto, potea discernerlo; che anzi, com^egli stesso esprimesi,
prese le cose morali a svolgere, come
Neutono le fisiche ; poste cioè alcune leggi, per esperienza note, dedurne le conse- liv guenze^ senza nè inpesf igare j nè la ragione determinare delle medesime leggìi S'egli è f e fu sempre, come pur sempre sarà bisogno di tutt i popoli i che pipan gli uomini oì lestamente ^
se il conf ori are a condui si ad onesto
vipere è il fine ingenuo della morale'
dee certo dirsi onorata impresa trarne le regole da relazioni ^ che tutti sentono esistere in sè
medesimi e a tutti possono dimostrarsi purché abbian senso di esistere y piuLtostochè da princi- pj ^ Tie’ quali sgraziatamente tutti non possono o PogHono consentire j e che infoscaii una volta nelV intelletto o
per imbecillità di mente o per nequizia
di cuore debbono ancor offuscare in esso
il carattere della morale, ove non
voglia permettersi di formarlo da cosiffatti
principi indìpisam.ente. Nè punto
può nuocer questo alla stessa veracità de^ principi • P^^^oechè,
sendo primaria attribuzione del pero
che sia mai sempre concorde a sè ^
gua~ lunque parte dipisamenfe se ne
di* mostri non può stenuar la forza
o la chiarezza delV.altre ^ ma col riuscir
necessariamente ciascuna allo stesso
termine si presteranno a pi- cenda
chiarezza, e forza, altronde il bene sensibile^ che frutta al genere umano V onesta vita degli Uomini ) e le miserie ^ di cui lo aggrava
sensibilmente 02;ni vipere hru- tale o
stolto ^ sono argomenti opportuni alV uopo delle nazioni per tener gli uomini concordi e docili nelle regole di una morale solidamente
benefica . A questo mirò Platone né suoi
Colloquj sulla repubblica j ne^ quali Socrate non già disegna la forma d* un^ ideale città f per farsi giuoco degli uomini siccome
credesi volgarmente ^ ma insegna agli
uomini V importanza della giustizia per il ben essere d^o^ni città, mostrando^ d quali fortune onorata meni e gV in-^ dioidui e i governi, vilipesa . E la innocenza^ di questo metodo
fu rispettata m maniera per lunga età, che Aristotile, il qual restrinse più già d ogd altro
filosofo la morale a regger Vuomo nel
corso di questa vita non olire certo
all’acquisto della civile felicità, ebbe
il primato fra quanti antichi s"
ebbero in essa a maestri, e per consenso
d interpreti e per numero di settarj,
nella eminenza medesima del
Cristianesimo. Prese a combattersi con
asprezza, dappoiché l urto di alcune massime
mise m impegno chi le guardava
per argomento di regno di opporsi
all impeto via via crescente col dimostrare fatale agli uomini qualunque
genere d^ istruzione che non mirasse a
consolidare quella unità di credenza
sopra gli affari del cielo y che già costala tanti delit^ tij, e tanto sangue e vergogna all* iiTìianità . JE tal politica inferocì, fonando Bayle spiegò V audacia di credere potersi giusta repubblica stabilire senza nozione di Dio, La quale temerità ^ quantunque avesse Plutarco già molto prima inségna^ to doversi così ricevere come il de~ lino di un sognatore ^ che si van^ tasse posseder Varie di costruire e consolidare una città fra le nuvole ^ e in
conseguenza comhattere non con altt*
arma che qual s* impiega a correggere una follia manifesta ^ pure non fece che
raddoppiar le ferocie centra ogni sforzo
della ragione, irritò dunque lo
zelo in quella classe di uomini y
che si potrebbero ben propriamente
chiamare y com^ altra razza molesta
d’ uomini da Cicerone si nominò
uccellatori di sìllabe y i quali cosi
notavan gli accenti de* ragionanti ^
§ Iviij come que" delatori di Tacito i volti de\ virtuosi^ per accusare colpevoli di vilipesa deità chi più cercava Onorarla con la ragione ^ siccome quelli a rovina degV innocenti pone- van fieri V accusa di violata maC’- sta. Da questo io credo avvenisse che la sentenza da Grazio già senza scandalo intesa, esservi tale intrinseca
moralità nelle azioni da strina- s;er
gli uomini ancora neganti Iddio, fu con tanf ira ascoltata da Fuffendorfio . erano in vero con i costumi alquanto pur le opinioni appiacevolite, quando Steliini illustrava V
Dùca ; non però a segno O^TÌTB ^ %Th
ItCL—^ Ha, sicurtà piena di ragionare
. jV’ è chiara prova egli stesso, Imperocché
nè gli valse la circospetta maniera di
presentare un tal Saggio ; nè gli giovò presentarlo al Pubblico dopo di averne deliberato con uomini di timorosa pietà; nè fu schermo
in fine un curai ter e di religione
austerissima. Villane e perfide accuse
di SpinonUmo e Obbesismo V ojfeser vwo,
nè rispar- miaronlo morto. Che se non
giunsero ad intristirlo fu che il suo vivere sì poco ambiva il romor del mondo, che non turbava le pratiche dei
zelatori del cielo ^ ed ebbe sempre cuor
saldo come la sua virtù* Fu però stretto ad usare di apologie con amici postisi a lite per lui. Così quesf Opera ^ tale da spingere oltre ogni credere alla civil perfezione governi e popoli e per la propjria sua luce ^ e per maggiore ^ che avrebbe dovuto accenderne y fu
pe^ suoi pregi medesimi e di argomento e di lingua,^ generalmente dimenticata. Quanto sia poco il favore, che aspettar possa dà* dotti conoscitori delle due lingue il mìo volgarizzamento ^ da
niuno certo minore accoglienza attende y Amico Venera* tissimo, che da Foi. Perciocché guanto sia grande la bontà vostra in accogliere le cose mie per la benevolenza di cui solete onorarmi^ pur è mestieri ^ che avendo viva nelV animo la maniera onde fu reso italiano
questo latino esemplare dal vostro
illustre Fratello j, Voi vi dogliate di
tanta disparità ^ quanta è forza che tra noi due s^ in^ terponga. Io certamente nulla intermisi f
pìerchò perdendosi nella mia copia le
grazie ^ che rendon vago V originale )
serbasse almeno non alterato lo spirito
de^ concetti. Quindi curaV ho sempre di
non ampliarne o restringerne V espressioni
3 fuori di casi rarissimi j in cui la
giunta di qualche voce esi- gevasi dalla
chiarezza, senza la quale è di peso la
fedeltà . E ciò con tal diligenza ^ che
avendo io preso a recare in versi s
quando noTè ]xj fossB ancof fatto^ od a me dato non fosse di prevalermene ^ qua nto Stellini de* Greci o Latini Poeti adduce, ho jìreferito esprimerlo co- m"* ei presentalo, ove altrimenti
pa* resse nuocere alVargomento.
Perciò, studiandomi a volgere altre sentenze
in modo più consenziente agli originali
che alle versioni recatene, volli
seguirlo nel presentare unita la diceria
di Prometeo, la quale in Lschilo viene
interrotta dal Coro, sostituendo pwrciò una poco /e* dele e languida traduzione alV ottima di
Giacomelli, ed alla egualmente chiara di Cesarotti. Mi venne poi tal proposito dall* impegno, che da qualch*anno mi stringe, di provvedere alla
istruzione civile di florida gioventù . Imperocché avvisando quanto da meno fossero al carico le mie forze, mi sono sempre studiato di
soddisfarvi con ajutarla di que*
Maestri, cui seguitando an- Isij drehhe sicuramente a bene^ simile a chi colendo, ma non avendo onde spegnere V altrui sete, si affretta almeno a mostrare sof'genti pure e ahbondevoli per ogni brama Primo a trascegliersi non poteva sicura^ mente non essere da ine Stellini^ e perchè sommo in tal genere d^ istituzioni j e
perchè nostro di patria potendo i nostri
destare in noi maggior fiamma di emulazione ^ per esser massimi nella dottrina affidatami a
senno ancora degli esteri^ e per offrirci uni^ immagine della primiera virtù .
Se dunque lai fu Vimpegno che a ciò mi
trasse^ V oi non dovete maravigliarvi j
se in questo ragionamento io presi a discorrer
cose j che mi sarebbe stato assai meglio
da Voi conoscere come 50720 j che palesarvi quali io presumo doversi congetturare che sieno . E necessario ^ mostrando un fine alla gioventù^ metterle innan- 1 » * « XJ]j
zi le cause ^ le quali o spensero
o indebolirono i mezzi da conse-^
guirlo ; nè tali cause possono meglio indicarsi quanto swlgendo il carattere delle incende, che precedettero o
accompagnarono il cambiamento delle opinioni . Di questa forma o si pongono
veramente, lo che non penso aver fatto ^
o 5 ? cimentano migliori ingegni a proporle
f come io pretesi di fare . Mao Vuno o V
altro che facciasi ne siegue sempre tal
frutto a giovani j che non più dubbio rimane
il fine ove intendere. Vorrete dunque permettermi j che mentre in segno
della mia stima altissima io P’ offro
cosa ) che appartenendo ad Uomo per
tanti titoli caro a voi non può non
essere a voi carissima ^ mi valga pur della stessa autorità vostra per
infiammare la gio^ pentii ad apprezzarla
. Io certamente non dubito ^ op ella sia me- Ixiv
ditata 3 che basti sola ad amrnae*
sfrarla a che ne meni il disprezzo
de* nostri patrii idiomi: Vuno de*
quali} come nativo ancora ^ può
darci proprio carattere ; V altro ^
siccome frutto della romana gran-^
dezza ^ può dare a tale carattere
parte d*antica maestà. Ma soprattutto le mostrerà^ che la stima pressi
ata a massimi ingegni per cono^ scenza
di merito, quanto è di loro, più degna,
tanto più frutta alla patria di utilità.
SI avranno allora come que* Genj benefici che, venerandosi pel carattere delle
azioni, a belle azioni infiammavano,
diversi affitto da quelli che si godevano una diylnifà usurpata
nella opinion-e del volgo senza
neppure ì mpegnare i sensi con qualche
dolce prestigio a patrocinarla . SAGGIO
SOPRA t* ORIGINE ED lE
PROGRESSO DE’ COSTUMI. £ DELLE OPINIONI A’ MEDESIMI PERTINENTI. Quantunque
le istituzioni e le ordinanze de’ popoli
sovente aliene dalla onestà 5 e le discordi fra
loro opinioni e massime de’ filosofi
estenuare la forza di quelle leggi
non possano, cui la natura ammaestrane dover sol reggere in vita ed in società umana generazione; pure un
cotal miscuglio di costumanze e di
regole in tante tenebre avviluppò la ragione,
di tanto sozze lordure il vivere
contaminò, che malamente po-
I r
‘f- f t r
r t r 2,
trebbesi restituir la nativa sua
luce a quella, ravvivar questo
alla pristina semplicità. Laonde
perchè non troppo ^lle sentenze
degli uomini e agli usi delle nazioni concedasi da coloro, a’ quali, per
istimare e magnificare alcuna cosa per retta, basta il vederla in riverenza e
in pratica fra gli antichi, o sostenuta
ancora dai credito di Scrittore fattosi
commendevole per opinion di sapienza ; e perchè pure gli scioperati
semplici non sieno illusi da quelli, che
quali disperatissimi cittadini possono
solo nello scompiglio e nel guasto della repubblica la potestà procacciarsi
d’impunemente osar tutto; venni in
proposito di nuovamente ritrai* la
cosa dal primo suo nascirnent®,
ed i suoi gradi e quasi procedimenti ordinatamente raccogliere. Imperocché, ristrettane in brevi linee la immagine, agevolmente ciasCLino comprenderà, da quali fonti sgorgassero ed opinioni e costumi di
tante forme ; come, al frequente
scoppiare di nuove usanze 5 le antiche o dissipate ne andassero, o sì ne
fossero modificate, che fune all’altre annestandosi, benché dissimili di
qualità, pure insieme prosperamente fiorissero
; donde avvenisse in fine, che
trascorrendo tali costumi ampie terre, non solamente allignassero tra
fiorentissime genti, ma v’impetrassero
ancor l’onore de’ simulacri e de’
templi, sino a parere non trapelativi furtivamente, ma di consiglio invitativi,
nella città ricevuti con l’approvazion
degl’iddìi e degli uomini, e felicissimamente co’ sacri riti medesimi
incorporati. Perchè ciò possa più
chiaramente conoscersi, dee primamente avver tirsi con quale ordine secondo il
vario spiegarsi delle facoltà umane 5
datasi loro gradatam.ente occasione, si
sviluppasser gli aifet- ti, ed opinioni
conformi a" distrigatisi affetti sopranna scessero ; di poi con quale tenore e modo, ampliatasi
appoco appoco la vigoria dell’ingegno,
si usasse esporre ed insinuare tali
opinioni agli altri; e da qua’ capi
diversamente si deducessero, secondochè
ciaschedun potè con la osservazione
assidua esplorar le leggi, che tutta reggono
la natura, o indovinarle o fìngerle ardi
secondo quella dot-* trina, che più gli
fosse autorevole e familiare .
Imperocché o le necessità della vita, o un animo insofferente di posa, o
l’alterazione di quello stato, ove a
ciascuno è aggradevole di rimanersi,
quelle facoltà spingon fuori, che sieno
a rompere più disposte, e più ne 5
apprestino insieme di utilità. Le
sviluppate facoltà poi spiegano e
svolgono cupidità a sè adatte e
corrispondenti . Poiché ciascuno
ordinariamente tanto desidera ed.
osa, quanto per vizio ingenito
delPuman cuore stimasi valido a
prendere e a conseguire. Appena
poi che prorompono gli appe-
^-iti 5 checché pur loro s’acconcia
pongono in conto di beni, e tutto
debito estimansi di pien diritto.
Avvegnaché ciascuno perversamen-
te reputi, essergli stato dalla natura ed assegnato e concesso quanto
gli sia pur data dalla natura medesima
facoltà di acquistare. IVTa perciocché
quelle cose, alle quali può dietro
spingersi un appetito ardente di tutte brame 5 né senza contraddizione altrui procacciare 5 né
conservar procacciate senza fatica si
possono, quindi a. pensarsi occorsero
alcune regole^ 6 le quali o corroborassero, ed a buon fine gli stimoli dell’appetito indri..assero, o con prudente avviso in certi
e giusti confini i contenessero.
Conciossiachè le regole allora principalmente convengono, quando le cose non d^
un tenore procedono, ma soglion essere
disturbate dalle altrui brame
sopravvegnenti, o veramente impedite dalle discordi fra loro^ inclinazioni
degli uomini . Cotali le— gole poi,
siccome furono varie per la natura de’
tempi e la qualità delle spiegate
affezioni, cosi vesti- ronsi ad ora ad
ora di varie forme e da più fonti s’ attinsero, secondo la cognizione molti pi
ice delle cose, per cui l’energia dell’ animo e dell’ingegno più
largamente si dilatava. Perchè però
IMntel- letto massimamente di ciò si piace,
che sia talmente continuato e disposto,
che benché unito di mol- 7 te cose e tra sè dissimili, pure si possa in una stessa ragione e forma come una
sola comprendere ; quindi 5 qualunque
ohbietto gli sia proposto ad
investigarsi jed a svolgersi 5 lo
paragona con quello, eh’ ei penetrò più
adentro e con più cura studiò, esplorane
le somiglianze, e l’uno adatta con Tai-
tro e lega. Ora la conoscenza nostra, nata di quelle cose, che ognuno sente in sè stesso occorrere o da’ suoi simili avvisa farsi, a quelle prima inoltrò ^ che il più negli altri animali avvengonsi, e per le mosse e qualità varie, per cui lo stato di quelle mutasi tratto tratto,
più vivamente coramuo- von gli occhi e
gli spiriti ad osservarle ; cresciuta poi di vigore tutta spiò la natura; allora dalla materia appoco appoco staccandosi, svolte le
convenienze delle grandezze e de’ numeri
ed applicatele alF armonia moti ur-»
tanti le orecchie e aggirantisi in»*
nanzì agli occhi, scioltasi affatto
da® sensi spiccossi a ciò finalmente, che veramente è, e che di natura sua ogni composto ahhor- l’e 5 e in esso lui s’arrestò. Con progressione eguale gradatamente si trassero le iustruzioni per governar la
vita da’ fatti stessi degli nomini, dalle leggi della na^ tura spiegate negli animali e negli esseri
inanimati j dair astronomia musica aritmetica geometria metafisica j Sendone a guida i sensi la fantasia T intelletto, e loro procuratrici
le immagini delle cose 0 vere o
fantasticate. Da tal descrizione che
intraprendiamo, benché a misura dell^
argomento lievemente adombrata,
rilucerà lo svolgersi delle facoltà
umane ; la nascita ed i progressi
delle opinioni e degli appetiti.
/ che il più convengano con alcuna
facoltà svoltasi divisamente dall’
altre ; la causa in fine perchè i
costumi, 1 quali dalle opinioni e
dagli appetiti si propagarono, gli
uni degli altri sìeno più antichi
e durevoli. Imperocché siccome
spiegasi e vige il senso mentrechè
anneghittisce quasi assonnata in
carcere la ragione, e sono i sensi
più pronti ed alacri a muoversi
che r intelletto ; così più ratto si
schiudono, e più altamente s’imprimono que’costumi, che più dal corpo s’informano che dall’ animo . Ma la
ragione o non può fiorire nel tempo dato dalla natura, quasi germoglio in terreno ingombro d’erbe
selvagge e maligne, o perchè suole
corrompersi, quasi inzuppata di quell’
umore cadutole esteriormente vicino di cui si
pascono i sensi ; o benché invigorisca, e splenda libera e pura d’ogn’infezione corporea, pure è mestieri che ad arte appannisi e velisi affinchè agli occhi del vulgo non sia di noja, nè rigettata dal corso delle ordinarie abitudini . Conciossiachè qualunqu’ uomo, valendo assai
di ragione, voglia che tutto a norma
della ragione adempiasi, nè si conceda punto a’ costumi signoreggianti, se
costui rechisi di società in solitudine, e
distaccatosi dagli affari s’addica
tutto agli studj della sapienza,
abbandonato dagli altri uomini
sarà sapiente soltanto a sè ; ove
operoso mischiisi tra la turba, ributterà per odiosa ritrosia tutti gli altri; se di favore prevalga e d’autorità, susciterà tempeste importune.
Laonde per pravità dicata nella natura
avvenne, che la ragione potesse apporre
a’costumi faccia e color di onestà, non
però loro infondere dell’ onestà la sostanza e quasi il sangue incorrotto
; e che allor pure che la virtù
pregiavasi 5 e aveva agli uomini intelligenti spiegata tutta la sua potenza ed il suo splendore, fossero annoverati fra gli ottimi quelli, che larve ostentassero di virtù, più lontani da’ vizj popolareschi, che
di verace e reai virtù possessori. Nè quegli eroi, dice Tullio *, Marco Catone,
e Cajo Lelio, i quali si reputarono e nomi
naron sapienti, sapienti furonoj neppur
que^ sette; ma di sapienti, pel
frequentar de’ mezzani ufRzj, certa
sembianza ed immagine sostenevano . *
Cicerone degli offi&j l^’ 3- cap, 4’
Con quale ordine si sviluppassero Le
facoltà degli uomini ^ ed appetiti
ne uscissero loro connaturali.
I." u io che osserviamo accadere
singolarmente agii uomini nel breve tratto di vita a ciascheduno segnato dalla natura, deesi pur dire avvenisse in più largo giro di età alle nazioni medesime. Avvegnaché, per
valermi delle parole di Tullio 5 come ha ciascuno in principio tale confusa
ed incerta costituzione, che mira
solo a curar sé stesso, ma non
intende nè ciocch'e’ siasi, nè ciocch’ e’possa,
nè finalmente che la sua stessa natura
sia ; quindi avanzatosi al- ^ Cicerone
de’ Fini Uh, 5. cap. g. guanto, e
fattosi ad avvertire sino a qual segno ciascuna cosa lo scuota e attengagli, comincia allora
insensibilmente a spandersi, ed a
conoscere sè medesimo, ed a comprendere
donde in lui muova quel vivo ardore di
posseder quanto sente alla natura acconciargli-
si : cosi pur anco 1 Muterò vulgo,
di cui dapprima formaronsi le nazioni 5 soleva reggere e governar tutto il vivere con quella prima oscura ed incerta raccomandazione 5 che ne
vien fatta dalla natura di noi medesimi, e con quel primo animale istinto, il quale anela soltanto a procacciarne salvezza ed
integrità ; coll’ inoltrar poi de’ tempi
appoco appoco, o tardamente più tosto,
prese a discernere quale pur fosse il vigore
della natura e delle parti individuali, ed a sentire che fosse alfine
una mente partecipe della ragione, ed a spronarsi all’acquisto di quegli oggetti^ cui ciascheduno è pur
nato. INel quale discorrimento molte incontrandosi quasi pause e molte sinuosità, sogliono gli uomini da varie dimore essere 5 chi qua
ohi là, trattenuti, e da varj
declinamenti, qual più qual meno,
isviati. Imperocché, siccome avverte
Plotino *, usando noi prima i sensi che V intelletto, e necessariamente
applicando Tanirno a quanto vellica il senso, per questo alcuni si restano
a sensuali argomenti, e reputando* le prime ed ultime ad agognarsi ripongono ogni sapienza nelP abbondar
parziale di quelle cose, che al corpo
destan piacevoli sensazioni ; non altrimenti costituiti, che quali i più corpulenti uccelli, che
soperchiati dal grave ca- * Plotino
Ennead, 5 . h 9 . rico di terra tolto non posson alto elevarsi,
benché di penne guer- niti dalla natura.
Ma certi, cui dal piacere spinge all’
onesto ed al bello un più gagliardo
vigor di spirito, levansi alquanto in
vero da queste cose inferiori, ma
non potendo affisarsi in alto per
non aver dove affiggersi, col nome stesso della virtù ricadono ad occuparsi ed a
pascersi di quegli oggetti, da cui sforzavansi in prima di sublimarsi. La terza, maniera in fine è di uomini, che provveduti di più
robusto ed acuto ingegno, possono sostenere la viva luce del cielo, e sollevatisi di gran tratto sopra le nebbie delle ter- fene caducità, quai cittadini restituiti da
lunghi pellegrinaggi alla patria,
godonsi la regione ov’ abita la verità,
e eh’è la sede nativa degl’intelletti .
Tra cosiffatti gradi, ne’ quali o l’animo interamente al corpo, o il corpo all’ animo serve, o l’uno e 1 ^ 1 " tro con bell’ accordo fra sè le veci del comandare e del servire com- partonsì, altri assai gradi frap- pongoiisi, i quali 5 secondochè sie- no schiuse le facoltà del corpo e dell’animo, e tutte pronte le cose attevoli a
metterle in esercizio, tra loro in varie maniere insieme e pressoché
inestricabili s’inviluppano . E in
quella età, in cui la energia dell’animo
quasi era stupida per torpore, nè presenta va n- si a’ sensi che pochi obbietti, da cui riscosse le incarcerate e sepolte voglie
si alimentassero, ogni appetito shramavasi con parco e rigido vitto e con que’
piace-ri, cui la natura stessa, non
irritata oltre il debito da niun’ estranea libidine, dimandava, per
ampliar di forze ed accorrere alla
per- 17 petuità dell’ umaiia generazione. Rozzi palati di rozzi cibi appa- gavansi ; nè prevenivano la natura per
obbedire a piaceri ingordi, nè l’aggravavano di soverchio per satollar piaceri
insaziabili. Lie produzioni spontanee si reputavano sufficientissime ad
ogni necessità della vita j perche
non era ordinata ancora nè manifesta la
maestria dell’ agricoltura e dell' altre
arti, le cjuali, meii- trechè aumentano
la varietà ed insegnano le utilità delle
cose soggette a’ sensi, e in certo modo si
fan la stessa natura schiava sforzandola a conformarsi obbediente a’ bisogni umani ^ aizzano intanto e irritano gli appetiti, e avvivano la
lussuria 5 eh’è vivo sprone a sè stessa
e coll’ ingegno francheggia i vizj, siccome fu con la favola di Prometeo e Pandora egregiamente significato. Iniperoc- 2i
eh’è Prometeo la immagine di
coloro, i quali con l’invenzione
dell’arti sembrano avere ottimamente giovato l’umanità. Pandora poi
simboleggia P arti medesime e gli appetiti, cui Parti quasi con porger loro esca moltiplice e varia accesero, e soprapposer tiranni alP
umana stirpe 5 insinallo- ra ignorante
affatto di tutte malvagità, Poiché in tal guisa Prometeo confitto al Caucaso
gloriosamente millantasi appresso Eschi-
lo : * Io trassi il fuoco dalle
sfere, io 1 diedi Di tutt’ arti maestro
all’ uomo in dono. Sasso stupido egli
era ; io gl’ ispirai Vita, e gl’ infusi
intelligenza. Invano Erravan gli occhi
per le cose; invano EscMlo Prometeo
legato. I>ì (juesta mia versione de’
tratti d'Eschilo ristretti e recati in
prosa latina dallo Steliini, veggasi la mia
Lettera proemiale al chiarissimo StraticQ., A’ suoni lor s’apHan le orecchie : muta Era natura, perchè sorda e cieca Degli uomini la mente, e quale ì sogni Confusamente immagini mescea D’ogni sembianza; e lunga età tal sogno Fu la vita mortale. Alzar di pietre Non sapeasi una casa ; era all’ uom casa Grotta incognita al sole, e avea
l’Istinto Della vita il governo. I
nascimenti De’pianeti e i tramonti io
gli mostrai; L’ arte scoprii de’
numeri, dell’ arti Luminosa rema, ed II
vocale Delle lettere accordo, e la
memoria Operatrice d’ogni cosa. Io
primo Strinsi al giogo le fiere, e le
addestrai A sottentrar ne’ gravi
incarchi all’ uomo. Io primo al cocchio
sottoposi, e dolce Resi il freno a’
cavalli, orgoglio e pompa Dello
splendido lusso. Altri non seppe
Spronar, che me, de’ marina] gli alati
Veicoli a lottar con l’onde e i venti.
Chi ’l rame e ’l ferro, e chi l'argento e l’oro, Della vita conforti, estrar dal seno Della terra s’ardì, pria eh' i’ le
cieche Viscere ne cercassi ? Io sono, io
padre D’ogui arte all’ uom, che il viver
suo fa belìo. ao Esiodo ^ poi, per espor vive agli occhi le conseguenze di cosiffatte invenzioni^ formò tal Donna ^ nella qual fossero unite insieme di tutte Tarti le qualità e gli ornamenti. Poiché Minerva nel lanifìcio l ammaestrò ; le
sparse Venere al capo di leggiadria ; le
Grazie e Suade- la il corpo d’aurei
monili fascia- ronìe; le bionde ore la
coronaron di fiori di primavera ;
Mercurio aggi unse le in fìne impudente
animo, tratti insidiosi, e parola. Il
qual presente appena che fatto agli
uomini fu dagli uomini ricevuto^
mentre se ne deliziano, riman-
gon presi da tristi affetti e da
cure divoratrici, dovechè prima
traevan vita scevera di fatiche ^
d'affanni:, e d’infermità apportatrici della vecchiezza . Poiché la Donna, dischiuso il vaso recato I Esiodo I laoorì e le giornate Uh* 2
. ax
in mano, ver^onne fuora tra gli
nomini ogni maniera di voglie, e
cotal piena infinita di tutti i mali, che terre e mari per ogni dove
occnpai'ono, senza offrir loro speranza
di liberarsene ; la quale speranza,
essendo già per volarsene via del vaso, postovi sopra il coperchio fuvvi respinta dentro, e sola dentro restò. Tale stagione, come
d’industria così sfornita d’ogni
strumento di voluttà, au rea fu detta e
mirabilmente no- hilitata da quelli,
a’quali o vennero a noja le umane cose, o cui ^ da sè la fortuna, che a’diligenti [; e operosi prodigamente donasi, f- come infingardi e torpidi ributtò. ^ Viveano tutti nella maggiore egua- ^ glianza ; perchè mancava occasio- ^ ne d’usare ingegno e fatica, onde jr l’un l’altro avanzasse. Si dice y che la giustizia albergasse in ter- ^ ra, perocché in tanta tenuità di T 2 ^ 3, cose e sonnolenza d’affetti non V* era luogo ad ingiuria. Vita sicura e
libera si godevano; perchè non eravi
incitamento a voglie e gare inimiche, nè
a fomentarle e irmasprirle argomento si
presentava. Parca soavissimo quanto a ventura V inculto suolo e selvaggio offriva ; perchè neppure potevasi conìetturare quali soavità di frutta si
ritraessero da un terreno messo a
travaglio e in appresto per generare. Si
dilettavano finalmente di beni tali, quali e la
inerzia e la infìnga rdezza, non
eccitata da niun' ardenza interiore, nè da veruna impulsione estranea 5
poteva porgere in tenuissime cose,
apparecchiate dalla ignoranza di più eccellenti ; di beni in somma, quali da Pindaro s’ at^ (i) Pindaro Pition. io . Lo StelUni
riferisce questi versi di Pindaro secondo
la versione tribuiscono
alienazioni iperboree: Cinta di lauro
almofrondoso esulta A lieti deschi
banchettando : sacra Stirpe beata ! in
lei morso non puote Di letal malattia ;
vecchiezza in lei Fior di vita non
strugge. Affanni e doglia Son con la
guerra e la fatica in bando. Nè teme il
cor, puro di colpe, il rio Flagello
della Dea delle vendette. 3 .® Ma
prestamente cotale ignavia fu scossa, e via rapitane quella felicità, che più
nella mancanza de’ mali, che nel possesso de’
beni si comprendeva . Imperocché
con asprissimo e frugalissimo vitto
s’ingenerava nel corpo fermezza e
lena infinita; e il cuore, non addolcito per ninna cultura ed arte,
irrequieto ed indomito ribolliva . Avvegnaché di rozza fruga- fattane in metro Oraziano dal celebre
Sudo“ fio. lo nel recarli in Ttaliano ho
avuto cura di conformarmi più. alT
originale, che alla traduzione recatane
dallo Stellinì * a4
lità son compagne sanità vegeta ^
e smisurata audacissima gagliar-
dia. Per lo che reputa Luciano * 5
doversi il vivej'e di alcuni popoli, tratto air estrema vecchiezza
5 attribuire all’ uso di un vitto sobrio
ed agreste ; e Dicearco appresso Porfirio ^ dice, non darsi miglior consiglio, nè ad incorrotta e
durevole sanità più conforme, quanto il rimuovere le ridondanze dal corpo.
Imperocché il soperchio rompe le forze,
o dal salutare impegno di tener
viva la vita e fioiida in ogni membro svagale a logorarsi per alleviarla e purgarla d’ogni malignità. A membra poi di gran nerbo una brutale ferocità s'accoppia, se la coltura non ammansisca Panimo,6 non comprima il rigoglio soprab- I Luciano ?ìe* Macrobj. 3 Forfirio Ub. 4- astinenza. fondante d’iina scoppiante energia. In quella maniera certo, siccome avvertesi da Platone ’, che un cuore disanimato dalla vergogna e dair onta, e privo di risoluzione e
d’audacia, appoco appoco si fa più vile,
e tutto alfine, quasi rappreso da una
tal quale stupidità, intorpidisce; così per l’opposto un animo commosso e vivido,
se con acconcio temperamento non sia
represso ed a giustizia ridotto dalla onestà, primieramente, quasi robusto in
radice, e di vigore e di spiriti
lussureggia, poi finalmente rompesi
tutto in insania. Laonde appunto
dannò Aristotile le istituzioni
spartane, perchè indurati oltre il
debito alle fatiche calle asprezze gli
uomini inferocivano. ^ 4.® L’ animo
dunque, pieno di * Platone della
PepaUblica, * Aristotile de' Got^erni
lib, 8. capi 4* fiere e d'orrende for^e, e pronto ad ire precipitose e implacabili s'avventò prima con tutto l'impeto Contro
alle bestie feroci, da cui potesse
temersi oltraggio alla vita, o cibo
trarsene e vestimento; poi contr'agli uomini stessi si scatenò, ove pure incontrasse ostacolo il
ventre inquieto e la importuna libidine, ch'avea già preso a sforzare i limiti
apposti dalla natura. Per la qual cosa, venendo spesso afferrata e data
oc- casion di risse rapine e stragi,
fa da tal uso ogni senso di umanità sopraffatto; nè conoscendosi cosa di maggior pregio nell’ uomo quanto la
vigoria del corpo messa in furore da non
so quale veemenza d’animo, si cominciò a
reputar© sovrana cosa, e degna d’ uomo
da numi nato e destinato ad essere egli medesimo un dio, qualunque azione
ripiena di bestialissi- nia atrocità.
Imperocché se talamo, come riflette Polibio % incontri a caso contrasto all’
efFre- nata libidine, non avvi cosa nefanda
e barbara ch^ egli non sia per
commettei’e 5 e a vanto recasi ed a
virtù lo sbaragliato ardimento. Ma come da guel rancore, che nasce e sopravviene nell’ animo di chi
respinge e di chi muove l’ingiuria, vieppiù l’audacia innasprivasi ed il furore infiam- mavasi di coloro, a’quali in nervose membra
feroce indole a idea; così gli spiriti
più mansueti e deboli s’infervoravano a svolgere e palesare V idea del giusto e del buono, solo rifugio degl’impotenti ; e chi
prestasse conforto ne’ casi miseri,
oppure astrettovi lo ricusasse, porse
con l’utile procurato o con l’apprestato danno * Polibio Istoria Ub. j. occasione, che sì traesse da’nascondigli deir
ànimo e a piena luce venisse il valore
dell’ onestà, la quale è principio e fine
della giustizia, e si fondasse un
concetto di convenienza e turpezza, come Polibio osservò. * 5 .° Ma impadronitasi d’ogni cosa tenne la
forza il mondo con aspra dominazione,
gran tratto innanzi che la equità potesse trovare asilo fra gli uomini ; e la
ferocia esercitò Inngamente signoria barbara, prima che s’accordasse imperio
giusto e legittimo alla ragione,
Conciossiachè richiedendo questa animo dolce e tranquillo, perchè sì possa
distintamente e ordinatamente spiegare un
senso comune di umanità; quella
per lo contrario piacendosi d’allignare in selvaggio fiero alterato I Polibio Istoria Uè. 6, spirito, gli uomini robustissimi, resi più baldi dalle frequenti risse e,da’fatti prosperamente operati, ^lon si poteano reprimere dal macchinar
novità per arricchirsi di i>uove
spoglie, e scapriccire il talento, cui maggior fiamma agitava, che mai potesse
per brama di alcun riposo acquetarsi. La
quale o avidità di preda, o frenesia
di cuore efferato, non avendo per lo più spazio abbastanza vasto da insolentire
tra’suoi, contro l’altrui sì scagliava.
Onde ogni cosa fu guasto di ruberie, ad
ora ad ora cambiaronsi le abitazioni, nè
più soggiorno fisso ad alcuno
restò. Imperocché se taluno si
ricovras- se in luogo, che desse pure
negli occhi per ubertà di frutti o
per altra comodità, o ch’egli andavane a
sacco per rovinoso scarico d’assassini,
o espulso di sua dimora veniv’ astretto a cercar mendico alla raminga vita
altro cielo . Nè quella forza 5 la quale con
cieco impeto prorompeva ovunque
la veemenza e l’ardore della passione la trasportasse, era a delitto e
ad infamia ; rna, come già da’poeti
antichi inferi Tucidide % anche ad onore
si attribuiva . Perciocché fanno tali poeti interrogar quelli, che innanzi e indietro corseggiano la
marina, da quelli a’ cui lidi approdano,
se sien ladroni colà venuti a predare . E nè
coloro, che son di ciò dimandati,
il niegano qual opra indegna; nè
que’, cui preme di saper ciò j come
di cosa obbrobriosa ne li riprendono. Per lo che, dice a Telemaco
Nestore e a’ suoi compagni % *
Tucidide Istòria Uh. i. 2 Omero Odissea
Uh, 3. secondo la versione elegantissima
recentemente datane dal chiar* Soave
. 3i
.Onde le acquose vie Gite
scorrendo ? per alcuno affare ? O alla
ventura, quai corsali erranti, Che
espongon Talma e recan danno altrui?
Chè veramente un* indole impetuosa ed indomita non crede operar cosa più
grande, nè quindi reputa darsi cosa più
degna di cuor sublime e magnanimo, quanto
fornire imprese piene di stento fatica e rischio ; e se la impresa difficile
arrechi ancora splendide utilità, coloro, a’quali nella energia de nervi sta la ragion d’ogni cosa, non credon già d'oltraggiare chi
a torto assaltano, ma d’essern’ anzi
oltraggiati, seppure ardiscasi di resistere e contrariare al più forte. Per
il qual vizio dell* unian cuore, agitato
da un turbolento fervor di sangue,
avvenne che si apponesse alla violenza carattere di ragion somma,6 dal potere si 3 a misurasse iu ciascuno ^ il giusto ? nè alcun dovesse spogliar»! ^ tro, che quanto forza e necessita ne rapisse. E questa legge nata dalla barbarie, avendo insensibilmente preso
carattere di grandezza e d/autorità, si propagò dalla prima salvatichezza per sino al tempo, che la ragione pareva con giuste leggi signoreggiasse ; e mansuefatta
la crudeltà sinallora da lei mostrata,
valendo l’animo appena ad altro che a rendei gli ■uomini più perniciosi tra loro delle medesime fiere, conservò pur questa legge la
gagliardezza e la forza, la quale non come prima traeasi ad atto per voglie tumultuarie, ma con la utilità governa vasi prudentemente
avvisata, e solca stringersi o rallargarsi secocidochè pa- rean chiedere le cose e i tempi, a cui doveasi adattare, Per la qual cosa gli Ambasciadori Ateniesi nell’
Assemblea Spartana asserirono francamente, esser di naturale ragione eterna
prescritto, che serva il debole al
forte, nè stato uomo giammai, eh’ ove abbondasse
di forze e d’armi per eejuità si
frenasse dal crescere signoria ; e se taluno conducasi più doverosa e modestamente, che dell’ imperio la vastità non comporti, muoverlo solo necessità di temprarsi all’
ingegno umano, e di tener più sicuro gli
altrui voleri obbedienti *. Ma tale
moderazione 5 messa nel cuore da un senno
prudentemente inteso all’ utilità,
non conosceasi a que’tempi, ne’
quali tutto a furore si governava . Ond’ è 5 che agli animi imbestialiti
dalla barbarie e di ferocia esultanti, per non andare sbranati vivi o dilaniati
morti dagli * Tucidide Istòria lib,
i. 3
avoltoj e da’ cani, indarno i miseri
la pietà della religione, indarno della comune umanità la forza i tribolati opponevano . Folle, il
Ciclope *, Folle ben sei, rispose, o di
ben lunge A me ne vieni tu, che a me
proponi Di riverire e paventar gli Dei . Conto di Giove o degli Dei non fanno Punto i Ciclopi assai dì lor più forti. Nè per tema di Giove a’ tuoi compagni O a te Eia cbe perdoni, ov’ io noi
voglia. E Achille ad E-ttore, che
nelle strette di morte lo scongiurava a non frodargli il cadavere di sepoltura,
intima averlo già destinato pasto alle fiere, e la viltà maledice dei suo dolore, che a membro a membro noi stracci, e gli stracciati marciosi brani non si divori *.
1 Omero Odissea Uh. g. secondo la detta
versione, 2 Omero jUade Uh. aa, 6
.® Laonde traendo i deboli assai meschino conlbrto dalla giustizia, tanto per
guarentirsi, quanto per togliersi dalle ingiurie, cui bestialmente gl’ impetuosi spiriti si
scatenavano, saltò fuori scossa dalle
sciagure tal forza ingenita 5 onde schernire le violenze de^ cuori privi di umanità . Perciocché
l’animo per ogni parte compresso
sprigionò tale destrezza e sagacità, che
affinandosi come il poteva in que’tempi,
in cui tant’era l’ingegno umano imbecille
e rozzo quanto addestrato e indurato il
corpo, immaginò stratagemmi, sortite, astuzie, ripari; cosicché quelli, che non
potevano di robustezza agguagliarsi, con
una certa callidità respingessero od allentassero ogni nemica irruzione. La qual furberia veramente, sendo
''argomento di un cuore non animoso ad esporsi palesemente e timido di sè
medesimo, era odiosissima a quelli che
solo al vanto anelavano di
robustezza invitta, nè ad altro inteso
avean ranimo, che a non mostrare
poca di sè fidanza, nulla curanza d altrui.
11 perchè queirAjace, che appresso Omero
^ protestasi non temer niuno, nel Filottete di Sofocle rabbuffa Ulisse, che
suggeriva a sottrar con fraudo quell'
armi, che non poteansi rapire a
forza j perche ciò fosse a buon no™
mo vituperevole. Chè buoni allora appellavansi que’che di forze e
dispiriti soprastassero. Avendo poi, tralignato alquanto da sè, consentito alla scaltra volpe, riprende tosto
il natio carattere, e si ricusa all!
impresa per non cessare, mentre di saggio briga celebrità, d'esser buono.
Poiché sic- t Omero Iliade Ub^ ^ come diceasi buono chi a niun pericolo
impallidisse; cosi di saggio ebbe nome
chi astutamente tramasse inganni aU’occasione opportuni . Onde Minerva, eh’ è
quasi il simbolo della sapienza, sè
con Ulisse paragonando gli dice * .Entrambi al pari Siam nelle frodi esperti: ogni mortale Tu nel consiglio e ne’ raggiri avanzi ; Io per senno ed astuzie ho il primo
vanto Su tutti i Numi. 7.° Quantunque però la forza sdegnasse in prima d’accompagnarsi
all’astuzia 5 l’ utilità nondimeno di
mano in mano pacihcolle, e spesso
insieme le collegò. Onde l’astuzia fu
assunta anch’essa al governo de’ fatti
umani, e reputandosi per lo innanzi vituperoso
checché la forza non operasse 9
* Omero Odìssm Hi. i3. secondo la delta
versione. 38 prese ad aversi anche in onore ringegno; perchè sebbene rompa gli stimoli e afFreni Timpeto del vigore, spiana ciò non ostante ed assicura la strada alte difficili imprese .
Che anzi venendo spesso costretto V
animo dalla necessità a rivolgersi per
ogni lato 5 e le facoltà sue messe in
campo espressamente mostrando 5 esser meschina 5 come diceva Euripide ",
la robustezza umana,ove affrontisi con
doppia e cupa sagacità, la qual
doma quanto mai l’aria la terra e
il mare alimentano ; quindi te- neasi
per uom compiuto e perfetto chi fosse insieme di mani armigero e poderoso
d’ingegno ^ . Sebbene poi l’astutezza
contribuisse assaissimo ad ispedir grandi imprese, pregiavasi tuttavia più
di 1 Euripide appresso Plutarco della
sagacità degli Animali t 2 Omero Odissea Itb, i6. necessità che per nativa eccellenza y ed ove
non affettasse temerità era per sè medesima di vituperio e di scherno. Per la
qual cosa 5 dopo che la violenza
per astutezza degli uomini si fece industria,
chi non avesse principalmente sortito dalla natura una statura Orionèa non defraudavasi della debita estimazione 5 se gran vigore a maggior cuore accoppiando si
procacciasse dalla sagacita quegli
ajuti, che gli negavano i polsi e i
nervi, e mentrechè, come si esprime Pindaro % simigliava nell’ ardimento il
lione ferocemente rugghiante nella fatica,
contraffacesse con la scaltrezza la
volpe, la qual pontata la schiena scompiglia e rompe la violenza dell’ aquila. Ma spezialmente a quelli 5 che soprastando per digni- T Pindaro htmA Ode 4* 4
o tà fiorissero di potenza, a maggior
onta ascrivevasi usare speziosa fraude ^
che aperta forza ; sendo- chè questa si
reputasse intentarsi, come non nega Brasida presso Tucidide * ^ per il diritto di quel potere, che ne donò la fortuna ; quella procedere dalle trame d’ingiusto
proponimento : quasi equità pur fosse
tollerar quanto l’altrui libidine
sostenuta da pari forza ne scarica, e sì
dall’esterne forze compiasi la potenza ^
che nulla possa un variato e pronto
intelletto aggiugi>erle. Ma queir
astuzia, che braveggiava armata sinché le forze
vegete per età soperchiavano, fatta più mansueta nello sfiorire degli
anni degenerava in quella sa- gacità,
eh’ è prudenza, ed ha temperato ingegno, e prende forza e I
* Tucidide Js$oria lib,
4i carattere dalla ragione. Perciocché
avendo preso a calmarsi Pani- mo, che
per T innanzi qua e là furioso
agitavasi, e pel mancare degli appetiti,
che con il sangue e la vita si
raffreddavano, essendo messo in balia, di stringere nel suo pensiero più cose, paragonando insieme i
turbolenti moti delle ostilità e delle
risse con quel benigno e tranquillo vivere, di cui la età declinante muoveva alcun desiderio, poteva intendere di leggieri,
queir ira essere commendabile, che ne apprestasse pace sicura ed onesta ;
quell’ ira poi, che discordie battaglie
stragi sovvertimenti perpetuasse, essere abhomi- nevole e al naturale diritto opposta ; sendo
la prima quasi un cotale boiler di sangue purgantesi d’ogni contratta malignità; l’altra poi come
un’insania d’uomo in frenesia per febbre
già soper- 4 ^ chiarite le forze della natura . Per lo che gli uomini di canuto di- scernimento appUcaronsi a persuader quelle
massime, che da^ ferini usi e da’ mortiferi odj ritrai' potessero a mansuetudine e ad a- inicizia l’umanità. Ma ne i calmati
i>;vvisi di Nestore, dalla cui bocca
sentenze usciano assai piu dolci che
mele, potean d’Achille disacerbare il
furioso animo ^ nè l’eloquenza di
Ulisse, il qual versava parole simili a neve d’inverno, iusinuaiitesi lieve
lieve nell* animo esulcerato ne potea
svolgere la fitta collera, sicché
ammollito si aprisse pure una volta a
qualche benignità Imperocché gracchia al vento chiunque affannasi a persuadere, doversi in petto frenare gli
alteri spiriti per essere 1 Omero
Iliade Uh, i. 3 Omero Iliade lib,
3. assai migliore Pumanità, a
que*, eh’ essendo poderosissimi e di nessun
paventando, stimano indegno egualmente
di vigoroso e grand’ a- nimo cedere al
senno dì consigiier prudentissimo, che
al fiero scontro d’un inimico soccombere.
9.® Quanto però non poteva operare ancora il consiglio e l’autorità di
quelli, che di prudenza e per età sopra
stavano, lo effettuarono alfine gli evenimentì medesimi delle cose 3 i quali
insensibilmente volsero gl’ imbestialiti
costumi ad umanità, e da un’ infesta e tumultuosa ragion di vivere ad
una li trasportarono, la quale colla
giustizia e col senno, più che con
l’appetito e con le ardenti passioni, si
governasse. Imperocché 0 spossati da
risse eterne cadeano loro di mano l’armi
spontaneamente ; o più e più volte
respinti dalle uguagliate forze erano astretti a cessare la vana impresa; o fracassati a segno 5^ che lena e onore mancasse da liten tar la fortuna, abbandonavano ogni ragione divina e umana all arbitrio df^l vincitore per non sospingersi
con resistenze inutili ad un totale
esterminio . Onde, sottratta ogni oagion di combattere, cestrinser gli animi alteri e disiosi di vincere ad usar cfualche riposo, e
mentrechè si quotavano le turbolenze
tutti effondendosi, o per impulso di
sentimento, o per consiglio ispirato
dalla necessità, ad ossequiar coloro,
cui prevedevano già non potere per alterigia tenersi a lungo nell’ozio, ed ammassando su d’essi a gara per ogni parte tutti que’ fregi, co’quali può venerarsi e placarsi una preeminenza e potestà segnalata,
ottennesi finalmente che da siffatte
lusinghe quasi, addormito 45 S'illanguidisse il furor di quelli5 © piegasse l’animo a quelle arti, le quali in fiore mettessero con opportuno coltivamento le signo- l’ie procacciate, perchè quel frutto non
isvanisse che ne potevano somministrare.
Perciocché l’ani- uio 5 innanzi rìgido,
pe’ conseguiti onori allentandosi e
rallargandosì nel riposo, apriva alcuni
intervalli, per cui potevano insinuarsi
ad agio le ammonizioni de’ savj
per ottenere, che si frenassero con
le leggi le agitazioni intestine, e
gli uomini gareggiassero ad oh-
hligarsi l’un l’altro con iscam-
hievoli offizj. Del quale accordo
e consenso di sentimenti compresa la utilità, cominciò pure ad amarsi da que’ medesimi, da’ cui invecchiati costumi più discordava .
Imperocché la esperienza e il medesimo
interior senso manifestarono, sebbene avesse taciuto 46
pur la ragione, essere piu gioconda e sicura cosa e più dicevo e ad uomo esser da’ suoi per coscienza dì
benefizi adorato 5 che a ingiuriati
cuori temuto ; e soprastare ad uomini spontaneamente ojeferenti ogni pompa di maestà, che tirannescamente signoreggiare a riottosi, e col timore costringerli ad ogni
via disperata per non servir laidamente,
o invendicati morire . Que’ poi che fossero di più benigno temperamento, e
usciti fosser di tanto scompiglio illesi, qual cosa mai po- tean credere e a disiarsi piu cara, e a conservarsi gelosanaente più degna, che il menar vita scarica di paure; da niun assalto improvviso di
malfattori esser cacciati dì nido ; per
niuna civil tempesta essere dagli studj
e costumi suoi distornati? Allora quasi
rammorbidita quella durezza, che per
47 l’innanzi ostentava brutal
carat- tere, si modelìò tale immagine di fortezza, quale ad umani costumi avviensi.
La giustizia allora, che oppressa dal
tempestoso mescersi delle cose teneasi ancora
nascosta, e cacciata dalla violenza si tramenava raminga ed esule per
ogni dove, liberamente alzò il capo, e
incominciò ad aggirarsi pubblicaìmente fra gli uo-' mini, e a posseder finalmente supremo grado
ed autorità . Allora certo si dirozzaron
gP ingegni, trassersi a luce le arti e
le discipline, da cui io spirito avvivasi,
e sogliono amplificarsi le utilità
della vita, le forze della repubblica, e gli ornamenti della
maestà, IO.® Ma intantochè con le leggi
e con i giudizj si fortifican le ragioni
del retto e del convenevole, dall’altra parte le proprietà delle cose e la
industria, messa 45 in ardore dalle utilità concorrenti,
spingono dentro allo Stato to può
scuotere i cardini ^ ^ giustizia, e
fomentar le primarie nemiche sue,
discoi'dia e gara tu multuaria
d’affetti. Imperocché d’ordinario
avviene, che vada con la tran Cornelio
Nepote nella vita di Alcibiade .
maniera dMngegni, con naturali
lusinglio adescano gli animi ardenti di cupidigie; con una posticcia
indole di virtù gli austeri e gravi
guddagnansi; tengon poi pie* si di
stupida maraviglia i popolari
intelletti. Ma Uavarizia di quelli,
cui son di traffico i splendidi vizj
altrui, s^ alimenta dalla lussuria
de’ ricchi e dalla boria de’ prepotenti, e si corrobora dalla temerità
de’ facinorosi, che non han seco
speranza uè cosa buona ; al primo genere
de’ quali uomini giova che nulla sia ne’
costumi d’intatto, alTaltro che a
guasto mettasi ed a rovina ogni
cosa. Poiché chiunque brigasi d’arricchire
con deferenze turpi e con prave arti,
quanto più il vivere sia scapestrato 5
tanto più larga e spedita via credesi
aperta al guadagno, ed afferrando occasion di
sacco da’ rovinati costumi altrui
53 stima suo grande interesse,
chea ciascheduno sia lecito
sbizzarrire e disbrigliarsi a talento,
per aver mezzi rnoltiplici da
secondarli. Per lo che in Plauto quell’
impudico dice ' : .gii uomini
onesti Riduconmi *n miseria, gli
sciaurali Mi danno da mangiare, e qu
e'perduti M’Ingrandlscon l’entrate. I
cittadini Di vaglia a me mi son di
danno, e la Canaglia è quella, che mi è
di guadagno. A chi però non ha molto nè
che sperare, nè che poter conseguire in fermo e solido stato, giova che rompasi dalla licenza ogni freno, perchè non manchi occasione da macchinar novità ; nè tali uomini altro più
agognano ardentemente, quanto che v’abbia molti, che tr.avagliati dalla vergogna dalla 1 Plauto nel Trappola secondo la vaghissima
versione dell’ Angello Atto 4' ‘Scen® 7-
miseria da^ debiti, non abbian
onde saziare le ingorde voglie, e
a temerario colpo sia pronto un
capo, nella cui guardia chiusi, c
congiurati di forze e di volontà
spronino arditi l’impresa. Per la
qual cosa apportando i voluttuosi alla dissoluzione dell’ordine le libidini, i barattieri e’ famelici deir altrui le usure ed i ruifSane- simi, gli ambiziosi fazioni e cor» rompimenti, gli ardimentosi ed i poverissimi violenza e disperazione, avviene
insensibilmente che i be’ costumi
attaccati per ogni parte, e tutti sì delle leggi che de’ gìudizj spezzati i vincoli, l’intero stato
precipiti finalmente nel più sfrenato
disordine. 11° I mutamenti adunque
delle vicende umane per questi gradi trascorrono, promovendoli quella potenza dell’animo, che sviluppatasi il più
di tutta quanta la vita s’impadroni. Da un’ aspra e dura ragion di vivere, da cui si nutre la gagliardezza, a quella vita con- duconsi le nazioni, in cui l’astuzia e la
ferocità si combattono, ed ogni cosa
governano la violenza e la insidia da
prepotente furore convalidata . Da questo ferino stato, in cui sogliono i principati occuparsi, a
quello poi si trasportano, che alla
fortezza e prudenza at- tiensi, ed è
opportuno a curare gli acquisti fatti,
ed a comporre in bell’ ordine le
signorie turbolente . A questa di poi sottentra
quella perfetta costituzion di città, che reggesi dalla giustizia,
e vincolata conservasi dalle leggi; ma che per essere piena d’ ozio e di grandi mezzi, onde accrescere le ricchezze e coltivare le arti, è perciò sommamente propria a gustare tutte le morbidezze e giocondità
della vita . Ma dall* assodato ozio, dalle fortune ingrandite, e dagli agj e
da’ piaceri del vivere moltiplicati
fatto più ingordo il talento, si sforza a sciogliere i vincoli delle leggi, e
così batte e dirompe gli argini
della ragione e del giusto, che gli
e- stuanti appetiti più contenere
non possono. Omero, il quale come ritrasse ne’ versi suoi
la natura, che sempre simile a sè
medesima equabilmente discorre ; così raccolse e restrinse in nn tempo solo tutti ì costumi gradatamente variabili d’ogni età, perchè dall’urto di tante forme disparatissime eveni- menti riuscissero più ammirabili ; ne’ persoraggi primarj espresse le progressioni della natura umana r dalla natia barbarie sino all’estrema
dissolutezza, e i succedevoli gradi
meschiati insieme distinse e in una
immagine sola rappresentò. Imperocché, trasandati do la efferatezza, eh’è tutta propria de’ bruti, in Polifemo adombrata, Achilie è forma della fortezza invitta e del
coraggio indomabile ; Ulisse della
scaltrezza forte di braccio e di cuore ;
Nestore della prudenza corroborata dalla
fortezza dell’ animo ; Ettore della fortezza e della giustizia ; Antenore della giustìzia e della imbelle prudenza ;
Paride finalmente d’ una licenza si
rotta, che nulla stima interdetto alla
sua libidine. Gli altri Capitani e
Magnati empiono i gradi interposti, da’
quali come da tante aneli a intermedie
sono intrecciati insieme quelli che spiccano
il più. i 3 .° Ma tali stati, secondo
la varia indole così de’ luoghi
come degli uomini, posson per varie accidentalità
intraversantisi in mille guise alterarsi
e mescersi confusamente : ed i costumi e le leggi delle nazioni, che di lor nacquero, e debbon
loro apportar fermezza ed accrescimento, sogliono correre le mutazioni medesime ch e gli stati. Perciocché agli uomini dì scarso avere, di pingue ingegno, e di
valida corporatura, per lungo tempo
l’asprezza appiccasi delle maniere e del
vivere, che seco menasi d’ordinario
costumi duri e selvatici. Con quelli
poi, che son di cuore più ardenti e
di pieghevole e vivo ingegno, a lungo
quella fierezza allignasi, che si trae
dietro la fraudolenza, e che spossata
dalla fatica prende alternatamente
ristoro e total sollievo nel seno della mollezza ; talché quell’ animo, che più
a’ pericoli indura, suole nell’ ozio con
più veemenza diffondersi ad ogn'
invito e lusinga di voluttà. Que’
finalmente, i quali siffatta d’ani- mo costituzione sortirono, che
sieri lontani egualmente dalle virtù subì
imi e da’ vizj più impetuosi,
sviluppando essi più prestamente
la ragion loro dalle passioni tumultuose posson le cose più quetamente
fra loro paragonare, e più diligentemente nel valor vero apprezzarle . Laonde
fiorisce in essi e la prudenza e la
scienza delle malvage ed oneste cose, cui fida accoppiasi la giustizia, e la
verace grandezza ed altezza d’animo. Perciocché
quelli, in cui ragiona buon senno e
guida il senso e lo spirito di lor
natura già placidi, agevolmente posseggono virtù reali; ma tutti gli altri o innocenti sono per ignoranza di vizj, o incitati da un cieco ardore dell’ animo pro- ducon larve ed immagini di virtù. Conciossiachè nella prima dell© due spezie d’uomini sopra esposte la temperanza non è che la sazietà de*
naturali appetiti, che son pochissimi,
dal senso stesso indicata 5 la fortezza alle sole fope del corpo attiensi; altra giustizia che quella appena conoscesi, la qual sedate le rozze voglie tollera eh’ altri
s* abbia quanto è disutile a sè; appena poi la prudenza ha luogo per la rarità
de’ successi in tenuissime cose ed
in selvaggi appetiti : dove nell*
altra spezie è temperanza astenersi da que* piaceri, i quali allignar non |xtnno in un animo, che raramente è padrone di sè medesimo; fortezza tentare imprese, ch’abbian feroce carattere; giustizia non rapir Ta- nima a quelli cui già strappasti le facoltà, oppur se legge di soggezione
durissima non ricusino stringerli a giogo men aspro, e far che quanto non togli loro sia loro a prezzo di servitù ; prudenza alfine snervar con fraudi ed insidie quanti Jion
puoi con la forza . Ma dell* ultima
spezie d’ uomini il temperante è quegli, che svaga Tanimo da quegli affetti, i quali con la ragione e col pregio della natura umana mal si confanno; forte è colui, che dalle cose altamente labili, e sottoposte all’ arbitrio della fortuna, prenda vigore e baldanza, nè per le avversità si fiacchi, nè follemente si gonfj per le prosperità; giusto chi nìun offenda e
voglia a tutti concesso ciocché gl’
ingeniti diritti umani e le leggi da tai
diritti ordinate vollero proprio a
ciascuno ; prudente è quei finalmente, che veglia il corso dubbioso de’ casi
u- mani, e s’apparecchia e fornisce providamente di tutto ciò, per cui possano o prevenirsi o correggersi. Poiché però delle cose spettanti al vivere ciascuno giudica secondo sia passionato (chè le opinioni dell’animo
sogiion per cosi dire improntarsi delle affezioni del cuore) quindi ciò ^ che fortezjza nominali quelli cui la ragione consiglia, bassezza d’animo chiamasi da coloro, che non
iscossero ancor dal petto la ferità; i
costumi ordinati ad umanità languidi e molli
s’appellano ; le fraudolenti ed ingiuste opere siccome azioni sì encomiano
di vasto animo, a somme cose anelante, e di sapiènza fornito pari alla sua vastità, Ma quando poi gli appetiti, ammaestrati alle
tresche d’ogni dissolutezza, s’impossessaron d’un animo voto di retti pensieri e di affezioni onorate,
e lo invasarono di petulanti opinioni
loro connaturali 5 allora, come Platone dice *,
la verecondia, la temperanza, la
regolarità delle spese sogliono dirsi
* Alatone neWct Jìepuhhlicek Uh, 8. sciocchezza, ignavia, rozzezza, illiberalità
; la petulanza al contrario s’ acquista nome d’indole ingenua liberalmente
educata; la sfienatezza, di libertà ; la
prodigalità, di magnificenza; di magnanimità, l’arroganza, ii4* bla tali fonti quella effu- sion di costumi si rovesciò, la qual vizio la ragione, e corruppe o spense i germogli quasi in lei chiusi della virtù; poi successivamente per altri ed altri sopraccresciuta, quale
torrente rigonfio d’aoque ingor-
gantisi, contro la vita e le fortune degli uomini, e contro ad ogn’ istituto e legge senza ritegno infuriò. Ma
quale aver può mai peso ed autorità, che
la natura umana per lei si debba
apprezzare, e giudicar per lei debbasi delle cose desiderabili, e degne dell’
eccellenza della ragione e dell’ animo ?
Perciocché allora sgorgò tal piena, che la ragione quasi da sonno era prega, 0
vaneggiava qua e là distratta dalle
passioni, di un animo tempestoso, o stemperata dalle lascivie de’ sensi si macerava . Ma tosto- cbè si diè campo alla ragione o di scuotersi o di raccogliersi o di riaversi,
coloro eh’ erano vaghi di que’costumi,
ne’quali s erano casualmente imbattuti, o a quelli sperano conformati, placato siderio di migliorare dall’ abitudine 5 o
soffocato da que terrori che sono sempre
alle spalle de tramatori di novità
nemiche alle comuni maniere, stretti
dalla grandezza delle contrarietà compresero, che sì dovevano e riprovare
e abolire le instituzioni usitate. Imperocché,
siccome non avvertiamo co’ sensi la
gravità dell’ aria, in mezzo a cui siam
pur nati, mentre ne siam d’ ogn’ intorno equabilmente compressi j ma se
coni- 65 mossa da moti insoliti crolli le cose più solide, e attortigliata in turbine quasi avviluppi con le sue spire e diradichi quanto scontrasi, colla esperienza apprendiamo allora qual
forza eli® abbiasi, e qual Be possa
recare oltraggio ; così coloro, che generati e cresciuti fossero fra costumi
dalla ragione discordi, non presentandosene jni- gliori quali paragonarli, svagati da Ile usuali pratiche forse a Ila loro malvagità non attendono ; riscossi poi
dalla varia perturbazion delle cose, la
quale aumentasi con i costumi
degeneranti dall’onestà, son presi allor
finalmente dalla vaghezza d’instituzioni, che poss;rQ togliere siffatti danni, e preveggono essere
vieppiù nobile e salutare l’imperio della ragione, che la despotica signoria degli affetti. Per lo che i Cirenesi rovinati dal lusso chiesero nuova legislazione a Piatone
celebratissimo per opinion di sapienza ^
; e gli Ateniesi commisero il sommo imperio a Solo- ne, perchè ordinasse i rozzi ed infieriti
costumi della citta . Che veramente il
carattere delle cose disconvenienti
dalla natura è tale 5 che finalmente danni gravissimi accusano quella mentita
immagine di utilità, con cui sedassero rappetito : checché poi tiensi alle regole dell’ onesto e del convenevole,
quanto più opponsi al senso, tanto più
sano e giovevole con la esperienza
continua si manifesta . i 5 .® Ma non
perchè alcuni usi disconvenevoli tra le
nazioni prevalsero, deesi però immaginare
che fossero ovunque e sempre di
I Plutarco mi Libro che un Principe bisogna esser dotto,
* Eliano Ist. Var, lib, 8, cap. io.
pari stima onorati. Poiché non
tutti egualmente alle medesime
cose inclinano ; nè se i legislatori
dissimularono, o veramente prescrissero alcuna pratica, deesi già credere eh’ eglino la commendassero, o la
stimassero tale da preferirsi per sé medesima . Concios- siachè tollerarono alcuni usi, perchè
ajOTrettato medicamento non inasprasse
un morbo insofferente di medicina ;
accarezzarono quelli, cui prevedeano più
duri a svellersi, perchè si potesser altri più
facilmente estirpare; misero certi in onore, affinchè gli uomini da* contrarj, a’ quali fosser per indole più inchinevoli, si ritraessero ; non
poterono affatto sforzarne alcuni 5 perchè interpostasi ne li cacciava la religione diversamente,
giusta la varia depravazione degli animi, deformata. Era a’ Germani lecito mettere a ruba i vicini, perchè tenendosi viva la gioventù non marcisse d infingardaggine *.
Le leggi degli Spartani non apponevano pena al ladro, sì bene al ladro colto
nel furto, affinchè fossero piu. vigilanti
a prevenire le insidie, più scaltri ad
apparecchiarle, e d’ogni strazio e
dolore pio. sofferenti *. In Egitto, non
si potendo affatto sbandare i furti,
travagliò solo il legislatore a far sì
che ad un Erodoto Istoria Uh, r. cap.
199. Stratone, lìb. i6. 2 Arriano delle Cose Indiane. 7a
davano di calzari *, Mogli comu-
ni, quali nella repubblica di Piatone, dagli Agatirsi e Limirnj usavansi ; perchè meschiati di sangue e di
affinità, come racconta Erodoto % non si
rendessero scambievolmente odiosi, nè con invidie reciproche si lacerassero .
Que’ finalmente, che pe’selvaggi
costu- jjiì ^ o per soverchia alterezza
neppure han gli altri per uomini, nè
cosa alcuna comune con essi vogliono ( la quale per testimonio di Erodoto ^ fu de’ Persiani arroganza, che
riputavan sè ottimi, e tutti gli altri
tanto più vUi ed abbietti quanto più
loro lontani), tratti da cieca passione,
o da insolente disprezzo dell’ uman gene-
1 Sesto Emp. Ip- Pir, Uh, i. cap. r4* iVic. Damasceno appresso Stoheo Serm. 44» 2 Erodòto Istoria Uh, 4 - cap. 104. 3 Erodoto Istoria Uh. i, cap. i34* re rompono in empie nozze queir istrumento, per cui potrebbe più largamente diffondersi l’affratel- lanza degli uomini. 11 perchè Eolo appresso
Omero le figlie a’ figli accoppiava ' ;
ed a’ Persiani Cam- bise ne fece l’uso
autorevole col proprio esempio * . Anzi
tra gli Arabi la figliuola d’un certo
Re lu dal fratello imputata di vituperio,
perchè credeva si avesse dato r accesso ad uomo d’altro IP gnaggio, cui disdiceva si d"
entrare a lei con il segnale de posto,
ed era certo l’imputatore niun altro dentro aver seco de’suoi fratelli i 6 .® Essendoché tali cause della malvagità de’ costumi sien cosi varie, e così pure tra lor connesse e
ravviluppate, per quanto possano variamente e con forze varia * Omero Odissect liÒ^ lii* ^ Erodoto Istoria Uh* l* cap^ 3r. 3 Stratone Ut. i6* le
facoltà dell’ animo svilupparsi « ed essere in consonanza o in contrasto fra
loro stesse, mal prenderebbe a patrocinare la pravità e la ignoranza connaturale alT uomo chi sostenesse non darsi costituzione
alcuna, e quasi ottima conformazione di
simili facoltà 5 ma ciascheduno doversi
tenere a quella, cui per ventura sortì
fra’ suoi; tutto condursi
dirittamente secondo i patri! statuti ed
usi ; nè mai potere ordinarsi ragione
alcuna di vivere solida e impermutabile; perciocché gli uomini, tramutandosi
con le cose, varj costumi addomandano . Avvegnaché il bisogno, che in armonia si concordino le
facoltà, in armonìa risultante dalla reciproca loro corrispondenza, si
manifesta principalmente da quel tumulto ch’arde neir animo, quando passioni tra lor nemiche senza consiglio e proposito si
tramischiano, e eh’ è da Dion Prusense,
nella sua quarta orazion del regno,
adombrato. Poiché Dione, avendo
principah niente partito in tre gli
stati del vivere, a’quali avvengonsi gli
uomini ^ tratti più dair istinto e dal
caso che da matui’a saga cita, voluttuoso, avaro, e ambizioso; e avendo accuratamente, ad uso e stil de’ Poeti, una dall’ altra divisamente
dipinto le cupidigie ^ cui Genj appella
di ciascheduno e a ciascheduno stato
assegna per condottieri ; sovente, die’egli, due o tutt’ insieme que’Genj, uno contrario all’
altro, uno stesa’ uomo sortirono, e
ognun di loro con la minaccia di un
qualche massimo danno a favor suo
spaventandolo, se riverenza nieghigìi
per compiacere ad alcuno de’ suoi rivali. Il
Genio voluttuoso tutto comandagli di profondere su quelle cose. 76
che un qualche senso piacevolmente lusingano ; il Genio avaro all’ incontro ne lo ritiene, e minaccia di
macerarlo di fame sete e miseria, se
presti a quello obbedienza. Di nuovo il Genio ambizioso lo preme e stimola,
perchè all’onore e alla gloria sostanze
e vita sagrifìchi; dall’ altra
parte quel Genio stesso, tenace ed avido
di guadagno ^ con forte braccio
ghermitolo ne U ritrae. IN è già
tra loro il cupido di piaceri e il
bramoso dì gloria accordansi. Perciocché è quegli disprezzator d’
o- gni lode, e reputa accattar baje chiunque briga onorificenze, e gli tien sempre la morte agli occhi, che con la vita ne invola il senso d’ogni giocondità; P altro poi da piaceri e da lussurie frastornalo con la paura, fittagli viva in cuore, della
ignominia e del biasimo. J\on sapendo egli che farsi o a qual partito appigliarsi, furasi ad ora ad
ora al cospetto umano 5 e fra le tenebre appartasi per isfogar tutto solo la sua libidine, ma P ambizione lo trae di tana, e nella pubbica luce lo risospinge. Gli è forza dunque che un animo qua e là rapito e distratto, e sempre in
guerra con sè medesimo, sia finalmente
del tutto misero. Perchè siccome è
difficile e perigliosa la cura di malattie complicate, e d’inimico carattere ;
così pur Panimo, ove contrarj affetti
casualmente commischiarisi, e chiusi in
petto ferocemente battagliano, è da gravissima angoscia e da infermità, difficilmente sanabile,
travagliato. Chi poi le nostre facoltà reputa potersi in Bella e perfetta armonia comporre per i costumi del popolo, che non son opera, a
detto dell’allegato autore*. I Dione
Orazione 76 . d’alcun sapiente, ma della
vita e del tempo; e’ non intende
certo, nulla potersi attendere di regolare
e immutabile denti’O inconcussi limiti da consuetudine aku- na. Imperoccliè la consuetudine, come lo stesso scrittore osserva *, da niun periodo si vincola e circoscrive. Per
la qual cosa ogni giorno di nuova giunta
aumentandosi, cresce ed avanza insensibilmente, come cert’ulceri appunto^ che via via si profondano e si dilatano.
Avvegnaché forza è dire, essere a*
sapientissimi legislatori avvenuto ciò
che di sé protesta candidamente Solone,
che interrogato j se agli Ateniesi ottime
leggi imponesse, P ottime, disse,
di quante fossero per sopportare
Perchè temeva lo scaltro ed assen-
* .Dione Orazione Rhod, 3
Plutarco nella oita di Salone. nato filosofo non esser valido a rinnovar dalle
basi ricomponendo in bell* ordine la
repubblica j se tutta quanta 1 * avesse
confusa e volta : ma bene si argomentò,
debitamente accordate insieme giustizia
e forza 5 ad operar quelle cose, le
quali egli o esortando, o usando
tale violenza quale potevano comportare, affidavasi di conseguire ; prendendo 1 * uomo espertissimo più sano avviso, ed agli umani costumi più
convenevole, che Platone uso ad immagini
perfettissime, il quale, chiesto dagli
Arcadi e da* Tebani per impor leggi alla
nuova istituita città, fu a quelle genti
scortese dì tanto bene, perchè avvisatele ricalcitranti alla equabile ripartizione delle sostanze ^ Qiie*
finalmente, che temono di non parere,
seppur volessero I Diogene Laerzio Uh,
3i part, i, n. 3* 8 o sottomettere Tuman genere a’ dog- ani della ragione immutabili, quasi tenere un Prometeo con insol ubil catena confìtto al Caucaso, mentre non
pongono alcuna regola certa, ma tutto estimano da commeK tersi alla temerità de’ casuali accidenti, un
quasi Proteo introducono, che sappia regger la scena, e cessi d’essere tratto tratto ciò che già fu, ed oggi ignori che e’ siasi per divenire domani, oche domani a sè buono giudicherà. Coloro, certo, che solo agognano rendersi presso chiunque si vivano graditissimi, potranno credere un mostro di bella e rara natura quell’ Alcibiade, cui parve aitarsi ogni forma, siccome quegli, che gli Ateniesi più splendidi, stando in Atene, con la lautezza ed eleganza del
vivere superò ; in Tebe nella fatica e
nella forza del corpo avanzò i Beozj applicati più alla gagliardia delle membra5 che alla sagacità dell’iDgegnoj a Sparta vinse
tutti i Lacedemooj, giusta il costume de’ quali nella pazienza ponevasì la
virtù somma, nella frugalità del vestito
e del vitto ; in tresche e in crapole
sorpassò i Traci servi del vino e del
ventre ; così emulò de’ Persiani 1 ©
costumanze, appo i quali era il
cacciare e vivere lussuriosamente
gran lode, che in tali cose mosse
persino a stupore la Persia stessa
Ma quella indifferenza, onde nasce che alcuna cosa si reputi onesta o
sconcia, secondochè n’ è di peso o di
utilità, se oltre il dovere estendasi, e giunga sino alle stesse regole y che prime prime germogliano dalla ragione, e spante quasi in
moltiplici ramoscelli arrivano a quelle
minime cose, le I Cornelio Nepote
nelloi vita di AlclHade >' 6 8a
quali possono dirittamente o tortamente operarsi, cangiasi Tuomo in tal mostro, del quale ninno più orribile ne creò la fantasia sfrenatissima
de’ poeti. Imperocché se ad un uomo
quanto mai 1 ’ avarizia, la crudeltà, la lussuria, e r ambizione produssero si appropriasse; e ad
uso pur de’ poeti, che in una immagine
sola più cose unirono per alcuna
conformità consenzienti, e fabbricarono Giove
Prometeo Ercole, si compendiasse
tutta la umana stirpe in un uomo, ed in tal uomo i costumi di tutte Pindoli, regioni, età si ammassassero ;
che mostruosa, che sregolata, di che
discordi e fra loro contraddittorj
caratteri composta immagine sorgerebbe \ Quanto v^ha nelle favole di
portentoso accozzato dalle diverse
affezioni degli animali, se unito quasi
con più grappelii ai costringesse a te- 63
nersì appiccato insieme, non offrirebbe un mostro di così turpe ed orrendo aspetto, qual la natura umana
sopra west ita di costumanze cotanto sozze e cosi male augurate. Le quali cose
essendoché sieno aliene dalla eccellenza
dell’ intelletto e dal perfetto carattere della ragione, la qual
n’è data per guida e governo all uomo,
si con vie n pure che v’ abbia un che
immutabile e semplice, al cui modello la
mente regoli ed i eonsiglj e i costumi.
Laonde benché le cose, che di materia costano, sien tutte labili, e r uomo stesso, per ciò che tiene di corpo, soggiaccia ogni attimo a mutamento, e, come dice Epi- carmo *, ciascuno cangi natura, né fermo tengasi in un sol essere, ma già io stesso tntt’ altro facciasi X MpicHiTtno nell0 Rcùccolta di Gr’ozio^ dall’
uomo ch^ ora passò ; pur la ragione, per
cui difFerisce 1’uomo da li* altre cose,
è costante, ed i dettami del vivere, che
ne procedono, perpetui sono, uniformi, e
sempre a lei consentanei. Può la
ragion veramente spesso nascondersi e rilasciarsi. Ma se producasi, e
chiesta sia di consiglio, risponde sempre il medesimo a chi la interroga, e pone le stesse massime.
Imperocché la ragione umana, che della vita e del vivere tutta s*occupa, fu generata dalla ragione di Dio, la quale * È dì beir arte creatrice, a tutti Compagna sì, cKe a ciascheduno insegna A còr deir oprar suo frutti onorati. Che non dell’arte istitutor fu Tuomo; Ma Dio la trae di sua ragione, e il
cieco De’ mortali intelletto e cuor ne
avviva. * Questa sentenza di Epicarmo,
che io reco gwì in t>ersi Italiani^
si riferisce dallo Stellini, secondochè
trovasi nelVallegata Kaccolta posta in
metro Latino da Groaìo. Chè dalla mente divina certo Retarne leggi contengonsi
delle cose, le quali estendonsi a tutti gli
esseri; ma la nostra, portando in
un certo modo quasi improntata
quella porzione di esse leggi, che
delle facoltà umane l’onesto uso
risguarda e stendesi ad ogni cosa
che può dall’ uomo operarsi, mentre si affisa in questa e i suoi progressi, datalesì occasione, inten^ tamente considera, nell’offerirsele partito a scegliere conosce quale consiglio avvengasi ad ogni necessità.
Talvolta pure interviene, che appunto
come le vene, che propagate dal cuore
per tutto il corpo si spandono, furansi
per la troppa finezza al guardo tosto
che per le estremità si diramano;
cosi ove giungasi a quelle azioni,
che son di lieve importanza, v’ha perspicacia di mente appena, che possa chiaro i precetti delia ragione là
pervenuta discernere. Ma deesi pure
concedere alla fralet.- za del nostro
spirito, che impunemente possano le tenuissime cose o trascurarsi imprudentemente
5 0 temerariamente operarsi; avvegnaché
non sien esse di tal valore, che
sommamente all’ u- mana società importi
non vadano vilipese. Che anzi essendo
ogni cosa pieno dì seduzioni, molte le
strade all’ errore aperte, molte
all’inganno le guide pronte, molte
le cupidigie rovinatrici e lacera-
trici dell’ animo, alquanto pure
a’ costumi donisi, donisi alla natia debolezza dell’ intelletto, a quella dolcezza donisi di umanità, di cui gli
uomini si compiacciono, e chi la rifiuti estimano essere in ira agli Dei; purché coloro, che
punto all’appetito accordassero, si persuadano abbisognar d’ una scusa
qualunque possano; ma non ardiscano protestarsi
così operato5 perchè sia lecito.
Confessino averlo fatto per connivenza, non per assenso della ragione,
la qual tenendosi unita alla verità, di
tutti i boni, siccome dice Platone *, ed
agl’ iddìi ed agli nomini operatrice, ha
la sua stessa stabilità, ed è separata
da ogni leggerezza, incostanza,
temerità, sedizione dì affetti,
opinioni, ed usi; nè apprezzar può cosa
alcuna, che alla equabilità e costanza di un moderato e diritto animo sia
ripugnante. * Fiatone dellt ^ Con quale tenore e modo nascessero le opinioni sopra le cose speitànti al i>ivere . I ® Come dalle spiegate facoltà umane varj appetiti per ordine germogliarono, così egualmente sopra le cose appetibili vennero fnora opinioni agli appetiti medesimi
convenienti ; e quale di costumanze, tale di errori, per molti continuati e gli uni agli altri intrecciantisi, una infìnìta serie si congegnò. Poiché i giudi- zj, che formansi delle cose, dalle affezioni
dell’animo di ciascheduno emergono, e dalle cospira- trici affezioni degli altri uomini, fra’ quali trovasi a vivere, si rinforzano. Conciossiachè ciascuno così delle cose giudichi secondo- chè siane affetto; ma (jue giudi- zj •, niuna per sè medesimi avendo solidità 5 scorrono e sfumano agevolmente 5
se dagli altrui giudizj tendenti tutti
al medesimo non si contengano. Se però
molti consentano, e simulacri esprimano di
una medesima stampa 9 ad uno ad
uno fra sè lor sogni paragonando,
dalla conformità che tra quelli
si raffigura argomentano 9 niun
apparenza vana sicuramente deluderli, ma in que’ fantasmi rimirar eglino
veracemente espressa di una reale e sincera cosa la immagine. Donde avviene primieramente, che
gli uomini principalissime estimino quelle cose, le quali pensano che seco più si con- vegnano di ragione e di qualità. Imperocché ciascuno quasiché d’o- gni cosa 9 come Protagora * ^ si fa * Platone nel Cratilo, misura j cosicché tali realmente sieno, quali da ciascheduno singolarmente s’*
apprendono. Laonde credendo T uomo ^ che
tutte quan« te misurar debba osi da sé
medesimo^ pone ogni cosa vie maggior
essere j, quanto si scosta meno da
quella cb*ei può grandissima concepire. Tostochè poi abbiasi alcuno
acquistato, o con presunzione stolta
aversi acquistato estimi quanto sbramar
può sua voglia, non però tienseiie
soddisfatto s* e- gli sol abbialo in
conto, ma si argomenta e si sforza
perchè pur gli altri lo tengano
d’inestimabile dignità. Perciocché quanto più
gli altri ammirano e onorano quelle cose, che in suo potere eì già trasse, tanto più scorge dovern’e- gli essere necessariamente apprezzato . a.® Niun uomo adunque, per giudicar di sé e delle cose esteriori,
ricerca se in sè medesimo, ma in quelle
immagini vane, che d’Ogni parte
l’attorniano j e in «jue^ giiidizj
rimirasi, che gii altri, involti delle medesime larve, portan di lui ricoperto di quella estranea sembianza, la qual con luce fallace e torbida inganna ^ per dir così, gli stravolti e
cispo&i occhi deir animo. Laonde a
quelli, che da’ prestigi di tal maniera son guasti, e situati fra uomini
contaminati da que prestigi medesimi,
gli è certo forza che accada ciò, che
sarebbe per avvenire a colui, che d occhi sconci e malsani si collocasse nel
mezzo di un gabinetto per ogni parte di specchi a vari colori e forme
incrostato . Imperocché ovun^ que si
rivolgesse, vedrebhes egli configurato
di membra a mano a mano variarti colore,
forma, at titirdine. Egli sarebbe in un
attimo rincagnatoj orecchiuto, di fronte
e capo Bformato, guercio, rattorto,
strambo, e gli si aiFac- cerebbe una
efbgie, ora oltremo- do stravolta, or
anche in bella e vaga armonia di membri
atteggiata. Ma distraendo ei gli occhi
dalle sembianze di mostruosa apparenza, in quelle estatico affise- rebbesi, che di bellissimi lineamenti sparsi
di grazia e dolcezza ridono ; e
spezialmente se molti specchi la vaga
forma concordi gli presentassero, con
tanto maggior fidanza e* la si approprierebbe, e da quella giudicherebbe
se stesso; Taltre figure poi,
benché in alcuna di loro la effigie
sua raffrontasse, rigetterebbe ostinatamente
come non sue, e quale affascinamento
degli occhi disprezzerebbe . Così colui spezialmente, che alla veduta di molti è posto, e sopra il volgo signorilmente grandeggia, è d’ogni parte stipato di cotal
gente, che lo disegna e colora secondo i
tratti e le tinte 5 cui le affezioni e il carattere di ciascheduno sogliono somministrare, Ma fra
i giudizj perversi e buoni, eh’ e’ sopra
sè vede farsi 5 quelli ei disprezza i quali no’l favoreggiano ; veri all’ opposto reputa
quelli, a quelli stupido appigliasi 5 che sommamente ingrandiscono la opinione
concetta già di sè stesso, e sè da
questi misura e dall’ altre cose, che soprappostegli e aggiuntegli esteriormente
gli accrescon luce e maestà. Perciocché
quel Comandante, il qual co ’l nervo e
lo spirito de’ suoi guerrieri, mossi
dalla ragione presenza e fortuna sua,
guastò campi 5 sbaragliò fior di nemici, agghiacciò popoli di spavento, sforzò città,
e i popolani suoi con prede terre e
malia di gloria si 94 affezionò s qualunque volta a sè pensa non guarda sol tanto a sè; ma per crearsi una itnmagine di sè medesimo 5 ravviva e pinge nella sua mente
le schiere pronte al comando, le
debellate guerre, i fiumi travalicati,
le terre corse colle vittorie, le messe
provineie al giogo, i munimenti, i doni,
i trionfi ^ o la intora postoritE
con gli occhi e il cuore a’volumi delle
sue gesta. Le quali azioni, mentre gli si raggirano entro il pen- siere romoreggianti per lo fragor delle trombe, lo strepito de’ soldati, e gli
applausi de’ cittadini, si scorda già
d’esser uomo ; nè più considera, benché
col capo sollevisi tra le nuvole e colla parte
miglior di sè dal popolo sia diviso, di star co’ piedi alla terra,
e d’ essere per tal parte confuso
an- ch’ esso col popolo . Chi ha poi pochissime
cose., che da vicino gli facciali mostra
e riflettanglì porn- posamente
illustrata la propria immagine, drizza
lo sguardo a lontanissimi oggetti, e si
diletta di quella esangue e sparuta effigie,
che può da cose squallide per la muffa
rendersi a lui di lontano. Ciò fanno
quelli principalmente, che lo splendore si appropriano degli antenati j e credono
poter di quello ampiamente senz’altra
luce risplendere; quantunque il lustro delle fumose immagini, se punto in essi
ne può trasfondersi, per tanta
distanza appannisi, e per le interposte
ombre talmente annegrisi, che non si
possa ueppur discernere, e sfugga sino lo sguardo. Se finalmente sia privo alcuno d’ogni esterior sostegno, e tutto quanto restrin* gasi in sè medesimo, ei, quale i bachi, si fabbrica un inviluppo, cui poscia quasi eoa nuove tinte vernica 6
liscia 5 e dentro a (juel si vagheggia.
Benché però 1 opinione di sé medesimo a suo talento adornata sia scema affatto
di quel valore, che dall’approvazione e
consenso altrui suole apporsi, e’
tuttavia vi si attiene, e ferma e solida
la considera ; spaccia poi tutti gli
altri o stolti, che giu- dicar sanamente
per ignoranza non possano, ovveramente
invidiosi, che per lividezza d’ animo,
guardando tutte le cose con occhi torti,
ne falsin quante ne affisano. Sino
a tal segno da’popolari costumi proscritta
fu quella massima di Chi- Ione conosciti
; nella qual massima Platone insegna nel suo File- ho racchiudersi tre precetti, cioè, che ognuno conosca sé, le sue cose, e checché
ad esse appartiene; o, come spiega
appresso Stobeo Porfirio ' ^ 1 ’ uomo
interiore pri- I Stobeo Serm, ai* mìeramente e immortale; poscia il fugace uomo esteriore ; in fine tutte le cose, che all’uno e all’ altro si riferiscono ; cioè, la mente, in cui
sta propriamente ciò che si dice uomo;
cotesto corpo soggetto a’ sensi, ch^ è
solamente ombra ed immagine di ciascuno
; le cose in ultimo poste d'intorno al corpo, le facoltà delle quali gli è pur mestieri conoscere, perchè alla
parte mortale la dignità non appongasi
dell’ immortale, o air immortale i
vantaggi della mortale non si
trasportino. 3 .° Ma i più degli uomini
con incredìbile accordo quella
porzioa di sè stessi migliore estimano,
la qual de’ sensi è stromento ; perchè è
la prima a spiegarsi, d’uso continuo è
nel vivere, e ne siam tutti commossi
gagliardamente : quella per lo
contrario, che di ragione partecipa e d*
intelletto, quasi confondesi con que’ vanissimi
simulacri, cui già Epicuro sognò
disvoìgersi ed esalare da’ corpi.
Imperocché quantunque sia questa parte interiore attaccata a noi, ed abbia virtù e natura sicuramente
celeste, ci è pero men famigliare, più
tarda svolgesi, e son più vividi i
movimenti de’ sensi che del pensiero.
Reputan poi delle cose esterne quelle
essere più eccellenti, le quali sogliono più vivamente commuoverli; quelle più grandi, che rigonfiate per cosi dire da un cieco ardore deir animo, occupan quasi un più vasto spazio nel cuore, siccome acqua per sottoposte vampe so- prabhollente. Per lo che, omesse le cose, guardiam concordi le loro immagini, le abbracciamo, le vagheggiamo,
definiamo secondo queste le qualità de’ beni, li compartiamo in ispezie, li
disponiamo ^ ed a ciascuna d’esse potenza
ed essere attribuiamo. Ciò stabilito, qualunque volta avvengane ad aver punto a decidere su beni ©’ mali, ci conduciamo precisa- mente come una volta certi filosofi usavano,
ove il ragionamento ad obbietti fisici
si traesse. Con- ciossiachè come questi,
creati alcuni vocaboli universali, a quali
determinarono doversi già riferire
quanto della natura può chiederai
delle cose, interrogati esponevano
il lor giudizio secondo questi vocaboli, secondo questi vocaboli argomentavano,
e tolta inquisizione della natura circoscrivevano l’intera scienza ad una comoda ed ingegnosa disposizion di parole, che
surrogate alle cose potevano agiatamente trattarsi; cosi disegnati i beni ed i loro gradi secondo que’ simulacri, che aboz- zati da’ sensi perlezionaroiisi ed abhellironsi dalla immaginazione, ove ne occorre a deliberare qual cosa mai più si debba bramare o scegliere, non si considera già quella congruenza, che tra le cose e noi
s’interpone, ma solamente indagasi con qual ragione sieno fra loro composte quelle fantasi- me, che sottentrarono a tener vece di noi e delle cose medesime. 4.° La Principal cosa poi ^ cui statuirono i più dover ciascuno agognare, è
di saziar l’appetito senza che ostacolo si frapponga. Imperocché sin d’allora,
che addormentate r altre potenze languono
o cela risi inviluppate, fiorisce vivido il senso, per cui senza
pur niun’ avvertenza nostra suole
il piacere nell’ anima
insìnuarcisi. Ma o son gli ostacoli
nell’ uomo stesso, o sono fuori de Ih
uomo. Nell’ uomo stesso è la
imperfezione e la fralezza de’ sensi:
fuori di lui la lOI penuria di quelle cose, donde si trae diletto, e la violenza degli uomini, che lo circondano, all’uso delle medesime ripugnante. Laonde, quali
ministre, al piacere ag- giungonsi la
integrità de’ sensi, la copia
soprabbondante di quelle cose le quali
a’ sensi conforrnansi, e il pieno
arbitrio di usarle, ciascuno a sua volontà : la prima certo perchè non manchi
il sub biotto, da cui le cose cagionatrici dì
voluttà si ricevano; l’altra perchè
la materia, che dee riceversi, non
venga meno; la terza in fine perchè sijflPatto ricevimento non s’impedisca
. 5 .® Ma perchè più per la privazione
che pe’I possesso avvertiamo quanto ne
sien giovevoli quelle cose, che per
alcun sentimento ci affezionarono (
sendo noi tali, che il desiderio di un
qualche bene intermesso j perchè niun voto ci re- r
t t. r ioa sti in cuore, più a lungo infìara- mane ^ che non ci gonfj il soave dell’allegrezza, la qual coll’uso insensibilmente languisce); e perchè più
d’ordinario a noi mancano gli ajuti estrinseci del piacere, che i sensi stessi, la sazietà de quali ^ benché in ciascheduno va- riino di potenza, da quella capacità
misurasi, cui da principio ciascun sortì ; perciò più spesso sprigionasi, e più
vivamente scoppia la brama di libertà e
di ricchezza, che di fiorita e vegeta sanità.
La qual brama in vero quanta più
vìvida cresce, tanto più estenua e consuma ancora la cupidigia di quel piacere,
per lo cui stimolo s’infervorò; e
avviene insensibilmente che tutta sola ella
domini, e alle ricchezze la voluttà dia luogo, e servan esse ricchezze
alla libertà. 6 .° Ma succedendo assai
volte. io5
che moìti egualmente anelino alla
medesime cose, e ciò dovendo tanto più spesso avvenire, quanto pa loro più simili e più contigui sieri gli uomini ( poiché arde in tutti la stessa brama di esercitai le me desime facoltà), nè cosa alcuna di circoscritta grandezza realmente siavi per
quanto vasta, la qua le in tutti
distribuita la cupidigia insaziabile ne satolli; quindi, se tutti di forza pari valessero, chi pur volesse alcuna cosa appro priarsi divisamente dagli altri, verrebbe da tutti gli altri, aspiranti a
quell’oggetto medesimo, ributtato. Per
la qual cosa la libertà j che fondasi nelle forze equilibrate di tutti, potendo solo serbarsi illesa tra quelli, che o son del tutto infìngardi e vivonsi eternamente torpidi, o tutto l a nimo volsero a quelle cose, che nulla di comune hanno con quan- io4
te allettano i sensi ; per questo in
quanti e di forze e di cuore ab-
Londano alla vaghezza di libertà
F appetito di signoria sopranna-
sce 3 ed a gran bene ascrivesi il
soprastare agli altri di potestà, ed
alla stessa ragione ponesi qualunque obbietto, ch’abbia sembianza di
principato, o che in qualche modo possa al medesimo contribuire. 7.*^ Tale potenza poi dee con le forze acquistarsi o proprie, o d’altri alle
proprie unite, ed insieme ad uno scopo
medesimo cospiranti. Le forze proprie di
ciascheduno consistono nella energia
delle membra 3 nella penetrazione e sagacità
dello spirito, ed in un impeto ardente di quegli affetti, che sogliono
più vivamente infiammarci ad imprese
ardue, e sospingerci ad intentati,
difficili, precipitosi ardimenti.
Perciocché ognuno tan- io 5 to più vale, quanto maggiore vee» menza incitalo a cavar fuori sue facoltà, e quanto maggiori sono queste facoltà sue : cioè con quan- to più vivo sforzo può ciascheduno affrontare
qualunque appostasi difficoltà e con
quanta maggiore callidità può
guardarsene. Per lo che molti una volta
furono dalla gagliardia delie membra
nobilitati; e coltivati con somma cura,
furono in onoranza tutti quegli
esercizj che lena accrescono e agilità 5 ed assuefanno gli animi a non curare i dolori, ed a mirar con disprezzo tutte le cose terribili, Ma
successivamente la perspicace o prudenza o sagacità, con cui sogliono, comunque possano, o procurarsi gli ajuti per intraprendere, o
dissiparsene gl’ impedimenti, talmente fu riputata, che quanti più se ne ornassero si giudicavano
prossimi agl’Iddii stessi,
io6 e si credevano ammessi alF
intima familiarità de’ naedesimi. 8 .®
Ma non potendosi che tenuissima stimar la forza, per quanto grande ella siasi, di cui ciascuno è fornito, se con le forze
congiunte, che posson muoverle impaccio, si paragoni; perciò non puossi potenza niuna acquistar mai
grande, nè mai durevole conservare da
chi non sia già da molti fatto signore
ed arbitro de* loro affetti. Ciò poi,
che suole ordinariamente stimolar gli uomini
a cospirare di forza con esso noi,
è o la paura di un qualche sconcio, o la speranza di un utile, o la opinione di una eminente virtù, la quale
abbagli con luce straordinaria, e
prometta vantaggi grandi ed a molti. Reputiam
dunque esserci bene avvenuto, ove
ci teme assai gente, o ci ama, o
sommamente ci estima ; e ne
107 solleticai! tutti, e tutti
illustri nc pajono quegli argomenti, quali
sogliono gli altri significarci alta
opinione di noi ; e questo infiammaci in petto violente brame di gloria, onore, ed autorità. 9.° Ed a creare negli altri timor di noi
contribuiscono quelle cose, che noi
dicemmo costituire la for2a di
ciascheduno, indole ardita a cimentar
tutto, sagace e scaltro vigor di mente,
anima e corpo indomabili dalla fatica ;
e quelle cose, che a queste necessariamente
conseguono, temerità minacciosa, vanto arrogante, furia precipitosa e infrenabile. A. tali uomini certamente gli animi dolci e di soavi
costumi, impauriti dall’apprension delle
ingiurie, non osano contrapporsi; e
qualche volta, per trarsi con lieve danno da
somme calamità, li secondano: ma
que’ eh’ hann’ indole impetuosa e
io8 feroce si uiiiscon loro
spontaneamente, incitati dalla speranza di
maturare imprese, che ripugnando
quelli sarebbero pericolose a tentarsi . Imperocché quelle cose,
che sommamente mimiche nocciono, se per ventura a noi leghinsi d’amistà giovano
sommamente. Tutti amiam poi spezialmente
quelli che agevolmente potendo
essere altrui di molestia, sono da certa bontà di cuore impegnati ad obbligarsi
moltissimi co’ benetìzj piut- tostochè
con la forza 5 e ci crediamo di apparecchiare e di assicurare un certo asilo a
noi stessi, ove ingrandiamo e
ravvaloriamo di tutto sforzo quegli uomini, l quali ricchi di facoltà non le
usan già per opprimere le fortune o la
libertà de’ più deboli, ma pronte l’hanno
e disposte o a conforto de’ cittadini afflitti, o ad onore de’ cittadini
fiorenti, 0 a crear pubbli- lOQ ea ilarità nel teatro e negli spettacoli.
Siam usi in ultimo di venerar coloro, ch^ hanno in dileggio e a vile quanto mai
temesi o bramasi avidamente dal
volgo, e i quali 5 sia che concedano,
o sia che apprestino e guarentiscano agli altri cose che arrecano alcun diletto o vantaggio, niun altro merito de*
lor travagli sembrano attendere 5 f'uorichè onore e celebrità . Dalla qual
gloria veggen- dosi il più degli uomini
assai lontani per la mancanza di quegli
ajuti 5 che debbono sostentarla, o
rinunziandola spontaneamente perchè impediti da que* mestieri, co* quali essa non può congiungersi, non solo altrui non invidiano tal capitale infruttuoso per sè, ma loro grande
interesse estimano che attribuiscasi a
quelli, e si consolidi in quelli a perpetuità. Imperocché qual uomo pur non vorrebbe
rinfieritare quegli agj, da quali non
può senza molestia astenersi, con quella cosa, la qual da lui trasferita in altri non lascia alcun desiderio di sè medesima ? E chi sdegnerebbe mai di promuovere quelle
virtù, da cui span- donsi a larga vena
que’ beni tut-^ ti, che della vita
stessa gli son più cari ? . T IO.® Di questi mezzi, i quali vaglion moltissimo a far potenza e fortuna, il timore abbassa gli animi altrui sino alla stupida condiscendenza
; r ammirazione con l’abitudine delle
profuse lodi genera 1 * adulazione, eh e il genere di servitù più deforme, la speranza de'
comodi all’ amicìzia alletta, annoda le clientele, e stringe le affinità. Le qttali cose, accrescendo 1 ’
autorità senz’ adoprare violcaza, sogUon
perciò spezialmente esser pregiate assaissimo ^ il
£ ed avendo una certa immagine di grandezza e di gravità possono ancora tenersi
grandi per sè medesime, Ma perchè quanto più antiche sono sifFatte cose^ denno
aver messo radici tanto più vaste e profonde
; però crediamo esser pur eccellente
cosa l’antichità del li- gnaggio
nobilitata da’ gesti di assai remoti antenati ; e tanto più strettamente a tale antichità ci attenghiamop in quanto i lontani oggetti non sottostanno all’invidia, e tanto più favoreggiasi quella eccellenza di
stato, con la qual voglia taluno su tutti gli altri risplendere, se comparisca
involta da un’ apparenza di antichità ;
perocché allora ne sembra non usurpata certo, o rapita altrui maliziosamente 5
ma in certo modo concessa dalla natura
medesima . Conciossiachè come gli uomiin
por- tan invidia a’ presenti, così
subii- jEnan gli assai lontani molti precetti del quale5 dice Plutarco *,
non variar molto da’ geroglifici Egizj. Poiché somigliano a quegli oracoli, i quali appunto potean mostrare predetto innac*;i qualunque caso avvenire, perocché nulla di
certo e chiaro significando lor s’accordavan benissimo tutti i sensi, quantunque più discordanti .
Scelsero poi tali enigmi o
maliziosamente per guadagnarsi P
ammirazione del popolo, e fargli credere in certo modo aver dal consiglio di Giove attinto quanto sovente spacciassero di più volgare; o perchè
il volgo, che d’ordinario più ammira cose che meno ^ PlhìttarQù nel Libro di Iside e di
Isiride^ i intende continuamente d’interprete
abbisognasse; o perchè avendo essi contezza piena di poche cose 5 paragonarono
tra loro quelle, che per niun modo
potevano consentire. Imperocché bisogna, che
ne sien certe e manifeste moltissime, perchè si possano trasceglier quelle, che più tra loro convengano, affinchè
ninna quasi a ritroso del suo'carattere sostituiscasi a ir altra; e ninna
avendo per così dire un aspetto solo, ma
innu- merahili uno velato dalP
altro, convien che sieno con accortezza ammirabile svelate tutte le qualità, che in
ciascheduna si celano; perchè si possa
perfettamente discerner quella, che r una all’altra concorda. Quindi
Aristotile dice * essere impresa di
prode in- I ArUtoUle delia Rettorica
Uh, 3. cap, Jl. « delia Poetica cap. a
a. \
gegno, ed accorto a drizzar sua
niii'a 5 veder somiglianze in esseri,
che più tra loro discordano. 7.°
Come poi gli uomini dì acuto ingegno, e gli ambiziosi ancora 5 dalle figure a’
proverbj e a tenebrosi enigmi sì
trasportarono j cosi gli spiriti più
mansueti, i quali più compiacevansi
della dolcezza che della mordacità del parlare fecero passo agli apologhi ;
e mentre quelli involgevano gli uditori
fra la caligine di sensi arcani, questi con novellette ornate a schiette maniere li trattenevano piacevolmente sponendo loro le conferenze e i
colloqui, non pur de bruti, ma delie
piante eziandio. Con la qual arte
sicuramente ottennero, che quanto all’uomo fosse increscevole e duro mirare
in sè e ne’ suoi simili, placido e
ad occhio fermo ragguardi in esseri
di assai diverso carattere, e mentre i 5 o
5 n oggetti, che non gl* irritano ii
cuore per essergli assai dissimili,
gli esempj osserva della demenza
e della cupidità, apprenda intanto, a tutt’altro inteso, ciò che
gli giovi a ben vivere. Così lo sparviere
in Esiodo ^, nel dileggiar Tusignolo, perch’e’ su lui, benché siasi dolce soave
gorghegglatore, abbia ragione di vita e morte, ammaestrane, essere
imprudentissimo chiunque prenda a
cozjsare co’ prepotenti, sendogìi forza, oltre lo scorno, inghiottire qualunque strazio ed
acerbità, Oltracchè sono sijffatti modi
più acconci, essendo pur malagevole,
siccome osserva Aristotile ^, ritrovar
simili cose realmente operate,
agevolissimo poi jfigurarle finte a chi
pur sappia discernere le qualità delle si-
* £siod,o i Tj^votì 6 Is GioviicttG *
2 Aristotile della Rettorica libé a. cap* ao. \ i5i
tnili, abilitandone a ciò la filosofia. Hari di più tale comodità 5 che
sendo odioso il nome di precettore V
acerbità de’ precetti si raddolcisce con
la giocondità della favola; talché
quegli nomini, i quali rigetterebbero una palese ammonizion pedantesca, I
ab- braccian quasi spontaneamente nata, ove si occulti il maestro, o 1 ’ a man pure qual parto del proprio
ingegno, siccome osserva TVIas- simo
Tirio *, quasi di se medesimi la traessero. Onde quel I^rigio novellatore ^ il quale, al dire di Gellio non gravemente, non autorevolmente
spose e chiari quanto fosse degno di avviso e consiglio, ma chiuso in giocondi
apologhi negl’intelletti e ne cuoii lo
insinuò con vezzo lusingatore *
Maòsìmo Tirio Serm, 09 a A, Gelilo Notti
Attiche Uh, a cajp. ag. degli animi 5
non solo agli altri poeti si preferia da
Apollonio presso Filostrato, perocché quelli le
orecchie degli uditori corrompono, e con lo stimolo di grandi esempi spingono gli animi a scellerati amori
e a brama d’oro e di regno, dovechè
Esopo favoleggiando mostra che farsi o lasciarsi debba, e chiaramente
additane qual verità sotto bella
menzogna ascondasi; ma si ammirava
scolpito ancor da Lisippo innanzi a’ sette che furon detti sapienti: lo
che espressamente lodasi da Agatia ^
j perchè quelli severamente ed aspramente
ammoniscono, questi scherzando giocosamente gravissime cose insegna, e
raddolcendo con blande parole il cuore l’empie di sani consigli.
i Fìlostrato Uh. 5. nella i>ìta di Apollonio» * Antologia Uh, cap. 33. 8 .® Ma mentrechè
con apologhi velavan questi utilissime
osservazioni j altri offuscarono le medesime con inviluppi allegorici, tessuti
non de’ costumi degli animali, ma sì delle proprietà d’ogni qual altro oggetto più conoscessero ; o che
una certa grandezza li seducesse 5 o che
una qualche paura li consigliasse. Poiché talvolta avveniva che f ardimento e la forza di chi
doveva ammonirsi togliesse ogni libertà di parlare. Così non osando Alceo *
palesemente lacerar Mirsilo, che
travagliava i Mitilenesi con barbara
signoria, simboleggiò il tiranno ed i
cittadini con la tempesta e una nave, e
mentre deplora il legno già soperchiato dall’ onde piagne la schiavitù della
patria, e lacera l’op- pressor della
libertà. La qual ma- I J^raQÌide
Pontico nelle allegorie di Omero, niera,
forse dapprima inspirata dalla
necessità, si usò dappoi per vaghezza,
ed anche a pompa d’ingegno . Ma dove imprima sotto la forma di alcuna cosa ordinaria così celava si la verità, che di leggieri 136
trasparisse ; incominciò appoco appoco,
quasi incrostata di false immagini, ad
occultarsi in guisa che gl’imperiti non
sospettava n pure di oggetto ascoso in
quella vana corteccia, e per la
cosa prendeano il simbolo della
medesima, e in esso lui s’arrestavano, Al quale effetto concorsero con
ammirabile accordo il vulgo stesso, i
filosofi, ed a’ filosofi i succeduti poeti, pe ’l tramezzarsi de’ quali gli
osservatori e gli operatori si uniscono
delle cose. Perciocché come le
favole, per quanto Massimo Tirio afferma
^ 5 sono tramezzo alla scienza I
ilfafiimo Tirio nel cit, Sermé 99. ed alla ignoranza ; cosi coloro, che si applicarono con ogni cura a trattarle, debbono aversi come un legame comune de’ dotti e degl’imperiti ; essendo essi, che astrinsero la sapienza, i cui penetrali sono
inaccessibili al volgo, a conversar
mascherata nelle assemblee degli uomini più numerose, e spesse volte a prodursi
in abito di comediante sopra la
scena. 9 .^ E veramente il volgo inettissimo
a quegli oggetti, che per essere intesi
vogliono mente astratta da’ sensi, mirabilmente però disposto a quelli
ch’abbian qualità proprie da porre i
sensi in ardore j diede motivo di tratto in tratto d’ immaginar cose nuove a
quegl’ ingegni che amassero brillare
agli occhi del popolo, o trarlo ad
usi migliori. Per lo che, presa
baldanza dall’ imperizia e leggerezza del volgo quanti brigava usi credito
di sapienza, qualunque oggetto dovesse
proporsi al volgo, lo presentavano a lui
vestito di alcuna forma invievole per i
sensi. Furono poi molto utili ed opportuni tai velamenti filosofi per onestare quelle opinioni, che immaginate s’erano della natura universal delle cose. Imperocché poiché alcuni forti d’ingegno mos- ser dal nido con ali già vigorose, e dalle immagini delle cose, che aperte spiegansi al sensi, alla interiore ed
astrusa natura loro in- nalzaronsi,
strani portenti si presentarono a’sognatori sopra le cause, l’ordine, e la
struttura dell* universo. E prima,
ciocché fu in tanta oscurità
facilissimo, in due sostanze divisero la
natura, talché una fosse, per adoprar le
parole di Cicerone efficiente,
l’altra * CicsTOìiB j4ccad6ìuich$ 2t
i# poi 5 quasi alla efficiente
prestan- tesi, effettuata . Nell’
efficiente cre- devan essere la potenza
; una materia poi nell’ effettuato j ma e
questa e quella in entrambi; che
nè la materia stessa avria potuto
accozzarsi senza una forza vinco-
Jatrice, nè senza materia niuna
esercitarsi la forza. Chiamavano
dunque Iddio o V universo stesso,
o una potenza oppur mente diffusa in tutte le cose, e sotto la varia immagine delle cose occul- tantesi. Da tale principio ritrasse Escliilo " quelle espressioni H terra ed aere e cielo e firmamento, E scaltro v’ha nell' universo, è Giove; X io Steliini riferisce questa sentenza
di fischilo secondo la versione poetica
datane in Latino da Grazio nella già
citata Raccolta Groziana. Io nel recarla
in versi Italiani ho procurato di
adattarla più all’originale che alla
Ti-adazione. Di qui nasce la varietà,
ehe si può incontrare, nella espression de concetti. i58 io che alla prima sentenza accordasi e
consuona con la seconda : Non
confondere Iddìo con mortai cosa, Nè a
lui caduca (jualitade apporre. Eì si
cela al tuo sguardo : impetuoso Orribil
fuoco ora si mostra, or veste Delle
tenebre il velo, or d’acqua prende
Sembianza ; talor ha di fiera aspetto,
Di nuvola, dì turbine, dì vento,
Dì saetta, di folgore, di tuono.
Pensavan poi che una mente per
ogni parte del mondo si diffondesse, in quella maniera che giudicavano
la nostr’anima sparsa per tutto il
corpo, la qual per Fossa c pe’ nervi
diramasi come abito, tiene al principio
poi come mente. Perciocché presso
Laerzio * cre- deasi da Possidouio, che
F anima delF universo, o il purissimo
etere si diffondesse col senso in
quanto esiste nell’aria, negli animali,
e * Diogene Laerzio lib, i, partiz*
rSg, in tutte le piante ; nella medesima
terra poi siccome vitale abito
s’internasse. E ad Epicarmo pareva che avesse mente qualunque cosa vitale *. Pitagora gii;dicava partecipar della vita chi di calore
partecipasse ; e perciò essere le piante
ancora animate * ; la qual fu pur di
Democrito e di Platone sentenza ^ ; ed
affermavano Empedocle ed Anassagora, essere anch’ esse mosse dal senso, dall’appetito, dalla melanconia, dal piacere Anzi poi molti estimavano, come
ne attesta Porfirio % che la ragion
degl’ iddìi e degli uomini, siccome
d’ogni animale, non differisse tra loro
per la so- * JEpicarmo nella cit-
Raccolta Groziana. * Diogene Laerzio
Uh. 8. partiz. a8. 3 Plutarco nelle
Qiiestioni Platoniche, 4 Clemente
Alessandrino Strom. Uh. 8., Arir Piotile
delle Piante Uh, i, 5 Porjirio
delVAstinenza Uh, 3. stanza, ma solamente per certi gradi, talmentechè T una fosse in un medesimo genere più perfetta, F altra inferiore: dalla qual cosa avvenne, che strascinati da una catena d’idee statuirono T uomo essere quasi di tutte le cose un centro, in cui pur tutte o accresciute o
diminuite potessero terminarsi. Per lo che la materia, per cui la potenza penetra con varj nomi appellata, essendo spinta da un
movimento continuo, credean fra tali
commovimenti della natura potersi tutto
consecutivamente di tutto fare; pe’l quale oggetto nuli’ altro si richiedeva,
se non che una cosa si disunisse da un’altra, ovveramente ad un’altra si approssimasse. Quinci ^ cavarono gli Dii dagli uomini, e gli uomini dagli Dii; e in bestie, in alberi, e in sassi questi medesimi
trasformarono. Quinci presso Elia no * Einpedocle trasse alcuni esseri generati da due dissimili spezie p e in un sol corpo con doppia natura
uniti. Quinci finalmente si propagò quella metempsicosi 5 cui tratta dalle
immondezze Egiziane Pitagora nobilito
Poiché asserivan gli Egizj I anima di
Osiride esser passata in un .bove,
dal quale poscia ne’ posteri si trasfondesse, giusta la relazion di Diodoro
; secondo poi la testimonianza di Eliano
^, intanto gli Eliopollti odiavano il
coccodrillo, perchè credevano che quella
forma vestito avesse Tifone uccisor di Osiride. io.° Afferrarono avidamente tali opinioni i
Poeti, e non altrimenti che di principj trasser di * JZUano Istoria degli Animali Uh* i6.
cffp. 39 - * Diodoro $lciL Istoria Uh. l. 5 EUano Istoria degli Animali lib, io.
cap. 3.S. I r lòii
quelle quai corollarj le loro trasformazioni, e le varie forme onde
vestiti gl’iddi! usavan cercare ogni
angolo dell’ universo per riconoscere le virtù e’ vizj degli uomini, Perciocché quelle trasmutazioni di
cose, che si credeano i filosofi a tempo
certo uscir dell’ ordine eterno
dell’universo a grado a grado spiega ntesi, a lor piacere i poeti nella natura
medesima le intrometteano, qualor vaghezza o bisogno li stimolasse j nel che nuir altro si conveniva far loro 5 se non che poste opportunamente
apparissero quelle occasioni e cagioni,
cui ciaschedun evento congiunto fosse di
qualche necessità. Queste di vero si mendicavano spesso da qualche alterazione
dell’ animo, o d’alcun vizio o virtù,
perchè avevansi come i più proprj
argomenti da ingenerare negli uomini
spavento ed odio p"' torti affetti,
e riempierli di sentimenti onorati. Ma temerariamente ammassando e
spacciando importunamente trasformazioni
di ogni maniera que’ che cercavan miracoli per mostrarsi più venerabili al
volgo, tali prodigj perde ron fede, e annoveraronsi tra que’ fantasmi, di cui si può la fantasia dilettare e ornare il mondo poetico,
variato poi coll’accrescimento di azioni, di movimenti, e di forme.
ii.° Mentre però che questi di
larve tali coprivano la sapienza
per farla pvù ragguardevole al
popolo, altri qualche particola ne
dìvelsero, e chiusa in breve ed a-
cuta massima la proposero. Siffatte massime, o perche tratte dalla
natura medesima delle cose per una
osservazione diuturna, o perchè espresse con la meditazione dalle nozioni serbate nell’in tei letto 5
hanno grandissima autorità, sì per la
gravità ed il peso delle parole che le
ristringono, come per la loro fecondità
e per lo agevole e libero adattamento loro ad
assai casi del vivere. La stretta
brevità loro fa veramente, ch'el-
ìeno apprese pur sieno dagl’imperiti e sfaccendati egualmente, e pronte accorrati ovunque ad o- gni cenno delf animo. Perlo che il volgo ignorante si vai dì loro frequentemente, e d’ordinario da quelle giudica il bene e il male. Se l’ebbe certo in tal conto l’antichità 5
che scoi piansi agl’ ingressi de’
santuarj, e adopravansi a pronunziare gli oracoli; o perciocché talvolta se ne ignorava per la vec- diiiezza l’autore, si noveravan tra que’principi, attingonsi dalla natura
medesima, e a cui dà peso il concorde
assenso delle nazioni e de’secoli. Onde i fanciulli apparavanle per poi giovarsene in ferma età 5 siccome asserisce E- schine nell’arringa contro dì Te- sifonte .
ia.° Ma nulla s’ era sin qui con
certa ragione e regola sopra i costumi determinato, perchè non era la mente per anco pari a tant opera 5 o perchè quelli che avrebbero
principalmente potuto farlo s’ eran»o
agli esercìzj d’ altri mestieri applicati,60 ninna cura essi posero sulla maniera del vivere, o se
pur tolsero a meditarla non presentarono che opinioni espresse in forme allegoriche. Per la qual cosa le regole de costumi non eran
altro che o un indi- gesta massa dì
brevi e facili detti ; o corollari di naturale istoria raffazzonata in ogni maniera applicati alle
costumanze; o gesta illustri die’
trapassati, le quali o rinchiuse in inni
cantavansi fra le mense, o propinavansi al popolo ineschiate a’* riti divini, o contraffatte di
favole si produceano a spettacolo sulle
scene. Comparve Socrate finalmente, il
qual s* abbattè per sorte in que’ tempi,
che rovinati i costumi degli Ateniesi dal lusso erano inzavardati d’ ogni lordura : 1 ’ arroganza poi de’ Sofisti, forte d’ inganni e le- nocinj rettorìci, signoreggiava ; ammaestrava
i giovani già corrotti dagli ordinar]
usi del vivere in quelle arti, per cui
potessero nella ignoranza massima delle cose
ammaliare il popolo in parlamento, e rinchiudeva tutta la scienza in un
girar di parole e di concetti splendidi comodamente adattabili ad ogni assunto,
o di ventose speranze pasceano il cuore del
popolo. Per lo che Socrate, siccome affermane Cicerone % pensò * Cicerone Questioni Tuscularte Zi&,
3* doversi distrar la filosofia
dagli arcani gelosamente nascosti
dalia natura medesima, ed
applicarla al governo delia repubblica ;
quindi ei la trasse dal cielo, e la po
se nelle città ^ e la introdusse ancor nelle case, e a meditar l’obbligò
sopra la vita e i costumi e le buone e
malvage cose : raccolse in un certo ordine gli ammaestramenti del vivere, che
vagava no dissipati; illustrò
definendoli i tenebrosi caratteri delie
virtù; i complicati e confusi sbrogliò
partendoli e dichiari; investigò gl i-
gnoti con la induzione de simili,
e mise gli altri in cammino d’investigarli . Quindi elegantemente dice Temistio * che, quale Atene da Teseo, fu in un sol luogo da lui raccolta la sparsamente abi tante filosofia . ^ Temistio Orazione it* i 3
.° Quanta ignoranza ^ qual Lnjo Ja
scienza de’costumi ingombrasse, chiaro è da ciò, che ne disputa nelle morali sue conferenze Platone.
Poiché non crasi ancora determinato qual fosse e la natura e il valore della virtù ; lo che si prende a rintracciare nel Mennone . ]Non s’ era ancor definito per quai
caratteri fra loro il giusto e Fingiusto
si dipartissero5 le quali cose nel primo
cerca usi e nel secondo colloquio su la
Repubblica . Che innanzi a Socrate mai
non si fosse indagato qual cosa aversi per santa e pia, V apprendiamo
dalPEutifrone. Per la quale ignoranza
avvenne, che quelli che professavano
d’insegnar tiitto, quantunque nulla
assolutamente sapessero, poteano comodamente a vane ciance dar peso, ni un altro avendo così fornito l’ingegno da scompigliare le reti fragili de’ Sofisti. Nè già le cose ignoravano solamente, ma ne fa chiari Platone stesso che non sa- pesser neppure il tenore e il mezzo da
conseguirne sicura e limpida conoscenza. Imperocché, siccome afferma nel Fedro,
niente può stringersi con l’intelletto,
o svolgersi col discorso, ove le
cose qua e là disperse in un ordine non sì raccolgano, affinchè possa una sola definizione abbracciarne quante fra loro per alcun modo concordano; e vicendevolmente ove le cose raccolte insieme gradata- mente non si di nielli brino in parti, perchè
sì possa spiegare ognuna distintamente. Ed oltracciò nel Filebo, poiché, dice Socrate, quelle cose, che sempre sono, sono una e
molte, ed hanno un certo naturai termine e insieme han corso infinito; per indagarle adunque e
insegnarle agli altri è me- lyo stìeri
primieramente, che rintrac- ciarn quella
forma, nella qual tutte contengonsì ; la
qual trovata si denno poscia ricorrer tutte,
perchè non solo sappiamo essere
quelle insieme ed una e molte e
infinite ; ma quante ancor quelle
molte sieno ; nè ad esse molte Ti»
dea deir infinito adattiamo pri-
machè ci sia noto evidentemente
il numero di tutte quelle, che
fra runo e l’infinito frappongonsi.
Lo che vuol dire, che essendo il
genere uno, più poi le spezie al
genere sottoposte, ed infiniti gli
oggetti individuali che sottopon-
gonsi a queste spezie, dehhesi prima di scendere a’ singolari considerare
gradatamente e percorrere tutte le
spezie del genere investigato. Ma quelli, come pur ivi avvertesì, che allor brigavano credito di
sapienza, oltre saltando i frapposti
oggetti, dall’ uno ratti passavano all’ infinito ; raccoglievano in una forma 5
siccome s ha nel Politico, simili
reputandole $ cose fra loro
discordantissime ^ dovechè avrehhon
dovuto stringere dentro un medesimo genere cose fra loro affini} dopo che avessero tutte esplorate le discrepanze } che
fossero nelle parti, Per lo che chiaro
affermasi nel Sofista, aver essi V
ingegno e Fuso della divisione ignorato,
onde avvenne che fosser poveri di
parole. Perciocché quanto più sono ravviluppate le idee, vie meno segni
per ispiegarsi addoman- dano ; quanto
più sono distintamente partite, tanto è mestieri che più s’ accresca la vena delle parole ^ perchè a ciascheduna idea proprio segnale s’apponga, per cui discernasi nell’annunziarla. Nulla poteasi
adunque sperar di saggio^ nulla di chiaro da quelli. che nè raggi unta avevano la verità, nè
conoscevano i mezzi da rintracciarla; e ridncevano l’arte del disputare e del dire j, onde cotanto si
pompeggiavano, a mere baje ed a
vanissimo strepito di parole. Per
intuzzare il fasto de’ quali uomini
giudicò Socrate doversi quella sapienza,
della quale era ei solo veracemente
maestro, velar con quella sua celebre
dissimulazione, per non respingere da’ suoi
colloqui quanti volea costrignere
a confessare di nuli’affatto sapere, prima che avessero a piena bocca versata tutta la scienza, nella qual più si fidavano, ed invescati
dalle interrogazioni di un uomo, che sol
bramasse istruirsi, ben comprendessero
non esser ella che vanità. Perciò
eloquentissimo essendo, e avendo
insegnato il primo, come ne attesta Laerzio, l’arte del ragionare 5 usava umile
e /
disadorna orazione, seconclochè nel
convito di Piatone afferma Alci-
Liade, per animare coloro, di cui
■fingeasi discepolo, a cavar fuori
più arditamente quella, di cui si
boriavano, suppellettile di eloquenza, e dopo avere sfoggiate tutte siffatte merci di belJa stra e di niun valore, a'’loro segni medesimi
se ne svelasse la nullità . Perciocché nulla ad ducendo egli del proprio, ma rivolgendo per tutti i lati quanto ne avea concesso il contraddittore, appoco appoco inoltrandosi, colà pingeva- ló filialmente ove forz*eraglì di confessare non si poter già difendere quanto
animosamente poco dinanzi asseriva. Ma
raentrechè prestandosi alP occasione
mettea più cura a distruggere le altrui maniere, che a rassodare le proprie ^ destò
sospetto in alcuni, ©h’ ei ne insegnasse
più tosto qua- ie duL.bie2Sza chiudasi nelle cose, che quale s’ ahbian certezza e veracità, e
dicrollasse, piuttostochè invigorisse,
le fondamenta del conveniente e del buono . Ciò ad Aristofane ^ diede appicco
per accusarlo, quasi ponesse in dubbio
quanto mai ha di più certo, e più
ne importa sia vero, e questionasse che tanta sia probabilità in ogni cosa, quanta potesse ap- porlene una insidiosa allettatrice eloquenza. Per la qual cosa malignamente
chiamalo antesignano di quelli che si
gloriavano di possedere e r uno e 1 ’ altro parlare, che superiore e inferiore dicesi, il quale può veramente dare alle stesse cose eguale aspetto di vere come di false . Ma benché Socrate, per non
torcere dal suo proposito, nulla affermasse 5 pure col * Aristofane nelle ISfuvolei disputare ed abbattere le opinio= ni alla ragion ripugnanti, faceva sì che ciascuno agevolmente inferisse qual
fosse il massimo bene, quali virtù,
quali vizj alla natura umana distribuita nelle facoltà sue rispondessero. 14*'^ Ciò fatto, quasi la tromba sonato avesse, mirabilmente eccitò gli
affetti degli uomini a coltivar la filosofìa de’ costumi ; ma ciascheduno amando meglio parere autore di cose nuove, che apprendi to re
delle scoperte, e perfezionatore delle abozzate, miseramente molti la
deformarono, e la constrinsero di quando
in quando a vestirsi di nuove forme.
Perciocché ora mostravasi con increspata
fronte 5 con barba squallida^ e in
sordido niantellaccio, e spoglia
d’ogni vergogna sfacciatamente lorda vasi d'*ogni bruttura; ora splendidamente
e mollemente abbigliata 5 ed odorosa d’unguenti
si in cerca di delicati conviti ^ nè
riputa vasi a scorno far viso e lezio di parassito ad uomini sontuosi .
Alcune volte invaghita della piacevolezza degli orticelli, e soddisfatta di semplicissimo vitto, abbandona vasi neghittosa alla soavità di un
ozio infingardo^ alcuna volta ingolfa vasi nelle civili tempeste, e arma vasi di quante forze può mai natura e fortuna somministrare, per acquistarsi, prudentemente operandole, tutti quegli agi che possono crear diletto nel
vivere. Talvolta sopra le cose umane di
lungo volo innalzandosi nelle divine affissavasi che sono eterne, e procurava di richiamare la
nostra mente, staccata affatto dalla
materia, a quella mente, da cui
credevasi derivata ; talvolta sprezzando
uomini e dei, ed ogni cosa mettendo
sotto di sè$ con Giove stesso di libertà e d imperio rivaleggiava ^ e
prometteva ardita di crear essa monarchi
e numi tutti coloro, che non prestandosi
ad altri sol tanto a lei s’ attaccassero
. Alcuna volta agi* tavasi irresoluta, e
vacillante cercava dove fermare il piede ; alcun’ altra disperatissima di
mai trovarlo 5 nè più curando soggiorno
stabile e fermo ospizio lasciava trarsi dagli accidenti secondo il corso incostante della fortuna . Ciascuno in somma di quella forma la rivestì,
che più gli fosse in acconcio o a
cuore. i 5 .° Imperocché Platone,
sendo fornito di sommo ingegno, compiuto
in ogni dottrina, ed egualmente grande, pregio serbato a pochi, si nella facoltà di scemerò quelle cose, che sgombre d ogni mortale impasto si svelan solo ad un’ anima tutta staccata dal senta so, come
nelTaltra facoltà di mo¬ strare, quasi
dipinte e illustrate pomposamente, sensi
stessi le cose, che dalla mente si
percepì- scono ; unendo insieme queste
fra loro discordantissime facoltà,
creò tal genere di orazione dell’ una
e l’altra composto, che per lo
splen¬ dore delle parole, e la pittura
de’ sentimenti d’ogaì colore
imbelli¬ ta, frequentemente diletta più, che non istruisca. E veramente fu spesso si stemperato in lisciar io stile, che non mancò solamente alia gravità di filosofo ; ma deesi dire che trascendesse la intempe¬ ranza medesima de’ poeti. Quin¬ di, siccome Longino attesta io censurarono alcuni, che quasi pre¬ so da frenesia si abbandonasse a traslati arditi e a tumidezze al¬ legoriche ; e Dionigi Alicarnassen- I Longino del Sublime cap, a8.se * gli pone
a colpa di avere, più che al valor deile
cose5 mes¬ so l’ingegno ai frastagli
delle pa¬ role . Per la qual cosa,
mentre dagli argomenti sensibili agP
in¬ sensibili 5 e dalle immagini
eter¬ namente lubriche delle cose
tra¬ sporta gli animi a* loro stessi
e- semplari 5 che nè mai nascono,
nè sono mai per perire, affinchè il lume del vero sgombri un errore contratto per la consuetudine di cosiffatte apparenze ; ei rivestendo ogni cosa di ailegorie ritira gii animi alle apparenze medesime, e di sì vivo splendore gli scuote e abbaglia, che stupefatti lasciali di maraviglia piu tosto che rischia¬ rati dalia evidenza. Perciocché avendo raccolto per ogni parte tutti i fioretti poetici ed i misteri 1 Dionigi d"Alicarnasso della Graokà
dell Orazion Demostenica .de* numeri, e
avendo cercato a- dentro il sistema
adombrato sopra le idee da Epicarmo,
congiunse insieme siffatte cose
scambievol¬ mente impacci antisi 5 e
ravvolgen¬ do gli animi per tortuosi
argo¬ menti sparsi di tratto in tratto
di favolose immagini, menali tutti sin dove ni uno più riconoscasi, ma resti assorto dalla medesima uni¬ versalità delle cose, e finalmente unitosi a quella mente, da cui cia¬ scheduno emana, si creda essere Iddio . Poiché, siccome si esprime Tullio giusta il parer di Platone \ è Dio chi vive, chi sente, chi si ricorda, chi prevede, chi questo corpo, ch’egli ha in governo, così conduce e amministra, come il sommo Iddio questo mondo ; tal¬ ché non debba sembrare maravi- glioso, che tanti uscisser di que- ì Cicerone nel Sogno di Scipione cap. 8.sta
setta fanatici ed invasati ; e che tanti
concetti ornati di favo¬ lette poetiche
si co^iessero da poeti cupidamente, e si
garrissero sino alla sazietà . 16.® Aristotile per lo contrario, uomo egualmente di sommo acume e di gravissimo discernimento, può ^ « 1 • •
s^ttribuirc 3 - sè solo di suo diritto
ciò, che generalmente da Massi¬
mo Xirio affermasi de filosofi. 5
imperocché la sua mente rinvigo¬
rita e intollerante di enigmi cavò
la filosofia d^ogn’invoglio 5 de fre¬
gi suoi la spogliò ^ ed usò nude
maniere. Costrinse a legge deter¬
minate © chiarite per ogni parte
le argomentazioni ; da singolari,
avanza agli universali, che soli
possono produr la scienza, la pri¬
ma entrata de’ quali essendo già
1’ esperienza stessa, n’ è più. dirit-
^ MOtSSITUO TÌTW SbTTUì. 5 ^ 9 *
ta e sicura la progressione;
poiché ciascheduno è certo donde
parti, qual via Batta, e dove gli è
da sospingersi. E per toccare ciò
che più vale al proposito, Platone avendo opinato j userò le parole di Cicerone ^, che fosse V intero mondo una città comune degli uo¬ mini e degl’iddìi, ed esser gli uomini di generazione e di stirpe agl’iddìi congiunti; e avendo per¬ ciò abbracciato co’ suoi precetti tal vastità, quale da uomini, tutti occupati dei vivere, difficilmente si può comprendere; parve più co¬ modo ad Aristotile, che ciasche¬ duno si reputasse, non dell’intero mondo, ma solo d’una repubblica cittadino; ed a tal uomo acconciò la filosofia de’ costumi, perchè sti¬ mava vieppiù valevole a tener gli uomini nel dovere un’affinità più > Cicerone delle Leggi Uh. i. cap. 7. ristretta
© da scambievoli e chiarì uffizj
corroborata, che una la qua¬ le 3
-gguagìi in ampiezza la infi¬ nità della
natura medesima, in¬ comprensibile
affatto dalia comu¬ ne degli uomini, la
qual si dee provvedere d^ instituzioni,
Laonde mentre Platone con il soccorso
dell Aritmetica Geometria
Astronomia si sforza a sublimar gli
uomini dalle concrete alle cose intellet¬ tuali, da’ sensi alle astrazioni, e insegna doversi 1’ animo scevra re affatto dal corpo, trasse Aristotile ciascun uomo là dove ognuno, che meni vita civile, si lasceia facil mente persuadere doversi aggiun¬ gere ; e quante cose vedeva^ si ca¬ re agli uomini da non soffi irne la perdita, mostrò in qual modo va¬ lersene rettamente. Poiché qua lunque co’ suoi precetti piovveda a que’ solamente, cui basta a bea¬ tamente vivere la pura contemplazion delle
cose intellettuali, e’ certo pensa, che
o la più parte deli’ unian genere sia
dispregevole, lo che è superba
arroganza, o na¬ ta unicamente agli
a£PannÌ, lo che guanto è ridicola
supposizione, è altrettanto inumana
ferocità. Quin¬ di Platone stesso, che
argomentossi a comporre una città, non
di uo¬ mini, ma d’intelligenze
scariche d’ ogni corpo, e col lega ria
con P accomuna mento di quelle
cose, che sfuggono ad ogni forza di
sen¬ so ; perchè nondimeno tale città non sia ripudiata affatto dal po¬ polo, le accorda l’uso de’ sensi © delle cose esteriori, e pone esser© le virtù, le quali civili appella, in quella mediocrità, cui trattò poscia profusamente Aristotile, e il maggior numero de’ filosofi com¬ mendarono. Ma per fondare o per figurare tale mediocrità trasse da varie dottrine e scienze ciascuno varj
argomenti. Imperocché Pla¬ tone * dalle
corrispondenze de^ suo¬ ni approvate
dalla sagacità delle orecchie cavò le
leggi, onde i massimi cittadini
dispostamente attemperati con gPinfimi,
siccome suoni dissimili ^ si concordino
e formin quasi pura e soave armo¬ nia j ed egli pure insegnò doversi in ciaschedun uomo le tre facoltà deir anima, appetitiva, irascibile, e razionale, contempo rare secondo quegP intervalli, con cui tra loro si rispondevano la corda somma, mezzana, ed infima nelle cetere. Le quali cose spiegando crede Plu¬ tarco *, Platone aver la lagione alla somma corda. Pira attribui¬ to alla media, alP infima P appe¬ tito; essendo tale il carattere della ragione, che signoreggi; delP ira, 1 JPlat&ne de Ilei Mepuòbiiw 4' 2 jPlutdTCO nelle Queitioni J^iutoniche - che ajutatrice ed ancella della ra¬ gione governi e sia governata; dell’ appetito poi che interamente ob- bedisca, siccome quello, che da Platone estimasi d’ ogni ragione incapace. Fu poi la cosa assai più lungi portata da Tolomeo \ Poi¬ ché non solo costui pensò consen¬ tire la facoltà razionale con il dia¬ pason 5 la irascibile vicina a lei col diapente, e la concupiscibile più a lei discosta con il diatessaron; ma tante qualità ancora ad ogni facoltà attribuì, quante son pur d’ ogni spezie le consonanze ; cioè tre alla concupiscibile, alla ira¬ scibile quattro, sette alla razio¬ nale. Conciossiachè tre, dice, della concupiscenza le virtù sono, come del diatessaron le consonanze; la temperanza nello sprezzare i pia¬ ceri; la continenza nel sopportare * Tolomeo deWArmonia lib. 3, cap» 5 .il
bisogno; la verecondia nello sfuggire le
turpitudini: quattro irascibile ^ come
le consonan¬ ze del diapente; cioè la
mansue¬ tudine nel temperare la
collera; r intrepidezza nel solFocare i
ter- ji'ori delle pendenti calamita 5
la fortezza nel dispregiare i
pericoli; e la tolleranza nel sostenere
i tra¬ vagli : sette son finalmente le
vir¬ tù della razionale, come già
del diapason le consonanze ; cioè V
a- cutezza, di cui è proprio muo¬ versi speditamente; T ingegno ^ a cui si conviene dirittamente col¬ pire ; la perspicacia, onde le cose discernonsi ; il giudizio, per cui si estimano rettamente ; la sapien¬ za, che s’occupa nella contempla¬ zione ; la prudenza, che nell’ a- zione raggirasi; e la perizia, che versa nell’ esercizio . Di più aven¬ do partito i suoni in unisoni, con¬ sonanti, e concordi, ed appellato unisoni que^ che il diapason costi¬ tuiscono j consonanti quelli che fondano il diapente, concordi in fine quelli che sono tonici, e quanti compongon mai la minima delle consonanze; le cose, e’ dis¬ se, che spettano al retto uso dell’ intelletto e della l’agione agli u- nisoni consomigliansi ; ai conso¬ nanti le cose, che al ragionevole temperamento de’ sentimenti e del corpo, alla fortezza e alla tempe¬ ranza si riferiscono ; ai concordi poi quelle cose, che si rapporta¬ no ad una qualche affezione; fi¬ nalmente l’intera filosofia de’co¬ stumi risponde al pieno concerto d’un’armonia perfettissima; tal¬ ché si debba e la virtù chiamare una certa armonia degli animi ^ ed una certa virtù de’ suoni no¬ minar debbasi V armonia '. Prova * JEudemo Uh, a. cap, i. però Aristotile *
le virtù starsi in un mezzo, così per V
indole di tutti quanti gli affetti, i
quali tanto per soprabbondanza corrom- ponsi quanto per mancamento; co¬ me per la natura della quantità o continua o discreta, nella qual sempre si può raccogliere il pari, il meno, ed il più. Ma tocca ge¬ neralmente siffatte cose Aristoti¬ le ; i Pitagorici poi, che s’eran tutti applicati alla dottrina della quantità discreta, ossia numerica, minutamente le sposero. Poiché !Nicoinaco Oeraseno, avendo nella introduzione alla scienza de’ nu¬ meri esposta da Giamblico inse¬ gnato essere il numero ( il quale per sé medesimo è pari e total¬ mente libero d’ogni affinità col dìspari ) altro più che perfetto ; altro mancante e contrario a quel- 1 Aristotile deir £!ti€c^ lib* si» 6 * Io ; altro perfetto e mezzano tra l’uno e l’altro; uno cioè, la cui somma è maggiore delle sue par¬ ti; uno, la cui somma è minore; uno, a cui totalmente è pari la somma stessa ; prese il numero per¬ fetto 5 che primo è dopo dell’ u- 3TÌtà il senario, a dimostrazione delle virtù, le quali disse non es¬ sere alcuni estremi, siccome a certi sembrò ; ma sol mezzi fra la soprabbondanza e la deficienza; e veramente il male al mal con¬ trapporsi ; e i’ uno e l’altro de’ mali opponersi al solo bene ; non mai però il bene ai bene, ma i due beni insieme ad entrambi i mali; come all’audacia la timi¬ dità, alle quali è comune la in¬ fingardaggine ; r audacia poi e la timidità alla fortezza . Pose al¬ tresì consistere la simiglianza del¬ la virtù e del vizio col numero perfetto, e col soprabbondante o igi deficiente in ciò, che troverai i im nitori soprai) Ijondtin ti 6 ma n— chovo^lì esser© assai di più ©d in¬ finiti, qua e là disposti disordi¬ natamente e da ni un termine cer¬ to non ordinati ^ raro per lo con¬ trario ritroyerai i perfetti, e con facilità numerabili ; essendo assai pochi quelli, che sono con fermo ordine procreati Imperocché la rarità del numero perfetto, come d’ un bene ^ non già del male va¬ rio e nioltipìice, n’offre per leg¬ ge di natura uno sol tanto ne’ nu¬ meri, che sono sotto della decina j uno nelle decine, che sono sotto del centinaio; un nelle centinaja, che sono sotto al migliajo ; e così poi in infinito. 117.® Ma in tantoché tai filosofi da cosiffatte origini ripetevano i * Boezio citato da 'Benullt all allegato
passo di iSlicornace, iga londatiienti di una virtù conve¬ niente al consorzio umano, sicco¬ me quella che rende F uomo at- tuoso ed abile ad operar quelle cose, per la perfetta esecuzìon delle quali tutti di tutti abbiso¬ gnano; altri d’altre sorgenti si affaticarono a derivare una virtù di tal foggia, che mentre credesi che perfezioni ogni uomo divisa¬ mente, spezza in un certo modo il primario vincolo di società. Im¬ perocché Zenone, il qual mosso da innata severità tenne e nobilitò la setta de’ Cinici, purgatene le sordidezze e rasane la impudenza, avendo tale opinione, che la nostr’ anima fosse una particella dell’ anima dell’universo, cioè del pu¬ rissimo etere penetrante tutte le cose; la natura poi essere Dio me¬ desimo tramescolato col mondo j ossia il fuoco partecipe della ra¬ gione e dell’ordine, e segnalato ài varj nomi
secondo la varietà delie parti, cui
variamente infor¬ ma nel penetrarle ;
insegnò V ul¬ timo fine deli’ uomo
essere unifor¬ marsi a Dio, o, alla
natura con¬ formemente vivere, o a’
sentimen¬ ti attenersi di un fermo
animo, che sia discìolto da’ lacci del
ma¬ teriale impasto, nè di godere
im¬ pedito sua naturai perfezione.
Poi¬ ché Dio essendo V animo di
cia¬ scuno, essQ è perfetto per sè
me¬ desimo j per la cjnal cosa dee
cu^ rar solo a rimuovere quegli
osta¬ coli, che il puro uso ed intero
di una perfetta natura potrebbero frastornare. ^Nascono poi tali osta¬ coli dalle cose fuori di noi per nullo consiglio umano variabili; siccome quelle che giudicavan gli Stoici si conducesser dal fato, cioè da una potenza immutabile gover¬ nante ordinatamente questo uni¬ verso. Laonde estimò Zenone doversi
allontanar dal sapiente qnaT- luncjLie
cosa esteriore ; perchè, se il sapiente
creda che oggetti inori di siJa balia
gli appartengano, non sia da pensieri
arditi e da sediziosi affetti agitato;
di che nulla vi è più contrario alla
stabilità imper- mntabile della natura .
Gli è d''uo¬ po adunque, che l’animo in
sè medesimo si raccolga, riponga
tut¬ to in sè stesso, e solo a sè
stesso basti, perchè del tutto sia
libero. Ma benché 1’ animo del
sapiente sia pur a neh’ esso implicato
nel se m pi t e r no ordine tl e11 e
cose, non però fiore di liberta gli si
maco¬ la, perchè adempie ciò ch’ei
me¬ desimo sceglierebbe, se ancor
nes¬ suna fatale necessità il
violentas¬ se j, e amministrando ed
usando tutto dì suo consiglio segue
spon¬ taneo il lato, non è dai fato
ra¬ pito forzata niente, come del
ser¬ ve e iusensato volgo è
costume. Per io contrario Epìciiro portando avviso ohe iì mondo fos- se aggirato dal caso, e avendo tolta ogni sapienza e costanza dall’ universo 5 e rotto l’ordine delie cagioni, che da una prima spie- gantisi nella medesima si rivolga¬ no, volle che 1 ’ uman genere fos¬ se una parte dell’universo stacca¬ ta affatto dall’ altre ^ e dall’ im¬ perio e dal timor degli deilo sciol¬ se, i quali, dilungi a noi rilega¬ tili, collocò oziosi negl’intermon ' dj, perchè nè eglino ci sien di noja j, nè lor siarn noi di molestia, donde la pace deli’ animo sì avve- ienh Quanto poi può s’ argomen¬ ta a liberar gli uomini, a liber¬ tà redenti e tolti ad ogni governo della possanza regolatrice dell’uni¬ verso 5 dalla tirannide ancora di quelle cose, che ne riguardano e stringono più dappresso. Imperoc¬ ché degli affetti, i quali ad esse ci attaccano e sottoinettono, vcg- gendo alcuni eccitarsi dalla «a^ tura medesima, alcuni dalla opi¬ nione 5 la qual può essere cosi con¬ forme come discorde dalla natura 5 e però certi di questi affetti e na¬ turali essere e necessari ; natura¬ li, ina non necessari, molti; i più veramente nè necessari, nè naturali; prima stimò doversi di- veglìer tutte le cupidigie super- due ; impose poi di recìdere quel¬ le ancora, die non sovvengono all indigenza, ma solamente formano la varietà de^ piaceri ; onde non s’abbia quindi a tnenare vita stra¬ ziata e carica di travagli. Zenone adunque ed Epicuro, movendosi da punti opposti, idscontransi in¬ sieme a credere, abbisognare il sapiente di poche cose, e dojjo quasi aver corso uniti per bteve tratto tornano a dipartirsi, uno a sfidare arditissimo tutta la forza della
natura, e a cimentarsi, pie¬ no di cuore
è d.i sapienza, con lei ; l’altro a
schivarla avveduta- mente e declinarne
gli assalti, per non averla con
<jualche dan— no a combattere;
ambedue liberi di paura, quei perchè
giudica es¬ sergli forza spontaneamente
segui¬ tar r ordine dell’universo;
questi, perchè solò dì sè geloso
reputa nulla appartenergli tal ordine,
dal quale è affatto diviso. 19.° E a questi primarj capi ri- dur si possono quanti sistemi i fi¬ losofi immaginarono su la ragione del vivere. Imperocché o solleva¬ rono l’uomo a celesti idee, o alle bisogne umane lo richiamarono; e gli uni e gli altri principalmen¬ te diressero i loro ammaestramen¬ ti al vivere o solitario 0 civile. Poiché sforzaronsi alcuni di subli¬ mare il sapiente loro alla contem¬ plazione di quelle forme che sono eterne ; e
perchè ognuna di quelle abbraccia quante
ve n’ha dello stesso genere, con il
soccorso loro si argomentarono ad
associare insieme le menti portate via
dal sensibile al mondo
intellettuale, cui posson tutti
egualmente par^ tecipare, altri
educarono i citta^- dini agli affa??!, e
a coltivar qpe’ doveri, co’ qiiali
scambievolmente si confortassero in ogni
necessità della vita; altri estimando
essere ognuno parte del mondo
perfetta per sè medesima, si
allontanavano di lungo tratto dagli
uomini, e tutti scioglieano i vincoli,
che a comunanza di vivere ne
costrìn¬ gono, per non iscuotersi punto
dah la concetta loro immutabilità,
se a quelli si accompagnassero, che soglion essere dalle passioni diver¬ samente agitati. Conciossiachè il sapiente fra loro di nulla miseri¬ cordia commovesi, a ni un fa gra-? ^ia j e
giudica tutti gli altri essere
mentecatti, schiavi, ribaldi. Al¬
tri deliberarono finalmente dovere
ognuno curar sè stesso, nè mesco^
larsi in affari altrui per non ri¬
trarne gravezza o inamarirsi il pia-^
cere, se a caso scostisi d* un sol
dito, o metta fuori la testa de*
suoi orticelli. Tutti estimarcn poi
la virtù essere necessaria o a mon<-
dar r animo, perchè si dedichi
più pronto e libero alla contem¬
plazione, o a renderlo atto agli
affari, o a vestire quella fermezza,
per cui il sapiente j se fracassato
subissi il mondo, o eh’ ei sia po¬
sto nel toro ad ardere di Talari^
de, non crolli punto di sua paci¬
fica securtà: altri in fine, per ac¬
quistarsi pace e dolcezza di spiri¬
to senz* affanno. Mentre però i fi¬
losofi più che non deesi esaltano,
o indurano, o snervali gli uomi¬
ni, li rendono disadatti alle civili occorrenze ; o mentre cacciano
i riottosi per luoghi inospiti, o i già pendenti sospingono giù per la china, corrompono gli uni e gli altri j e li distornano da que’ prin- cipj, cui la natura gittò per base di umana felicità. ao.® Le quali massime essendosi tutte originate dalle opinioni, che gli uomini, forse mossi o dalla di¬ sposizione del proprio cuore, o da una oscura ed equivoca analogia, sulla natura forraaronsi delle co¬ se; ne avvenne che quelli princi¬ palmente sconciarono e intorbida¬ rono la ragione, che il più sem¬ bravano avere inteso a perfezio¬ narla. Imperocché d’ordinario chi molto vale di ingegno, ed usalo assiduamente j mentrechè sdegna le cose facili e spia le arcane, in¬ torniato da quelle tenebre fra cui sepolte si celano ^ egli mede¬ simo acconciasi fallaci immagini delie cose 5
© colora e irnhel- lettale a suo
talento; e ad uso de’ sognatoli, non
conlVontando mai tali immagini con esse
cose, xieppuf s’ avvede esser nebbia
ciò cb’e’ si crede Giunone. E se per caso destisi T animo finalmente, e ad esse cose rivolgasi, già estenua¬ to da vane speculazioni non vale a sostener quegli oggetti, de quali percbè si possa ricevere l impres¬ sione havvi mestieri di un fondo in certa guisa più solido. Laonde quel eh’ è più grave trapela e scorre, per cosi dire, per le fessure di
un’anima attenuata e forata per ogni parte; quel eh è più lieve e di più volume v’è dalla sua
medesima leggerezza soprattenuto. Indarno adunque ricerche- rebbonsi dalle massime de’ filosofi le regole della vita ordinate dalla natura e dalla sana ragione; es¬ sendo spesso inimica alia ingenua l ragione e pura, più che i costumi, inconsiderati del volgo ^ T arte di alcuni ammaestratori: talmente- chè non a torto si lagnò Seneca % che la filosofìa sì trovasse non a rimedio dell'animo, ma ad esercizio
d’ingegno, e fosse a molti Cagione già
dì pericolo . Smeca Epìstola io3.flo3 Hagtonameetto
del Tràdcitto- riE. . pon quale ordine
sì sviluppasi sero le facoltà degli uomini,
ed appetiti ne uscissero loro
connaturali, Con quale tenore e modo na¬
scessero le opinioni sopra le
cose spettanti al vivere, Con qual tenore siensi propo¬ ste e da che fonti attinte le instiiuzioni del pwere e de\ i^ostuTni .UNIVERSITÀ' D! PADOVA Dipartimer^to di Storie e Filosofìo del Diritto e Diritto Cononico ed i costumi e le leggi mo costituzione sortirono, che sien Stellini.
Keywords: liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stellini” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza -- Grice e Stenida: la ragione conversazionale di Romolo,
il primo re – Roma – la scuola di Locri – filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Locri).
Filosofo italiano.
Locri, Reggio, Calabria. A Pythagorian, cited by Giamblico – sometimes as
“Stenonida.” Stobeo preserves a fragment of a work on kingship attributed to
him. Keywords: re, regno,
principe, Romolo.
Luigi Speranza -- Grice e Sterlich: la ragione
conversazionale dei georgofili – la scuola di Chieti – filosofia abruzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Chieti). Filosofo abruzzese. Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Studia a
Napoli nel collegio dei nobili, gestito dalla compagnia di Gesù. È proprio
questa esperienza che lo porta a concepire la sua profonda ostilità verso i gesuiti,
che è uno dei tratti caratteristici della sua filosofia. La cura dei beni
ereditati dal padre, di cui era l'unico figlio maschio, lo portano a dover
compromettere le sue aspirazioni letterarie. Ma la filosofia rimase sempre la
sua prima passione e per superare l'isolamento culturale che gli venne imposto
dal dover vivere a Chieti, comincia a costituire la sua biblioteca. Questa cresce
in misura esponenziale di anno in anno, divenendo così una delle migliori
biblioteche del regno. Il suo intento e di mettere la stessa a disposizione di Chieti
per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio è reso vano
dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti della biblioteca
sono stati individuate in tutta Italia: nelle biblioteche di Pescara, Chieti,
Napoli, etc. Aggiornatissimo sui dibattiti filosofici e commentarista di
Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altr’illuministi. Di questa
partecipazione all’illuminismo è
testimonianza un copioso scambio di lettere con GENOVESI, BATTARRA, LAMI,
BIANCHI, e TORRES. Questo carteggio è un documento prezioso per delineare l’illuminismo.
Lascia anche alcune testimonianze della sua filosofia anche in due dialoghi di fra'
Cipolla e la nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i gesuiti.
Tramite la solida amicizia con LAMI, e membro della crusca e uno dei georgofili.
L'illuminismo nell'epistolario (Sestante, Bergamo). Dei marchesi di Cermignano.
Romualdo de Sterlich. Sterlich. Keywords: illuminismo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Sterlich” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Stertinio: la ragione conversazionale del tutore
di filosofia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Tutore di Damasippo.
Keywords: Damasippo.
Luigi Speranza -- Grice e Steuco: la ragione
conversazionale della filosofia perenne di Pitagora, Cicerone, Ovidio,
Virgilio, e Plinio – la scuola d Gubbio -- filosofia umbra -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Gubbio).
Filosofo italiano. Gubbio, Perugia, Umbria. Acuto esegeta dei testi e profondo conoscitore
della lingua romana, si oppone tenacemente alla riforma protestante e prende
parte al concilio di Trento. Entra nella congregazione dell'ordine dei canonici
agostiniani a Bologna, poi a Gubbio. Inviato a Venezia, dove, per l'ampia
conoscenza della lingua romana e l'acume filologico, gli èaffidata la
biblioteca di Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario è
appartenuto a PICO (si veda). Pubblica saggi contro Lutero (come VIO – si veda)
ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la chiesa cattolica
romana. Questi lavori rivelano il solido sostegno che dà alla tradizione della
prima Roma. Parte della sua saggistica include un intenso lavoro filologico
sull'antico testamento, culminato col “Veteris testamenti recognitio”, per il quale
egli si basa su manoscritti della biblioteca Grimani, utili a correggere GEROLAMO
(si veda). Nel revisionare e spiegare il testo, mai devia dal *significato
letterale* e storico. Contemporanea a
quest’esegesi e la composizione di un saggio d'impianto enciclopedico, la “Cosmopœia”.
La sua filosofia polemica ed esegetica destarono l'attenzione favoravole di
Paolo III, e questi lo ordina bibliotecario della collezione papale di
manoscritti e stampe del vaticano. Si reca a Lucca con Paolo III e Carlo V. Adempe
attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del vaticano. Nel
frattempo a Roma redatta i commenti al vecchio Testamento riguardanti i salmi
di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata
alla luce degl’originali ebraici. A questo periodo risale la composizione del celeberrimo
saggio, “De perenni philosophia” nella quale mostra che molte delle idee
esposte dai filosofi italici antichi – l’orfismo italico, la scuola di Crotone,
Parmenide e i velini della scuola di Velia, Plutarco, Numenio, gl’oracoli
sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici -- e essenzialmente correto.
Questo saggio contiene una polemica indiretta a margine, poiché elabora un
numero di quest’argomenti per sostenere molte posizioni poste in questione in
Italia da riformatori e critici. Come umanista ha un profondo interesse per le
rovine di Roma, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'urbe. A tal
proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui
raccomanda di ri-sistemare l'acquedotto Aqua Virgo, in modo da supplire
adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città. Mandato da Paolo III
a presenziare il concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna,
affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Muore
a Venezia durante un periodo di sospensione del concilio. “De perenni
philosophia” -- concilio di Trento Esegesi biblica ermetismo (filosofia)
Teosofia. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Guido
Steuchi. Stucchi. Guido Steuco. Steuco.
Keywords: Crotone, i velini – I crotonensi --. Cicerone, ovidio, Virgilio,
plinio, roma, aqua virgo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Steuco” – The
Swimming-Pool Library.
No comments:
Post a Comment